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Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 15,07).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Orientamenti del Governo sull'unificazione degli enti previdenziali - n. 2-00606)
PRESIDENTE. L'onorevole Lo Presti facoltà di illustrare l'interpellanza La Russa n. 2-00606, concernente gli orientamenti del Governo sull'unificazione degli enti previdenziali (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1), di cui è cofirmatario.
ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Giampaolo Vittorio D'Andrea, ha facoltà di rispondere.
GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, onorevole Lo Presti, come è noto, il tema della razionalizzazione della spesa, anche attraverso l'unificazione degli enti previdenziali, è stato posto tra i dodici punti prioritari adottati dal Governo. Questa stessa circostanza testimonia la forte attenzione di tutto l'Esecutivo, del Presidente del Consiglio, nonché del Ministro per l'attuazione del programma, nei confronti di una questione che ha assunto l'importanza strategica fondamentale per lo svolgimento del programma di Governo.
I Ministri Damiano e Nicolais, nella loro relazione alla Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di previdenza e assistenza sociale, hanno già evidenziato le ragioni che spingono a prendere in seria considerazione il progetto di razionalizzazione degli enti previdenziali. Mi limito, pertanto, ad esporre in modo sintetico i punti principali della questione.
Va premesso che la pluralità di enti previdenziali è l'eredità del vecchio sistema previdenziale, di tipo particolaristico, perché differenziato a seconda delle categorie di lavoratori. Oggi, alla luce dell'uniformità previdenziale e pensionistica introdotta negli anni Novanta, la pluralità degli enti rappresenta un anacronismo non più giustificabile. Il prodotto previdenziale, oggetto dell'attività degli enti in questione nel settore pubblico, è ormai tendenzialmente omogeneo. È perciò opportuno che, per quanto riguarda il settore pubblico, sia gestito ed erogato in forme e modi tendenzialmente omogenei.
I principali benefici che l'Esecutivo si prefigge nel perseguire la razionalizzazionePag. 26degli enti previdenziali sono due: da un lato, la qualità dei servizi, dall'altro, la riduzione dei costi. Il primo e più importante ordine di benefici consiste nella possibilità di garantire servizi e prestazioni qualitativamente sempre più elevati: la ridefinizione gestionale ed organizzativa delle strutture deputate al welfare rappresenta un'occasione irripetibile per avviare sinergie indispensabili sul piano dello snellimento delle procedure e del miglioramento delle prestazioni. A questo proposito, i notevoli risultati prodotti dalle sinergie avviate proprio dagli enti previdenziali negli ultimi decenni rappresentano un presupposto incoraggiante. L'azione di riforma, inoltre, costituisce l'occasione di allineare verso l'alto gli standard operativi dei diversi enti, usufruendo degli specifici punti di forza maturati da ciascuno di essi nel corso degli anni. Infine, è da considerare la maggiore semplicità che incontrerebbero sia i lavoratori sia i datori di lavoro nel rapportarsi con un unico soggetto gestore, invece che con una molteplicità di soggetti diversi per procedure operative, tempi e modulistica.
Il secondo ordine di benefici consiste nella riduzione dei costi degli apparati amministrativi, che conseguirebbe all'eliminazione degli eccessi di spesa che si annidano nella duplicazione di apparati e di funzioni, nelle inefficienze organizzative, nelle complicazioni burocratiche che derivano dalla pluralità dei soggetti gestori.
Ciò premesso, a proposito delle forme e dei modi con cui realizzare l'obiettivo dell'unificazione degli enti, ribadisco quanto già il Ministro ha avuto occasione di dire nel corso del convegno nazionale del 7 giugno 2007 dedicato al tema dell'unificazione degli istituti previdenziali, e cioè che al momento non sono ancora stati definiti la struttura, i modi e la forma dell'intervento da porre in essere. A tale riguardo, non posso che confermare quanto è già stato dichiarato alla Commissione parlamentare di controllo sugli enti previdenziali e assistenziali dai Ministri Nicolais e Damiano, circa la necessità di un percorso articolato, graduale e condiviso. Tale percorso dovrà necessariamente coinvolgere non solo tutti i ministri interessati, ma anche il Parlamento e le parti sociali. Fra queste, un ruolo particolare sarà riservato alle organizzazioni sindacali, per quanto concerne la delicata questione della sorte dei dipendenti degli enti che verrebbero soppressi.
Più in dettaglio, gli onorevoli La Russa e Lo Presti chiedono se il Governo intenda servirsi dei commi 482 e seguenti dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007). Tali disposizioni, come è noto, al fine di perseguire stabilità e crescita, di ridurre le spese delle pubbliche amministrazioni, di incrementare l'efficienza e la qualità dei servizi, attribuiscono al Governo il compito di procedere, entro il 30 giugno 2007, al riordino, alla trasformazione o soppressione di enti ed organismi pubblici, mediante appositi regolamenti di delegificazione. Il Governo non ha ritenuto di usare tale potere regolamentare per realizzare l'accorpamento degli enti previdenziali e assistenziali, come pure legittimamente avrebbe potuto. Si è infatti preferito privilegiare percorsi, forme e tempistiche che tenessero conto della particolarità e della delicatezza della materia.
PRESIDENTE. L'onorevole Lo Presti ha facoltà di replicare.
ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, quanti minuti ho a disposizione?
PRESIDENTE. Ha disposizione venticinque minuti.
ANTONINO LO PRESTI. Non abuserò così a lungo della pazienza della Presidenza, dei colleghi e del rappresentante del Governo.
Non mi ritengo soddisfatto, perché nella risposta si affronta in modo superficiale l'argomento che abbiamo posto. Seppure la domanda fosse abbastanza semplice, essa in realtà avrebbe richiesto, dal nostro punto di vista, una più articolata risposta. Il Governo ci viene a dire che il progetto di riordino degli enti previdenzialiPag. 27è cosa buona e giusta. Questo lo sapevamo, è una tesi scontata in cui ogni persona di buon senso credo si ritrovi, perché è evidentemente necessario mettere mano ad un sistema che produce delle diseconomie e che tutti gli studiosi ritengono sia venuto il momento di riformare.
Tuttavia il Governo dimentica di dire che il 30 giugno è scaduto il termine entro il quale avrebbe dovuto esercitare questa delega, che gli era stata concessa dal Parlamento con la legge finanziaria per il 2007 e che, in questi sei mesi, al di là dei buoni propositi, delle belle disquisizioni, di chiacchiere e di progetti fumosi senza alcun contenuto, non ha prodotto alcunché.
Facendo parte della Commissione bicamerale di controllo sugli enti di previdenza, che ha avviato da qualche mese un'indagine conoscitiva in proposito, ho potuto constatare con mano il livello di disarticolazione all'interno del Governo in ordine alla coerenza di un progetto che non è mai venuto fuori in questi sei mesi. La Commissione bicamerale si è preoccupata di cercare di organizzare un minimo di coordinamento in una discussione che si è conclusa pochi giorni fa, ma che non ha ancora prodotto nulla di concreto.
Il processo di unificazione è complicato e difficile. È vero, sinergie negli ultimi decenni hanno portato grandi benefici, ma si tratta di sinergie che, per l'appunto, si sono sviluppate negli ultimi decenni. Che motivo c'era di inserire nella legge finanziaria una norma che dava al Governo sei mesi di tempo per articolare, attraverso un processo di delegificazione o di legificazione positiva, una riforma che non è avvenuta? Si è trattato, chiaramente, del classico effetto annunzio, sul quale siamo ormai abituati a vedere svilupparsi l'azione di Governo, così come un classico effetto annunzio è stato quello di inserire questo progetto nell'ambito dei famosi dodici punti che hanno consentito a Prodi di salvare la faccia e la poltrona nell'ultima crisi di Governo. In realtà non avete idea di come si debba procedere per arrivare ad un risultato che tutti vogliamo. Avete, inoltre, esposto i vostri Ministri a figure non proprio brillanti ed essi non hanno saputo esprimere una sola linea di comune accordo.
Ancora oggi lei, signor sottosegretario, in questa sede parla di unico soggetto gestore, mentre tutti gli studiosi e, in generale, tutti coloro che si stanno occupando del problema - professori universitari, tecnici ed esponenti degli enti di previdenza - concordano nel ritenere impossibile arrivare ad un unico ente gestore, se prima non si procede ad un chiarimento sulla necessaria separatezza dell'assicurazione obbligatoria, ossia della parte assistenziale che tutela la sicurezza dei lavoratori, da quella più specificamente previdenziale.
È impossibile che ancora oggi, nonostante i passi in avanti compiuti dalla Commissione bicamerale di controllo, si affermi che l'obiettivo è quello dell'unico ente gestore: tutti hanno ritenuto che questo sia un obiettivo impraticabile e impossibile per i problemi colossali che il suo raggiungimento porrebbe. Dunque, i vostri tecnici e collaboratori dovrebbero essere impiegati per lavorare su un progetto più concreto e su un piano industriale che, nonostante sia stato annunciato con buoni propositi dal Ministro Nicolais nell'audizione dinanzi alla Commissione bicamerale, ancora oggi manca, considerato che non si è prodotto nemmeno uno straccio di documento.
Signor sottosegretario e signori del Governo, occorre un piano industriale chiaro e che qualcuno si adoperi per mettere nero su bianco quale deve essere il percorso che può portare alla semplificazione e alla riorganizzazione del sistema. Occorre, altresì, che qualcuno si confronti con le parti sociali, la politica, gli imprenditori e con gli stessi soggetti che in questo momento gestiscono gli enti, per mettere nero su bianco un progetto di riforma.
Nella Commissione bicamerale abbiamo anche introdotto il dibattito sulla possibile attuazione, nell'immediato, di alcune sinergie - come si usa dire - che potrebbero fare da battistrada ad un processo di unificazione. Mi riferisco, ad esempio, a sinergie quali l'unificazione deiPag. 28servizi legali, l'unificazione dei servizi ispettivi, la riorganizzazione del settore medico di prevenzione dei diversi enti. Su questa base la Commissione ha richiesto dei pareri, ma dall'altra parte ha trovato un'assoluta impreparazione.
Ci faremo carico, in sede di Commissione bicamerale, di definire un indirizzo. Tuttavia, signori del Governo e signor sottosegretario, non possiamo ancora immaginare tale progetto di riforma se non mettiamo per iscritto un percorso da avviare, uno start up iniziale, come l'ha definito ieri un funzionario della Ragioneria generale dello Stato che ha condiviso la necessità di creare economie a medio termine. Certamente non si può parlare di economie a breve termine, perché, ammesso che si vogliano unificare servizi e uffici, anche da un punto di vista logistico, è impossibile che con un colpo di bacchetta magica si possano creare economie. Anzi, forse nell'immediato sarebbero maggiori le diseconomie rispetto alle economie, ma, ragionevolmente, e in base al buonsenso che deriva dall'esperienza di burocrate di alto livello, il funzionario ha riconosciuto comunque la necessità di avviare o almeno di mettere su carta un piano industriale.
È ciò che si chiede al Governo. Se il Governo non è in grado di farlo, ben vengano i tavoli tecnici che si sono aperti in questi giorni all'università La Sapienza di Roma, dove volenterosi professori universitari ed esperti in materia previdenziale si stanno interrogando e si stanno confrontando per offrire un contributo meritorio al Governo, al Parlamento e al Paese, su un'ipotesi concreta di riorganizzazione efficace degli enti di previdenza. Ben vengano, dunque, questi tavoli, ai quali possono partecipare tutti coloro che, politici o non politici, di Governo o di opposizione, abbiano un'esperienza tecnica nel settore e intendano metterla a disposizione di tale iniziativa.
Signor sottosegretario, prendiamo atto anche del fatto che il Ministro Santagata, per suo tramite, smentisce di aver affermato, in occasione di un convegno universitario - perché questa è la questione che ha generato l'interpellanza - che era pronto un provvedimento amministrativo di riorganizzazione degli enti, da emanare addirittura entro il 30 giugno. Prendiamo atto che si è trattato di una gaffe, di un incidente dovuto probabilmente alla fretta e alla necessità di tener fede ad un impegno che avete assunto con la vostra stessa maggioranza e con il Paese quando, con i famosi dodici punti per salvare il Governo Prodi, avete tentato di rilanciarne l'azione.
L'insoddisfazione, ovviamente, è totale: l'impegno dell'opposizione, comunque, sarà quello di controllare questo percorso, che speriamo si possa avviare. Si tratta, infatti, di un percorso volto a garantire l'interesse del Paese, ma il Governo non deve ricadere in contraddizioni ed inefficienze che danneggerebbero molto un'ipotesi che da più parti, invece, è avvertita come necessaria per il Paese.
Tale processo di riforma e riordino degli enti previdenziali, ripeto, non può portare ad un'unificazione tout court del grande mare della previdenza italiana e deve presupporre un impegno di tutta la classe politica: siamo pronti ad offrirlo e lo faremo, oltre che nelle sedi istituzionali competenti - qual è, appunto, la Commissione bicamerale - anche in Assemblea, ove, però, ci sia fornita almeno una traccia sulla quale lavorare.
(Iniziative per evitare l'istituzione del profilo professionale dell'odontotecnico - n. 2-00653)
PRESIDENTE. L'onorevole Marinello ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00653 concernente iniziative per evitare l'istituzione del profilo professionale dell'odontotecnico (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, le motivazioni sono ampiamente espresse nell'interpellanza: mi riservo, pertanto, di intervenire in sede di replica.
Pag. 29PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Gian Paolo Patta, ha facoltà di rispondere.
GIAN PAOLO PATTA, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, in merito a quanto rappresentato dagli onorevoli interpellanti, ritengo opportuno fornire alcune notizie sull'iter finora svolto circa la possibile individuazione dell'odontotecnico come professione sanitaria.
L'entrata in vigore del decreto legislativo n. 502 del 1992 ha prodotto profondi cambiamenti nel settore delle professioni sanitarie, in un'ottica di armonizzazione con la normativa europea. L'obiettivo del legislatore è stato quello di disciplinare compiutamente le singole professioni e di accrescere il livello della formazione professionale, prevedendo non più corsi regionali, ma piuttosto corsi universitari, secondo una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale ed un modello formativo che comprende l'insegnamento teorico e un apprendistato pratico, da svolgersi presso le strutture del Servizio sanitario nazionale. Sono stati definiti, inoltre, ulteriori livelli di specializzazione: lauree specialistiche e master di primo e di secondo livello. Il Ministero della salute, pertanto, aveva individuato con propri decreti ventidue professioni sanitarie, per le quali, di concerto con i competenti soggetti istituzionali, venivano attivati i relativi corsi di laurea.
Nell'ambito di tale riordino, questa Amministrazione aveva previsto di ricomprendere tra le professioni sanitarie anche l'ottico e l'odontotecnico - già arti ausiliarie delle professioni sanitarie - predisponendo, nel 2001, gli schemi di regolamento miranti a disciplinare le suddette nuove figure. Nel corso dell'attività istruttoria è stata più volte interpellata, al riguardo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, la quale, relativamente allo schema di regolamento dell'odontotecnico, ha formulato alcune osservazioni, recepite in buona parte nel testo successivamente trasmesso al Consiglio di Stato, per l'acquisizione del necessario parere.
Al riguardo, voglio precisare che il testo approvato dal Consiglio superiore di sanità è sostanzialmente analogo a quello inviato a suo tempo all'organo di giustizia amministrativa. L'iter procedurale avviato è stato interrotto non per questioni di merito, concernenti le mansioni e il ruolo che l'odontotecnico avrebbe dovuto svolgere, ma in seguito all'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha modificato il riparto delle competenze normative tra Stato e regioni. Per tali sopravvenute modifiche, infatti, l'individuazione di nuove professioni sanitarie non può più essere effettuata da parte dello Stato con atto avente natura regolamentare, come il decreto ministeriale, ma necessita di una norma di grado primario, che, avendo individuato i principi fondamentali della materia, consenta alle regioni l'emanazione della disciplina precettiva e di dettaglio. Conseguentemente, il Ministero ha dato avvio alla predisposizione di una normativa mirata a disciplinare il settore, conformemente alle nuove norme costituzionali.
L'entrata in vigore della legge 1 febbraio 2006, n. 43, che fissa i principi fondamentali in materia di professioni sanitarie e, in particolare, l'articolo 5, che disciplina la procedura per l'individuazione e la normazione di nuove professione in ambito sanitario, ha posto fine a una situazione di incertezza normativa.
Desidero ribadire che la determinazione di avviare il procedimento per l'individuazione della professione sanitaria di odontotecnico non è, come sostenuto nell'atto parlamentare, un automatismo legato alla legge 26 febbraio 1999, n. 42, ma costituisce una scelta di questa amministrazione, che ha tenuto conto delle caratteristiche specifiche di una professione la cui attività operativa si inserisce certamente nel contesto salute.
Risulta inesatto, inoltre, quanto affermato nell'interpellanza in merito ad una possibile individuazione della professione sanitaria di odontotecnico con decreto ministeriale. Nel rispetto dell'articolo 5 della legge n. 43 del 2006, tale individuazione avverrà al termine di un prescritto iter,Pag. 30mediante accordo sancito in sede di Conferenza Stato-regioni, recepito con decreto del Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei ministri. Come già precisato, questa procedura è stata introdotta dal legislatore allo scopo di rispettare il riparto di competenze tra Stato e regioni ed è conforme ai rilievi formulati dal Consiglio di Stato nella pronuncia alla quale fanno riferimento gli onorevoli interpellanti.
Va segnalato, inoltre, che le attività attualmente svolte dall'odontotecnico, pur afferenti all'area della tutela della salute, non corrispondono a quelle svolte da altre professioni sanitarie. Gli stessi operano nel campo delle arti ausiliarie delle professioni sanitarie con metodiche operative, che li pongono in stretto contatto con gli odontoiatri, senza tuttavia indebita invasione di campo, che, peraltro, laddove si verificasse, sarebbe comunque perseguibile per legge, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dell'odontotecnico. Pertanto, poiché le suddette metodiche non vengono modificate dall'iter normativo avviato, non è ipotizzabile alcuna parcellizzazione o invasione di competenze proprie di altre professioni sanitarie.
Quanto al rilievo secondo cui l'individuazione di questa professione sarebbe in contrasto con l'articolo 5 della legge n. 43 del 2006, laddove lo stesso prescrive che le nuove professioni sanitarie debbono essere individuate in considerazione di fabbisogni connessi agli obiettivi di salute previsti dal piano sanitario nazionale o dai piani sanitari regionali, che non trovano rispondenza in professioni già riconosciute, si rappresenta che l'iter avviato prevede il coinvolgimento di una commissione istituita presso il Consiglio superiore di sanità per un esame scientifico delle funzioni delle nuove professioni sanitarie, allo scopo anche di evitare eventuali frazionamenti e sovrapposizioni con le professioni sanitarie già esistenti.
