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Discussione delle mozioni Volontè n. 1-00174 e Rampelli ed altri n. 1-00173 sulle iniziative in materia di divieto di importazione di prodotti cinesi in relazione alle condizioni della manodopera impiegata (ore 21,35).
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi.
VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, riservandoci naturalmente di esprimere un parere sulle singole mozioni presentate, penso che sia doveroso, in conclusione della discussione, svolgere qualche riflessione di carattere generale sulla questione dei cosiddetti laogai, che sono, se possibile - come avete detto -, forse la faccia più odiosa che unisce la slealtà della concorrenza commerciale alla più efferata violazione dei diritti dell'uomo, ragione per la quale l'Italia insieme all'Europa segue tale questione, cioè i cosiddetti campi di lavoro, sia a livello bilaterale, sia europeo.
Se è vero che non esistono statistiche ufficiali sul numero di questi campi, né, tanto meno, sul numero di individui detenuti in essi, vi sono stime di organizzazioni non governative secondo le quali ve ne sarebbero circa un migliaio. In occasione dell'ultima tornata del dialogo sui diritti umani fra l'Unione europea e la Cina, lo scorso mese di maggio, la parte cinese dichiarò che 260 mila persone erano detenute in campi laogai.
In occasione della presenza italiana, peraltro, le autorità cinesi consentirono la visita di un campo di detenzione nei pressi di Pechino, durante la quale fu rivelato che il 70 per cento dei detenuti era costituito da membri della setta religiosa Falun Gong.
Con riferimento al laogai come fondamento del vantaggio competitivo economicoPag. 104cinese, nonostante che studi e analisi di organizzazioni non governative abbiano sostenuto che il sistema potrebbe aver avuto connessioni con le esportazioni cinesi, è statisticamente impossibile quantificare quanti e quali articoli siano stati prodotti con il ricorso a tali campi.
Naturalmente, la Comunità internazionale e il nostro Governo sono ben consapevoli del possibile legame tra il lavoro forzato e le esportazioni cinesi. Alle pressioni esercitate a livello internazionale non è, infatti, estranea la decisione assunta, sin dal lontano 1991, dal Consiglio di Stato cinese di adottare divieti di esportazione di prodotti dei laogai e di non consentire joint venture tra investitori stranieri e operatori commerciali che facciano ricorso a manodopera reperita nei campi di lavoro forzato.
Si ricorda comunque che eventuali sanzioni commerciali rivolte a esportazioni prodotte nei laogai potrebbero essere imposte soltanto a livello di Unione europea. Questa è la ragione per cui mi sembra opportuno andare incontro alle richieste ed assumere le impostazioni e gli orientamenti di fondo espressi dalle mozioni presentate, che sono collegate da un filo comune, spingendo in particolare su due direttrici.
La prima direttrice è sull'Unione europea, affinché concluda un accordo di carattere commerciale che provveda, sul piano negoziale, ad impedire l'importazione di prodotti che provengono dai laogai, con una vera e propria barriera di tipo doganale per queste procedure, affinché vengano rispettate le clausole sociali e ambientali in questi accordi commerciali. La seconda direttrice deve essere rivolta ad una pressione di carattere internazionale, come ha detto l'onorevole Marcenaro poc'anzi, sfruttando l'occasione che viene in questo momento dal grande evento sportivo; è necessario esercitare le pressioni del caso, senza spingersi - come qualcuno ha sostenuto fuori da quest'aula - a definire un quadro sanzionatorio o addirittura di boicottaggio delle olimpiadi, ma cogliendo l'occasione di questo evento di carattere universale per spingere, convincere e influenzare la Repubblica popolare cinese non soltanto verso il progresso di carattere economico e commerciale, ma anche verso il rispetto dei più elementari diritti umani e anche dei principi democratici in vigore nell'Occidente.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.