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Discussione della mozione Leoni ed altri n. 1-00159 sulle iniziative in favore del popolo saharawi (ore 12,10).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritto a parlare il deputato Scotto, che illustrerà anche la mozione Leoni ed altri n. 1-00159, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
ARTURO SCOTTO. Signor Presidente, stiamo discutendo una mozione che dà il senso di una battaglia che, nel corso degli ultimi anni, è stata svolta, nel nostro Paese, da diversi punti di vista e da diverse posizioni politiche, ma non ha trovato sempre attenzione sulla stampa, né mobilitazione politica e culturale. Si tratta, però, di una battaglia che dura da trent'anni.
Riprendendo un vecchio detto saharawi, «prima di ogni oasi, c'è un deserto da affrontare». Questo viaggio dura ormai da trent'anni e vive di pause e ripartenze, violazioni della libertà e dei diritti, accordi siglati la mattina e abbandonati la sera, in una condizione simile a una tela di Penelope: pare quasi, infatti, che, di giorno, si costruiscano le condizioni per la pace e che poi, la sera, esse siano poste in discussione.
La causa del popolo saharawi non è da oggi all'ordine del giorno della politica italiana ed europea: quel popolo chiede con forza, da oltre trent'anni - da quando, nel 1973, nacque il Fronte polisario - la possibilità di procedere ad un referendum che consenta ai 250 mila uomini e donne che vivono nel deserto algerino di scegliere il proprio destino ed avere una dignità statuale.
Da anni il Fronte polisario ha chiesto di poter essere governato da un'amministrazione internazionale a guida dell'ONU e dell'Organizzazione dell'unità africana (OUA), chiedendo nel contempo il ritiro delle truppe marocchine dal proprio territorio.
È ormai dal 1963 che le Nazioni Unite hanno inserito il Sahara spagnolo nella lista dei luoghi per i quali sarebbe possibile far valere il diritto di autodeterminazione dei popoli. Anche grazie ad un'intensa attività diplomatica del Fronte polisario, nel 1988 l'ONU stabilisce per la prima volta l'indizione del referendum, proprio mentre il Marocco avvia una lungaPag. 15e dannosa edificazione di un muro di oltre duemila chilometri, che separa la maggior parte del territorio del Sahara occidentale da quello che il «popolo del deserto» - questa è la definizione alla lettera dei saharawi - definisce il territorio liberato.
Purtroppo, quel referendum non è mai stato svolto, nonostante le risoluzioni ONU e l'inizio di pratiche di identificazione e di censimento del popolo saharawi. La RASD, l'entità che rappresenta il popolo saharawi, è diventata il cinquantunesimo Stato dell'Unità africana, anche se ancora oggi l'Unione europea, gli Stati Uniti e l'Italia non lo riconoscono come tale.
La Minurso, che è stata incaricata alle Nazioni Unite di avviare il censimento e di preparare le condizioni per un referendum, non è in grado di svolgere la sua missione nel Sahara occidentale, perché palesemente ostacolata dalle truppe marocchine e perché non è sufficientemente sostenuta politicamente e logisticamente dalla stessa ONU.
Questo ritardo e il protrarsi di una questione così delicata anche dal punto di vista degli equilibri geopolitici dell'area (uno Stato africano che ne occupa un altro, in un'area ricca di fosfati minerali), rischia di radicalizzare seriamente lo scontro tra saharawi ed esercito marocchino, dando vita, da un lato, al fenomeno che qualcuno ha definito (forse un po' forzatamente) una vera e propria intifada del deserto e, dall'altro, al rischio concreto, in un'area delicatissima, di infiltrazioni del fondamentalismo islamico.
Nel deserto algerino attorno a Tindouf vivono più di 250 mila profughi distribuiti in quattro tendopoli, con un proprio apparato amministrativo, sotto la giurisdizione congiunta del Fronte polisario e della RASD, organi coesistenti e di diversa natura che si sono assegnati compiti complementari nel sostegno alla popolazione.