Inoltre, va ricordato che fino al 2001 il Consiglio superiore di sanità si era espresso positivamente sullo schema di decreto ministeriale, che riconosceva quella di odontotecnico come professione sanitaria, ravvisando pertanto la relativa rispondenza a un effettivo fabbisogno del sistema sanitario nazionale.
In merito alle perplessità espresse circa la possibilità che, dopo l'individuazione delle nuove figure sanitarie, i soggetti in possesso dei vecchi titoli professionali verrebbero equiparati ex lege ai laureati, si segnala che gli schemi di accordo all'esame del Consiglio superiore di sanità stabiliscono che i suddetti soggetti potranno svolgere attività professionale, secondo le norme vigenti prima dell'entrata in vigore degli accordi stessi.
Del resto, secondo quanto previsto dalla normativa del 2006, l'equipollenza paventata non potrebbe realizzarsi se non con legge, mentre l'iter normativo avviato si concluderà con un decreto del Presidente della Repubblica. Va precisato anche che la formazione universitaria, che gli odontotecnici dovranno avere qualora venissero riconosciuti come professione sanitaria, corrisponde non ad una scelta discrezionale del Ministero della salute, ma alle disposizioni del decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n. 502. In ogni caso, la formazione universitaria non può, di per sé, essere considerata come fonte di indebite interferenze funzionali tra l'odontoiatra e l'odontotecnico, in considerazione delle diversità fra le due figure professionali, degli insegnamenti svolti, delle mansioni e del tipo di formazione.
Non va sottovalutato, peraltro, che una formazione di livello universitario garantisce maggiori conoscenze professionali, a vantaggio certamente della sicurezza dei cittadini. Inoltre, una disciplina del settore delle professioni sanitarie che possa definire con precisione le caratteristiche e i contesti operativi degli operatori, risponde tra l'altro alla necessità di reprimere efficacemente il fenomeno dell'abusivismo. È peraltro ragionevole supporre che la regolamentazione della figura dell'odontotecnico avrà positivi riscontri in tal senso.
Da ultimo, si rappresenta che la direttiva n. 93/42/CE - citata nell'atto parlamentare - si riferisce non alle professioni dell'area sanitaria, ma ai dispositivi medici, stabilendo le caratteristiche e i requisitiPag. 31necessari per l'immissione in commercio. Va evidenziato che, poiché gli odontotecnici già adesso realizzano e mettono in commercio dispositivi medici conformi alla normativa comunitaria - analogamente a quanto avviene per il tecnico ortopedico, che è un professionista sanitario - nell'ipotesi in cui anche l'odontotecnico diventi una professione sanitaria non vi sarebbe alcuna violazione della direttiva citata.
PRESIDENTE. L'onorevole Marinello ha facoltà di replicare.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, non mi reputo soddisfatto, addirittura potrei aggiungere che mi sento assolutamente inquieto a causa della risposta testé data dal rappresentante del Ministero della salute. Essa parte da un assunto a nostro avviso assolutamente sbagliato, vale a dire quello dell'automatica assimilazione di un'arte ausiliaria delle professioni sanitarie ad una professione sanitaria propriamente detta. Si tratta di un assunto, lo ripeto, completamente sbagliato e da parte nostra non condivisibile.
Siamo fermamente convinti che l'iter procedurale previsto all'articolo 5 della legge 1 febbraio 2006, n. 43, debba essere rigorosamente seguito. Siamo, inoltre, preoccupati perché, allo stato attuale, presso il Consiglio superiore della sanità, ma soprattutto da parte dell'attuale responsabile del Dicastero della salute, non vi è stato adeguato ascolto delle ragioni addotte dai rappresentanti delle professioni sanitarie interessate. In particolare, non sono state ascoltate appieno le ragioni della federazione dell'ordine dei medici, cioè la FNOMCeO, che - lo ricordo - non è soltanto l'unico soggetto ad avere titolarità giuridica nella rappresentanza dei medici e degli odontoiatri, ma è anche ente ausiliario dello Stato.
Non c'è stata assolutamente la volontà di ascoltare le più importanti società scientifiche; non è stato dato il necessario ascolto, ad esempio, al comitato intersocietario di coordinamento delle associazioni odontostomatologiche, che raccoglie tutte le società scientifiche oggi operanti in Italia ed accreditate a livello europeo e internazionale. Non c'è stata alcuna volontà di ascoltare - neanche sotto forma di audizioni in forma epistolare - i rappresentanti dell'Accademia italiana di odontoiatria protesica, che tra l'altro è quell'organo scientifico che riunisce in un unico consesso sia laureati, sia cultori della materia, sia odontotecnici.
Siamo fondamentalmente convinti che la direttiva n. 93/42/CE, sebbene non riguardi specificatamente la figura degli odontotecnici, nel definire in modo assolutamente esplicito l'odontotecnico come fabbricante addetto alla produzione di manufatti individuali, appartenente quindi alle attività riconosciute dall'artigianato, indichi la strada maestra da seguire la quale, però, fino ad oggi non è stata mai assolutamente seguita!
La volontà dell'attuale guida politica del Ministero della salute è quella di andare avanti su questa strada ignorando le ragioni portate da decine di migliaia di professionisti - ricordo che attualmente l'assistenza odontoiatrica è garantita da 52 mila medici e odontoiatri regolarmente esercenti la professione e iscritti all'ordine dei medici - e trascurando l'esigenza prioritaria della tutela della salute dei cittadini.
Siamo fermamente convinti che i profili e le figure del medico, del professionista che ha una formazione universitaria medica o biologica, siano una realtà ben diversa dalla figura professionale dell'odontotecnico, che assolutamente rispettiamo e intendiamo rispettare. Si tratta di competenze assolutamente diverse e, come tali, tra loro non possono e non debbono esistere alcune commistioni.
Siamo persuasi che ci debba essere collaborazione tra le diverse figure nella progettazione e nella individuazione dell'insieme delle metodiche, ma siamo anche convinti che la materiale individuazione del migliore presidio odontotecnico che si dovrà inserire sull'essere umano debba rimanere di competenza dei medici e degli odontoiatri. Allo stesso modo, siamo convintiPag. 32che la verifica di funzionalità dell'esecuzione debba continuare a rimanere unicamente nella sfera di competenza del medico e dell'odontoiatra. Noi paventiamo un rischio non aleatorio ma reale, che trae origine anche dalla risposta data dal sottosegretario Patta, che vi sia la possibilità che si possa e si voglia arrivare ad una commistione fra figure professionali. Una deriva di questo genere rappresenterebbe un serio e reale pericolo in un Paese, in cui la piaga dell'esercizio abusivo della professione, della confusione e delle cattive pratiche in materia di sanità è sotto gli occhi di tutti (è sufficiente considerare in questo campo i dati statistici legati a fatti giudiziari penalmente rilevanti).
Siamo altresì convinti che l'università abbia un compito ben preciso, che è quello di dedicarsi prevalentemente all'alta formazione universitaria; da alcuni anni, però, assistiamo ad una sorta di tentativo di amplificare a dismisura il numero dei corsi di laurea triennale.
Tali corsi, spesso, non trovano alcuna rispondenza con le reali necessità del mondo del lavoro, dell'utenza e, nello specifico, dato che parliamo di sanità, con l'unico vero interesse: quello della tutela della salute pubblica! Probabilmente, tali esigenze dell'università italiana nascono da altri interessi, come quello della proliferazione delle cattedre universitarie, ma questo, evidentemente, è un aspetto che non deve minimamente preoccupare la politica, in quanto si tratta, semmai, di un fenomeno del tutto patologico!
Siamo convinti che il Ministero della salute debba ascoltare le voci della federazione dell'ordine dei medici e degli odontoiatri, nonché delle società scientifiche, le quali, da decenni, si occupano della tutela della salute pubblica in un settore così delicato che è stato, di fatto, trascurato dalla sanità pubblica e, molto spesso, relegato e demandato all'attività solo ed esclusivamente privata.
Siamo persuasi che tali voci debbano essere ascoltate, perché la tutela della salute pubblica deve essere, sicuramente, al centro dell'attenzione, non soltanto del Ministero della salute, ma anche del Parlamento italiano. In ogni caso, prendiamo atto della risposta del sottosegretario, che non ci convince, che non condividiamo affatto e che, tra l'altro, non troviamo assolutamente rispondente ai quesiti da noi posti, alcuni dei quali sono stati, francamente, elusi. In particolare, siamo convinti che alcune delle questioni già poste, nel passato, dal Consiglio di Stato, torneranno oggi ad essere argomento di contendere.
Da parte nostra, continueremo la nostra azione, attenta e vigile, nel seguire l'intero iter; proporremo tutti quegli atti parlamentari e metteremo in campo tutte quelle azioni consentite dal nostro ordinamento, al fine di avviare una netta inversione di tendenza.
Non vorremmo che la decisione assunta recentemente - credo di ieri - del Consiglio superiore della sanità sia da ascrivere a quella sorta di «impazzimento» generale del Paese, molto spesso denunciato da tanti arguti pensatori, anche della parte politica che sostiene questo Governo, nonché da esponenti del Governo stesso, al punto che addirittura - come sappiamo tutti - ieri un «dottor Sottile» ha dovuto ricorrere a grossolane scemenze!
(Rinvio interpellanza urgente Compagnon n. 2-00656)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Compagnon n. 2-00656, concernente opere infrastrutturali da realizzare nella regione Friuli Venezia Giulia, è rinviato ad altra seduta.
(Finanziamenti del progetto Mose per la salvaguardia di Venezia - n. 2-00660)
PRESIDENTE. L'onorevole Leone ha facoltà di illustrare l'interpellanza Elio Vito n. 2-00660, concernente finanziamenti del progetto Mose per la salvaguardia di Venezia (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3), di cui è cofirmatario.
Pag. 33
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, l'interpellanza urgente Elio Vito n. 2-00660 - presentata dai vertici del gruppo di Forza Italia, in particolare dai deputati veneti e da quelli che fanno parte delle Commissioni ambiente e bilancio - trae spunto da una notizia che, se confermata, costituirebbe il triste epilogo di una tra le più importanti opere che nel nostro Paese potrebbe essere portata a termine nei prossimi anni.
Con tale interpellanza urgente si vuole mettere nuovamente in evidenza come il Governo Prodi e questa - per la verità - incerta maggioranza che lo sostiene, siano, in maniera ormai più che evidente, ostili nei confronti della realizzazione di qualsiasi opera pubblica di rilevante interesse nazionale. È, infatti, evidente il prevalere della componente dei contrari alle grandi infrastrutture, all'interno di una maggioranza costituita dalla diversità delle anime: la sinistra massimalista comunista e, soprattutto, i Verdi sono tout court contrari alla realizzazione di qualsiasi opera di modernizzazione del Paese, sia sul versante dei trasporti e della viabilità, sia su quello delle infrastrutture di preminente interesse nazionale, come il Mose di Venezia, nonché contrari alla realizzazione di tante altre opere pubbliche.
Di recente, è emersa la volontà da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, nonché dello stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di ridurre il finanziamento già stanziato, pari a 550 milioni di euro, per lo sviluppo dei lavori di realizzazione del sistema del Mose a Venezia, in netta contraddizione rispetto alle dichiarazioni rassicuranti provenienti dagli stessi rappresentanti di entrambi i dicasteri, circa il mantenimento delle cifre inizialmente previste per il completamento di tale indispensabile opera pubblica.
È doveroso ricordare come, durante la precedente legislatura, il Governo Berlusconi ha varato un programma imponente per quanto riguarda le infrastrutture, puntando l'attenzione sul miglioramento del corridoio n. 5 (che comprende la linea Torino-Lione), il nuovo traforo del Brennero, il ponte sullo stretto di Messina e per l'appunto, il Mose di Venezia.
Proprio per la realizzazione di quest'ultima opera, per far partire i cantieri del Mose, il precedente Governo aveva disposto il finanziamento urgente a favore di Venezia e del suo hinterland di una somma di circa 4 miliardi e 300 milioni di euro, dopo decenni di discussione e di studio, unitamente alla previsione della realizzazione di altri interventi infrastrutturali, quali la tangenziale, l'alta velocità, lo stesso corridoio n. 5 che i Verdi, invece, vorrebbero bloccare non soltanto in Val di Susa ma anche a Mestre.
Se venisse confermata l'intenzione del Governo di stornare 550 milioni di euro dalla somma necessaria per la realizzazione delle infrastrutture funzionali ed indispensabili per il progetto del Mose, si tratterebbe di un colpo durissimo per il completamento dell'opera i cui lavori sono già iniziati nel 2003. Infatti, si rischierebbe una battuta di arresto irreversibile per una serie di lavori già effettuati, che si trovano in acqua, non potrebbero essere più completati e finirebbero per marcire.
È anche importante ricordare come lo stesso Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Di Pietro, solo pochi mesi fa, abbia fornito rassicurazioni circa l'entità complessiva dei finanziamenti, affermando che, qualora si fossero arrestati i lavori o ridotti gli stanziamenti vi sarebbe stato un rischio gravissimo e il costo complessivo sarebbe certamente aumentato, addirittura in misura considerevole.
Lo stesso ministro Di Pietro ha auspicato il completamento dei lavori, così come previsto nel programma di realizzazione di questi ultimi e dei relativi stanziamenti, proprio per evitare un aumento dei costi dei lavori stessi, se non per evitare che il progetto potesse addirittura andare a monte.
Vale la pena di ribadire che il Mose rappresenta un grande sistema modernissimo di dighe mobili che servirà a salvare Venezia dalle acque alte e che, proprio gli ambientalisti, avevano lanciato un grido diPag. 34allarme sull'imminente innalzamento delle acque nel mondo, comprese quelle di Venezia.
È sotto gli occhi di tutti la contraddizione tra le parole e i fatti da parte di coloro che fanno capo alla cosiddetta ala ambientalista del Governo. Ed è proprio a causa di tale sinistra antagonista e massimalista e del partito dei Verdi (rappresentati da un Ministro dell'ambiente fiero della propria visione «paleolitica» e fortemente ideologizzata per quanto riguarda le politiche ambientali) i quali, insieme, formano il «partito del no» che si pone sotto gli occhi di tutti come la responsabilità del ritardo dell'Italia dal punto di vista infrastrutturale rispetto al resto d'Europa rischi di diventare incolmabile.
Non è una polemica politica; è la constatazione di quanto accade in questa maggioranza relativamente al comparto del quale stiamo discutendo. Chiediamo al riguardo contezza al Governo di quanto testé abbiamo chiesto di sapere, vale a dire se corrisponda al vero la riduzione dei finanziamenti e, ove mai ciò fosse, come sarebbe possibile arginare il depauperamento dei lavori già realizzati. Inoltre, vorremmo sapere come sia possibile far fronte a tutte le conseguenze di natura, non solo tecnica ma anche legale, che scaturirebbero da inadempimenti riconducibili alla volontà non delle imprese, né tanto meno del committente, ma dello Stato che non provvede ad erogare i contributi nei tempi e secondo la «tabella di marcia» stabilita non solo dal precedente Governo, ma anche dall'attuale: ciò determinerebbe conseguenze - lo ripeto - di natura non solo tecnica ma anche legale che potrebbero creare qualche «piccolo problema».
PRESIDENTE. Il Viceministro delle infrastrutture, Angelo Capodicasa, ha facoltà di rispondere.
ANGELO CAPODICASA, Viceministro delle infrastrutture. Signor Presidente, preliminarmente credo sia indispensabile confermare, come ha già fatto il Governo e come il Ministro Di Pietro ha più volte ribadito, l'indifferibilità e l'urgenza di portare a compimento nei tempi previsti le opere relative al sistema di paratie mobili per la salvaguardia di Venezia definito Mose. Tant'è che anche da ultimo, con l'allegato infrastrutture strategiche al Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2008-2012, datato 28 giugno 2007 (quindi, recentemente approvato), si è previsto il completamento del finanziamento di alcune opere strategiche e prioritarie, tra le quali il sistema Mose, mediante le prossime leggi finanziarie relative al quinquennio 2008-2012, indicando per tali opere la previsione annuale di spesa, sebbene non il relativo piano delle assegnazioni.
Per quanto concerne quindi gli aspetti finanziari dell'opera oggetto dell'interpellanza, va chiarito che la legge n. 296 del 2006 - la legge finanziaria per il 2007 - all'articolo 1, comma 977, autorizza la concessione di contributi pluriennali per la prosecuzione della realizzazione delle opere strategiche di preminente interesse nazionale e viene indicato l'importo residuo di contributi pluriennali ancora disponibile, nel triennio 2007-2009, suscettibile di attivare un volume di investimento di circa 1,5 milioni di euro, non specificando, tuttavia, l'assegnazione di tali somme che spetterebbe sempre al CIPE.
Il Ministro delle infrastrutture ha ultimamente ribadito la necessità di reperire ulteriori fondi per il proseguimento dei lavori in corso, fondi che non possono essere reperiti tra quelli previsti dal surrichiamato comma 977 dell'articolo unico della legge finanziaria ma cercati altrove attraverso altri e diversi strumenti.
Per questo motivo, il Ministro delle infrastrutture ha più volte proceduto ad avanzare richiesta al competente Ministero dell'economia e delle finanze per un'ulteriore assegnazione al fine di consentire la prosecuzione dei lavori del Mose.
In particolare, tale somma, consentirebbe di far fronte ad uno scenario di breve periodo, per fronteggiare gli impegni produttivi indispensabili nel 2007 e nel 2008 e assicurerebbe una curva di produzione sostanzialmente coerente con il cronoprogrammaPag. 35del contratto a «prezzo chiuso» (atto 11 maggio 2005, repertoriato con il numero 8067, aggiuntivo alla convenzione generale repertoriata con il numero 7191 del 1991).
La mancata assegnazione della nuova tranche di finanziamento costituirebbe di fatto una interruzione del piano dei finanziamenti preordinato alla realizzazione dei lavori secondo il cronoprogramma contrattualizzato.
Allo stato l'avanzamento dei lavori è tale per cui l'eventuale rinvio di nuovi stralci esecutivi determinerebbe l'esigenza di provvedere alla realizzazione di opere provvisionali necessarie ad evitare deterioramenti e danni ai lavori già eseguiti, a causa della loro permanenza in ambiente marino e dell'azione erosiva delle correnti, con maggiori oneri per l'amministrazione concedente. Inoltre, la mancata prosecuzione delle opere potrebbe altresì esporre l'amministrazione a richieste indennitarie e-o risarcitorie di danni da parte del concessionario.
L'assegnazione urgente della nuova tranche di finanziamento è da considerarsi, pertanto, un obiettivo strategico-operativo essenziale per la prosecuzione del sistema Mose, opera individuata quale indispensabile per l'effettiva salvaguardia fisica di Venezia e della sua laguna.
La sua conclusione, secondo il cronoprogramma contrattualizzato, eviterà all'amministrazione di dover sostenere maggiori costi rispetto al «prezzo chiuso» di cui all'atto repertoriato n. 8067 del 2005, aggiuntivo alla convenzione generale n. 7191 del 1991.
