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Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 15,46).
(Iniziative del Governo con riguardo al ricorso alla cosiddetta finanza derivata strutturata da parte di regioni ed enti locali e per assicurare chiarezza e trasparenza nell'acquisto e nella vendita di opzioni da parte degli istituti di credito - n. 2-00787)
PRESIDENTE. L'onorevole Giovanardi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00787, concernente iniziative del Governo con riguardo al ricorso alla cosiddetta finanza derivata strutturata da parte di regioni ed enti locali e per assicurare chiarezza e trasparenza nell'acquisto e nella vendita di opzioni da parte degli istituti di credito (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, intendo illustrare brevemente la mia interpellanza urgente. Come altri cittadini italiani che hanno avuto occasione di seguire la puntata della scorsa settimana della trasmissione Report, sono rimasto allibito da quanto quel programma - devo riconoscere - ha documentato, almeno sino a prova contraria.
Devo dire che, seppure non membri del Governo, autorevoli dirigenti legati all'attuale Esecutivo e alla maggioranza si sono pronunciati al riguardo; ad esempio, il capo dipartimento dell'economia di Palazzo Chigi, Francesco Boccia, nel commentare lo strano rapporto sorto fra gli istituti di credito italiani e stranieri e gli amministratori regionali, provinciali e locali, ha parlato di «circonvenzione di incapace».
Una frase pesantissima, anche se devo ammettere che le interviste rilasciate da alcuni amministratori hanno suggerito l'impressione che questo termine, usato nei loro confronti, avesse qualche fondamento. Infatti, quando si domandava loro ragione di questi contratti finanziari cosiddetti derivati stipulati fra banche ed enti locali, di fronte ai costi occulti di tali operazioni e agli oneri finanziari futuri, sempre a carico degli enti locali, che venivano sottolineati con cifre alla mano, costoro cadevano dalle nuvole, affermando di aver incassato soldi in contanti, che certo avrebbero dovuto in futuro restituire, ma senza alcun onere aggiuntivo, con rateizzazioni favorevoli.
Al contrario, esperti indipendenti dimostrano, cifre alla mano, che il milione di euro incassato oggi significa 10, 20 o 30 milioni di euro da restituire fra qualche hanno, ma da parte di chi? Secondo quanto è emerso dalla trasmissione televisiva a proposito dei casi della regione Piemonte, del comune di Torino, del comune di Napoli - per riportare alcuni degli enti che sono stati citati: potrei fare riferimento anche al comune di Taranto, ma non lo faccio perché è già fallito, proprio a causa di questo meccanismo infernale -, risulta sostanzialmente o che le banche, anche primarie - lo dico in Parlamento, nonostante l'espressione un po' brutale -, imbrogliano gli amministratori locali, perché rappresentano loro situazioni diverse dalla realtà o che gli amministratori si lasciano imbrogliare, conoscendo benissimo le conseguenze di questi rapporti, ma facendo finta di non saperle.
Indagare il fenomeno non è facile perché, essendo queste operazioni tutte fuori bilancio (quindi non appaiono, sono debiti occulti), molti amministratori - fatto che mi ha colpito e che in quella trasmissione è stato documentato - quando qualcuno chiede loro di visionare la documentazione di tali rapporti bancari intercorrenti fra il comune, la provincia o la regione da loro amministrata e l'Unicredit o una banca internazionale qualsiasi rispondono che si tratta di documentazione riservata e che può essere fornita solo se le banche che hanno venduto tali prodotti concedono l'autorizzazione.
In altri amministrazioni - non ricordo se nel comune di Treviso o nella provincia di Treviso - la documentazione è invece assolutamente trasparente, si può accedere alla visione dei contratti e dei termini delle convenzioni concluse e si seguono giornalmente gli andamenti sul mercato di questi titoli e così via. Quanto è emerso - perciò chiediamo al Governo di avere un quadroPag. 32complessivo della situazione - è che fuori bilancio, senza che dunque tali voci appaiano, si sono messe in atto operazioni che per tamponare falle del bilancio in corso (in ipotesi, del 2007) e senza porsi il problema di come tamponare il futuro deficit di bilancio, ad esempio del 2008, risultano fin dall'inizio disastrose dal punto di vista finanziario e danno sì un sollievo momentaneo in termini di incasso ma proiettano sul futuro oneri finanziari talmente elevati da strozzare qualsiasi amministrazione futura che non potrà far fronte alla montagna di impegni e di interessi che vengono a maturare o comunque agli oneri che nascono dall'acquisto di questi «derivati». Tutto ciò rappresenta un'ipoteca sul futuro che rischia di far collassare l'intero sistema.
