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Discussione delle mozioni Volontè n. 1-00174 e Rampelli ed altri n. 1-00173 sulle iniziative in materia di divieto di importazione di prodotti cinesi in relazione alle condizioni della manodopera impiegata (ore 21,35).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.Pag. 100
È iscritto a parlare l'onorevole D'Agrò, che illustrerà anche la mozione Volontè n. 1-00174, che ha testé sottoscritto. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, questa mozione costituisce in un certo senso la continuazione di quella che ho illustrato un attimo fa, anche se attiene soprattutto alla questione del mercato cinese, con tutte le implicazioni in tema di libertà, giustizia e rispetto dei diritti umani: tutti aspetti che sappiamo essere il più delle volte violati in quel Paese.
In Cina continuano purtroppo ad esistere i campi di lavoro, dei lager che si dice accolgano sei milioni di persone. Non si tratta soltanto di luoghi di rieducazione, ma di luoghi di sfruttamento del lavoro in cui, in sostanza, si lavora sette giorni su sette per diciotto ore al giorno. Di ciò ci informano coloro che sono scampati al suicidio e che hanno tentato di raccontare questa drammatica situazione.
Il fatto notevole è che, accanto a questi luoghi definiti «di rieducazione», si trovano anche imprese cinesi che esportano verso i Paesi occidentali i prodotti che provengono dallo sfruttamento e dalla violenza su queste persone.
Si è prima parlato della Germania e dei suoi grandissimi interessi in Cina. Ebbene, la Germania, alcuni mesi fa, ha vietato l'importazione dei prodotti cinesi di dubbia provenienza, tentando così di fare in modo che i prodotti che sono il frutto di quelle situazioni non possano essere importati in Germania. Con una mozione trasversale, dunque, essa non solo ha condannato le condizioni disumane di tali situazioni, ma ha anche vietato l'importazione in territorio tedesco di prodotti fabbricati con la manodopera di detenuti condannati ai lavori forzati e ha previsto, inoltre , che sui prodotti cinesi venga applicata un'etichetta che garantisca che essi non abbiano nulla a che fare con i campi di rieducazione e di lavoro.
In sostanza, con questa mozione chiediamo al Governo italiano se sia a conoscenza - e sicuramente lo è - della situazione descritta e se intenda intervenire presso le autorità cinesi per risolvere definitivamente la questione dei laogai (termine la cui traduzione esatta, che prima ho dato, è quella di luoghi di rieducazione o campi di lavoro).
In particolare, chiediamo al Governo italiano se intenda prendere, sulla scorta di quanto ha già fatto una potenza imprenditoriale nel campo manifatturiero come la Germania, analoga decisione di vietare l'importazione di prodotti che possano essere codificati come provenienti da un luogo di rieducazione, introducendo anche in Italia l'impressione sulle merci cinesi di un bollino blu che attesti l'identificazione precisa del luogo dove sono state prodotte le merci d'importazione, onde evitare che, oltre alla beffa, vi sia anche il perpetuarsi di una tragedia dal punto di vista dei diritti umani e della libertà delle persone.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cota, che illustrerà anche la mozione Maroni ed altri n. 1-00236, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, anche noi abbiamo presentato una mozione su questo punto, con la quale chiediamo che venga affrontato il tema dei laogai sia con riferimento ai rapporti bilaterali con le autorità cinesi, sia con riferimento alla nostra posizione in seno all'Unione europea.
Con la nostra mozione chiediamo che, fino a che non vi siano delle garanzie e non vi sia la prova della fine di ogni produzione basata sul lavoro forzato, si blocchi, come atto simbolico, ma nello stesso tempo concreto, l'importazione dei prodotti cinesi.
Signor Presidente, signor sottosegretario, la concorrenza sleale ha molte forme. Noi l'abbiamo sempre denunciata quando affermavamo che bisognava porre dei freni all'importazione dei prodotti dalla Cina: non lo dicevamo perché volevamo essere antistorici, ma, semmai, perché ritenevamo che il rispetto delle regole fosse, nella civiltà del commercio globale, un valore assoluto.Pag. 101
Non possiamo pensare che ci si cimenti su un ring senza rispettare le stesse regole; non possiamo pensare che un combattimento, anche duro, possa essere tollerato se uno dei due contendenti tira colpi sotto la cintola.
Ci hanno definito razzisti e hanno detto che eravamo antistorici, ma pian piano si è visto che quanto dicevamo non soltanto non era antistorico, ma era anche assolutamente giusto e che una qualche presa di coscienza di ciò che stava capitando era assolutamente necessaria.
L'Europa è storicamente in ritardo su questo fronte, perché in Europa sono sempre prevalsi gli interessi degli altri Paesi rispetto ai nostri. Lo ha ricordato molto bene, con riferimento alla contraffazione, il Ministro Bonino poco fa.
