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Discussione della proposta di legge: Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie della lavoratrice, del lavoratore, nonché del prestatore d'opera (A.C. 1538-A) (ore 11,10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa dei deputati Nicchi ed altri: Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie della lavoratrice, del lavoratore, nonché del prestatore d'opera.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1538-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i Presidenti dei gruppi parlamentari Forza Italia e L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioniPag. 2nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, deputata Di Salvo, ha facoltà di svolgere la relazione.
TITTI DI SALVO, Relatore. Signor Presidente, l'obiettivo della proposta di legge in esame è quello di neutralizzare una pratica molto diffusa e indegna per un Paese civile: proporre alle persone, nel momento in cui sono più deboli - all'inizio del loro rapporto di lavoro e come vincolo per il rapporto di lavoro stesso - di firmare una lettera di dimissioni che non ha, apposta in calce, alcuna data. Si tratta, dunque, di una lettera di dimissioni in bianco. La data verrà apposta successivamente - come dimostrano l'esperienza e la realtà - quando il datore di lavoro deciderà che quella persona, per una serie di ragioni, non è più utile all'impresa in cui, in quel momento, svolge la sua attività. L'obiettivo della proposta di legge, pertanto, è molto semplice: neutralizzare tale pratica.
Per avere il senso della necessità di intervenire con una legge rispetto a tale pratica, occorre anche ricordarne la dimensione. Essa è ampia, anche se, naturalmente, è evidente a tutti come sia difficile certificare l'ampiezza del fenomeno, poiché l'unica certezza è data, in termini quantitativi, dal censimento delle persone che, successivamente all'avvenimento del fatto, si rivolgono agli uffici vertenze del sindacato o direttamente alla magistratura per adire le vie giudiziarie, affinché il loro diritto venga tutelato.
Vi è, quindi, una difficoltà di emersione del problema. Ciò nonostante esistono dati e ricerche - di cui darò conto tra un momento - che consentono di riferire con precisione su una nuova tendenza all'accelerazione e all'aumento di tale pratica, che era presente nel passato (soprattutto nell'appalto assicurativo) e che in questi ultimi anni ritorna, come un fiume carsico, con grande evidenza. Come dicevo, esistono ricerche che censiscono ciò in modo evidente: esiste una ricerca delle ACLI la quale dimostra come un quarto delle dimissioni volontarie, anno per anno, siano in realtà dimissioni estorte. Vi è poi un rapporto commissionato dalla Commissione pari opportunità all'ISFOL, nel quale si indagano i collegamenti tra mercato del lavoro e maternità, che dimostra come la pratica delle dimissioni «volontarie» estorte sia una forma di pressione e di abuso di potere molto diffusa rispetto alle donne alla vigilia della loro gravidanza.
Inoltre, esistono rapporti da parte degli uffici che si occupano di vertenze sindacali. Ricordo i rapporti degli uffici della CGL, i quali censiscono, in almeno milleottocento casi all'anno, avvenimenti di questo genere.
In terzo luogo, vorrei far presente l'estensione geografica e per tipologia di imprese di tale problema. Si tratta di un fenomeno, per quanto emerge, presente soprattutto nelle piccole e medie imprese, soprattutto al centro-sud - dicendo soprattutto intendo sottolineare che il fenomeno è presente «non solo» ma «soprattutto» in questa zona: lo affermo con molta certezza - e riguarda anche le lavoratrici ma non soltanto queste ultime.
In quarto luogo, vorrei evidenziare che tale pratica di pressione e abuso di potere consiste nell'apporre, alle dimissioni volontarie sottoscritte all'inizio del rapporto di lavoro, una data successiva e nel ripresentarle in presenza di alcuni avvenimenti. Le ipotesi censite maggiormente evidenti riguardano il caso della maternità delle lavoratrici, lunghe malattie o periodi di infortunio, È evidente la conseguenza dell'abbattimento dei costi del lavoro che tali avvenimenti comporterebbero, prefigurandosi, pertanto, non soltanto un abuso di potere ed una lesione della dignità delle persone, bensì anche una forma di concorrenza sleale, da parte di chi pone in essere tali pratiche, nei confronti di altre imprese che applicano le leggi correttamente e si comportano in modo rispettoso nei confronti delle persone oltre che delle leggi stesse.Pag. 3
Allora, come risolvere e neutralizzare tale problema? La proposta di legge in discussione avanza un'ipotesi e una modalità molto semplice ed assolutamente efficace. Essa prevede l'obbligo, in caso di dimissioni volontarie, a pena di nullità, di procedere utilizzando dei moduli che presentano una numerazione alfanumerica progressiva ed una validità, dal ritiro, di 15 giorni. In tal modo, obbligando ad utilizzare per le dimissioni un modulo predisposto dal Ministero del lavoro di concerto con il Ministero per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, in distribuzione presso gli uffici pubblici, soggetto a scadenza, si rendono impossibili le contraffazioni e si vincolano le dimissioni volontarie ad un meccanismo trasparente.
Tale meccanismo è molto semplice e, peraltro, non costoso. Vi sono normative che si sono già occupate di questa tematica - sarebbe errato sostenere che si tratta di un problema mai esaminato - sebbene con vuoti importanti che vengono risolti dalle modalità previste nel disegno di legge in discussione, del quale l'onorevole Nicchi è primo firmatario. In particolare sono due le normative che si sono occupate del problema. In primo luogo vi è il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 - Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità -, il quale afferma che, in presenza di dimissioni volontarie di una lavoratrice madre e fino ad un anno di vita del bambino, le stesse dimissioni devono essere certificate da parte dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro, in quanto devono corrispondere ad una effettiva volontà.
Inoltre, una seconda normativa è costituita dal codice delle pari opportunità il quale, analogamente, rende nulle le dimissioni avvenute fino ad un anno dalla data di pubblicazione del matrimonio di un lavoratore o di una lavoratrice, ove non confermate entro un mese dagli stessi soggetti.