PRESIDENTE. L'onorevole Leone ha facoltà di replicare.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, sono soddisfatto del fatto che il Viceministro Capodicasa, evidentemente, condivida appieno tutte le preoccupazioni riportate nell'interpellanza che abbiamo sottoposto al Governo.
Il fatto che un atto di sindacato ispettivo sia indirizzato ad un ministro anziché ad un altro corrisponde ad una valutazione fatta in base all'argomento riguardato che fa ritenere che la risposta debba essere data dal ministro competente ratione materiae.
Sta di fatto che non abbiamo avuto risposta: abbiamo avuto una sorta di solidarietà da parte del Ministero delle infrastrutture, gradita, perché evidentemente il Ministro o chi lo sta rappresentando in questo momento condivide il fatto che si tratta di un'opera che non può essere interrotta, che deve essere finanziata e portata a compimento, per evitare tutto quello che abbiamo esposto nell'interpellanza e che lei, signor Viceministro, ha ribadito.
Ma lei non ci ha detto se le preoccupazioni riportate da notizie di stampa circa il taglio delle risorse siano fondate, se - come si dice in Veneto - gli sghei ci sono o non ci sono, se sono stati tolti o meno. Non ha risposto a questo!
Evidentemente, questa è la riprova del fatto che l'attuale Governo vada a compartimenti stagni. Per questo motivo, mi dichiaro insoddisfatto. Forse, avrebbe dovuto rispondere il Ministro dell'economia e delle finanze; forse avrebbe dovuto essere il Ministero delle infrastrutture ad interpellare il Ministro dell'economia per acquisire la risposta alla domanda posta con l'interpellanza rappresentando al dicastero economico come, appunto, fosse nel relativo potere fornirla o meno; forse, dunque, il suo Ministero ha omesso di interpellare il detentore del portafoglio, ma non possiamo pensare che lei non abbia «girato» la domanda al Ministro dell'economia solo e soltanto perché non vi parlate. Evidentemente, invece, non eravate in grado, forse, di avere la risposta, che non solo era gradita a noi, ma, da quello che ha detto, era gradita anche a voi. È questo quanto ci preoccupa! Vuol dire, evidentemente, che sarà premura del gruppo che rappresento e dei colleghi del Veneto, che hanno preoccupazioni molto forti per questo atteggiamento del Governo - evidentemente non del suo Ministero, ma di chi «dispone» -, inoltrare, forse, qualche altro atto di sindacato ispettivo a chi può venire a darci contezza.
Pag. 36Sta di fatto che siamo agli sgoccioli dell'approvazione del DPEF e si sta formando in questi giorni il megadecreto che costituisce peraltro il corpo della manovra finanziaria, in maniera molto, ma molto «capodica» e autoritaria, e forse non solo i parlamentari, ma anche i ministeri non potranno metterci non solo le mani, ma neanche il naso. È questo che bisogna evitare!
Se il suo dicastero ha a cuore, così come ha rappresentato prima, il fatto che questa vicenda venga portata a conclusione, non basta una risposta di solidarietà. Ci vuole un'azione molto più energica, di natura politica, ed è per questo che non siamo soddisfatti (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
(Stato dei lavori relativi al progetto di realizzazione della stazione Porta di Afragola - n. 2-00643)
PRESIDENTE. L'onorevole Nespoli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00643, concernente lo stato dei lavori relativi al progetto di realizzazione della stazione Porta di Afragola (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
VINCENZO NESPOLI. Signor Presidente, siamo addivenuti alla convinzione di presentare l'interpellanza urgente in esame perché siamo fortemente preoccupati per il modo in cui si stanno svolgendo i lavori per la definizione del nodo dell'alta velocità a Napoli, non solo per quel che riguarda la stazione di Porta Afragola, ma anche per la linea di penetrazione su Napoli e per tutte le opere di completamento che erano previste dall'accordo di programma di vecchia data; esse dovevano soprattutto rispettare dei tempi e delle modalità che erano interne a una procedura avviata da molto tempo e che ha visto protagonisti i comuni interessati all'attraversamento dell'alta velocità, la provincia, la regione, i vari Governi che si sono succeduti in questi decenni, e ovviamente Italferr, Ferrovie dello Stato e TAV.
Siamo preoccupati perché innanzitutto dobbiamo - in questa sede, ma lo abbiamo fatto già con altri interventi ispettivi - denunciare una sorta di atteggiamento razzista, da parte del Governo e della TAV, nei confronti del Mezzogiorno. Infatti, per alcune problematiche inerenti ai lavori della TAV in alcune zone della nazione (Bologna e Roma) vengono riconosciuti ai cittadini costretti a sopportare i disagi dei cantieri della TAV alcuni indennizzi; ciò non è invece previsto per la penetrazione a Napoli città, nella zona di Ponticelli e San Giovanni a Teduccio, e per l'attraversamento del rione San Marco ad Afragola. Si è verificato nei fatti che tali attraversamenti a Napoli e in provincia di Napoli sono molto più dannosi degli altri previsti a Roma e a Bologna, ma non hanno lo stesso trattamento da parte della TAV, delle Ferrovie e delle regioni interessate. Sicché, a Roma e a Bologna vengono riconosciuti alle popolazioni interessate dai lavori indennizzi e indennità maggiorati in rapporto al disagio che sono state costrette a subire, ad esempio per quanto riguarda le polveri, i disagi che derivano dai cantieri e dall'attraversamento dei mezzi meccanici presenti all'interno delle aree interessate; invece, a Napoli (e in particolare nel rione San Marco, che è stato sventrato ad Afragola dall'attraversamento dell'alta velocità), tutte queste misure vengono negate nonostante le richieste dei comitati che si sono costituiti, nonostante anche la battaglia che nel quartiere Poggioreale sta portando avanti padre Salvatore Marseglia a favore dei cittadini che sono interessati da tale tipo di problematica.
Accanto a tale dato, vi sono poi una serie di atteggiamenti che le Ferrovie, Italferr e la TAV hanno assunto ultimamente, che riguardano ad esempio la preannunciata chiusura della sede sul territorio dell'osservatorio relativo all'alta velocità, che ha seguito in questi anni le problematiche di raccordo con le amministrazioni locali, con le popolazioni interessate. Vi è nei fatti la chiusura del nucleo della TAV e il trasferimento di tutto il personale all'interno di Italferr, ePag. 37non si riesce a capire quale ripartizione seguirà poi i lavori che si stanno svolgendo, se c'è una continuità o se questo smembramento, questa chiusura della divisione TAV, che una volta (è bene ricordarlo) era una società a parte, possa incidere sull'andamento dei lavori e soprattutto sul rispetto dei tempi.
Ma quanto più ci ha meravigliato è la notizia secondo la quale viene di fatto ritardata la consegna delle aree alla società aggiudicataria della gara per la costruzione della stazione dell'alta velocità, la stazione Porta Campania nel territorio di Afragola, perché ci sarebbero ritardi dovuti soprattutto a una verifica dei progetti sottesi alla realizzazione di queste opere.
Tali progetti avrebbero dovuto essere resi esecutivi con la realizzazione da parte del consorzio di imprese che è risultato vincitore della gara di aggiudicazione della realizzazione della stazione Porta, ma è emersa - nel confronto avviatosi fra tale ditta e il consorzio concessionario Italferr e TAV - una serie di limiti progettuali che comportano, fra l'altro, una serie di interventi diversi da quelli previsti nel progetto originariamente posto a base della gara effettuata. Si tratta di modifiche che delineano un quadro economico diverso, del quale non è dato capire se vi è capienza economica; né è dato capire se ciò determinerà, nei fatti, un ulteriore rallentamento nel timing di realizzazione della stazione in questione, nonché della definitiva costruzione della tratta Roma-Napoli che oggi è già in esercizio attraverso il cosiddetto «baffo di Gricignano».
Le perplessità così esposte mirano, in questo momento, ad illustrare l'interpellanza urgente da noi presentata: a seconda dell'esito della risposta del Governo, ci riserviamo - ovviamente - non solo di dichiarare la nostra posizione in merito, ma anche di aggiungere ulteriori elementi di preoccupazione che, si ritiene e ci si augura, saranno trattati nel corso di tale risposta.
PRESIDENTE. Il Viceministro delle infrastrutture, Angelo Capodicasa, ha facoltà di rispondere.
ANGELO CAPODICASA, Viceministro delle infrastrutture. Signor Presidente, con riferimento a quanto evidenziato nell'atto cui si risponde e all'illustrazione testé svolta dal suo primo firmatario, Ferrovie dello Stato ha comunicato quanto segue.
L'ATI Sacaim ha completato la consegna del progetto esecutivo della stazione Campania e relativa offerta economica in data 30 maggio 2007. Italferr ha in corso l'istruttoria del progetto, che si concluderà entro il 30 luglio. A tal fine, sono attualmente in corso i confronti con il progettista e l'appaltatore per analizzare la sussistenza delle motivazioni sulla base delle quali è stata presentata un'offerta economica che comporta un incremento rispetto al valore di aggiudicazione dell'appalto: solo alla fine del processo di verifica sarà possibile esprimersi in modo circostanziato circa presunte carenze del progetto a base di gara; comunque, ad oggi, non sono emerse carenze rilevanti di natura progettuale. L'incremento dei costi ad oggi consolidato, pari a circa 864 mila euro, è dovuto esclusivamente all'attività di indagine e scavi archeologici richiesti dalla soprintendenza di Napoli e Caserta: tale attività non era stata inserita nel progetto a base di gara, in quanto avrebbe dovuto essere svolta direttamente dalla soprintendenza, con oneri a carico della TAV. Dal momento che la stessa soprintendenza ha poi comunicato a TAV di non poter procedere all'esecuzione delle indagini in questione, le stesse sono state affidate all'ATI Sacaim.
L'invio di personale da Roma a Napoli, ovvero possibili modifiche alle strutture organizzative di Italferr non sono correlabili ad eventuali carenze progettuali. Peraltro, il personale viene spesso spostato a livello nazionale in considerazione delle necessità tecnico-organizzative legate alle specifiche commesse di investimento e, conseguentemente, alla professionalità e all'esperienza delle singole risorse. Il presidente di Italferr svolge le attività e lePag. 38verifiche che attengono per istituto al ruolo rivestito in ambito societario.
PRESIDENTE. L'onorevole Nespoli ha facoltà di replicare.
VINCENZO NESPOLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, la risposta alle questioni poste appare essere poco più che un telegramma: dunque, anche il modo con cui il Viceministro ha fornito i chiarimenti conferma i dubbi che abbiamo esplicitati con l'interpellanza urgente in esame.
Sembra peregrino affermare che i lavori di verifica archeologica erano stati affidati alla soprintendenza, poiché nell'ambito di tutte le opere in passato realizzate dalla TAV tali lavori sono stati svolti, sempre ed unicamente, da parte dei concessionari e si collocavano quindi all'interno del quadro economico previsto a carico di essi.
Mi riferisco, ovviamente, alla tratta senza i nodi: sto parlando del concessionario Iricav-uno, che contemplava, all'interno del quadro economico, anche le spese previste per le indagini di natura archeologica le quali, nei modi consentiti dalla legge, avrebbe poi eseguito lo stesso concessionario.
È chiaro che, in tutto il mondo, le gare vengono espletate dopo che è stata condotta l'indagine archeologica e che l'indagine archeologica non viene affidata successivamente. Avremmo potuto trovare, sotto il terreno o i terreni sui quali deve sorgere la stazione dell'alta velocità, una antica città romana. Che avremmo fatto allora? Non avremmo, forse, cambiato il tracciato o avremmo fatto altro? È chiaro, quindi, che i rilievi archeologici sono sempre preventivi alla realizzazione di qualsiasi opera. In verità, qualcuno si era dimenticato di indicarli ed è chiaro che il consorzio affidatario ha fatto notare che mancava tale tipo di indagini, le quali gli sono state commissionate, dal momento che, storicamente, la sovrintendenza non le esegue in maniera diretta.
Il secondo aspetto, che pure viene evidenziato da parte del Viceministro, riguarda il fatto che, mentre eravamo - e siamo - in attesa della consegna materiale del cantiere al consorzio concessionario che si è aggiudicato la gara (mentre, cioè, sta per consumarsi tale intervallo di tempo), è in corso una verifica sul progetto esecutivo, il quale, badate bene, era a base della gara che è già stata realizzata l'anno scorso. Nei fatti, già la circostanza in sé che si proceda ad una verifica progettuale significa che il progetto - considerato come progetto a base dell'asta poi realizzata - era manchevole di qualche elemento. Noi abbiamo individuato una serie di carenze ed indicato anche il costo presunto richiesto dalla ATI aggiudicataria, che fa lievitare notevolmente, di quasi 20 milioni di euro, i costi per la realizzazione della stazione dell'alta velocità.
Anche con riferimento agli spostamenti di personale, alla chiusura dell'osservatorio ed allo smembramento di fatto della ripartizione TAV all'interno delle Ferrovie, la risposta del Viceministro è sintetica, telegrafica ed irrispettosa del ruolo del Parlamento: il Viceministro si è limitato unicamente a dire che le Ferrovie tengono informato il Governo, come se il Viceministro fosse diventato il delegato postino, per conto delle Ferrovie, nel dare una risposta al Parlamento, senza assumersi neanche l'onere di verificare se tali informazioni sono veritiere. Il Governo è diventato, quindi, il portavoce delle Ferrovie: ne prendiamo atto, ma su questo dato svilupperemo poi una serie di considerazioni che, in qualche modo, anche da parte del Governo, vorremmo fossero tenute in considerazione.
Sono state presentate, quindi, richieste di variante, specificatamente da parte dell'impresa, per un valore di 21 milioni di euro. Ovviamente, è in corso un tavolo che sta valutando tali richieste. Anche dal punto di vista del progetto, l'ATI ha presentato una serie di modifiche, ora al vaglio di Italferr e dello studio Hadid, che ha vinto il progetto internazionale. Per quanto riguarda la stazione, invece, è stata effettuata una gara per la costruzione della stazione, mentre tutta la viabilità di supporto alla stazione, prevista dagli accordiPag. 39di programma e dagli accordi procedimentali approvati negli anni scorsi, non è stata finanziata. Ancora non sappiamo chi la deve finanziare, e le gare non sono state avviate. Vi sarebbe una grande stazione esterna al sistema dell'alta velocità (nelle previsioni o nei programmi del Governo si dovrebbe realizzare anche la tratta Napoli-Bari, con una ulteriore penetrazione dell'alta velocità oltre alla linea a nord del Vesuvio fino a Battipaglia e a Reggio Calabria, e quindi una stazione esterna al sistema dell'alta velocità è obbligata), ma tale stazione non è collegata al sistema viario, perché non si è ancora definito chi finanzia l'ingresso dell'asse mediano e non è previsto un ingresso della «bretella» dell'autostrada, di competenza ANAS, che collega i caselli di uscita della A1 con il sistema tangenziale di Napoli.
Sono opere indispensabili per rendere fruibile, anche al trasporto su gomma, il collegamento con la stazione Porta e che nessuno si preoccupa di finanziare. Ma al di là di tale dato, i vincoli che prevedevano la pubblica utilità su quella zona sono scaduti e non vengono rinnovati, né da parte della provincia né da parte della regione, mentre entrambe evidenziano - chiaramente - tentativi egemonici, attraverso la costituzione di una STU (Società di trasformazione urbana), di appropriarsi della programmazione del territorio intorno alla stazione dell'alta velocità, nei fatti relegando i comuni interessati ad un ruolo comprimario rispetto alla spasmodica attività dell'assessore ai trasporti della regione Campania, Cascetta, che vorrebbe così, attraverso le STU, avere anche l'egemonia sullo sviluppo di tali territori. Si tratta di una serie di problematiche tutte aperte, che riguardano il progetto e la realizzazione della stazione Porta dell'alta velocità e la viabilità per l'accesso alla stazione, tenuto conto che quella attuale è insufficiente a causa della presenza di grandi centri commerciali in zona e già da adito a gravi blocchi viari in quel contesto.
Vi sono problematiche ambientali, che sottolineavo all'inizio del mio intervento, nel trattamento diversificato fra i cittadini italiani costretti a convivere con i lavori e i cantieri dell'alta velocità. A Bologna e a Roma i cittadini si vedono riconosciuti indennizzi a vario titolo, mentre ad Afragola e a Napoli tutto ciò non è lecito. Su tale discriminazione torneremo con ulteriori atti ispettivi, perché riteniamo che da parte del Ministero, del Governo, delle Ferrovie e della TAV la concezione che relega i cittadini del sud in una categoria inferiore rispetto ai cittadini di altri territori e ad un trattamento diversificato non sia accettabile da parte nostra.
Tale contesto e il quadro tratteggiato, che in parte viene confermato dalla risposta del Governo, ovviamente ci lascia molto interdetti, perché non vi è certezza dei tempi di realizzazione della stazione, né del completamento della penetrazione su Napoli, né della definizione completa del tracciato Napoli-Roma e credo che la messa in esercizio, prevista per il 2010, si allontani di molti anni. Ciò sottolinea come il Governo, nei fatti, faccia proclami - cioè effetti-annuncio - mentre poi, nella realizzazione concreta di certe opere, vi sono rallentamenti che molto spesso sono esclusivamente addebitabili non solo alla lentezza con cui si muovono il Governo e gli enti delegati, in questo caso le Ferrovie, ma anche al modo in cui la regione Campania non adempie in toto agli obblighi che le sono propri, attraverso gli accordi di programma sottoscritti e le conferenze di servizi.
Vale ricordare che ancora oggi, signor Viceministro, l'accordo procedimentale prevedeva la contestualità dei lavori per la stazione dell'alta velocità e degli innesti delle reti ferroviarie regionali che sono previste, il cosiddetto ammagliamento sulla stazione dell'alta velocità. Non è stato definito il tracciato della tratta Cancello-Napoli, che deve arrivare sulla stazione Porta dell'alta velocità, né l'arretramento della circumvesuviana, che pure si deve appostare sulla stazione Porta dell'alta velocità. Si tratta di due ammagliamenti necessari, perché altrimenti costruiremo una cattedrale nel deserto, che non avrà nessuna funzione, perché se non è collegata alla rete di trasporti regionali, laPag. 40stazione dell'alta velocità non ha senso. All'esterno basterebbe averla a piazza Garibaldi o nella stazione centrale di Napoli, forse tornando al vecchio auspicio del presidente della regione.
Tutti questi dubbi ci inducono ad affermare che la risposta fornita dal Governo è insufficiente e, ovviamente, non siamo soddisfatti.