Il nostro Governo ha fatto qualcosa alla fine della passata legislatura. Io posso rappresentare la mia esperienza come Alto commissario per la lotta alla contraffazione, ma la contraffazione è un aspetto della concorrenza sleale. Forse, l'aspetto che oggi emerge di più è quello delle merci prodotte con la violazione dei diritti umani, però sicuramente stiamo parlando di due facce della stessa medaglia, tant'è che si è riusciti ad ottenere, in sede di Unione europea, l'introduzione di quote a protezione delle nostre imprese e aziende tessili.
Pur tuttavia tali quote, con riferimento all'importazione dei prodotti, stanno per scadere e il problema, a livello europeo, della violazione dei diritti umani all'interno di questi campi di lavoro non è stato ancora affrontato in maniera efficace.
Con la mozione in esame chiediamo, anche insieme a quelle presentate dagli altri colleghi, che vi sia una presa di posizione del Parlamento italiano, della Camera dei deputati, e che tale posizione sia poi rappresentata nelle sedi competenti.
Si tratta della violazione di diritti umani, e, in tale caso, vorrei entrare un po' più nello specifico riferendomi alla violazione delle norme che dovrebbero essere di rango internazionale, universalmente riconosciute in tema di lavoro. Siamo sicuramente di fronte ad un'inaccettabile violazione di diritti che consideriamo patrimonio della nostra società, una conquista di tante battaglie sindacali, e mi fa specie vedere la sinistra e anche i sindacati non prendere posizione ed essere in ritardo su tali tematiche, che sono connesse ad una forma di concorrenza sleale e perciò ad un elemento che danneggia, anche sul piano della competitività, i nostri imprenditori.
Conosco diverse realtà: potrei citare quella delle rubinetterie o un'altra più semplice, perché le rubinetterie presentano già processi di lavorazione più complessi. Mi riferisco a quella degli artigiani della Val Strona, che producono piccoli oggetti in legno e, in modo particolare, i cosiddetti pinocchi.
Siamo di fronte ad un'invasione di prodotti che arrivano dalla Cina e molti di essi sono il risultato dello sfruttamento del lavoro all'interno di veri e propri campi di concentramento. Penso che non sia giusto nei confronti dei nostri imprenditori non fornire delle risposte. Penso che non sia giusto nei confronti dei nostri artigiani, gente che lavora e che rispetta le regole (quelle sul lavoro e anche quelle sull'ambiente), che subisce degli accertamenti se ha commesso qualcosa che non va anche per pochi euro e che vede il mercato invaso dai prodotti di chi sfrutta i lavoratori in questo modo.
Una risposta a queste persone, a questa nostra gente che lavora e che è costituita dai nostri imprenditori, dobbiamo fornirla.
Come gruppo della Lega Nord Padania abbiamo presentato la mozione in discussione che non si discosta da quelle degli altri colleghi. Pertanto, ricorrono tutti i presupposti per fornire, all'interno di quest'aula, un segnale chiaro e univoco sulla materia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marcenaro, che illustrerà la mozione Sereni ed altri n. 1-00238, di cui è cofirmatario.
PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, la mozione che illustro è stataPag. 102sottoscritta da diversi parlamentari di molti gruppi, tra i quali L'Ulivo, Sinistra Democratica, Verdi, Italia dei Valori, Rifondazione Comunista, Rosa nel Pugno. Si tratta di una questione che coinvolge diverse problematiche.
Attualmente, siamo sempre nel quadro del difficile impegno volto a fare in modo che alla globalizzazione dei mercati, alla loro internazionalizzazione e all'integrazione dei mercati dei nuovi Paesi corrisponda l'adozione e l'osservanza di regole basate sul rispetto dei diritti umani e dei diritti del lavoro.
In tale quadro rientra, indubbiamente, la discussione sul riconoscimento e il rispetto di standard di lavoro avviata dall'Organizzazione internazionale del lavoro. Affrontiamo tale problema in particolare in relazione ad un Paese come la Cina, un grande Paese con il quale - lo voglio ricordare - l'Unione europea ha avviato una trattativa per un nuovo accordo quadro di partnership. Anche in questo ambito devono essere considerati i termini di cui discutiamo.
In particolare, i rapporti commerciali dell'Italia con la Repubblica popolare cinese, che sono molto importanti, devono essere più attenti alla dimensione del rispetto dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori ed è necessario richiedere al Governo cinese di segnare, su questo punto, consistenti passi in avanti.
