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Discussione del disegno di legge: S. 1447 - Modifiche alle norme sull'ordinamento giudiziario (approvato dal Senato) (A.C. 2900) (ore 9,04).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Modifiche alle norme sull'ordinamento giudiziario.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Annunzio di questioni pregiudiziali - A.C. 2900)
PRESIDENTE. Avverto, inoltre, che sono state presentate, a norma dell'articolo 40, Pag. 3comma 1, primo periodo, del Regolamento, la questione pregiudiziale di costituzionalità Elio Vito ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 2900 sezione 1) e le questioni pregiudiziali di merito Lussana ed altri n. 1 ed Elio Vito ed altri n. 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 2900 sezione 2).
Tali strumenti saranno discussi e votati al termine della discussione sulle linee generali, alla ripresa pomeridiana della seduta.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 2900)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice per la maggioranza, onorevole Samperi, ha facoltà di svolgere la relazione.
MARILENA SAMPERI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, signori del Governo, colleghi, il disegno di legge del Governo sulla riforma dell'ordinamento giudiziario, approvato in prima lettura dal Senato, novella alcuni dei decreti legislativi emanati in attuazione della legge delega n. 150 del 2005 e, in particolare, i decreti legislativi n. 160, n. 25 e n. 26 del 2006, il primo dei quali - riguardante nuova disciplina di accesso in magistratura, progressione economica ed attribuzione di funzioni - era stato sospeso nella sua efficacia dalla legge 24 ottobre 2006, n. 269.
Il disegno di legge originario, a seguito di un approfondito dibattito avvenuto al Senato, è stato ampiamente emendato: alcune parti sono state stralciate e saranno oggetto di successivi provvedimenti.
La Commissione giustizia della Camera, nonostante i tempi ristretti e l'obiettivo che si era data di trasmettere il provvedimento all'Assemblea in tempo utile per poter rispettare il termine ormai prossimo del 31 luglio, ha esaminato il testo svolgendo un rigoroso dibattito e procedendo alle audizioni sia dei rappresentanti della magistratura sia di quelli dell'avvocatura.
Illustrerò brevemente il testo esitato dalla Commissione, che non ha subito modifiche rispetto a quello votato dal Senato.
I primi due articoli novellano il decreto legislativo n. 160 del 2006. L'articolo 1 rivede le regole per l'accesso alla magistratura, del quale si mantiene la configurazione di concorso di secondo grado, omogenea a quella stabilita per le altre magistrature e per l'avvocatura dello Stato, prevedendo l'ammissione dei laureati che abbiano conseguito un diploma presso una scuola di specializzazione, degli avvocati e di quanti abbiano svolto la propria funzione nei ranghi della magistratura onoraria o in altri ambiti che, seppur eterogenei rispetto alla professione di magistrato, siano caratterizzati dall'esercizio di funzioni pubbliche (ad esempio: i funzionari della carriera direttiva della pubblica amministrazione o i docenti universitarie in materie giuridiche).
Le modalità del concorso consistono in tre prove scritte e una orale, con soppressione dell'elaborato pratico, della prova psicoattitudinale, nonché dell'obbligatorietà per il candidato di indicare l'area funzionale, giudicante o requirente, cui accedere in caso di esito positivo del concorso. I vincitori di concorso saranno chiamati non più uditori giudiziari, ma magistrati.
La nuova normativa pone le basi per una maggiore qualità ed efficienza delle procedure concorsuali, attraverso le leve del potenziamento numerico della commissione e della funzione di filtro che un concorso di secondo grado può e deve assolvere: il combinato disposto di una più congrua dotazione organica degli esaminatori e di condizioni selettive che riservano l'accesso al concorso in via esclusivaPag. 4a quanti siano già in grado di attestare una formazione adeguata pone basi solide per un salutare decongestionamento delle procedure di valutazione.
L'articolo 2 del disegno di legge - il più controverso - è relativo alle funzioni, alla progressione nella carriera e al trattamento economico dei magistrati. Le funzioni sono analiticamente ripartite in primo grado, secondo grado, di legittimità, semidirettive, direttive, superiori e apicali. Viene innanzitutto riaffermata l'unicità del corpo giudiziario, per garantire la piena indipendenza esterna di tutte le sue componenti, senza separazione di carriera dei pubblici ministeri e dei giudici.
Quanto alla progressione economica, essa viene sganciata da funzioni e anzianità e collegata alle sole valutazioni di professionalità. Tale condizione dovrebbe costituire uno stimolo per magistrati esperti a permanere nelle funzioni di primo grado, superando una discutibile concezione che ritiene che l'ascesa a funzioni di secondo grado o di legittimità implichi maggiore autorevolezza.
Cambiano, inoltre, le norme che disciplinano i passaggi verticali e, dunque, i meccanismi della progressione professionale, che viene regolata da procedure concorsuali imperniate non più sul superamento di prove d'esame, ma sull'attestazione da parte dei candidati dei titoli acquisiti a seguito del conseguimento delle richieste valutazioni di professionalità.
Al fine di rendere la professionalità unità di misura per l'attribuzione di funzioni a crescente grado di complessità, si è scelto di rendere più rigorosa la disciplina delle valutazioni, enucleando con puntuale e analitica descrizione criteri inerenti la capacità, la laboriosità, la diligenza e l'impegno, e fondando l'esame dei titoli sui giudizi espressi dai consigli giudiziari e dal Consiglio superiore della magistratura, ma anche su apporti di soggetti esterni alla magistratura.
D'altro canto, se la valutazione della professionalità costituisce, forse, il punto focale della riforma, non si possono sottovalutare le preoccupazioni di quanti temono che possa, di fatto, risuscitare il vecchio sistema delle votazioni formali e semiautomatiche in capo al CSM, con il rischio di determinare scelte legate alla constatazione dell'anzianità di servizio più che all'esame delle qualità professionali.
Per scongiurare tale rischio, la nuova normativa, oltre a fissare criteri puntuali, chiari e rigorosi cui il CSM dovrà attenersi, stabilisce che le valutazioni dei consigli giudiziari siano formulate anche sulla scorta delle segnalazioni inviate dai consigli dell'ordine degli avvocati. Ritengo che la scelta del Senato di prevedere la procedimentalizzazione del parere espresso dal consiglio dell'ordine degli avvocati dia alla avvocatura uno strumento concreto per offrire al consiglio giudiziario e al CSM elementi oggettivi di cui si dovrà tenere conto ai fini di una valutazione dell'attività dei magistrati, che deve essere ispirata ai principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento previsti dall'articolo 97 della Costituzione e resi effettivi dalla legge n. 241 del 1990, sul procedimento e l'accesso agli atti amministrativi, cui certo non può ritenersi sottratta l'attività amministrativa del CSM.
Essa prevede inoltre, in caso di inadeguatezza del magistrato valutato, una gamma modulata di provvedimenti, che vanno dal congelamento della progressione economica alla dispensa dal servizio, ossia la perdita del posto.
Quanto ai magistrati di prima nomina, la riforma stabilisce, a maggior tutela dei cittadini e del sistema, che subito dopo il tirocinio anteriormente alla prima valutazione di professionalità, essi possano esercitare funzioni in organismi collegiali, ma non rivestire ruoli monocratici, che richiedono ponderazione e consolidata esperienza: non potranno, quindi, avere funzioni di magistrati requirenti, di gip o di gup.
Ma la riforma non si ferma qui. A rendere indispensabile una revisione generale del quadro normativo non è stata, infatti, soltanto l'evidente farraginosità delle procedure concorsuali per titoli ed esami (inadeguate a garantire una valutazione seria delle professionalità), così come erano normate dal decreto legislativoPag. 5n. 160 del 2006, ma la gravità delle conseguenze dell'impianto piramidale della carriera dei magistrati e della distinzione de facto delle funzioni assimilabile alla separazione delle carriere.
La nuova proposta riafferma l'unicità della magistratura, pur distinguendo nettamente le funzioni requirenti da quelle giudicanti.
Così, nel disegno di legge governativo, il passaggio da una funzione all'altra, sempre disposto a seguito di concorso e possibile per non più di quattro volte nel corso della carriera, viene sottoposto a una serie di gravi limitazioni: il trasferimento del magistrato ad un ufficio giudiziario di altra regione, lo svolgimento di cinque anni di servizio nelle funzioni di provenienza e il conseguimento di un giudizio di idoneità allo svolgimento delle nuove funzioni.
La previsione della temporaneità delle funzioni (quattro anni rinnovabili una sola volta), specie delle funzioni direttive e semidirettive, mira ad evitare incrostazioni di potere e forme di pigrizia professionale, favorendo un corretto ricambio e una circolarità di esperienze, senza però mortificare competenze e senza sottrarre intempestivamente le esperienze maturate, come avverrebbe in caso di un accentuato turn over: ricerca di una sintesi per coniugare la temporaneità alla professionalità e alla specializzazione. La temporaneità diventa così elemento determinante per attivare un sistema di controlli indispensabili per rompere l'attuale condizione di sostanziale insindacabilità della dirigenza.
Per il conferimento delle funzioni di legittimità è istituita un'apposita commissione, nominata dal CSM, che esamina la capacità di interpretazione delle norme propria di tale funzione, mentre la valutazione finale rimane al Consiglio superiore della magistratura.
L'articolo 3 apporta, invece, numerose modifiche al decreto legislativo n. 26 del 2006 relativo all'istituzione della scuola superiore della magistratura. Le sue finalità vengono ampliate prevedendo non solo il tirocinio e la formazione dei magistrati vincitori di concorso, l'aggiornamento professionale dei magistrati, la formazione della magistratura onoraria, dei magistrati dirigenti degli uffici giudiziari e dei magistrati stranieri, il coordinamento delle attività di formazione decentrata e la collaborazione con altri Paesi nell'organizzazione del servizio giustizia.
Organi della scuola sono il comitato direttivo, il presidente e il segretario generale, quest'ultimo in sostituzione degli antichi comitati di gestione.
Il comma 19 interviene sull'articolo 25 del decreto legislativo n. 26 del 2006, prevedendo che tutti i magistrati in servizio abbiano l'obbligo di partecipare, almeno una volta ogni quattro anni, ad un corso di formazione e di aggiornamento professionale, mentre, nei primi quattro anni successivi all'assunzione delle funzioni giudiziarie i magistrati dovranno partecipare a sessioni di formazione annuali.
L'articolo 4 riguarda, infine, l'istituzione del consiglio direttivo della Corte di cassazione e la disciplina dei consigli giudiziari. Il consiglio direttivo, i cui compiti sono stati ridimensionati rispetto a quelli previsti dal disegno di legge originario (infatti, sono stati soppressi il parere al CSM su alcune vicende riguardanti la vita professionale dei magistrati, tutte le funzioni di vigilanza disciplinare e le competenze amministrative), ha tra i propri componenti il presidente del consiglio nazionale forense.
Il presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati del capoluogo di distretto, invece, non è più membro di diritto dei consigli giudiziari, pur mantenendosi una rappresentanza dell'avvocatura, con le stesse competenze attribuite dal decreto Castelli.
Vengono distinti, inoltre, tre differenti profili strutturali dei consigli in funzione del numero dei magistrati presenti in organico nei distretti.
In tutti i casi si eliminano sia i rappresentanti dei consigli regionali, sia quelli dei giudici di pace, per i quali viene creata una sezione del consiglio giudiziario ad essi relativa.Pag. 6
Questo è il provvedimento su cui l'Assemblea è chiamata ad esprimersi ma, prima di volgere al termine la mia relazione, vorrei affrontare i nodi più critici emersi nella discussione in seno alla Commissione.
Si è giudicato il disegno di legge governativo come una vera e propria controriforma del decreto Castelli, eppure i punti qualificanti del testo riformato sono stati tutti mantenuti: penso alla modalità dell'accesso in magistratura come concorso di secondo grado, alla temporaneità degli incarichi direttivi o, ancora, all'istituzione della scuola della magistratura.
Il disegno di legge approvato al Senato non è, dunque, una controriforma manichea, ma un intervento equilibrato e puntuale, che intende correggere scelte normative, quali la separazione di fatto delle carriere, non condivisibili in linea di principio e gravide di concrete e infauste conseguenze.
A tal proposito, l'opposizione lamenta che, con l'approvazione del provvedimento legislativo in esame, non sarebbe assicurata la parità delle parti processuali, che esso non garantirebbe la terzietà del giudice e che quel che essa usa qualificare come «confusione» delle funzioni requirente e giudicante costituirebbe un danno per l'amministrazione della giustizia.
Vorrei ricordare che la netta distinzione che il nuovo testo stabilisce tra le funzioni requirente e giudicante è coerente con uno dei principi basilari del programma elettorale dell'Unione: il riordino dell'ordinamento giudiziario, in attuazione dei principi fondamentali del riconoscimento del potere giudiziario come autonomo ed indipendente e dell'esclusione di ogni gerarchia di tipo burocratico tra i giudici.
Il meccanismo appare serio e, nel complesso, condivisibile. Non assisteremo più, infatti, al disinvolto passaggio di funzioni: pubblici ministeri che diventano giudici o viceversa, né all'interno dello stesso distretto, né della medesima regione.
Altro punto dolente, da più parti lamentato, è stato quello di un'impropria influenza che la presenza di correnti in seno al Consiglio superiore della magistratura dispiegherebbe sulle carriere dei magistrati, traducendosi in un vulnus recato al principio dell'indipendenza interna del singolo magistrato, che sarebbe assoggettato all'arbitraria discrezionalità di chi può decidere della sua vita professionale.
Si lamenta, in specie, il depennamento del presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati dal novero dei componenti di diritto del consiglio giudiziario, circostanza che precluderebbe, per tal via, ad un'avvocatura depotenziata la facoltà di esercitare legittimi controlli sulla professionalità dei magistrati.
Se è vero, però, che i presidenti degli ordini degli avvocati non sono più annoverati tra i membri di diritto del sopracitato consiglio giudiziario è, tuttavia, evidente che il sistema di valutazione di professionalità, come configurato dal testo che ci apprestiamo a votare, è più rigoroso, in quanto elimina gli automatismi di carriera, sottopone i magistrati a formazione permanente e, soprattutto, apre a contributi esterni e al doppio controllo dei cittadini, ai quali è attribuita la facoltà di far pervenire puntuali osservazioni al consiglio giudiziario e agli avvocati.
Le modalità previste per verificare la professionalità dei magistrati assegnano, dunque, all'avvocatura un ruolo importante e concreto, riconoscendo funzione formale ed autonoma alle segnalazioni formulate dal consiglio dell'ordine - leggo testualmente l'articolo 11, comma 3, lettera f) - «che si riferiscano a fatti specifici incidenti sulla professionalità, con particolare riguardo alle situazioni eventuali, concrete e oggettive di esercizio non indipendente della funzione e ai comportamenti che denotino evidente mancanza di equilibrio o di preparazione giuridica».
È di tutta evidenza come questo passaggio, eliminando il filtro degli uffici e prevedendo la diretta trasmissione del rapporto al CSM, costringa l'organo di autotutela, per tutti i richiami che ho fatto prima alla legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo e all'articolo 97 della Costituzione, a tenerne conto.Pag. 7
È bene, inoltre, fare chiarezza su un equivoco, non so quanto casuale o voluto, riguardo all'incidenza della presenza del presidente dell'ordine degli avvocati e dei membri non togati.
PRESIDENTE. Onorevole Samperi, la prego di concludere.
MARILENA SAMPERI, Relatore per la maggioranza. Mi affretto a concludere, signor Presidente.
Nel testo originario del decreto legislativo n. 25 del 2006, l'articolo 16, tuttora in vigore, escludeva i membri non togati dalla formulazione dei pareri sull'attività dei magistrati, non riconoscendo affatto la competenza di cui oggi tanto si discute.
Si protesta, dunque, per la supposta abrogazione di una norma mai esistita. La verità è che la riforma in discussione pone in capo ai consigli giudiziari, ai consigli dell'ordine e al CSM la grande responsabilità di garantire una rigorosa selezione di magistrati preparati, competenti, diligenti e laboriosi. Sarà perciò utile misurarne gli effetti concreti prevedendo una relazione periodica del Ministro della giustizia al Parlamento che consenta l'acquisizione di dati sull'effettività del metodo di valutazione e degli esiti che ha prodotto. Mi auguro che un ordine del giorno possa impegnare il Governo ad assolvere a tale adempimento.
I problemi della giustizia sono gravi e profondi e nessuno pensa che la riforma ...
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole relatrice.
MARILENA SAMPERI, Relatore per la maggioranza. Concludo, Presidente, anche perché ho sostanzialmente terminato il mio intervento (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Italia dei Valori e Comunisti Italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. La ringrazio. Mi scusi, ma il tempo a sua disposizione è esaurito.
Il relatore di minoranza, onorevole Pecorella, ha facoltà di svolgere la relazione.
GAETANO PECORELLA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, vorrei anzitutto dare atto dell'unico aspetto positivo che la triste vicenda di un intervento così raffazzonato su un tema tanto importante presenta. L'aspetto positivo è la serietà con cui la relatrice ha affrontato il problema, nonché l'equilibrio e la lealtà intellettuale con i quali il presidente della Commissione ha regolato i nostri lavori.
Per il resto, non posso che esprimere valutazioni complessivamente negative. È per questo che il gruppo di Forza Italia ha presentato un testo alternativo, soprattutto per recuperare quelli che, a nostro avviso, sono i due valori fondamentali della riforma che avrebbe dovuto entrare in vigore alla fine di questo mese. I due valori fanno riferimento alle modalità attraverso le quali si assumono le funzioni e alla separazione delle funzioni.
Qual è l'obiettivo che si è posto il «controriformatore»? L'obiettivo è stato quello di eliminare i concorsi, basati su prove e non solo su valutazioni di seconda mano, nel senso che il CSM le conosce e conosce la realtà dei candidati solo attraverso documenti di seconda mano che ad esso sono fatti pervenire. Quindi, si è voluto eliminare i concorsi ed anche la separazione delle funzioni.
Perché si sono posti tali obiettivi? Evidentemente i concorsi, per la loro stessa natura di prove anonime, comune a tutti i concorsi per l'accesso ad una pubblica amministrazione, hanno come caratteristica fondamentale quella dell'anonimato, e ciò al fine di evitare che vi possano essere scelte preferenziali basate su criteri diversi rispetto a quelli del merito, della capacità e dell'efficienza. Ebbene, nel momento in cui il requisito dell'anonimato viene soppresso e sostituito con la valutazione di un soggetto di cui si conosce il nome e il cognome, colui che detiene la maggioranza all'interno dell'organo che decide, può, oltre ai requisiti personali, aggiungere elementi che possono influire, ad esempio, sull'affidamento degli incarichi direttivi.
Fuori da tali espressioni, ciò che voglio sottolineare è che si è ridato completamentePag. 8il potere di intervenire alle correnti, conoscendo quali saranno i soggetti che ricopriranno le cariche più importanti all'interno della magistratura.
Tanto più che le valutazioni, in quanto tali, sono ovviamente di natura discrezionale e sono basate su concetti come capacità ed efficienza: è sufficiente, infatti, che la maggioranza della composizione del CSM valuti un magistrato capace, meno capace o un po' meno capace per arrivare, ad esempio, alla conclusione che la procura generale di Roma sarà assegnata ad un magistrato piuttosto che ad un altro.
L'altro aspetto riguarda la separazione delle funzioni. Perché la magistratura conduce questa battaglia radicale e la maggioranza la fa propria? Sarebbe logico che, se l'organo della difesa è un soggetto che ha una caratteristica di parte - e tale si chiama -, anche l'organo dell'accusa debba avere le stesse caratteristiche. In tutti i paesi liberali l'organo dell'accusa rappresenta sostanzialmente la polizia (in Inghilterra, addirittura, l'organo dell'accusa era un avvocato assoldato dalla polizia per sostenere l'accusa), così come il difensore è colui che rappresenta gli interessi del privato. Da un punto di vista razionale e logico, laddove si afferma, in Costituzione, che il giudice deve essere imparziale e, quindi, equidistante, non si può attribuire ad una delle due parti un ruolo di imparzialità e all'altra, invece, uno di parzialità. Se dovessimo seguire la nostra ragione, ci sentiremmo costretti ad arrivare alla conclusione che certamente il sistema migliore, in un processo di parti, accusatorio, non può che essere il sistema in cui le due parti sono sullo stesso piano: diventa, pertanto, ideologicamente inconcepibile che un giudice vada a rivestire il ruolo dell'accusatore.
Perché non si seguono la logica e la ragione, ma si compie una scelta politica diversa? È molto semplice: così si spezzerebbe in due il corpo unitario della magistratura, pur considerando anche i pubblici ministeri magistrati, e quindi verrebbe meno quell'unità politica ed istituzionale che è la magistratura, che rappresenta, in quanto tale e in quanto unità, una forza; i giudici guarderebbero certamente con sospetto gli accusatori, come già avviene con i difensori, e non avremmo, quindi, questa specie di moloc che si muove unitariamente (il cittadino non capisce bene, infatti, se ha davanti un accusatore, un giudice o la magistratura nella sua unità).
Si tratta di due scelte politiche: questo è il vero nodo della riforma. Entrerò molto poco nei singoli aspetti, perché lo faremo quando si passerà all'esame degli emendamenti. Bisogna capire, però, qual è lo spirito della riforma: da un lato, mantenere tutto il potere alle correnti maggioritarie della magistratura nel momento dell'assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi - eliminando i concorsi e le commissioni che sono presenti nella proposta alternativa e nella riforma Castelli - e, dall'altro, mantenere l'unità della magistratura non dal punto di vista della giurisdizione, ma come unità politica della magistratura. La magistratura, infatti, può benissimo essere unitaria, pur avendo i pubblici ministeri una loro storia, una carriera e caratteristiche diverse.
Ciò, peraltro, incide anche, a mio avviso, sull'efficienza: il passaggio da un ruolo ad un altro, ossia da quello di pubblico ministero a quello di giudice e viceversa, comporta svolgere due mestieri diversi, per i quali non si è attrezzati. Nel momento in cui un pubblico ministero, che per anni ha svolto le indagini, passa a presiedere un tribunale, quali esperienze di conduzione del dibattimento può avere? Nessuna!
Trovo persino abbastanza paradossale la previsione secondo la quale, per il passaggio, ad esempio, dal ruolo di giudice a quello di pubblico ministero o viceversa, sia il presidente della corte d'appello ad effettuare una valutazione, formulando un giudizio di idoneità di un suo giudice a svolgere le funzioni di pubblico ministero.
Lei, signor Presidente, che è persona ragionevole, non potrà non ammettere che, se il presidente della corte d'appello ritiene che un suo giudice è adatto a fare il pubblico ministero, vuol dire che lo stesso è poco adatto a fare il giudice, perché avràPag. 9la tendenza ad essere un uomo di parte. Altrimenti, arriviamo alla conclusione inevitabile che non vi è alcuna differenza tra il giudice e il pubblico ministero.
Allora, mettiamo da parte la nostra idea di giudizio penale di parti, di giusto processo, che abbiamo indicato nell'articolo 111 della Costituzione, e arriviamo alla conclusione che, in realtà, siamo tornati in pieno processo inquisitorio, perché vogliamo che il pubblico ministero sia, in realtà, un giudice che riveste, in quel momento, una funzione diversa. Bisogna ridargli, allora, anche la possibilità di formare le prove, perché questo è concretamente logico: è la sequenza del punto di partenza.
Cercherò di essere molto sintetico e lei mi richiami signor Presidente se supero il tempo a mia disposizione.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
GAETANO PECORELLA, Relatore di minoranza. Ho già superato il tempo a disposizione?
PRESIDENTE. Sta finendo il suo tempo. In genere, richiamo trenta secondi prima dell'esaurimento del tempo a disposizione.
GAETANO PECORELLA, Relatore di minoranza. Mi scusi, signor Presidente, quanto tempo ho a disposizione?
PRESIDENTE. Dieci minuti.
GAETANO PECORELLA, Relatore di minoranza. Come relatore di minoranza?
PRESIDENTE. Sì.
MARILENA SAMPERI, Relatore per la maggioranza. Io ho avuto quindici minuti.
GAETANO PECORELLA, Relatore di minoranza. Il tempo concesso al relatore per la maggioranza mi è sembrato un po' più lungo di quindici minuti.
PRESIDENTE. Il relatore per la maggioranza aveva venti minuti a disposizione, mentre il relatore di minoranza ne ha dieci.
GAETANO PECORELLA, Relatore di minoranza. Bene, la ringrazio Presidente. Allora, posso semplicemente prendere atto che ho trenta secondi a disposizione e che in trenta secondi è assolutamente inutile discutere un provvedimento così articolato, complesso e così ricco di aspetti, come è inutile tutto quanto stiamo facendo in questo momento e che faremo in questi giorni, visto che vi è una decisione politica di non cambiare una «virgola» del provvedimento. Quindi, solo la nostra buona volontà e il senso di responsabilità istituzionale ci hanno portato sino ad oggi a continuare a svolgere un ruolo che, evidentemente, non ha alcuno sbocco significativo per il Parlamento.
PRESIDENTE. Le sue valutazioni politiche non meritano sicuramente alcun apprezzamento da parte mia, ma i dieci minuti non sono stati stabiliti in occasione dell'esame del provvedimento. Si tratta di una prescrizione regolamentare. In ogni caso, l'esame del disegno di legge si svilupperà nei prossimi giorni e, quindi, avrà la possibilità di completare quanto oggi non è riuscito fare.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare il presidente Pisicchio. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il mio non sarà un intervento di merito, ma porrò solo alcune questioni di metodo. Tra le ottime cose che il prossimo sessantenario della Costituzione potrà aiutarci a ritrovare, riaffermando quella didattica della democrazia che fu cara ai nostri costituenti e che appare invece smarrita dai contemporanei, vi sarà - mi auguro - una riflessione sul dibattito che i padri della patria fondarono sul bicameralismo. In attesa, dunque, di approfondimentiPag. 10più ampi, mi permetterò di richiamare solo qualche passo di quell'importante dialettica costituente, riportando le parole dell'onorevole Tosato. Secondo Tosato, la fondamentale ragione del bicameralismo risiederebbe nel fatto che la seconda Camera si costituisce per attuare il principio di equilibrio nell'organizzazione dello Stato. Si tratta di dividere gli organi dello Stato e di creare fra essi dei contrappesi al fine che nessun organo abbia tali poteri da promuovere forme più o meno larvate di assolutismo. Come vi è stato un assolutismo monarchico - diceva ancora Tosato - così si potrebbe avere un assolutismo democratico, se tutti i poteri fossero concentrati in un solo organismo. Di qui la necessità di istituire una seconda Camera con i medesimi poteri della prima.
In seguito, Mortati, in Assemblea plenaria, ebbe a precisare che la parità è imposta dall'eguale efficacia rappresentativa che deriva alle due Camere dalla medesima origine popolare e dal carattere di reciproca integrazione, che esse vengono a rivestire. Non sarebbe possibile - proseguì Mortati - determinare un loro diverso peso politico.
Considerando, infine, l'eventualità di un conflitto tra i due rami del Parlamento, si giunse persino a prevedere procedure risolutive, attraverso l'articolo 70, che poi non venne approvato, che, tra le più importanti ipotesi di emendamento, vide propugnare la supremazia di una Camera sull'altra, dando prevalenza all'opinione di una di esse e, precisamente, della Camera dei deputati.
Siamo dunque in un regime di bicameralismo perfetto. Tale situazione potrà piacere o non piacere, potrà essere mutata o mantenuta in un futuro, che speriamo prossimo, di rilettura bipartisan dell'ordinamento costituzionale, magari da svolgersi nell'ambito di una nuova Assemblea Costituente. Per ora, tuttavia, questa è la regola e in una stagione, in cui tutti i comportamenti sembrano farsi più disinvolti e tutte le norme sembrano poste con leggiadro e revocabile capriccio, bene si farebbe a rispettare le regole del gioco che vi sono, tutte, perché di esse è costituito il gioco della democrazia. Il voto dello scorso anno ci ha consegnato un Parlamento che ha una maggioranza certa in un ramo - la Camera - ed una maggioranza «putativa» nell'altro ramo: questo è già il primo elemento che rompe la perfetta simmetria del bicameralismo italiano. Accade poi che il Governo, giustamente preoccupato di vedere approvati i propri provvedimenti, guardi al Senato con occhio premuroso. Il risultato di ciò è che i provvedimenti di interesse governativo, da quando la legislatura ha preso avvio, una volta approvati al Senato non sono più emendabili alla Camera. In altre parole, una volta che quella miracolosa alchimia combinatoria di assensi e dissensi, di voti e concessioni, si è celebrata nella Camera che una volta i manuali di diritto pubblico definivano «alta», ecco che la materia diventa tabù nella Camera che quei manuali avrebbero definito «bassa».
Che ne è stato, allora, della regola del bicameralismo perfetto? La situazione è critica dal punto di vista costituzionale, perché introduce nell'ordinamento una sorta di monocameralismo surrettizio od un'improbabile gerarchia nei rapporti tra le due Camere, configurando l'una come mero organo di ratifica dell'altra, ciò senza aver adoperato le forme previste dall'articolo 138 della Costituzione, relativo alle procedure di revisione costituzionale. Non fa eccezione a tale schema il provvedimento di riforma dell'ordinamento giudiziario, giunto alla Camera dopo più di cento giorni di dibattito al Senato, per essere approvato da noi solo dopo una manciata di ore.
La Commissione giustizia, anche questa volta, ha compiuto il suo piccolo miracolo: in sole sette sedute - in cui non si sono volute conculcare le prerogative di ogni deputato e dell'intera opposizione, consentendo che ognuno potesse intervenire per tutto il tempo di cui aveva bisogno - ha dibattuto del fondamentale tema dell'ordinamento giudiziario, proceduto alle audizioni dei soggetti della giurisdizione - realizzando per la prima volta l'obiettivo della compresenza dei magistrati e degli avvocati nel luogo del confronto e delPag. 11dialogo, che è il Parlamento - e discusso degli emendamenti, grazie anche alla non pregiudiziale azione dell'opposizione - di cui voglio dare atto - e all'impegno della relatrice e dei deputati di maggioranza e al prezioso contributo dei funzionari della Commissione, senza i quali non avremmo avuto per tempo le schede di sintesi e tutto ciò che serviva per lavorare.
La Commissione ha compiuto, nelle difficilissime condizioni di lavoro in cui è venuta a trovarsi, una scelta: consegnare impregiudicata all'Assemblea la possibilità di accogliere o respingere la riforma che veniva proposta. Se, infatti, avesse apportato modifiche avrebbe deliberatamente effettuato la scelta della riforma Castelli, verificata l'impossibilità, da parte dell'altro ramo del Parlamento, di procedere all'approvazione definitiva del provvedimento entro il 31 luglio. La sovranità dell'Assemblea sarebbe stata, in questo caso, prevaricata dalla Commissione. Abbiamo scelto di non farlo e di conservare intatta all'Assemblea la menzionata possibilità, ma quel che ancora una volta accade in quest'aula e ancora una volta sui temi di competenza della Commissione giustizia, non è per questo meno importante.
Signor Presidente, abbiamo esordito rammentando brani estratti dal dibattito all'Assemblea Costituente sulle radici del bicameralismo. Vorremmo tornare a quel dibattito e a quei principi, che ancora reggono il fondamento del nostro sistema.
Rivolgiamo a lei, signor Presidente, un appello e speriamo che attraverso la sua sensibilità possa giungere alla più alta magistratura dello Stato. Dobbiamo garantire la simmetria del nostro bicameralismo, dobbiamo garantire alla Camera dei deputati la pienezza delle prerogative previste dagli articoli 55 e 70 della Costituzione e dobbiamo farlo subito, perché nessuna ragione di partito, nessuna lealtà di maggioranza, nessuna fedeltà di gruppo potrà costringerci a rinunciare al nostro potere di deputati e di legislatori: se facessimo avremmo tradito l'articolo 67 della Costituzione (Applausi - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paniz. Ne ha facoltà.
MAURIZIO PANIZ. Signor Presidente, mi associo alle affermazioni dell'onorevole Pecorella riguardo alla stima per la relatrice e per il presidente della Commissione giustizia, che hanno con la loro disponibilità contribuito a stemperare ipotesi di conflitto, aiutandoci in questo percorso, ma il giudizio che sostanzialmente esprimo nei confronti del provvedimento non può che essere fortemente negativo. Lo dico davvero con dispiacere e con la convinzione che il percorso che tutti dovremmo fare per raggiungere risultati in una materia così delicata dovrebbe essere costituito da un'autentica condivisione e non da una finta condivisione: quella che ci accingiamo a valutare in questa sede, come peraltro è accaduto in Commissione giustizia, è una finta condivisione e l'indicazione è molto chiara, nel senso che il provvedimento non va toccato nemmeno in una virgola.
C'è un tema sul quale intendo soffermarmi in maniera specifica ed è quello relativo alla separazione delle carriere, alla separazione delle funzioni e all'impostazione del provvedimento al riguardo. Prima di entrare analiticamente su questo tema non posso non ricordare come la storia abbia insegnato da tempo che esiste un principio cardine in qualsiasi ordinamento democratico ed è quello della separazione dei poteri. I greci, i romani, qualsiasi ordinamento fino alla teorizzazione di Montesquieu sono stati estremamente chiari nel ricordare che il principio fondamentale della democrazia è tenere distinto il potere legislativo da quello giudiziario. Nel provvedimento, invece, il potere giudiziario e il potere legislativo sono uniti in una commistione assolutamente ingiustificata e, lo debbo dire, indegna, perché finisce per far sì che la prevaricazione di uno nei confronti dall'altro divenga palese e soprattutto quando si è trattato di esaminare il quadro normativo e il tema specifico della non avvenuta reale separazione di funzioni e di carriere.Pag. 12
Qualche tempo fa l'ex ministro Castelli è stato molto chiaro nel dichiarare, senza alcuna tema di smentita, che il provvedimento Mastella è stato scritto dall'Associazione nazionale magistrati, testualmente: «(...) è provato che questa sia una riforma teleguidata dalla magistratura, basta confrontare i testi dell'ANM con quelli di Mastella per capire che sono identici (...)»: purtroppo questa è una triste verità. Non è la prima volta che il mondo della magistratura - cui, in linea generale, va tutto il mio rispetto - si inserisce nel percorso di iniziativa del potere legislativo. Nel 1993 l'allora ministro Conso propose una soluzione politica di Tangentopoli e fu il procuratore generale Borrelli a contestarla e determinarne l'affossamento. Nel 1994 contro il cosiddetto decreto Biondi insorse il pubblico ministero «di punta» di quei tempi, Antonio di Pietro, annunciando le dimissioni dal pool Mani pulite e determinando lo stop anche a quel provvedimento. In tempi più recenti, basti ricordare come i magistrati hanno protestato contro la riforma Castelli, esibendo la Costituzione all'apertura dell'anno giudiziario nel 2005.