Da tutto ciò ritengo che emergano due problemi. Il primo attiene al monitoraggio della dimensione del fenomeno; il secondo attiene alla vigilanza che non so se costituisca un compito attribuibile al Governo, al Ministro dell'economia, alla Banca d'Italia o se sia invece compito di qualche spregiudicato istituto bancario. Non riesco a dimenticare, infatti, i casi dei bond argentini e della Parmalat a proposito dei quali sembra di capire che le banche, quando hanno ceduto titoli a decine di migliaia di ignari piccoli risparmiatori, spesso pensionati, sapevano benissimo che li stavano imbrogliando e che questi prodotti finanziari assolutamente inaffidabili sarebbero morti nelle mani di quei risparmiatori incauti.
Inoltre, i comuni, le province, le regioni che hanno i bilanci più dissestati hanno anche la possibilità di subire le conseguenze dei prodotti finanziari più rischiosi, proprio quelli che aggravano ancor più la loro situazione.
Non so se la Banca d'Italia deve vigilare sulle banche, che comunque devono avere una loro propria responsabilità; sempre ci sentiamo rivolgere da parte dei grandi banchieri prediche e ammonimenti etici per interventi responsabili nell'economia, ma non mi sembra che nel caso emerso dalla trasmissione o in casi precedenti questa gran virtù, da questi grandi banchieri, sia stata esercitata nel momento in cui si volevano tutelare gli interessi delle banche anziché quelli della collettività. Ritengo che il Governo su tale fenomeno debba fornire qualche risposta anche per via dell'allarme che è stato suscitato dal disvelamento avvenuto in maniera così cruda di questa realtà. Ci aspettiamo concrete e maggiori informazioni, anche su come efficacemente fronteggiare il fenomeno.
PRESIDENTE. Saluto il sindaco e la giunta della città svizzera di Wohlen che assistono ai nostri lavori dalle tribune.
Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Alfiero Grandi, ha facoltà di rispondere.
ALFIERO GRANDI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, premetto che fino ai primi anni Novanta l'indebitamento degli enti locali avveniva essenzialmente attraverso il sistema dei mutui a tasso fisso e i contributi statali coprivano pressoché interamente gli oneri finanziari. Negli anni successivi si è assistito ad una riduzione progressiva dei trasferimenti statali e all'introduzione di vincoli di spesa posti dalla necessità di rispettare il patto di stabilità interno. Questi fattori insieme alla discesa dei tassi di interesse hanno indotto gli enti locali ad adottare forme di gestione più sofisticate delle passività, utilizzando anche strumenti derivati e di copertura del rischio di tasso di interesse.
A partire dal 1996, con la legge n. 539 del 1995, agli enti è stato consentito di effettuare operazioni di swap su tassi di cambio (obbligatori per i debiti in valuta), mentre è stata esclusa la facoltà di porre in essere operazioni in «derivati» che modificano la struttura del debito. La ratio di tale disposizione rispondeva fondamentalmente alla preoccupazione di evitare che gli strumenti derivati fossero utilizzati per rinviare agli esercizi futuri oneri relativi al servizio del debito.
Alla luce dei vincoli che hanno caratterizzato la finanza pubblica, l'articolo 41 della legge finanziaria per il 2002 (la leggePag. 33n. 448 del 2001) ha introdotto la possibilità per gli enti locali di porre in essere operazioni in strumenti derivati, rinviando la disciplina di dettaglio ad un apposito regolamento ministeriale. Infatti il decreto interministeriale 1o dicembre 2003, all'articolo 3, stabilisce che «le operazioni derivate sono consentite esclusivamente in corrispondenza di passività effettivamente dovute», queste ultime correttamente registrate in bilancio, così come i flussi che originano dalle operazioni derivate su di esse poste in essere. Infatti i derivati sono strumenti di gestione del debito e quindi «nessun derivato è configurabile come una passività», presupposto ribadito anche recentemente dalla circolare esplicativa del 22 giugno 2007 del dipartimento del Tesoro in tema di «Non applicabilità delle delegazioni di pagamento alle operazioni in derivati concluse da enti territoriali».
Il citato decreto ministeriale 1o dicembre 2003 stabilisce, inoltre, che sono consentite «operazioni derivate finalizzate alla ristrutturazione del debito, solo qualora non prevedano una scadenza posteriore a quella associata alla sottostante passività».
La corrispondenza tra passività effettivamente dovute e operazioni di gestione del debito tramite strumenti derivati è, peraltro, individuata come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica di cui agli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione, dall'articolo 1, comma 736, della legge finanziaria in vigore.