(Iniziative per evitare la chiusura della scuola allievi carabinieri «Piemonte» di Fossano - n. 2-00655)
PRESIDENTE. L'onorevole Delfino ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00655, concernente iniziative per evitare la chiusura della scuola allievi carabinieri «Piemonte» di Fossano (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
TERESIO DELFINO. Signor Presidente, intendo illustrare la mia interpellanza urgente. La preoccupazione che intendo esprimere in questa sede, non soltanto a nome personale, ma di tutte le istituzioni locali (della provincia, delle forze sociali e politiche) è capire dal Governo quale futuro voglia garantire alla scuola allievi di Fossano. L'importanza di questa scuola è documentata da una storia gloriosa, da una serie innumerevole di corsi, dalle migliaia di giovani che sono usciti da tale struttura formativa. Si tratta di una struttura che ha risposto pienamente alle finalità per le quali era stata istituita e che onorava la provincia di Cuneo, che già in passato - anche recentemente - ha subito forti penalizzazioni dalla soppressione di strutture militari e di altre scuole, come la scuola allievi della Guardia di finanza di Mondovì.
Pertanto, non comprendiamo l'accanimento con cui il Governo persegue il suo obiettivo. Vorremmo anche sapere quale sia l'autorevole opinione dell'Arma dei carabinieri sul caso in esame, perché si tratta di una struttura presente in un luogo assolutamente adeguato alla possibilità di continuare la sua attività ed in una posizione logistica assolutamente invidiabile. Inoltre la funzionalità della caserma «Dalla Chiesa» è stata sempre assolutamente ribadita in questi anni e, soprattutto, esiste un profondo legame storico della scuola con la città di Fossano, con la provincia, con l'indotto economico che la presenza della scuola assicurava a tutto il distretto territoriale di riferimento più vicino.
Allora, ci domandiamo perché siano insorte le ricordate difficoltà e perché le esigenze - che non vediamo in assoluto - di riorganizzazione e di una maggiore efficacia di queste scuole porti sempre a penalizzare la provincia di Cuneo. Non posso non esprimere un forte dissenso qualora si verificasse anche in questa occasione una situazione simile.
Chiediamo, nell'interpellanza urgente in esame, di sapere dal Governo quali siano le iniziative urgenti adottate per fare in modo che questa scuola gloriosa possa continuare a rappresentare un punto di riferimento assolutamente efficace e presente nella nostra provincia.
Senza dubbio, sappiamo - e quindi diamo per scontato - che c'è stato, in questi anni, un forte programma di ridimensionamento delle scuole allievi delle diverse Armi, tuttavia vogliamo capire, oggi, perché vi sia una simile attenzione verso una realtà (come quella della struttura formativa in oggetto) che ha sempre ben funzionato ed ha, come dicevo prima, tutte le condizioni per poter procedere nella sua attività.
Questo è il primo tipo di risposta e di sollecitazione che rivolgiamo al Governo. Naturalmente, vogliamo anche andare avanti e capire quali ulteriori proposte vengano avanzate in merito all'utilizzo della struttura di cui si tratta per il futuro. Abbiamo sentito parlare - l'abbiamo anche evocato e richiamato in questa interpellanza urgente - della dislocazione del battaglione Moncalieri e delle altre possibilità che riguardano l'Arma.
Non vi è, tuttavia, una cognizione puntuale di tali intendimenti da parte della comunità locale, degli enti e delle istituzioni. Vorrei, quindi, capire lo stato dell'arte e lo stato progettuale complessivo diPag. 41questa iniziativa, che porterebbe comunque ad un forte ridimensionamento della scuola e della struttura militare.
Tra l'altro, sono certo che non sfugge al Governo che quella amplissima area di oltre 480 mila metri quadrati, costituita da terreni e strutture a disposizione della scuola, da anni viene utilizzata solo in parte. Cogliamo, quindi, l'occasione di questo passaggio, di questo progetto di riprogrammazione e ridefinizione della struttura in oggetto, per capire se vi sia la possibilità di utilizzare comunque tale area, rimanendo invariate - come auspichiamo - la finalità e la presenza della scuola allievi carabinieri a Fossano.
Vorremmo, comunque, cogliere l'occasione per conoscere i programmi rispetto alla disponibilità di quest'area amplissima. Le istituzioni locali e, segnatamente, il comune di Fossano, infatti, si sono da tempo dichiarati disponibili ad acquisire tale area per la parte non utilizzata, al fine di destinarla ad un programma di valorizzazione, che corrisponda maggiormente alle necessità e alle esigenze della comunità locale.
Tra l'altro, tale collaborazione tra il demanio, il Ministero, l'Arma dei carabinieri ed il comune potrebbe certamente portare a reperire risorse per ristrutturare, ammodernare e implementare le strutture militari già esistenti, in particolare quelle della scuola allievi carabinieri di Fossano, che vogliamo difendere e sostenere fino in fondo.
In conclusione, signor sottosegretario, gradiremmo ascoltare una parola chiara e di speranza sia in ordine al mantenimento di una realtà presente ed efficace dell'Arma dei carabinieri, sia per quanto riguarda la valorizzazione e l'alienazione da parte del demanio di tutta l'area non utilizzata dalla struttura militare. Quest'ultima potrebbe, infatti, rappresentare una risorsa sia in termini di ritorno per l'accensione di finanziamenti volti a migliorare le strutture militari esistenti e attualmente funzionanti, sia per mettere a disposizione della comunità un'area che la stessa rivendica e attraverso la quale sarebbe possibile soddisfare tanti bisogni non solo della cittadinanza di Fossano, ma, in generale, del più ampio territorio provinciale. Mi auguro che la sua risposta corrisponda alle nostre aspettative.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, Emidio Casula, ha facoltà di rispondere.
EMIDIO CASULA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, nell'ambito della generale missione affidata alle Forze armate per la difesa del Paese e la salvaguardia delle libere istituzioni, l'Arma non solo concorre alla difesa integrata del territorio nazionale, ma partecipa anche alle operazioni per il mantenimento e il ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale. Contribuisce, inoltre, alle attività volte alla ricostruzione e al ripristino dei corpi di polizia locale nei teatri operativi, garantisce i servizi di sicurezza alle rappresentanze diplomatiche e consolari all'estero ed esercita funzioni di polizia militare in via esclusiva per tutte le Forze armate.
Proprio in relazione a tali compiti l'Arma ha sviluppato un graduale processo di rinnovamento delle strutture e delle procedure, perseguendo un programma di razionalizzazione del settore logistico-gestionale finalizzato precipuamente al recupero di risorse a favore degli impieghi operativi. Ciò anche in considerazione dell'intervenuta legge 27 dicembre 2006, n. 696, che ha imposto a tutte le amministrazioni l'obbligo di ottimizzare le risorse e di razionalizzare le strutture.
Peraltro, la consapevolezza della valenza della duplice natura istituzionale dell'Arma ha condotto il legislatore nel 2000 ad esaltarne tale specificità, ribadendo i compiti militari e inserendoli in un aggiornato quadro organico maggiormente funzionale alle evolute esigenze.
Ciò detto, in merito alla questione sollevata con l'interpellanza in discussione, si precisa in primo luogo che la richiamata scuola allievi carabinieri «Piemonte» di Moncalieri non rientra tra i reparti dell'Arma con sede a Moncalieri dove sono presenti, invece, il primo battaglione carabinieriPag. 42«Piemonte», preposto a compiti di tutela dell'ordine pubblico e di controllo del territorio e la compagnia territoriale la cui presenza ed esistenza non può certo essere posta in discussione.
A questo riguardo è opportuno ricordare che le Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri, stanno vivendo da tempo un delicato e complesso processo di riorganizzazione connesso ai provvedimenti normativi concernenti la trasformazione dello strumento militare in senso interamente professionale. L'intervenuta sospensione della coscrizione obbligatoria, in particolare, ha reso necessaria l'attuazione di un programma di sostituzione dei carabinieri ausiliari con quelli effettivi che inciderà sensibilmente sull'entità degli arruolamenti nel ruolo iniziale.
È, dunque, in tale contesto che si devono inquadrare le eventuali iniziative, nel senso ipotizzato dagli onorevoli interpellanti, che potrebbero interessare l'Arma nell'ottica dell'adeguamento degli attuali enti addestrativi alle mutate e diminuite esigenze di formazione del personale dei carabinieri del ruolo iniziale, oltre che per corrispondere con sempre maggiore efficacia ai nuovi compiti attribuiti all'istituzione, quale forza di polizia ad ordinamento militare con rango di forza armata.
In particolare, nel rappresentare come al momento non sia stato adottato alcun provvedimento afferente eventuali ridimensionamenti o riconversioni degli enti addestrativi in argomento, si assicura comunque che, a premessa di ogni decisione, non verranno certamente trascurati gli eventuali riflessi di carattere sociale, economico e infrastrutturale, nonché quelli connessi con i legami storici e con la presenza dei carabinieri in Piemonte e nelle aree interessate, anche nel rispetto del tradizionale e sentito legame dell'Arma con i cittadini.
Ciò nella consapevolezza che l'Arma dei carabinieri rappresenta una delle istituzioni più vicine ai cittadini nei confronti dei quali svolge la sua costante azione di prevenzione, quale espressione significativa della presenza dello Stato nel territorio.
L'Arma dei carabinieri, come sapete, in una storica evoluzione che ne ha plasmato la tradizione, si è sempre mostrata in sintonia con i cambiamenti della società italiana. I suoi militari, nell'anonimato del duro e generoso servizio quotidiano, sorvegliano in ogni modo la cittadinanza, dando e ricevendone incondizionata fiducia.
PRESIDENTE. L'onorevole Delfino ha facoltà di replicare.
TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, dovrò leggere con attenzione la risposta, perché se da un lato mi pare che lei abbia affermato che non è stata ancora presa alcuna decisione, dall'altro lato ha richiamato, in termini generali, che per il superamento della leva obbligatoria vi è l'esigenza di ridefinire il quadro complessivo delle realtà formative, anche per l'Arma dei carabinieri.
Noi non neghiamo tale assunto; quello che sosteniamo nell'interesse della provincia di Cuneo, tramite la nostra interpellanza, è che non riteniamo giusta, equa e neanche funzionale una decisione che escluda la scuola di Fossano dal progetto complessivo di riorganizzazione delle scuole allievi. Tale valutazione si fonda sulle ragioni esposte nell'illustrazione dell'interpellanza, che attengono all'ottima realtà logistica, all'ottimo inserimento e, come da lei affermato, al consolidato rapporto e alla vicinanza creatasi, in generale, tra i cittadini e l'Arma dei carabinieri, nonché, nello specifico, all'ottimo e storico rapporto consolidatosi tra la comunità provinciale - segnatamente la comunità fossanese - e l'Arma dei carabinieri.
Pertanto, ci auguriamo che questo momento di confronto tra Parlamento e Governo porti a riconsiderare, nell'ambito del programma, l'esigenza che la scuola rimanga aperta e che, in provincia di Cuneo, nella città di Fossano, vi sia un rafforzamento della presenza dell'Arma dei carabinieri per le disponibilità esistenti sotto il profilo logistico. E, soprattutto, auspichiamo che, qualunque sarà la decisione che verrà assunta, si tenga conto, signorPag. 43sottosegretario, che la provincia di Cuneo ha dato negli anni, nella grande guerra, nell'ultima guerra mondiale, un notevole tributo di sangue e di martiri per la battaglia per l'unità nazionale, per la resistenza e per la Costituzione repubblicana.
Riteniamo, dunque, che davanti ad un attaccamento profondo, condiviso dalla popolazione, nel rapporto con l'Arma dei carabinieri, il Governo attuale (così come quelli futuri), non possa nuovamente penalizzare la provincia di Cuneo.
Signor sottosegretario, è certamente a conoscenza del fatto che nei prossimi giorni si terranno incontri con l'Arma dei carabinieri e con il Ministero della difesa. Noi ci stiamo mobilitando affinché questa struttura continui ad esistere e affinché si colga, come ho affermato già nell'illustrazione dell'interpellanza, questa occasione di confronto per migliorare, qualificare ulteriormente e rafforzare la presenza dell'Arma dei carabinieri.
Spero, inoltre, che anche attraverso questo atto di sindacato ispettivo, riusciremo a fornire un contributo alla conoscenza del rapporto esistente nella nostra provincia tra l'Arma dei carabinieri e la comunità provinciale, e alla conoscenza dei riflessi di determinate decisioni su una realtà provinciale che ha già dato tanto in termini di chiusura di strutture militari analoghe (parlo, ad esempio, del Corpo degli alpini e della Scuola allievi della Guardia di finanza di Mondovì) che, in base a quanto da lei affermato, il Governo non sottovaluterà, ma terrà ben presenti.
L'ulteriore eventuale chiusura - la definisco tale perché lei ha escluso qualsiasi decisione al riguardo - sarebbe certamente considerata un ennesimo schiaffo ad una provincia laboriosa, che ha dato tanto per la formazione dello Stato e per la Resistenza.
Quindi, mi auguro che tali elementi generali, ascrivibili tutti al merito dei cuneesi e di questa grande provincia che noi chiamiamo «Granda», possano in questa occasione valere, affinché il Governo insieme all'Arma dei carabinieri assuma una decisione conseguente e coerente alle aspettative che abbiamo in questa sede rappresentato, speriamo in modo buono. La ringrazio, signor sottosegretario, per l'attenzione prestata.
(Legge approvata dal consiglio regionale della Valle d'Aosta relativa alla presentazione delle liste per le elezioni regionali - n. 2-00659)
PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di illustrare l'interpellanza Maroni n. 2-00659, concernente la legge approvata dal consiglio regionale della Valle d'Aosta relativa alla presentazione delle liste per le elezioni regionali (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6), di cui è cofirmatario.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, la questione prospettata nell'interpellanza riguarda un problema che noi reputiamo piuttosto serio. È chiaro che il principio che io e il partito al quale ho l'onore di appartenere affermiamo è quello di riconoscere il massimo di sovranità alle popolazioni, nell'ambito delle singole regioni. È altrettanto chiaro, però, che non è pensabile che una regione arrivi ad un grado di indipendenza tale da costituire una monarchia della Lombardia.
Abbiamo rilevato un aspetto che appare antidemocratico e che, pertanto, sottoponiamo al Governo: il soggetto che ha approvato la norma che illustrerò brevemente è, infatti, contemporaneamente controllore e controllato. La regione Valle d'Aosta, cioè, nell'ambito della propria discrezionalità e del proprio potere, ha posto in essere, come hanno fatto anche molte altre regioni, una normativa riguardante il sistema elettivo, individuando il numero delle firme necessarie per la presentazione di una lista elettorale.
Se la legge fosse uguale per tutti non ci sarebbe nulla da dire, perché è chiaro che vi sono due elementi in contrasto che vanno equilibrati: da una parte, l'esigenza della maggiore rappresentatività possibile, dall'altra, quella di assicurare la governabilità di qualsiasi ente, quindi anche dellaPag. 44regione. Qui non vi è, però, una situazione di uguaglianza, perché per i soggetti già presenti in consiglio regionale non è prevista la necessità di presentare le liste con un certo numero di firme di appoggio. Se la quantità di queste ultime fosse allineata a quella prevista dalle altre regioni, non ci sarebbe nulla da dire, ma qui si richiede un numero di firme di appoggio pari (se non ricordo male) a mille elettori, a fronte di una popolazione elettorale di 50-60 mila abitanti. Siamo di fronte, quindi, ad un meccanismo che appare ictu oculi di «auto-salvaguardia». I soggetti appartenenti al consiglio regionale della Valle d'Aosta hanno creato un limite minimo di accesso, sostanzialmente un meccanismo di «auto-conservazione»: nessuno, se non una grandissima forza politica, potrebbe concretamente raggiungere il numero di firme necessarie per presentare una lista, mentre i soggetti appartenenti al consiglio regionale non hanno bisogno di questo requisito!
Tale norma, approvata dal consiglio regionale della Valle d'Aosta, può essere impugnata esclusivamente dal presidente della regione: da ciò deriva la nostra preoccupazione!
Non siamo mai stati molto favorevoli alla figura del prefetto: in questo caso, però, un prefetto avrebbe potuto rappresentare una preoccupazione del Governo; ma non può farlo, in virtù della normativa vigente.
L'interpellanza, pertanto, è finalizzata a conoscere l'opinione del Governo e ad ottenere una rassicurazione nel caso di una eventuale impugnazione.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali, Pietro Colonnella, ha facoltà di rispondere.
PIETRO COLONNELLA, Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali. Signor Presidente, onorevole Brigandì, la legge in esame - rispetto alla quale era fissata la scadenza del 1o giugno 2007 - è stata esaminata dal Consiglio dei ministri il 17 maggio, con esito di «non impugnativa».
La regione Valle d'Aosta, a differenza di altre regioni che hanno scelto l'elezione diretta a suffragio universale del presidente del consiglio e del presidente della regione, ha optato per il mantenimento nell'ordinamento del sistema elettivo previgente. La legge in esame ha apportato modifiche ed integrazioni alle legge regionale n. 3 del 1993, recante norme per l'elezione del consiglio regionale della Valle d'Aosta, al fine di armonizzare la legge elettorale alle modifiche introdotte dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, che attengono al merito e non sono, comunque, costituzionalmente illegittime, come sospettato dagli interpellanti.
Infatti, per quanto riguarda in particolare la lista dei candidati, corredata dai moduli contenenti le firme di non meno di mille e non più di millecinquecento elettori, si fa presente che la normativa regionale precedente prevedeva le firme di non meno di cinquecento e non più di ottocento elettori.
Tale modifica non è apparsa illegittima al Governo dal punto di vista costituzionale, in quanto rientrante nella completa competenza regionale l'individuazione del numero degli elettori presentatori di lista. Al più, ciò può essere discutibile e può essere censurato dal punto di vista delle opportunità, così come quando si discute anche di soglie di sbarramento, ma ciò non costituisce il fondamento dei ricorsi proposti dal Governo alla Corte costituzionale, piuttosto attiene alla responsabilità politica locale.
Il competente Ministero dell'interno, peraltro, ha espresso un parere di legittimità costituzionale sulla citata legge statutaria.
Considerato, quindi, che la regione ha competenza primaria in materia, ossia non limitata dai principi fondamentali della legislazione statale, ma soltanto dal rispetto della Costituzione, dell'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali, si è ritenuto di non promuovere la questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale, ai sensi dell'articolo 123 della Costituzione.Pag. 45
Peraltro, un parere favorevole alla non impugnativa è stato espresso anche ad abundantiam dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal Dipartimento per i diritti e le pari opportunità.
PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di replicare.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, è ovvio che non posso che dichiararmi totalmente insoddisfatto, anche perché sono suffragato dai numeri. Il numero di cinquecento o mille può sembrare basso per regioni come il Lazio o la Lombardia, dove ci si trova di fronte ad una popolazione di milioni di persone, per le quali la previsione di cinquecento o mille firme appare un meccanismo normale per la presentazione delle liste, per evitare lo svolgimento di elezioni con schede elettorali lunghe come lenzuola, con venticinquemila liste.
Ciò è chiaro, ma è altrettanto evidente che elevare da cinquecento a mille il numero delle firme comporta un incremento pari al 100 per cento. Non è una cosa da poco! La previsione di seicento firme avrebbe già determinato un incremento del 20 per cento.