Sono tutti tentativi di intromettersi in un determinato percorso di formazione del paradigma legislativo, che non rappresentano indice di un rispetto del principio della separazione dei poteri giudiziario e legislativo. Oggi siamo sostanzialmente di fronte ad una identica applicazione del principio dell'intervento, come ragione per intromettersi in un percorso di formazione del quadro legislativo. I magistrati indicono uno sciopero, ma lo revocano nel momento in cui il testo legislativo si conforma alle loro esigenze. Insorge verosimilmente l'avvocatura, ma le voci di quest'ultima rimangono totalmente inascoltate, come se il sistema giustizia si reggesse soltanto su uno dei suoi protagonisti, la magistratura, e non si dovesse reggere, invece, su entrambi, magistratura ed avvocatura, che rappresentano le facce della stessa medaglia - l'una e l'altra - e che sono componenti essenziali di un percorso diretto a garantire l'esercizio fondamentale dei diritti di democrazia e di sicurezza del cittadino, il quale non può non aspettarsi che la giustizia sia prima di tutto rispettata nelle sue fondamentali esigenze democratiche.
Dell'iniziativa degli avvocati, del loro gridare la volontà di mantenere ben separati i ruoli della funzione inquirente e di quella giudicante, nessuno si è curato. Delle grandi frasi che negli anni erano state dette per confermare che i principi di separazione sarebbero stati rispettati nulla è rimasto. Il tutto è scomparso progressivamente nell'ambito del rispetto di una volontà magistratuale, che ha finito per imperare anche in questa vicenda. Invano l'avvocatura, determinando l'ennesima occasione di astensione dalle udienze, che determina conseguentemente uno stop importante nell'esercizio della funzione giurisdizionale, si è elevata con un messaggio molto forte, proclamando la massima unità e compattezza del suo ruolo di fronte all'ennesimo attacco alle prerogative del Parlamento da parte della magistratura associata. L'OUA, l'organismo dell'avvocatura presieduto dall'avvocato Michelina Grillo, proprio in occasione della grande manifestazione unitaria dell'avvocatura, ha ribadito che non possiamo assistere passivi ad un'offensiva in favore di interessi corporativi, che di fatto condiziona la politica e mette in discussione gli equilibri dell'ordinamento e la funzione costituzionale del difensore, soggetto di giurisdizione al pari del magistrato.
È proprio su tale aspetto che la riforma in esame dimostra tutto il suo limite, permettendo di transitare con estrema facilità da un ruolo ad un altro, da una funzione ad un'altra, minando così un principio altrettanto fondamentale della vita democratica di un Paese.
Non basta che la giustizia sia, la giustizia deve anche apparire, il cittadino deve essere in grado di cogliere che nel momento in cui la giustizia si manifesta, lo fa con una serie di caratteristiche che la rendono assolutamente impermeabile a qualsiasi tipo di intromissione. Invece, così non è nel testo che la Camera si accinge a votare. Non basta che la giustizia sia, la giustizia deve apparire, e in questo caso laPag. 13giustizia non appare, attraverso il consolidarsi di una intromissione di una funzione nell'altra, attraverso il permesso di transitare tutto sommato con molta facilità e per una pluralità di volte da un percorso ad un altro percorso, e infine attraverso una serie di iniziative che non permettono di arrivare al punto stabile di una reale separazione delle funzioni come presupposto di una reale separazione delle carriere. Eppure non è vero che l'Europa o il mondo si muovano nella linea di un'unità tra funzioni e tra carriere, anzi è vero esattamente il contrario. In molti ordinamenti, e non solo quelli legati al sistema sassone che ha presupposti completamente diversi rispetto a quelli latini, è fin troppo chiaro che le funzioni inquirenti debbono essere scisse da quelle giudicanti in maniera palmare.
Da noi così non è, anzi ora, con questo provvedimento, lo sarà molto meno. La riforma Castelli aveva messo paletti forti, che permettevano al cittadino di sentirsi molto più sicuro di fronte ad una giustizia che non solo era, ma finiva anche con l'apparire; ora ci troviamo di fronte, invece, ad un testo legislativo che accentua lo stato di smarrimento e di sbigottimento del cittadino di fronte ad una giustizia, che probabilmente non è o non è più, ma che certamente non appare. Quello che è stato un cavallo di battaglia dell'avvocatura per molti anni, la separazione delle carriere, viene totalmente accantonato, con il provvedimento in esame e chissà quanto tempo ci vorrà per far capire che alcuni presupposti per una crescita democratica del Paese, tra essi quello della separazione delle carriere, devono progressivamente essere inseriti nell'ordinamento, magari attraverso gradini di base, come quello della separazione delle funzioni, ma non certo svilendo questo percorso come, invece, appare con il testo alla nostra attenzione. Sul tema della separazione delle carriere la riforma proposta è scarsamente efficace, si piega alla volontà della magistratura, svilisce totalmente il ruolo di una componente indispensabile come quella degli avvocati, fa fare un passo indietro al nostro Paese, allontanandolo una volta di più dagli ordinamenti che invece avevano chiaramente dimostrato che la giustizia deve essere e deve apparire e che ciò hanno potuto fare attraverso il consolidarsi del principio della separazione delle funzioni come prodromico al principio della separazione delle carriere.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo a nome del gruppo de L'Ulivo sulla riforma dell'ordinamento giudiziario, esprimendo considerazioni largamente comuni. La riforma dell'ordinamento giudiziario è da tutti ritenuta - non solo da L'Ulivo, ma da tutti i gruppi - necessaria ed urgente per la modernizzazione della giustizia e dei profili professionali dei magistrati, al fine di una maggiore adeguatezza dell'ordinamento giudiziario ai principi stessi della Carta costituzionale. Già la relazione illustrativa del disegno di legge ha ricordato i principali passaggi dell'evoluzione storica. Non siamo fermi all'ordinamento del 1941 in virtù di novelle legislative e della giurisprudenza costituzionale, ma - occorre ammetterlo - buona parte dell'impianto normativo vigente è ancora quello. In particolare, come è noto, l'Assemblea costituente ha superato l'idea del giudice funzionario, propria del fascismo, disegnando uno statuto del magistrato che ha rafforzato e garantito la sua indipendenza, valorizzandone il ruolo professionale. Una delle novità più significative della realizzazione del sistema costituzionale è stata, come è noto, l'istituzione del Consiglio superiore della magistratura, che ha permesso di concretizzare l'autogoverno del potere giudiziario e di rendere, quindi, effettiva una condizione essenziale dell'indipendenza dei magistrati. In seguito, è intervenuta una serie di leggi che ha ridimensionato la carriera giudiziaria, attuando il principio secondo il quale i magistrati si distinguono tra loro soltanto per le funzioni esercitate e non per i gradi o gli incarichi di cui sono titolari. Tale sistema fu rafforzato dall'applicazione rigorosaPag. 14del principio del giudice naturale che, prevedendo l'attuazione della disciplina relativa al sistema della precostituzione del giudice, impedì la possibilità per chiunque di operare in modo tale da scegliersi il magistrato da cui farsi giudicare. L'indipendenza dei magistrati del pubblico ministero è stata rafforzata nei limiti compatibili sia con le funzioni esercitate sia con la struttura comunque piramidale dell'ufficio di procura. L'evoluzione sommariamente descritta ha ridisegnato un modello profondamente difforme, in molti casi assolutamente antitetico a quello che aveva ispirato il cosiddetto decreto Grandi del 1941.
La legge 25 luglio 2005, n. 150 - la cosiddetta riforma Castelli - ha dato risposte inappropriate, talvolta sospette di costituzionalità, ad esigenze di riforma largamente avvertite; ne abbiamo discusso a lungo nella precedente e nell'attuale legislatura.
Ovviamente, non escludiamo affatto che alcune specifiche soluzioni, adottate dalla legge n. 150 del 2005, possano essere utili in un diverso contesto normativo ed anzi questo è stato il metodo usato con il disegno di legge in esame.
Siamo convinti - e non da oggi - che la giustizia sia un bene comune e che ogni impegno debba essere profuso per il confronto utile e per politiche condivise. È stato, tuttavia, necessario dare un chiaro segno di discontinuità nei confronti di una disciplina che non assicurava alla magistratura, in particolare con il sistema di accesso e di progressione nelle funzioni, un'adeguata condizione di indipendenza e di efficienza, riportando il contesto della riforma ordinamentale al di fuori della cultura conflittuale e, talvolta, punitiva tra politica e magistratura.
Il compromesso raggiunto al Senato ha i suoi limiti e ne siamo consapevoli, così come siamo consapevoli che le scadenze parlamentari e la dinamica sempre più imperfetta di questo nostro bicameralismo perfetto, hanno penalizzato i margini di azione e di miglioramento del testo da parte della Camera.
Tuttavia, il confronto parlamentare ha tenuto conto delle proposte dell'attuale opposizione parlamentare ed ha utilizzato diversi materiali della stessa riforma Castelli: basti pensare alle parti non sospese della legge Castelli relative alla tipizzazione dell'illecito disciplinare, alla cosiddetta gerarchizzazione (ora meglio formulata) dell'azione penale e, per quanto riguarda il provvedimento in esame, all'accesso alla magistratura tramite concorso di secondo grado. Sono tutti temi già efficacemente ricordati dalla relatrice.
Un primo livello di interventi di questa riforma riguarda proprio le regole in materia di accesso alla magistratura. Come puntualmente rilevato dalla relazione del Governo si è ritenuto necessario apportare alcune innovazioni al sistema dell'accesso, affrontando adeguatamente antiche questioni: gli interventi, infatti, sono stati finalizzati a superare gli inconvenienti legati all'eccessiva lunghezza delle procedure concorsuali, rallentate dall'elevato numero di partecipanti e dalla scarsa adeguatezza di prove scritte - in Italia prevalentemente teoriche - con l'introduzione anche di una prova di carattere pratico. Si è ritenuto, poi, importante potenziare la commissione perché solo così si può ragionevolmente pensare ad un contenimento dei tempi di espletamento delle procedure concorsuali.
L'ulteriore obiettivo perseguito, attraverso l'abrogazione della disciplina relativa, è stato quello di superare le potenziali disfunzioni create dall'obbligatorietà dell'indicazione dell'area funzionale - giudicante o requirente - cui essere assegnati dopo il concorso, e dalla previsione del colloquio psico-attitudinale nell'ambito delle prove orali, una previsione - quest'ultima - estremamente equivoca.
Nel disegno di legge si è, quindi, configurata una tipologia di accesso strutturata in gran parte sulla falsariga di un concorso di secondo grado, tendenzialmente omogenea a quelle previste per le altre magistrature. È stata prevista l'ammissione al concorso ordinario, oltre che in ragione dell'appartenenza ai ruoli di procuratori dello Stato, anche per la partecipazionePag. 15ai corsi delle scuole di specializzazione - cosiddette Bassanini - a seguito del pregresso esercizio, per un congruo periodo, di funzioni giudiziarie onorarie.
Si è ritenuto opportuno riconoscere un valore di ammissione al concorso anche ad esperienze sia pure in parte eterogenee rispetto alla professione di magistrato, ma comunque caratterizzate dall'esercizio di specifiche funzioni pubbliche, come per i funzionari della carriera direttiva della Pubblica amministrazione e per i docenti in materie giuridiche tra il personale di ruolo delle università.
La considerazione della presenza di un comune humus culturale, come affermato nella relazione governativa, è stata ritenuta condizione necessaria e sufficiente per una previsione analoga in favore degli avvocati con almeno tre anni di iscrizione all'albo professionale.
Un secondo livello importante di interventi riguarda la disciplina in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati. Il decreto delegato 5 aprile 2006, n. 160 ha previsto una netta ripartizione delle funzioni di merito e di legittimità ed una rigida distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti.
Tuttavia, la farraginosità del sistema, denunciata da diverse parti, la scelta di una costruzione piramidale della carriera dei magistrati, quella operata, di fatto, per una distinzione delle funzioni assimilabile ad una separazione delle carriere, il sistema di valutazione per titoli ed esami scollegato da un reale obiettivo di valutazione della professionalità, funzionalizzato all'efficienza, hanno reso necessario abolire tale quadro normativo in quanto, secondo il Governo e noi stessi, intrinsecamente non emendabile.
Pertanto, nel configurare la nuova disciplina, si è partiti dalla constatazione che il sistema di valutazione della professionalità anteriore alla legge 25 luglio 2005, n. 150, debba essere considerato non più adeguato e che pertanto sia da riformare per due prevalenti ragioni puntualmente espresse nella relazione del Governo.
La professionalità del magistrato, nella sua ricchezza di conoscenza tecnica e di capacità nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e giurisdizionali, di consapevolezza del ruolo e di responsabilità professionale, non può più essere affermata per presunzioni e solo in occasione dei passaggi di qualifica, troppo distanziati, o in occasione di incarichi specifici.
Inoltre, il meccanismo è insufficiente ad attuare un reale vaglio delle specifiche capacità delle doti e delle attitudini.
Pertanto, si è prefigurata - e rappresenta un'innovazione di grandissimo rilievo - una nuova struttura delle valutazioni, con verifiche ogni quattro anni con riferimento ai tempi e alle fonti di conoscenza, ai parametri, alla legittimazione e alle conseguenze in caso di riscontrata inadeguatezza.
D'altronde, questo è il modello contenuto nelle proposte già avanzate nel corso della precedente legislatura, da parte dei gruppi de L'Ulivo. Pertanto, con il provvedimento in discussione è stato disegnato un sistema che sgancia la progressione economica da quella delle funzioni - prevedendo una progressione economica condizionata esclusivamente dal superamento delle valutazioni di professionalità - perché solo in tal modo si può stimolare la permanenza di magistrati esperti e specializzati nelle funzioni di primo grado.
È stata conservata la possibilità di transitare dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti e viceversa, prevedendo che il cambio di funzioni sia possibile, con regole rigide, solo mutando distretto e sia subordinato anche ad una reale verifica delle attitudini.
Pertanto, formeranno oggetto di valutazioni periodiche anche le capacità organizzative e le attitudini agli incarichi direttivi, prevedendosi la temporaneità delle funzioni direttive.
Inoltre, è stata introdotta la temporaneità di tutte le funzioni, altro principio profondamente innovativo.
Naturalmente, i criteri specifici delle valutazioni non dovranno essere indicati dal CSM secondo logiche corporative, condizionate dall'appartenenza dei magistratiPag. 16a correnti associative e dalle esigenze degli insider, cioè i magistrati, rispetto agli outsider, cioè i cittadini. L'efficienza dei sistemi di valutazione ai fini della progressione rappresenta una grande sfida di responsabilità, che in primo luogo la magistratura deve affrontare e vincere nell'interesse generale.
Al riguardo, solo per la parte che qui rileva, vorrei far presente che l'esclusione degli avvocati dai consigli giudiziari è discutibile e che, in ogni caso, sarebbe utile sperimentare forme diverse di collaborazione, ad esempio con le associazioni dei consumatori, per una valutazione degli standard di efficienza dell'organizzazione giudiziaria maggiormente articolata e pluralista. Tale aspetto potrebbe formare oggetto di uno specifico ordine del giorno.
Un terzo tema, rilevante ai fini di una moderna professionalità, nell'epoca che definiamo della lifelong learning, è costituito dalle innovazioni relative alla Scuola superiore della magistratura. Al riguardo vi sono state critiche da parte dell'Associazione nazionale magistrati, che ritiene che il ruolo del Ministro e del Governo sia, per così dire, troppo ingerente. Tuttavia, anche tali critiche rappresentano il segno di un'autonomia concettuale di tale riforma. Anche su tale terreno - come già ampiamente anticipato da parte della relatrice - con il disegno di legge in discussione, che mi auguro verrà approvato in questi giorni, abbiamo introdotto innovazioni di grande rilievo, sulle quali non mi soffermo per ragioni di tempo.
Tuttavia, ritengo sia importante rispondere anche ad alcuni argomenti sollevati dall'opposizione e nel corso del dibattito che si è svolto anche dai colleghi Pecorella e Paniz sul tema e la disciplina del regime del passaggio di funzioni, sulla distinzione di queste ultime o sulla separazione delle carriere.
Come è noto anche per ragioni di ordine costituzionale ci siamo attenuti al criterio di una più rigida distinzione tra la funzione inquirente e quella giudicante, come è giusto che sia anche per evitare che possano esserci quelle commistioni - che sarebbero non solo ingiuste ai sensi della Costituzione, ma anche inaccettabili da parte dei cittadini - tra l'una e l'altra funzione.
La normativa delineata dall'attuale disegno di legge è molto chiara e prevede diversi punti. In primo luogo, il passaggio da una funzione all'altra può essere richiesto dopo avere svolto almeno cinque anni di servizio in ciascuna funzione ed avviene tramite procedura concorsuale. Il passaggio può essere disposto solo dopo la frequenza di un corso di qualificazione professionale organizzato dal Consiglio superiore della magistratura e, inoltre, è subordinato ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni espresso dal Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario. Inoltre, per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire il parere del presidente della corte di appello o, rispettivamente, del procuratore generale della Repubblica presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti.
Infine, il presidente della corte di appello o il procuratore generale, oltre agli elementi forniti al capo dell'ufficio, possono acquisire, se del caso, anche le valutazioni del presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità.
Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa, l'anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni periodiche.
Come si può constatare si tratta di una griglia molto precisa, stretta e puntuale di elementi, ma a ciò si aggiunge la normativa che collega al mutamento di funzioni un regime di incompatibilità su base endodistrettuale ed extradistrettuale, prevedendo che il magistrato che intende mutare funzione non possa effettuare il passaggio né all'interno dello stesso distretto, né con riferimento al capoluogo del distretto determinato ai sensi dell'articolo 11Pag. 17del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale presta servizio all'atto del mutamento di funzioni.
In sostanza, la griglia dei criteri che determinano una rigida separazione delle funzioni sembra molto rafforzata e in linea con le esigenze che ricordavo. Tuttavia, tale soluzione è stata oggetto di critica: appare troppo netta per l'Associazione nazionale di magistrati e troppo poco incisiva per gli avvocati dell'Oua e delle camere penali.
Comprendiamo le esigenze e anche i profili concettuali che sorreggono le proposte orientate alla separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudice: sono ovviamente principi attuati in molti ordinamenti apparentemente anche più coerenti, sotto il profilo formale, con il principio di terzietà del giudice.
Tuttavia, abbiamo da tempo espresso un'opzione favorevole alla cultura della giurisdizione rispetto alla trasformazione del pubblico ministero in mero avvocato di accusa.
Si dice che il pubblico ministero dovrebbe sviluppare di più la cultura della investigazione anziché quella della giurisdizione e, certamente, si tratta di un aspetto necessario che dovrà essere curato attraverso la scuola superiore del magistratura e attraverso la formazione. Ciò, però, non implica necessariamente una netta separazione di carriere e di ruoli, non solo per la necessaria indipendenza e autonomia da garantire anche al pubblico ministero, ma anche e soprattutto perché riteniamo che ricercare non solo le prove della colpevolezza, ma anche le prove della non colpevolezza sia un elemento di garanzia cui è difficile rinunciare. Anzi, forse talvolta si dovrebbe prestare più attenzione e più scrupolo nei confronti di quei pubblici ministeri che ricercano solo le prove della colpevolezza, trascurando quelle della non colpevolezza.
D'altronde - questa è una preoccupazione, credo, concreta - in un processo in cui le parti sono ancora dispari più che pari, in cui il pubblico ministero può avere a disposizione diversi mezzi di investigazione, avvalendosi della polizia giudiziaria e di consulenze tecniche specifiche assai più rilevanti della difesa, mi chiedo se non sia pericoloso, anche ai fini di garanzia, che lo stesso pubblico ministero perda del tutto la cultura della giurisdizione per assumere il profilo netto e aggressivo dell'avvocato di accusa, avendo più mezzi di quelli che ordinariamente sono in possesso della difesa.
Un altro tema - e concludo, signor Presidente - è quello relativo all'ufficio del processo, che pure viene introdotto in questo disegno di legge.
GAETANO PECORELLA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, sono più di 20 minuti!
PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, onorevole Mantini. Onorevole Pecorella, l'onorevole Mantini è l'unico che parla per il gruppo dell'Ulivo e ha 30 minuti a disposizione. Nel suo gruppo, onorevole Pecorella, ci sono diversi deputati che intervengono e sa che i tempi sono contingentati. Non è responsabilità della Presidenza.
Nella fattispecie, lei non è intervenuto a nome del suo gruppo, ma come relatore di minoranza, che, per prassi, si vede assegnato metà del tempo del relatore di maggioranza. Mi scusi la precisazione.
Ne approfitto per chiedere all'onorevole Lo Presti, se proprio non può rinunciare a telefonare, di farlo con un tono di voce più basso per non disturbare l'oratore.
Prego, onorevole Mantini.
PIERLUIGI MANTINI. Grazie, signor Presidente. In effetti, l'ufficio del processo è di grande utilità, ma non coincide con l'ufficio del giudice, che pure abbiamo proposto e che in parte è assente da questa riforma: è utile parlare dei molti aspetti positivi presenti nel disegno di legge in discussione e, forse, anche di qualcosa che può e deve essere migliorato con le misure e i provvedimenti futuri.
Abbiamo sempre inteso l'ufficio del giudice come una sorta di organismo che abbia lo scopo di razionalizzare e rendere più celere e produttiva l'attività dei giudici,Pag. 18formato da varie componenti, tra le quali certamente il magistrato, il personale di cancelleria, i giovani laureati ammessi alla frequenza delle scuole post-universitarie, per i quali è espressamente richiesto un periodo di frequenza attiva all'interno degli uffici giudiziari.
Attraverso l'istituzione dell'ufficio del giudice potrebbe finalmente trovare attuazione - una migliore attuazione - l'informatizzazione degli uffici giudiziari, l'interattività del rapporto con gli studi legali, l'accesso all'informazione e i processi on line. Si era addirittura ipotizzato che il tirocinio forense potesse essere svolto anche attraverso la partecipazione, per un semestre o per un diverso periodo, all'ufficio del giudice.
Secondo l'Organismo Unitario dell'Avvocatura Italiana (Oua) il lavoro dell'ufficio del giudice avrebbe dovuto avere per oggetto non solo mere incombenze amministrative e burocratiche, ma anche lo svolgimento di attività preparatorie alla materiale redazione della sentenza, attraverso l'esame dei verbali e delle prove e la ricerca giurisprudenziale.
L'Oua ha anche evidenziato la positività dell'ingresso dei praticanti avvocati nell'ufficio del giudice attraverso appositi contratti di formazione, anche con finanziamenti a carico delle regioni, alle quali compete la formazione professionale, al fine di frequentare cancellerie e segreterie giudiziarie dall'interno e di entrare nei meccanismi di lavoro, di intensificare la collaborazione tra avvocati e personale giudiziario ed altro.
Sono tutte misure possibili, razionali, sostenibili e utili all'articolazione del tirocinio forense e alla maggiore efficienza della giustizia e del funzionamento degli uffici; sono misure, dunque, che, per quanto non espressamente introdotte nel disegno di legge di riforma generale, auspichiamo che siano sviluppate ed attuate in seguito.
Non credo, signor Presidente, onorevoli colleghi, che sia possibile dire molto di più in questa occasione, anche se il provvedimento in esame contiene, come noto, misure utili e significative su altri punti, in particolare sul numero dei componenti del CSM e sul sistema elettorale, oltre che sull'organizzazione dei consigli giudiziari e del consiglio direttivo della Corte di cassazione.
In conclusione, voglio ricordare che è stato da più parti affermato che poiché questa riforma riesce a scontentare sia i giudici che gli avvocati è probabile che sia una buona riforma.
Per quanto ciò possa costituire un indizio sintomatico, non mi accontenterei di questa conclusione. Gli operatori, le categorie, il popolo vanno coinvolti nelle riforme. La «necessaria solitudine» del decisore non può essere un alibi. Eppure, sono convinto, in materia di giustizia più che mai, che sapremo far valere l'interesse generale e non quello dei gruppi organizzati, ancorché qualificatissimi, solo quando le riforme, oltre che eque, sapranno essere anche utili.
Sappiamo che, una volta approvato - come spero - questo disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, dovremo con urgenza assoluta aggredire il nodo enorme del debito pubblico giudiziario. Uso non a caso un'espressione felice dell'ex Ministro Castelli, nella convinzione, che ancora ribadisco, della necessità di un impegno comune.
La ragionevole durata dei processi deve essere, già da settembre, la bussola e il fine dell'azione del Governo e del Parlamento. Già vi sono utili proposte legislative in campo: non dovremo attardarci. Se vi è troppa politica nella giustizia, torni con forza, nelle sedi proprie, la politica per la giustizia (Applausi dei deputati dei gruppi l'Ulivo e Rifondazione comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Saluto una delegazione del comune di Borgolavezzaro, che sta assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, a nome del mio gruppo, DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-NuovoPag. 19PSI, ribadisco che esprimiamo un giudizio assolutamente negativo sulla modifica dell'ordinamento giudiziario. Tale giudizio è inappellabile: questo ordinamento è dettato dall'Associazione nazionale magistrati e la burla dello sciopero è per fare fumo, in accordo con la maggioranza e il Ministro, e per far vedere che anche loro protestano, per poi, subito dopo che il Senato della Repubblica ha votato l'articolo 1, revocare lo sciopero per cercare di nascondere la verità al popolo sovrano, che questa maggioranza considera ignorante e credulone.
Ho sentito l'intervento del collega dell'Ulivo: «Tanti nemici, tanto onore»; l'avevo già sentito, è scritto nei libri di storia. Sicuramente ciò non fa onore alla giustizia, anche perché il tono sommesso degli interventi del relatore per la maggioranza e del collega dell'Ulivo fa capire che hanno dovuto subire anche loro e che devono accettare questa imposizione e questa interferenza.
Non è assolutamente vero - mi rivolgo al collega presidente della Commissione, Pisicchio - che in questo momento vi è il rispetto della Costituzione con il bicameralismo perfetto. Nel momento stesso in cui si dice a priori che un ramo del Parlamento - ed è sempre la Camera! - non può toccare alcun disegno di legge che viene dal Senato, significa non rispettare la Costituzione! Chi cita gli articoli della Costituzione, dice una menzogna: è falso, si dovrebbe vergognare. Non è possibile venire qui e sentir dire che bisogna rispettare la Costituzione, quando sappiamo che solo il Senato può legiferare e noi dobbiamo non toccare nulla. Siamo, quindi, in un contesto di inizio di una dittatura di un ramo del Parlamento e della maggioranza rispetto al Paese. Non fa onore a nessuno sentir dire che ricorre il sessantesimo anniversario della Costituzione e che il nostro sistema prevede il bicameralismo perfetto, quando in pratica tutto ciò non viene attuato. È un po' come in quel proverbio secondo cui, quando vi sono due polli e due persone, statisticamente vi è un pollo a testa ma, di fatto, uno ne mangia due e l'altro nessuno, uno mangia troppo e l'altro muore di fame!
Solamente grazie al senatore a vita Giulio Andreotti la maggioranza è stata salvata al Senato nel voto sull'articolo 1 del disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario. Qualcuno afferma che anche questo è stato un accordo fra poteri e che il senatore Andreotti ha dovuto onorare certe soluzioni a certi processi che lo hanno visto protagonista.
Le disposizioni dell'articolo 1 modificheranno la precedente riforma Castelli: i due principali cambiamenti consistono nell'abolizione dei test psicoattitudinali per gli aspiranti magistrati e nell'abolizione dell'obbligo di scelta preliminare fra la carriera di giudice e quella di pubblico ministero. Lo stesso concorso per l'ingresso in magistratura si conferma, del resto, generalista (al candidato si richiede competenza in tutte le branche del diritto) e di secondo grado (ovvero potrà partecipare alle prove solo chi vanta titoli ulteriori rispetto alla laurea: anche, ad esempio, il diploma della scuola superiore); scompare, invece, ogni limite di età per l'accesso al concorso.
Quindi, si può affermare che il concorso per l'accesso in magistratura non fornisce al cittadino alcuna garanzia sul livello di maturità, preparazione specifica ed equilibrio psicologico che dovrebbe invece possedere una persona chiamata alla professione di magistrato, che è delicata poiché riguarda la vita e la libertà delle persone (è questa una consapevolezza che i greci e i romani possedevano e che questa maggioranza, invece, ha completamente dimenticato).
Si ritiene, dunque, che la permanenza in magistratura, spesso fino ad una veranda età, non obblighi a controlli psico-fisico-attitudinali atti a garantire il necessario profilo «sano ed equilibrato» della condizione mentale. Si assume un benevolo pregiudizio che afferma l'esistenza dell'equilibrio psicofisico di qualunque magistrato come atto di fede: si proclama fiducia nel lavoro dei magistrati pur in assenza di qualunque strumento di verifica regolarmente e periodicamente predispostoPag. 20che possa razionalmente, scientificamente e socialmente dimostrare che questo equilibrio esiste veramente.
Alla luce di queste premesse, si arriva di fatto a considerare come un danno collaterale necessario i troppi errori giudiziari che si verificano e i ridicoli e costosi filoni di indagini. Si parlava di un debito pubblico giudiziario che sta andando alle stelle: il cittadino non riesce ad arrivare a fine mese e costoro, invece, sperperano il denaro pubblico. Le statistiche affermano che solo il 5 per cento del denaro speso presenta finalità che rivestono un interesse giudiziario: tutto il resto è una spesa inutile. Vi sono spesso casi di accanimento reiterato, anche se basterebbe il buonsenso a dimostrare la falsità delle tesi, solo perché non viene mai messa in discussione né indagata e verificata con rigore scientifico la reale capacità del magistrato a svolgere con serena giustizia la propria funzione.
Il popolo italiano, negli anni Ottanta, si espresse sulla responsabilità civile dei giudici con oltre l'80 per cento dei consensi: dov'è dunque andata a finire quell'espressione della volontà del popolo sovrano? Invece, si può perfino ipotizzare che nella magistratura vi siano casi di utilizzo di droghe, alcool o sostanze psicotrope, che si possa essere malati di Alzheimer o affetti da turbe psicologiche o mentali e pregiudizi psico-affettivi tali da divenire vere ossessioni, poiché non viene praticata alcuna verifica medica e psicologica atta a dimostrare il contrario e, soprattutto, poiché nulla dimostra che questa categoria professionale sia esente da vizi, cattive condotte e turbe che riguardano percentualmente e statisticamente tante altre categorie professionali.
È una casta che non si ammala mai, non ha mai nessun difetto, è perfetta e, in quanto tale, può fare ciò che vuole: nessuno può controllare la loro idoneità! Lo dite con questo disegno di legge. È una vergogna!
In questi anni stiamo scoprendo, con ritardo - e la Camera lo ha già fatto in ordine al codice della strada - che alcol, droghe e sostanze psicotrope sono entrati prepotentemente, in modo massiccio e preoccupante, nei vizi degli italiani.
Il Governo sta rispondendo al riguardo con normative anche molto severe, sempre sull'onda dell'emotività e dell'emergenza. Come parlamentari, siamo disposti ad intervenire in merito al fatto che molti mestieri, che comportano responsabilità ineludibili verso altre persone, debbano essere necessariamente monitorati, con test al riguardo per salvaguardare la salute e la vita altrui. È prassi comune che molte professioni comportino necessariamente indagini psico-attitudinali. Cito, come esempio valido per tutti, il caso dei piloti di aerei che, ogni sei mesi, vengono controllati dalla testa ai piedi per verificare se facciano uso di sostanze psicotrope e stupefacenti o abuso di alcol, ed è giusto che sia così.
Stiamo, inoltre, per decidere con il Ministro Fioroni se rendere obbligatori i test sulle droghe nelle nostre scuole ed ai nostri figli, e vi è chi - e sono personalmente favorevole - propone test antidroga a tutti i parlamentari, poiché gli italiani hanno il diritto di sapere per chi hanno votato. L'evoluzione delle scienze psicologiche e neurologiche dimostra come oggi molte attitudini - dalla memoria, all'orientamento spaziale, alle reazioni, alle sollecitazioni, ai conflitti e, persino, alle turbe della personalità - possano essere misurate seriamente ed indagate.
Inoltre i test antidroga, antialcol e per le sostanze psicotrope costituiscono oggi una garanzia pratica e immediata per le verifiche di condizioni psico-fisiche.
Ma in questo disegno di legge non si intende intervenire per garantire la fiducia e la serenità degli italiani - tanto che non esistono italiani liberi, ma in attesa di giudizio - nei confronti di una professione dalla quale, prima o poi, gli italiani saranno spiati, intercettati, pregiudicati con sapiente fuga di dati sensibili sulla stampa e giudicati con tempi interminabili (i più lunghi dell'Europa occidentale e, forse, del mondo). Si tratta, peraltro, di una categoria che dispone diPag. 21grandi prerogative: stipendi e ferie che sono il doppio, in media, di qualsiasi altra categoria di pari livello.
Gli italiani spesso vengono danneggiati ingiustamente e irreparabilmente (come dimostrano le statistiche, che vi daranno conferma di tutto ciò che sto dicendo), senza che esista alcuna responsabilità personale, economica e di carriera del magistrato.
Proprio in considerazione del fatto che non esiste una responsabilità personale ed economica a fronte degli errori commessi, chiedo in particolare al Parlamento se, come garanzia, intenda rendere obbligatori almeno le verifiche psico-attitudinali periodiche, i test antidroga, del consumo di sostanze psicotrope o dell'abuso di alcol, rispetto ad una categoria professionale che ha sempre in mano il destino di tutti coloro con i quali entra in rapporto.
Probabilmente nella maggioranza di questo Parlamento permangono retaggi della mentalità inquisitoria che ha guidato per tanti anni, e tuttora guida, i processi penali italiani. Proprio per tale motivo non bisogna accantonare ora la battaglia in favore di un processo penale che sia veramente espressione di un ordinamento democratico e liberale.
Bisogna ripensare veramente, alla luce di quanto sta accadendo nel settore della giustizia, al problema della separazione delle carriere e delle precise funzioni e compiti della magistratura inquirente e di quella giudicante.
L'esempio che abbiamo sotto gli occhi, in questi giorni, del gip di Milano Clementina Forleo - il destino ha voluto che il Ministro fosse Clemente e, invece, il frutto succoso della giustizia attualmente è Clementina! - ci dice che il disegno di legge già approvato dal Senato non va bene e bisogna rivederlo, perché dobbiamo veramente cambiare, ma nel rispetto della nostra Costituzione. Faccio un richiamo alla Costituzione, perché dobbiamo rispettarla; infatti, se non la rispettiamo e soggiacciamo ai ricatti dell'Associazione nazionale magistrati (molti di voi - ahimè - sono costretti a subirli per i favori che hanno ricevuto nel corso degli anni), è ovvio che non approveremo una buona legge per i cittadini, che ci ascoltano, ci sentono e ci seguono. I cittadini sanno perfettamente che voi non avete ragione, mentre abbiamo ragione noi. Ci auguriamo, il più presto possibile, di poterla cambiare nuovamente e definitivamente verso il senso di giustizia e la separazione dei poteri, che è l'unico elemento di vera democrazia che ci può essere in Italia.
Si tratta di concetti che avevano ben presenti i greci e i latini e che, invece, noi non teniamo più presenti e che non sono mai stati applicati nei Paesi dove vi sono state le dittature e i regimi comunisti e dove il senso della giustizia era completamente assente. In Italia viene ripercorso il periodo grigio della giustizia mondiale, proprio per consegnare ad un potere dello Stato, la magistratura, la chiave vera del potere, tenendo sotto scacco gli altri poteri. Quindi, di fatto, non vi è il rispetto della Costituzione.