Naturalmente, come ho già detto, tali normative, sebbene molto importanti, lasciano dei vuoti. In primo luogo, perché prevedono norme da applicare in via successiva e non preventiva, cercando di rimediare ad un problema già avvenuto.
La proposta di cui stiamo parlando previene il problema. Le causali per le quali le normative precedenti intervengono sono molto importanti, riguardano la libera maternità e il matrimonio che però non sono tutte le causali possibili. Ho detto prima come la pratica viene messa in atto anche in caso di malattie e infortuni. Quindi si tratta di un secondo problema nel quale la normativa in vigore interviene ma non risolve tutto. La proposta di legge, pertanto, allarga anche le causali e si applica a tutti rapporti di lavoro: c'è un elenco, nel comma 1 dell'articolo unico della proposta di legge, che specifica come l'ambito di applicazione sia generale.
L'ultima osservazione di merito, dopo di che passerò ad un'osservazione di carattere generale, è il percorso, ad oggi, della riflessione che ha portato in aula la proposta di legge. Tale riflessione aveva portato l'intera Commissione lavoro a considerare la proposta di legge (che è stata depositata all'inizio della legislatura) così rilevante da farne un emendamento al testo della legge finanziaria. La Commissione bilancio respinse la proposta ritenendola non pertinente; allora la Commissione lavoro, prendendo atto della decisione della Commissione bilancio, decise di presentare un ordine del giorno alla legge finanziaria che venne accolto dal Governo, votato dall'Assemblea durante la terza lettura e firmato da tutti i gruppi parlamentari, dimostrando come esista una forte condivisione della proposta.
Vorrei fare infine alcune osservazioni di carattere generale. La prima è che la proposta di legge è molto semplice e non determina costi particolari, ma si inserisce in un filone, in una cultura politica, molto importante del diritto del lavoro italiano. Si tratta di un orientamento che ritiene che tra la forza del datore di lavoro che offre lavoro e la debolezza dei lavoratori e delle lavoratrici ci sia un vuoto che leggi,Pag. 4norme e contratti devono equilibrare. Essi naturalmente equilibrano rapporti di forze diverse.
I fatti che sto descrivendo riguardano un abuso di potere e la proposta di legge Nicchi n. 1538 si inserisce riequilibrando tale abuso di potere. Si inserisce quindi in un filone importante della legislazione italiana e del diritto del lavoro italiano, ma rappresenta anche un modo semplice per affrontare il tema dell'elusione delle normative e delle piccole furbizie che determinano invece grandi lesioni di dignità.
La seconda osservazione di carattere generale è che si tratta di una proposta di legge semplice ma concreta, uno strumento di lotta alla precarietà del lavoro intesa come lesione della dignità dei lavoratori attraverso la neutralizzazione dei loro diritti e il potere ricattatorio che si traduce in una forma di governo del luogo di lavoro. Credo di essere stata chiara, ma vorrei esserlo ancora di più: sono certa che con una lettera di dimissioni in bianco alle spalle il potere di ricatto e di vessazione nei confronti del modo in cui una determinata persona svolge l'attività sia palese a tutti.
La precarietà si manifesta in molte forme oggi; è stata quasi ultimata un'indagine molto importante svolta dalla Commissione lavoro su forme e dimensioni della precarietà in Italia, la quale rivela che i lavori più precari sono svolti prevalentemente da donne. Quindi sia l'uso improprio dei contratti a termine e dei contratti di collaborazione, sia le forme di lavoro nero e sommerso, insomma le diverse forme di precarietà vedono le donne come protagoniste. Vorrei solo accennare, perché lo ritengo molto pertinente, che le donne in Italia sono anche le più povere. Quando si parla di povertà essa ha un «viso» femminile. La proposta di legge, quindi, è un atto molto semplice e concreto di contrasto alla precarietà intesa in questo modo.
Infine, è un atto concreto di sostegno alla maternità, in cui viene ribadito il suo valore sociale, che le normative in Italia riconoscono, ma è evidente che una pratica come quella di cui parlavo è una lesione al valore sociale della maternità molto forte e molto evidente ed è altrettanto evidente come questo provvedimento diventi un sostegno vero a tale valore.
Un'ultimissima considerazione: il 2007 è l'anno europeo delle pari opportunità contro le discriminazioni. Penso che il Parlamento italiano abbia il dovere di parteciparvi nel modo che gli è proprio, con l'approvazione di leggi che traducano l'impegno alto contro le discriminazioni in norme che aiutino a combatterle e aiutino le donne e gli uomini di questo Paese a riproporre un'idea del valore del lavoro, della convivenza e della coesione sociale come vero volano dello sviluppo che si fonda sui diritti delle persone e non sulla loro vessazione (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, L'Ulivo e Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritta a parlare la deputata Schirru. Ne ha facoltà.
AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, il provvedimento in esame detta le disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie del prestatore d'opera e ha la sua origine nella proposta di legge n. 1538, prima firmataria Marisa Nicchi, sottoscritta da tutte le deputate e i deputati del gruppo dell'Ulivo. È stato un provvedimento anche oggetto di discussione pubblica tra le forze politiche e gli organi di informazione in occasione della finanziaria per il 2007, nell'ambito delle misure relative alla stabilizzazione del precariato e del contrasto al lavoro in nero portato avanti con forza dal Governo, in particolar modo dal Ministro del lavoro Damiano.
Il provvedimento introduce una disciplina volta a contrastare il fenomeno delle dimissioni firmate in bianco e serve a proteggere i lavoratori, soprattutto le lavoratrici, da tale fenomeno, evitando che il datore di lavoro possa utilizzare le falsePag. 5dimissioni, che ha fatto firmare al momento dell'assunzione, per fare cessare, in qualsiasi momento, il rapporto di lavoro.
Consideriamo questo provvedimento come un'ulteriore politica pubblica, capace di assicurare diritti mediante forme di assistenza e di tutela all'interno di un'economia sempre più globalizzata; la riteniamo una politica di sicurezza del lavoro capace di offrire ai lavoratori la tutela dei loro diritti e, in caso di licenziamento, aiutarli ad uscire dal senso di incertezza economica e psicologica.