L'incremento del numero delle firme da cinquecento a mille può sembrare in astratto - questa è la ragione per la quale è stata sollecitata l'attenzione del Governo - una cosa da poco, ma un aumento del 100 per cento per una popolazione in cui vi sono circa 50 mila elettori produce certe conseguenze: come dire che, per le elezioni della Camera dei deputati, devono essere presentare liste elettorali per le nuove formazioni politiche con un milione di firme.
Nella mia interpellanza ho inserito alcune proporzioni. Il problema risiede nel fatto che il Governo avrebbe dovuto avere la sensibilità di verificare questo aspetto, ma ormai credo che l'unica strada residua sia quella giurisdizionale, cioè di raccogliere firme per bocciare il provvedimento di cui si parla, di sollevare l'incidente di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale.
Che il meccanismo sia formalmente giusto è un dato scontato. È stata approvata una legge che rientrava certamente nella competenza della regione ed è stato seguito l'iter previsto, ma non ci si deve limitare a verificare il dato formale, perché a questo fine sarebbe stato sufficiente non un Governo, ma un notaio, il quale verifica che l'iter sia corretto e chiude ogni questione.
Bisognava verificare il dato sostanziale, vale a dire le conseguenze, in concreto e non in astratto, che l'incremento del 100 per cento, ossia il raddoppio del numero di firme necessario per la presentazione di una lista, avrebbe comportato.
In sostanza, tale incremento determinerebbe una situazione, per cui non vi sarà mai alcun partito nuovo in grado di presentarsi alle elezioni e si finiranno per «cristallizzare» i partiti vecchi. Il punto non è se io sia favorevole ai partiti nuovi o ai partiti vecchi: io sono favorevole alla democrazia.
Pertanto, se vi sono forze che esprimono idee nuove, possono raccogliere le firme (500 su 50 mila votanti non sono poche) attraverso un meccanismo normale, per poi presentarsi alle elezioni.
Se, invece, si prevedesse uno sbarramento enorme sarebbe la fine: è come se affermassimo in quest'Assemblea la necessità di un milione di firme per presentare una lista nuova e vi sarebbe spazio solo per i partiti attuali, mentre quelli nuovi risulterebbero svantaggiati, perché, per presentare un milione di firme, occorrerebbe un'«attrezzatura» politica, che evidentemente non può corrispondere a idee appena nate, né a criteri di democrazia.
Questa sensibilità il Governo non l'ha avuta quindi non posso che dichiararmi insoddisfatto, sperando che poi la Corte costituzionale vi ponga rimedio.
(Situazione del sistema giudiziario in Afghanistan - n. 2-00654)
PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00654, concernente la situazione delPag. 46sistema giudiziario in Afghanistan (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7).
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, illustrerò brevemente l'interpellanza urgente, che fa riferimento, in particolare, alla conferenza internazionale sulle questioni della giustizia svoltasi nei giorni scorsi a Roma, relativa all'Afghanistan. L'Italia non è stata soltanto il Paese ospitante, ma anche quello che, con maggiore determinazione e continuità, ha lavorato per la realizzazione di tale conferenza internazionale.
La ragione fondamentale di tale interesse consiste nel fatto che il nostro Paese è stato leader nella realizzazione del programma giustizia in Afghanistan negli anni scorsi ed è tuttora impegnato in tale compito.
A me pare, avendo seguito i lavori della conferenza, che siano state affermate moltissime cose, ma che non sia emerso in maniera convincente il profilo complessivo di quanto è stato realizzato attraverso questo impegno, piuttosto pesante anche dal punto di vista degli investimenti finanziari.
In ragione di ciò, ma anche delle notizie che continuano a provenire dall'Afghanistan, a mio giudizio assolutamente non confortanti sotto il profilo dello stato di diritto e della difesa dei diritti umani in Afghanistan, chiedo al Governo - in dettaglio se fosse possibile - quali siano gli elementi positivi che il programma italiano di giustizia in Afghanistan ha effettivamente realizzato.
Inoltre, chiedo anche notizie circa la situazione piuttosto pesante che riguarda almeno settanta donne madri detenute nel carcere di Pol-i-Chark, in base ad accuse che - secondo quanto sostengono molti avvocati islamici - sono assolutamente infondate anche dal punto di vista della legge coranica (che, come sappiamo, non è affatto «tenera» con le donne).
Queste donne sono detenute in base a criteri del tutto tribali, più che informali, e non è assolutamente possibile sapere quando saranno scarcerate e quali siano le condizioni reali di detenzione. Poiché si tratta di un fatto di cui i giornali hanno parlato (la notizia è trapelata ed è stata diffusa) ed essendo appunto l'Italia impegnata nel compito di realizzazione del sistema giustizia, vorrei conoscere le informazioni di cui il Governo è in possesso.
Infine, vorrei avere qualche notizia sulla ristrutturazione e l'ammodernamento del carcere di Pol-i-Chark a Kabul, soprattutto in relazione alle notizie che sono apparse sulla stampa, relative al fatto che verranno probabilmente trasferiti in quel luogo detenuti che sono stati fino ad ora a Guantanamo.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Donato Di Santo, ha facoltà di rispondere.
DONATO DI SANTO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, fin dal 2002 l'Italia è stata in prima linea nel campo della ricostruzione del settore della giustizia in Afghanistan. Dal 2002 al 2006 abbiamo erogato aiuti per 45 milioni di euro, mentre per il solo 2007 è previsto un finanziamento complessivo di 19,5 milioni di euro. I nostri interventi hanno riguardato soprattutto la revisione della legislazione vigente, la redazione delle leggi fondamentali, attività di training e di coordinamento nonché di costruzione e riabilitazione di edifici pubblici. All'interno di quest'ultima tipologia di intervento si situa anche la ricostruzione di una parte del carcere di Pol-i-Chark, curata direttamente, anche grazie ai finanziamenti italiani, dall'Ufficio delle Nazioni Unite sulle droghe ed il crimine (UNODC). L'UNODC ha realizzato nell'istituto alcune opere in conformità alle cosiddette regole minime di vivibilità, quali la nuova infermeria, una nuova cucina, spazi per gli incontri tra detenuti e familiari ed interventi igienico-sanitari per il risanamento dell'impianto fognario.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 17)
DONATO DI SANTO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il carcere èPag. 47formato da numerosi blocchi detentivi, tra cui in particolare l'«old block», formato da malsani padiglioni detentivi con celle all'interno delle quali potevano essere stipati oltre duecento detenuti. I nuovi blocchi invece, presentano condizioni di vivibilità migliore e, in alcuni casi, sono addirittura adeguati ai minimi standard internazionali per quanto riguarda i locali di detenzione.
A tutt'oggi mancano però una serie di spazi didattici, ricreativi e lavorativi per rendere il penitenziario realmente adeguato ad assolvere, oltre alla funzione di restrizione, anche quella di recupero.
Questi disagi sono stati sentiti da tutta la popolazione carceraria, ma sono particolarmente sensibili nel caso della popolazione femminile. All'interno del carcere di Pol-i-Chark sono effettivamente incarcerate circa 70-80 donne, alcune anche con bambini, detenute sia per reati comuni che per comportamenti contro la morale.
Nei confronti di queste donne il nostro Paese sta esprimendo un duplice impegno. Da un lato, si sta adoperando, assieme agli altri membri della comunità internazionale, ad aiutare il Governo afghano a migliorare la situazione delle carceri, rendendole più vivibili. Dall'altro lato, si sta impegnando attivamente per far sì che si eviti la detenzione di donne per le accuse che si riferiscano ad usanze locali di derivazione tribale - perché spesso di questo stiamo parlando, quando ci riferiamo a comportamenti contro la morale - anziché a precise fattispecie criminose. In questo senso, l'Italia sta sviluppando forme di collaborazione con ONG locali, che si aggiungono all'attività svolta per la formazione di giudici, la codificazione del diritto e la creazione di infrastrutture.
Il sistema giudiziario afgano resta, tuttavia, un cantiere aperto, su cui molto ancora resta da fare. Proprio per tale motivo abbiamo promosso il 2 e 3 luglio scorso - come citato dall'onorevole Deiana - la conferenza ministeriale sul rule of law in Afghanistan, copresieduta dall'Italia, dal Governo afgano e dalle Nazioni Unite.
La conferenza, cui hanno partecipato ventisei delegazioni di alto livello di Paesi e di organizzazioni rappresentanti del mondo accademico e della società civile, delegati di oltre venti organismi, agenzie e ONG, ha riconfermato il ruolo cruciale della riforma della giustizia e della realizzazione del rule of law ai fini della ricostruzione dell'Afghanistan.
Senza giustizia e senza un ruolo della legge non sarebbe possibile ottenere sicurezza, stabilità, sviluppo economico e protezione dei diritti umani.
In termini di risultati concreti, si è assistito all'adozione delle conclusioni della presidenza e delle raccomandazioni congiunte, documenti che hanno consolidato, con un consenso più ampio, i risultati dei negoziati condotti a Kabul con il Governo afgano, l'UNAMA e gli altri partecipanti.
Superiore alle aspettative è stata anche la raccolta di finanziamenti, che ha raggiunto e superato la cifra di 360 milioni di dollari, grazie innanzitutto alla contabilizzazione dell'impegno quadriennale dell'Unione europea, ma anche per i singoli apporti, tra i quali il contributo italiano straordinario di 10 milioni di euro.
Completa il quadro la fissazione di un programma di lavoro per i prossimi mesi, che porterà all'adozione, entro il prossimo ottobre, di un National Justice Program e, successivamente, di una precisa road map per la sua attuazione.
Certo, la situazione in Afghanistan - a causa anche delle tormentate vicende storiche che quel Paese ha attraversato - rimane a livelli «ben lontani» da quegli standard necessari per ogni sistema basato su un reale Stato di diritto, sul pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali.
Sarebbe, tuttavia, ingeneroso negare che, seppure a fatica, si stiano realizzando degli importanti progressi tanto dal punto di vista delle infrastrutture materiali (prigioni, tribunali) quanto dal punto di vista delle infrastrutture immateriali (codici, norme).
Fra queste ultime, vale la pena di sottolineare che l'Afghanistan è parte diPag. 48una serie di strumenti internazionali in materia di salvaguardia dei diritti umani: la Convenzione contro la tortura, la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e la Convenzione per i diritti del fanciullo. Il Paese ha, inoltre, firmato - sebbene non lo abbia ancora ratificato - il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale ed i Protocolli opzionali alla Convenzione sui diritti del fanciullo (il primo, riguardante il diritto dei bambini coinvolti nei conflitti armati, e il secondo, concernente la vendita dei bambini e la pedo-pornografia) ed ha ratificato lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale.
Non ci nascondiamo, quindi, che persistono ancora considerevoli difficoltà, ma il Governo ritiene che, sebbene con inevitabili lentezze, si possa dire che, con lo sforzo congiunto della Comunità internazionale, a livello di Stati e organizzazioni internazionali, e con l'appoggio della società civile, oltre che con l'impegno dello stesso Governo afgano, ci si sia avviati sulla strada del ristabilimento delle condizioni minime di uno Stato di diritto.
È importante che, in tale contesto, si stiano compiendo dei primi passi in avanti sotto il profilo del rispetto dei diritti della donna e, in particolare, per tornare ai quesiti sollevati dall'onorevole interpellante, delle condizioni di detenzione e della possibilità di accesso al sistema della giustizia ufficiale da parte della componente femminile della società.
Nei contatti con le autorità afgane e nelle sue attività di assistenza e cooperazione, il Governo continuerà ad adoperarsi attivamente per assecondare questi sviluppi ed incoraggiare ulteriori progressi sul fronte del rispetto dei diritti della donna.
PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di replicare.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, do atto al sottosegretario di aver confermato le preoccupazioni relative alla situazione generale in Afghanistan su un tema che, ovviamente, è legato non soltanto ad una lunga tradizione tribale e di supremazia di forme di diritto informale in Afghanistan, ma anche alla situazione di occupazione da parte di truppe straniere, di guerra e di scontri presenti in varie parti del Paese, che rendono molto difficile compiere passi in avanti significativi su uno snodo così importante come la giustizia.
Credo, tuttavia, che le ammissioni relative alle difficoltà contrastino con l'indeterminatezza delle notizie fornite.
Quando ho chiesto di conoscere ciò che è stato realizzato concretamente, alludevo alla necessità di fare chiarezza sugli elementi di realizzazione relativi alla messa in atto dei dispositivi del sistema giudiziario. Mi riferisco alla formazione dei giudici, ai luoghi dei tribunali, ai meccanismi di rapporto tra l'istituzionalizzazione di forme moderne o semi-moderne di giustizia e la permanenza di forme locali informali, le quali devono trovare elementi di accordo, connessione e mediazione.
In sostanza, avrei voluto che il quadro della situazione fosse più preciso e concreto, senza fare riferimento ad una serie di dichiarazioni e di impegni che, poi, sappiamo bene, rimangono sulla carta e che, comunque, potranno essere operativi e impegnativi chissà quando.
Vorrei conoscere il risultato degli sforzi compiuti da parte del nostro Paese, in termini di concretizzazione di elementi del sistema della giustizia, di operatori e luoghi dove si svolgono operazioni ed attività giuridiche, nonchè i meccanismi di connessione tra la tradizione del paese e i tentativi di introdurvi elementi dello Stato di diritto e di difesa dei diritti umani e civili.
Da tale punto di vista, anche nel corso di audizioni di esponenti del Governo e della Farnesina, l'informazione fornita al Parlamento continua ad essere molto carente, e ciò mi fa temere che i risultati siano molto inferiori rispetto a quanto il Governo tiene a rappresentare pubblicamente.Pag. 49
Vorrei fare un'ultima osservazione in merito al ruolo politico, istituzionale e diplomatico che ritengo l'Italia dovrebbe avere nei confronti di un paese come l'Afghanistan, rispetto al quale ha assunto tale impegno. Vi sono dei casi in cui ritengo dovrebbe esserci un atteggiamento e un orientamento politico molto più preciso.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 17,10)
ELETTRA DEIANA. Nella mia interpellanza, ho fatto riferimento al caso della deputata Malalai Joya, sospesa dal Parlamento afgano per avere rivolto una critica molto forte, ma assolutamente legittima, non soltanto dal punto di vista del Parlamento come tale, ma anche relativamente alla storia di tale donna e al suo rapporto con un Parlamento le cui regole non sono assolutamente conformi a quelle che dovrebbero osservarsi in un'istituzione di un paese ove viga lo stato di diritto.
Inoltre, ho fatto riferimento al caso dell'operatore umanitario Hanefi, del quale non racconto la storia, in quanto è nota. Rispetto a tali casi talmente eclatanti, ritengo che il nostro Paese dovrebbe svolgere un ruolo di critica molto più determinato e maggiormente orientante rispetto a quanto è successo, invece, nei singoli casi.
Infine, vorrei aver sentito che, da parte del nostro Paese, della Farnesina e delle autorità competenti, vi è un impegno urgente e cogente affinchè la situazione di tali donne - detenute per ragioni che, perlomeno in gran parte, non hanno nulla a che vedere con episodi qualificabili come reato (donne che sono colpevoli, invece, soltanto di reati contro la morale tribale, contro norme misogine, caratteristiche di una parte piuttosto vasta delle comunità tribali dell'Afghanistan) - venga risolta. Peraltro, si tratta di situazioni emblematiche di una dinamica e di processi che, nell'ambito del Paese, vedono una forte ripresa dell'iniziativa da parte dei settori più tradizionalisti, misogini e legati alle culture tradizionali, come è avvenuto per la richiesta di ristabilire regole relative a costumi sessuali più conformi alla tradizione.
Mi auguro quindi che questo tipo di impegni nella prossima fase sarà realizzato con maggiore forza.
(Interventi presso le autorità albanesi per il riconoscimento di quanto stabilito in sede giudiziale a favore delle società Icma Srl e Agri.Ben. Sas - n. 2-00658)
PRESIDENTE. L'onorevole Marcazzan ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00658, concernente interventi presso le autorità albanesi per il riconoscimento di quanto stabilito in sede giudiziale a favore delle società Icma Srl e Agri.Ben. Sas (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 8).
PIETRO MARCAZZAN. Signor Presidente, come si evince dalle premesse in fatto contenute nell'interpellanza in oggetto il Ministero dell'agricoltura e dell'alimentazione dello Stato albanese è debitore nei confronti della società italiana Icma Srl di oltre due milioni di dollari in virtù di un lodo esecutivo reso in sede arbitrale internazionale, oramai divenuto inoppugnabile per intervenuta decorrenza dei termini all'uopo previsti dalle norme vigenti in materia.
In buona sostanza i torti subiti dall'impresa italiana sono stati acclarati da un organo giudicante internazionale - la Corte internazionale di arbitrato - all'esito di un procedimento al quale lo Stato albanese ha preso parte accettandone formalmente ogni eventuale conseguenza.
Ciò nonostante, ad oggi, trascorso oltre un anno e mezzo dalla pronuncia del lodo e pur essendo lo stesso immediatamente esecutivo, lo Stato albanese non ha ancora ottemperato al dovuto pagamento in favore dell'impresa italiana. In tal modo lo Stato albanese rifiuta l'esecuzione spontanea della pronuncia.Pag. 50
Siffatto comportamento, dati anche i rapporti intercorrenti tra il nostro Paese e l'Albania e gli aiuti che da sempre abbiamo fornito all'esito della democratizzazione di questo popolo a noi vicino, appare del tutto ingiustificato ed inaccettabile.
Stante tale biasimevole presa di posizione dell'Esecutivo albanese l'impresa italiana ha attivato, dinnanzi alla corte di appello di Tirana, la procedura di asseverazione del lodo onde poterlo poi eseguire coattivamente in Albania. Ma qui sta un altro riprovevole aspetto della vicenda: a quanto pare detto organo giudiziario albanese non ha alcuna intenzione di concludere la pur semplicissima procedura di asseverazione ivi pendente dall'inizio del 2006, frapponendo alla sua pronta definizione una serie di inutili rinvii, l'ultimo dei quali addirittura fondato su un'affermazione dell'Avvocatura dello Stato albanese in base alla quale si nega persino l'inoppugnabilità del lodo.
Di fronte a questa pervicace negazione dell'ormai conclamato diritto dell'impresa italiana appare evidente che l'Albania non ha alcuna intenzione di rispettare né le regole del diritto internazionale, né gli impegni di reciproca collaborazione assunti con l'Italia.
È improcrastinabile pertanto un intervento politico concreto e deciso del Governo italiano al fine di sbloccare la situazione e dare un senso alla credibilità e all'autorevolezza delle nostre istituzioni - che comunque sono proprie di qualunque Stato di diritto - e soprattutto dare delle risposte ai nostri cittadini i quali molto spesso invece si trovano dinanzi a situazioni imprevedibili senza apparentemente una via d'uscita.
Nel concludere, esprimo un biasimo per la mancanza di sensibilità istituzionale che mi è stata riservata. Avendo mandato una nota al Ministro il 17 febbraio del corrente anno, ad oggi non ho ricevuto alcuna risposta, malgrado alcune sollecitazioni presso il Gabinetto dello stesso.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Donato Di Santo, ha facoltà di rispondere.