Il sessantesimo anniversario della Costituzione sarà importante per ricordare i padri costituenti, che credo non ve ne siano più per raggiunti limiti di età: non li rispettiamo approvando il disegno di legge in esame, perché essi si erano impegnati a creare un'Italia vera, diversa, giusta, democratica, libera e, soprattutto, garantista, come sempre. Quando il vero centrosinistra (composto dal pentapartito, dalla democrazia cristiana e dal partito socialista) governava la Nazione, tali cose non sarebbero mai successe.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, il testo del provvedimento che arriva oggi in aula non ha potuto essere compiutamente esaminato dalla Camera dei deputati per l'incalzare del tempo. Esso deve essere approvato ed entrare in vigore entro il prossimo 31 luglio, perché, in caso contrario, entrerebbero in vigore i decreti legislativi della riforma Castelli, nelle molte parti non modificate. Tale evenienza, che consideriamoPag. 22una iattura, deve essere scongiurata dal centrosinistra, il cui programma di Governo ne prevedeva la depurazione dei molti aspetti lesivi dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura.
L'ineluttabilità della sua approvazione non esime, tuttavia, da un sereno, anche se rigoroso, esame della ragione di insoddisfazione del metodo seguito. Infatti, ci pare che il percorso posto in essere non sia completamente rispettoso del programma dell'Unione, che prevedeva si dovesse intervenire anche con provvedimenti di sospensione dell'efficacia di disposizioni della legge delega o di interi decreti legislativi.
È noto che l'Italia dei Valori ripetutamente chiese, subito dopo l'insediamento del Governo, una vigorosa iniziativa, anche con decreto-legge, volta ad abrogare l'ordinamento Castelli o, comunque, a sospenderne l'efficacia per un tempo congruo, per operarne una completa riscrittura, che, non escludendo la conservazione di alcuni aspetti, fosse pienamente rispettosa dei principi costituzionali che reggono l'ordinamento del potere giudiziario, come richiamato dall'articolo 102 della Costituzione, vulnerato dalla riforma del centrodestra.
Invece, la debole iniziativa assunta riguardò un semplice disegno di legge, non un decreto-legge, di sospensione dell'efficacia di alcuni decreti legislativi e per un tempo assai limitato, cioè fino al 31 luglio 2007.
Nel corso del dibattito al Senato fu cercato un accordo con l'opposizione che modificò solo in talune parti e con risultati considerati approssimativi alcuni decreti legislativi, specie in materia di uffici di procura e di responsabilità disciplinare.
Ne risultò un ibrido considerato insoddisfacente, reso ancora una volta immodificabile dalla Camera dei deputati, che sortì il solo effetto di impedire che su quei decreti legislativi si tornasse in seguito. In effetti, il disegno di legge all'odierno esame della Camera ha da una parte riguardato solo alcuni aspetti (principalmente la carriera, le valutazioni, la scuola di formazione, gli organi rappresentativi di merito e di legittimità), dall'altra fu presentato solo alla fine di marzo del 2007, con la conseguenza, come si è poi verificato, della grave compressione del dibattito, con in più il timore che mancassero i tempi per la sua approvazione.
Sulla lesione della dignità di questo ramo del Parlamento ha già detto parole vere e severe il presidente Pisicchio, alla cui sagacia, insieme al buonsenso dell'opposizione, si deve se la Commissione ha potuto concludere ieri i suoi lavori, pur senza poter spostare neppure una virgola. Di ciò il gruppo dell'Italia dei Valori lo ringrazia.
Non possiamo, tuttavia, non interrogarci in questa discussione sulle linee generali sulle ragioni politiche che hanno determinato tale stato di cose di insoddisfacente ripristino della situazione preesistente al precedente Governo di centrodestra. Se ci chiediamo perché si sia giunti ad una mezza modifica dell'ordinamento giudiziario, invece che all'eliminazione della «controriforma Castelli» ed alla sua completa rivisitazione, il pensiero non può non correre a ciò che avvenne in occasione dell'indulto ed al patto con l'opposizione che settori del centrosinistra hanno stretto per giungere a quell'esito.
Infatti, dopo il lancio del provvedimento di clemenza da parte del Ministro della giustizia, il 2 giugno dell'anno scorso, il maggior partito dell'opposizione il giorno successivo, per bocca di suoi autorevolissimi esponenti, si affrettò a fornire il proprio consenso, ma nel contempo a porre le sue irrinunciabili condizioni: non dovevano essere modificate né le leggi ad personam, né l'ordinamento giudiziario. La stampa di quell'epoca ne riporta con dovizia di particolari le dichiarazioni ed io le ometto per brevità, avendole tutti noi presenti.
Si può spiegare così la ragione per cui non si è avuta nessuna abrogazione delle pregresse leggi di salvataggio personale, benché ciò rientrasse nel programma dell'Unione? Si possono spiegare così le esitazioni sull'ordinamento giudiziario, la cui riforma è quindi risultata tardiva e parziale? La domanda può essere considerataPag. 23fondata, considerata la concatenazione degli eventi, e come tale inoppugnabile.
Ma in tal modo si è rischiato di lasciare l'Italia con un ordinamento giudiziario, legge di rango costituzionale riguardando un potere dello Stato, alquanto «rattoppato» e con una magistratura giustamente allarmata, stretta tra l'ipotesi dell'entrata in vigore dell'ordinamento Castelli e la presenza di elementi di punitività, se non di incostituzionalità.
In tal senso, era da ritenersi giustificata l'indizione dello sciopero da parte dell'associazione dei magistrati che, quindi, non aveva affatto scritto il testo - come qualcuno maliziosamente sostiene - e che non perseguiva un interesse proprio e corporativo, quale sarebbe stata una rivendicazione economica, ma era unicamente preoccupata di presidiare le garanzie costituzionali dell'autonomia e dell'indipendenza, stabilite a difesa non dei magistrati, ma dei cittadini. Infatti, una giustizia indipendente ed autonoma è infinitamente meglio di una giustizia gerarchizzata e vulnerabile nei confronti del potere politico. Persino i cittadini che hanno timore dei magistrati ne hanno infinitamente di più del controllo che i politici possono esercitare su di essi e del bavaglio che la parte politica può imporre loro.
La revoca dello sciopero dopo qualche segnale di attenzione, arrivato al Senato con l'accoglimento di emendamenti migliorativi anche proposti dal gruppo dell'Italia dei Valori e con la reiezione di emendamenti peggiorativi, deve essere ascritto al senso di responsabilità della magistratura associata, che non ha mai attentato alle prerogative del Parlamento, come si sente dire, ma si è limitata a rivolgere considerazioni in punto di costituzionalità. Semmai, mi verrebbe di dire che è spesso il Parlamento ad invaderne i poteri, soprattutto in tema di insindacabilità, venendo sistematicamente condannato dalla Corte costituzionale.
Queste sono le ragioni per le quali, secondo noi, si è arrivati ad una manovra parziale e per noi solo limitatamente positiva sull'ordinamento giudiziario. C'era da chiedersi se valesse proprio la pena di giocare un tale risultato sul piano di un patto in favore dell'indulto, che ha creato tanti problemi. Tuttavia, vogliamo vedere innanzitutto le cose apprezzabili che l'odierno testo contiene e che inducono l'Italia dei Valori a votare a favore.
Riteniamo giusto che si sia arrivati ad un sistema di valutazioni stringente costituzionalmente garantito dal mantenimento del governo autonomo della magistratura, senza interruzioni forzate, quale sarebbe stata quella degli avvocati nei consigli giudiziari, in sede di parere sulla carriera, e ad un regime di formazione permanente.
I magistrati esercitano la giustizia in nome del popolo italiano e tutto ciò che può essere disposto per favorire una giustizia professionalizzata al massimo ed efficiente va a favore dei cittadini. Perciò, la scuola di formazione e l'obbligo di sottoporsi ogni quattro anni ai corsi sono strumenti positivi e riteniamo anche più puntuale e incisivo il sistema di individuazione degli uffici direttivi e semidirettivi con il criterio della temporaneità dopo una sola conferma.
Consideriamo anche positiva la disciplina del consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari, rispettosa dei principi costituzionali; così come ci pare compatibile una limitata progressione per concorso solo nelle funzioni di legittimità, perché sprona allo studio.
Esprimiamo, però, riserve su una disciplina della separazione delle funzioni che fosse così rigida da avvicinare alla separazione delle carriere. Essa rappresenta, pur come attenuata al Senato anche per alcuni emendamenti presentati dall'Italia dei Valori, il confine estremo e invalicabile rispetto a un'inaccettabile separazione delle carriere. Noi non la vogliamo, perché sappiamo che la rottura dell'unitarietà della funzione giurisdizionale può aprire le porte al controllo del pubblico ministero da parte dell'Esecutivo, con perniciose conseguenze in ordine all'eliminazione del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale che può favorire la perdita della natura di organo soggetto alla legge, con danno per lo stesso imputato.Pag. 24
Né comprendiamo come e perché la rigorosa e rigida separazione delle funzioni, come è stata disegnata, possa meglio garantire l'autonomia di decisione del giudice rispetto al pubblico ministero, apparendo, piuttosto, come una volontà punitiva nei confronti di chi è disposto a rinnovarsi e a mettersi in discussione, ampliando il suo orizzonte professionale e culturale. Fra i migliori magistrati che ho conosciuto ve ne sono alcuni che, qualunque funzione abbiano esercitato, hanno mantenuto piena autonomia di ruolo e si sono molto giovati, nell'esercizio della giurisdizione, della conoscenza dell'altra funzione esercitata e dell'arricchimento professionale derivato dall'aver ricoperto diversi ruoli giudiziari. Aver svolto il ruolo di giudice fallimentare delle cause societarie è un vantaggio per il pubblico ministero, così come aver esercitato la funzione di giudice penale giova a chi poi svolge la funzione requirente, in quanto ne accresce la cultura della giurisdizione e dell'autonomia di giudizio.
Tuttavia, è nel suo complesso che la riforma dell'ordinamento giudiziario non può dirsi compiuta; non solo perché, con riferimento alle parti esaminate, la Camera, per le già richiamate ragioni di tempo, non ha potuto apportare importanti modifiche che avrebbero potuto arricchirla, ma anche perché vi sono delle parti nelle quali la riforma può dirsi incompiuta. Così dicasi per quei decreti legislativi che sono stati appena sfiorati dalle modifiche apportate al Senato con la legge di sospensione, frutto di un accordo con l'opposizione.
In particolare, insoddisfacente è la modifica dell'organizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, tuttora improntata a un criterio verticistico, che non si concilia con la sottoposizione del magistrato solo alla legge e che rappresenta un ostacolo alla piena operatività degli uffici di procura. Se un capo dell'ufficio deve dedicarsi al controllo del lavoro dei propri colleghi, che non possono fare niente senza il suo placet, non ha tempo per un'opera di coordinamento basata sullo sprigionamento, piuttosto che sull'imbrigliamento, delle potenzialità di tutti i magistrati del pubblico ministero, e ciò a tacere della considerazione che quello giudiziario è un potere diffuso.
Parimenti, il sistema della responsabilità disciplinare, rappresentato dall'ibrido scaturito dalla «miniriforma» della legge di sospensione, presenta ancora vistosi scostamenti, cui difficilmente si potrà ovviare con la delega al coordinamento contenuta nel testo all'odierno esame.
Infine, qualche aggiustamento potrebbe ancora farsi nei rapporti tra il magistrato capo dell'ufficio e il dirigente amministrativo, al fine di distinguere meglio i compiti che non incidono sull'esercizio della giurisdizione - i quali spettano ai dirigenti amministrativi - dagli altri che non possono che competere al magistrato capo dell'ufficio.
Queste sono le ragioni di una certa insoddisfazione rispetto ad una manovra complessiva di modifica dell'ordinamento giudiziario che avrebbe potuto essere e, invece, non è. Tale insoddisfazione, tuttavia, non ci impedisce di votare a favore del testo in esame, perché comunque serve ad evitare il male maggiore, rappresentato dall'entrata in vigore della riforma Castelli, pur ripromettendoci di proporre che si rimetta mano al completamento della riforma secondo gli indirizzi programmatici del centrosinistra. Ciò ci induce a rivolgere un accorato appello a tutti i colleghi dell'Unione e, in particolare, ai colleghi della Rosa nel Pugno, affinché evitino di mantenere e di votare alcuni loro emendamenti che sarebbero certamente accolti anche dal centrodestra, con il rischio che il testo possa ritornare al Senato.
Ognuno dei partiti del centrosinistra avrebbe probabilmente delle ragioni che lo indurrebbero a proporre modifiche, ma non lo facciamo in virtù di un'esigenza superiore e comune: quella di evitare che, anche per un solo giorno, la riforma Castelli possa governare la magistratura italiana.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Frassinetti. Ne ha facoltà.
Pag. 25
PAOLA FRASSINETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, svolgerò solo alcune osservazioni, perché entreranno nel merito del provvedimento i miei colleghi di Alleanza Nazionale appartenenti alla Commissione giustizia. Al riguardo, inizio proprio rivolgendo un apprezzamento all'onorevole Pisicchio, presidente della Commissione giustizia: come mi riferisce l'onorevole Consolo, capogruppo di AN in Commissione, è stato dato spazio all'opposizione ed è stato tenuto un atteggiamento sempre al di sopra delle parti.
Termino con gli apprezzamenti positivi, perché, purtroppo, devo denunciare che quanto è accaduto - soprattutto nei giorni scorsi al Senato - nell'iter che il provvedimento in esame ha seguito, è molto grave: si è verificata una vera e propria trattativa sindacale tra il Governo e l'Associazione nazionale magistrati, una corrente della magistratura - che, per fortuna, non rappresenta tutta la magistratura - che ha affrontato le modifiche dell'ordinamento giudiziario come se si trattasse di modificare le clausole di un contratto sindacale. Peccato che il Governo - sono contenta che sia presente il Ministro Mastella - scopra la concertazione solo quando è in ballo la categoria dei magistrati! È intollerabile, a mio avviso, che l'Associazione nazionale magistrati abbia adottato un comportamento irresponsabile, adducendo pretese e usando l'arma dello sciopero come una minaccia.
Al riguardo, pertanto, è necessario svolgere una riflessione in ordine alla debolezza della politica nei confronti di questa corrente della magistratura: essa non ha fornito risposte ed ha mostrato, a mio avviso, una vera e propria patologia nei rapporti con la stessa. Questa situazione è sicuramente dovuta all'inesistente maggioranza presente al Senato.
Ancora una volta, la politica del Governo intacca una riforma così importante per i cittadini come quella della giustizia. L'associazione nazionale magistrati conduce le sue trattative usando un metodo che evidenzia un vero e proprio fastidio verso il lavoro parlamentare: a dimostrazione, il testo formulato dalla Commissione giustizia del Senato è stato subito contestato, mentre si aveva l'impressione che il testo del Governo fosse stato scritto sotto dettatura della magistratura stessa.
Effettuo un riferimento ed un richiamo all'articolo 108 della Costituzione, che stabilisce che le norme sull'ordinamento giudiziario e sulla magistratura sono stabilite con legge. Siamo davanti, purtroppo, ad un'attività lobbistica e sindacale che, per quanto lecita, non può trasformarsi nella pretesa di creare una legislazione sotto dettatura. Nell'iter al Senato questa è stata l'impressione: si può tranquillamente dire che sia stata lesa la libera discrezionalità del Parlamento.
Segnalo, quindi, le criticità del provvedimento in discussione con riferimento all'abbandono della separazione delle funzioni. Vorrei che il Ministro mi ascoltasse. Un'efficace e rigorosa separazione delle funzioni fra magistratura giudicante e requirente avrebbe contribuito a realizzare, nel processo penale, un'effettiva terzietà del giudice ed un'effettiva parità tra accusa e difesa. Tale aspetto era contenuto nel programma elettorale dell'Unione: tendo a sottolinearlo perché ritengo sia molto importante.
Inoltre - questo è il punto cruciale del mio intervento - sottolineo l'esclusione dal consiglio giudiziario del presidente dell'ordine degli avvocati. Si è realizzata, in questo modo, un'eliminazione ed una marginalizzazione della categoria degli avvocati, che vengono esclusi anche dalla concertazione: abbiamo ascoltato in Commissione l'Oua, ma nessuna delle contestazioni effettuate dagli avvocati è stata recepita. Alleanza Nazionale, come è al fianco dei magistrati che non fanno politica ma che contribuiscono al buon andamento della giustizia, è al fianco degli avvocati che vogliono salvaguardare il diritto.
Pertanto, penso che, eliminando la funzione di controllo e di garanzia che gli avvocati dovevano svolgere nella fase di valutazione, sia stato effettuato, ancora una volta, un attacco ad una categoria che è fondamentale per il diritto e per il buonPag. 26andamento della giustizia. Ricordo che, in sede di esame da avvocato, la presenza dei magistrati nelle commissioni è continua, importante ed effettiva: siamo ancor più di fronte ad una lesione di una categoria che non è stata neanche ascoltata.
Conseguentemente, ancora una volta - è dal decreto Bersani del luglio scorso che esaminiamo provvedimenti contro gli avvocati - abbiamo una disparità di trattamento all'interno della giustizia, che dovrebbe essere, invece, un campo in cui vi è equilibrio.
Mi avvio a concludere. Non posso non fare cenno al nostro ruolo mortificante in questi giorni: la Camera diventa soltanto un organo ratificatore, senza avere la possibilità, in un provvedimento così importante, di effettuare un dibattito. Ecco, quindi, un contingentamento dei tempi, che è inaccettabile. La Camera svolge il ruolo di mero ratificatore di un testo licenziato dal Senato.
Evidentemente, davanti a una materia così complessa, non dovevano essere poste condizioni, come la fretta di approvare il provvedimento entro il 31 luglio (anche perché si poteva emanare un decreto-legge) e bisognava dare tempo alla Camera di discutere liberamente senza avere tempi contingentati. Anche questa è una lesione gravissima della nostra attività parlamentare, che si sta perpetrando in quest'aula.
Concludo con una speranza che dovrebbe impegnarci, perché venga finalmente portato all'esame dell'Assemblea il disegno di legge di revisione costituzionale per la separazione delle carriere. È da lì che dobbiamo ripartire per una riforma radicale del sistema della giustizia che sia una riforma degna di un Paese civile e che, soprattutto, vada incontro ai cittadini che ricercano giustizia nella quotidianità e che sono stati offesi dall'azione di questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gelmini. Ne ha facoltà.
MARIASTELLA GELMINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, la riforma dell'ordinamento giudiziario merita tutta la nostra attenzione. Siamo di fronte ad un provvedimento che è destinato ad incidere profondamente sul funzionamento della giustizia e sulla capacità della stessa di rispondere adeguatamente ai bisogni dei cittadini. La ratio di una riforma che si possa definire tale, infatti, non può prescindere da una constatazione: la percezione largamente maggioritaria nel Paese di un cattivo funzionamento della giustizia, accompagnato ormai ad un senso di rassegnazione.
Da questo semplice dato oggettivo deriva in capo al Parlamento e alla maggioranza, in modo particolare, il dovere di compiere uno sforzo per fornire responsabilmente risposte adeguate. L'autorevolezza e il prestigio delle istituzioni si guadagnano sul campo, non certo cedendo a facili posizioni di comodo.
Occorrono vigore e il coraggio di non svendere principi costituzionali sull'altare di meri interessi corporativi. È per questo che noi esprimiamo una ferma e motivata contrarietà al provvedimento in esame, sia nel metodo sia nel merito, e, quel che è peggio, stigmatizziamo lo strappo alle regole: il ridurre il ruolo della Camera a «passacarte» delle decisioni già assunte in Senato, con l'apporto vitale dei senatori a vita.
Questo ramo del Parlamento credo che abbia il dovere di reagire ad un simile sopruso. Una materia prioritaria per la vita del nostro Paese, qual è la giustizia, non merita di essere affrontata in una manciata di ore, solo ed unicamente perché il prossimo 31 luglio scadranno i termini della sospensiva della riforma voluta dalla Casa delle libertà.
Non vi è, peraltro, il dubbio, ma la certezza che l'Assemblea si trova di fronte ad un provvedimento «blindato», al punto che in Commissione sono stati bocciati pressoché tutti gli emendamenti proposti dall'opposizione, persino quelli volti all'armonizzazione del testo.
Non vi è dubbio che gli scarsissimi tempi a disposizione per l'esame non consentano un approfondimento adeguato; è un'osservazione che è stata avanzata piùPag. 27volte in sede di Commissione, anche da parte di esponenti della stessa maggioranza. Il presidente Pisicchio lo ha rilevato con un'indubbia onestà intellettuale, ma non è stato il solo. In difesa dell'attività che questo ramo del Parlamento avrebbe dovuto, e dovrebbe svolgere, in aperto contrasto con il provvedimento in discussione, si è alzata pesantemente anche la vibrante protesta dell'onorevole Buemi, che ha parlato di involuzione e arretramento dei principi di civiltà giuridica, a proposito dell'eliminazione della separazione delle funzioni inquirente e giudicante. E come si può non associarsi a quanto detto dall'onorevole Buemi? Come si può non essere d'accordo?
Colleghi, questo è il contesto di riferimento in cui è maturato l'esame del presente provvedimento. La verità è che il presente disegno di legge sull'ordinamento giudiziario è l'ennesima prova della politica fallimentare del Governo e dello scarso interesse verso la profonda esigenza di riforme del Paese. Appare evidente, come già emerso in Commissione, che l'unico scopo del provvedimento in esame è una corsa contro il tempo, per evitare l'efficacia della riforma Castelli. Badate bene: non è un problema di tifoseria, di essere a favore o contro la magistratura; l'approccio non può e non deve essere ideologico: al contrario, deve essere volto a garantire al cittadino un'adeguata qualità della giustizia, mantenendo il fondamentale requisito dell'equidistanza rispetto agli interessi in gioco. Perché tale assunto si concretizzi, è indispensabile che la magistratura sia tenuta al rispetto di parametri che garantiscano l'efficienza del sistema giustizia.
Ma passiamo al merito del provvedimento: già ad un primo esame, il testo in discussione si dimostra incapace di fornire risposte e schierato apertamente in difesa dello status quo. In realtà, a fronte della riforma Castelli - che non solo innovava energicamente e risolutivamente l'ordinamento giudiziario, ma aveva a cuore l'interesse dei cittadini - ci troviamo ora di fronte a un provvedimento che viola apertamente il dettato costituzionale, laddove la Costituzione fa riferimento al giusto processo, e purtroppo determina un'involuzione di principi base di civiltà giuridica. Stupisce ancor di più il fatto che a commettere tale violazione della Costituzione sia proprio quella parte politica che, da sempre, si erge a tutrice della stessa. Il provvedimento in esame, in realtà, persegue con pervicacia l'obiettivo, molto caro all'ANM, di fare sparire, in un sol colpo, la tanto attesa separazione delle funzioni, con buona pace del disposto costituzionale sul giusto processo e sulla parità tra accusa e difesa davanti a un giudice terzo. È chiaro che non può esservi giusto processo senza separazione delle carriere, e ciò perché il principio del giusto processo e della parità delle parti processuali può essere realizzato solo attraverso la separazione delle carriere di requirente e giudicante. Non si può non notare come un'unica carriera e funzioni intercambiabili per giudici e pubblici ministeri costituiscano una contraddizione con una democrazia costituzionale che ha nella separazione dei poteri uno dei principi cardine. E non bisogna dimenticare che pressoché in nessun altro Paese democratico giudici e pubblici ministeri formano un corpo unico di magistrati indipendenti.
Forti perplessità emergono anche in altri e svariati punti del testo in esame. In questo disegno di legge non scompare soltanto la separazione delle carriere, ma viene meno anche quel taglio pratico che la riforma Castelli aveva dato al concorso in magistratura. Basti pensare a come le prove concorsuali tornino a essere del tutto generiche e prive di un qualsiasi riferimento alle funzioni che, effettivamente, verranno svolte dal neomagistrato. E alle linee general-generiche di questo concorso seguono le nuove impostazioni riguardanti la scuola della magistratura: la riforma Castelli aveva come nodo cruciale la disciplina della scuola della magistratura, intesa non solo come strumento per forgiare il magistrato, ma soprattutto come centro di formazione permanente e obbligatoria, in modo da determinare la carriera del magistrato esclusivamente in virtù di un criterio meritocratico, sullaPag. 28base della preparazione e non della mera anzianità. Non è pensabile che le progressioni e gli incentivi economici siano disancorati da un'attenta valutazione sulla quantità e qualità del lavoro svolto. Il disegno di legge Mastella abbandona acriticamente tale impostazione: prevede, al contrario, l'avanzamento automatico in carriera, generando inefficienza e appiattimento. In realtà, formazione, verifiche di professionalità e aggiornamenti sono i cardini su cui si deve ergere un sistema finalmente efficiente di giustizia. Ma se già questi due fattori non fossero sufficienti a mostrare le crepe del presente disegno di legge, si rifletta sulla nuova disciplina dell'ufficio del pubblico ministero: la riforma Castelli prevedeva che l'attività dell'ufficio venisse gerarchizzata, rafforzando ruolo e funzione del procuratore capo e attribuendo allo stesso forti poteri organizzativi e gestionali del suo ufficio.
Veniva peraltro stabilito che qualsiasi misura cautelare disposta dal suo ufficio dovesse avere necessariamente il suo placet. Tale disposto normativo non poteva che generare un maggior controllo nell'utilizzo delle misure cautelari, evitando abusi che spesso sono stati fin troppo facili. A tutto ciò va aggiunta l'attribuzione al procuratore capo della competenza esclusiva dei rapporti con i media. Gli ennesimi episodi di questi giorni rendono intuitiva l'esigenza di un controllo sulle dichiarazioni dei pubblici ministeri che risultano essere talvolta abnormi e dannose. Quante volte il protagonismo mediatico di alcuni magistrati ha toccato l'opinione pubblica e ha leso l'immagine della magistratura creando gravi danni a soggetti successivamente risultati estranei ai fatti! Il provvedimento in esame, eliminando tale responsabilità, dimostra ancora una volta il suo carattere illiberale. Ma non è tutto: i diktat dell'ANM sono stati talmente pesanti da determinare l'esclusione degli avvocati dai consigli giudiziari propri perché l'ANM non può tollerare che nelle valutazioni di professionalità dei singoli magistrati partecipino soggetti esterni alla magistratura, dimostrando ancora una volta di volersi chiudere in un circuito autoreferenziale. Questo non è solo il mio pensiero, ma è soprattutto la posizione dell'Unione delle camere penali. Mi domando: serve al Paese una magistratura autoreferenziale così preoccupata solo dei propri interessi corporativi? Tale esclusione svilisce la figura e l'alta dignità della professione forense, condannando gli avvocati a fare parte dei consigli giudiziari solo per compiti istituzionali secondari e burocratici e favorisce peraltro il potere delle correnti nella magistratura, il tutto con grave pregiudizio dell'indipendenza e della libertà della figura del giudice.
Per tutto ciò il provvedimento in esame si configura non solo dannoso per il cittadino, ma contrario alla stessa magistratura, che vede lesa la sua fondamentale prerogativa di indipendenza a vantaggio del potere delle correnti interne, in sfregio al principio di imparzialità. Ciò si evince anche dal nuovo sistema sulla progressione nella carriera basato su elementi e criteri tutt'altro che certi e probanti la reale validità di un magistrato. Al contrario, il disegno di legge è informato da criteri vaghi, imprecisi e fumosi, espressi in termini general-generici come capacità, laboriosità e impegno. Sembra lo schema di una pagella basata sulla discrezionalità totale di un giudicante mutevole. Si parla di giudizi positivi, non positivi, negativi, di sanzioni come l'esonero dalla funzione e di contro scompare l'attenzione che la riforma Castelli aveva posto nella tipizzazione degli illeciti disciplinari.
Avviandomi alla conclusione, non posso non rilevare come ci si trovi di fronte ad un testo ampiamente inadeguato a fornire soluzioni e che con troppa superficialità disattende i principi fondamentali di civiltà giuridica. È un testo che non può passare impunito perché rappresenta un vulnus inaccettabile nella nostra democrazia e che anche sotto l'aspetto tecnico lamenta molte lacune, imprecisioni e carenze come spesso accade quando si preferisce la fretta ad un adeguato spazio di riflessione.
Per tali motivi invito la maggioranza ad un impegno maggiore; è ancora in tempo, la invito a prendere seriamente in considerazionePag. 29la possibilità di un'ulteriore proroga della sospensione della riforma Castelli. L'Assemblea ha il dovere di reagire e non può abdicare alla propria prerogativa di approfondire, valutare e ponderare adeguatamente un testo così rilevante.
Voglio ricordare, da ultimo, le parole del Ministro Mastella alla Reggia di Caserta. Il Guardasigilli in quel caso indicò - cito testualmente - come priorità dell'azione di Governo il tema della giustizia e, più in particolare, quello dell'accelerazione dei processi in termini di garanzia dei diritti individuali, di competitività del sistema economico e di prestigio internazionale del Paese.
Sono principi astrattamente condivisibili, ma con il provvedimento in esame sono destinati a costituire un ulteriore libro dei sogni privo, come del resto il programma della maggioranza,...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MARIASTELLA GELMINI. ...di qualsiasi concreta attuazione - concludo Presidente - pertanto di fronte a questo brutto pasticcio quest'Assemblea ha un solo dovere, quello di non approvarlo e di accelerare i tempi delle elezioni anticipate. Ciò, onorevoli colleghi, rappresenta la vera giustizia che i cittadini, a destra come a sinistra, oggi invocano (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Signor Presidente, giunge all'esame dell'Assemblea un provvedimento di grande importanza relativo alla riforma dell'ordinamento giudiziario. Per essere più precisi, si tratta della modifica della legge Castelli, una normativa per tanti aspetti confusa e farraginosa, che in molti hanno giudicato come animata prevalentemente da una volontà punitiva nei confronti della magistratura. Si trattava di un'iniziativa legislativa che aveva prodotto ulteriore tensione in un campo, quello dei rapporti tra politica e giustizia, che avrebbe bisogno, al contrario, di un clima di rispetto reciproco e di leale collaborazione. Questo clima di scontro, una delle scorie tossiche della transizione infinita, produce un doppio danno: impedisce al legislatore ed agli operatori della giustizia di collaborare per il buon funzionamento del sistema e produce un distacco ulteriore dei cittadini dalle istituzioni, apparendo queste ultime non un bene comune, ma il territorio di un conflitto tra poteri dello Stato, perfino tra gruppi di potere che si combattono per tutele particolari e non nell'interesse della giustizia e dei cittadini italiani.
Non sto dicendo che il disegno di legge in esame di per sé può raggiungere obiettivi di tale portata, penso tuttavia che, per i suoi contenuti fondamentali, possa contribuire a far voltare pagina. Non c'è dubbio sul fatto che allo scopo di legiferare prima del 31 luglio, tenendo conto della data di trasmissione dal Senato di questo disegno di legge, la Camera abbia avuto un tempo non sufficiente ad esaminare un provvedimento così importante e complesso. Anch'io devo dire, tuttavia, che la Commissione competente è riuscita a dedicare un tempo congruo alla discussione generale, a svolgere audizioni e a garantire la messa in votazione di tutti gli emendamenti (ne sono stati presentati diverse centinaia). Mi unisco quindi anch'io agli apprezzamenti già rivolti al presidente della Commissione, alla relatrice per la maggioranza, al rappresentante del Governo e a tutti colleghi, di maggioranza e di opposizione, che seppur in tempi abbastanza stretti hanno dato vita ad un confronto di merito in ogni caso interessante.
Condivido, nelle condizioni date, l'articolato al nostro esame. È il frutto di un lavoro attento da parte dei colleghi senatori, che ha portato a rilevanti modifiche del testo presentato dal Governo. Gli emendamenti approvati a Palazzo Madama lo hanno reso ancora più equilibrato, più rigoroso e maggiormente garantista dal punto di vista dei cittadini italiani, dunque non è vero affatto che il Governo e la maggioranza hanno agito inPag. 30questa materia subendo le pressioni della magistratura associata. Vi è stata tale pressione, così come vi è stata quella delle associazioni dell'avvocatura: abbiamo potuto non solo leggere sui giornali, ma anche ascoltare le critiche degli uni e degli altri durante le audizioni in Commissione, tuttavia il Parlamento ha continuato a lavorare in piena responsabilità e autonomia. Lo dimostra il fatto che proprio nei giorni in cui veniva proclamato lo sciopero, poi rientrato, da parte dell'ANM il Senato approvava, ad esempio, la norma che estendeva all'intero territorio della regione l'area dell'incompatibilità per il passaggio di funzione: una norma - come è noto - fortemente criticata dai vertici dell'associazione dei magistrati. È esattamente su tale aspetto, il passaggio di funzioni tra requirente e giudicante, che vorrei svolgere alcune considerazioni prima di concludere il mio intervento.
Intendiamoci, il disegno di legge interviene su altre e diverse tematiche, quali la disciplina dell'accesso, i nuovi criteri di valutazione della professionalità dei magistrati, il superamento di automatismi nella progressione in carriera, il ruolo dei consigli giudiziari, la disciplina della Scuola superiore della magistratura, ed altro.
Ma il tema è quello della distinzione delle funzioni e della separazione delle carriere. I modelli sono due. Cosa sia la separazione delle funzioni è difficilmente comprensibile, almeno per me: è possibile avere o il sistema costituzionale italiano, che prevede la distinzione delle funzioni, o un altro modello, che è la separazione delle carriere. Ciò è sempre stato motivo di accese discussioni e di uno scontro difficile da risolvere e sarà tema di discussione anche nelle prossime ore. Penso che il testo che stiamo esaminando possa fornire finalmente una soluzione concreta, equilibrata ed efficace a questo problema, quindi consentire di lasciarsi alle spalle, una volta per tutte, una contrapposizione troppo spesso pregiudiziale e schematica. Non ho mai condiviso i toni e il carattere ultimativo con il quale, nel corso degli anni, sono stati portati argomenti a sostegno dell'una o dell'altra tesi. Non è convincente sostenere, ad esempio, come ha fatto poco fa la collega di Forza Italia, che la separazione delle carriere rappresenterebbe l'unico modo per garantire il giusto processo, ma non mi ha mai convinto neanche la tesi di chi pensa che, di per sé, la separazione delle carriere porti alla fine dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura e alla sottomissione del pubblico ministero all'Esecutivo o che si tratti di una tesi contro la magistratura: non è così. È facile ricordare che un giudice di grande valore come Giovanni Falcone era, ad alcune condizioni, favorevole alla separazione delle carriere. Ritengo, meno ideologicamente e più pragmaticamente, che la separazione porti con sé un rischio: lo snaturamento della figura del pubblico ministero, schiacciandolo su un ruolo puramente repressivo. C'è il rischio, cioè, di creare un corpo separato e potente di superpoliziotti. Al pubblico ministero come avvocato dell'accusa preferisco la fisionomia attuale di un magistrato, che ha il compito di raccogliere anche elementi di prova a favore dell'accusato. Penso che in questo modo il cittadino sia più garantito. A tale problema la legge Castelli dava invece una risposta ingessata e farraginosa: una separazione di fatto, senza nominarla, quindi senza contrappesi. Perché, cari colleghi, dobbiamo dirci la verità: neanche la Casa delle libertà era evidentemente convinta di una vera separazione delle carriere. Infatti, la riforma Castelli non la contemplava nel suo articolato, eppure nella scorsa legislatura la Casa delle libertà aveva una maggioranza talmente ampia di voti parlamentari che, se avesse voluto, avrebbe previsto la separazione delle carriere, comprese le modifiche costituzionali che servono ad un nuovo sistema di separazione delle carriere stesse. Ciò che sto dicendo non significa lasciare le cose così come sono andate nei decenni trascorsi, perché una commistione eccessiva tra giudici e pubblico ministero nuoce non poco all'immagine di terzietà, che deve assolutamente possedere chi è chiamato a garantire il contraddittorio ed, infine, a giudicare. Si deve, a mio avviso, attuare con rigore l'articolo 107 dellaPag. 31Costituzione, secondo il quale i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni. È un'affermazione chiara, nella quale contano, a mio avviso, le parole «soltanto» ma anche «si distinguono». Per questo è necessario distinguere in modo più chiaro la funzione del giudice da quella del pubblico ministero. La proposta che stiamo discutendo va certamente in questa direzione e lo fa in modo rigoroso e ragionevole. Non si potrà più cambiare funzione rimanendo nella stessa regione e per più di quattro volte. A mio avviso, è un'innovazione in grado di dimostrarsi efficace e durevole. Questa, cari colleghi, è la mia convinzione ed è anche quella del gruppo Sinistra democratica per il Socialismo europeo, che in questo momento rappresento. Si tratta di un buon provvedimento, di una riforma efficace che merita, per queste ragioni, l'approvazione anche della Camera dei deputati. (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo e Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vietti. Ne ha facoltà.
MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Signor Presidente, colleghi, signor Ministro, credo che il miglior giudizio sul provvedimento che ci apprestiamo a votare si possa ricavare da una vicenda che riguarda il suo titolo: il Governo lo aveva approvato con la dicitura «Riforma dell'ordinamento giudiziario», il Parlamento, più opportunamente, lo ha riformulato in «Modifiche alle norme sull'ordinamento giudiziario»; e di ciò si tratta.
Infatti, nella scorsa legislatura la maggioranza di centrodestra aveva realizzato una vera e propria riforma, come la Costituzione chiedeva da oltre cinquant'anni, innovando in tutti i settori della carriera dei magistrati, dall'accesso alle funzioni apicali.
Al contrario, il provvedimento che oggi discutiamo (forse il termine «discussione» è eccessivamente generoso perché, come dimostra l'affollamento di quest'aula, in realtà stiamo procedendo sostanzialmente ad una ratifica di ciò che il Senato ha già approvato; lo stesso presidente Pisicchio, con molta onestà intellettuale, ha fatto una considerazione amara sull'inutilità del passaggio in questo ramo del Parlamento) altro non è che una sostanziale codificazione di ciò che già esiste, vale a dire: nessuna riforma, al più un'operazione «gattopardesca» in cui si cerca di far finta che tutto cambi, affinché nulla cambi.
Infatti, se riesco a vedere un'operazione, dietro tale intervento legislativo, essa consiste, al più, nell'elevazione a fonte normativa di rango primario di quella disciplina di rango secondario contenuta nelle circolari del CSM, che negli ultimi anni avevano regolato i vari settori di questa normativa e che, con tale proposta, si vuole far divenire legge.
Credo che un rapido confronto tra la versione originaria della riforma e le modifiche che ci si appresta a votare confermi questo mio assunto.
Sul tema dell'accesso e della progressione in carriera, la nostra riforma aveva previsto sì un unico concorso, ma in cui il candidato indicasse almeno la preferenza per una delle due funzioni, giudicante o requirente. Non ci sembrava una scandalosa separazione delle carriere, ma una ragionevole indicazione, nel senso della distinzione delle funzioni tenendo conto che, come tutti sappiamo, fare il giudice è un mestiere, fare il pubblico accusatore è un altro, che, dunque, consentire al candidato aspirante magistrato di indicare, almeno all'atto del concorso, quale fosse la sua tendenziale vocazione, andava nella logica di un miglior funzionamento del sistema.
Nella nostra riforma era possibile il passaggio da una funzione all'altra, dunque non vi era una situazione di «paratie stagne» tra i giudicanti e i requirenti, ma ciò doveva avvenire entro il quinto anno dall'ingresso in magistratura, dopodiché la scelta diventava irrevocabile.
La progressione economica era automatica, ma poteva essere accelerata attraverso un sistema di concorsi, oppure ritardata per coloro che, scegliendo di non fare i concorsi, non avessero ottenutoPag. 32l'idoneità da parte del Consiglio superiore della magistratura nel corso delle verifiche dopo il tredicesimo, ventesimo e ventottesimo anno.
Nella nostra proposta, la progressione in carriera era basata su una valutazione di professionalità affidata ad una commissione di concorso esterna. Ovviamente, il Consiglio superiore della magistratura rimaneva il dominus finale della procedura concorsuale, ma la valutazione della progressione in carriera - cioè, della professionalità del magistrato - veniva, in qualche modo, sottratta alle logiche, tutte interne, della magistratura associata, che - come è noto, e non credo che faccia scandalo dirlo - trova una sua proiezione istituzionale nel Consiglio superiore della magistratura.
Mediante la nostra riforma si sarebbe potuto continuare ad esercitare le funzioni di primo grado per tutta la durata della carriera, sebbene sottoponendosi ad una valutazione periodica di professionalità.
Invece, le funzioni di secondo grado si sarebbero potute ottenere o dopo 8 anni dall'ingresso in magistratura, previo concorso per titoli ed esami, oppure dopo 13 anni, previo concorso per soli titoli; diversamente, quelle di legittimità dopo 18 anni, previo concorso per titoli ed esami per chi non avesse funzioni d'appello, oppure dopo 16 anni, previo concorso per titoli, per coloro che avessero tali funzioni da 13 anni. L'accesso alle funzioni superiori di legittimità direttive era riservato, previo concorso, a coloro che esercitassero funzioni direttive di legittimità.
Ebbene, l'attuale disegno di legge elimina tutto ciò e, altresì, la scelta di funzioni all'inizio della carriera, consentendo al magistrato di cambiarle senza alcun limite che non sia quello territoriale. Ciò, francamente, non appare coerente con l'articolo 111 della Costituzione, che richiede giudici e pubblici ministeri distinti, in quanto le funzioni che il giusto processo assegna all'uno o dall'altro sono distinte.
Non si dica che nel nostro disegno di legge era prevista una separazione penalizzante, che impediva il ricongiungimento familiare dei magistrati o la legittima aspirazione di questi ultimi di avvicinarsi a casa, in quanto, se questa fosse stata la reale preoccupazione, essa sarebbe stata garantita dalla norma che consentiva possibili cambiamenti di sede fino a cinque anni dall'ingresso della magistratura. In tal caso, probabilmente, si sarebbe potuto discutere se allungare o meno tale termine.
Tuttavia, in realtà, evidentemente non era questo l'obiettivo, perché la soppressione di ogni limite al trasferimento e al mutamento di funzioni dimostra come, in realtà, si voglia negare il principio del giusto processo, relativo alla distinzione dei ruoli tra un giudice terzo ed un pubblico ministero posto sullo stesso piano del difensore.
Inoltre, non credo si possa seriamente immaginare che la previsione di un tetto di quattro anni di passaggi tra le funzioni possa costituire un limite al mutamento delle funzioni stesse. Infatti, ritengo sia noto che non esiste un simile acrobata, il quale nell'ambito della propria carriera cambi funzioni quattro volte. Certamente i magistrati passano da una funzione all'altra per ragioni familiari o aspirazioni direttive. Tuttavia, non credo cambino funzione per il gusto o il diletto di farlo. Pertanto, immaginare un magistrato che nella propria carriera cambi quattro volte la propria professione, francamente è un eccessivo sforzo di fantasia da parte del legislatore.
Nell'ambito della riforma che si propone sparisce ogni aspetto meritocratico nella carriera dei magistrati e viene abbandonata l'accelerazione della carriera, che la nostra riforma aveva introdotto con il sistema dei concorsi. Di fatto, tutto torna come prima: il magistrato continuerà a progredire nella sua carriera automaticamente, solo in relazione all'anzianità nel ruolo.
Inoltre, non credo che la percentuale irrisoria del 10 per cento di posti riservati per il conferimento delle funzioni di legittimità possa incentivare i magistrati a prepararsi professionalmente più degli altri.Pag. 33Tra l'altro, mi permetto di notare che la norma contiene una previsione del tutto stravagante perché ...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi! Onorevole Landolfi, onorevole Consolo, onorevole Tremaglia, l'onorevole Vietti sta parlando, vi pregherei di conversare con un tono più sommesso.
MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Capisco che si tratta di un argomento che non appassiona più nessuno, però consentiamoci di recitare la nostra parte con un minimo di dignità!
La norma prevede un'ipotesi del tutto stravagante: si dice, cioè, che l'ottenimento della valutazione positiva nel giudizio di legittimità non comporta effetti sul trattamento giuridico, su quello economico e sulla valutazione per i posti di merito. Evidentemente, stiamo scrivendo una norma del tutto inutile perché se il magistrato non può avere effetti sul trattamento giuridico, sul trattamento economico e sulla valutazione per accedere ai posti di merito non ottiene ovviamente benefici di nessuna sorta e, quindi, credo che l'incentivo a scegliere tale strada sarà nullo, oltre a porre seri dubbi di legittimità. Sul trattamento giuridico, infatti, l'effetto della progressione dovrebbe, in realtà, essere automatico in quanto è per effetto della promozione che si ottengono in concreto le funzioni di legittimità dato che non c'è più un ruolo aperto, ma vi è l'accesso ad un posto materialmente vacante.
Anche l'effetto di blocco economico che la norma pretende di introdurre crea una situazione paradossale per cui si dovrebbe pagare un magistrato di Cassazione meno di un altro solo perché è meno anziano nel ruolo. Anche tale aspetto in realtà rivela un intento, una motivazione ideologica: sappiamo quanto l'ANM abbia fortemente preteso di non toccare il dogma secondo cui lo stipendio è correlato esclusivamente all'età e non è possibile derogare alla stretta e rigorosa correlazione tra età e stipendio. Tale risultato è, invece, proprio ciò che la nostra riforma voleva ottenere incentivando e premiando quel magistrato che, seppure più giovane, attraverso una maggiore applicazione, attraverso uno sforzo dimostrasse di valere più degli altri. Ebbene, tale principio di meritocrazia è quello che si è voluto rigorosamente e ideologicamente espungere dalla riforma.
Non si capisce poi perché mai l'esercizio delle funzioni di legittimità non potrebbe essere valutato dal CSM per attribuire i punteggi discrezionali in sede di comparazione tra gli aspiranti ai posti di merito, cosa che già oggi accade senza scandalo di nessuno.
Ho l'impressione che paradossalmente si concretizzi la preoccupazione che veniva paventata, cioè che con la riforma del passato Governo si finisse per premiare il magistrato nullafacente che aveva tempo per studiare anziché quello diligente che lavorava, come se si potesse immaginare che esistano magistrati che sono bravi a studiare e «cattivi» a lavorare, mentre ci sarebbero quelli bravi a lavorare e «cattivi» a studiare. Nella mia esperienza professionale ho sempre conosciuto solo magistrati che o erano bravi perché lavoravano e studiavano o erano «cattivi» perché né lavoravano né studiavano.
Ebbene temo che l'effetto della riforma al nostro esame sia esattamente contrario a quello che è stato annunciato. Il nostro sistema di concorsi, pur perfettibile, era basato su casi pratici in cui il lavoro quotidiano del magistrato poteva dare a chi fosse diligente e preparato la possibilità di dimostrare il suo valore; oggi la valutazione periodica di professionalità è basata sull'esame di un'attività giudiziaria in cui non si capisce come si potrà in concreto valutare la preparazione del giudice.
Mi permetto di richiamare ai colleghi il contenuto dell'articolo 11 del decreto-legislativo n. 160 del 2006, come riformulato dal disegno di legge al nostro esame, dove si afferma che in nessun caso è possibile fare oggetto di valutazione periodica l'attività del magistrato che riguarda l'interpretazione delle norme di diritto, dei fatti di causa e delle prove.Pag. 34
Allora, vorrei capire a che cosa si dovranno applicare la capacità, la laboriosità, la diligenza e l'impegno di cui parla la norma sulle valutazioni periodiche, se si esclude esplicitamente che la valutazione stessa possa riguardare l'interpretazione delle norme di diritto, i fatti di causa e le prove.
Come si valuteranno la diligenza, la laboriosità, l'impegno, la capacità del magistrato, se si esclude dal giudizio valutativo l'interpretazione della legge, cioè l'attività che il magistrato deve svolgere ordinariamente?
Non si capisce perché, se un magistrato interpreta sistematicamente le leggi al contrario di come dovrebbe, questo non debba essere tenuto in considerazione nella sua valutazione di professionalità. Ma non solo! Neppure si può tener conto dell'attività di valutazione del fatto e delle prove, che credo siano più che rilevanti in tema di diligenza e di capacità.
Se tolgo tutto questo, che cosa resta? Il magistrato, nelle sue sentenze, potrà scrivere tutti gli strafalcioni possibili, senza incorrere in nessun pregiudizio per la sua carriera, e ciò neanche - si noti - sotto il profilo disciplinare. Non vedo come una fattispecie considerata irrilevante dalla legge ai fini della diligenza (perché si prevede espressamente che nella valutazione della diligenza essa non possa essere considerata) potrà essere mai contestata al magistrato a livello disciplinare come mancanza di diligenza. Se, infatti, tale fattispecie non rileva ai fini della diligenza, certamente non potrà essere contestata ai fini della sua mancanza.
Credo che purtroppo l'effetto sarà che il magistrato neghittoso continuerà a non essere affatto incentivato ad essere più diligente, più professionale e più attivo.
Non ci si dica che il sistema delle valutazioni periodiche risolve il problema: sappiamo bene che il Consiglio superiore della magistratura non ha, quantomeno, le forze in organico - non parlo della volontà - per realizzare una seria e penetrante valutazione dei 10 mila magistrati in servizio.
Mi sento, dunque, assolutamente un buon profeta nell'immaginare che le valutazioni periodiche si ridurranno ad essere, come oggi e come in passato, la stanca ripetizione di giudizi stereotipati, con buona pace delle esigenze dei cittadini, che evidentemente in tutta questa discussione non sono considerati.
Nessuno si preoccupa del fatto che richiedere al magistrato un'adeguata professionalità non ha l'intento punitivo di tormentare il magistrato, ma ha l'intento di garantire al cittadino-utente della giustizia un soggetto professionalmente attrezzato per disporre dei diritti fondamentali che sono in gioco nel sistema giustizia: non solo quelli della libertà personale, ma anche quelli patrimoniali, del rispetto dei contratti, del recupero dei crediti, che attengono al buon funzionamento del sistema economico, che, senza una magistratura professionale ed efficiente, non funziona.
Sappiamo che in Europa il nostro Paese è ritenuto in una posizione di retroguardia perché non è in grado, attraverso una giustizia celere e tempestiva, di assicurare il rispetto delle obbligazioni. Un Paese in cui non si assicura il tempestivo ed efficace rispetto delle obbligazioni è un Paese in cui non solo non funziona la giustizia, ma non funziona neanche l'economia. Alla fine, non funziona il sistema Paese!
La nostra preoccupazione non deve essere quella di distogliere il magistrato dalla sua attività quotidiana (credo che ciò sia stato tenuto presente quando abbiamo scritto la riforma, al di là di qualche punta polemica eccessiva), ma quella di garantire la qualità di un professionista serio della giustizia attraverso la selezione.
Due magistrati seri, Maddalena e Borgna, in un bel libro, Il giudice e i suoi limiti, hanno scritto: «Bisogna arrivare ad una rigorosa certificazione di qualità dei magistrati». Come facciamo la certificazione di qualità? Non mi si venga a dire - lo dico al sottosegretario Scotti, di cui conosco l'esperienza e la professionalità - che la effettuiamo attraverso lo stanco e ripetitivo rito delle valutazioni del ConsiglioPag. 35superiore della magistratura, che sappiamo a quale logica rispondano e da cui certamente, se siamo in buona fede, non possiamo aspettarci quell'effetto di rigorosa certificazione della qualità, della professionalità e della produttività del magistrato.
Mi avvio a concludere, signor Presidente, con una notazione a proposito della scuola. Nella nostra proposta, la scuola della magistratura era un ente autonomo con il compito di curare, in via esclusiva, il tirocinio dei magistrati e l'aggiornamento professionale, con un coinvolgimento del mondo accademico, forense, della magistratura e del Ministero del giustizia, stabilendo i principi didattici e, soprattutto, valutando i partecipanti ai corsi con un giudizio finale, che doveva essere necessariamente positivo perché il magistrato partecipasse ai corsi per la progressione in carriera.
La controriforma elimina la competenza esclusiva della scuola in materia di formazione e di aggiornamento dei magistrati e, soprattutto, elimina il giudizio finale sull'esito del corso. Credo che ciò non solo farà della scuola un doppione della IX commissione del Consiglio superiore, creando sovrapposizioni di competenze inutili, ma soprattutto ripeterà il sistema - anche qui ben noto e vigente - per cui i magistrati vanno ai corsi partecipando ad una sorta di vacanza collettiva, sicuri in ogni caso che il fatto che ci sia o non ci sia il loro impegno non avrà nessuna rilevanza, perché alla fine il corso non si concluderà con una valutazione e, dunque, non si comprende quale dovrebbe essere l'incentivo per parteciparvi attivamente e laboriosamente. Avremo creato - alla faccia della polemica sui costi della politica! - un altro ente costoso, inutile e senza compiti definiti.
In conclusione, signor Presidente, purtroppo quella che ci apprestiamo a votare è una legge che avrà un effetto finale schizofrenico: il testo base, su cui la controriforma interviene novellandolo, rimane la nostra riforma, con l'inserimento, però, di una serie di modifiche che vanno in controtendenza rispetto alla filosofia e all'impianto della stessa. Ciò creerà una legge confusa e piena di formalismi, che servono soltanto a garantire sacche di immunità in una logica compromissoria.
Credo - ma questa discussione e quella in Commissione lo hanno confermato - che la legge in esame, purtroppo, manterrà all'ordine del giorno la necessità di rimettere mano alla riforma dell'ordinamento giudiziario, perché il vecchio ordinamento almeno aveva l'alibi della vetustà: questo non ce l'ha e, semmai, ha la pretesa della novità, ma in realtà è facile immaginare che non funzionerà. Dunque, in condizioni politiche che spero presto potranno maturare diversamente da quelle esistenti, si riproporrà ad una classe politica responsabile il tema impellente della riforma.
L'onorevole costituente Ruini, che fu relatore degli articoli 101 e seguenti della Costituzione sulla magistratura, nella sede dell'Assemblea costituente disse che l'indipendenza dell'ordine giudiziario è un valore non finale, ma strumentale rispetto a quello dell'imparzialità e dell'efficienza dell'amministrazione della giustizia.
Credo che quel monito sia ancora vero e temo che questa controriforma abbia utilizzato il mito dell'indipendenza come valore finale e non come valore strumentale, trascurando il suo effetto e la sua ricaduta sull'imparzialità e sull'efficienza, che sono gli unici valori che stanno a cuore ai cittadini e in nome dei quali - come dice nostra Costituzione - la giustizia deve essere amministrata [Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Crapolicchio. Ne ha facoltà.
SILVIO CRAPOLICCHIO. Signor Presidente, onorevole Ministro, com'è noto, nei giorni scorsi il Senato della Repubblica ha provveduto all'approvazione del complesso disegno di legge recante rilevanti innovazioni alla delicata materia dell'ordinamento giudiziario: detto disegno di legge è oggi dunque all'esame della Camera dei deputati.Pag. 36
Prima di effettuare qualsiasi valutazione in ordine al merito della riforma in questione, non si può fare a meno di premettere come rappresentasse una ineludibile priorità per il Governo di centrosinistra procedere, fin dai primi giorni della sua esistenza, al superamento della riforma dell'ordinamento giudiziario varata dal precedente Governo di centrodestra, scongiurando così l'entrata in vigore della cosiddetta legge Castelli, caratterizzata da una profonda dissonanza con il quadro costituzionale e da un intento incomprensibilmente punitivo nei confronti della magistratura.
Non è del resto un caso che tale priorità fosse talmente sentita dall'elettorato di centrosinistra da esser stata espressamente e direttamente inserita nel programma condiviso dell'Unione e che essa fosse stata perseguita sin dalle prime battute della presente legislatura, mediante l'incondizionata sospensione dell'efficacia degli aspetti più invasivi e illegittimi della precedente riforma Castelli.
Effettuata tale doverosa premessa, debbo osservare come, a livello sistematico, lo stato l'ordinamento giudiziario condizioni il livello di efficienza del servizio giustizia per l'effettività della tutela dei diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini: esso rappresenta, dunque, uno dei nodi fondamentali che un Paese serio ha l'obbligo di affrontare al fine di far fronte alle accertate disfunzioni del sistema continuamente lamentate dei cittadini; ciò tanto più considerando che si tratta di un problema la cui risoluzione viene da troppo tempo rimandata.
In un contesto di tale genere, il testo all'attenzione della Camera dei deputati rappresenta uno dei primi seri tentativi - una volta liberato il campo dalle nefandezze della riforma Castelli e nel solco degli interventi legislativi effettuati nella prima parte della legislatura - di porre le basi di un'adeguata riforma dell'ordinamento giudiziario, attraverso l'introduzione di una serie variegata di disposizioni normative.
Svolte tali considerazioni di ordine generale, ci si può soffermare sulla specificità del testo approvato dal Senato della Repubblica: si tratta di un testo che, approvato al termine di un lungo percorso parlamentare, appare il frutto di una ponderata sintesi delle differenti sensibilità manifestatesi nel Paese, che sono state recepite con particolare attenzione e puntualità dal Parlamento italiano nelle fasi consultive prodromiche all'intervento legislativo.
Ancorché si tratti di un testo chiaramente migliorabile, rappresenta intanto un fatto assolutamente positivo che sia stato abbandonato definitivamente l'incostituzionale e defatigante sistema dei concorsi per esami previsto dalla riforma Castelli, il quale avrebbe posto i magistrati nella paradossale condizione di doversi costantemente occupare - o, meglio, preoccupare - più di preparare i continui concorsi richiesti da quel testo che non di curare i fondamentali adempimenti dell'amministrazione della giustizia previsti dalla nostra Costituzione e dalla legge in generale, che costituiscono - com'è ovvio - l'essenza del ruolo del magistrato.
A tal proposito, infatti, il testo in esame, oltre a regolamentare in modo organico la disciplina dell'accesso alla magistratura, introduce forme ragionevoli di valutazione periodica e progressiva della professionalità dei magistrati, garantendo a tal fine la centralità del ruolo del Consiglio superiore della magistratura, ancorando detta valutazione a parametri predefiniti e sancendo rilevanti, sfavorevoli conseguenze in caso di reiterato esito negativo a più valutazioni della professionalità.
Inoltre, il testo in esame, mettendo fine all'illegittimo e vessatorio intento di separazione delle carriere perseguito dalla riforma Castelli, ha sancito la distinzione dei magistrati secondo le funzioni e ha dato luogo ad un'equilibrata regolamentazione dei consigli giudiziari.
Tralasciando in questa sede altri profili della riforma di carattere strettamente tecnico (fra i quali vengono all'attenzione le disposizioni in materia di consigli direttivi giudiziari), è indubbio che essa presenta come suo immediato vantaggioPag. 37sia quello, fondamentale, di eliminare immediatamente gli aspetti più illegittimi e presumibilmente più incostituzionali della riforma Castelli, sia quello di fornire una regolamentazione di carattere il più possibile organico dei profili più critici di una materia, qual è quella dell'ordinamento giudiziario, che è strategica e nevralgica per il nostro Paese.
È chiaro come il testo in esame sia perfettibile e che, una volta entrato in vigore, dopo un periodo più o meno ampio di sperimentazione, come correttamente osservato ed auspicato da tutte le istanze coinvolte nella fase consultiva del procedimento legislativo, potrà essere rivisto, onde potenziare gli aspetti che ad oggi possono intravedersi come maggiormente deboli e rivisitare quelli che, alla prova dei fatti, potranno palesarsi come critici.
Vi è, tuttavia, da osservare come per la prima volta, a maggior ragione dopo le turbolente vicissitudini della intollerabile riforma Castelli, venga introdotta nell'ordinamento italiano un'effettiva e valida riforma del sistema giudiziario, senza minare, in alcun modo, l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, così come costituzionalmente previste, senza disperdersi nella tutela di interessi corporativi e, nel contempo, senza smantellare un sistema giudiziario, quale quello italiano, al quale tendono, a ragion veduta, numerosi ordinamenti europei, come testimoniato da una importante risoluzione dell'Unione europea del 2001.
In buona sostanza, il testo oggi all'esame della Camera fornisce la prova chiara ed immediata dell'importante impegno profuso dall'attuale Governo per chiudere definitivamente l'intollerabile parentesi aperta dalla riforma Castelli e dare finalmente luogo ad una fondamentale riforma per il Paese, in un settore nevralgico quale è quello dell'ordinamento giudiziario.
Si tratta di una riforma che, dopo una inevitabile fase di sperimentazione, come detto, potrà senz'altro essere migliorata, ma che allo stato, una volta divenuta legge a seguito della tempestiva approvazione da parte della Camera dei deputati, oltre agli aspetti positivi poc'anzi richiamati, darà conto al Paese dell'effettivo assolvimento di uno dei più importanti impegni assunti con gli elettori in campagna elettorale (Applausi dei deputati dei gruppi Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Laurini. Ne ha facoltà.
GIANCARLO LAURINI. Signor Presidente, prenderò le mosse dall'intervento del presidente Pisicchio, che ho trovato molto raffinato sul piano politico e costituzionale, anche per l'appello accorato che esso contiene al rispetto della Costituzione e del ruolo dei due rami del Parlamento, in particolare della Camera dei deputati.
Condividiamo pienamente tale appello, ma mi chiedo e ci chiediamo per quanto tempo ancora dobbiamo ascoltare e formulare questi appelli al rispetto della dignità e del ruolo di questa Camera.
Abbiamo tutti, colleghi, il dovere di difenderla con tutti mezzi e, per quanto concerne l'opposizione, perfino con l'ostruzionismo e tutti gli altri strumenti consentiti dalla nostra Costituzione.
La situazione diventa veramente ogni giorno più grave, più difficile e insostenibile. Abbiamo constatato e vissuto tale progressiva insostenibilità - e il connesso problema della sostanziale inutilità della Camera dei deputati - in merito a provvedimenti chiave per l'assetto dello Stato, che in questi mesi ci siamo trovati a dover affrontare: dai vari decreti Bersani - ben tre - sulle liberalizzazioni, alla fine tutti bloccati e blindati, per cui la Camera ben poco o nulla ha potuto fare, al DPEF, per finire con questa riforma di uno dei pilastri del sistema democratico italiano, la magistratura e l'organizzazione della giustizia.
Si tratta di interventi - quelli che ho citato e gli altri che, temo, nel futuro più o meno immediato verranno realizzati - che incidono talmente sull'assetto della società e dello Stato da richiedere, da parte del Parlamento nella sua pienezza e nell'insieme delle due Camere (che costituisconoPag. 38e dovrebbero dar vita a quel bicameralismo perfetto che, come giustamente ha detto il presidente Pisicchio, tutto è, a questo punto, men che perfetto), grande riflessione e ponderazione.
La gente e i cittadini si attendono da noi un lavoro e un risultato diversi, anche come spettacolo, da quelli che stiamo producendo. Questa, in fondo, è la ragione della diffusa insofferenza per la politica, per i suoi costi e le sue inefficienze, che vengono esaltati proprio quando i risultati non soddisfano e non vi è proporzionalità fra costi e benefici, fra il costo della politica e i risultati che essa fornisce.
Il disegno di legge di riforma che stiamo esaminando ha una serie di punti deboli e di défaillances che andrebbero corretti. Per citarne alcuni, l'abolizione dei concorsi per l'attribuzione delle funzioni e degli incarichi direttivi in base a criteri oggettivi e le valutazioni di professionalità come unico criterio di selezione attribuiscono - è stato più volte segnalato - tutto il potere alle correnti, incidendo sostanzialmente sull'indipendenza di ciascun magistrato. Le procedure individuate per la progressione della carriera non prevedono possibilità, da parte del Consiglio superiore, di valutare, mediante l'esame diretto, le capacità professionali dei candidati. La sostanziale eliminazione della separazione delle funzioni requirente e giudicante a nostro avviso rappresenta una palese violazione dell'articolo 111 della Costituzione.
La verità è che il presente disegno di legge viene esaminato senza il dovuto approfondimento e sempre sotto il ricatto temporale della magistratura organizzata, che ne pretende l'approvazione definitiva prima della imminente scadenza del 31 luglio.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 12,02)
GIANCARLO LAURINI. In realtà, su tutto ciò aleggia quella sorta di spirito di rivincita della coalizione che ha fortunosamente vinto le elezioni e che, per prima, viola il principio del reciproco rispetto, di cui si dice paladina. Si tratta di un modo di procedere, riformando e controriformando immediatamente ciò che è stato adottato nella precedente legislatura, che non ha riscontro in alcuna altra democrazia avanzata.
Perfino negli Stati Uniti, famosi per lo spoil system che caratterizza il rinnovo quadriennale della direzione politica del Paese, si rispetta l'operato dell'amministrazione precedente e, con la dovuta correttezza, senso di responsabilità e rispetto, ci si adopera soltanto per le necessarie correzioni, ma non certo per il suo totale stravolgimento.
Tra le altre cose - l'ho già dichiarato in Commissione - non posso non stigmatizzare una certa aria punitiva del provvedimento, fatta di non ascolto, di esclusione o riduzione di una presenza significativa negli organi istituzionali dell'avvocatura, componente fondamentale, non certo terzo, del pianeta giustizia e dell'organizzazione giudiziaria, alla quale forse si vuole far scontare la forte battaglia ideale che, soprattutto nell'ultimo anno, sta conducendo a difesa degli alti valori di cui essa è portatrice, ampiamente e fortemente condivisi dalla stragrande maggioranza dei cittadini italiani.
In ogni caso, si ha l'impressione che la magistratura voglia arroccarsi e chiudersi in se stessa, sbarrando le porte ad ogni apporto esterno, sia nell'elaborazione di provvedimenti legislativi che direttamente o indirettamente la riguardano, sia nel quotidiano svolgersi dell'attività e del funzionamento del complesso meccanismo della giustizia.
Quindi, non possiamo che sottolineare, ancora una volta, un profondo senso di frustrazione che da un po' di tempo caratterizza i nostri interventi sia in Assemblea, sia, purtroppo, in Commissione. Aggiungo (come è stato già detto da altri colleghi, ma intendo farlo anch'io con la massima convinzione) che l'esperienza nella Commissione giustizia è stata - a parte la frequente preoccupazione del non raggiungere il risultato cui si tende con il proprio intervento - positiva dal punto diPag. 39vista della capacità di lavorare, del rispetto reciproco e della conduzione dei lavori.
Segnalo il senso di frustrazione che accompagna soprattutto chi, come me, è alla sua prima esperienza di legislatore, una profonda frustrazione nella frequente constatazione dell'inutilità del proprio lavoro e nel dedicare molto tempo, molte ore e molte giornate, che potrebbero essere più proficuamente utilizzate diversamente dentro e fuori il palazzo.
Con tale convinzione e tale amareggiata constatazione, chiudo il mio intervento, augurandomi che anche la vicenda della riforma al nostro esame induca la maggioranza e il Governo ad una maggiore riflessione su quello che ci aspetta e ad un maggior senso di responsabilità verso il Paese e verso le istituzioni.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Capotosti. Ne ha facoltà.
GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, vorrei iniziare il mio intervento dando lettura della VII Disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica: «Fino a quando non sia emanata la nuova legge sull'ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione, continuano ad osservarsi le norme sull'ordinamento vigente». Penso che la prima riflessione politica, istituzionale e giuridica debba necessariamente partire da ciò. Siamo, infatti, in presenza di un testo costituzionale che afferma che l'ordinamento giudiziario precedente a questo non è conforme alla Costituzione. Mi riferisco all'ordinamento Grandi, emanato quando «correva l'anno» 1941. Sono, quindi, trascorsi 66 anni per arrivare ad un ordinamento conforme alla Costituzione. Penso che nessuno di noi possa tacere tale dato e non partire da tale riferimento per capire ciò che sta succedendo.
Sottolineato questo fondamentale punto fermo è necessario svolgere una riflessione istituzionale. Come è stata realizzata la riforma? Ho sentito e letto tanto sul tema in questi giorni, segnatamente sul bicameralismo perfetto, imperfetto e sulle varianti possibili. A me piace ragionare ed argomentare, de iure condito, su un sistema che viene definito «bicameralismo intelligente», che dovrebbe essere un tratto comune a tutti noi che sediamo in questi banchi. Chi fa politica non può non considerare che vi è un dovere istituzionale di collaborazione e confronto - non scontro - tra maggioranza ed opposizione. Chi fa politica e rappresenta un potere dello Stato, il legislativo, non può non realizzare che le passate elezioni sono state vinte per una manciata di voti, circa 25 mila.
Evidentemente quella sensibilità democratica e istituzionale che ci contraddistingue e ci spinge ad un confronto continuo e permanente, nonché a una contaminazione vicendevole nell'interesse superiore del popolo, deve essere ancor più sentita e marcata nell'attuale momento storico, considerata l'esiguità dei numeri e la tenue differenza che caratterizza chi ha la funzione di emanare le leggi, da chi ha la funzione di esercitare un controllo.
Occorre, pertanto, svolgere una riflessione di legittimità nei rapporti tra maggioranza e opposizione e nell'intendimento della politica. Quindi, ben chiamo «bicameralismo intelligente» l'avere svolto un lungo dibattito al Senato, dove vi è una maggioranza numerica perfettamente speculare, e ben chiamo «bicameralismo intelligente» quello della Camera, che recepisce in un tempo minore un testo molto ampio, oggetto di un dibattito molto approfondito nell'altro ramo del Parlamento.
Anche su tale punto occorre fare una riflessione. In verità, nei cinque anni di Governo che ci hanno preceduto, il Polo ha varato la riforma dell'ordinamento giudiziario, avendo cento parlamentari di maggioranza in più (se non ricordo male: quaranta al Senato e sessanta alla Camera), e con tre successivi ricorsi al voto di fiducia che, comunque, non sono serviti a darle attuazione ed esecuzione. Quest'ultima è anch'essa una constatazione politica e istituzionale che va tenuta presente, riferendosi, ancora una volta, a quella disposizione transitoria e finale la qualePag. 40afferma che l'attuale ordinamento giudiziario non è conforme alla Costituzione.
Per questo motivo ho ceduto il tempo a mia disposizione in sede di Commissione, come hanno fatto molti altri colleghi della maggioranza, ai colleghi dell'opposizione, per consentire loro un'argomentazione più compiuta e lunga. Ringrazio anch'io il presidente della Commissione, anche se ritengo che abbia fatto, né più né meno, ciò che si doveva fare.