Riteniamo, infatti, che le modalità di licenziamento debbano essere consentite solo in un contesto di consolidamento della sicurezza del lavoro. La proposta di legge definisce le modalità per la risoluzione del contratto per dimissioni volontarie del lavoratore con l'utilizzo di uno strumento semplice, un apposito modulo realizzato secondo specifiche direttive. Nel modulo, come ci ricordava la relatrice, si debbono riportare una serie di dati, come il codice alfanumerico progressivo di identificazione, la data di emissione e ci sono appositi spazi da compilare a cura del firmatario, che sono dedicati all'identificazione del prestatore d'opera, del datore di lavoro e, soprattutto, alla tipologia di contratto da cui si intende recedere.
I moduli hanno una validità temporale massima di quindici giorni dalla data della pubblicazione e sono resi disponibili attraverso il sito Internet del Ministero del lavoro, per essere poi riconsegnati alle direzioni provinciali del lavoro, che hanno già il compito di vigilare, per esempio, in ordine alle dimissioni volontarie delle lavoratrici madri, come previsto dal decreto legislativo n. 151 del 2001.
Si tratta, come si diceva, di una legge che ha il pregio della semplicità e della chiarezza, ma, a nostro parere, anche un alto valore simbolico: una piccola norma a protezione di diritti e garanzie, delle tutele e quindi della libertà dei lavoratori e lavoratrici, ma soprattutto a protezione del diritto alla maternità.
È noto che tra le donne c'è un atteggiamento nuovo nei confronti del lavoro, che si traduce, da un lato, nella consapevolezza dei propri diritti, e dall'altro nella ricerca attiva di un'occupazione sempre più stabile e qualificata. A ciò, tuttavia, non fa automaticamente seguito la realizzazione di tale obiettivo. Permangono infatti molte difficoltà, che alimentano la disoccupazione femminile, la quale nasconde e contempla al suo interno isole di lavoro sommerso e di lavoro precario, fatto di condizionamenti, paure e tante insicurezze sociali. Le donne, infatti, spesso si trovano ancora davanti alla scelta obbligata di dover rassegnare le dimissioni dal lavoro per motivi personali, per trasferimento di residenza, per trovare una nuova occupazione e soprattutto per la difficoltà a conciliare vita e lavoro. In tutte le ricerche sul campo, tra gli aspetti fortemente determinanti, troviamo appunto i motivi personali e la difficoltà a conciliare vita e lavoro.
I motivi personali comprendono un'infinità di situazioni: conflittualità col datore di lavoro, violazioni contrattuali, e un'altissima percentuale di donne dichiara espressamente di dimettersi per la difficoltà a conciliare vita professionale e vita familiare. Ma una parte consistente afferma di aver lasciato il lavoro per motivi personali: dimissioni che rimandano spesso e volentieri al tema centrale delle difficoltà a gestire pressioni e ricatti permanenti nel corso del rapporto di lavoro. Per le lavoratrici, quindi, la sottoscrizione preventiva di dimissioni in bianco rappresenta un ulteriore disincentivo anche nei confronti della maternità, e ciò appare paradossale in un Paese con forti problemi di natalità e con ancora un insufficiente tasso di attività lavorativa rispetto ai parametri europei.
Come richiamato dalla relatrice, nell'ordinamento sono già presenti specifiche tutele per i lavoratori subordinati contro il citato fenomeno delle false dimissioni. In particolare, voglio ricordare l'articolo 55 del decreto legislativo n. 151 del 2001, recante il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53, su cui non mi soffermo. Così comePag. 6è stato richiamato l'articolo 35 del decreto legislativo n. 198 del 2006, recante il codice delle pari opportunità tra uomo e donna, che stabilisce la nullità delle dimissioni presentate dalla lavoratrice in caso di preparazione di matrimonio. Nonostante ciò, risulta che la pratica delle dimissioni firmate in bianco persiste e viene adottata soprattutto a danno delle lavoratrici.
Il fenomeno delle dimissioni in bianco è inoltre preoccupante perché esse vengono utilizzate in maniera più ampia indipendentemente dal sesso del lavoratore anche per fini fiscali, allo scopo, a volte, di sgravare l'impresa dal pagamento dei periodi di assenza dal lavoro per imprevisti quali infortuni o malattia. Non abbiamo i dati statistici, ma sappiamo che il fenomeno è in aumento, e interessa soprattutto i nuovi contratti relativi a rapporti di lavoro solo apparentemente autonomi o parasubordinati.
Per tali motivi riteniamo molto importante il comma 2 dell'articolo 1 della proposta di legge in esame, che riconosce le diverse tipologie di contratti di lavoro presenti oggi nel mercato del lavoro, e che potranno usufruire della tutela delle dimissioni volontarie. Sono tutti quei contratti inerenti il rapporto di lavoro subordinato, di cui all'articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle caratteristiche e dalla durata; i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, compresi i contratti di collaborazione a progetto; i contratti di collaborazione di natura occasionale; i contratti di associazione in partecipazione, di cui all'articolo 2594 del codice civile; i contratti di lavoro instaurati dalle cooperative con i propri soci.
Proprio al fine di contrastare tale fenomeno e rendere meno difficoltoso l'onere probatorio relativo alla nullità delle dimissioni volontarie, la proposta di legge al nostro esame prevede che la validità della lettera di dimissioni volontarie presentata dal prestatore d'opera sia subordinata all'utilizzo, a pena di nullità, degli appositi moduli predisposti e resi disponibili dagli uffici provinciali del lavoro.