Per quanto attiene poi al caso del comune di Taranto di cui si fa cenno nel testo dell'interpellanza, non risulta dagli atti in possesso di questa amministrazione che l'utilizzo di tali strumenti derivati ne abbia comportato il dissesto finanziario, anche se valutazioni più puntuali possono essere espresse dal commissario straordinario del comune.
In base ai dati riportati nella relazione annuale della Banca d'Italia del maggio 2007 il debito contratto dagli enti territoriali nel loro complesso è pari, alla fine del 2006, al 7,3 per cento del PIL, che si confronta con un debito del 106,8 per cento dell'intera pubblica amministrazione.
Vale la pena di precisare che la legge finanziaria in vigore, prevede, inoltre all'articolo 1, comma 737, un obbligo informativo al Ministero dell'economia e delle finanze dei contratti relativi alle operazioni in strumenti derivati, pena l'inefficacia degli stessi. Tale obbligo ha comportato, nel periodo 1 gennaio-30 settembre 2007, un raddoppio delle operazioni comunicate da parte degli enti interessati, alcune delle quali peraltro in violazione della vigente normativa, pertanto segnalate dal Ministero alla Corte dei conti per l'adozione dei conseguenti provvedimenti.
Sulla questione la Commissione nazionale per le società e la borsa ha comunicato che l'operatività in derivati da parte di soggetti pubblici, e in particolare di enti locali, si caratterizza per una propria peculiarità rispetto all'analoga operatività di soggetti privati, in quanto le regole del settore, relative alla generale prestazione dei servizi di investimento da parte degli intermediari, si intersecano con la specifica disciplina legislativa e regolamentare di emanazione ministeriale (appunto il decreto ministeriale 1o dicembre 2003 n. 389), che regola proprio il ricorso degli enti locali agli strumenti finanziari derivati e ne stabilisce i limiti. La Consob ha precisato inoltre che la disciplina relativa alla prestazione di servizi di investimento da parte degli intermediari è interessata da un rilevante processo di modifica, a seguito del recepimento della direttiva 2004/39/CE (la cosiddetta Mifid), che introduce e innova importanti presidi di tutela a favore dei clienti degli intermediari, prevedendo, tuttavia, in continuità con il precedente quadro comunitario, una graduazione delle norme applicabili in ragione della classificazione conferita ai clienti.
In particolare, la cosiddetta Mifid distingue gli investitori, a motivo della loro professionalità, tra clienti al dettaglio (o retail), clienti professionali e controparti, definendo in modo articolato i meccanismi di classificazione e le relative conseguenze.Pag. 34
L'appartenenza all'una o all'altra categoria determina una diversa ampiezza delle tutele previste nell'ambito della prestazione di tutti o di alcuni servizi di investimento; tali tutele, infatti, si graduano da quelle ampie assicurate ai «clienti al dettaglio» fino alla disapplicazione di alcune importanti disposizioni per le «controparti». È, peraltro, sempre possibile per ogni cliente di qualunque tipo, anche di chi si fa intervistare in televisione, richiedere un trattamento di maggior tutela rispetto a quello della categoria di appartenenza.
La direttiva menziona specifiche categorie di «soggetti pubblici» sia tra le «controparti» sia tra clienti «professionali di diritto».
Tale disciplina è, come è noto, in fase di avanzata trasposizione nell'ordinamento nazionale.
Con riferimento alla dimensione del fenomeno - un altro punto posto dall'interpellanza urgente in esame -, consegno alla Presidenza della Camera le tabelle contenenti i dati, tratti dagli archivi della centrale dei rischi della Banca d'Italia, relativi all'esposizione (crediti per cassa, crediti di firma e derivati) del sistema bancario e finanziario italiano nei confronti delle amministrazioni locali.
Le informazioni, relative al periodo giugno 2006-agosto 2007, non comprendono crediti e derivati stipulati da banche estere tramite filiali o filiazioni non residenti in Italia in quanto queste ultime non rientrano tra gli intermediari per i quali, ai sensi della circolare della Banca d'Italia n. 139 del 1991, è previsto l'obbligo di partecipazione al servizio di centralizzazione dei rischi.
Tra le iniziative che sicuramente possono essere utili per affrontare questo problema e cercare di comprenderne fino in fondo le questioni e di conseguenza adottare i necessari provvedimenti, mi permetto di suggerire che ci possa essere da parte del Parlamento l'uso di altri strumenti parlamentari come, ad esempio, una forma di risoluzione o di mozione che possa consentire un dibattito e un approfondimento, anche audizioni e indagini, per ulteriori approfondimenti sull'insieme della materia che sicuramente è delicata e merita una particolare attenzione.