DONATO DI SANTO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, le relazioni commerciali bilaterali con l'Albania sono da sempre caratterizzate da un rilievo notevole. Esse hanno tuttavia presentato momenti di difficoltà per le crisi verificatesi nel Paese a partire dagli anni Novanta, che hanno prodotto situazioni pregiudizievoli per gli imprenditori stranieri operanti in loco.
Questo carattere, per certi versi accidentato, è riconducibile alla transizione del Paese da una condizione di notevole arretratezza verso un quadro nuovo di istituzioni democratiche e di libero mercato. Le opportunità per l'investitore non sono mancate e gli operatori economici nazionali si sono dimostrati attivi nel coglierle: l'Italia è il primo partner commerciale dell'Albania, con una quota superiore al 40 per cento dell'interscambio complessivo, il primo investitore (con quasi la metà di tutti gli investimenti stranieri nel Paese e oltre 500 aziende miste) e il terzo donatore bilaterale dopo Stati Uniti e Grecia.
Tra i più recenti sviluppi positivi registrati in tale ambito, anche in relazione al superamento di annosi contenziosi commerciali, vanno segnalati: l'ingresso nel mercato albanese del gruppo San Paolo IMI, attraverso la rilevazione dei pacchetti azionari della Banca Italo-Albanese (BIA) e della American Bank of Albania nella prospettiva di dar vita alla Italian-American Bank of Albania, nonché l'inaugurazione della prima banca a capitale interamente italiano, la BIS (Banca Italiana di Sviluppo); il riconoscimento da parte del Governo albanese, intervenuto lo scorso 7 novembre 2006, della quasi totalità dei crediti commerciali, circa 3,5 milioni di dollari, maturati da ditte italiane nei confronti di ditte statali albanesi negli anni 1990-1992; alcuni recenti successi di nostre aziende in rilevanti gare e nella penetrazione commerciale nei settori energetico e del turismo, che rafforzano ulteriormente il trend favorevole. In particolare, il consorzio Maire Engineering e Ansaldo Energia si è recentemente aggiudicato i lavori di costruzione della centralePag. 51termoelettrica di Valona (si tratta del più significativo investimento italiano realizzato finora in Albania, per un valore pari a 90 milioni di euro); il progetto della società Petrolifera italo rumena per la costruzione di un terminal petrolifero nella zona di Valona, per un valore di circa 30 milioni di euro, che sarà inaugurato nel prossimo mese di settembre; l'assegnazione di una concessione per la costruzione di una centrale idroelettrica a Kalivac alla società italiana Albanian Beg dell'imprenditore Becchetti.
Per quanto concerne il contenzioso relativo alle società italiane Icma Srl e Agri.Ben. Sas, la nostra ambasciata a Tirana è intervenuta a varie riprese - da ultimo lo scorso 11 luglio - a sostegno delle richieste delle due aziende, sollecitando direttamente il Presidente del Consiglio albanese Sali Berisha ad adempiere a quanto stabilito dalla Corte internazionale di arbitrato di Ginevra. Quest'ultima, con sentenza del 22 dicembre 2005, ha condannato il Ministero dell'agricoltura albanese al pagamento di 1,6 milioni di dollari, con un tasso di interesse del 4,61 per cento a decorrere dal 1o gennaio 2005.
La nostra ambasciata continuerà ad esercitare pressioni sul Governo albanese al massimo livello al fine di ottenere soddisfazione per le nostre aziende, cui è stato riconosciuto il diritto ad un indennizzo nei termini sopra menzionati. Di analogo tenore sono gli interventi esercitati direttamente dal Ministero degli affari esteri sull'ambasciata di Albania a Roma.
PRESIDENTE. L'onorevole Marcazzan ha facoltà di replicare.
PIETRO MARCAZZAN. Signor sottosegretario, la ringrazio e mi ritengo soddisfatto, anche se potrò dire di esserlo del tutto quando finalmente vedremo sanare questa situazione, che si protrae ormai dal 1993. Pertanto, mi auguro davvero che lei si faccia carico, presso la nostra ambasciata, perché tutti i canali siano attivati per dare una celere, celerissima risposta a tale situazione che costituisce una vera e propria prevaricazione che non possiamo ulteriormente accettare.
(Situazione della pianta organica del tribunale di Torre Annunziata - n. 2-00642)
PRESIDENTE. L'onorevole Cesario ha facoltà di illustrare l'interpellanza Scotto n. 2-00642, concernente la situazione della pianta organica del tribunale di Torre Annunziata (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 9), di cui è cofirmatario.
BRUNO CESARIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, la questione posta dai firmatari è relativa alle problematiche del tribunale di Torre Annunziata, così come esposte nell'interpellanza; problematiche dalle quali si evincono la difficoltà di un territorio - oltretutto crocevia del traffico internazionale di droga e con una forte presenza di malavita organizzata - che ha bisogno di un tribunale che difenda in maniera efficiente la legge e che organizzi la tutela dei cittadini in modo decoroso.
Purtroppo, vediamo (e abbiamo partecipato a diversi incontri, con interventi anche del sottosegretario Scotti che è venuto in sede) che la situazione è precipitata; infatti, è ancora in atto uno sciopero dell'ordine professionale degli avvocati proprio per la carenza di personale, per la mancanza di collegialità, di organizzazione. Non sappiamo quali siano le reali cause, ma sappiamo che anche i locali risultano fatiscenti. Le faccio un esempio per quanto riguarda la costruzione della nuova struttura: sono anni ormai che non si procede, perché una volta la ditta aggiudicataria fallisce, un'altra volta viene inquisita per qualcosa, altre volte vi sono stati ricorsi. Abbiamo quindi una situazione pesantissima dal punto di vista giudiziario per il prosieguo dei lavori, e per rendere quindi il tribunale efficiente anche relativamente alle strutture; un tribunale che ha un carico di lavoro talmente ampio da non riuscire in alcun modo ad esercitare efficacemente la tutela giurisdizionale.Pag. 52
Rileviamo che anche le sezioni distaccate hanno la stessa carenza sia di personale ma anche di strutture elementari, tanto che addirittura si è verificato uno specifico episodio in cui l'assenza per malattia del cancelliere ha costretto alla chiusura della sezione distaccata di Torre del Greco. Registriamo quindi una serie di episodi sconcertanti che non danno un'immagine della giustizia decorosa e fanno allontanare ancora di più la fiducia dei cittadini dal principio di legalità.
Vogliamo intervenire su tale situazione. L'interpellanza è quindi firmata da parlamentari di tutti gli schieramenti politici che, preoccupati della situazione di tale tribunale (che è fondamentale per il nostro territorio), hanno deciso di sottoscriverla, certi però della sensibilità (lo voglio ribadire) del Ministero (più volte interessato) verso la tematica. Sono certo che, una volta individuate le disponibilità di personale, ma anche un supporto materiale, organizzativo-logistico, sarà possibile trovare una soluzione. Chiedo quindi al sottosegretario di intervenire attraverso una riunione operativa, sul territorio, con le massime cariche istituzionali del tribunale, del consiglio dell'ordine e degli avvocati di Torre Annunziata, per cercare di dare un impulso in positivo e portare quella serenità, quel clima diverso che si aspetta il territorio. Un territorio che già ha grandi «fibrillazioni» di carattere sociale che non accennano a placarsi e non dovrebbe pertanto registrarne altre anche nella sede atta a garantire la legalità.
Resto dunque in attesa della risposta del sottosegretario.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, la delicatezza della situazione del tribunale di Torre Annunziata e il fatto che sulla stampa è spesso all'ordine del giorno la problematica giudiziaria dell'intero territorio impongono una risposta analitica, che possa anche costituire la base per l'auspicato incontro, sollecitato dall'onorevole interpellante: ossia per l'individuazione delle effettive cause del notevole disagio avvertito sul territorio, anche da parte dei cittadini, degli operatori e dal mondo dell'avvocatura. Ciò, però, tenendo conto dei dati effettivi esistenti.
La dotazione organica del tribunale di Torre Annunziata prevede 115 unità: ne sono presenti 122 (considerate 1 unità di personale a tempo determinato, 15 comandate da altre amministrazioni, 3 centralinisti non vedenti e 4 dipendenti in soprannumero). L'ufficio notifiche e protesti (NEP) di Torre Annunziata prevede 18 unità: ne sono presenti 18. La dotazione organica della procura della Repubblica presso il tribunale prevede 44 unità: ne sono presenti 50. L'ufficio del giudice di pace di Torre Annunziata prevede 12 unità: ne sono presenti 15. La dotazione organica della sezione distaccata di Castellammare di Stabia prevede 16 unità: ne sono presenti 17. L'ufficio NEP di Castellammare di Stabia prevede 10 unità: ne sono presenti 11. L'ufficio del giudice di pace di Castellammare di Stabia prevede 5 unità: ne sono presenti 9. La dotazione organica della sezione distaccata di Gragnano prevede 8 unità: ne sono presenti 9. L'ufficio NEP di Gragnano prevede 5 unità: ne sono presenti 4. L'ufficio del giudice di pace di Gragnano prevede 4 unità: ne sono presenti 9. L'organico della sezione distaccata di Sorrento prevede 9 unità e non presenta vacanze. L'ufficio NEP di Sorrento prevede 7 unità: ne sono presenti 6. L'ufficio del giudice di pace di Sorrento prevede 5 unità: ne sono presenti 4. La dotazione organica della sezione distaccata di Torre del Greco prevede 9 unità: ne sono presenti 12. L'organico dell'ufficio NEP di Torre del Greco prevede 9 unità: ne sono presenti 7. L'ufficio del giudice di pace di Torre del Greco prevede 5 unità: ne sono presenti 8. L'ufficio del giudice di pace di Pompei prevede 5 unità: ne sono presenti 12.
Per quanto riguarda il problema dell'edificio giudiziario ove ha sede il giudice di pace di Torre del Greco, più volte è stata segnalata la criticità delle strutturePag. 53ed è stata evidenziata l'insufficienza e l'inadeguatezza dei locali. La struttura ha una dimensione di circa 400 metri quadrati ed è utilizzata promiscuamente da uffici giudiziari e da privati, mentre per le esigenze dell'ufficio sarebbe necessaria una superficie di circa 800 metri quadrati. Il Ministero ha più volte invitato, senza esito, il comune di Torre del Greco a reperire locali idonei, anche ricorrendo a locazioni da terzi, in considerazione del fatto che i canoni potrebbero essere ammessi ai contributi previsti dalla legge n. 392 del 1941.
Deve peraltro farsi presente che, da informazioni assunte presso il tribunale di Torre Annunziata, si è avuta notizia che sarebbe stato individuato un nuovo immobile da prendere in locazione per essere destinato a sede del giudice di pace, e che tale soluzione sarà sottoposta alla valutazione della competente Commissione di manutenzione del tribunale di Torre Annunziata. Ciò premesso, deve farsi presente che, in linea generale, per effetto di successivi decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal mese di ottobre 2000 la dotazione organica del personale amministrativo è stata ridotta di complessive 701 unità, al fine di realizzare, nel rispetto dei vincoli di bilancio, un assetto organico corrispondente al nuovo ordinamento professionale delineato dal contratto collettivo integrativo.
Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 ottobre 2005 le dotazioni organiche nazionali dell'amministrazione giudiziaria sono state ulteriormente rideterminate, apportando una riduzione ai contingenti complessivi del personale dirigenziale di seconda fascia e del personale amministrativo ed UNEP pari a 2.495 unità (parliamo del dato nazionale).
In linea tendenziale, con il provvedimento attuativo, costituito dal decreto ministeriale 8 marzo 2007, si è proceduto a decurtare le risorse destinate a ciascuna struttura in modo proporzionale alla riduzione dei contingenti complessivi. Conseguentemente a tali riduzioni sul territorio nazionale, le piante organiche delle sezioni dei tribunali sono state ridotte - parliamo di Torre Annunziata - di 3 unità nel solo profilo professionale di operatore giudiziario B2. Il tribunale di Torre Annunziata è stato ridotto di 4 unità complessive, nei profili professionali di cancelliere C2 e B3 e ausiliario B1 e A1.
Per quanto riguarda la lamentata sproporzione tra i carichi di lavoro dei tribunali di Napoli e Torre Annunziata, si fa presente che i valori pro capite relativi al tribunale di Napoli, risultanti dal rapporto tra «sopravvenuti» nell'anno 2005 e piante organiche, sono superiori ai valori pro capite del tribunale di Torre Annunziata. Tale situazione non cambia, anche tenendo conto del rapporto tra personale amministrativo e magistrati, in quanto il circondario del tribunale di Napoli risulta essere sfavorito, numericamente, rispetto al tribunale di Torre Annunziata. Pertanto, la situazione del personale amministrativo in servizio nel tribunale di Torre Annunziata e negli uffici del circondario non appare particolarmente problematica se rapportata con le attuali piante organiche, le quali, come detto, sono state recentemente ridimensionate con il decreto ministeriale 8 marzo 2007, che ha ripartito le piante organiche con una riduzione del 5 per cento, in applicazione della legge n. 311 del 30 dicembre 2004.
Quindi, ad eccezione di alcune vacanze di rilievo nel tribunale e nella procura circondariale - vacanze che interessano le posizioni apicali dell'area C -, negli altri uffici si evidenzia una scopertura minima, che spesso è compensata dalla presenza di un consistente numero di unità in comando da altre amministrazioni. Infatti, sono complessivamente presenti ben 52 dipendenti di altre amministrazioni in posizione di comando, il cui apporto lavorativo non appare trascurabile, tenuto anche conto che alcuni di essi prestano servizio negli uffici giudiziari già da numerosi anni e, pertanto, hanno acquisito le necessarie competenze specifiche nel settore.
Ciò premesso, il motivo principale delle attuali, ma limitate, scoperture degli uffici va individuato nel blocco delle assunzioni di personale nella pubblica amministrazione.Pag. 54Tale blocco, infatti, impedisce di provvedere alla copertura delle vacanze e induce ad un aggravamento determinato dalla cessazione - fenomeno fisiologico - per limiti di età, che avviene con gli anni. Inoltre, alcuni posti vacanti, in particolare quelli di operatore giudiziario B3 e di ufficiale giudiziario C2, incidono solo formalmente sulla situazione degli uffici, poiché sono relativi a figure professionali e posizioni economiche introdotte ex novo in funzione delle procedure di riqualificazione e per le quali non esiste personale in servizio.
Questa amministrazione, negli ultimi anni, è stata autorizzata ad assumere un limitato numero di unità. Tali unità nel 2005 sono state riservate, dalla legge n. 311 del 2004, esclusivamente ai vincitori ed idonei del concorso a 443 posti di ufficiale giudiziario. Con i vincitori di tale concorso sono stati coperti 3 posti di ufficiale giudiziario C1 nell'ufficio di Torre Annunziata ed un posto di ufficiale nell'ufficio NEP di Castellammare di Stabia.
Anche nel 2006 è stata autorizzata l'assunzione di sole 99 unità complessive - parliamo del dato nazionale - a fronte di oltre 5.000 vacanze in ambito nazionale, da attingere dalla medesima graduatoria degli ufficiali giudiziari C1 per coprire posti vacanti di cancellieri C1. All'esito di tale procedura sono stati coperti 3 posti di cancelliere C1 nella procura della Repubblica di Torre Annunziata.
Si fa ancora presente che, come concordato con le organizzazioni sindacali nell'accordo del 27 marzo 2007 sui criteri della mobilità interna, sono stati recentemente pubblicati gli interpelli per la copertura, tramite trasferimenti a domanda, di alcuni posti vacanti nelle varie figure professionali. L'accordo del 27 marzo 2007 è intervenuto a distanza di anni ed è stato vanamente atteso, sino a quella data, dal personale. Nello specifico, sono stati pubblicati un posto di direttore di cancelleria C3 nella procura della Repubblica di Torre Annunziata, un posto di direttore di cancelleria C3 e 2 posti di cancelliere B3 nella sezione distaccata di Castellammare di Stabia (i quali costituiscono le uniche vacanze dell'ufficio), un posto di ausiliario A1 (che costituisce l'unica vacanza dell'ufficio) nella sezione distaccata di Gragnano, uno di operatore giudiziario B1 ed uno di operatore giudiziario B2 nell'ufficio del giudice di pace di Castellammare di Stabia ed uno di operatore giudiziario B2, rispettivamente negli uffici del giudice di pace di Gragnano, Sorrento e Torre Annunziata. Inoltre, con l'interpello dello scorso 27 giugno è stata pubblicata la posizione dirigenziale vacante nella procura della Repubblica di Torre Annunziata.
Sono state inoltre adottati dall'amministrazione ulteriori provvedimenti, quale quello del rinnovo del contratto del personale in servizio a tempo determinato, gli ex lavoratori socialmente utili. Inoltre è stato attivato il comando di una unità della posizione economica C3 da altra amministrazione a favore del tribunale di Torre Annunziata e di una unità, della posizione economica A1, nella sezione distaccata di Gragnano. Infine, si aggiunge che per fronteggiare le situazioni di maggiori criticità, anche di natura temporanea, gli organi di vertice del distretto possono adottare lo strumento dell'applicazione, che trova fondamento nell'esigenza di sopperire alla mancanza di personale, sia nell'ipotesi di scopertura del posto sia di assenze prolungate. Ovviamente, tale iniziativa spetta al presidente della corte di appello per gli uffici NEP e per gli uffici giudicanti, ed al procuratore generale per gli uffici requirenti. Proprio con il ricorso alle applicazioni in ambito distrettuale è possibile sopperire alle carenze dei cancellieri C2 a cui si fa espresso riferimento nell'interrogazione, ma tenendosi conto della diffusa carenza di personale di tale figura professionale in tutto il Paese.
Inoltre, in relazione al personale degli uffici NEP, si menziona la circolare del 27 settembre 2002 che ha ribadito l'interfungibilità delle funzioni di notificazione e di esecuzione degli atti tra le posizioni economiche C1 e B3 dell'ufficiale giudiziario, consentendo una maggiore efficienza del servizio attraverso la flessibilità dell'impiego delle risorse umane. Infine, va tenutoPag. 55conto che l'attuale scopertura del personale amministrativo della giustizia per l'Italia settentrionale è pari circa al 30 per cento, per l'Italia meridionale e insulare è dell'ordine di circa l'8 per cento e che recentemente il ministero è stato autorizzato, straordinariamente, all'assunzione di 2.800 unità nell'area C, posizione economica C1.
PRESIDENTE. L'onorevole Cesario ha facoltà di replicare.
BRUNO CESARIO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per la sua relazione, anche precisa, sui dati e sull'organico previsto presso il tribunale di Torre Annunziata.