Venendo al merito della riforma e ai suoi contenuti, ritengo che i capisaldi siano ancora: il reclutamento, la carriera, la dirigenza e la formazione. Tecnicamente si tratta degli stessi capisaldi della passata riforma, quella non attuata, e quindi, vi è una valutazione comune sulla tecnica di ammodernamento dell'ordinamento giudiziario, resa necessaria dalla non conformità e dall'inefficienza del sistema. Si è detto molto sul tema. Credo che, anche sotto tale profilo, occorra far riferimento alla Costituzione repubblicana.
Testualmente l'articolo 104 della Carta fondamentale recita: «La magistratura costituisce un potere autonomo e indipendente da ogni altro potere». I poteri, come noto, sono tre: legislativo, esecutivo e giudiziario. Allora, è evidente che è difficile immaginare una separazione delle carriere, tenuto conto che la magistratura è un ordine autonomo, indipendente e sovrano.
Allo stesso modo - sull'argomento voglio «spezzare una lancia» in negativo nei confronti della magistratura - è difficile immaginare che un potere dello Stato possa essere titolare di un diritto di sciopero versus un altro potere dello Stato. E la riflessione va estesa ai miei colleghi dell'avvocatura: un diritto di astensione dalle udienze, partecipando ad un potere dello Stato, contro un altro potere dello Stato, forse è ammissibile nel momento della suprema lesione del diritto di difesa, e ripeto: forse.
Credo che sul tema il dettame costituzionale sia largamente imperativo. Le disposizioni di riferimento sono, innanzitutto, l'articolo 101, in base al quale: «I giudici sono soggetti soltanto alla legge», e con questo rispondo alle obiezioni sull'eccessiva verticalizzazione delle procure, anche se non vedo il collega Palomba e mi dispiace. Non vi è scritto che «i magistrati» sono soggetti soltanto alla legge; vi è scritto che «i giudici» sono soggetti soltanto alla legge. Quindi, una verticalizzazione delle procure è possibile e conforme alla Costituzione.
Le altre disposizioni di riferimento sono: l'articolo 104, che ho già citato, e l'articolo 107 che tratta dello status dei magistrati con riferimento al tema dell'inamovibilità e di distinzione delle funzioni.
Ritengo che prevedere, nel 2007, un reclutamento immediato ed un controllo sui passaggi di funzione e tra le carriere, coinvolgendo - non è vero quello che è stato detto - anche l'avvocatura, non costituisca niente di impensabile e rappresenti, anzi, un passaggio doveroso e giusto che doveva assolutamente contraddistinguerci.
Il fatto che gli avvocati non partecipino più, con diritto di voto, alle valutazioni sui magistrati nei consigli giudiziari, non esclude che i consigli dell'ordine degli avvocati abbiano la facoltà di inviare valutazioni e osservazioni sui magistrati ai consigli giudiziari stessi. Questi ultimi esprimono un parere non più consultivo, ma quasi vincolante al Consiglio superiore della magistratura, nel quale si ritrovano i membri cosiddetti laici, ossia gli esponenti del mondo accademico e della libera professione.
Mi sembra, quindi, che sia stato raggiunto un punto di equilibrio, che deve sempre però - lo ricordo a me stesso - rispondere ad una domanda: di chi è e a chi serve la giustizia? La giustizia è del popolo, di tutti noi, ed ha il compito di rispondere alle esigenze della realtà e del corpo sociale. Questo è il nostro tema dominante e l'aspetto che contraddistingue il tentativo di riforma.
In democrazia ogni riforma è accompagnata da dibattito e da ansia di miglioramento e rappresenta il passaggio da un gradino a quello successivo, di maggiorePag. 41compiutezza. Ci sarà pure una ragione se nella scorsa legislatura, con tre voti di fiducia e con una differenza superiore a cento voti parlamentari, non si è riusciti a dare attuazione alla riforma dell'ordinamento giudiziario. Questa è una domanda che non va additata e considerata come sanzione verso qualcuno, ma che deve aiutarci a riconoscere il lavoro che questo Governo ha svolto in un anno e il risultato che oggi offriamo alla Nazione.
La riflessione, quindi, è ancora politica: abbiamo il dovere di immaginare ciò che serve e di rispondere a ciò che ci viene chiesto. Possibilmente - lo dico ai colleghi della mia coalizione, il centrosinistra - dovremmo anticipare la domanda, ossia avere la capacità di immaginare prima ciò che servirà: tale aspetto dovrebbe contraddistinguere le coalizioni con ansia di progresso e riforma.
Oggi presentiamo il testo della riforma possibile che, in fondo, come ho affermato prima, è una riformulazione dello schema della legge Castelli: i temi del reclutamento, della carriera, della dirigenza, della formazione e della separazione delle funzioni, infatti, non potevano non essere presi in considerazione, per dare una risposta più compiuta ai cittadini che chiedono giustizia.
Sono, però, le modalità con le quali queste tematiche vengono affrontate e la tecnica di risoluzione dei vari punti dolenti a fare la differenza: la tecnica è quella di tenere conto non soltanto di tutte le parti del potere giudiziario - compresi gli avvocati - ma anche dei limiti e dei tempi della pubblica amministrazione, di coinvolgere tutti in un procedimento possibile, che sia alla fine completamente «spalmato» a disposizione dei fruitori del sistema giustizia e di tutti noi.
In questo senso, dopo aver argomentato, seppur brevemente, sulle componenti della riforma - anche in diritto - continuo ad interrogarmi: non ho capito (mi sfugge fortemente) quali principi cardine dell'ordinamento giuridico sarebbero posti in discussione da essa.
Non riesco ancora a capire quali siano, ad esempio, i difetti di sostanza ai quali faceva riferimento l'onorevole Vietti, che non vedo più in aula e me ne dispiace, perché non l'ho mai visto in Commissione giustizia, dove abbiamo lavorato sul testo, quindi, non essendo qui adesso, non avrò più probabilmente l'occasione di confrontarmi con lui sul tema. Non ho capito quale sia il problema a considerare i requisiti di contenuto e forma in ordine alla preparazione e alle valutazioni dei magistrati.
Ora siamo qui non per fare polemica, ma per realizzare una riforma che aspettiamo da sessantasei anni. La riforma è compiuta. Spero che siamo prossimi a vararla definitivamente. Qualche volta dovremmo porre attenzione su problemi più sostanziali rispetto al cittadino, per quanto riguarda l'ordinamento e una non soluzione dello stesso.
Porto un esempio: non si può lasciare - mi rivolgo al CSM, del quale vi è una revisione in corso - una procura di frontiera, in un territorio difficile della nazione, priva di guida per quasi due anni, perché le correnti della magistratura devono mettersi d'accordo. Questo è un tema né affrontabile né accettabile; semplicemente non è un tema e non può essere preso in considerazione.
Ritengo con ciò di avere esposto ampiamente le ragioni mie personali, del mio partito e spero anche un po' di tutta la coalizione. Concludo il mio intervento, ringraziando tutti i colleghi, particolarmente la relatrice, il nostro Ministro della giustizia e il presidente della Commissione. Spero che in questa settimana riusciremo a scrivere una pagina fondamentale della storia repubblicana, che da troppi anni attende di essere scritta definitivamente (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lussana. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, questa maggioranza e questo Governo lo avevano promesso e sono riusciti a farlo: lo avevate promesso e lo avetePag. 42fatto! Siete riusciti ad azzerare la riforma Castelli, realizzando una controriforma che ne scardina gli aspetti più innovativi, più coraggiosi, con un inaccettabile ritorno al passato. Nel farlo, stigmatizzando il vostro atteggiamento in quest'aula, avete utilizzato e dimostrato tutta l'arroganza del potere di una maggioranza, che non ha mai ricercato un'intesa con l'opposizione, perché l'unica intesa che ad essa interessava aveva sede in un altro luogo. L'unica intesa che ha avuto, purtroppo, rilevanza nelle aule parlamentari è stata quella formulata in Palazzo dei marescialli oppure con l'Associazione nazionale dei magistrati.
Il Ministro Mastella, che adesso è uscito, ha dichiarato di aver deposto l'ascia della politica nei confronti della magistratura. Non penso che nella passata legislatura l'allora maggioranza abbia avuto intenti punitivi o minatori nei confronti della stessa magistratura, ma se qualcuno ne ha perso, in termini di prerogative e di autorevolezza, signor Ministro Mastella, autorevoli rappresentanti del Governo, è sicuramente il Parlamento e, soprattutto, il potere legislativo, che ne esce sicuramente esautorato nelle sue prerogative, a tutto vantaggio del potere giudiziario.
La vicenda di questa controriforma dell'ordinamento giudiziario dimostra come ci sia stata veramente una sconfitta autentica della democrazia e dell'equilibrio di quei poteri, di cui tanto in questi giorni si discute, ma che palesa e dimostra chiaramente che abbiamo un potere legislativo sempre più debole, più latitante, nei confronti del quale il potere giudiziario - e questa vicenda ne è un chiaro esempio - troppe volte commette indebite ingerenze e si sostituisce al potere legislativo.
Vedete, colleghi, la riforma Castelli partiva da una considerazione fondamentale, cioè che oggi la stragrande maggioranza dei cittadini è scontenta di come è amministrata la giustizia, quindi si era cercato di realizzare una riforma, appunto attesa da oltre sessantasei anni. Ricordiamo che la normativa sull'ordinamento giudiziario è addirittura antecedente all'entrata in vigore della nostra Costituzione e che molte sono state le riflessioni sulla compatibilità con alcune norme di essa, in primis con l'articolo 111, relativo al giusto processo. Si era pertanto voluta fare una riforma che fosse in grado di offrire al Paese una magistratura più capace, più preparata, più efficiente, più professionale. Non era sicuramente, come voi continuate a sostenere - lo avete fatto anche stamattina, in quest'aula - una riforma «contro», non era una riforma contro i magistrati, ma era una riforma «per», che aveva sicuramente come faro e come interesse principale della sua azione politica l'interesse del cittadino, che è l'utente primo del sistema giustizia. Quindi, abbiamo assunto un atteggiamento sicuramente dialogante: ricordo le innumerevoli audizioni con tutte le categorie interessate, ricordiamoci il dialogo, che sempre è stato ricercato anche con l'opposizione. Tutto ciò non è servito, perché qualcuno voleva avvelenare il clima e volutamente, ha alimentato lo scontro istituzionale. Certamente la colpa di ciò non è da addebitarsi alla maggioranza e al Governo di allora, ma sicuramente ad una parte della magistratura: quella magistratura associata, che ha agito a difesa non di prerogative costituzionali, ma di privilegi e di interessi corporativi.
Ebbene, questa è la legislatura con cui dite di voler portare avanti, ad esempio, il sistema delle liberalizzazioni, per favorire quindi i cittadini e i consumatori, ma per quanto riguarda la giustizia assolutamente prevalenti sono stati gli interessi delle corporazioni: sono questi gli interessi, vincenti e vittoriosi, che hanno prevalso rispetto alla politica e rispetto al cittadino. Infatti, cosa avete realizzato, in questo anno di Governo, veramente a favore della giustizia, per cercare di dare risposte più puntuali a chi chiede ed a chi ha una sempre maggiore esigenza di giustizia? Quali norme nuove avete approvato, ad esempio, per cercare di snellire le lungaggini processuali, per garantire una ragionevole durata del processo o per attuare veramente l'articolo 111 della Costituzione?Pag. 43Non mi sembra che abbiate fatto nulla: avete impiegato questo anno di Governo per una legge vergognosa, come quella dell'indulto. Abbiamo esaminato i dati che sono stati trasmessi recentemente e che dimostrano gli effetti gravi che si sono prodotti, sia per quanto riguarda la recidiva, sia perché chi è stato rimesso in libertà e ha goduto di tale misura ha commesso nuovamente dei reati, e quindi anche l'effetto deflattivo sulla popolazione carceraria ben presto verrà annullato. Quindi, cosa ci ricorderemo dell'ultimo anno di Governo, per quanto riguarda la giustizia? Torno a dirlo: una legge vergogna come l'indulto e questa controriforma, che di fatto purtroppo supera la riforma Castelli che, al di là del contenuto, per voi aveva un «peccato originale»: era semplicemente rea di essere stata scritta indipendentemente dal volere dell'Associazione nazionale magistrati, volere a cui voi, supinamente, vi siete inchinati, dimenticando la separazione dei poteri. Si tratta di concetti - l'autonomia, la separazione dei poteri, l'indipendenza - di cui ho sentito troppe volte abusare in Assemblea e in Commissione. Ricordiamoci che l'indipendenza e la separazione dei poteri non possono essere sempre rivendicate a senso unico dalla magistratura.
È il Parlamento che, sentiti gli interessati - piaccia o non piaccia - nel bene o nel male, approva le leggi e non può essere, come invece è avvenuto, che il potere giudiziario si sostituisca a quello legislativo nello scrivere le leggi che lo riguardano. Abbiamo denunciato - lo ribadisco in quest'aula - che è una controriforma scritta sotto la dettatura - e, diciamolo pure, la dittatura - dell'Associazione nazionale magistrati. Abbiamo affermato che si tratta di una controriforma perché ci fa compiere enormi passi indietro rispetto alla necessità di cambiamento nella giustizia e perché di volontà riformatrice non ha nulla. Condivido quanto affermato da alcuni colleghi, ovvero che si tratta di un operazione gattopardesca: si finge di cambiare perché sappiamo che nel Paese c'è un'esigenza che va in questa direzione, che i cittadini si attendono dei cambiamenti anche negli operatori del diritto, nei magistrati stessi, ma in realtà non si cambia nulla. Purtroppo quei meccanismi viziati che con la riforma Castelli si cercava di correggere, su cui era stato effettuato un tentativo di correzione, sono stati completamente eliminati. Si è cambiata magari la forma, ma sicuramente non la sostanza, perché ciò che penalizza il nostro sistema giudiziario purtroppo resta inalterato.
Passando al metodo utilizzato dal Governo e dalla maggioranza per arrivare all'approvazione di questa controriforma, di questa falsa riforma scritta sotto dettatura da parte di chi non siede in Parlamento, ho ascoltato ancora riaffermare che nella scorsa legislatura noi saremmo stati incapaci di dialogare. Non mi sembra che non si sia cercato il dialogo e che qualcuno avesse avuto un atteggiamento punitivo nei confronti della magistratura; che, anzi, se si era arrivati a una forte contrapposizione ideologica, essa proveniva ed era alimentata dalla magistratura associata, che ha temuto il cambiamento e che ha condizionato l'iter del provvedimento. Nella scorsa legislatura non saremmo stati aperti al dialogo, però il provvedimento era stato incardinato nel suo iter parlamentare nel febbraio 2002 e si era concluso nel luglio 2005. Voglio obiettare all'onorevole Capotosti, intervenuto precedentemente sostenendo che non siamo riusciti ad approvare la riforma, che non è così: l'abbiamo approvata e abbiamo anche dato seguito ai decreti legislativi di attuazione. Forse l'onorevole Capotosti dimentica che uno dei primi e pochi atti che sono stati capaci di attuare appena insediati come nuova maggioranza è stato sospendere l'efficacia della riforma Castelli, lo dico per chiarezza e correttezza. Mi sembra comunque che ci sia stato il dibattito, ci sono stati numerosi passaggi parlamentari ed anche un rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica. Cosa è successo, invece, ora? Questa controriforma è stata approvata in fretta e furia nel Consiglio dei Ministri dove ancora una volta la vostra maggioranza si è spaccata, dato che il Ministro Emma BoninoPag. 44non condivide non solo la linea sulle pensioni, sullo scalone sullo scalino, ma ha votato contro anche questa controriforma dell'ordinamento giudiziario. Alla luce di ciò, penso che i colleghi de La Rosa nel Pugno, per coerenza, voteranno contro la riforma che cancella uno dei punti fondamentali dell'ordinamento giudiziario, ossia la separazione delle funzioni, dato che questi stessi colleghi la pensano come noi della Lega Nord Padania, che siamo favorevoli anche alla separazione delle carriere. Avete approvato in Consiglio dei Ministri in fretta e furia e con queste forti contraddizioni interne una controriforma, che è arrivata ad aprile all'esame del Senato e la settimana scorsa al nostro esame. Vi è stato solo il tempo di esaminarla e già siamo in Assemblea a discutere un provvedimento contingentato e l'opposizione, pur volendo svolgere in pieno il suo ruolo, non potrà approfondirlo oltre la giornata di domani o, al massimo, di dopodomani.
Tutto ciò è veramente inaccettabile - lo dico a lei, Presidente, ed anche ai rappresentanti del Governo - ed è chiaro che il presidente Pisicchio ha svolto una requisitoria contro questo metodo, però di fatto abbiamo cancellato il bicameralismo perfetto vigente in base alla nostra Carta costituzionale. La Camera dei deputati ancora una volta - e mi chiedo se ci rendiamo conto del fatto che stiamo discutendo di un provvedimento fondamentale, non di una leggina, ma della legge madre in materia di giustizia, una riforma datata 66 anni - è stata ridotta a mera Camera di ratifica.
Ormai svolgiamo la funzione di notai di quanto viene approvato dal Senato, fra l'altro - dobbiamo dirlo perché tale evento si è verificato ancora una volta - con il voto determinante dei senatori a vita. Certamente il Presidente Marini pervicacemente si ostina a ricordarci che il ruolo dei senatori a vita è previsto dalla nostra Carta costituzionale. Nessuno lo nega, ma il dato politico è chiaro: al Senato emerge con chiarezza il segno di una maggioranza - la vostra - che fa fatica ed arranca e che per non essere battuta si affida al voto di qualche senatore a vita, di colui che passa in quel momento o di colui che viene fatto rientrare da una missione all'estero. È chiaro che così non potrete andare molto avanti! Lo sapete anche voi, ma invece di chiedere al Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere e di tornare alle urne per le elezioni anticipate, state lì e cercate di resistere, calpestando ogni giorno il nostro sistema democratico perché temete il responso elettorale, sapendo benissimo che sicuramente i cittadini vi manderebbero a casa. Allora, vi è stata questa forzatura: il testo è arrivato blindato dal Senato e in questo ramo del Parlamento ne abbiamo potuto solo prendere atto. Devo dire che - non so se per ingenuità o per onestà intellettuale - ho notato molto imbarazzo anche nei colleghi della stessa maggioranza. In precedenza ho citato, fra tutti, il presidente Pisicchio. Infatti, i colleghi cosa hanno potuto sostenere nei loro interventi? Non ho ascoltato interventi convinti, in cui si sia affermato che il testo giunto dal Senato fosse il migliore possibile e pienamente condiviso. I colleghi hanno avuto l'onestà di affermare che effettivamente avrebbero avuto bisogno di un tempo maggiore per approfondirlo; che effettivamente alcuni aspetti che avrebbero potuto essere modificati; che gli sarebbe piaciuto svolgere la funzione di parlamentari, non sentirsi ripetere dal Governo o dalla relatrice l'espressione «invito al ritiro, altrimenti parere contrario». Questo è avvenuto non perché determinate opinioni non si condividano nel merito o perché certi aspetti non vengano ritenuti condivisibili nel contenuto, ma perché incombe la data del 31 luglio: dobbiamo fare tutto in fretta, tacere e svolgere la funzione di notai, altrimenti entra in vigore la riforma Castelli! Anche rispetto a tale profilo in un certo momento si era aperto uno spiraglio, con la possibilità di una proroga. Perché questa fretta? Mettiamoci d'accordo! Vi era la disponibilità di tutti i gruppi ad approvare una proroga e sospendere, per così dire, l'efficacia della riforma Castelli non solo fino al 31 luglio, ma oltre, fino al 31 ottobre. Si era aperto uno spiraglio, maPag. 45alla fine è arrivato il «no»! Non si è voluta neanche questa soluzione. Tutto ciò è gravissimo! Il Presidente della Camera dovrebbe sicuramente interessarsi a tale questione. Non ha voluto farlo perché probabilmente i diktat sono arrivati, ma non solo dai banchi del Parlamento, anche della maggioranza, perché i colleghi erano favorevoli. Allora, ciò significa che il diktat è arrivato ancora una volta da chi non siede in queste aule, ma condiziona, ogni volta che si tratta di giustizia, pesantemente e in modo inaccettabile i nostri lavori. Il diktat sarà arrivato sicuramente dall'Associazione nazionale magistrati, che ancora una volta ha agitato lo spauracchio dello sciopero, già utilizzato contro la riforma Castelli per ben quattro volte nella scorsa legislatura, ed ora semplicemente minacciato per il 20 luglio, e poi ritirato, perché chiaramente tale associazione aveva avuto l'assicurazione che nessuna proroga sarebbe stata concessa e che il testo - che ci accingiamo a votare, ma il nostro gruppo chiaramente non voterà a favore - sarebbe rimasto identico a quello licenziato dal Senato.
Dunque, siamo andati avanti e siamo arrivati, ad oggi, ad approvare questa riforma, che sicuramente si ispira ad una concezione autoritaria, statalista, illiberale, che pone la magistratura non come potere dello Stato autonomo - non c'entra niente l'autonomia e l'indipendenza della magistratura: smettiamo di abusare di tali concetti ! - ma che, purtroppo - devo dirlo - incide profondamente sull'autoreferenzialità della magistratura stessa. Abbiamo assistito ad un atteggiamento di forte ed invasiva incidenza da parte del potere giudiziario, in grado di dettare le regole della politica in materia di giustizia, esercitando quindi una funzione impropria e condizionante: si evince da tutta l'impostazione della controriforma Mastella. Si evince dalla impostazione correntizia e autoreferenziale, che avete voluto dare alla magistratura in tutte le sue articolazioni: dall'accesso alla carriera dei magistrati, alle scuole, anche attraverso la reintroduzione del sistema di voto proporzionale per liste contrapposte per l'elezione di componenti togati del CSM e, perfino, del consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari, in luogo di quanto, invece, avevamo previsto noi, cioè del semplice collegio uninominale.
Da questa controriforma emerge con chiarezza il rafforzato ruolo del CSM, che invece l'allora Ministro Castelli aveva voluto ridimensionare, non certo - tengo a ribadirlo - per intaccare la libertà e l'autonomia dei magistrati, ma per cercare di ridimensionare l'arbitrio del CSM. Infatti oggi - penso che si possa affermare senza timore di essere smentiti, anzi bisogna avere il coraggio di queste dichiarazioni - esiste, purtroppo, un sistema perverso: oggi il CSM, che - ricordiamolo - controlla l'attività dei magistrati, è governato dal sistema delle correnti, che ora, in base al vostro sistema, saranno signore e padrone delle carriere professionali dei magistrati, perché da esse dipenderà la valutazione professionale che inciderà poi sull'avanzamento in carriera. Quindi, avrete salvaguardato l'indipendenza e l'autonomia della magistratura rispetto alla politica, che nessuno comunque minacciava, ma avrete creato magistrati non liberi: infatti, i magistrati, purtroppo, saranno schiavi del sistema correntizio, cioè delle correnti che avranno parola di vita o di morte sugli avanzamenti in carriera. È questo, infatti, uno degli aspetti della riforma in esame che principalmente contestiamo, insieme alla cancellazione della separazione delle funzioni che, ripeto, era stata prevista. Noi come Lega Nord, in verità avremmo voluto qualcosa in più, vale a dire addirittura la separazione delle carriere e la possibilità di far eleggere i pubblici ministeri direttamente dal popolo. Ci rendiamo conto che una tale innovazione comporterebbe una riforma costituzionale, ma l'ho ricordata per esprimere con chiarezza il nostro modo di pensare. Invece, in questa controriforma, - lo ripeto - ormai i magistrati non saranno liberi, non saranno incondizionati nella loro attività, perché saranno fortemente sottoposti al gioco della politicizzazione del parlamentino del Palazzo dei marescialli.Pag. 46Per tale ragione, per quanto riguarda l'accesso in magistratura avevamo cercato di introdurre un elemento di controllo e di valutazione esterno: proprio per spezzare la pericolosa catena di autoreferenzialità della magistratura, nell'ambito della quale controllore e controllato sono la stessa persona, il che minaccia fortemente la libertà e l'indipendenza del singolo magistrato.
Il concorso, forse, non sarà stato il modo più opportuno per realizzare ciò, ma costituiva, comunque, l'introduzione di un elemento esterno e, quindi, era perfettamente consono alla finalità che si voleva perseguire. Al contrario, per quanto concerne il ritorno alla valutazione professionale, vi è un ruolo del consiglio giudiziario, ma è fortemente ridimensionato, perché alla fine, comunque, la valutazione vera la fa, ancora una volta, il CSM!
Tra l'altro, dobbiamo denunciare come, anche per quanto riguarda l'organizzazione dei consigli giudiziari, avete voluto ridimensionare il ruolo di apporto di elementi esterni alla magistratura, il ruolo dell'Avvocatura, che rimane ma non come componente di diritto (non vi sono più componenti di diritto), ma elettivo, e ciò è veramente molto grave.
Da un lato, dunque, vi «riempite la bocca» dicendo che avete coinvolto il consiglio giudiziario quando poi, alla fine, esso è stato fortemente depotenziato, anche per quanto riguarda l'organizzazione del sistema di elezione, rispetto a come, invece, l'avevamo configurato con la nostra riforma.
Avete creato questo sistema di valutazioni che, tra l'altro, sarà farraginoso almeno quanto il cosiddetto «concorsificio»! Avete detto che il concorso avrebbe distratto i magistrati dai loro ruoli, dalla loro funzione giudicante piuttosto che requirente! Ebbene, non so come farete ad organizzarvi con questo sistema delle valutazioni. Ho letto la relazione stessa che era stata presentata dal Governo: 2.500 valutazioni ogni anno; ma come potranno essere organizzate? Tanto più che questa riforma, come al solito, desta anche forti perplessità per quanto riguarda la copertura finanziaria: si parla di costi invariati e poi vediamo che si torna all'aumento dei componenti del CSM, e via dicendo; pertanto, anche a tal proposito, vi sono sicuramente profili che non ci convincono.
Un altro aspetto che, chiaramente, rimane inalterato in questo tipo di riforma, consiste - lo ripeto - nell'assoluta padronanza del CSM per quanto riguarda l'accesso, ma anche per quanto riguarda la formazione in itinere dei magistrati. Anche in questo caso, è stato fortemente ridimensionato il ruolo della scuola - adesso ve ne sono tre - che era stato voluto dal Ministro Castelli proprio al fine di introdurre elementi di valutazione esterna che andavano a garanzia del magistrato stesso!
Questa era stata la nostra filosofia: tutelare la libertà individuale del magistrato! Ecco perché, ad esempio, nella nostra riforma avevamo dato seguito, finalmente, alla tipizzazione dell'illecito disciplinare, ossia per evitare - per quanto riguarda, appunto, la possibilità di essere sottoposto a un provvedimento disciplinare - l'eccessiva discrezionalità che faceva capo all'organo di autogoverno della magistratura, alla sezione disciplinare stessa! Volevamo dare parametri certi e chiari, in modo tale che questa discrezionalità fosse limitata. Adesso, con riferimento alle valutazioni dei magistrati si parla di dirigenza e laboriosità, ma sono criteri che non sono sufficientemente dettagliati e, quindi, rientriamo in quella discrezionalità che, invece, volevamo limitare!
Sulla separazione delle funzioni - è chiaro - si compie un inaccettabile passo indietro; si tratta di una riforma assolutamente necessaria per garantire la terzietà vera del giudice, per garantire l'imparzialità e per dare pienamente attuazione al principio del giusto processo.
Perché vi sono delle resistenze a sancire, finalmente, anche nel nostro ordinamento giuridico, questo sacrosanto principio? Le resistenze sono semplicemente la difesa di prerogative e privilegi che sono inaccettabili! Per chi? Per una forza politica o per delle forze politiche responsabili,Pag. 47le quali, quando si tratta di giustizia, non dovrebbero andare a guardare l'interesse di questa o di quella categoria, ma dovrebbero avere, come unico faro, l'interesse dei cittadini, il loro interesse ad avere un giudice, finalmente, terzo e imparziale!
Dunque, al di là delle affermazioni che ho ascoltato, ciò che ha distinto il nostro modo di operare rispetto al vostro, è il fatto che noi siamo stati più liberi, abbiamo avuto il coraggio di andare avanti lo stesso!
Abbiamo avuto il coraggio di non applicare il metodo della concertazione, a voi tanto caro, per quanto riguarda la magistratura associata e di andare avanti con una riforma che poteva essere invisa dai magistrati che non l'avevano scritta ma che, lo ripeto, andava nell'interesse dei cittadini. Ricordiamo, come ha già fatto qualcuno in quest'aula, che la giustizia deve essere amministrata in nome del popolo italiano.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
CAROLINA LUSSANA. Tuttavia, anche ciò vi ha dato fastidio. Infatti, sotto la dittatura dell'Associazione nazionale magistrati, appena insediata, uno dei primi atti è stato quello di far togliere quel cartello dalle nostre aule di giustizia: vergogna (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cogodi. Ne ha facoltà.
LUIGI COGODI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi deputati, abbiamo avuto modo di esprimere in Commissione, ed esprimiamo in Assemblea, un giudizio sulla normativa in discussione che noi stessi abbiamo definito di carattere prevalentemente positivo.
Esprimiamo tale giudizio a ragion veduta perché vi siamo indotti da due considerazioni, entrambe di carattere essenziale. Una prima considerazione è relativa al testo, cioè al merito, al reale contenuto del provvedimento proposto; l'altra è riferita, come si suol dire, al contesto, cioè alla condizione complessiva, di permanente e crescente sofferenza dello stato della giustizia in Italia.
Più volte e da parte di diversi colleghi, è stata osservata la particolare rilevanza che la Costituzione assegna alla legge sull'ordinamento giudiziario, in quanto, nell'ambito della sezione dedicata all'ordinamento giurisdizionale, richiama la legge per ben quattro volte.
Inoltre, anche nell'ambito della discussione odierna, è stato invocato un quinto richiamo se possibile, ancora più incisivo e cogente di ogni altro, contenuto nella VII Disposizione transitoria e finale, laddove si prefigura meglio il carattere forte, di vera legge organica della disciplina complessiva dell'ordinamento giudiziario, la quale dovrebbe essere resa conforme alla Costituzione in tutto e per tutto, così come dispone la predetta Disposizione transitoria, e non solo rispetto alle previsioni del titolo IV. Tuttavia, dopo 60 anni, tale disposizione è ancora «in transito» e non ha ancora conosciuto un approdo sicuro.
Ecco perché, ancor oggi, è urgente una messa a punto di tutta la normativa di riferimento in materia di ordinamento giudiziario più rigorosa, in termini di funzionalità ed efficacia, di capacità e responsabilità, di rispondenza piena ai valori alti e alla missione civile che anima l'intero tessuto della normativa costituzionale.
Ed ecco per quali ragioni, al di là delle ritenute compatibilità formali e delle precedenti modificazioni introdotte dalla cosiddetta legge Castelli, è apparso legittimo, urgente e doveroso per la coalizione democratica candidata al governo del Paese, prevedere programmaticamente, coram populo, un processo di riforma vera dell'ordinamento giudiziario - altro che controriforma! - da attivare nel rispetto più sostanziale della Costituzione, nella lealtà al proprio programma, presentato agli elettori per ottenere il loro consenso, che dovrebbe costituire, per tutti, un valore politico indeclinabile nonché etico e, come tale, inderogabile.Pag. 48
Quanto al testo in esame, in apertura ho parlato di un giudizio positivo di prevalenza, non di piena soddisfazione, che riteniamo di esprimere sulle modifiche proposte ora in via di approvazione alla Camera dei deputati. Ho parlato anche di una ragion veduta, la quale consiste nel fatto che la normativa Castelli, varata dalla precedente maggioranza del Governo Berlusconi, a nostro avviso, non è condivisibile nella sostanza, proprio perché altera pericolosamente alcuni tratti dei valori costituzionali posti a presidio della democrazia repubblicana e della civile convivenza. Così è per quelle previsioni concorsuali atipiche e persino stravaganti che ipotizzano un colloquio psicoattitudinale e non solo l'accertamento della condizione psicofisica per il candidato che abbia già superato un regolare concorso pubblico per l'accesso alla magistratura.
GAETANO PECORELLA, Relatore di minoranza. Non l'ha superato: è tra lo scritto e l'orale!
LUIGI COGODI. In ogni caso incide sulla procedura concorsuale di ammissione alla magistratura. Così avviene per i concorsi successivi per esami al fine di proseguire nell'esercizio delle funzioni giudiziarie. Così è per la confusione che si è introdotta tra diversità di funzioni e diversità di carriere dei magistrati, posto che è per diversità di funzioni, appunto, che si devono distinguere necessariamente e rigorosamente i magistrati, a norma dell'articolo 107 della Costituzione.
Così è per il sistema di pressoché assoluta gerarchizzazione dell'ufficio del pubblico ministero che espone a grande rischio il principio di obbligatorietà dell'azione penale e di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Così è, ancora, per l'eccesso di verticalizzazione interna alla magistratura, per cui si è ipotizzato che la Cassazione, da vertice del sistema dei mezzi di impugnazione - articolo 111 della Costituzione - potesse divenire anche il vertice dell'ordinamento giudiziario.
Così è per diversi altri istituti di quel progetto, di segno - lo ripeto - niente affatto riformatore, ma sostanzialmente controriformatore. Ecco perché ora si tratta intanto, secondo noi, di rimettere il treno sui binari.
La normativa di modifica che discutiamo propone di ovviare almeno alle più evidenti discrasie, quelle che molti ritengono più apertamente di considerare come autentiche e gravi distorsioni del sistema costituzionale e, comunque, dei criteri di funzionalità ed efficienza democratica che devono essere garantiti al e dal sistema giudiziario.
È su tali punti di merito che il confronto è aperto, non prevalentemente sul metodo o sui tempi di esame del provvedimento. È evidente, peraltro, la positività di tale passaggio, anche al fine di rimuovere alcuni ostacoli di grave incomprensione ed anche di gravissima contrapposizione tra i diversi ambiti di competenza entro cui si articola il concreto esercizio dell'attività giudiziaria. Contrasti fra giudici e avvocati, tra giudici e giudici e tra avvocati fra loro, contrasti tra personale amministrativo, giudice e Ministero e, soprattutto, contrasti tra opinione pubblica, sistema giudiziario e istituzioni pubbliche più complessivamente considerate.
Le misure proposte sicuramente concorrono ad un parziale rasserenamento del clima. Tuttavia ritengo che tutti dobbiamo convenire sul fatto che molteplici e gravi risultano essere ancora i punti critici. Intanto è però doveroso dare atto della positività delle proposte in discussione.
L'accesso in magistratura è garantito da una procedura concorsuale che ripristina, nel pieno rispetto dell'articolo 106 della Costituzione, i fondamentali requisiti di oggettività nella selezione dei vincitori, eliminando lo sbarramento cervellotico del successivo colloquio psico-attitudinale.
Non può essere sottaciuta però, in tema di accesso, la sostanziale penalizzazione che ne può risultare, soprattutto in capo ai giovani laureati che siano capaci e meritevoli anche se privi di mezzi, che hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e, ben si intende, tutto ciò chePag. 49consegue dai gradi più alti degli studi, così come prescritto dall'articolo 34 della Costituzione.