I contratti di collaborazione, previsti dal codice civile (contratto d'opera, contratto di associazione in partecipazione agli utili d'impresa), nonché quelli, riconosciuti dalla legge n. 276 del 2003, di collaborazione a progetto, instaurati spesso senza individuare un vero e specifico progetto o programma di lavoro, vengono già considerati rapporti di lavoro subordinati fin dalla costituzione, purché il lavoratore sia in grado di fornire la prova, e, in caso di rescissione del contratto, di fornire le motivazioni della giusta causa. Si tratta di situazioni che generano conflitti e litigiosità e, soprattutto, la perdita di tutela. Infatti, il lavoratore che firma le dimissioni in bianco rischia di perdere non solo il lavoro ma anche il diritto all'indennità di disoccupazione. In tale contesto riteniamo utile e doveroso porre rimedio, mettendo un freno al possibile contenzioso, sempre più difficile da gestire, sia da parte del lavoratore, sia da parte del datore di lavoro: si tratta infatti di riconoscere che questa mala pratica genera una crescente problematicità.
Per tale ragione, riteniamo che il provvedimento al nostro esame interessi tutti: sia i lavoratori dipendenti e i prestatori d'opera, sia il datore di lavoro. Esso ha infatti un fine ben preciso: quello di prevenire denunce ed azioni giudiziarie, con le ovvie ripercussioni negative che esse presentano sul piano economico ed anche umano. Lo Stato, in questo modo, offre modalità di risoluzione pacifica a garanzia delle parti e si pone in un ruolo di controllo ed assistenza nel caso di controversie.
È pertanto giusto sottolineare l'universalità di tale provvedimento, poiché esso è rivolto all'intero mondo del lavoro ed ha particolari valenze antidiscriminatorie e a favore di quei diritti sacrosanti che sono la maternità e la conservazione del posto di lavoro a fronte di malattie ed infortuni: valori che trovano ampio riconoscimento giuridico tanto nell'ordinamento europeo quanto in quello italiano, come è sancitoPag. 7dall'articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e dagli articoli 35 e 37 della Costituzione.
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Lo Presti, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare la deputata Cesini. Ne ha facoltà.
ROSALBA CESINI. Signor Presidente, una piccola norma per dare visibilità ad una pratica vessatoria: così titolavano le agenzie di stampa alla vigilia dell'8 marzo, riportando il resoconto della conferenza stampa tenutasi al Senato in occasione della presentazione della proposta di legge che oggi l'Assemblea comincia ad esaminare. Ma ben poca visibilità fu poi data a questa notizia sulla stampa.
Quello al nostro esame è un provvedimento che, ci auguriamo, avrà prestissimo forza di legge e che segnerà un piccolo ma significativo passo in avanti nella tutela dei diritti di tutti i lavoratori e le lavoratrici. È sufficiente scorrere le pagine dei giornali o navigare in rete: quasi quotidianamente, ci si imbatte in notizie come quella che citerò, notizie di fronte alle quali è inevitabile provare contemporaneamente una sensazione di vergogna e di indignazione.
Da una lettera inviata alla trasmissione Anno zero, rinvenibile sul sito della RAI, si apprende che in una cittadina a sud di Bari opera un'industria cartotecnica con circa 250 operai: tutti sono stati assunti a tempo indeterminato; tutti sono stati assunti come operai generici, senza alcuna qualifica riconosciuta in busta paga, anche se la maggior parte di essi svolge mansioni specifiche. Si lavora a turni senza che venga riconosciuta una tariffa oraria diversificata. Il lavoratore scrive inoltre che i macchinari utilizzati in azienda di regola sono a norma di legge, ma, per disposizioni superiori, vengono assoggettati a modifiche non legali, e che vengono disattivate le fotocellule di sicurezza, al fine di incrementare la produzione. Sono poi frequenti gli incidenti sul lavoro.
Quando si verificano, al dramma si aggiunge la minaccia da parte del datore di lavoro volta a far dichiarare al pronto soccorso che l'incidente è avvenuto non sul posto di lavoro, ma a casa. Quando poi l'incidente è grave, ad esempio ci si frattura, si perde l'uso di una mano o di una parte di una mano - come è già successo - e magari il lavoratore minaccia un'azione legale, il datore di lavoro fa in modo di comprare lo sfortunato operaio, assicurandogli il posto di lavoro e promettendogli che interverrà affinché gli venga riconosciuta una percentuale di invalidità più alta rispetto a quella effettiva, perché lui ha le conoscenze giuste.
Il sindacato non è presente in fabbrica e nessuno vi si rivolge per il timore di essere licenziato e di perdere quei miseri mille euro di salario, che per la maggior parte di quegli operai rappresentano l'unica entrata familiare. Ebbene, siamo in Italia, anche se non sembra; siamo nel Paese in cui la Confindustria, il sindacato dei padroni, ad ogni piè sospinto bacchetta il Governo perché le aziende non vengono messe nelle condizioni di essere competitive sul mercato internazionale. Solo ieri, Montezemolo ha ribadito che il Governo crea problemi alle aziende e che i sindacati rappresentano i fannulloni, scordandosi totalmente dei 5 miliardi di euro raggranellati con l'ultima legge finanziaria, tacendo del tutto sul fatto che viviamo nel Paese in cui i salari sono i più bassi e le ore lavorate le più elevate d'Europa, che secondo la Commissione europea l'Italia è il terzo Paese nell'Unione a 25 per agevolazioni alle aziende, che siamo il Paese in cui il 10 per cento della popolazione detiene il 70 per cento di tutta la ricchezza, e in particolare l'1 per cento più ricco degli italiani è passato, in un solo anno, dal 10,6 per cento del reddito nazionale al 17,2 per cento, e in cui nel 2004, secondo Mediobanca, le principali società quotate in borsa hanno realizzato un incremento degli utili del 32 per cento. Siamo, cioè, in un Paese in cui, nei cinque anni di Governo del centrodestra, le rendite sono lievitate in maniera inversamente proporzionale a salari e pensioni.
Ebbene, a queste condizioni incivili e terribili di lavoro, che ho appena descritto,Pag. 8in cui versano quei 250 operai pugliesi, ne va aggiunta un'altra: a tutti loro è stato fatto firmare un foglio prestampato di dimissioni. Come dire: non azzardarti ad alzare la testa, non pretendere alcun diritto! O sottostai a queste regole selvagge, o te ne vai fuori, perché fuori c'è una fila lunghissima di nuovi schiavi, che all'inizio del terzo millennio sognano i tuoi miserabili mille euro!