Ricevono assistenza dall'Alto commissariato dell'ONU per i profughi di guerra e grazie agli aiuti sono stati costruiti ospedali, scuole - che, a differenza di altri Paesi, sono miste, composte da uomini e donne - e pozzi.
Nel deserto non vi è acqua potabile, della quale è ovviamente obbligatoria l'importazione, e la luce arriva soltanto attraverso i pannelli solari.
Per chi vi sia stato, è facile rendersi conto che si tratta di un vero e proprio «Stato in esilio». Tuttavia, le condizioni sul fronte dei diritti umani, secondo il rapporto annuale dell'Association marocaine des droits de l'homme (AMDH) per il 2005, sono estremamente preoccupanti, oltre il livello di guardia.
Si tratta un popolo sradicato, che paga la sua orgogliosa battaglia di libertà con la violenza, la tortura, l'inquisizione politica, l'incertezza del diritto, la prigionia prolungata in assenza di processi con il minimo di garanzie civili.
Ecco, per questo motivo è importante che il Parlamento approvi la mozione Leoni, che stabilisce alcuni punti, condizioni e impegni per il Governo. Anzitutto, la mozione in esame impegna il Governo ad adottare ogni iniziativa per giungere a una soluzione condivisa e definitiva del conflitto del Sahara occidentale, nell'ambito di quanto stabilito dalle Nazioni Unite, ad adoperarsi affinché quel dramma umanitario abbia termine e ci sia la possibilità di mettere fine a trent'anni di violazioni dei diritti umani, a riconoscere quanto è stato fatto anche in altre occasioni di fronte ad altre cause fondamentali di autodeterminazione dei popoli, a partire dall'OLP, a riconoscere rappresentanza e status diplomatico al Fronte polisario, come è stato fatto in passato dalle Nazioni Unite per il riconoscimento dei movimenti di liberazione come interlocutori ufficiali nei processi di pace.
Infine, il tema vero e fondamentale è quello di avviare le procedure, questa volta in maniera definitiva, di un referendum per l'autodeterminazione del popolo saharawi affinché possa scegliere tra l'integrazione e la possibilità di costruire una propria entità statuale. Su tale aspetto le rappresentanze del Fronte polisario, a differenza di quelle marocchine, si sono impegnate ed hanno detto chiaramente che qualsiasi fosse stato l'esito del referendumPag. 16lo avrebbero accettato. Tali parole non sono state pronunciate con altrettanta forza dall'autorità marocchina.
Ma il rispetto del diritto internazionale, la possibilità di procedere a un referendum e la possibilità di avere una soluzione definitiva a tale conflitto sono punti fondamentali. Se ciò non avverrà, c'è il rischio molto forte di una «palestinizzazione» del conflitto, di una nuova intifada, di nuove forme di guerra, di un riacuirsi delle situazioni conflittuali e di una difficoltà politica ed umanitaria delle popolazioni nel deserto.
Riprendo in conclusione un proverbio saharawi: «il coraggio è vivere per la libertà»; è una lezione di questo piccolo ma importante, grande, dignitoso, tollerante, aperto popolo che ha un confronto continuo con l'Europa, che è consapevole che uscendo da questo assedio avrà la possibilità di costruire nuove forme di democrazia e di partecipazione. Quel coraggio di vivere per la libertà gli deve essere riconosciuto e potrà essergli riconosciuto esclusivamente attraverso un referendum e attraverso un'azione forte del nostro Governo e dell'Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mellano. Ne ha facoltà.
BRUNO MELLANO. Signor Presidente, le chiedo se cortesemente può avvisarmi quando sono trascorsi dieci minuti dal mio intervento.
PRESIDENTE. La avviserò un po' prima.
BRUNO MELLANO. Signor Presidente, ne ho 14, di minuti, e mi volevo lasciare gli ultimi quattro per il prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. Certamente, non avevo capito bene.