Il concorso di secondo grado, così come concretamente strutturato, rischia di limitare per molti versi il diritto dei più giovani laureati. La rigida distinzione fra le diverse funzioni esercitate dai magistrati ai sensi dell'articolo 107 ed alla luce dell'articolo 111 della Costituzione è garantita da diversi istituti: inibizione al passaggio di funzioni all'interno dello stesso distretto giudiziario o di altri distretti che interessano la stessa regione; il limite di almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata; possibile passaggio di funzioni per non più di quattro volte nell'arco dell'intera carriera; specifico corso di qualificazione professionale; procedura concorsuale interna con giudizi di idoneità del CSM; parere del consiglio giudiziario.
È del tutto sufficiente il sistema proposto? Noi riteniamo che sia, intanto, un deciso e utile passo in avanti, ferma restando la ricerca delle migliori soluzioni da adottare in via applicativa, ove necessario anche con un ulteriore intervento legislativo.
Concordiamo con quanti sostengono, con sincerità di propositi e con solidità di argomenti, che la distinzione delle funzioni deve risultare vera e non solamente apparente e che deve essere effettiva, cioè produttiva di effetti pratici, non solamente formale ed astratta.
Sosteniamo ciò per la garanzia che deve essere data per il buon andamento della giustizia e a tutela piena del buon diritto del cittadino, senza con ciò nulla togliere alla comune cultura della giurisdizione di tutti i magistrati, giudicanti e requirenti.
La professionalità e la connessa responsabilità dei magistrati è rafforzata, comunque, attraverso l'attività di formazione continua, con l'obbligo della valutazione di professionalità ogni quadriennio e conseguenti sanzioni nel caso di esito negativo, dalla perdita dell'aumento periodico dello stipendio per due anni sino alla più severa delle sanzioni: la dispensa dal servizio.
L'assoluta temporaneità delle funzioni direttive e semidirettive limita sicuramente il rischio di gerarchizzazione in senso autoritario e di eccessiva burocratizzazione del sistema giudiziario. La maggiore apertura e la migliore incisività dei consigli giudiziari, ancorché palesemente insufficienti, sia in ragione della funzione svolta dagli avvocati sia in relazione ad altri utili apporti che possono derivare dalla partecipazione delle primarie istituzioni pubbliche territoriali, indicano, tuttavia, un'ulteriore tendenza positiva verso il superamento dell'eccessiva separatezza dell'apparato giudiziario rispetto alle istanze della società e delle comunità locali. Trattasi in buona sostanza, come già detto, di un passo in avanti nella direzione giusta.
Vorrei svolgere alcune considerazioni sul contesto più ampio e generale entro cui si iscrivono, però, le misure specifiche che si propongono. L'ordinamento giudiziario così novellato sicuramente offre un contributo utile per la soluzione di alcuni mali atavici che colpiscono pesantemente l'amministrazione della giustizia in Italia.
La realtà e l'esperienza consigliano, però, molta prudenza. Esiste una scuola di pensiero, secondo me del tutto erronea, che tende a considerare l'ordinamento giudiziario come un ambito esclusivo, una sorta di maso chiuso entro cui si definiscono lo status dei magistrati ed il relativo sistema di garanzie dei soli magistrati ordinari. È anche così, ma non è solo così!
Fra l'ordinamento giudiziario, così come prefigurato negli articoli da 101 a 109 della Costituzione, e l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, di cui all'articolo 110, corre una strettissima relazione. Esiste un vincolo inscindibile. Non a caso questi articoli sono collocati tutti e alla pari sotto il Titolo IV, sezione I (Ordinamento giurisdizionale), della Costituzione.
Analogo nesso inscindibile intercorre ugualmente fra i precedenti ambiti correlati di competenza e le previsioni contenutePag. 50nella sezione II (Norme sulla giurisdizione): giusto processo, condizioni di parità nel contraddittorio, giudice terzo, ragionevole durata del processo, pieno diritto della difesa ed alla difesa, obbligatorietà dell'azione penale, effettiva azionabilità dei diritti e degli interessi legittimi ed altro ancora, non di secondaria importanza.
Risulta perciò abbastanza sconcertante l'evidente scompenso che caratterizza, anche in questa stagione, le iniziative troppo spesso autoreferenziali delle diverse parti in causa: giudici, avvocati, ministri e persino legislatori preferiscono trattare i temi del potere del giudice rispetto al potere della politica e viceversa, anziché trattare innanzitutto dei poteri e dei doveri della politica rispetto al buon andamento della giustizia ed ai legittimi diritti dei cittadini.
Il fatto è che per il buon andamento della giustizia si invoca sempre un «dopo»: dopo si vedrà, dopo si dovrà porre mano a qualcosa. Quel «dopo», data la situazione di disastro della giustizia in Italia, dovrebbe essere però arrivato. Quel «dopo» dovrebbe essere «ora»: ora, per esempio, che è in discussione il DPEF, dove alla giustizia sono dedicate alcune annotazioni, pur interessanti, che rimangono tuttavia confinate nel campo delle petizioni di principio; ora che si sta predisponendo il prossimo bilancio dello Stato.
Sullo stato della giustizia in Italia il Censis ha recentemente certificato l'assoluto giudizio negativo di oltre il 90 per cento dei cittadini italiani. Sullo stato degli uffici giudiziari il Ministro guardasigilli ha affermato di recente, davanti alla Commissione parlamentare, che, paradosso a parte, se si trattasse di un'azienda normale, in queste condizioni l'amministrazione della giustizia dovrebbe portare i libri in tribunale.
Mentre molto si discute, e a ragione, della effettività e della certezza della pena e della sua funzione anche rieducativa, giustamente, accade che non vi è più neppure la minima certezza di ciò che legittima la pena, cioè del processo, della sua durata e della sua conclusione. È risultato, da notizie di stampa nei giorni scorsi, che una causa civile presso un tribunale della Sardegna, concernente la contesa sulla attribuzione di un fabbricato, è trattata ormai da cinquantasette anni: senza lo scalone, quella causa potrebbe andare benissimo in pensione!
Ma quello della Sardegna è un tribunale come tanti altri in Italia, dove ogni magistrato ha in carico, in un anno, non meno di millecinquecento procedimenti, dei quali riesce a definirne meno di un terzo - è una grande quantità - mentre gli altri due terzi vanno ad accrescere il monte dell'arretrato, del quale è impossibile pensare ad una definizione in tempi ragionevoli.
Mentre si attacca da più parti la legge sull'indulto, esistono procuratori della Repubblica in Italia che si ritengono necessitati ad emettere direttive a dir poco nervose, che individuano come soluzione al sovraccarico dei processi alcuni singolari istituti quali l'archiviazione generosa e l'adozione di criteri di priorità tali da comportare sicuramente la maturazione dei termini di prescrizione per molti reati.
Si può dire che tutto ciò accade per necessità, si converrà però che sarebbe pur sempre una triste necessità, cioè un evento negativo di fronte al quale non è consentito ai pubblici poteri di alzare le mani in segno di resa.
Peraltro, in luogo di un'amnistia impropria, selettiva e discriminatoria, anche per territorio, dovremmo convenire che è sicuramente preferibile porre mano con sano realismo ad una norma per un'amnistia vera, definita e garantita, nell'interesse generale del buon andamento della giustizia.
L'ordinamento giudiziario definisce, com'è noto, lo status dei magistrati ordinari, che ad oggi dovrebbero assommare a 8.928, a fronte dei 10.109 attualmente previsti dall'organico. Ma ad esercitare funzioni giurisdizionali solo accanto alla magistratura ordinaria siede un numero altrettanto corposo di magistrati onorari, 3.315 giudici di pace a fronte di un organico di 4.700, e quasi 4.000 ulteriori giudici onorari: è un autentico esercito diPag. 51precari della giustizia, notoriamente sottopagati rispetto anche al più usuale degli impieghi pubblici, senza adeguati diritti previdenziali, colpiti tutti, ma soprattutto le donne, nelle più elementari tutele assicurative ed esposti, la gran parte, ad un'assoluta incertezza sulle proprie prospettive di lavoro e di vita.
L'amministrazione della giustizia dovrebbe essere garantita in Italia da un organico di personale amministrativo di 47.384 unità (ma vi sono attualmente 6.000 posti vacanti) del cui stato di sofferenza - dovuto al mancato riconoscimento dei diritti economici e dei diritti di partecipazione attiva nella realtà degli uffici, ma soprattutto alla mancata riqualificazione professionale - il Ministro della giustizia ha recentemente riconosciuto la triste condizione di autentico «infarto» sotto il profilo funzionale e professionale.
Nel contempo, gli uffici giudiziari, già fortemente inadeguati come strutture, versano in uno stato di gravissima disorganizzazione. In proposito, il Ministro della giustizia afferma testualmente: «Gli uffici sono carenti - ci si riferisce agli uffici giudiziari - di controlli di sicurezza in ordine alla conservazione materiale dei fascicoli, ai mezzi di trasmissione dei documenti, alla sicurezza degli stessi sistemi informatici adottati, sicché quanto è contenuto nei fascicoli risulta spesso intercettabile anche piuttosto agevolmente». Insomma, è una pacchia per chiunque voglia spulciare i fascicoli altrui e spiare ogni e qualsiasi atto riservato.
La denegata giustizia, ma anche l'uso improprio degli strumenti giudiziari, in un tale quadro a dir poco disastroso, non costituiscono più l'eccezione ma, per gran parte, la condizione ordinaria di concreto esercizio dell'attività giudiziaria, e non solo.
Per altro verso, il servizio giustizia è troppo costoso per il cittadino che vi voglia o vi debba ricorrere ed è nel contempo terribilmente sottostimato nel bilancio dello Stato. Risulta che nei quattro anni intercorrenti fra il 2002 e il 2005, in piena era berlusconiana, la provvista finanziaria del servizio giustizia è stata ridotta nel bilancio dello Stato di oltre il 40 per cento. Per l'esercizio 2006, lo sbilancio registrato dall'amministrazione giudiziaria è stato di 275,9 milioni di euro per la sola gestione corrente. Nel frattempo, il Ministero della giustizia è debitore insolvente per crediti maturati riconosciuti in favore di terzi per oltre 394 milioni di euro, di cui oltre 132 milioni di euro per contributi dovuti ai comuni per le spese sostenute dagli stessi per gli uffici giudiziari.
Ma vi è un ulteriore dato che più di ogni altro appare ingiusto, per molti versi offensivo e per ogni e qualsiasi verso intollerabile: così come esistono due Italie dell'economia e delle dotazioni infrastrutturali, allo stesso modo esistono anche due Italie della giustizia. I dati più recenti indicano infatti che la durata media dei processi di cognizione in primo grado, in tutto il nord del Paese, si aggira intorno ai 500 giorni; al Sud e nelle isole, tale durata media è di oltre mille giorni, ossia più del doppio. Insomma, neppure di fronte alla giustizia vi è giustizia in Italia nel rapporto fra nord e sud del Paese: al nord, la giustizia veste ancora l'ermellino; per il sud adotta la pelle del leopardo.
Se hanno ragione almeno in questo il presidente della Confindustria e il Governatore della Banca d'Italia, secondo i quali uno dei fattori importanti che causano le difficoltà economiche del paese è la lentezza della giustizia, è evidente che per il sud il danno economico, oltre che sociale ed esistenziale, che ne deriva è enormemente cresciuto: è più del doppio di quello del nord.
È vero: nel sud risiede la gran parte delle cosiddette sedi disagiate, poco ambite dai magistrati e dai funzionari; ma il senso dell'azione di un Governo democratico è proprio quello di contrastare le iniquità e di affrontare e rimuovere le cause del disagio sociale, non semplicemente quello di censire e prendere atto delle difficoltà e delle iniquità esistenti.
Nessuno può onestamente dire che non vi sia una relazione diretta tra lo stato di disastro della giustizia e la devastazionePag. 52economica e sociale che colpisce sempre più violentemente il sud d'Italia ad opera della criminalità organizzata.
Il Meridione brucia in questi giorni e lo fa non metaforicamente, ma fisicamente; ma se brucia il sud, se si lascia che brucino il sud e le isole, non si salva certamente il nord, né l'Italia: tutto ciò dovrebbe essere chiaro ed evidente, almeno nel Parlamento della Repubblica.
Non ho parlato di altre questioni di cui pure si dovrebbe dire, anche in questa circostanza: del diritto di difesa, che deve essere uguale per tutti, anche per i cittadini meno abbienti; della prevenzione e della depenalizzazione; della migliore specializzazione e della diretta dipendenza della polizia giudiziaria dall'autorità giudiziaria, ai sensi dell'articolo 109 della Costituzione; della necessaria deflazione del contenzioso, anche attraverso procedure obbligatorie di conciliazione e di arbitrato per le controversie minori; infine, della semplificazione e riduzione all'essenziale dei riti processuali (oggi se ne contano ben ventisei distribuiti nei diversi ambiti di giurisdizione).
Ma, soprattutto, si dovrebbe dire quando e come meglio si deve intendere ed operare con legge per regolare i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia, come vuole testualmente l'articolo 102 della Costituzione e l'opinione democratica diffusa nel nostro Paese.
In conclusione, è vero che la legge modificativa dell'ordinamento giudiziario non è né deve essere, per sua natura, la legge sull'organizzazione complessiva del servizio giustizia; ma è anche vero che la migliore coerenza costituzionale della legge sull'ordinamento giudiziario deve essere non un fatto a sé, non la conclusione e neppure una parte indifferente rispetto a un progetto di complessivo riordino democratico di funzionalità e di efficienza del servizio giustizia. Questo i cittadini attendono, questo i cittadini hanno diritto di avere (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cota. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, colleghi, innanzitutto un dato emerge da questa discussione parlamentare, già citato da altri colleghi, ma che ritengo troppo importante per non sottolinearlo.
Oggi si discute una riforma molto importante, che dovrebbe avere effetti importanti per la vita del Paese, ma, sostanzialmente, non la si discute: la Camera, infatti, non può modificare il testo - è già stato ricordato -, perché non vi sono i tempi per poterlo modificare, secondo ciò che dice la maggioranza.
In realtà, non è possibile modificarlo perché la maggioranza non ha la possibilità di affrontare un ulteriore dibattito su tali argomenti: sono note le fibrillazioni tra il Ministro Di Pietro e il Ministro Mastella e gli infortuni capitati al Senato sul provvedimento al nostro esame.
Dunque, nel caso in cui la Camera dovesse modificare tale provvedimento, lo stesso dovrebbe ritornare al Senato, dove, ovviamente, questo Governo non ha la maggioranza.
È vero, infatti, che esiste il termine del 31 luglio per l'entrata in vigore della riforma; ma è anche vero che l'opposizione ha più volte sottolineato che, se si fosse potuto realizzare un dibattito parlamentare alla Camera, essa sarebbe stata disponibile ad una proroga della sospensione della riforma Castelli.
Facendo così, colleghi, non soltanto si approva una riforma ingiusta, ma anche delle disposizioni che dovranno essere subito modificate o, quanto meno, che creeranno nell'immediato una serie di problemi. Vorrei ricordare, per esempio, una norma transitoria contenuta in questo testo che, se applicata, decapiterebbe molti degli uffici giudiziari del Paese, perché comporterebbe che alcuni procuratori della Repubblica o procuratori aggiunti dovrebbero, quasi automaticamente, abbandonare gli uffici direttivi e ritornare a svolgere l'attività dei sostituti procuratori. Nella mia regione il procuratore della Repubblica e il procuratore aggiunto dovrebberoPag. 53ritornare a fare i sostituti. Pertanto, tale norma si sarebbe potuta correggere con un minimo di buon senso, ma non lo si può fare perché in questa Camera non si può discutere più di nulla.
Veniamo al testo del provvedimento. Perché esso è stato adottato - dal nostro punto di vista - dalla maggioranza e portato avanti dal ministro Mastella? Ciò non è avvenuto per favorire gli interessi del paese - lo capiamo dal suo contenuto - ma probabilmente per tre motivi: il primo motivo è sicuramente per pagare una «marchetta» ideologica che interessa la sinistra, che ha sempre demonizzato il lavoro del nostro Ministro della giustizia e la riforma Castelli, nonostante essa oggettivamente contenesse tanti aspetti positivi.
Il secondo motivo per cui il ministro Mastella porta avanti la riforma è per pagare una «marchetta» ideologica alla magistratura militante, che ha sempre dettato la linea difendendo interessi corporativi, a fronte di un potere politico troppo spesso accondiscendente.
Il terzo motivo è in parte collegato al secondo: il Ministro Mastella, che in questo momento non mi sembra sia presente in aula, credo abbia la fama di essere un abile navigatore. In quanto tale, evidentemente cerca di dare sempre un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Pertanto, in tale situazione probabilmente ha pensato di non essere in grado di gestire le spinte che arrivano, evidentemente, dalla magistratura. Quindi, l'unica soluzione era quella di sostenere una riforma dettata da una parte della sua maggioranza e soprattutto, come è stato ricordato dalla collega Lussana, sotto la dittatura dell'Associazione nazionale magistrati e, quindi, della magistratura militante. Così, forse, può stare un po' più tranquillo, guadagna qualche spazio e riesce anche a discutere continuamente con il Ministro Di Pietro. La verità è che nessuno dei due riesce o vuole occuparsi del proprio ministero, perché preferisce spaziare in altri campi e quotidianamente leggiamo sui giornali la puntuale querelle. Di Pietro si occupa di ciò di cui dovrebbe occuparsi Mastella e viceversa. Evidentemente, con la riforma in esame Mastella è un po' più tranquillo perché ha più tempo per scorrazzare occupandosi delle attività e delle funzioni dei ministeri altrui.
Mi avvio verso la conclusione, perché non penso di avere molti minuti a disposizione. La terza argomentazione è la seguente: questo provvedimento non è assolutamente una riforma, bensì una controriforma, perché smantella alcuni elementi importanti che la riforma Castelli aveva sostenuto e realizzato, magari non completamente: innanzitutto, la separazione delle funzioni, che è certamente qualcosa di meno della separazione delle carriere (siamo assolutamente tutti d'accordo), ma rappresenta già qualcosa rispetto alla completa contaminazione tra il ruolo giudicante e quello del pubblico ministero. Si tratta di una contaminazione fisica, che sfocia in un cambiamento di funzioni senza che vi siano le garanzie sufficienti in ordine alla distanza territoriale o al numero degli anni.
Il secondo aspetto è la sottoposizione dei giudici ad un sistema di regole e a meccanismi che premino i meriti degli stessi magistrati, che tengano conto del loro lavoro e dell'efficienza della loro attività.
Il terzo obiettivo che si proponeva di realizzare la riforma Castelli era la «spoliticizzazione» (almeno in parte, il più possibile, ma l'obiettivo sarebbe totalmente) della magistratura, introducendo criteri meritocratici e facendo in modo che il Consiglio superiore della magistratura non si occupasse di tutto e che organismi tecnici si occupassero degli aspetti tecnici. Tutto ciò non si realizza, ma si va nella direzione esattamente contraria di una contaminazione del ruolo e delle funzioni del pubblico ministero. Lo abbiamo visto bene nel dibattito al Senato, dove il senatore Manzione della Margherita, il quale ha presentato un emendamento intelligente che quantomeno conteneva il danno, è stato attaccato dalla maggioranza che sostiene il Governo.
Per quanto riguarda l'altro aspetto, nell'ambito della separazione delle funzioni, quindi nell'ambito dei limiti che vengonoPag. 54posti al passaggio dalla carriera, dal ruolo e dalla funzione del pubblico ministero alla funzione del giudice, c'è un grosso passo indietro. Si registra un passo indietro anche per quanto riguarda le valutazioni, come avevo ricordato, della carriera dei magistrati. Non si va nella direzione dei meriti valutati sul campo, bensì nella direzione opposta dell'anzianità automatica: per quanto riguarda la progressione, o relativamente al conferimento degli incarichi direttivi, si va nella direzione delle decisioni politiche assunte in seno al Consiglio superiore della magistratura. Tale organo, colleghi, così come oggi è strutturato non è un organo di autogoverno dei magistrati in senso tecnico, ma è il regno della politica. È probabilmente l'identificazione, la personificazione non dell'indipendenza della magistratura, bensì della politicizzazione della magistratura stessa. Le regole vengono interpretate e le decisioni vengono assunte in base a finalità precise.
PRESIDENTE. Onorevole Cota, la prego di concludere.
ROBERTO COTA. Concludo, signor Presidente. Siamo contrari al testo sottoposto - anzi non sottoposto - oggi all'Assemblea nell'interesse dei cittadini e anche nell'interesse dei magistrati. Non abbiamo nulla contro i giudici e la magistratura, vorremmo invece difendere i tanti giudici e i tanti magistrati che lavorano, magari schiacciati dai fascicoli e che non sono abituati a frequentare i salotti che contano (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Consolo. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CONSOLO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signore colleghe, signori colleghi, desidero intanto ringraziare l'onorevole Paola Balducci, che ha acconsentito a spostare il suo turno di intervento e la Presidenza, che ha ratificato il nostro gentlemen agreement. Desidero, inoltre, ringraziare - lo devo, ma poi arrivano le dolenti note - la relatrice Samperi, che con serietà ha affrontato i temi oggetto di questa riforma dell'ordinamento giudiziario in Commissione, ed il presidente della Commissione medesima, onorevole Pisicchio. Il loro compito è stato arduo perché sapevano di essere di fronte ad un'impresa impossibile.
Purtroppo, c'era ormai stata una decisione che veniva aliunde, da altra parte, estranea a quest'Assemblea, per cui bisognava cambiare tutto. A me l'ordinamento giudiziario in esame ricorda - lo dico e poi vi spiego il perché - le immagini in cui Alain Delon e Claudia Cardinale, con il suo sguardo magnetico, ballavano nella rappresentazione cinematografica, ad opera di Luchino Visconti, del romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Ebbene, anche il principe di Salina voleva il cambiamento! Lo voleva come ora una parte dei magistrati vuole la controriforma dell'ordinamento giudiziario.
Qualcuno, a torto, ha detto che non siamo stati capaci di riformare l'ordinamento giudiziario, si informi meglio: la riforma Castelli è stata varata dopo tre anni di dibattito e non dopo tre o quattro ore di dibattito, come avviene oggi! Non era una riforma perfetta? Siamo d'accordo.
Con i colleghi della Commissione giustizia - l'onorevole Bongiorno e l'onorevole Contento - abbiamo sottolineato con forza che sarebbe stato un atto di maggior coraggio, che i cittadini avrebbero premiato, separare nettamente le carriere tra giudicante e requirente, ma così non è stato. Da qui ad arrivare a quella che, purtroppo, è stata la fine di questo triste cammino ce ne corre. Mi riferisco al fatto che la Camera è stata apostrofata in vari modi. L'ho affermato davanti allo sguardo attonito del presidente Pisicchio (in Commissione ho detto «non vorrei che», oggi dico «ahimè») al quale, dopo averlo ringraziato, devo ricordare che questo ramo del Parlamento è stato trasformato nonPag. 55nella Camera bassa, bensì nella Camera «infima», che deve ratificare decisioni che non le appartengono.
Nella riforma dell'ordinamento giudiziario in esame vi sono errori talmente macroscopici che non meriterebbero alcun commento di sorta! Non ci vuole un fine giurista - ed io non lo sono - per comprendere che non mettere sullo stesso piano due laureati in giurisprudenza, a condizione che una laurea sia conseguita prima della seconda, è una cosa aberrante, non tanto sotto il profilo del principio costituzionale di ragionevolezza, ma sotto il profilo della logica e del buon senso! Eppure è così.
Vi do lettura dell'articolo 2, lettera h), del citato decreto legislativo n. 160 del 5 aprile 2006 come modificato dall'attuale testo, fortunatamente per poche ore non ancora in vigore, ma che poi entrerà in vigore: al concorso per esami (...) sono ammessi i laureati in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni (...), perché se si tratta di una seconda laurea non si è ammessi.
Nonostante ci abbiano insegnato che in claris non fit interpretatio (vale a dire: quello che chiaro è chiaro), qualche scienziato della norma e dell'ermeneutica interpretativa ha detto che la norma va comunque interpretata e non va intesa in questo modo, ma nel senso che qualora la laurea, di durata non inferiore a quattro anni - quindi la laurea triennale - venga conseguita per seconda, questa persona potrà partecipare al concorso per magistrato ordinario.
Non so se sono stato chiaro: chi si fosse laureato in farmacia e dopo, con tutto il rispetto per i farmacisti, in giurisprudenza con la laurea triennale, potrà partecipare al concorso per la magistratura; chi si fosse laureato in veterinaria, e dopo, con la laurea triennale, in giurisprudenza potrà parimenti avere accesso. Chi invece si fosse laureato, con scansione temporale precedente, in tre anni in giurisprudenza non potrà essere ammesso al concorso.
Non si sa quali siano gli autori di questo infausto emendamento (che sono chiaramente ignoti, o noti, o non si capisce, perché mater semper certa est, pater numquam): l'estensore - o l'ignoto - voleva dire che, qualora la laurea fosse stata conseguita come seconda laurea rispetto a corsi riguardanti materie affini (ossia scienze politiche ed economia e commercio), allora la laurea triennale avrebbe avuto valore.
Devo dire, con rammarico e tristezza, che siamo qui solo a ratificare: qualcuno se l'è presa quando ho parlato di Camera «infima», ma certamente nessuno può negare che siamo costretti ad una Camera «di ratifica». Non voglio entrare nel merito del discorso sui senatori a vita - che è formalmente ineccepibile, ma politicamente inaccettabile - ma quando, al Senato, è stata conseguita una maggioranza raffazzonata, il Guardasigilli ha affermato: «Per carità, non mutiamo neanche uno spillo!»
Colleghi, a cosa serve tutto ciò? Grazie a Dio, abbiamo la forza della voce e delle parole, ma siamo umiliati di dover sopportare una battaglia (non certo perché non la si vinca - l'ha detto bene la collega Bongiorno in Commissione giustizia): la forza delle idee, però, deve potere avere sempre, in ipotesi, una possibilità di prevalere. In questo caso, invece, partiamo sapendo che non arriveremo a nulla e che a nulla valgono gli sforzi di chi vorrebbe cambiare per migliorare. Non abbiamo da difendere interessi di natura patologica, ma di natura fisiologica: il nostro interesse da difendere è quello della giustizia, nel rispetto della Carta costituzionale, alla quale la norma che vi accingete a votare infligge un grave vulnus.
Ricordo che l'articolo 105 della nostra Costituzione prevede che «spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni». Complimenti! Siete riusciti, attraverso un disegno di legge ordinaria, a vanificare il precetto costituzionale! Ci siete riusciti - o state per riuscirci - perché avete abolito lePag. 56progressioni previste con le leggi cosiddette Breganze e Breganzone (mi rivolgo ai magistrati e agli addetti ai lavori, che sanno di cosa sto parlando).
Con la norma in esame - che verrà discussa, come vedremo oggi, con la pregiudiziale presentata da Alleanza Nazionale - si è abrogata del tutto la promozione, sia pure formale, e si è inferto un altro colpo alla Costituzione. Basta vincere un concorso per arrivare al livello apicale, senza colpo ferire.
Avete voluto abolire di fatto le progressioni di carriera e gli esami; state per riuscirci. Non potete e non potrete contare, comunque, né sul voto di Alleanza Nazionale, né sulla complicità di un partito che ha sempre rispettato e continuerà a rispettare la legge.
D'altro canto, quest'aula vuota significa, in parte, che i colleghi hanno poca cura della riforma dell'ordinamento giudiziario e, in parte, che essi si vergognano di dover ratificare una norma iniqua, che cozza contro il dettato costituzionale e che non vi fa onore.
Avete - e con questo concludo signor Presidente - proceduto a «colpi di fiducia» e, laddove non è stata necessario porre la questione di fiducia, non avete accettato il dibattito parlamentare. Adesso, tecnicamente, avreste dovuto porre la fiducia otto volte essendo otto gli articoli della norma, salvo presentare un maxiemendamento che sarebbe stato irrimediabilmente bocciato al Senato, dove avete avuto la maggioranza per un voto. Un voto!
Così non si può andare avanti. In materia di ordinamento giudiziario non avrete né il voto né la complicità del gruppo di Alleanza Nazionale [Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Costa. Ne ha facoltà.
ENRICO COSTA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il nostro sistema parlamentare è bicamerale. Vi è, tuttavia, una materia nella quale vige una sorta di monocameralismo imperfetto: la giustizia. L'unico ramo del Parlamento al quale è consentito esprimersi pienamente nel campo della giustizia è, ormai, il Senato. In un anno, questa è la quarta volta in cui un testo licenziato da palazzo Madama giunge «blindato» alla Camera, alla quale tocca esclusivamente un ruolo notarile.
I colleghi ricorderanno come, a novembre dello scorso anno, approvammo la sospensiva alla riforma dell'ordinamento giudiziario, senza poter minimamente intervenire, in quanto, altrimenti, dopo pochi giorni, sarebbe entrata in vigore la cosiddetta riforma Castelli.
In quell'occasione ci toccò digerire taluni strafalcioni giuridici, da tutti imbarazzatamente ammessi. Ricorderete le sezioni unite civili chiamate ad applicare il codice di procedura penale, che divennero legge per l'impossibilità di correggere il testo.
Successivamente, ancora il Senato approvò, in sede di conversione, il decreto-legge sulle intercettazioni telefoniche illegali e quello sulla proroga dei consigli giudiziari. Anche su questi testi il ruolo della Camera fu esclusivamente notarile, perché, se avessimo anche solo indugiato ad una modifica degli articolati, sarebbero spirati i termini di conversione, con conseguente decadenza dei decreti-legge.
Signor Presidente, in quelle circostanze, in molti - e non necessariamente parlamentari dell'opposizione - espressero con garbo riserve nei confronti di un modus operandi di fatto espropriativo delle prerogative non del Parlamento, ma della Camera dei deputati.
Oggi, tuttavia, quei precedenti da me citati appaiono insignificanti, a fronte di quanto sta accadendo sul disegno di legge in discussione. Non abbiamo di fronte norme sulle intercettazioni, sui consigli giudiziari o norme che semplicemente si limitano a sospendere gli effetti di una legge. Oggi, abbiamo di fronte una riforma di amplissima portata, attesa fin dall'entrata in vigore della Costituzione, che nella VII Disposizione transitoria ne richiamaPag. 57l'importanza. Ed è inaccettabile che, su un testo fondamentale per la giustizia nel nostro Paese, si leghino le mani alla Camera, per il timore che un'altra riforma - questa, però, partorita dal Parlamento, dopo tre anni e mezzo di discussione - entri in vigore il 1o agosto.
Il nostro Paese attende la riforma dell'ordinamento giudiziario da anni. Oggi si applicano norme del 1941, perché in passato il legislatore ha forse atteso, esitato, dibattuto e indugiato troppo a lungo, ma oggi il Governo, con superficialità ed arroganza inversamente proporzionali alla sua fragilità, compie l'errore opposto.
Con la rassegnazione di chi è consapevole che le sue parole sono destinate più ai verbali che ad una costruttiva valutazione dell'Assemblea, riscontro come il testo che ci viene proposto abbia avuto una genesi davvero discutibile. Una buona riforma dell'ordinamento giudiziario deve nascere con l'obiettivo di costituire un punto di riferimento, una stella polare, un'iniezione di fiducia per i cittadini che non si sentono garantiti e tutelati quando si appellano allo Stato per far valere i propri diritti. Dove la giustizia è in crisi va in crisi anche l'economia. La giustizia è il crocevia dei nostri diritti fondamentali, rappresenta la credibilità dello Stato nel proteggerci di fronte a chi non ne rispetta le regole. Chiedere giustizia significa tendere la mano verso le istituzioni che, per risultare affidabili, devono avere norme chiare, trasparenti, assetti che garantiscano il cittadino, tempi brevi per i processi, maggiore funzionalità dell'organizzazione giudiziaria, meno burocrazia, maggiore indipendenza e preparazione dei magistrati. Una buona riforma non deve tutelare nessuno, se non i cittadini: né i magistrati, né gli avvocati, né i cancellieri, né i funzionari. In questo caso il Governo ha invertito la corretta prospettiva: ha voltato le spalle ai cittadini e teso l'orecchio ai magistrati, la cui associazione - peraltro legittimamente - ha fatto valere una lunga serie di rivendicazioni. L'Associazione nazionale magistrati tutela i suoi associati, punta a garantirli e proteggerli. Il Governo ha invece il dovere di tutelare i cittadini. Il fatto che il Governo si sia piegato a lavorare «sotto dettatura» dell'Associazione nazionale magistrati gli garantirà, forse, la gratitudine degli stessi magistrati, ma non certo quella dei cittadini, che non vedono, in questa riforma, alcuna risposta concreta.
La riforma Castelli si proponeva di garantire meglio i cittadini, ma tutelati erano anche i giudici, la cui carriera ed i cui incarichi direttivi erano legati al merito e non alla corrente di appartenenza, ciò grazie all'introduzione di concorsi in cui le prove erano garantite dall'anonimato. Era davvero una riforma che garantiva l'indipendenza della magistratura certo dal potere politico, ma anche dal più insidioso intervento dei poteri forti delle correnti della magistratura stessa. Un magistrato avrebbe potuto prescindere, per avanzare in carriera, dall'appartenenza all'una o all'altra corrente, consapevole di dipendere solo ed esclusivamente dalla sua preparazione e cultura giuridica. La riforma approvata nella scorsa legislatura aveva l'obiettivo di garantire ai cittadini di essere giudicati da soggetti preparati, capaci, attivi, e laboriosi, da una magistratura in cui i riconoscimenti fossero concessi per merito e non per anzianità, attraverso concorsi che premiassero più la preparazione e l'impegno e meno i titoli. Ebbene, l'Associazione nazionale magistrati criticò tali regole, evidenziò che avrebbero prodotto una classe di magistrati ambiziosi, dediti più allo studio che al lavoro quotidiano. Si tratta certamente di considerazioni su cui riflettere, ma le stesse perplessità, con coerenza, non sono state rivolte verso la mole di incarichi extragiudiziari che il CSM autorizza ogni anno: oltre 800 soltanto nel 2006, solo per i magistrati ordinari. Non si tratta forse di attività, anche queste, che distolgono i magistrati dalle incombenze dell'ufficio? I cittadini preferiscono un giudice bravo e preparato, che si aggiorna e studia, oppure un magistrato demotivato, cristallizzato, pietrificato negli stimoli, perché tanto gli aumenti dello stipendio sono automatici?
Ebbene, la controriforma oggi all'esame della Camera elimina molte buone innovazioniPag. 58che erano state introdotte. Oggi nasce un sistema in cui il CSM diventa il dominus del magistrato, ne detiene le chiavi della carriera, potendo, con ampia discrezionalità, decidere la sua sorte. È sufficiente osservare le norme che regolano, nel disegno di legge in esame, la valutazione di professionalità, per comprendere come i giudizi sui magistrati non potranno avere alcuna oggettività, ma saranno soggetti alle influenze delle correnti presenti nel CSM. Si instillerà il dubbio che chi è tutelato fa carriera, chi lo è meno è a rischio. Questo non è certo un modo per garantire i cittadini sui meriti di chi dovrà giudicarli. In Italia, i magistrati capaci, giuridicamente colti e laboriosi sono moltissimi, la maggioranza certamente: costoro sarebbero ben più garantiti se potessero misurarsi sul piano del merito, attraverso concorsi che ne facciano apprezzare le qualità, piuttosto che cedere le chiavi della loro carriera alle correnti del CSM.