Tutti questi lavoratori, così come tanti altri che si guadagnano il pane alle medesime condizioni, figurano a tutti gli effetti, quanto impropriamente, tra gli occupati a tempo indeterminato, mentre in realtà fanno parte di quella amplissima schiera di lavoratori precari che creano ricchezza, prestando la propria opera in piccole e grandi aziende. Un esercito, quello dei precari, fatto di oltre 3 milioni 700 mila persone, pari al 13 per cento degli occupati, cifra che appunto, a nostro parere, non tenendo conto del fenomeno appena descritto, sarebbe destinata ad incrementarsi sensibilmente qualora si riuscisse a far emergere la piaga delle dimissioni in bianco.
Secondo una stima della Ragioneria generale dello Stato, i lavoratori occupati con tipologie amabilmente dette flessibili sono prevalentemente donne, con una presenza preponderante fra gli addetti con contratto a tempo determinato e di formazione lavoro. Siamo intorno a una percentuale corrispondente al 63 per cento di donne, rispetto al 37 per cento di uomini. Ed è per questo che la gravidanza diventa, dal punto di vista del datore di lavoro, un problema, e dal punto di vista della donna è troppo spesso un dramma.
Prendiamo un'altra storia a caso, dai giornali, solo una, a titolo di esempio tra le tante. In questo caso ci troviamo al nord. Sara, che lavora in un'azienda lodigiana con meno di 15 dipendenti, è incinta. Le hanno detto che se non avesse abortito l'avrebbero licenziata, perché avevano già in mano le sue dimissioni. Così, anche se Sara desiderava con tutta se stessa questo figlio, è stata costretta a presentarsi in una clinica e a fare quello che c'era da fare. Sara era un'impiegata. Si era sposata ed aveva già avuto un bambino che ormai è grandicello. Con il secondo figlio, però, hanno iniziato a farle pressioni per spingerla a non tenerlo.
Sapeva perfettamente che se fosse stata licenziata, in casa non ce l'avrebbero mai fatta ad arrivare alla fine del mese. Lo stipendio del marito non bastava; così, al terzo mese, è stata costretta ad abortire. Non ci sono numeri ufficiali su vicende di questo tipo, ma solo qualche rara ricerca sul campo. Alcune sono state citate dalla relatrice, che ringrazio.
I dati forniti dagli uffici vertenze della CGIL riferiscono che sono circa 1.800 le donne che ogni anno chiedono assistenza legale per estorsione di finte dimissioni volontarie, e che ciò avviene quando il fatto è già avvenuto. Va peraltro sottolineato che si stima che sia soltanto una lavoratrice su dieci a ricorrere al giudice del lavoro.
In ogni caso, è accertato che le donne con il posto fisso abortiscono molto meno, così come è accertato che non sono pochi i datori di lavoro che rifiutano, in maniera subdola o talvolta addirittura esplicita, di farsi carico degli obblighi prescritti dalla legge a tutela della maternità.
Da dove discende tale affermazione? Dal fatto che il 30 per centro delle donne che hanno avuto un figlio dopo un anno e mezzo dalla nascita del bambino non ha più un'occupazione. È ovvio che una parte di queste donne possa aver deciso volontariamente di abbandonare il posto di lavoro, così come è ovvio che tale volontarietà metta spesso le radici nella scarsezza di tutele sociali e di servizi pubblici destinati all'infanzia o agli anziani, dunque nella difficoltà delle donne, spesso lasciate troppo sole nella gestione dei rapporti di cura.
Ma è altrettanto evidente che quando il datore di lavoro ritiene che la lavoratrice madre sia un problema per l'azienda si avvale delle dimissioni prefirmate o, più semplicemente, sopporta il «peso accessorio», finché il bimbo non compie un anno, periodo in cui è illegale l'interruzione del rapporto di lavoro, e poi mette in atto unaPag. 9serie di atteggiamenti di vero e proprio mobbing, senza alcun bisogno di ricorrere a minacce o a ricatti.
Ciò accade molto più spesso quando la lavoratrice è assunta con un contratto di prestazione d'opera. Per queste lavoratrici la prima minaccia è il mancato rinnovo del contratto, la seconda, in sede di assunzione a tempo indeterminato, è la firma della lettera di dimissioni in bianco. Spesso il datore di lavoro, o perché ritiene insufficiente il periodo di prova, ancorché quello massimo consentito è pari a sei mesi, così come previsto dalla contrattazione collettiva, oppure perché vuole mantenersi la possibilità di risolvere in qualsiasi momento il rapporto di lavoro, impone al lavoratore e alla lavoratrice, come condizione per l'assunzione definitiva, la sottoscrizione di queste finte dimissioni, che poi tira fuori al momento opportuno, quando i lavoratori esigono i propri diritti, quando si ammalano, quando si infortunano, o, per le donne, quando scoprono la loro gravidanza.
In questo modo il padrone - ed uso appositamente questo termine, perché è il padrone dell'azienda, ma è anche padrone della possibilità di costruzione del futuro dei propri dipendenti - pone il lavoratore e la lavoratrice in una situazione di soggezione psicologica assoluta.
Il datore di lavoro, sempre facendo leva sulla propria forza contrattuale, in questo modo si garantisce, si tiene le mani libere, si può permettere di svicolare dalle norme, che pure esistono, in difesa del mondo del lavoro, e utilizza al contempo tali metodi anche per tenere al livello più basso possibile il costo del lavoro.
Mentre il licenziamento può essere impugnato a tutela del lavoratore davanti al giudice del lavoro (per questo si ricorre alle finte dimissioni), le dimissioni non sono considerate una prova sostenibile o lo sono solo in casi eccezionali, perché l'onere probatorio dell'estorsione delle finte dimissioni volontarie è comunque a carico del lavoratore.