BRUNO MELLANO. Signor Presidente, l'argomento è molto importante e come lei sa mi appassiona così come appassiona lei e come appassiona i pochi deputati presenti oggi in Assemblea. Intervengo a nome del gruppo La Rosa nel Pugno per dichiarare il pieno sostegno a questa mozione, peraltro firmata anche dal collega D'Elia che è membro della Commissione affari esteri e comunitari. Per noi rappresenta un'occasione importante di portare dentro l'Assemblea del Parlamento l'attenzione su una discussione che non inizia solamente adesso e che ha visto recentemente audizioni formali dei rappresentanti del Fronte polisario e della Repubblica araba democratica Saharawi nel Comitato permanente per i diritti umani della Commissione affari esteri e comunitari. È importante parlare del Saharawi, è importante decidere e approvare la mozione in esame, perché il popolo saharawi rappresenta una delle tante cartine di tornasole di quello che succede a livello internazionale e di Nazioni Unite.
Non è un popolo del tutto dimenticato come tanti in giro per il mondo - penso agli Uiguri, minoranza semisconosciuta all'interno della Repubblica popolare cinese - o come altre popolazioni di cui neanche il nome fa parte della memoria collettiva delle opulenti e ricche società occidentali, spesso cariche di informazioni e stordite. Del Saharawi ci siamo occupati e si sono occupati molti enti locali, molte associazioni, molte iniziative sono partite dal territorio italiano e spagnolo in particolare, perché è un classico processo di fallimento internazionale. Il processo di decolonizzazione che ha visto la Spagna franchista uscire «in fretta e furia» da una situazione del Sahara occidentale che rischiava di diventare ingestibile e che rappresenta un modo egoistico, del tutto antidemocratico, di procedere ad una fuga strategica, lasciando il territorio in balia delle forze presenti.
Quindi, il Sahara occidentale, occupato dapprima dal Marocco e dalla Mauritania - occorre ricordare anche questo aspetto della vicenda -, è un territorio su cui si sono giocati e continuano a giocarsi interessi contrapposti di un'area come tante, ma delicata ed importantissima, non soloPag. 17per la presenza di ricchezze assai rilevanti in una situazione desertica. In tale contesto, il conflitto è avvenuto sopra la testa del popolo saharawi, il popolo del deserto, e sopra un terreno desertico che si è stato uno dei tanti casi di fallimenti internazionali della diplomazia, dell'ONU ed anche delle organizzazioni umanitarie.
Come è già stato ricordato dal collega Scotto che ha illustrato la mozione, i passaggi arrivano da lontano - ma, ripeto, arrivano dal processo di decolonizzazione spagnola -, e cioè dalla decisione, che risale al 1976, di procedere alla definizione del contenzioso mediante referendum, tra l'altro già indicando anche l'elemento cardine, che è in genere oggetto di contenzioso, ovvero l'indicazione dei censimenti spagnoli del 1974, disponendo così già di una base certa su cui lavorare.
Invece, come reazione all'occupazione, è nato, ovviamente, il Fronte polisario e, quindi, un'organizzazione militare, anche di guerriglia, per contendere il territorio alle forze occupanti. Nel 1979 si determinò una prima svolta che sembrava aprire uno spiraglio serio per la situazione, ossia il ritiro dal contenzioso della Mauritania, che rinunciò ai propri terreni occupati, ma non così fece il Marocco. In tal modo, si è sedimenta, cristallizzata ed incancrenita una situazione che, appunto, a trent'anni di distanza, ci vede nel tentativo di difendere, anzitutto, la dignità delle Nazioni Unite e le decisioni più volte assunte e ribadite, con dichiarazioni ufficiali e risoluzioni internazionali, per la definizione di un ruolo, che era chiaro e definito, della missione internazionale Minurso, che doveva garantire un processo condiviso di fuoriuscita dalla situazione.
Occorre riconoscere al popolo saharawi, all'organizzazione della Repubblica araba democratica del Saharawi, ma anche al Fronte polisario di aver unilateralmente rinunciato alla lotta armata.
Il collega intervenuto in precedenza in qualche modo faceva balenare un rischio di «palestinizzazione» del conflitto e, quindi, di intifada.