Sorprende, poi, osservare come il legislatore arretri nel definire l'oggetto delle valutazioni di professionalità, lasciando al CSM il compito di scrivere le regole di attuazione.
Il Parlamento abdica al suo ruolo e cede all'organo di autogoverno della magistratura anche un compito che dalla Costituzione è affidato al legislatore. È sorprendente come sia sufficiente esaminare i documenti redatti nei mesi e negli anni scorsi dagli esponenti dell'Associazione nazionale magistrati per comprendere chi sia stato l'ispiratore, neppure occulto, della riforma. Documenti ripresi alla lettera dal Governo, copiati parola per parola, ci fanno comprendere come per il Governo al centro del sistema giustizia ci siano i magistrati e non i cittadini che rivendicano il diritto di essere giudicati da giudici indipendenti, autonomi e terzi. Un tale obiettivo si sarebbe potuto raggiungere attraverso una separazione delle carriere o almeno con una autentica separazione delle funzioni. Un giudice chiamato a decidere non potrà certo mettere sullo stesso piano il difensore e il pubblico ministero, quando magari quest'ultimo è stato suo collega in un collegio fino al giorno prima. Il senso della separazione delle funzioni risiede nell'indipendenza e nell'imparzialità del giudice rispetto al pubblico ministero e nelle conseguenti maggiori garanzie per i cittadini. Anche sotto questo profilo la presente riforma appare timida, poco coraggiosa, una sorta di «vorrei ma non posso» in cui si pensa che sbarramenti territoriali possano mitigare le lesioni al principio del giusto processo provocate da carriere promiscue.
Abbiamo presentato molte proposte emendative ma non ci illudiamo che possano essere prese in considerazione. Ci appelliamo però alla relatrice per la maggioranza, di cui apprezziamo l'onestà intellettuale, perché uno scatto d'orgoglio del Parlamento consenta una discussione seria e non di facciata di fronte ad un testo niente affatto perfetto.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.
MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, ritengo che per capire le ragioni, anche sotto il profilo politico, in forza delle quali il ruolo della Camera è stato relegato - come da più parti denunciato - a mera ratifica dell'operato del Senato si debba fare un passo indietro: dobbiamo tornare al momento in cui - fatto che non tutti ricordano - il Ministro della giustizia ebbe a presentare il disegno di legge sull'ordinamento giudiziario prima alla Camera dei deputati, per poi ritirarlo una decina di giorni dopo per trasmetterlo al Senato. Tale fatto non può essere dimenticato perché imputa al Ministro della giustizia la scelta e la responsabilità politica di quanto accaduto.
Scientemente - non ho paura di dichiararlo - il Ministro ha fatto un calcolo sull'iter del provvedimento sull'ordinamento giudiziario volto a far sì che la discussione venisse svolta interamente al Senato, mentre la Camera venisse relegata ad un solo ed esclusivo ruolo di ratifica. Tutto ciò è avvenuto anche alla luce dei rischi politici che lo stesso Ministro ha corso e continua a correre, non tanto ePag. 59non solo per gli interventi dell'opposizione, quanto per i contrasti che progressivamente si registrano nelle forze della sua maggioranza. Non è un caso che proprio in occasione della discussione al Senato il Ministro della giustizia, oltre ad aver minacciato - si fa per dire - per l'ennesima volta le sue dimissioni senza rassegnarle, è arrivato al punto, a fronte di uno «sgarbo» nelle votazioni causato da un emendamento presentato da un senatore della maggioranza, di affermare pubblicamente che il Governo si sarebbe recato in aula rimettendosi alla valutazione dei senatori. Facendo ciò il Ministro registrava e sottoscriveva una sorta di impotenza politica, che in un caso come quello che stiamo discutendo è sicuramente ancora più grave, dato che se avesse voluto evitare tutto ciò - come ho avuto modo di affermare durante il confronto in Commissione - avrebbe potuto tranquillamente accompagnare la discussione al Senato sull'ordinamento giudiziario con un disegno di legge volto a prorogare i termini di sospensione della precedente riforma del centrodestra (come è noto, la riforma che stiamo discutendo deve essere assolutamente varata entro il 31 luglio, pena l'entrata in vigore della riforma dal precedente Governo).
Ritengo che anche tale aspetto denoti l'irresponsabilità politica del Ministro della giustizia che, non avendo seguito la predetta strada, ha inteso apertamente evitare il confronto e i miglioramenti che in occasione della discussione in Commissione giustizia sono stati apportati non soltanto dai rappresentanti dell'opposizione ma anche, in molte occasioni, da interventi di esponenti della stessa maggioranza.
Questa riforma, così come è, non potrà essere in alcun modo migliorata perché tale miglioramento è impedito dalla scelta del Ministro competente e, tra l'altro, va ricordato - come correttamente è stato fatto - che la precedente riforma consentì al Parlamento una discussione ampia, perché il disegno di legge arrivò nel 2002 e i lavori si conclusero nel 2005. Quindi, se anche volessimo fare un raffronto semplicemente sui termini di discussione, potremmo, da un lato indicare l'ampio confronto avvenuto sulla cosiddetta riforma Castelli, dall'altro l'assoluta mancanza di confronto verificatasi, sotto il profilo degli emendamenti e delle modifiche del testo, nell'attuale dibattito.
Vi è di più. Gli articoli della Carta costituzionale garantiscono sicuramente - ci mancherebbe altro - l'indipendenza della magistratura, ma la stessa è assicurata sulla base dei principi e dei criteri conseguiti in esito all'approvazione della legge sull'ordinamento giudiziario. Al riguardo, vi è un altro aspetto politico che il Ministro competente non ha considerato, proprio perché - è stato più volte ribadito, anche in questa sede - nell'aver accettato quasi completamente i suggerimenti - chiamiamoli così - accompagnati, tanto per cambiare, da uno sciopero annunciato dall'Associazione nazionale magistrati durante il confronto politico, il Ministro stesso ha inteso piegare l'intera volontà, prima del Governo, poi conseguentemente anche del Senato (considerati i risultati che sono emersi in quella sede) alle decisioni e alle indicazioni che provenivano dall'Associazione nazionale magistrati. Crediamo che si tratti di un aspetto estremamente delicato sotto il profilo politico, perché ha denotato la sostanziale rinuncia, prima del Governo e del Ministro in prima persona, poi anche delle forze della maggioranza, a rivendicare il ruolo di autonomia e di indipendenza nella decisione sulle linee fondamentali dell'ordinamento giudiziario, che appartiene alle Camere e che non appartiene alla magistratura. La lettura del dettato costituzionale, sotto questo profilo, è estremamente chiara, invece noi abbiamo avuto un Ministro che ha preferito piegare sostanzialmente quegli indirizzi alla volontà esclusiva dell'Associazione nazionale magistrati.
È sufficiente metterne a nudo gli elementi di fondo denunciati. Quale era il primo aspetto della riforma Castelli criticato dall'Associazione nazionale magistrati? Era la più rigida separazione delle funzioni. Riguardo a tale aspetto, sulla base di quali ragionamenti venne stabilitaPag. 60con la precedente riforma tale rigida separazione, o meglio rigida distinzione di funzioni, nel rispetto della norma costituzionale? Fu stabilita in ossequio alla lettera dell'articolo 111 della Carta costituzionale. Aver riformato quell'articolo e aver sostanzialmente affidato al giudice terzo il ruolo di difesa anche degli interessi dei cittadini è la differenza tra la cosiddetta riforma Castelli e l'attuale disegno di legge.
La riforma varata dal centrodestra intendeva limitare rigidamente i passaggi di funzioni, perché la terzietà si assicura anche evitando che un magistrato - è quanto accade secondo le statistiche fornite dal Governo - effettui continuamente anche centinaia di passaggi da una funzione all'altra nell'ambito della magistratura, come purtroppo si è registrato fino ad oggi. È questo dunque il primo caposaldo che i magistrati hanno inteso colpire. Chiaramente e conseguentemente la presa di posizione del Ministro competente, votata naturalmente dal Senato (voto che verrà confermato), è stata l'ampliamento delle maglie: si possono effettuare passaggi di funzione fino a quattro volte nella storia e nella carriera di un magistrato.
Il secondo caposaldo che si sta delineando, anche in ordine ad altri interventi, è rappresentato dal timore per l'istituzione di un principio di gerarchia all'interno della magistratura. Certamente, avete inserito nel testo in esame il principio di gerarchia - si fa per dire - sulla base delle varie funzioni direttive, semidirettive, aumentate addirittura in maniera assurda per consentire una sorta di «gradinata» che possa permettere di attribuire tali funzioni. Tuttavia, la questione di fondo, ossia la capacità di gestione da parte di chi esercita tali funzioni all'interno delle gerarchie e delle responsabilità, è stata completamente rimossa. Si attua una valutazione della professionalità, ma non si verifica come vengano svolte le ricordate funzioni direttive, e quale sia l'effetto sotto il profilo gestionale del funzionamento degli uffici giudiziari.
Si tratta dell'altro elemento in cui, ancora una, volta prevale il punto di vista del magistrato e non quello del cittadino sottoposto al servizio pubblico dell'esercizio della funzione giurisdizionale.
Non solo: l'altra questione che non può essere dimenticata è quella relativa ai cosiddetti avanzamenti - si fa per dire - di professionalità e alle valutazioni: una sorta di valutazione rimessa completamente nelle mani del Consiglio superiore della magistratura, nonostante alcuni criteri diversi, inseriti - come ho avuto modo di affermare - per salvare la faccia e nulla più. All'interno di tale valutazione, non vi è sostanziale oggettività nella determinazione e, quindi, nelle scelte e negli indirizzi. La determinazione oggettiva invece esisteva in maniera più marcata nella riforma voluta del centrodestra per evitare ciò che, purtroppo, troppo spesso è accaduto, come è stato ancora ricordato in quest'aula, ossia il gioco delle correnti all'interno del Consiglio superiore della magistratura, volto molto spesso ad interferire sulle nomine, sulle assegnazioni, su ogni intervento che riguardi la carriera della magistratura e anche sugli uffici territoriali giudiziari nei confronti dei quali questo peso si avverte anche alla luce delle polemiche che, non voglio dire quotidianamente, ma molto spesso, sono riportate sugli organi di stampa.
Quindi, anche sotto questo profilo, abbandonare la gerarchia, che ovviamente serve a sottolineare la responsabilità a diversi gradi e, contemporaneamente, riaffidare questa sorta di decisione totale e senza criteri sufficientemente determinati nelle mani del Consiglio superiore della magistratura serve, a nostro giudizio, a mantenere il ruolo che fino ad oggi, purtroppo, è stato esercitato da parte del Consiglio superiore della magistratura. Tale affermazione non può essere considerata una sorta di lesa maestà, proprio per la funzione che spetta il Parlamento.
Qual è l'altro elemento su cui il Ministro della giustizia ha calato la toga (non voglio dire altro)? Nella prima stesura del provvedimento, il Ministro si era indirizzato a fare in modo che alcuni interventiPag. 61fossero di pertinenza, pur su indicazione del Consiglio superiore della magistratura, del Ministro stesso: è stato costretto a fare marcia indietro anche in questa circostanza, si è dovuto sostanzialmente «piegare» per quanto riguarda i ruoli, le piante organiche degli uffici giudiziari. Ma come? Noi, in quest'Assemblea e nell'Assemblea del Senato, recriminiamo sul funzionamento disastroso della giustizia e, nello stesso tempo, una delle abdicazioni più gravi che ha sottolineato lo stesso Ministro della giustizia è cedere ancora detto tipo di assegnazioni, senza che ci sia la possibilità di controlli e di interventi su come vengono effettuate sulla base, naturalmente, degli uffici territoriali e del loro funzionamento. Anche in tal caso si assiste sicuramente ad un arretramento di cui, in termini politici, il prezzo deve essere pagato dal Ministro e dalla sua maggioranza.
Per non parlare della scuola della magistratura: una scuola alla quale nella precedente riforma si era tentato di dare autonomia rispetto, ancora una volta, alla scelta, alla decisione e al condizionamento del Consiglio superiore della magistratura. Anche sotto questo profilo si è avuta una marcia indietro a tutta forza: la scuola della formazione della magistratura è stata riconsegnata completamente nelle mani del Consiglio superiore della magistratura stesso. Ritengo che anche questa sia una dimostrazione del fatto che le nostre affermazioni non sono di natura politica o di polemica pubblica, ma corroborate da quanto si legge nel dettato normativo.
Ma vi è - signor Presidente, mi rivolgo a lei - anche un passaggio che coinvolge la nostra discussione sotto il profilo regolamentare e che voglio sottoporre alla sua attenzione. Nel provvedimento in esame si è sostanzialmente consentito l'aumento dell'organico di ruolo al Consiglio superiore della magistratura attraverso una norma che, almeno a giudizio di chi parla, non rispetta le disposizioni in materia di copertura finanziaria delle leggi dello Stato. Infatti, a dimostrazione ulteriore dell'atteggiamento del Ministro della giustizia nei confronti del Consiglio superiore della magistratura, è sufficiente sostanzialmente mettere a fronte alcuni esempi. Primo esempio: per responsabilità del Ministro della giustizia sono diminuiti gli stanziamenti rivolti al funzionamento della macchina giudiziaria. Cos'è aumentato, invece, di circa il 12 per cento? Guarda caso, lo stanziamento in favore del Consiglio superiore della magistratura, che ha ormai raggiunto la quota di circa 30 milioni: è lesa maestà fare emergere tale contraddizione tra le esigenze di funzionamento degli uffici giudiziari e quelle, invece, di implementazione delle risorse attribuite al Consiglio superiore della magistratura o non è, invece, il ruolo del Parlamento?
Signor Presidente, prenda l'articolo 5 del disegno di legge in discussione: al comma 5 si prevede un aumento della pianta organica e, al comma 6, si prevede espressamente che tale aumento non dovrà comportare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
In sede di Commissione bilancio si verifica un episodio divertente: da un lato, la Ragioneria generale dello Stato, esprime un parere favorevole a condizione che la spesa per attuare questa operazione gravi sul bilancio dell'amministrazione della giustizia, e cosa fa il Ministero della giustizia? Dice esattamente il contrario in Commissione bilancio, ossia interviene per confermare che, in realtà, questo tipo di spesa sarà a carico del bilancio autonomo del Consiglio superiore della magistratura!
Le sembra, signor Presidente, che la Camera dei deputati possa affrontare, alla luce di queste contraddizioni, l'esame di un provvedimento che contiene sicuramente un aumento delle spese?
Inoltre, qual è l'interpretazione che dev'essere data all'articolo che rivendica la necessità che i provvedimenti legislativi siano accompagnati da una relazione tecnica? E a cosa serve la relazione tecnica, se non a spiegare dove verranno, naturalmente, reperite le risorse per far fronte a tale aumento di pianta organica?
Signor Presidente, se anche lei volesse in qualche modo uniformarsi alla decisione presa dalla Commissione bilancio, lo faccia, ma sappia che, almeno per il futuro,Pag. 62io pongo tale questione! Lei deve sottoporre alla Giunta per il Regolamento una questione fondamentale come questa! Il Parlamento ha il diritto di conoscere, quando si fa riferimento ad una clausola di invarianza, le modalità con cui si risponde all'esigenza - come in questo caso - di aumentare la pianta organica, oppure tutto è lasciato all'improvvisazione nella più alta assise dello Stato italiano!
Credo che una risposta, sotto questo profilo, debba essere data anche dalla Presidenza della Camera.
Tuttavia, è evidente, signor Presidente, che la responsabilità politica più importante pervade sempre la figura del nostro Ministro della giustizia; un Ministro - e mi avvio alla conclusione - che ha avuto un'immediata capacità di intervenire (si fa per dire) sui problemi della giustizia.
Primo provvedimento (come ho ricordato in Commissione): 32 milioni, sottratti ad un'entità territoriale - la città di Pordenone, da cui provengo, e non mi vergogno di dirlo - e che erano stati stanziati dal Governo di centrodestra per realizzare il nuovo carcere atteso da decenni e decenni. Tali risorse sono state sottratte e dirottate verso Benevento - chissà come mai! - in gran parte, vado a memoria, credo di ricordare, almeno per 18 milioni di euro!
Secondo provvedimento, preso nell'immediatezza dall'efficiente Ministro della giustizia: la scuola della magistratura. Nel precedente ordinamento erano previste tre sedi - per carità! - una al nord, una al centro e una al sud, quest'ultima destinata a Catanzaro. Cosa ha fatto il Ministro della giustizia? È intervenuto celermente, ha cancellato l'indicazione di Catanzaro e vi ha inserito Benevento che - come lei, signor Presidente, sicuramente sa e come vado dicendo - è in provincia di Ceppaloni, perché ormai la geografia politica ha spostato anche i confini territoriali a cui eravamo abituati.
Ma, caro signor Presidente, la questione con cui il Ministro ha superato sé stesso, è un atto che, in questo momento, è all'esame della Commissione bilancio della Camera dei deputati. La singolarità di questo atto è, a dir poco, stupefacente e la sua originaria concezione ci è stata tramandata dalla lettura del testo del Consiglio di Stato, laddove si scopre che, per modificare con un provvedimento, chiaramente regolamentare, le collaborazioni che fanno capo al Ministro, lo stesso ha pensato bene di circondarsi (a proposito di spesa!) della figura di un consigliere economico e finanziario. Non so perché lo faccia, dal momento che, ogni volta che si occupa di giustizia, gli portano via i soldi; non vedo a cosa gli serva, potrebbero essere, naturalmente, risorse risparmiate!
Inoltre, egli ha ritenuto di avvalersi di un consigliere per quanto riguarda il provvedimento sulla riforma delle libere professioni: non sappiamo ancora quale sia l'indicazione definitiva da parte del Ministro su un dibattito che si sta, ovviamente, trascinando da lungo tempo. E, ancora, di un consigliere per le tematiche sociali e della devianza: altre spese, ovviamente, a carico della collettività.
Ma la perla, caro signor Presidente, è la richiesta, fortunatamente bocciata dal Consiglio di Stato, di istituire un consigliere politico! Caro signor Presidente, ho letto il testo del parere reso dal Consiglio di Stato.
Quale che sia la metodica seguita dall'amministrazione, in ogni caso non può essere condiviso l'intento di radicare, tra le figure di collaborazione diretta, quella del consigliere politico.
A prescindere dal rilievo che la competenza politica è prerogativa del Ministro, in virtù dell'investitura ad opera del Presidente della Repubblica ex articolo 92, comma primo, della Costituzione - lo ricordo ovviamente al Ministro della giustizia - è comunque certo che l'articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, consente la nomina di esperti e consulenti per particolari professionalità e specializzazioni.
La consulenza politica che presuppone, per così dire, particolari professionalità e specializzazioni per traguardarle in un ambito valutativo del tutto peculiare, non rientra tra quelle richiamate dal testoPag. 63legislativo e dalla disposizione regolamentare sopra trascritta. Pertanto, è indispensabile l'eliminazione di tale figura di consigliere.
Signor Ministro, compia una riflessione di fronte alle persone che ci ascoltano. Abbiamo un Ministro della giustizia che non solo non si accontenta di avere dei consiglieri su vari settori - per carità, può trattarsi anche di una scelta discrezionale della pubblica amministrazione e dell'intervento legislativo - ma richiede anche un consigliere politico.
Allora, signor Presidente, traggo definitivamente le conclusioni. Se il Ministro della giustizia ha chiesto di poter avere un consigliere politico è perché si è reso conto del suo ruolo estremamente debole sotto il profilo politico. Ciò costituisce la certificazione che il Ministro non deve dichiarare di dare le dimissioni, deve definitivamente dimettersi per il bene del Paese e della giustizia italiana!
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Contento. Lei ha sollecitato la Presidenza in relazione ad un punto. Noi, naturalmente, regoliamo i lavori che si svolgono, a partire dalla discussione sulle linee generali, sulla base dei documenti presentati, che sono il testo approvato in Commissione ed il parere delle varie Commissioni, compreso quello della Commissione bilancio, sul quale lei ha svolto determinate osservazioni.
Per il futuro, sicuramente, la Presidenza prenderà in seria considerazione quello che lei ha detto, anche rispetto alla possibilità di un intervento regolamentare.
Intanto, mi permetto di sollecitare lei stesso, attraverso il suo gruppo e i rappresentanti nella Giunta per il Regolamento, a sollevare tale questione.
È iscritta a parlare la deputata Federica Rossi Gasparrini. Ne ha facoltà.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, desidero intervenire sul provvedimento al nostro esame, perché ritengo fermamente che il lavoro svolto in questi mesi in Commissione giustizia e nell'aula di Palazzo Madama meriti un commento positivo. Non intendo sminuire l'importanza del lavoro svolto nella Commissione giustizia della Camera, né tanto meno quella che personalmente attribuisco alla Camera dei deputati.
Tuttavia, non per questo, voglio esimermi dal rivolgere un apprezzamento personale e a nome del mio gruppo per quanto fatto al Senato. Desidero sottolinearlo perché si è trattato di un passaggio duro e combattuto, laddove ai cittadini sembrava che al Senato fosse in atto una battaglia tra lobby contrapposte di piccole ma potenti organizzazioni.
Invece, il tema della giustizia appartiene a tutti i cittadini. Aver dato dignità al ruolo dei magistrati e alla loro funzione è stata una scelta giusta. Nella Commissione giustizia, così come nell'aula del Senato, è stato operato un attento miglioramento del testo base già presentato dal Governo anche - si tratta di un dato che è giusto ricordare - con il concorso importante dell'opposizione che ha consentito di inserire significative proposte di modifica.
L'attuale ordinamento giudiziario era applicato dal lontano 1941, portava la firma di Grandi ed era già stato modificato, seppur parzialmente, nei profili concernenti l'ufficio del pubblico ministero e del sistema disciplinare. Pertanto, il paese meritava un aggiornamento ed una modernizzazione.
Seppur celermente, vorrei ricordare i punti maggiormente qualificanti di una riforma che mi auguro possa essere approvata anche da questo ramo del Parlamento entro i termini stabiliti.
In relazione alle valutazioni della professionalità, si è partiti dalla constatazione che il sistema di valutazione anteriore alla legge 25 luglio 2005, n. 150, non poteva più considerarsi adeguato e, quindi, si presentava da riformare per due prevalenti ragioni.
La prima è che la professionalità del magistrato non può più essere affermata per presunzione e solo in occasione di passaggi di qualifica troppo distanziati o di incarichi specifici. La seconda è che ilPag. 64meccanismo è insufficiente ad attuare un reale esame delle specifiche capacità delle doti e delle attitudini richieste per l'esercizio delle diverse funzioni che possono essere svolte nell'arco della vita professionale.
Per quanto concerne il reclutamento, per l'accesso alla magistratura si prevede una nuova struttura delle valutazioni con verifica ogni quattro anni; si è sganciata la progressione economica da quella delle funzioni; le funzioni di legittimità saranno conferite non solo in base al criterio di anzianità bensì mediante l'accertata sussistenza di specifiche attitudini ad esercitarle.
Con riferimento alla carriera, non ci saranno più progressioni automatiche bensì l'inserimento di un principio in base al quale si verifica l'effettivo aggiornamento istituendo una struttura stabile incaricata di occuparsi in maniera continuativa delle esigenze formative e di aggiornamento per il personale di magistratura.
Passando ad esaminare la dirigenza, il principio della temporaneità è stato inserito all'interno di percorsi professionali in modo da renderlo congruo ed eventualmente differenziato a seconda delle specializzazioni per far sì che sia praticabile, prevedendo la possibilità per il Consiglio superiore della magistratura di individuare la durata più adeguata in relazione a ciascuna funzione nel quadro di una previsione normativa che ha individuato un minimo di otto e un massimo di quindici anni.
Per quanto riguarda il mutamento di funzioni, si introducono nuovi principi più moderni. Come è possibile notare, il testo licenziato dal Senato si adegua ad una realtà sociale ed economica profondamente diversa da quella nella quale si inseriva la normativa che si sta riscrivendo. Si rivedono i requisiti di partecipazione al concorso di secondo grado in modo da assicurare, già in partenza, un buon livello di professionalità maturata o di specializzazione acquisita.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 14,16)
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Ugualmente meritevoli di plauso sono poi le modifiche concernenti i meccanismi di conferimento delle funzioni superiori e di controllo nei confronti dei magistrati che svolgono funzioni direttive apicali, funzioni direttive superiori, funzioni semidirettive di merito e di legittimità la cui temporaneità è connessa alla valutazione di merito dell'azione svolta da parte del CSM.
Inoltre, la scuola della magistratura contribuirà a costituire un ulteriore fattore decisivo per potersi avvalere di magistrati di prima nomina professionalmente preparati che, oltre alla formazione, dovrà garantire l'aggiornamento.
La maggioranza ha trovato, infine, una fondamentale intesa sulla disposizione contenuta all'articolo 2 del disegno di legge in discussione concernente uno dei punti decisivi del testo di riforma dell'ordinamento giudiziario e, cioè, la separazione delle funzioni dei magistrati.
Si tratta, a ben vedere, di un testo equilibrato, frutto dello sforzo congiunto di maggioranza e opposizione la cui approvazione risulta oggi fondamentale nell'ottica di rinnovamento dell'impianto di un ordinamento giudiziario che da tempo aveva iniziato a scricchiolare.
Vorrei, da ultimo, sottolineare un aspetto non secondario: se si è riusciti ad arrivare a questo punto è perché, sin dall'inizio del percorso legislativo del provvedimento in discussione, il Ministro Mastella ha chiaramente mostrato capacità e volontà di giungere, in nome dell'alto interesse al buon funzionamento della giustizia, a soluzioni quanto più possibile ragionate e concordi, evitando qualsiasi scontro ideologico anche tra maggioranza e opposizione. E se, in conclusione, dobbiamo accettare il fatto che esiste la provincia di Ceppaloni, lo accettiamo!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mario Pepe. Ne ha facoltà.
Pag. 65
MARIO PEPE. Signor Presidente, oggi in quest'aula si sta scrivendo una brutta pagina. Il provvedimento al nostro esame, che sarà approvato senza i nostri voti, in effetti è un atto di capitolazione, una resa senza condizioni del Governo e della sua maggioranza al potere giudiziario.
La magistratura in questi anni non ha mai perso l'occasione per sparare a zero sul «quartiere generale», cioè sul Governo e sul Parlamento, ogni qualvolta questi ultimi cominciavano ad interessarsi di una riforma del pianeta giustizia. Ciò ha procurato un danno non lieve al Paese, perché in questo modo la magistratura ha rinunciato a cercare le cause vere della crisi della giustizia, difendendo quel sistema nel quale queste cause si sono annidate e sviluppate.
Ma ha fatto anche un'altra cosa: ha difeso il principio secondo cui, se in Italia vi è la crisi della giustizia, il corpo giudiziario è esente da qualsiasi colpa.
Scampato il pericolo al Senato, l'Associazione nazionale magistrati ha immediatamente revocato lo sciopero che era stato annunciato con baldanza e che è la spia del degrado cui sono arrivate le istituzioni giudiziarie.
Mi sono sempre chiesto come possa scioperare la magistratura: è come se scioperassero il Governo o il Parlamento. Lo sciopero avrebbe prodotto, sia pur di un solo giorno, un aggravamento della già precaria situazione del ritardo dei processi.
Ma non voglio parlare di questo: non voglio parlare dei numeri del disastro, delle sentenze di condanna della Corte europea per l'eccessiva durata dei processi, per le troppe assoluzioni in processi che non avrebbero mai dovuto cominciare, per l'uso spregiudicato della carcerazione preventiva. Voglio parlare di un fenomeno che sta diventando veramente grave in Italia: la crisi di fiducia dei cittadini nella giustizia è arrivata a un punto tale che questi ultimi decidono di farne a meno!
Ho letto in questi giorni alcune statistiche sui reati minori nelle grandi città, ossia i furti, le rapine, gli scippi, le rapine in casa. Ebbene, la sorpresa è che questi reati sono diminuiti. Nulla di più falso! Questi reati sono diminuiti perché i cittadini non li vanno più a denunciare, perché le denunce si risolvono in un nulla di fatto per chi ha commesso il reato e in una serie di fastidi ed insolenze per chi ha subito il reato. Questo è un fenomeno veramente grave!
Ma veniamo al merito del provvedimento. Questa riforma, in effetti, è una restaurazione. Il problema della separazione delle carriere è stato risolto con un trasferimento da Milano a Monza. Il pubblico ministero si trasferisce a Monza e diventa giudice. Ma, soprattutto, sono stati esaltati i poteri, e quindi i difetti, del Consiglio superiore della magistratura, l'organo di autogoverno che in effetti, in questi anni, è diventato l'organo di non governo della magistratura.
Questo non governo della magistratura, in effetti, viene gabellato e difeso come autonomia della magistratura, autonomia che si è trasformata in sovranità e ha di fatto posto la magistratura al di fuori dell'unità dello Stato.
Non ci si è accorti che il CSM vive un contrasto insanabile tra i compiti puramente amministrativi che la Costituzione gli impone e la carica di passione e di sentimenti che sono legati all'elettività di gran parte dei suoi membri.
Come i partiti eleggono i deputati e i senatori, così le correnti eleggono i loro rappresentanti. Il risultato è che i rappresentanti rispondono in maniera tirannica al corpo elettorale che li ha eletti. In pratica, questo cosa ha prodotto? Ve lo dico subito!
Se andiamo ad esaminare l'attività della sezione disciplinare del CSM, su cento provvedimenti disciplinari rispetto a un corpo di novemila magistrati, essa ha prodotto venticinque assoluzioni, dieci sentenze di condanna con il solo ammonimento, tre sentenze di non procedibilità, nove sentenze di estinzione del procedimento perché il magistrato non appartiene più al corpo giudiziario. In pratica, non ha prodotto nulla!
L'elettività, cari riformatori, è un vulnus del CSM, è un sasso che può colpirePag. 66anche il Presidente della Repubblica. Avete visto come Clementina Forleo si è ribellata al Presidente della Repubblica? Il Presidente della Repubblica presiede altri consigli superiori, ma il solo consiglio elettivo è il CSM! Il Consiglio superiore della difesa non è elettivo.
Immaginate se il Presidente della Repubblica fosse Berlusconi: ci sarebbe una rivolta del Consiglio superiore contro il suo Presidente. Possibile che di questo non si tenga conto?
Si è pensato a preparare i nuovi magistrati con la scuola superiore della magistratura, ma non si è fatto nulla per migliorare l'efficienza e la produttività dei magistrati in servizio e non si è fatto nulla per non distogliere più dalle loro funzioni i magistrati in servizio.
Signor Presidente, il tribunale di Velletri, con due milioni di utenti, va avanti con sette magistrati, pubblici ministeri; presso il Ministero delle pari opportunità sono comandati otto magistrati di magistratura ordinaria, tra cui marito e moglie! È possibile che una riforma del sistema giudiziario, con la grave crisi dei processi pendenti che rappresentano un'emergenza nazionale, non preveda un provvedimento di incompatibilità degli incarichi extragiudiziari di questi magistrati? Eppure, continuiamo a mandare i magistrati presso la Corte costituzionale, presso i ministeri, presso le segreterie dei partiti, presso il Ministero delle pari opportunità, distogliendoli dalle loro funzioni!
Il 23 ottobre dell'anno scorso presentai un ordine del giorno che il Governo accolse con grande entusiasmo. Esso impegnava il Governo a valutare l'opportunità di adottare eventuali ulteriori iniziative volte a sanzionare con illecito disciplinare l'assunzione di incarichi extragiudiziari da parte dei magistrati. Speravo che nel provvedimento in esame tale ordine del giorno fosse stato tradotto in norma; invece, al coraggio delle parole del Governo, ha fatto seguito la codardia nei fatti.
Uscendo dall'aula della Commissione giustizia un collega mi ha detto, molto sconsolato: «Hanno vinto loro, sono più forti. Noi abbiamo le leggi, loro hanno il codice: abbiamo perso». A questo collega vorrei dire: non abbiamo perso noi, ha perso la politica, hanno perso i cittadini italiani, hanno perso i soggetti che vengono inquisiti a ventitré anni e condannati a quaranta, ha perso l'Italia che si allontana sempre più dall'Europa, che non è solo l'Europa dei mercati, dell'euro e delle libertà economiche, ma è soprattutto l'Europa della civiltà del diritto (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Balducci. Ne ha facoltà.
PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, illustri colleghi, illustre sottosegretario, dopo il serrato dibattito svoltosi al Senato, la Camera è ora chiamata a pronunciarsi su un disegno di legge estremamente complesso, che da tanto, troppo tempo, è diventato terreno di scontro politico e ideologico, più che di confronto sulle specifiche problematiche tecnico-giuridiche. Si tratta di una riforma - si badi bene - attesa da oltre sessant'anni, perché nel frattempo è entrato in vigore il testo costituzionale e, quindi, la materia necessitava assolutamente di un cambiamento conforme ai sacri principi della Carta costituzionale.
Speriamo che con la riforma sull'ordinamento giudiziario si chiuda definitivamente una stagione di contrapposizioni e di incomprensioni che hanno fortemente caratterizzato questa lunga fase di transizione della nostra Repubblica. Anche nelle ultime settimane si è assistito ad un'evidente estremizzazione delle tesi all'interno e, spesso e di più, al di fuori del Parlamento. Questa situazione non ha giovato alla serenità del dibattito, compresso da un lato dalla ristrettezza dei tempi a disposizione, e, dall'altro lato, dall'apparente inconciliabilità delle prese di posizione. Al presidente Pisicchio, come a tutti i funzionari e a tutti i colleghi, tutti noi, maggioranza e opposizione, dobbiamo essere grati per non aver mai, nemmeno per un attimo, soffocato il dibattito in Commissione giustizia.Pag. 67
L'obiettivo che quest'aula ha davanti è quello di rispondere all'esigenza non procrastinabile di un'efficiente modernizzazione dell'ordinamento giudiziario, che tenga conto dei bisogni dei cittadini e degli operatori della giustizia, garantendo allo stesso tempo il pieno rispetto dei principi costituzionali dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura.
Sono certa che su questo alto obiettivo si possano ritrovare maggioranza ed opposizione, evitando di cadere in contrapposizioni strumentali che sarebbero inutili ed anzi dannose per gli interessi della giustizia e, prima di tutto, del cittadino che alle sorti del pianeta giustizia è interessato.
Il provvedimento all'esame di quest'Assemblea non va però inteso quale risposta antagonistica: al contrario, esso è il tentativo - difficile, forse - di riportare nei giusti binari un disegno riformatore veramente ispirato all'interesse generale e non dettato da intenti punitivi né, tanto meno, di difesa di una corporazione.