In caso di licenziamento, il lavoratore ha diritto di far verificare al giudice l'effettiva sussistenza delle ragioni che hanno portato al licenziamento, ma queste, purtroppo, in molti casi, si rivelano insussistenti, quando vengono sottoposte al vaglio della magistratura. Nel caso in cui venga esclusa la legittimità del licenziamento, al lavoratore spettano cinque mensilità di retribuzione, oltre al diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro. Ma avete mai visto qualcuno che ha scelto di essere reintegrato nel proprio posto di lavoro?
Chi viene espulso dal proprio posto di lavoro con queste modalità teme di ritornare in tale posto, perché sa bene quali vessazioni sarà costretto a subire. Il più delle volte, quindi, incamera le quindici mensilità di retribuzione, rinunciando al posto e incominciando nuovamente la ricerca di un altro lavoro, probabilmente altrettanto insicuro e precario, esattamente come quello appena perso.
L'obiettivo della proposta di legge che oggi cominciamo a discutere è proprio riequilibrare le asimmetrie tra prestatore e datore di lavoro, impedendo a quest'ultimo di imporre al primo, all'atto della sottoscrizione del contratto di lavoro, oppure in qualsiasi altro momento di debolezza contrattuale del lavoratore, la sottoscrizione delle dimissioni in bianco. Lo strumento individuato per ovviare a tale abuso è vincolare la validità della dichiarazione di dimissione volontaria all'utilizzo di appositi moduli datati, non modificabili e non soggetti a contraffazioni, disponibili presso gli uffici pubblici, la rete Internet, organizzazioni sindacali e patronati, con validità limitata a quindici giorni.
I destinatari della proposta di legge sono i prestatori di lavoro subordinato, i co.co.co, i co.co.pro., i lavoratori occasionali e gli associati in partecipazione. Stiamo parlando, cioè, dei soggetti più deboli del mondo del lavoro, coloro che si trovano su un gradino appena superiore a quello su cui si trovano i lavoratori in nero. Il contesto, il senso e gli obiettivi della proposta di legge in esame evidenziano come il diritto del lavoro italiano, e prima ancora la stessa Costituzione, si pongano il problema di equilibrare i rapporti di forza nel rapporto di lavoro, in modo che tale disparità non si trasformi inPag. 10abuso di potere e lesione della dignità e della libertà delle persone. La soluzione del problema è, peraltro, interesse comune dei lavoratori e della maggioranza dei datori di lavoro, i quali, applicando correttamente le leggi e i contratti, subiscono la concorrenza sleale di coloro che abbattono i costi di produzione evadendo obblighi e responsabilità sociali.
Nell'ordinamento, così come già ricordato dalla relatrice, sono presenti specifiche tutele per i lavoratori subordinati contro il fenomeno delle false dimissioni. Veniva in quest'aula ricordato il testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità e il codice delle pari opportunità tra uomo e donna. Risulta però evidente come tali norme affrontino soltanto le conseguenze di eventuali dimissioni estorte e, in ogni caso, l'ambito di applicazione della normativa è applicato ad alcune situazioni, anche se sicuramente meritevoli di particolare attenzione. Al contrario, la proposta di legge in esame previene la possibilità che si possa verificare il fenomeno, in virtù del vincolo, a pena di nullità, dell'utilizzo di appositi moduli ed ha valenza di tutela generale.
Se la proposta in esame, come già detto e come ci auguriamo, diventerà al più presto legge dello Stato, per le lavoratrici e per tutte le donne avrà un valore molto importante. L'ignobile ricatto delle dimissioni in bianco, infatti, per una donna significa essere costretta ad un certo punto della sua vita a dover fare una scelta immorale, ripugnante e illiberale tra la propria autonomia economica, che spesso coincide con quella sociale, e la signoria sul proprio corpo, sul proprio desiderio e capacità di procreazione.
Troppo spesso, in questi anni, abbiamo sentito celebrare la parola «famiglia», ma ancora più spesso questo termine è stato usato in maniera ideologica. Troppo spesso ci si è nascosti dietro la difesa di una famiglia immaginaria, il cui valore sociale si è fatto dipendere più dalla forma che dalla sostanza e dalle condizioni concrete di esistenza delle donne. Siamo continuamente bersagliati da una sorta di crociata. Di volta in volta, la famiglia sarebbe messa a rischio da rapporti d'amore omosessuale, dalle coppie di fatto, dalla fecondazione eterologa, dall'applicazione della legge n. 194 del 1978 ed altro. Non abbiamo mai - lo ripeto, mai - sentito dire da questi paladini della famiglia immaginaria che oggi ciò che mette più a rischio le famiglie è l'estrema precarietà del lavoro ed il voler relegare le donne in un ruolo subalterno e surrettizio di compiti e funzioni che dovrebbero essere a carico dell'intera società.
Ben venga, dunque, questa norma, anche se sappiamo bene che si tratta ancora di un piccolo passo, così come di un piccolo passo si è trattato quando, con la legge finanziaria, si sono previsti sgravi fiscali per le aziende del Mezzogiorno per l'assunzione di lavoratrici.
Si tratta di andare avanti. Noi, Comunisti Italiani, ci attendiamo molto dal nostro Governo. Ci attendiamo norme più stringenti per combattere il mobbing di genere, ci attendiamo che si estenda il diritto di gravidanza a rischio alle lavoratrici parasubordinate e che si investa sui consultori pubblici. Ci attendiamo che il lavoro a tempo indeterminato torni ad essere la normalità e non l'eccezione, così com'è chiaramente scritto nel programma di Governo, e che si torni ad una cultura del lavoro che sappia mettere al centro la dignità del lavoro e del lavoratore.
Voglio approfittare di questa occasione per ringraziare la Commissione lavoro che sta svolgendo, anche in questo ambito, un ruolo prezioso ed importante. Signor sottosegretario, noi ci attendiamo investimenti più sostanziosi per la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, che non è questione che riguarda solo le donne; ci attendiamo risorse più adeguate per i servizi di cura per bambini ed anziani non autosufficienti; ci attendiamo politiche di sensibilizzazione sul valore della differenza di genere e politiche di promozione affinché nel Paese vi sia uno scatto culturale, affinché donne e uomini siano messi nelle condizioni di potersi costruire, laicamente, civilmente, economicamente e in modo solidaristico, il proprio futuro.Pag. 11
Ci attendiamo, infine, che questo Governo, il nostro Governo, sappia ridare speranza e fiducia al popolo che lo ha votato e, più in generale, al nostro Paese, affinché si inverta la tendenza secondo la quale, per la prima volta dalla nascita della nostra Repubblica, i figli e le figlie smettano di vivere in condizioni peggiori di quelle dei propri genitori (Applausi dei deputati dei gruppi Comunisti Italiani, L'Ulivo e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Pelino. Ne ha facoltà.