Desidero ringraziare davvero, a nome dei radicali e dei socialisti del gruppo della Rosa nel Pugno, gli organi che, nella difficoltà dell'esilio, sono stati scelti dal popolo saharawi, per aver rinunciato, con buon senso e capacità lungimiranti, alla lotta armata, e per aver rinunciato ad accendere conflitti per segnalare la loro presenza e la loro esistenza sullo scacchiere internazionale. Ciò ha, però, riempito e gravato di responsabilità le società occidentali e le Nazioni occidentali, in particolare, ripeto, l'Italia e la Spagna - che più direttamente conoscono la situazione, anche perché intervengono con aiuti umanitari e con un'attenzione concreta della cooperazione decentrata delle nostre amministrazioni locali -, per tentare di innescare un processo virtuoso di risoluzione del problema. Esigiamo, in questo come in altri casi (ad esempio, la vicenda del Tibet o del Darfur, di cui parlavamo l'altro ieri in Commissione affari esteri), il rispetto delle decisioni internazionali dell'ONU. Questa è la battaglia che l'Italia può affrontare - e la mozione al nostro esame si muove nel senso di indicare una linea d'azione e di segnalare un'attenzione concreta del Parlamento italiano -, per tentare di incardinare sulla strada giusta un intervento che rischia davvero di non giungere mai.
Si tratta, peraltro, di una doppia responsabilità, perché conosciamo benissimo l'atteggiamento del popolo saharawi - un popolo islamico sunnita e laico -, che ha saputo vivere, nelle difficoltà dei campi profughi, con grandissima dignità e cultura, ed ha saputo valorizzare il ruolo delle donne e la situazione di autoorganizzazione e di costruzione di brandelli e forme di democrazia partecipata, anche nella gestione delle tendopoli e degli aiuti umanitari.
Quindi, abbiamo una responsabilità diretta, che ci impone di svolgere un ruolo nuovo - se possibile -, con la fantasia che tali situazioni, così fossilizzate, richiedono.
Come Europa e come Italia abbiamo rapporti ottimi e profondi con il Marocco. È necessario riuscire ad incidere sulla classe dirigente di tale Paese, che è molto aperta all'Europa, per tentare di instaurare con essa un'interlocuzione vera, chePag. 18superi gli odi, i conflitti e gli scontri tradizionali, che vanno a cristallizzarsi in questo conflitto.
Occorre, tuttavia, sapere che, in quell'area geografica, anche l'Algeria gioca un ruolo non indifferente: i campi profughi, infatti, sono in Algeria e nel deserto algerino. Esiste un utilizzo strumentale - a mio giudizio - del popolo saharawi, come popolo «cuscinetto» fra l'Algeria e il Marocco, con un intervento «pesante» dell'Algeria, non solo nel sostenere e accogliere le popolazioni saharawi, ma anche nel tenere viva una «spina nel fianco» del governo marocchino.
Quindi, numerosi sono gli elementi di difficoltà, gli elementi di obiettiva incapacità di intervento, che hanno dimostrato l'Europa e l'ONU. Tuttavia, per dare una speranza concreta, per evitare il rischio di spirali violente - che sono sempre dietro l'angolo, in particolare in questa fase storica di terrorismo internazionale, di globalizzazione della violenza (invece che di globalizzazione dei diritti) - occorre dare sostanza e forma a soluzioni e al riconoscimento dei diritti, già sanciti nelle nostre dichiarazioni e in quelle dell'ONU.
Questo è un dato importante. Con tale mozione ribadiamo una strategia di intervento...
PRESIDENTE. Onorevole Mellano, concluda.
BRUNO MELLANO. ...ricordando - e concludo - che anch'io, come altri colleghi, ho avuto la possibilità di conoscere direttamente quella realtà.