Tra le violazioni più gravi di cui si parla, non l'unica, vi è quella che riguarda i cosiddetti laogai, campi di lavoro forzato in cui, secondo alcune stime, sono rinchiusi milioni di persone. Anche il fatto che dobbiamo parlare di stime e l'incertezza che circonda continuamente i dati che siamo costretti a citare sono indicativi di una situazione nella quale non c'è chiarezza, né informazione e ciò, di per sé, costituisce un elemento di violazione di quella trasparenza che è la condizione dei diritti.
Nei laogai, in questi campi di lavoro forzato, non solo vi sono detenuti comuni, ma anche persone accusate di reati di opinione, dissidenti politici e leader religiosi e spirituali in condizioni di lavoro proibitive, con orari impossibili, senza precauzioni che riguardano la lavorazione di sostanze pericolose; insomma, si tratta di una situazione intollerabile dal punto di vista di quelli che noi consideriamo i criteri elementari di civiltà.
La denuncia di tale situazione non viene solamente dal nostro Paese, ma è stata fatta, in questi anni, da numerosi parlamenti e governi. Penso al Congresso degli Stati Uniti, che ha approvato, a questo proposito, una mozione nel 2005; alla risoluzione del Parlamento europeo del settembre 2006 e, ultimamente, come veniva ricordato anche dall'onorevole D'Agrò, ad una risoluzione del Bundestag (il Parlamento tedesco) che impegnava, fra l'altro, il Governo a intraprendere precise azioni nei confronti delle autorità cinesi.
Voglio solo ricordare, a questo proposito, la risoluzione del Parlamento europeo che, oltre a condannare esplicitamente l'esistenza dei laogai, sollecitava la Cina a ratificare le Convenzioni dell'organizzazione internazionale del lavoro sull'abolizione del lavoro forzato coatto e la invitava a fornire una certificazione scritta della non provenienza delle merci esportate dai laogai, invitando la Commissione, in caso contrario, a vietare l'importazione dei prodotti in questione.
Sulla stessa falsariga, come è stato ricordato, si è mossa la risoluzione del Parlamento tedesco.
Per questo motivo, pensiamo che bisogna impegnare il Governo ad agire in ambito europeo, perché questo è il campo nel quale azioni di questa natura possono essere concretamente affrontate affinché la questione dei laogai sia valutata adeguatamente e discussa esplicitamente in tutte le occasioni di confronto e di dialogo tra Unione europea e Cina e, in particolare, nel periodico dialogo che è organizzato e strutturato sulla situazione dei diritti umani; a vigilare, affinché tale questione sia tenuta in debito conto nel contesto del dialogo commerciale tra Unione europea e Cina; ad attivarsi nelle sedi internazionali per rendere possibili le visite dell'Alto commissario per i diritti umani dell'ONU, di inviati speciali dellePag. 103Nazioni unite e di rappresentanti del Comitato internazionale della Croce rossa nei campi laogai ancora esistenti; di sollevare il problema dei laogai anche in seno al Consiglio dei diritti umani dell'ONU, di cui l'Italia è membro; ad utilizzare le occasioni di dialogo e di incontro bilaterale con la Cina per deprecare la pratica dei campi laogai e chiederne la chiusura; infine, ad intervenire presso le imprese italiane operanti in Cina perché diventino sempre più consapevoli e responsabili del problema dei campi laogai, evitando che partner commerciali cinesi possano utilizzare prodotti provenienti da questi campi di lavoro a tale fine.
Ciò di cui stiamo parlando, ottenere cioè che progressivamente il rispetto dei diritti umani e dei diritti del lavoro si affermi, non è una pura illusione.
Penso che in questo periodo abbiamo delle possibilità particolari. Anche l'avvicinamento delle Olimpiadi cinesi del 2008 può e deve costituire un'occasione perché si accentui la pressione nei confronti di tale Paese.
Abbiamo assistito, sulla questione della pena di morte, nel corso degli ultimi mesi, pur di fronte a un Paese che da solo realizza più dei due terzi delle esecuzioni effettuate nel mondo, ad un cambiamento di posizione di fronte alla pressione internazionale. Non siamo ancora alla moratoria, ma siamo indubbiamente di fronte a misure prese dal Governo cinese che segnano un cambiamento di quadro e che costituiscono un risultato ottenuto dalla pressione dell'opinione pubblica internazionale.
Pensiamo che obiettivi di tale natura, se ci sarà un impegno determinato, possano essere ottenuti anche in altri campi, come quello rappresentato dalle situazioni concrete nelle quali il nostro Paese e l'Unione europea sono tenuti a dimostrare che è possibile contemporaneamente avere relazioni con un Paese così importante, senza rinunciare ad affermare principi e politiche che pensiamo siano di carattere universale e che non possono essere sacrificati ad interessi pur legittimi.
Pertanto, riteniamo che la mozione in esame abbia un significato particolare e ne caldeggiamo l'approvazione da parte dell'Assemblea.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.