PRESIDENTE. L'onorevole Giovanardi ha facoltà di replicare.
CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, devo ringraziare il Governo anche se un'interpellanza urgente, presentata ieri o l'altro ieri, in ventiquattro o quarantotto ore non può che avere una risposta parziale, costruita sui dati che possono essere raccolti in poche ore.
Chiaramente tale risposta mi preoccupa e, secondo me, preoccupa anche il Governo e il Parlamento, perché mi sembra che il quadro della situazione venga ampiamente confermato rispetto alle affermazioni sentite in quella trasmissione.
Non ho capito bene il passaggio sulle interviste televisive: forse si riferiva ad alcuni amministratori che prima di parlare avrebbero dovuto un attimo approfondire i temi di cui stavano parlando, perché l'accusa di circonvenzione di incapace fatta dal responsabile economico di Palazzo Chigi è piuttosto pesante nei confronti di alcuni disinvolti sottoscrittori.
Emerge anche, però, che in base all'attuale normativa - mi sembra di capire - non è neanche possibile verificare esattamente le dimensioni del fenomeno, perché (se ho capito bene) le banche estere sono parte importante del fenomeno di cui abbiamo sentito l'altra sera.
Non voglio essere polemico ma abbiamo anche sentito che nel Governo sono presenti esponenti come il Ministro Lanzillotta che per cinque anni è stata consulente proprio di quelle banche e proprio in questo settore di investimento; mi riferisco anche al dottor Bassolino che, a sua volta, lavora in quel campo. Evidentemente, non sono materie sconosciute ma, nel Governo, sono presenti anche professionalità e competenze che conoscono bene, dal punto di vista delle banche e delle banche estere, quanto sia facile penetrare e alimentare un fenomeno di questo tipo.
Tale preoccupazione, per quanto riguarda le banche estere, non emerge, èPag. 35fuori bilancio, gli stessi amministratori interrogati negano che esista e, anzi, raccontano di aver scoperto una specie di formula magica, per cui si incassa denaro e non si capisce, poi, chi debba pagare, perché, a sentir loro, hanno trovato una specie di bengodi che risolve tutti i problemi di bilancio.
Mi sembra, quindi, che venga confermato un quadro normativo in cui vi sono enormi lacune e una disinvolta gestione di tale rapporto, sia da parte di alcuni amministratori sia, sicuramente, da parte delle banche. Quando leggiamo, infatti, degli effetti che i contratti e le convenzioni stipulate hanno sul futuro dei bilanci dei comuni, delle province e delle regioni, non è possibile pensare che la banca - italiana o straniera - che stipula tali contratti non si renda conto che condanna alla rovina gli enti locali. Capisco che qualche autorevole banchiere - che, magari, va a votare per le primarie del centrosinistra - dica che è necessario pensare solo a realizzare il profitto, perché l'efficienza di una banca si misura soltanto su di esso; però, quando un istituto di credito si rapporta con enti locali, oltre al profitto dovrebbe anche porsi il problema, a lungo termine, di quali effetti comporti sulle amministrazioni un certo tipo di comportamento o il collocamento di prodotti che - come affermavo prima - più sono a rischio, più sono screditati, e più trovano qualcuno con l'acqua alla gola che è disposto anche ad acquistarli.
Raccolgo l'invito avanzato dal sottosegretario ad approfondire questo tema, attraverso un atto di indirizzo o un'indagine conoscitiva, per avere un quadro realistico. Anche in merito al dato relativo al 7,3 per cento del PIL, è necessario considerare quanti degli 8 mila comuni italiani, delle province e delle regioni sono interessati a questo fenomeno: se esso è spalmato su 8 mila comuni, 120 province e 20 regioni è un conto, ma se sono 40 o 50 tra regioni, province e comuni ad essersi messi in questa situazione, significa che hanno delle voragini di debiti con cui bisognerà fare i conti. Sarà, pertanto, necessario che qualcuno si ponga il problema di immaginare come tali enti potranno sostenersi in futuro.
Ritengo, quindi, che ci si possa - e ci si debba - muovere in questa direzione e ritengo, altresì, che, con tutti i limiti della risposta (dovuti anche al tempo a disposizione), il Governo oggi più di così non potesse dire, anche perché il quadro che è venuto fuori non è stato smentito, ma, anzi, è stato confermato. Inoltre, una volta tanto, in una trasmissione televisiva, che spesso forza la realtà o fornisce delle immagini distorte e grottesche di essa, il lavoro svolto è stato serio e documentato, e ha denunciato un fenomeno di cui nessuno parla (neanche i grandi giornali), che costituisce un'ipoteca seria sul futuro del nostro Paese.