Desidero ringraziare uno dei tanti organismi che agisce nel territorio, la Recosol (la Rete dei Comuni Solidali), che, insieme al comune di Carmagnola (dove ho lavorato per un anno), è stata presente - ed è presente -, come tanti altri comuni ed enti locali, con aiuti umanitari diretti, in una realtà in cui un quaderno, una matita, una penna, cambiano la storia almeno di una generazione di giovani, che studia per poter avere un futuro.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gambescia. Ne ha facoltà.
PAOLO GAMBESCIA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la mozione Leoni ed altri n. 1-00159, che il gruppo dell'Ulivo sostiene con convinzione, viene titolata negli atti parlamentari «Iniziative in favore del popolo saharawi».
Ritengo che tale titolo sia riduttivo. Il problema - come hanno illustrato i colleghi - è di natura politica, oltre che umanitaria; esso riguarda, in primo luogo, la situazione nel Mediterraneo. Tale problema è politico anche perché riguarda i rapporti tra nord Africa, il Maghreb e l'Europa.
In tale quadro, la posizione italiana non è affatto secondaria, come, d'altra parte, dimostra l'attenzione che l'Italia ha sempre rivolto a quel problema. Esso può essere riassunto in tre punti.
Non racconterò la storia del dramma di questo popolo - che è già stata ampiamente illustrata - ma mi soffermerò solamente sulle ultime risoluzioni ONU e sulle ultime iniziative diplomatiche.
Il primo punto, ovviamente, riguarda gli aiuti umanitari; il secondo punto riguarda i diritti umani e l'esercizio dei diritti politici; il terzo punto riguarda le possibili vie di uscita da una situazione che si trascina da trent'anni nonostante l'impegno, non solo apparente, della comunità internazionale.
Ricordiamo che la risoluzione ONU che fissa tali punti ormai risale a diciassette anni fa, è del 1990. È vero, accade spesso che le risoluzioni dell'ONU non trovino attuazione, ma in questo caso dopo quella del 1990 ve ne sono state altre.
L'ONU e le organizzazioni umanitarie internazionali sono presenti sul territorio, è vero, e non si tratta - come per molte altre realtà - di una situazione dimenticata, anche e soprattutto per merito del Fronte polisario, che svolge un'intensa attività diplomatica. Ciò è, francamente, singolare: vi è un'intensa attività diplomatica per un popolo che non viene riconosciuto - sono le frequenti contraddizioni della politica internazionale - ed è giusto che nella mozione Leoni ed altri n. 1-00159 siPag. 19sottolinei come il riconoscimento, dal punto di vista diplomatico del Fronte, non sia secondario.
Partirò dagli sviluppi delle iniziative diplomatiche in quest'anno, poiché, apparentemente, vi è stata una svolta che, tuttavia, non sembra ancora aver aperto la strada in modo definitivo alla soluzione del problema. Nel febbraio di quest'anno è stato nominato dal Segretario generale delle Nazioni Unite il nuovo Rappresentante speciale per il Sahara occidentale e due mesi dopo - il 10 e l'11 aprile - il Fronte polisario e il Governo marocchino hanno presentato le loro due ipotesi di soluzione. Per la verità, sono ormai quindici anni che vengono proposte soluzioni spesso divergenti e non si trova un punto di incontro, anche se la speranza è che questa volta si riesca a fare un passo in avanti dal punto di vista diplomatico. Tuttavia, le due posizioni continuano ad essere molto distanti. Il punto centrale consiste sempre nel come svolgere il referendum e quale valore attribuirgli.
Da una parte, il Fronte polisario ha ribadito la sua posizione, secondo cui la questione del Sahara occidentale costituisce essenzialmente un problema di decolonizzazione (abbiamo ascoltato ciò anche nei precedenti interventi) e, quindi, la soluzione consisterebbe nell'indizione del referendum. Se come è vero, in quel territorio, la situazione si è determinata per la ritirata delle forze che lo occupavano, giustamente il Fronte polisario chiede che venga loro consentito di dire cosa vogliono essere e come si vogliono organizzare.
Dall'altra parte, invece, il Marocco continua a mantenere la propria posizione, che attribuisce un valore relativo al referendum, perché continua a ritenere che il territorio gli appartenga, le regole continuano ad essere quelle proprie di uno Stato unitario e, pertanto, l'autonomia è vigilata e controllata.