Ovviamente quanto enunciato riguarda, da una parte, la certezza e, dall'altra, il futuro (dopo l'interpello di marzo). Anche se ci avviamo ad una risoluzione della questione dell'organico, il dato che emerge, rispetto all'organico consolidato, è un raddoppio del carico di lavoro. Facendo un esempio si osserva come la sezione distaccata di Sorrento abbia procedimenti civili di cognizione ordinaria pendenti che sono passati da 2.090 (nel 2001) a 4.257 nel 2006, con processi che durano in media sette anni. Pertanto, si ha, rispetto all'organico impiegato, tale enorme lavoro che aumenta il contenzioso e quindi anche la possibilità di chiudere i processi in tempi ragionevoli.
La segnalazione che abbiamo fatto è volta - ovviamente tenendo conto della disponibilità del Ministero, così come ho sottolineato anche in precedenza - a chiedere al sottosegretario un incontro per fare in modo che tali dati siano accompagnati da una volontà politica, sul territorio, per dare un segnale forte ad una realtà in difficoltà, che ha bisogno del supporto dello Stato cosicché, al contempo, possa avere anche il Ministero al suo fianco per superare le questioni di organico, organizzative e strutturali, dando un'accelerazione al completamento di una struttura che ormai è diventata una parodia. Sono anni che esiste un conflitto perenne sul completamento di quest'opera fondamentale. Pertanto, partendo da ciò, con il supporto del Ministero, con un tavolo sul territorio (presso il tribunale, considerata la disponibilità del sottosegretario), penso che faremo un buon servizio ad un territorio importante (la fascia vesuviana e la zona dell'hinterland di Napoli), ma che ha bisogno di tutela da parte dello Stato.
(Iniziative per il completamento dei lavori per il corridoio tirrenico - n. 2-00651)
PRESIDENTE. L'onorevole Evangelisti ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00651, concernente iniziative per il completamento dei lavori per il corridoio tirrenico (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 10).
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intervengo brevemente anche se l'argomento meriterebbe di ricordare la storia, perché si tratta di una storia trentennale. Stiamo parlando del tracciato autostradale tra Livorno e Civitavecchia, oggetto delle attenzioni - direi quasi dei desideri, ma si può parlare, più propriamente, di aspettative - dei cittadini di tutta la Toscana e non solo, poiché sono coinvolte anche le amministrazioni locali e le forze produttive ed imprenditoriali. Se posso fare un paragone, in qualche modo forzato e azzardato, paragonerei la vicenda alla TAV che doveva attraversare la Val di Susa, ma con una piccola differenza. In Val di Susa erano tutti contrari, mentre in Toscana sono tutti d'accordo. Non vi è una amministrazione, ad esclusione del comune di Capalbio (ma forse è un caso), che si sia pronunciata contro il provvedimento e la realizzazione del tratto autostradale. Quest'ultimo, infatti, riveste un ruolo strategico per un equilibrato sviluppo di decongestionamento dell'attraversamento della dorsale appenninica. Vi è, poi, un riverbero anche per quanto riguarda la sinergia con le attività portuali di Piombino, Livorno e Marina di Carrara.
Inoltre, vorrei che potessimo leggere questa tratta - che declino soltanto nellaPag. 56dimensione regionale e toscana - in un ideale collegamento con l'Europa, perché se il sottosegretario ha in mente (mi rivolgo direttamente a lui, se mi è consentito) una strada che da Parigi arriva a Lione, Nizza e poi fino a Genova e Livorno constaterà che si ferma in quel punto. Poi, vi è Roma e si prosegue. Si vede, pertanto, come vi sia proprio un «dente» che manca.
Quindi, si tratterebbe di ritornare lì e, finalmente, autorizzare la proroga della concessione alla SAT, la Società Autostrada Tirrenica, che ha presentato un piano che prevede l'apertura dei cantieri nel 2010 e la conclusione dei lavori entro il 2013. Tale previsione pecca forse di un eccesso di ottimismo, così come forse vi è un eccesso di ottimismo quando si parla della realizzazione di questo progetto a costo zero. Non esiste nulla a costo zero. Non ci sarà sicuramente un costo immediato per lo Stato, ma saranno i cittadini a finanziare l'opera, attraverso il meccanismo del project financing.
Detto questo ed avendo fatto presente che si tratta di sottoporre al CIPE il rinnovo della convenzione, oggi solleviamo tale questione in quanto, da notizie apparse recentemente sugli organi di informazione, il direttore generale del dipartimento salvaguardia ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ipotizzato una nuova valutazione di impatto ambientale.
In particolare, il 4 luglio, dal quotidiano Il Tirreno, si è appreso che, per intervento del Ministro Francesco Rutelli, è stata ulteriormente rinviata la firma, prevista per il 4 luglio stesso, degli atti relativi al completamento del corridoio tirrenico. Quel giorno si sarebbero dovuti incontrare a Firenze i rappresentanti dell'ANAS, della SAT, del Ministero delle infrastrutture e della regione Toscana. Tale notizia ci ha spinto a presentare questa interpellanza urgente. Tuttavia, dopo una settimana - oggi è il 12 luglio - sul quotidiano la Repubblica si legge che il Ministro Francesco Rutelli rinvia la firma per l'inizio dei lavori e la regione Toscana deve incassare un nuovo slittamento dei tempi. Dopo la valutazione di impatto ambientale, il Ministero dei beni culturali vuole esprimere anche il proprio parere sull'intero progetto di completamento del tratto autostradale Livorno-Civitavecchia.
Quindi, chiediamo ai Ministri Rutelli, Di Pietro e Pecoraro Scanio quali siano i provvedimenti che hanno intenzione di intraprendere al fine di dissipare ogni dubbio sulla fattibilità ed il concreto avvio dei lavori.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali, Danielle Mazzonis, ha facoltà di rispondere.
DANIELLE MAZZONIS, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, cercherò di dare una risposta molto circostanziata, per cui mi scuso se mi dilungherò. La tratta autostradale A-12 Cecina-Civitavecchia, denominata «corridoio tirrenico», rappresenta l'insieme delle infrastrutture dei trasporti che effettivamente consentono, come ha sostenuto l'interpellante, i collegamenti lungo tutta la costa tirrenica.
In particolare, si fa riferimento all'unico tratto della direttrice che non risulta coperto da assi viari di tipo autostradale. Il percorso tra Rosignano e Civitavecchia - in totale 230 chilometri, di cui una parte importante (188 chilometri) in Toscana, nelle province di Livorno e Grosseto - risulta molto disomogeneo nelle sue caratteristiche.
Da Rosignano a Grosseto Sud il collegamento avviene con la variante dell'Aurelia a quattro corsie, con spartitraffico centrale, con una larghezza di quasi 19 metri. Da Grosseto al confine con la regione Toscana, il transito si sviluppa, invece, sul tracciato originario dell'Aurelia, in gran parte a quattro corsie, con una carreggiata inferiore ai 15 metri. Il tratto finale, tra Ansedonia e il confine regionale, ha solo due corsie.
Il corridoio tirrenico, invece, è a livello europeo considerato come una rete transeuropea, denominata «itinerario E80», come lei stesso ha sostenuto. Pertanto, ilPag. 57completamento del tratto tra Rosignano e Civitavecchia deve essere rapidamente ultimato, considerate anche le condizioni di pericolosità dell'Aurelia, egualmente esplicitate nella sua interpellanza.
È soprattutto necessario arrivare, in tempi ormai irrinunciabili e rapidi, ad adeguati livelli di mobilità e di intermodalità.
Vorrei ricordare, per chi non lo sapesse (so che voi ne siete a conoscenza, ma è giusto che altri ne prendano atto), che il dibattito sulla realizzazione del corridoio tirrenico nasce negli anni Settanta; l'accordo sulla sua realizzazione risale al 2000, porta la firma di tutti i soggetti interessati ed è stato oggetto di dibattiti interminabili (consideriamo che dagli anni Settanta al 2000 sono passati 30 anni!).
In ogni caso la firma del 5 dicembre del 2000 è di tutti i soggetti interessati: il Ministero delle infrastrutture, la regione Toscana, la regione Lazio e l'ANAS. L'intesa di cui si parla prevede l'adeguamento dell'Aurelia a tipologia autostradale. La Commissione VIA del Ministero dell'ambiente, una volta raggiunto questo accordo, ha espresso parere di compatibilità ambientale negativo sul tracciato misto, a causa dell'alto impatto sull'ambiente; ha invece espresso un parere di compatibilità ambientale positivo sul tracciato costiero, modificato a seguito delle integrazioni presentate dalla società.
Il tracciato finale, disegnato in totale accordo con la regione Toscana, ha ottenuto finalmente un parere positivo dal Ministero dell'ambiente nel marzo del 2003.
Con riferimento al tratto Rosignano-Grosseto sud la soluzione del tracciato che è stata reputata più idonea dalla Commissione VIA (il parere, però, è soltanto del 31 febbraio 2006) è l'ampliamento in sede di variante dell'Aurelia stessa.
Per il tratto a sud di Grosseto la soluzione indicata dalla società SAT è la realizzazione di un'autostrada costiera che si colloca per buona parte in affiancamento all'Aurelia la quale dovrebbe diventare, invece, una strada parco di raccordo con le reti viarie locali. Questo è, più o meno, lo scenario obiettivo della situazione.
A questo punto vengo alla valutazione del Ministero per i beni e le attività culturali. Esso ha svolto le valutazioni di competenza con le proprie strutture periferiche, in particolare con le sovrintendenze per i beni architettonici, paesaggistiche e quelle archeologiche. Bisogna considerare anche quelle del Lazio e quelle della Toscana. Nel complesso gli uffici hanno espresso pareri tecnici favorevoli alla soluzione costiera, condizionandola però al rispetto di alcune osservazioni tendenti alla salvaguardia dei valori paesaggistici e al rispetto dei siti archeologici.
Mi soffermo anche sul dettaglio delle valutazioni degli uffici. La prima di esse proviene dalla sovrintendenza dei beni archeologici per l'Etruria meridionale e risale al 2003; quella dei beni archeologici del Lazio sulle nuove versioni è del 2005; ve ne è una ulteriore dei beni archeologici, alla luce dei cambiamenti intervenuti, dell'ottobre del 2005; infine, il parere della sovrintendenza per i beni architettonici e storici-artistici delle province di Pisa e Livorno è dell'agosto 2005. Ho citato tali dati per sottolineare il numero dei pareri che sono stati espressi, man mano che venivano apportati dei cambiamenti: pareri che sono stati sempre positivi. La sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Siena e Grosseto ha espresso parere positivo nel 2005.
In ogni caso, a seguito di tutte queste disamine, la direzione generale a Roma, il 25 ottobre 2005, richiede una documentazione integrativa al fine di poter valutare l'opera con riferimento alle tematiche di impatto sul paesaggio e sul patrimonio culturale. La società recepisce le integrazioni e le sovrintendenze che ho citato e di cui non ripeto i nomi, esprimono parere positivo.
A questo punto la direzione generale a Roma acquisisce tali pareri, li esamina e li integra per quanto concerne la situazione vincolistica e paesaggistica e chiude l'istruttoria (vi risparmio tutti i dettagli dei vari passaggi).Pag. 58
Conclusa l'istruttoria, si verificano una serie di agitazioni che riguardano il tracciato Livorno-Civitavecchia; una mobilitazione delle comunità locali che si contrappongono alla realizzazione di una nuova infrastruttura sul territorio della Maremma.
Dal punto di vista dell'impegno sulle nuove aree occupate, rispetto a tale questione si possono distinguere due diverse parti del progetto: una riguarda il tratto Cecina-Grosseto e l'altra Grosseto sud-Civitavecchia. Il primo tratto (Cecina-Grosseto) in linea di massima si sovrappone alla superstrada Aurelia e, pertanto, riduce in maniera notevole l'occupazione delle nuove aree, per cui non sembra destare problemi. Il secondo tratto (Grosseto sud-Civitavecchia) presenta caratteristiche diverse dal primo; il tracciato si discosta per la maggior parte dalla viabilità esistente inducendo problematiche di accettabilità - così ci riferiscono - da parte delle amministrazioni locali che hanno chiesto di svolgere un ruolo di rilievo più importante sulle questioni paesaggistico-territoriali, nel rispetto dei principi di sussidiarietà. Ciò ha determinato ulteriori perdite di tempo che l'ufficio legislativo definisce con i termini di gestazione, cambiamenti sostanziali nel tracciato iniziale e proposizione di varie soluzioni progettuali.
Per il secondo tratto, situato nel territorio laziale, la regione Lazio, quale istituzione locale interessata all'intervento sino al confine regionale, che coincide con il comune di Montalto di Castro, ha richiesto, al fine di valutare la compatibilità dell'opera, l'integrazione del progetto autostradale con la viabilità esistente e con gli strumenti di programmazione regionale.
Il Ministero per i beni e le attività culturali, in considerazione dell'alto valore paesaggistico che il territorio coinvolto possiede, pur non ritenendo la soluzione autostradale in contrasto con un possibile scenario dello sviluppo infrastrutturale del territorio, considera opportuna, per tale secondo tratto, la valutazione di soluzioni che consentano il raggiungimento del miglioramento della mobilità attraverso un minor impiego del territorio ed un minore impatto sul paesaggio quale bene del patrimonio culturale, considerando pertanto l'adeguamento della superstrada Aurelia tra Grosseto sud e Civitavecchia obiettivo primario per avviare a soluzione problemi di sicurezza, di omogeneità e di transitabilità del corridoio tirrenico.
Tutto ciò considerato, il Ministero ha espresso il parere tecnico favorevole per quanto riguarda il tratto Cecina-Grosseto sud, nel rispetto delle prescrizioni impartite dalle soprintendenze territoriali competenti che di seguito si evidenziano.
In merito alle problematiche di rischio archeologico, si richiedono che siano presentati in fase di progetto definitivo, da parte della società - ma questa è l'ordinaria procedura, non è una novità -, approfondimenti per quanto riguarda: l'abitato etrusco di Val Petraia, l'area di Vignale Riotorto e tutti i siti individuati nel corso dello studio preliminare situati a distanza inferiore a cento metri dal tracciato da realizzare.
In fase definitiva si chiede che tutte le operazioni che comportino qualsiasi movimento di terra, debbano essere effettuate sotto il controllo di personale qualificato e, qualora si renda opportuno, vengano effettuati saggi di accertamento archeologico. Il tracciato autostradale dovrà collocarsi in modo più possibile in aderenza alla configurazione morfologica del terreno, evitando rilevati e viadotti eccessivamente emergenti dal piano campagna al fine di rendere una percezione visiva del nastro autostradale più aderente e mitigabile al territorio. Dovranno, inoltre, essere presentati i progetti delle opere di mitigazione da concordare con le soprintendenze territorialmente competenti.
I progetti di mitigazione dovranno, in particolare, rendere la continuità paesaggistica delle aree boscate, mitigare gli impatti visivi degli imbocchi delle gallerie dei viadotti e degli svincoli i quali dovranno, peraltro, essere progettati con un minore impegno del territorio. Dovranno essere redatti, inoltre, progetti di inserimento paesaggistico relativamente all'accessibilitàPag. 59ai fondi agricoli. Il proponente dovrà ottemperare a tutte le suddette prescrizioni nella redazione del piano definitivo, da presentarsi prima dell'inizio delle opere: i relativi elaborati progettuali di recepimento andranno sottoposti alla verifica di ottemperanza da parte delle soprintendenze di settore.
Poiché il tracciato Grosseto sud-Civitavecchia prefigura impegni di nuove aree territoriali e ulteriori delicate trasformazioni del paesaggio, il progetto definitivo andrà qualificato nel senso di ridurre al minimo l'incidenza sui valori paesaggistici e andrà reso integralmente compatibile con le istanze di tutela. Il Ministero per i beni e le attività culturali darà il suo assenso all'opera, poiché si tratta di un obiettivo primario per avviare a soluzione problemi di sicurezza e di omogeneità con riferimento alla transitabilità del corridoio tirrenico e si riserva, attraverso i propri uffici competenti, di esprimere i pareri di legge sul progetto definitivo, in funzione dell'effettiva mitigazione derivante dall'adozione di idonee ed adeguate soluzioni progettuali.
PRESIDENTE. L'onorevole Velo, cofirmataria dell'interpellanza Evangelisti n. 2-00651, ha facoltà di replicare.
SILVIA VELO. Signor Presidente, signor sottosegretario, mi dichiaro parzialmente soddisfatta della risposta, molto dettagliata, di illustrazione dello stato di attuazione del progetto e della discussione in corso. L'interpellanza ai Ministri per i beni e le attività culturali, delle infrastrutture, e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare era, in realtà, un pretesto per cercare di capire quale sia l'intendimento del Governo sulla realizzazione del progetto in questione. È chiaro che la realizzazione di un'autostrada sulla costa tirrenica italiana, che attraversa un territorio preziosissimo dal punto di vista ambientale e paesaggistico e delle emergenze culturali è, di per sé, un progetto delicato, da approfondire e trattare con la massima cautela. Noi, però, siamo convinti che la politica e gli strumenti della tecnologia possano garantire la fattibilità di quest'opera, necessaria per lo sviluppo del Paese e non solo della Toscana: lo sviluppo del Paese, infatti, passa anche attraverso lo sviluppo della Toscana e dei suoi porti (Livorno, Piombino, Marina di Carrara, Civitavecchia ed altri).
Si può costruire quest'opera senza peggiorare l'altissima qualità ambientale del territorio. Come diceva l'onorevole Evangelisti, non è vero che sull'opera ci sono mobilitazioni locali: se ve ne sono, esse, almeno in Toscana, sono a sostegno dell'opera. Sono sindaco di uno dei comuni attraversati dal corridoio tirrenico e posso testimoniare il lavoro puntuale e preciso che è stato svolto dagli uffici regionali toscani e dalla SAT (Società autostrada tirrenica) nel definire, tratto per tratto, le viabilità accessorie. Abbiamo addirittura progettato le rotonde agli incroci significativi della vecchia strada statale Aurelia, per disincentivare il ritorno del traffico pesante su tale strada: un lavoro certosino, che ha riguardato, in alcuni tratti, anche le proprietà poderali, per evitare danni in un'area che a Grosseto - e, in particolare, nella provincia - è fortemente vocata all'agricoltura. Non si può disconoscere la volontà dei territori, che chiedono, naturalmente, di essere salvaguardati nella tutela ambientale, ma anche di non rimanere isolati in un'area del Paese che rischia, appunto, di essere identificata in un buen retiro per chi vive in città e di decadere nella sua possibilità di sviluppo e di creazione di occupazione e di lavoro.
Il lavoro legato al mare, concentrato in un periodo di tempo ristretto, non basta. Vogliamo che l'industria presente, per esempio, a Piombino, possa svilupparsi e così anche la logistica e la portualità.
Come dicevo, vi è un progetto che tutti i comuni - tranne uno - delle province di Livorno e di Grosseto, le stesse province di Livorno e di Grosseto e la regione Toscana hanno approvato. Si tratta, quindi, di un progetto concordato, condiviso e voluto dalle comunità locali.
Crediamo che se questo progetto fosse bloccato dalla volontà di un movimento di pensiero, che è evidente e che sta esercitandoPag. 60con forza la sua azione in Toscana, e che si esplicita anche attraverso gli organi di stampa, si porrebbe un problema di ordine democratico.
Questa volta, peraltro, a differenza del caso TAV, il problema di democrazia si porrebbe in maniera opposta, con il disprezzo della volontà della maggioranza.
Pertanto, sollecitiamo i ministeri competenti, affinché tutti gli approfondimenti tecnici necessari vengano espletati - perché anche le comunità locali vogliono le adeguate garanzie -, ma crediamo che siamo giunti al momento in cui le questioni tecniche sono state praticamente tutte affrontate.
È il momento che il progetto venga trasmesso al CIPE, al quale ciascun ministero competente potrà esprimere liberamente il suo giudizio. Credo sia difficile continuare a girare intorno ad una questione tecnica che, in realtà, non è tecnica, ma politica.
Per questo motivo, abbiamo interpellato il Ministero per l'università e la ricerca, nonché il Vicepremier Rutelli ed i Ministri Di Pietro e Pecoraro Scanio, per coinvolgere il Governo in una decisione che non aspetta altro che di essere adottata (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Italia dei Valori).
(Schema di regolamento recante modalità di svolgimento dei concorsi per ricercatori universitari - n. 2-00650)
PRESIDENTE. L'onorevole Filipponio Tatarella ha facoltà di illustrare l'interpellanza La Russa n. 2-00650, concernente lo schema di regolamento recante modalità di svolgimento dei concorsi per ricercatori universitari (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 11), di cui è cofirmataria.
ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Signor sottosegretario Dalla Chiesa, a me sembra che, con riferimento alla problematica relativa all'accesso alla carriera di ricercatore universitario, il peccato originario risieda nel comma 647 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), il quale testualmente dispone - lo ricordo anche se lei lo conosce - che, in attesa della riforma dello stato giuridico dei ricercatori universitari, il Ministro dell'università e della ricerca, con proprio decreto, da emanare entro il 31 marzo 2007, sentiti il Consiglio universitario nazionale (CUN) e la CRUI, disciplina le modalità di svolgimento dei concorsi per ricercatore, banditi dalle università successivamente alla data di emanazione del predetto decreto ministeriale, con particolare riguardo alle modalità procedurali ed ai criteri di valutazione di titoli didattici e dell'attività di ricerca, garantendo celerità, trasparenza e allineamento agli standard internazionali.
Già qui, a mio avviso, si radica il primo errore, sia sotto il profilo giuridico costituzionale, sia sotto quello politico. Con riguardo al primo aspetto, non può, infatti, non destare profondo disappunto il ricorso ad un meccanismo di delega in bianco, che il legislatore, cioè lo stesso Governo, ha conferito al Ministro dell'università e della ricerca, che, titolare dell'esercizio della potestà normativa regolamentare, si accinge ora a disciplinare ex novo un settore così importante dell'ordinamento universitario, quale quello che attiene alle procedure concorsuali dei ricercatori.
Noi tutti - penso anche lei - abbiamo imparato, studiando sui più importanti manuali di diritto costituzionale e di diritto pubblico, che l'istituto della delega è, per antonomasia, quello individuato dall'articolo 76 della Costituzione, che autorizza il Governo ad esercitare la funzione legislativa, previa determinazione da parte del Parlamento dei principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.
Nulla in questo schema viene riprodotto dalla citata norma della legge finanziaria che, nelle more di una futuribile riforma dello stato giuridico dei ricercatori universitari, consegna nelle mani della burocrazia del Ministero il compito di introdurre nell'ordinamento, legibus solutus, norme che, anche nel merito, appaionoPag. 61molto discutibili. Inoltre, sul piano del rispetto della gerarchia delle fonti del diritto, si configura un monstrum, nel senso etimologico del termine: con un decreto ministeriale - quindi con un mero atto amministrativo, questo per me è il punto - si modifica una precedente disciplina normativa, anzi la si abroga di fatto, in modo implicito, non tenendo conto che la vigente disciplina in materia di reclutamento dei ricercatori è contenuta nella legge n. 210 del 1998 e nel relativo regolamento di attuazione. Tra l'altro, nel caso di specie, non ci troviamo nemmeno di fronte ad un regolamento di delegificazione, di cui all'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, che è l'unico autorizzato ad abrogare norme di rango primario o norme contenute in altri tipi di regolamenti, emanati ai sensi della stessa legge n. 400 del 1988. Signor sottosegretario, in questo modo non si abroga solo una legge (sarebbe poco male); secondo me si abroga il principio di legalità che, come lei sa, è un pilastro dello Stato di diritto, vale a dire di ciò che attiene all'essenza stessa del diritto.
Finora - ma solo per non essere prolissa - ho esposto i limiti giuridico-formali del provvedimento, ma l'intera questione non può sfuggire ovviamente ad un sindacato di natura politica. Infatti, come già ho avuto modo di sottolineare in altra sede, un'ulteriore conseguenza di questa improponibile soluzione normativa è anche quella che attiene all'oggettivo esautoramento del ruolo del Parlamento, che in questa vicenda ha ricevuto, mi sia consentito dirlo, «l'avviso di notifica» Mi rendo conto che la conversione al bipolarismo politico, in cerca di un maturo e definitivo radicamento nel nostro Paese, vede le forze politiche, dell'una e dell'altra coalizione, essere portate irresistibilmente a riscrivere, a propria immagine e somiglianza, segmenti rilevanti dell'ordinamento giuridico. Tuttavia, in tal modo la certezza del diritto - intendendosi per tale il bisogno di mantenere una ragionevole, tendenziale stabilità del quadro normativo complessivo - viene ad essere sottoposta ad uno stress continuo, causato dall'uso congiunturale ed occasionalistico degli strumenti di normazione, la cui finalità (preciso che non ritengo che questa finalità che sto per esporre sia insita nel provvedimento in esame), il più delle volte, è solo quella di soddisfare interessi politici (e ribadisco la precisazione che ho esposto poc'anzi).
Ecco allora, signor sottosegretario, che l'aver optato per il ricorso allo strumento del decreto ministeriale equivale non solo a ledere l'impianto politico-istituzionale di base, già compromesso dal rinnovo, a ritmi incalzanti, della relativa normativa di settore, ma soprattutto equivale ad introdurre, nell'universo mondo dell'ordinamento, norme di rango secondario, non solo non condivisibili sul piano del merito - come ha affermato la CRUI, con il parere dello scorso 24 maggio, che lei ben conosce - ma che sono assai fragili e precarie. Infatti, come lei stesso può immaginare, il prossimo Ministro dell'università e della ricerca, sia egli di centrodestra o di centrosinistra, può provvedere a revisionare in un attimo questo provvedimento predisposto da voi, proprio in quanto trattasi di atto amministrativo. Quindi, questo atto ha meno chance di perdurare nel tempo rispetto ad una normativa di rango primario, che il signor Ministro avrebbe potuto promuovere, con senso di responsabilità istituzionale e con il concorso di tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione.
Non è questa la via che avete seguito! Avete seguito la via del decreto ministeriale. Francamente, ciò mi stupisce, perché riconosco e sono convinta, per la conoscenza che posso avere, che il Ministro Mussi ha un elevato senso istituzionale, nonché un autentico interesse per la riforma dell'università e per la stessa in genere. Tale incongrua scelta - ripeto - oltre a ledere i principi del diritto e l'interesse dell'università, mi stupisce e mi dispiace, perché si sarebbe potuta evitare.
Quello che chiediamo è che si scelga una forma giuridica più congeniale all'importanza dell'oggetto di cui stiamo discutendo.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca, Nando Dalla Chiesa, ha facoltà di rispondere.
NANDO DALLA CHIESA, Sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca. Signor Presidente, l'interpellante ha ampliato il quadro critico rispetto all'interpellanza che ci era stata proposta e quindi aggiungerò delle notazioni riferite agli appunti che sono stati aggiunti.
Ricordo intanto che le disposizioni alle quali si è riferita l'onorevole Filipponio Tatarella prevedono che, in attesa della riforma dello stato giuridico dei ricercatori universitari, il Ministro dell'università e della ricerca, con suo decreto, disciplini le modalità di svolgimento dei concorsi per ricercatore, con particolare riguardo alle modalità procedurali e ai criteri di valutazione dei titoli didattici e dell'attività di ricerca, garantendo celerità, trasparenza ed allineamento agli standard internazionali.
È evidente che la legge finanziaria, che è una norma ordinaria e, quindi, fonte di rango primario, ha stabilito i criteri da seguire per la regolamentazione della materia dei concorsi a ricercatore e ha rimesso al decreto del Ministro l'attuazione dei criteri indicati.
Il Governo ha, pertanto, dato seguito alle disposizioni della legge n. 296 del 2006. In relazione alle considerazioni esposte, non si ritiene che sul provvedimento adottato potrà essere ipotizzato un fondato contenzioso giurisdizionale.
Il regolamento per il reclutamento è stato presentato dal ministro Mussi nell'audizione presso la 7a Commissione del Senato del 29 maggio 2007 nel corso della quale ha, tra l'altro, esposto i contenuti del provvedimento ed ha illustrato gli obiettivi del piano straordinario di reclutamento. Tali argomenti sono stati ripresi anche in occasione dell'audizione del Ministro presso la VII Commissione della Camera dei Deputati svoltasi il 13 giugno 2007.
Il provvedimento, come è senz'altro noto agli onorevoli interpellanti, prevede una razionalizzazione dello svolgimento dei concorsi per l'assunzione dei ricercatori, con l'obiettivo di eliminare le molte problematiche collegate alla procedura di reclutamento prevista dalla normativa vigente; il testo della proposta ministeriale tiene conto dei suggerimenti del Consiglio universitario nazionale e della CRUI, il che non esclude che la stessa CRUI possa, a sua volta, muovere ulteriore rilievi tanto che alcuni suggerimenti proposti sono state adottati.
In conclusione, il Ministero ha intenzione di proseguire l'iter di approvazione del provvedimento che prevede l'acquisizione del parere del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari, ritenendo di dover dare applicazione alle disposizioni previste dalla legge finanziaria per l'attuazione del riordino della disciplina relativa alle modalità di svolgimento dei concorsi per i ricercatori.
Vorrei aggiungere che i rilievi a cui ha fatto riferimento l'onorevole Filipponio Tatarella, che mi sembra condividano alcune delle perplessità e dei rilievi che sono stati proposti dalla CRUI, non sono in sé infondati. Credo che il problema non sia quello di respingere quelle osservazioni, ma sia quello di valutare se vi sia un saldo positivo della scelta adottata di dare corso al reclutamento nelle forme che sono state indicate.
Credo che tale saldo positivo vi sia. Non si tratta di «disfare» gli ordinamenti legislativi, né di destabilizzare il sistema accademico, portando le leggi di chi ha vinto le elezioni; mi sembra, piuttosto, che, nel mondo dell'università, l'ossatura del sistema universitario su cui ha lavorato il precedente Governo sia stata mantenuta. Ed è proprio in omaggio al principio per il quale non si disfano le cose, se non si sono valutati attentamente i vantaggi e gli svantaggi, che stiamo monitorando con tanta attenzione gli effetti del nuovo impianto degli studi universitari.
Il problema è che era necessaria un'iniezione di giovani ricercatori nel sistema universitario ed il provvedimento che viene criticato dagli onorevoli Filipponio Tatarella e La Russa nella loro interpellanza urgente è stato pensato esplicitamente - come anche lei, onorevole, haPag. 63ricordato - in attesa della riforma dello stato giuridico dei ricercatori universitari.
Non si tratta, quindi, di un provvedimento che ha l'ambizione di valere per sempre, ma di una disciplina che si inserisce in un momento transitorio della vita dell'università italiana e che intende far fronte alla necessità di reclutare nuovi ricercatori e che si propone, certo, anche di disegnare delle modalità di reclutamento, le quali - se pure presentano quegli inconvenienti a cui lei faceva riferimento - hanno anche vantaggi, a nostro avviso, importanti, in termini di trasparenza e di imparzialità della valutazione (è un grande problema nel reclutamento dei ricercatori, come lei sa meglio di me).
Tale imparzialità va garantita, individuando meccanismi che riescano a sottrarre il procedimento di valutazione a pregiudizi, interessi o lealtà di tipo accademico baronale (per usare un'espressione molto in voga) e garantire che, davvero, i giovani talenti migliori possano accedere al ruolo di ricercatore.
Pertanto, è chiaro che il meccanismo che è stato pensato si presta ad alcune critiche; tuttavia, credo che il saldo, alla fine, sia ampiamente positivo per l'interesse generale dell'università. Inoltre, ritengo anche che aver delineato - sia pure in una circostanza transitoria - meccanismi che potrebbero essere successivamente adottati mediante una fonte normativa di rango primario sia un'iniziativa che può avere una certa utilità anche per il futuro del nostro sistema accademico.
Lei parlava dell'eccezionalità del fatto che tale scelta passi attraverso una fonte normativa di rango secondario; a tal proposito, devo ricordarle che anche l'attuale normativa è disciplinata con una fonte di rango secondario: il decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 2000, n. 117, che non è appunto fonte di rango primario.
Pertanto, stiamo parlando di innovare una fonte normativa di rango secondario con una fonte di pari grado. Su tale aspetto possiamo, naturalmente, improntare tutte le discussioni del caso e rispetto tutte le valutazioni che lei ha fornito, tuttavia, se è così, non ci troviamo di fronte ad un monstrum giuridico.
PRESIDENTE. L'onorevole Filipponio Tatarella ha facoltà di replicare.
ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Signor Presidente, per ricambiare la cortesia del sottosegretario, il quale ha trovato non infondate le mie obiezioni, potrei dire che mi sento parzialmente soddisfatta della sua risposta, ma, signor sottosegretario, purtroppo non lo posso dire e gliene spiego i motivi.
Sulle finalità di tale norma, da lei indicate, non sono d'accordo con lei, ma c'è di più!
Come ho sempre detto e ripetuto questa sera, non penso affatto che da parte vostra vi sia, per così dire, la malafede. Sono convinta che cerchiate una soluzione e che il vostro fine sia il migliore possibile. Tuttavia, proprio per tale ragione, se mi consente, impiego le mie energie per cercare di intervenire, perché ritengo che, almeno in relazione a ciò, condividiamo lo stesso obiettivo. Tuttavia, come lei stesso mi insegna, i mezzi per raggiungere un fine, purtroppo, non sono facili da trovare. Sto parlando proprio di ciò.
Purtroppo, non posso dichiararmi soddisfatta. Lei sostiene che ci troviamo in presenza di un provvedimento transitorio. Tuttavia, è proprio questo il problema! Tale norma non è nemmeno quella definitiva, bensì si va a sostituire ad un'altra precedente. A me non interessa se la norma precedente sia migliore o peggiore e da chi sia stata varata; mi sto riferendo solo alla successione di ciò che accade.
Vi è una norma precedente e vi è questa, la quale, tuttavia, è transitoria, così transitoria che è stato utilizzato lo strumento del decreto ministeriale. Tuttavia, è mai possibile - mi ripeto - che qualcosa di talmente importante, di cui lei stesso poc'anzi ha evidenziato le finalità, possa essere disciplinato da una carta straccia, perché così può essere considerato il decreto ministeriale? Il decreto ministeriale può essere modificato da qualsiasi altroPag. 64ministro, senza interpellare nessuno. È possibile che si adotti un tale provvedimento anche solo in una situazione di attesa? Sappiamo che tali provvedimenti hanno bisogno di tempo, c'è poco da fare!
Lei è a conoscenza di quanto tempo sia stato necessario per varare le riforme precedenti. Un'attesa di sei mesi? Se si fosse trattato di soli sei mesi, sarebbe stata sufficiente la disciplina precedente. La mia è una questione di principio. Se neanche nel Ministero dell'università e della ricerca si bada ai principi, mi dica lei dove si deve fare. Se noi stessi, che per primi legiferiamo in materia, non badiamo ai principi del diritto - che il ministero culturale par excellence deve tutelare - mi dica lei quando invocarli!
Ritengo che, da un punto di vista pragmatico, che per me va benissimo, non si raggiunga il risultato che lei stesso ha sottolineato poc'anzi. È vero che esiste il problema - sono la prima a dirlo - di passare dai concorsi su base locale a quelli su base nazionale. Tra l'altro, esiste la legge Moratti: non mi interessa ricordarlo, vorrei solo far presente che già esisteva tale passaggio. Si può migliorare e cambiare tutto quello che vuole; tuttavia, si tratta di un argomento decisivo per persone giovani, perché i ricercatori sono persone tra i 23 e i 30 anni, che cominciano a fare tale carriera, mi creda, solo per passione. Può darsi che, strada facendo, si guastino - ciò posso ammetterlo - ma, secondo la mia lunga esperienza, ritengo che, all'inizio, tali ragazzi abbiano un certo livello di entusiasmo che va colto. Pertanto, metterli di fronte a tale incertezza sul loro avvenire e sulla legge relativa al loro primo reclutamento, che ancora non si sa quale sarà, non mi sembra la via migliore anche da un punto di vista psicologico!
Le espongo due ipotesi. In primo luogo, se questo provvedimento è il migliore possibile, perché lo avete affidato ad un decreto ministeriale? Mi scusi, così non tutelate il vostro provvedimento. In secondo luogo, se il provvedimento non è valido, perché lo emanate? Qui non se ne esce! Se è un provvedimento valido, presentatelo al Parlamento e lo approveremo con entusiasmo. Altrimenti, a maggior ragione, non c'è bisogno di aver fretta.
Volendo andare alla base del discorso, questo è quello che mi interessa: cercare la soluzione migliore possibile. Non mi interessa salvare vecchi, nuovi o futuri provvedimenti, bensì soltanto l'università, perché è molto difficile reclutare.
Le dico che non esiste una legge ad hoc che risolva questo problema perché se un ragazzo vale o non vale - stiamo parlando di ricercatori - lo può sapere soltanto il professore che lo propone. In questo caso, ci dobbiamo affidare, purtroppo, alla sua buona fede, e quando i due non hanno lo stesso cognome la buona fede si può anche ravvisare: non vedo perché un professore debba portare avanti una persona che non vale.
Quindi, il problema è grave, come può immaginare. Lei ha affermato che questa normativa è transitoria e vale solo per i ricercatori e via dicendo. Tuttavia - se me lo permette - ciò non è completamente vero. Sa che il Ministro Mussi ha dichiarato che, se tale legge funzionerà, essa verrà estesa alla prima e alla seconda fascia?
Esiste un modo di dire che afferma che «la montagna ha partorito un topolino»; in questo caso, però, è il topolino ad aver partorito la montagna! Il topolino ha la pretesa di aver partorito una montagna.
(Rinvio interpellanza urgente Camillo Piazza n. 2-00657)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Camillo Piazza n. 2-00657, concernente iniziative normative in merito al fenomeno del bracconaggio, è rinviato ad altra seduta.
È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.