PAOLA PELINO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Craxi, rappresentante del Governo, anche se avrei preferito, oltre alla sua presenza, la presenza di un rappresentante del Ministero del lavoro, considerato che la materia che stiamo trattando nell'odierna discussione sulle linee generali è molto più inerente a tale Ministero. D'altronde, non capita spesso che si riesca ad esaminare in Assemblea un provvedimento di competenza della Commissione lavoro, tengo a sottolineare che si tratta del primo in questa legislatura. Mi auguro che, nel frattempo, possa arrivare il sottosegretario del Ministero del lavoro, soddisfacendo così alla mia richiesta.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il contesto e gli obiettivi della proposta di legge in esame evidenziano come il diritto del lavoro italiano, e prima ancora la stessa Costituzione, si pongano il problema di come equilibrare i rapporti di forza nel rapporto di lavoro, squilibrati tra datore di lavoro e lavoratrice o lavoratore, in modo che tale disparità non si trasformi in abuso di potere e lesione della dignità e libertà delle persone.
Nella relazione di accompagnamento è posto in rilievo, inoltre, che la pratica delle dimissioni firmate in bianco viene adottata soprattutto a danno delle donne lavoratrici, come emerge tra l'altro dai dati forniti dall'ufficio vertenze della CGIL, da una indagine svolta dal coordinamento delle donne dell'ACLI e da una ricerca condotta dall'Isfol su incarico dell'Ufficio nazionale della consigliera di parità, su un campione di 25 mila donne. Tuttavia, precisa la medesima relazione, il fenomeno delle dimissioni in bianco viene utilizzato in maniera più ampia, indipendentemente dal sesso dei lavoratori, anche per fini fiscali, con lo scopo di sgravare l'impresa dal pagamento dei periodi di assenza dal lavoro, quali infortuni e malattia.
Rilevo, in ogni caso, come ho già esposto nel corso dell'esame del provvedimento in XI Commissione, che non è condivisibile l'estensione delle misure anche ai contratti a termine, tra cui quelli descritti nel decreto legislativo n. 276 del 2003, attuativo della cosiddetta legge Biagi.
Il provvedimento in esame, che ha lo scopo di contrastare la pratica di far firmare al lavoratore le dimissioni in bianco al momento dell'assunzione - quindi, nel momento in cui la posizione del lavoratore è più debole -, pur nel condivisibile scopo di scongiurare l'intento elusivo datoriale, appalesa alcune censure correlate al comma 2 dell'articolo 1, che elenca tassativamente le tipologie di contratti di lavoro che usufruiscono della tutela delle dimissioni volontarie. Si tratta, in definitiva, di tutti i contratti di lavoro subordinato di cui all'articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle caratteristiche e dalla durata; dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto; dei contratti di collaborazione di natura occasionale e dei contratti di associazione in partecipazione di cui all'articolo 2549 del codice civile.
Orbene, in relazione al comma 2 dell'articolo 1, rilevo che il vincolo della validità della dichiarazione delle dimissioni volontarie, correlato all'utilizzo dell'apposita modulistica disponibile solo presso gli uffici provinciali del lavoro e delle amministrazioni comunali, con ulteriori cautele amministrative, troverebbe giusta collocazione nell'ambito del rapporto di lavoro tipicamente subordinato, regolato dalla legge e in particolare dall'articolo 2094 del codice civile, richiamato dalla predetta disposizione del provvedimentoPag. 12in esame. Tuttavia, si può rilevare che il meccanismo previsto a pena di nullità, potrebbe creare un eccessivo irrigidimento dei meccanismi attuativi, considerato il coinvolgimento delle pubbliche strutture per quanto concerne l'apposita modulistica.
Per quanto riguarda l'estensione del provvedimento ad altre tipologie contrattuali non di lavoro subordinato, disciplinate dal decreto legislativo n. 276 del 2003, attuativo della cosiddetta legge Biagi (di collaborazione coordinata e continuativa, di collaborazione di natura occasionale e, finanche, di associazione in partecipazione), si rileva che tali tipologie, aggiuntive, tramite la congiunzione «nonché», alla tipologia nominata tipica del lavoro subordinato, non essendo a tempo indeterminato, ma a termine, non sarebbero suscettibili di detta applicazione antielusiva, per cui sarebbe meglio lasciare la materia delle dimissioni rimesse alla libera volontà del lavoratore, esercitabile nei termini della legge richiamata. Ravviserei, dunque, l'opportunità di eliminare tale materia dal contesto del provvedimento, in base alle considerazioni testé svolte, fondate su ragioni di coerenza e legate all'ambito soggettivo dell'applicazione della norma, considerato che l'articolo 67 del citato decreto legislativo, regolante le prestazioni lavorative a termine, intitolato «Estinzione del contratto e preavviso», recita, al comma 1: «I contratti di lavoro di cui al presente capo si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l'oggetto»; al comma 2:«Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale».
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Codurelli. Ne ha facoltà.
LUCIA CODURELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, gli obiettivi di promuovere la crescita e la buona occupazione implicano anche provvedimenti come quello che oggi l'Assemblea sta esaminando; un provvedimento che si rende necessario poiché interviene sulla disciplina civilistica dei rapporti di lavoro, disponendo la nullità delle dimissioni che non siano presentate secondo determinate modalità.
La proposta di legge in esame riguarda un diritto contemplato dalla Costituzione - è già stato detto, ma credo sia importante sottolinearlo - purtroppo, in molti casi, non rispettato. Pertanto, si pone il problema di come riequilibrare i rapporti di forza tra datore di lavoro e lavoratrice (o lavoratore) che sono ancora troppo squilibrati, tanto da poter dar luogo ad un abuso di potere e alla lesione della dignità e della libertà delle persone. Il provvedimento in esame è coerente con i principi costituzionali, anzitutto con l'articolo 35, primo comma, in base al quale la Repubblica deve tutelare il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
É altresì coerente con l'articolo 37 della Costituzione, secondo cui la donna lavoratrice ha gli stessi diritti spettanti al lavoratore e le condizioni di lavoro devono consentire alla lavoratrice di adempiere alle sue essenziali funzioni familiari, tramite una speciale adeguata protezione, sia per la medesima lavoratrice, sia per un futuro figlio. Purtroppo, assistiamo ad un fenomeno di dimensioni molto maggiori di quanto le statistiche a disposizione indichino, come la relatrice ha bene evidenziato, per la quantità e per la difficoltà evidente di censire un fenomeno che emerge solo a dimissioni avvenute.
Pertanto è importante evidenziare come la soluzione contenuta nel provvedimento sia di interesse comune dei lavoratori e delle lavoratrici, ma, sottolineo, anche della maggioranza dei datori di lavoro i quali, applicando correttamente le leggi e i contratti, subiscono la concorrenza sleale di coloro che abbattono i costi di produzione evadendo obblighi e responsabilità sociali. Ciò sottolinea come vi sia la stessa slealtà che esiste per il lavoro nero.
Tre importanti obiettivi, dunque, si prefigge, a mio avviso, il provvedimento inPag. 13esame. Il primo è costituito dal rispetto della dignità nel lavoro senza assistere a dei ricatti; il secondo è rappresentato dalla necessità di riconoscere, nei fatti e in ogni occasione, il valore sociale della maternità non solo, come troppo spesso avviene, con enunciazioni di principio che sono violate sistematicamente, lasciando le donne sole di fronte alla maternità, come se fosse un problema loro e solo loro. Il terzo obiettivo è costituito dal lavoro delle donne come risorsa indispensabile per il futuro della nostra economia, per raggiungere gli obiettivi di Lisbona e per la buona occupazione.
Il provvedimento in esame è stato assunto come priorità dal gruppo dell'Ulivo; è stato calendarizzato - come è stato sottolineato - grazie alla grande e piena disponibilità del presidente in Commissione, ed oggi è giunto in aula. Già nella finanziaria, come hanno ricordato le colleghe, abbiamo cercato di porlo in agenda, prima con un emendamento e, successivamente, trasformandolo in ordine del giorno, in quanto era ed è urgente porre rimedio alla situazione, per essere coerenti con tutto il tema dei diritti inviolabili.
Mi preme sottolineare ancora un aspetto non secondario, contenuto nel testo, che dovrebbe rappresentare un filo conduttore in tutte le norme legislative, per tutelare realmente le lavoratrici e i lavoratori, evitando loro defatiganti procedure burocratiche, prevedendo la possibilità di reperire tali moduli anche per via telematica, tramite Internet, o tramite il Ministero del lavoro e della previdenza sociale o, come si è ipotizzato, con il coinvolgimento dei patronati attraverso convenzioni. Il provvedimento in esame, inoltre, contiene un valore che trova ampio riconoscimento giuridico, tanto nell'ordinamento europeo quanto in quello italiano - lo ha affermato la collega Schirru e l'ho ribadito anche precedentemente - rispetto alla nostra Costituzione e alla Carta europea. Ancora di più, oggi, con la perdita di centralità dell'impresa fordista, occorrono interventi e strumenti di tutela del lavoro nel singolo rapporto, per garantire ai lavoratori sia condizioni di tutela della propria dignità, sia condizioni che permettano speranza nel futuro, per una vita di coppia e per costruirsi una vita migliore.
Per realizzare tale obiettivo - e ne siamo coscienti - occorre anche tanto altro, ma é necessario iniziare dal rispetto dei diritti. Successivamente si agirà come previsto nel programma del Governo - che ha iniziato il percorso ma tanto bisogna realizzare e presto - di concerto con le parti sociali, con politiche specifiche che tengano conto delle differenze esistenti nel mondo del lavoro e, soprattutto, con l'obiettivo della piena e buona occupazione, con misure generali di regolazione, con politiche attive e di incentivazione. L'insieme di tali politiche dovrà attuarsi con interventi condivisi nell'ambito delle rispettive competenze, ma anche volti ad aumentare le opportunità dei gruppi sottorappresentati del mercato del lavoro, ovvero le donne e giovani.
Dunque, elevare il tasso di occupazione di tali gruppi (in particolare di giovani e donne), porre rimedio a ricatti - come previsto dal provvedimento in discussione - e raggiungere l'emersione del lavoro nero sono obiettivi non solo giusti in sé ma anche essenziali per rendere sostenibili gli oneri per il welfare delle pensioni, della sanità, dell'assistenza ai servizi veri per la conciliazione e, soprattutto, per le donne, che oggi sono le più penalizzate (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Comunisti Italiani e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1538-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, deputata Di Salvo.
TITTI DI SALVO, Relatore. Signor Presidente, ho molto apprezzato gli interventi che si sono succeduti. L'onorevole PelinoPag. 14ha, naturalmente, avanzato obiezioni che non condivido e non ritengo pertinenti; avremo modo di parlarne nel corso della discussione degli articoli e delle proposte emendative, ma gli abusi di potere sono tali in qualunque tipo di rapporto di lavoro vengano perpetrati. Se vi è un abuso di potere, vi è un abuso di potere; se vi è un'elusione di legalità, altrettanto. Avremo comunque modo di parlarne successivamente.
Ringrazio il sottosegretario e il Governo per la presenza, ringrazio il Presidente della Camera, i colleghi, le colleghe ed il presidente della Commissione lavoro, che hanno condiviso con noi la discussione. Ringrazio anche la prima firmataria della proposta di legge in esame, l'onorevole Nicchi (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Comunisti Italiani e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.