La valutazione del gruppo dei Verdi di questo testo, tenuto anche conto - l'ho già detto e lo ripeterò - delle oggettive difficoltà con cui questo ramo del Parlamento si è dovuto confrontare, è sostanzialmente positiva. In particolare, si può sostenere che il sistema in esso delineato rafforza il principio della distinzione dei magistrati per funzioni. Ho seguito il primo intervento della relatrice, che con grande puntualità ha affermato un aspetto sacrosanto, direi per tabulas: ella ha affermato che non assisteremo più al disinvolto passaggio di funzioni fra pubblici ministeri e giudici, né nello stesso distretto, né nella stessa regione. Viene prevista, nel contempo, una seria verifica della professionalità e, nel passaggio al Senato, sono state migliorate le disposizioni che riguardano l'accesso, la formazione e l'aggiornamento dei magistrati.
Alcuni punti di questo articolato avrebbero potuto essere migliorati, ma il giudizio, come ho detto, rimane complessivamente favorevole, tenuto anche conto - questo è un aspetto importante per tutti noi che ci occupiamo di politica - che il tema dell'ordinamento giudiziario in qualche modo doveva essere definito una volta per tutte, poiché un Paese non può vivere nell'incertezza: le incertezze generano veleni e i problemi di cui leggiamo ogni giorno sui giornali.
Credo sia utile, a questo punto, passare ad una disamina degli aspetti tecnici più rilevanti. La precedente riforma si caratterizzava per l'utilizzo forse abnorme dello strumento della delega, tanto che la legge 25 luglio 2005, n. 150, conteneva addirittura quattordici deleghe, di cui dieci sono state già esercitate nella passata legislatura: ciò ha reso l'intervento correttivo - lo ripeto - particolarmente difficile a causa della vastità del settore interessato dalle modifiche e ha richiesto l'inserimento di un'apposita delega nell'articolo 7 per l'adozione di ulteriori norme di coordinamento in materia di ordinamento giudiziario.
Per queste ragioni, ritengo che il disegno di legge di cui si è aperta la discussione generale costituisca in ogni caso la migliore delle riforme che si potesse varare in un tempo così breve. In proposito, spero che l'organizzazione dei lavori parlamentari tenga conto in futuro - lo ha già detto egregiamente il presidente Pisicchio - dei tempi necessari all'aula di Montecitorio e alle Commissioni competenti per operare un adeguato vaglio su disegni di legge così complessi, in relazione ai quali è necessario consentire alla Camera un ragionevole spazio di manovra e, se occorre, di intervento modificativo.
Come ricordava il presidente Pisicchio, dobbiamo evitare che, a causa della situazione politica creatasi al Senato, la Camera venga chiamata semplicemente ad approvare o respingere provvedimenti importanti come quello oggi in esame. Vi è, quindi, l'esigenza di assicurare che siano soddisfatte tutte le condizioni per un'effettiva esplicazione del bicameralismo perfetto delineato nella nostra Costituzione, ripristinando una situazione di parità decisionale fra i due rami del Parlamento.
Le frasi del presidente Pisicchio pesano come macigni: anche questa volta, la Commissione giustizia ha compiuto il suo piccoloPag. 68miracolo. Se questo disegno di legge sarà approvato, si farà, ad ogni modo, un grande passo avanti, così da poter affrontare sistematicamente altri e nuovi temi che attengono a tempi, modi e garanzie del processo. Questo tema è discusso da anni e ha originato dibattiti e scontri, anche nel corso della passata legislatura (segno, peraltro, che neppure la precedente maggioranza era intimamente pienamente convinta della riforma attuata).
Il tema cui faccio riferimento è quello della separazione delle carriere e delle funzioni. Si tratta di una questione che ha agitato negli anni - ed agita tuttora - il mondo della giustizia e che credo abbia alterato più di tutto il rapporto tra i protagonisti del processo: il totem o tabù - come diciamo in molti - della separazione delle carriere, da taluni ritenuta totem, da altri tabù.
Personalmente credo che per attuare i principi costituzionali si debba continuare in modo sempre più rigoroso - mi rivolgo anche alla sensibilità del sottosegretario, che proviene dalla forte e importante esperienza di significativo operatore del mondo della giustizia - nel percorso della separazione delle funzioni tra requirenti e giudicanti, per garantire il principio della terzietà della giurisdizione.
Sicuramente la separazione delle carriere è diventata in questi anni anche un feticcio, a causa di una eccessiva enfatizzazione di certe soluzioni, spesso identificate come miracolose, qualche volta improbabili panacee per un processo che si possa definire davvero giusto.
Il mio timore - lo dico e non ho coraggio di smentirmi e vorrei che questo dibattito si affrontasse in maniera anche più sistematica e approfondita - è che in un sistema giuridico come il nostro, non culturalmente orientato alle regole di common law, il ruolo del pubblico ministero possa snaturarsi, con il rischio che questa figura si avvicini a quella di un poliziotto, ciò che non gioverebbe certamente alle garanzie dei cittadini, specie di quelli più deboli.
Comunque il tema è aperto e implica discussioni, da intendersi, però, non come contrapposizioni, ma come dibattiti che avranno tempo di essere affrontati in un futuro, quando forse i veleni potranno essere allontanati e si creerà nuovamente un terreno favorevole a discutere dei problemi seri della giustizia.
Mi avvio alla conclusione, svolgendo qualche altra rapida osservazione.
Nel merito il disegno di legge al nostro esame contiene una nuova disciplina dell'ingresso in magistratura, con nuove regole per l'ammissione al concorso, che viene riservato a soggetti in possesso di particolari requisiti o di specifiche esperienze professionali; viene, inoltre, modificato il tirocinio dei magistrati, che avrà la durata di diciotto mesi, dei quali sei presso la scuola e dodici presso gli uffici giudiziari, con modalità che dovranno essere definite dal CSM.
Alcune delle modifiche e delle soluzioni date dal Senato sono più soddisfacenti in ordine alle funzioni dei magistrati e alla loro progressione in carriera. Viene salvaguardata l'unità della magistratura, prevedendo che i magistrati ordinari siano distinti secondo le funzioni esercitate.
In questo modo, è stato cancellato il modello contenuto nel decreto legislativo n. 160 del 2006, fondato su una distinzione delle funzioni troppo marcata all'inizio, che di fatto equivaleva ad una separazione delle carriere.
Il discorso sulla separazione delle carriere - lo ripeto - deve essere affrontato e sicuramente, per quanto mi riguarda, ritengo che a Costituzione vigente sia difficile parlare di separazione delle carriere tout court.
Un altro contributo importante recato dal Senato è quello relativo alla concezione piramidale della carriera dei magistrati, edificata su un assurdo sistema di valutazione per esami che avrebbe costretto il magistrato a passare gran parte del tempo a preparare concorsi, più che ad esercitare la giurisdizione.
In ogni caso, è necessario evidenziare che le modifiche apportate alla progressione economica e funzionale dei magistrati sono ispirate ad un equilibrato rigore, con verifiche professionali ogni quattroPag. 69anni riguardanti la capacità, la laboriosità, la diligenza e l'impegno, operate sulla base di parametri sufficientemente oggettivi. Rileveranno, quindi, la preparazione giuridica del magistrato, il suo grado di aggiornamento, la sua produttività, l'assiduità e la puntualità, nonché la disponibilità e il grado di partecipazione al buon andamento dell'ufficio giudiziario.
Per quanto riguarda le valutazioni di professionalità, il disegno di legge prevede che il consiglio giudiziario debba, tra l'altro, acquisire e valutare i rapporti e le segnalazioni provenienti dai capi degli uffici, i quali devono tener conto delle situazioni specifiche rappresentate dai terzi, nonché delle segnalazioni pervenute dal consiglio dell'ordine degli avvocati, sempre che si riferiscano a fatti specifici incidenti sulla professionalità, con particolare riguardo alle eventuali situazioni concrete e oggettive di esercizio non indipendente della funzione e a comportamenti che denotino evidente mancanza di equilibrio o di preparazione giuridica.
Inoltre, il consiglio giudiziario può assumere informazioni su fatti specifici segnalati dai suoi componenti, dai dirigenti degli uffici o dai consigli dell'ordine degli avvocati.
Si tratta di un punto per noi avvocati non del tutto condivisibile, perché in questo modo sicuramente in modo parziale viene recuperato il ruolo dell'avvocatura, dopo la contestata esclusione dai consigli giudiziari dei presidenti dei consigli degli ordini, nonché dei componenti laici dalle sedute riguardanti la formulazione dei pareri sulla professionalità dei magistrati. Faccio un'osservazione: tutto è migliorabile e noi ci riserviamo sin d'ora di presentare ordini del giorno in tal senso. Occorre rilevare, però, che tale procedimentalizzazione del parere del consiglio giudiziario, con la previa acquisizione della segnalazione del consiglio dell'ordine degli avvocati, rischia di rivelarsi farraginosa e di non garantire pienamente le esigenze di una significativa partecipazione degli avvocati in questa fase. Formulo però l'auspicio - l'ho già anticipato - che il Governo, in futuro, assuma tutte le più opportune iniziative per assicurare una maggiore partecipazione dell'avvocatura nel sistema di valutazione delle professionalità.
Svolta tale breve ma doverosa digressione, sono convinta, però, che le nuove regole sulla valutazione dei magistrati realizzino comunque un sensibile miglioramento rispetto al passato. A dimostrazione della serietà della valutazione, bisogna sottolineare che il giudizio negativo di professionalità espresso dal Consiglio superiore della magistratura comporta la perdita del diritto all'aumento periodico di stipendio per un biennio e l'obbligo di sottoposizione a una nuova valutazione da parte del CSM. Inoltre, nell'ipotesi di un secondo giudizio negativo, il magistrato viene dispensato dal servizio.
Altro tema delicato è il passaggio delle funzioni - mi avvio alla conclusione - il quale, lo abbiamo visto, è uno dei temi più caldi su cui si sono scatenate, come ho già detto prima, polemiche e prese di posizione di segno diverso. Il testo, così come modificato, lo consente per non più di quattro volte in carriera. Tale passaggio comporterà anche il trasferimento del magistrato in un'altra regione, salvo che egli provenga da funzioni civili o del lavoro o che chieda di passare a tali funzioni; in tal caso, il passaggio può avvenire anche in un diverso circondario e in una diversa provincia. Sembra che alla fine, in qualche modo sia stata raggiunta una soluzione che assicura la garanzia di imparzialità, senza penalizzare troppo anche i diretti interessati.
Il disegno di legge approvato dal Senato ridefinisce, inoltre, le competenze della scuola superiore della magistratura, che viene preposta non solo alla formazione e all'aggiornamento professionale dei magistrati ordinari, ma anche a quella iniziale e permanente della magistratura onoraria, alla formazione di magistrati stranieri in Italia, alla realizzazione di programmi di formazione in collaborazione con analoghe strutture di altri organi istituzionali o di ordini professionali e allo svolgimentoPag. 70di seminari per operatori di giustizia o per gli iscritti alle scuole di specializzazione forense.
Anche per quanto riguarda il tema della scuola di formazione, sulla quale anche in Commissione giustizia vi è stato un ampio dibattito, anche a nome del mio partito, in seguito eventualmente mi riserverò di presentare un ordine del giorno.
Sono tanti i punti interessati dalla riforma e non potrei certamente esaurirli in questa esposizione. Voglio assicurare, però, sin da questo momento che il gruppo al quale appartengo lavorerà con grande attenzione, per portare a termine il cammino della riforma, che non possiamo correre il rischio di mancare, dopo l'intenso lavoro di mediazione portato avanti in questi mesi.
Concludo con un auspicio che credo stia a cuore un po' a tutti. Speriamo che prima o poi l'ordinamento giudiziario diventi un discorso passato, migliorabile. Non so cosa sia importante dire ora, perché credo che il cittadino si senta spesso molto lontano e distante da tali tematiche. Credo che tutti noi, una volta che chiuderemo la tematica della riforma dell'ordinamento giudiziario, che è importante, perché anche i magistrati hanno diritto di avere certezza del proprio futuro quali operatori della giustizia, dovremo affrontare altri temi.
L'articolo 111 della Costituzione fornisce tante chiavi di lettura, che sarà importante affrontare, come i temi della riforma del diritto civile e di quello minorile. Credo che ci sia tanto lavoro; l'importante è collaborare tutti insieme, prima di tutto per il bene del cittadino.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mormino. Ne ha facoltà.
NINO MORMINO. Signor Presidente, debbo dire che intervengo con grande difficoltà. Se, infatti, avessi dovuto obbedire alla spinta immediata di riflettere sull'utilità di questo intervento, avrei dovuto rinunciarvi per due considerazioni, secondo la mia opinione assolutamente comprensibili.
La prima è che mi trovo ad intervenire per ultimo, avendo ascoltato ormai tutti i temi trattati da coloro i quali sono precedentemente intervenuti, soprattutto da chi ha esposto le opinioni dell'opposizione rispetto al disegno di legge in esame. Quindi, sorge la difficoltà di ripetere o di reinterpretare le nostre posizioni al riguardo.
La seconda considerazione viene forse da una mia deformazione professionale, che mi induce sempre nell'attività della mia vita comune ad attribuire e realizzare un rapporto tra prestazione e risultato, con cui ci si rende conto dell'inutilità della prestazione di fronte alla pregiudiziale impossibilità del risultato. Ciò è quanto sta avvenendo nella presente circostanza parlamentare, che abbiamo affrontato con grande sofferenza già nella sede della Commissione, laddove abbiamo comunque compiuto uno sforzo per esprimere le nostre opinioni, tendenti piuttosto che a sperare in un ribaltamento reale delle soluzioni adottate nell'altro ramo del Parlamento, quantomeno a lasciare traccia delle nostre posizioni critiche nei confronti di questo provvedimento, rispetto alle quali la storia parlamentare - credo - farà giustizia.
Tuttavia, questa mattina, all'inizio della seduta, l'intervento del presente Pisicchio mi ha offerto uno stimolo, sia pure non di grande esaltazione interlocutoria. Il collega Pisicchio ha rappresentato con la consueta abilità, con il carico della sensibilità, della cultura e dell'onestà intellettuale, che tutti noi gli riconosciamo, una provocazione elegante, ma pur sempre di provocazione si tratta. Tale provocazione, tuttavia, ha avviato un discorso che poi ha trovato una ripetizione e una ripresa in quasi tutti gli interventi che si sono succeduti in Assemblea e che, piuttosto che stimolare, avrebbe dovuto creare un ulteriore motivo di frustrazione. È stato, infatti, riconosciuto che nella dinamica parlamentare concernente il provvedimento in esame - così come tanti altri hanno ricordato - il ruolo e la funzione di ciascuno di noi appartenenti a questo ramo del Parlamento è stata resa vana ed inutilePag. 71da una scelta pregiudiziale che la maggioranza aveva compiuto. Tale scelta consisteva nell'approvare il provvedimento senza apportare alcuna modifica, che avrebbe potuto e - è riconosciuto - dovuto essere apportata.
Signor Presidente, le cronache e i resoconti della Commissione certificano che, in sede di dichiarazioni di voto nell'ambito della Commissione, ma anche oggi in Assemblea, in numerosissimi interventi, soprattutto da parte dei rappresentati dalla maggioranza, si è riconosciuto che il provvedimento in discussione non risolve i problemi che affronta in maniera compiuta, organica, razionale, efficace e proiettata verso una condivisione generale, non soltanto di tutti gli operatori della giustizia, ma, in particolar modo, della sensibilità popolare e della percezione che i cittadini ne avranno. E tuttavia, si è promesso e assicurato, secondo quanto appreso anche dall'ultimo intervento di un rappresentante della maggioranza, che vi sono altri traguardi ai quali mirare per risistemare, in maniera più completa, adeguata ed efficace, il sistema ordinamentale riguardante il funzionamento fondamentale della giustizia.
Se le perplessità e l'esigenza di un miglioramento sono vere, e il riconoscimento dei limiti del provvedimento che si vuole approvare è conseguenza di una valutazione reale del disegno di legge, davvero non posso più accettare, in alcun modo, la «fatalità» della riconferma tout court del provvedimento del Senato, così com'è stato prospettato, con una sola giustificazione. Se si fosse affermato che il provvedimento del Senato veniva interamente condiviso e meritava di essere adottato definitivamente, perché risolveva complessivamente e completamente le questioni sorte da una disfunzione, ormai insopportabile, del sistema della giustizia ed ordinamentale, avrei potuto comprendere e anche accettare, che la scelta della maggioranza, che aveva individuato la soluzione di un percorso, potesse essere condivisa e riconosciuta in questa sede.
La verità, invece, è un'altra ed è stata dichiarata in maniera esplicita, in un modo che mi porta a definire l'input o l'introduzione del presidente Pisicchio come una provocazione. Infatti, si è affermato che ci troviamo di fronte ad un provvedimento non perfetto, perfettibile, anzi meritevole e bisognoso di interventi di perfezionamento, che, però, va approvato così com'è, non per realizzare lo strumento auspicabile, ma per evitare che possa entrare in vigore la cosiddetta riforma Castelli, che al 31 luglio suonando il rintocco finale, avrebbe dovuto essere adottata.
A me pare non sia possibile contestare la nostra affermazione, vale a dire che il provvedimento in esame altro non è che una controriforma di quella che è stata una riforma laboriosa, da noi stessi riconosciuta come perfettibile. La riforma Castelli avrebbe potuto essere risistemata attraverso un incontro di volontà e di valutazioni tra maggioranza e opposizione e avrebbe potuto realizzare uno strumento sicuramente efficace, certamente più efficace di quello in esame. Ed invece si è rifiutata tale possibilità, praticabile anche attraverso uno strumento che noi stessi avevamo suggerito, signor Presidente, vale a dire quello di ribadire ciò che era già stato fatto dal Governo, con un decreto-legge che prorogasse l'entrata in vigore della riforma Castelli e che consentisse al Parlamento, e soprattutto alla Camera, di assicurare un contributo reale alla risistemazione della norma, che, così com'è, è da tutti contestata e non condivisa.
Davvero non è accettabile, nella dialettica politica che si crea all'interno del Parlamento, l'affermazione che la riforma in discussione serva soltanto a contrapporre una nuova norma ad una vecchia, malgrado i difetti e le lacune che essa presenta.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, quello che amareggia di più è il fatto che l'esigenza dell'approvazione, così com'è, del testo proveniente dal Senato, non riconosce il valore dell'elaborazione politica del provvedimento in esame e della collaborazione politica interna al sistema parlamentare: è da tutti riconosciuto, infatti, come più volte abbiamo affermatoPag. 72anche in quest'occasione - ma non intendo soffermarmi sull'argomento -, che forze e poteri forti determinanti hanno creato la svolta, l'evoluzione e la modificazione, sotto alcuni aspetti radicale, del vecchio sistema ordinamentale introdotto con la legge varata nella scorsa legislatura.
Si tratta di un potere forte di univoca rappresentazione di interessi, che sono quelli della magistratura: ancora una volta, superando e mortificando la possibilità di una concertazione reale e del riconoscimento del valore delle controproposte provenienti dagli altri rappresentanti del sistema giudiziario - in particolar modo dell'avvocatura - si è modificato ciò che è già stato fatto, aderendo soltanto ai desiderata di una parte e non a quelli dell'altra; una parte che ha un ruolo istituzionale che consegna ai magistrati il compito di applicare la legge, con l'autonomia e l'indipendenza che certamente nessuno può contestare, ma solo ed esclusivamente nel momento dell'applicazione della legge - che deve essere uguale per tutti e che il magistrato deve applicare in maniera uguale per tutti - e non già nel momento della formazione della legge, nella quale o per la quale la rappresentanza di valori, di interessi, di principi e di ideali (che sono quelli che rappresenta l'avvocatura), ha un peso che, secondo la nostra opinione, è assai maggiore di quello che possono esprimere i magistrati nel sistema della formazione della legge.
Questa è la realtà di fronte alla quale ci troviamo: una realtà configurata dal provvedimento che il Parlamento si accinge a varare, ovviamente senza il consenso dell'opposizione, unanimemente schierata anche con frange significative della maggioranza. Voglio ricordare che l'influenza non sarà determinante, ma una componente della maggioranza come la Rosa nel Pugno non condivide e, anzi, denuncia l'involuzione di questo sistema rispetto alle prospettive che dovevano essere adottate.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, si è già detto nel merito, sui principi violati; sulle nuove frontiere raggiunte con il vecchio ordinamento che sta per essere cambiato; sull'attribuzione di un valore significativo, concreto e reale alla professionalità del magistrato, attraverso una selezione ed una qualificazione non «scoperta», come quella delle valutazioni, ma «coperta», come quella degli esami, almeno per alcuni passaggi fondamentali nella progressione delle carriere; sull'eliminazione di ogni distinzione tra il ruolo del pubblico ministero e quello del giudicante, che è assolutamente abolito (e non ditemi che il problema è risolto con il limite della territorialità assolutamente limitata).
PRESIDENTE. Onorevole Mormino, concluda.
NINO MORMINO. Concludo, Presidente. Oggi, con l'esposizione mediatica della funzione del magistrato - che non ha più il limite della stretta territorialità - sembra che tali principi siano stati fortemente violati e non possano in alcun modo essere condivisi. Siamo contrari alla riforma e continueremo a predicarlo all'interno ed all'esterno di quest'aula (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.
ENRICO BUEMI. Signor Presidente, esprimo a nome del gruppo La Rosa nel Pugno un rammarico per come è stato affrontato, sia nel metodo sia nel merito, il problema della modifica della legge sull'ordinamento giudiziario, già trattato dalla maggioranza di centrodestra nella precedente legislatura.
Il nostro gruppo, che era composto solo da socialisti e che oggi si arricchisce della presenza dei radicali, allora richiamò con forza la maggioranza e il Governo di centrodestra rispetto alla chiusura manifestata, fino al punto di porre la fiducia nella fase finale di approvazione del provvedimento.
Noi ritenevamo e riteniamo che leggi fondamentali, come quella sull'ordinamento giudiziario, ma anche quelle su altri ordinamenti, debbano essere frutto nonPag. 73soltanto di una visione unilaterale e di parte, seppure maggioritaria, ma devono ricercare, con uno sforzo vero e non formale, il consenso anche dell'altra parte del Parlamento, l'opposizione, sia alla Camera sia al Senato.
Successivamente, però, non ci si deve sentire in obbligo, nel caso di cambiamenti di maggioranze, di affrontare necessariamente il problema della modifica dell'ordinamento, per evitare il verificarsi di ciò che ormai è una «schizofrenia legislativa» per molti aspetti e per molti settori che vengono esaminati dal Parlamento. Si tratta di modifiche repentine di leggi non consolidate e assolutamente non sperimentate nei tempi adeguati.
Rileviamo questo aspetto non per togliere la legittimità alle maggioranze di governare secondo i propri obiettivi programmatici, ma con la consapevolezza e il senso di responsabilità secondo cui, di fronte a cambiamenti politici, si devono poter modificare le leggi, ma non si deve essere obbligati a modificarle, come, invece, a seguito di scontri durissimi che vi sono stati sia nella precedente legislatura sia in questa, ci si sente in dovere di fare.
Che permanga questo tipo di dinamica e che essa rappresenti anche un rischio futuro, è evidente già nei colloqui ufficiosi che intercorrono tra i partecipanti alla discussione politica in Parlamento, e non solo. Le associazioni degli avvocati e dei magistrati dichiarano unanimemente che il provvedimento, ove approvato, dovrà essere comunque successivamente sottoposto a modifica.
Quindi, stiamo approvando una legge che tutti riteniamo inadeguata per un verso o per un altro - io aggiungo anche per alcuni aspetti tecnici non di scarsa rilevanza - e che, comunque, dovrà essere sottoposta a una tempestiva modifica.
Il problema non è di carattere generale, ma cruciale, perché noi affrontiamo la modifica dell'ordinamento giudiziario, che non è un ordinamento qualsiasi; rappresenta l'impianto, l'impalcatura di un settore fondamentale, la giustizia, che si regge proprio sulla capacità di non essere parte, di non rappresentare una visione unilaterale. Essa è un qualcosa che almeno il popolo, la gente, i cittadini sentono come qualcosa che sta al di sopra o che vorrebbero che stesse al di sopra.
Allora noi socialisti, noi radicali, esponenti della Rosa nel Pugno non possiamo non richiamare quello che è sempre stato un nostro obiettivo di lungo periodo, cioè quello della realizzazione di un principio fondamentale: la separazione netta, per un'esigenza di sostanza, ma anche di apparenza, tra il giudice e una parte, perché, l'altra è separata storicamente; il pubblico ministero, l'accusa, non lo è.
In una situazione giuridica di principi costituzionali - mi riferisco, in particolare, all'articolo 111, modificato nel corso della XIII legislatura - in cui il legislatore sente l'esigenza di dichiarare il giudice terzo, autonomo e imparziale, e l'accusa e la difesa in posizione di parità, è evidente che il quadro che ci viene prospettato oggi non coincide né con il nostro obiettivo di lungo periodo - che, come dicevo prima, è la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri - né, a nostro avviso, con il dettato costituzionale.
A questo proposito abbiamo presentato, da tempo ormai, una proposta di legge di modifica costituzionale che riafferma tale principio e, accedendo anche alla critica di alcuni colleghi e di eminenti autorità giuridiche, l'abbiamo fatto con l'intento di non introdurre alcuna modifica in questa fase.
Però, il programma dell'Unione prevede una rigorosa ed efficace separazione delle funzioni. Questo è il primo aspetto sul quale, signor sottosegretario, manifestiamo grandissime riserve: non riteniamo che, con le modalità con cui è stata affrontata, la questione della rigorosa ed efficace separazione delle funzioni sia stata risolta. Riteniamo che concedere la possibilità al pubblico ministero oppure al giudice di cambiare per quattro volte - facendo «l'altalena» fra il ruolo di pubblico ministero, di giudice e nuovamente di pubblico ministero, per poi andare in pensione come giudice o viceversa - non dia il senso vero di una rigorosa ed efficace separazione delle funzioni.Pag. 74
Abbiamo proposto un emendamento sull'argomento che fa salvo il principio del cambiamento; su tale principio abbiamo da ridire e ribadisco, che a questo proposito abbiamo presentato una proposta di legge di modifica costituzionale, che realizza l'effettiva separazione delle carriere. Tuttavia, una volta affermato il principio del cambiamento, è evidente che la rigorosa attuazione di tale principio non si può realizzare concedendo una possibilità che oggi già vi è: nella carriera di un magistrato, pubblico ministero o giudice, più di tre o quattro cambiamenti da pubblico ministero a giudice e viceversa non vi sono; pertanto, la normativa che prevede la possibilità di cambiare quattro volte ruolo non risponde assolutamente al principio di efficace e rigorosa separazione delle funzioni.
Riteniamo anche che i giudici e i pubblici ministeri, i magistrati in generale, siano certamente cittadini con grande senso dello Stato, con grande spirito di servizio - almeno nella loro accezione più generale, poi vi sono dappertutto, come tra i politici e come tra gli altri soggetti della società, le cosiddette «pecore nere» - ma comunque, al di là delle volontà, vi sono le attitudini, che non derivano soltanto dalla preparazione tecnica. In un settore così delicato come quello, appunto, della magistratura e della giustizia, in cui si è arbitri, seppure sottoposti alla legge - come ancora in questi giorni magistrati, ormai di grande rilevanza mediatica, fanno rilevare -, non vi è soltanto la sottoposizione alla legge, ma vi deve essere anche la capacità di esprimere quel principio di equilibrio e di responsabilità effettiva che è necessario nel momento in cui si gestiscono e si decidono i destini dei cittadini.
Riteniamo che sia stato un errore espungere dal testo del provvedimento la norma che prevedeva una valutazione psico-attitudinale per i magistrati. Sono a conoscenza dell'orientamento del Governo, esposto dal sottosegretario Scotti, sulla presenza di due linee di pensiero, entrambe legittime, su tale questione, però ritengo che sarebbe irresponsabile sottovalutare tale aspetto. Non so se la soluzione che noi proponiamo possa essere soddisfacente, però siamo consapevoli che il problema esiste e che, nella sua accezione negativa, potrebbe riguardare una parte minoritaria di coloro che vogliono accedere alla carriera dei magistrati. Tuttavia, anche un solo caso richiederebbe una valutazione particolarmente attenta. Alla luce di tutto ciò reputo che su tale questione si sia dato ascolto a coloro che vogliono che nulla cambi.
Abbiamo anche rilevato che in questo lungo dibattito, che ormai si trascina da anni, vi sono state ripetute prese di posizione delle associazioni di rappresentanza sia degli avvocati sia dei magistrati, che hanno sottoposto il legislatore e il Governo a una pressione - diciamolo con franchezza - che non si addice ad associazioni che rappresentano un potere terzo sottoposto unicamente alla legge. Nel momento in cui vi è una pressione volta a produrre una legge che non si basa soltanto sulla forza di orientamenti e dibattiti culturali, ma si fonda su proclamazioni di astensione, dimissioni, scioperi, diventa problematico per il legislatore poter decidere - come sarebbe necessario - in condizioni di serenità e non di tendenziale ricatto. A nessuno sfugge il peso, particolare e importante, che la magistratura possiede nel nostro Paese e, in generale, negli ordinamenti civili. Anche su tale elemento vogliamo richiamare l'attenzione di coloro che hanno sviluppato un'azione di pressione tendente a modificare le cose sapendo che su questi argomenti nel tentativo di tutelare legittime posizioni spesso si eccede, mentre si avrebbe il dovere di confrontarsi con quel valore particolare che possiede la funzione giudiziaria.
Ritornando al merito del provvedimento, noi riteniamo di dover sottolineare una questione di minore rilevanza ma sulla quale vogliamo richiamare l'attenzione del Ministro e dei colleghi, della maggioranza e dell'opposizione. Crediamo sia eccessivo prevedere tre scuole di formazione per magistrati. Nel momento in cui tutti siamo pronti ad accogliere le critiche - spesso strumentali - rivolte allaPag. 75classe politica, alla nostra cosiddetta «casta», prevedere tre scuole di formazione in un Paese lungo circa 1500 chilometri, nel quale è possibile raggiungere Roma da qualsiasi parte d'Italia in circa cinquanta minuti, mi sembrava un po' eccessivo.
Colleghi, noi ci dobbiamo guardare negli occhi: non possiamo risparmiare sulla carta igienica e poi non vedere come vi siano tutta una serie di situazioni da noi tollerate perché vogliamo rispondere a certe sollecitazioni - ripeto - tutte legittime, ma verso le quali magari sarebbe utile un atteggiamento più rigoroso, nell'interesse di quel Paese e di quei cittadini che spesso richiamiamo come nostri riferimenti fondamentali.
La giustizia del nostro Paese soffre di un male grave e cronico. Abbiamo quasi dieci milioni di processi arretrati tra penali e civili; la durata media delle cause è di oltre cinque anni, ma per il processo civile arriva agli otto anni e mezzo e abbiamo presente la catastrofe, evidenziata anche in importanti inchieste televisive, dove la disorganizzazione regna sovrana.
Vi era un punto, timido e assolutamente inadeguato, nella legge attualmente in vigore, ovverosia quello del manager - previsto per le Corti d'appello per le quali il bisogno era minore - che invece non è assolutamente previsto in quella che ritengo la nostra proposta, considerato che facciamo parte della maggioranza sia di Governo sia politica. Questa figura, che è indispensabile in qualsiasi organizzazione, dalla officina che produce bulloni a quella che produce pelati, a quella che sviluppa progettazione, nel nostro ordinamento è scomparsa. Noi rinunciamo a tale figura pur sapendo che in un'organizzazione, moderna ed efficace, l'informatica, le nuove tecnologie e logistiche rappresentano momenti fondamentali. Signor rappresentante del Governo, signor Presidente, su tale questione, ovverosia sul fatto che manca la figura del manager nel provvedimento in esame, non si apre un conflitto politico nella maggioranza, però ci deve essere coerenza tra le cose che proponiamo per il Paese: la modernizzazione, la necessità di modernizzare la macchina dello Stato, le imprese private e le società di servizi. Così facendo, in un luogo in cui l'inefficienza è diventata sistema, noi rinunciamo a introdurre figure professionali fondamentali per far cambiare le cose.
Infine, signor Presidente, desidero affrontare la questione degli incarichi extragiudiziari. Si tratta di una questione particolarmente delicata perché non rappresenta soltanto uno strumento di utilizzo diverso di risorse indispensabili per la giustizia, ma anche un punto di compromesso verso il quale è necessario un atteggiamento più rigoroso. Vi sono tribunali e procure che versano in una situazione di arretrato pazzesco ma, nonostante ciò, il Consiglio superiore della magistratura concede la possibilità del distacco per incarichi extragiudiziari. Riteniamo che tali distacchi si possano ammettere - anche se devono essere amministrati con particolare rigore - solo in presenza di raggiunti standard produttivi, che devono essere meglio definiti anche nel provvedimento in esame sull'ordinamento giudiziario, ma che non possano essere ammessi qualora vi siano situazioni di carenze di organico negli uffici giudiziari interessati, per i quali non è possibile ridurre ulteriormente il numero di coloro che sono impegnati nell'azione quotidiana della giustizia.
Vi è anche, come ho detto prima, una questione di merito. Desidero richiamare in questa sede, lo faccio una volta per tutte, una situazione che grida vendetta.
Voglio segnalare, l'ho già fatto in un'interrogazione presentata al Presidente del Consiglio, che esistono situazioni di incompatibilità, sostanziale e formale. Una per tutte: il capo di gabinetto del Ministero delle infrastrutture, che è membro del Consiglio superiore della magistratura amministrativa e, nello stesso tempo, è capo di gabinetto di un settore amministrativo, quello, appunto del Ministero delle infrastrutture. Sussiste, in sostanza, una classica situazione di identità tra controllore e controllato, che non è accettabile in un Paese, che siPag. 76vuole ammantare del vanto di essere civile dal punto di vista della giustizia, perché quella figura condiziona i suoi giudici, fa parte dell'organo di autogoverno di coloro che lo devono giudicare.
In conclusione, ci sono molte questioni da risolvere. Siamo anche consapevoli dei limiti temporali esistenti, anche se registriamo un andazzo, non esclusivo della maggioranza, che ci porta ad affrontare i problemi sempre in ritardo e mai in anticipo. Sappiamo che la scadenza è fissata al 31 luglio, ma ciò non ci esime dall'esprimere, ancora una volta, il nostro rammarico per il fatto che non si è potuto svolgere un lavoro migliore.
Per queste ragioni, signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, manteniamo le nostre riserve su questo provvedimento, che esprimeremo in sede di votazione finale.
(Annunzio di una questione pregiudiziale - A.C. 2900)
PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata, a norma dell'articolo 40, comma 1, secondo periodo del Regolamento, un'ulteriore questione pregiudiziale di costituzionalità da parte dell'onorevole La Russa ed altri n. 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 2900 sezione 1). Tale strumento, unitamente agli altri presentati, sarà discusso e votato alla ripresa pomeridiana della seduta, dopo lo svolgimento delle repliche dei relatori di minoranza e per la maggioranza e del Governo.
(Ripresa della discussione sulle linee generali - A.C. 2900)
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Avverto che le repliche del relatore di minoranza, del relatore per la maggioranza e del Governo avranno luogo alla ripresa pomeridiana della seduta. Alle repliche farà seguito l'esame delle questioni pregiudiziali presentate e, dunque, il seguito dell'esame del provvedimento.