Le due posizioni non sono facilmente accostabili. Tuttavia, nei giorni scorsi, si è svolta una riunione, alla quale l'ONU ha chiesto che partecipassero anche Algeria, Marocco, Mauritania e il Fronte polisario. Qualcosa si sta muovendo. Pertanto, a maggior ragione, è importante la mozione in discussione in Parlamento.
Potremmo domandarci quale sia il valore di una mozione. In realtà, mediante una mozione, si può fare molto, perché essa ribadisce la posizione dell'Italia, spinge a prendere un impegno, non solo per quanto riguarda le possibilità di intervenire da parte del Paese, ma anche perché chiama a raccolta le forze in Europa che desiderano affrontare tale problema. È fuori discussione che l'Europa debba affrontarlo - avrebbe dovuto farlo con maggior forza, già da molto tempo - per la geografia, per gli interessi, per la presenza americana, in funzione di mediazione in tale situazione, e per l'emarginazione dell'Europa, spesso ridotta, per così dire, a coprire il segmento degli aiuti umanitari e assistenza ai profughi, anche se non si tratta di cosa di poca importanza, dato che sono oltre 150 mila persone.
La mozione in discussione deve chiamare il Governo italiano ad assumere un'iniziativa, perché l'Europa si muova, in quanto, come al solito, l'Europa ha due differenti posizioni abbastanza nette, quella francese e quella spagnola, determinatesi storicamente nella disattenzione di molti altri Paesi.
Finora la Francia, per i rapporti storici avuti con il Marocco, ha cercato di avere un occhio di riguardo, per usare un eufemismo, rispetto alle posizioni dello stesso Marocco. Potrebbe darsi che il nuovo Governo francese assuma posizioni diverse; vi è da augurarsi che imprima una maggiore spinta in direzione dell'accordo. In presenza di tale situazione, è giunto il momento di spingere sull'acceleratore.
Di recente, al Senato, il Viceministro degli affari esteri Intini ha affermato qualcosa di interessante, sostenendo come sia assolutamente paradossale che, negli anni 2000, l'Algeria e il Marocco, investiti entrambi dal terrorismo fondamentalista, anziché preoccuparsi di fare fronte comune contro questa minaccia, litighino. Si tratta di un ulteriore aspetto che dovrebbe interessare l'Europa, anch'esso non secondario,Pag. 20in quanto, ad esempio, la lotta al terrorismo si effettua, in primo luogo, laddove lo stesso terrorismo cresce, si alimenta e successivamente viene esportato.
Lasciare incancrenire condizioni simili, significa anche creare le condizioni perché si sviluppino situazioni pericolose o potenzialmente tali.
C'è un aspetto umanitario, di tutela dei diritti umani. La Croce rossa afferma che la situazione è migliorata (lo sostiene anche Amnesty international) ma il Fronte polisario continua a denunciare arresti, limitazioni della libertà fondamentale. C'è, poi, un aspetto politico generale che riguarda l'ONU e le iniziative che l'ONU mette in campo per cercare di disinnescare i focolai pericolosi e c'è un problema che riguarda il Mediterraneo e l'Europa.
Il gruppo dell'Ulivo sostiene in modo convinto la mozione in esame e credo che quando un Parlamento ha una visione ampia, uno spettro ampio di possibilità di intervento e pone questioni come quella ora considerata, svolge esattamente il compito proprio di un Parlamento nazionale. Esso cioè non solo riflette su quanto possa realizzare direttamente, ma anche su ciò che può fare per spingere gli altri Paesi a muoversi insieme verso la soluzione del problema.
Nella discussione che seguirà potranno essere affrontati altri temi, ma a me pare che questi tre siano i punti che la mozione individua, i tre punti fondamentali per ogni riflessione e ogni azione a difesa di un popolo martoriato, ma anche a difesa della stabilità nel Mediterraneo.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione.