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Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 553-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali e si sono svolti alcuni interventi.
È iscritto a parlare il deputato Bruno. Ne ha facoltà.
DONATO BRUNO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, se il Presidente Prodi, all'indomani della falsa vittoria elettorale, avesse accettato ciò che il Presidente Berlusconi gli aveva offerto, ossia di fare insieme un percorso condiviso, forse oggi avremmo potuto varare un testo sul quale tutte le forze politiche avrebbero offerto il proprio contributo e le stesse avrebbero avuto il tempo necessario per metabolizzarlo, disossarlo, valutarlo, discuterlo e sicuramente approvarlo.
Purtroppo, ci troviamo in una situazione identica, se non peggiore, a quella della scorsa legislatura. Questa volta siete mossi da un unico e primario obiettivo, quello di votare e approvare un misero testo, che possa servire al Presidente della Repubblica per sostenere che, essendo iniziato un processo riformatore costituente, non è il caso di staccare la spina all'attuale Governo, consentendo - e ciò sarebbe ingiusto - di spostare il termine, ormai maturo, per il ricorso alle urne.
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Sono altresì convinto che, secondo il suo stile, il Presidente Napolitano, ancorché pressato, non deluderà il corpo elettorale e adotterà sicuramente le scelte che la Costituzione gli impone.
Allo stesso modo, sono certo che, se in questo frangente avessimo avuto un altro Presidente, questa mia convinzione traballerebbe. A tal proposito, mi domando che fine abbia fatto il Presidente emerito Oscar Luigi Scalfaro.
La sua immagine e il suo stile rimarrà in me indelebile, non tanto per il suo settennato, ma per quando apparve nella sede della CGIL, in qualità di presidente dell'allora Comitato dei sì al referendum, ove ebbe, con aria tronfia e severa, a ripetere fino all'ossessione: la Costituzione non si tocca, giù le mani dalla Costituzione! Che grande uomo!
Ora non ne abbiamo più notizie, ma è auspicabile che - è un augurio che faccio a me stesso e per il bene del Paese - quando questo inutile testo arriverà in Senato, ci faccia sentire la sua stentorea voce. Capiremo il suo pensiero, nella certezza che sarà ancora una volta la stella polare per molti nostri connazionali. Non fu, comunque, l'unico a gridare che la Costituzione non si tocca. Il coro allora divenne molto numeroso. Oggi vi è un silenzio assordante. Se qualcuno vi accenna, è solo per dire che è arrivato il momento di porre fine al bicameralismo paritario, che bisogna rafforzare i poteri del premier, che bisogna rivedere l'articolo 117 della Costituzione, che bisogna trattare in maniera puntuale il federalismo e altre ovvietà.
Per tutti, basta leggere l'articolo di Manzella su uno dei maggiori quotidiani di questo Paese di qualche giorno fa. Orbene, ciò che ci trova tutti d'accordo è che le riforme si devono fare per ammodernare il Paese e perché il Paese le attende. Costituiscono il vero problema, invece, il merito e il metodo su cui si è incentrata la scelta effettuata da questa maggioranza, che noi riteniamo inaccettabile. Infatti, se gli obiettivi dichiarati (rafforzamento dei poteri del premier, federalismo, superamento del bicameralismo paritario) sono sostanzialmente gli stessi della riforma approvata dal centrodestra nella scorsa legislatura, poi bocciata dal referendum, il contenuto effettivo si discosta di gran lunga da quegli obiettivi, ovvero è inficiato da un grave errore metodologico, destinato a produrre la paralisi della riforma stessa.
Come ha avuto modo di rappresentare in un articolo di stampa l'onorevole Calderisi, tre sono le questione più rilevanti. La prima attiene al fatto che, diversamente da quanto viene sbandierato, non è previsto alcun rafforzamento dei poteri del premier, ma solo un piccolo maquillage incapace di modificare la strutturale debolezza istituzionale del premier italiano. Nel testo si prevedono infatti solo tre modifiche che sono ben poca cosa per non dire aria fritta. La prima è la possibilità che il premier proponga al Capo dello Stato non solo la nomina ma anche la revoca di un ministro. A parte l'assenza del potere diretto di nomina e revoca dei ministri da parte del premier, questo potere rimane nelle mani del Presidente della Repubblica che pertanto potrebbe opporsi alle sue proposte. Perché nasconderci che il potere di revoca serve a poco con i governi di coalizione? Per fare un esempio: revocare i ministri politici come Mastella, Di Pietro o Pecoraro Scanio sarebbe impossibile anche disponendo del potere di revoca, perché il Governo cadrebbe un secondo dopo, mentre la revoca dei ministri tecnici è di fatto possibile anche oggi pure in assenza del potere di revoca.
La seconda modifica sbandierata come un toccasana consiste in una norma che rinvia ai Regolamenti parlamentari la disciplina del potere del Governo di chiedere la votazione di un disegno di legge entro una data determinata, ma i Regolamenti parlamentari già prevedono tale potere in modo esplicito per tutti i disegni di legge collegati alla legge finanziaria o in modo implicito per tutti gli altri provvedimenti attraverso le norme sulla programmazione dei lavori e sul contingentamento dei tempi. Attualmente, infatti, le leggi si bloccano anche alla Camera, dove questa maggioranza possiede circa settanta seggi diPag. 42margine solo per la mancanza di intese e per i veti all'interno della stessa maggioranza ed è sufficiente un solo esempio per dimostrarlo: quando la Casa della Libertà ha voluto modificare la legge elettorale, non una leggina qualunque, sono stati sufficienti meno di due mesi tra Camera e Senato.
La terza modifica riguarda il voto di fiducia dato non più al Governo ma al Presidente del Consiglio, una norma che potrebbe comportare un modesto rafforzamento del premier solo se come in Germania e in Spagna, il voto del Parlamento avvenisse in una fase precedente a quella della formazione dell'Esecutivo. In questo testo, invece, la fiducia al Presidente del Consiglio è prevista solo dopo che egli abbia già formato il Governo: in questi termini la modifica non serve proprio a nulla. Insomma queste modifiche costituzionali non migliorerebbero la governabilità e la stabilità dell'Esecutivo neppure di un millesimo. Nel vostro testo che presentate all'Aula non vi è alcun meccanismo di stabilizzazione dell'Esecutivo, meno che mai il potere di scioglimento delle Camere, il potere più significativo di cui dispone il premier nelle maggiori democrazie parlamentari, non solo in Inghilterra, Spagna e Svezia, ma anche in Germania. Infatti, occorre ricordare a tale proposito che l'articolo 68 della Costituzione tedesca consente al cancelliere di ottenere lo scioglimento in caso di mancata approvazione della richiesta di fiducia anche qualora la mancata approvazione della fiducia sia dovuta all'espediente di far uscire dall'Aula i deputati della maggioranza; in questo modo hanno ottenuto lo scioglimento Brandt nel 1972, Kohl nel 1983 e Schroeder nel 2005. Si tratta di un potere di scioglimento utilizzato anche come deterrente, non per ottenere lo scioglimento, ma per convincere settori riottosi della maggioranza a votare importanti provvedimenti o mozioni e al riguardo possiamo ricordare come nel 2004 Schroeder ottenne la fiducia sull'Afghanistan, minacciando lo scioglimento qualora i Verdi non lo avessero votato.
Le ragioni dell'inconsistenza delle norme sui poteri del premier sono le stesse che hanno portato il centrosinistra ad accusare la riforma della Casa della Libertà delle peggiori nefandezze: deriva plebiscitaria, dittatura del premier e così via solo perché essa attribuiva al premier poteri di gran lunga più blandi di quelli previsti dalla gran parte delle democrazie europee. Una posizione che non è solo della sinistra massimalista, ma anche di gran parte dei DS e della Margherita, magari degli stessi esponenti che poi esprimono un ammirato stupore per il decisionismo di Sarkozy, fingendo di ignorare che esso dipende non solo dalle sue qualità personali, ma anche dalla natura delle istituzioni francesi caratterizzate da una concentrazione di poteri mille volte maggiore di quella prevista dalla riforma costituzionale della Casa delle Libertà, contraddizione messa in luce recentemente da Angelo Panebianco su Il Corriere della Sera.
La seconda questione attiene al testo della riforma del centrosinistra che non tocca e non corregge affatto il Titolo V come aveva invece previsto la riforma del centrodestra che rimediava ai pericoli per l'unità nazionale dello sgangherato federalismo del Titolo V dell'Ulivo, come affermato anche da Augusto Barbera autorevole costituzionalista dei DS.
Si tratta di una mancata correzione che contribuisce ad accrescere il già pesante squilibrio di poteri tra governi locali e Governo nazionale, con il permanere della paralisi decisionale su tante essenziali questioni che bloccano lo sviluppo del Paese, dalle infrastrutture all'energia.
La terza questione rappresenta un fondamentale problema di metodo relativo alla riforma del bicameralismo perfetto e quindi del procedimento legislativo. È un'anomalia ormai solo italiana che mette in causa sia il federalismo, per l'assenza di una Camera come sede di raccordo tra Stato e regione, sia la governabilità, per la difficoltà e impossibilità di trovare un sistema elettorale che assicuri una stessa maggioranza in entrambe le Camere.Pag. 43
La riforma è tanto indispensabile quanto difficile da realizzare a causa del famoso paradosso del riformatore che deve riformare se stesso, in questo caso i senatori, di maggioranza come di opposizione, che devono approvare una riforma che comporta un forte mutamento del proprio ruolo e dei propri poteri, quasi una missione impossibile in questa legislatura, considerando i precari equilibri che caratterizzano l'Assemblea di Palazzo Madama.
Il Centrosinistra ha commesso un doppio errore. Prima ha bocciato la riforma della Casa della libertà, che sicuramente aveva dei difetti ma che poteva essere migliorata, in questa legislatura, senza dover ripartire dall'anno zero, sprecando così una grande occasione riformatrice forse irripetibile per molti anni a venire. Ora ha compiuto un secondo grave errore di metodo: ha fatto scrivere il testo della riforma, che riguarda i poteri del Senato, solo ai deputati, non coinvolgendo in alcun modo i senatori. Si tratta di un errore che si tradurrà quasi certamente nel blocco della riforma stessa da parte dei senatori della maggioranza, non disponibili a perdere tutti i poteri di governo di cui oggi dispongono.
Occorre infatti considerare che sottrarre la fiducia al Senato significa anche sottrarre al Governo la possibilità di porre la fiducia a Palazzo Madama, da cui deriva la necessità di attribuire solo alla Camera il potere di decidere in via definitiva le leggi di attuazione del programma di Governo. Autorevoli senatori della maggioranza hanno già dichiarato in sedi ufficiali che mai e poi mai faranno passare il testo adottato dalla Commissione Affari costituzionali della Camera.
Avremo tempo di discutere e sottolineare meglio questi aspetti in sede emendativa, ove cercheremo di dare il nostro contributo, affinché il testo possa migliorare. Solo in questo senso va letto il nostro voto di astensione sul mandato ai relatori di riferire in Aula, ma sin d'ora, e per estrema correttezza, ci sentiamo di anticipare che, qualora i nostri emendamenti non venissero considerati, dimostrando che il vostro testo è fermo, rigido ed immodificabile, le nostre posizioni saranno conseguenziali. Voglio augurarmi che il vostro atteggiamento possa modificarsi.
Chiedo a voi della maggioranza uno sforzo che da ultimo non siete stati in grado di realizzare. Mi riferisco ai danni da voi causati, stracciando quel minimo di regole istituzionali che erano state concordate sulla RAI. Solo da voi dipende se la strada sarà per un cammino di scontro o di collaborazione. Peggio di tutti sarebbe l'ipotesi che la riforma della Costituzione da voi agitata si dovesse rivelare solo un espediente per tentare di prolungare la sopravvivenza di un Governo capace solo di continuare a procurare gravi danni al nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.
ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor rappresentante del Governo, inizio il mio intervento con una constatazione: da ormai troppi anni si discute in Italia di riforme costituzionali, dalla Commissione Bozzi del lontano 1983 - ricordava oggi la relatrice Amici - al disegno di legge approvato nella scorsa legislatura, poi bocciato dal referendum, oltre a un gran numero di iniziative collaterali a quelle del Parlamento, dalle proposte della Fondazione Agnelli sulle macroregioni del 1992, al noto saggio della Commissione «Giustizia e pace» della diocesi di Milano, «Autonomie regionali e federalismo solidale», che, pur nel 1996, molto fece discutere.
Si tratta dunque di scaffali interi di analisi e di commenti, senza tuttavia che in ventiquattro anni i nodi essenziali siano mai stati sciolti.
Allora non possiamo non porci una domanda preliminare: vi sono oggi le condizioni per realizzare tutto ciò e per affrontare quei nodi? La situazione, da questo punto di vista, mi sembra per certi versi paradossale o surreale.
Per affrontare una stagione di riforme occorre evidentemente un clima politico diPag. 44grande e forte responsabilità, trasversale agli schieramenti politici. Nulla di più lontano dalla situazione attuale, con una politica in continua fibrillazione, dai toni eccessivi e che troppo spesso ha sostituito il Parlamento con i salotti televisivi, una politica caratterizzata, come ha affermato recentemente il Presidente Napolitano, da «un alto grado di intossicazione politica».
Ne consegue un rischio molto serio. Il Paese si aspetta segnali precisi. È giustamente stufo di parole. Guai a noi se il lavoro che ci accingiamo a compiere con l'esame di questa proposta di revisione costituzionale dovesse risolversi ancora in un nulla di fatto. Sarebbe un boomerang. Non farebbe che contribuire ad accrescere il giudizio negativo dei cittadini sulle istituzioni, e senza distinzione di parte.
È dunque una responsabilità particolarmente grande quella che ci assumiamo e che, per quanto riguarda la nostra piccola componente politica, delle minoranze linguistiche, vogliamo comunque assumerci, perché, riprendendo un noto aforisma, a fianco del pessimismo dell'intelligenza, non può non esserci, sempre, l'ottimismo della volontà.
Intanto apprezziamo il lavoro svolto dalla I Commissione e condividiamo l'impostazione che il presidente Violante ha voluto dare con il documento predisposto nel luglio 2006: non una «grande riforma», ma interventi puntuali e mirati. Si tratta di un'impostazione che abbiamo sentito enunciare anche dal Capo dello Stato, ripresa poi dal Ministro Chiti ed oggi tradotta nel testo in discussione, con l'individuazione di alcuni punti condivisi su cui intervenire: riduzione del numero dei parlamentari, trasformazione del Senato e superamento del bicameralismo paritario.
Nel merito, vorrei svolgere qualche breve osservazione. Per quanto riguarda la riduzione del numero dei deputati a 500, questa già era l'indicazione della riforma approvata dal centrodestra. Il Ministro Chiti aveva proposto un'ulteriore riduzione a 450; parimenti il Governo, nella sua - in verità un po' anomala - dichiarazione del 28 settembre scorso. Se facciamo un paragone con la situazione di altre consolidate democrazie, credo che si possa ipotizzare un taglio anche più significativo, senza che venga meno un'adeguata rappresentatività. Gli Stati Uniti, con 302 milioni di abitanti, hanno una Camera dei rappresentanti di soli 435 membri. E comunque, la proposta della Commissione costituisce una significativa ed apprezzabile mediazione.
Sul Senato federale e sulla definizione di «federale» - uno dei termini più abusati in questi anni - si tratta di un punto, anche di principio, particolarmente importante e delicato.
Per noi non può esistere federalismo senza foedus, ossia senza un patto, come lo fu - volendo citare un illustre precedente storico - quello stipulato nel 1291 tra le comunità che costituirono il nucleo iniziale della Confederazione elvetica. E, ovviamente, per stipulare un patto occorre che vi siano dei contraenti nelle condizioni di poterlo liberamente stipulare. È la questione essenziale per un processo consensuale di ricostruzione dal basso dello Stato, posta, tra gli altri, con chiarezza e lungimiranza, sin dal 1944, da Émile Chenoux in un saggio troppo poco noto «Federalismo ed autonomie», a commento di quella Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine che per noi rimane un preciso punto di riferimento teorico e politico.
Si tratta di una questione di cui anche il Parlamento aveva peraltro già iniziato a discutere, tanto che il senatore D'Onofrio, in qualità di relatore sulla forma di Stato nella Commissione bicamerale D'Alema, nel 1997, aveva testualmente indicato la necessità di un «patto costituente tra Stato e regioni» e di «Statuti adottati con forza di legge costituzionale, contestualmente alla definizione del nuovo ordinamento della Repubblica federale».
Non di questo oggi si tratta, evidentemente, e quindi sarebbe forse opportuno, per chiarezza, optare per una diversa definizione. Ricordo, tra l'altro, che la riforma proposta dal centrosinistra nel 2000, inizialmente definita «OrdinamentoPag. 45federale della Repubblica» fu giustamente derubricata in «Modifiche al titolo V, parte seconda, della Costituzione».
Per quanto concerne poi la composizione del nuovo Senato in quanto espressione delle realtà territoriali, si tratta di un passo certo importante, ma di un Senato espressione di quali realtà territoriali? L'articolo 114 della Costituzione, così come ridefinito dalla riforma del 2001, pone su un piano di parità comuni, province, città metropolitane e regioni. È un'impostazione su cui credo si dovrebbe riaprire una riflessione critica. È certo vero che l'evoluzione istituzionale dell'Italia ha visto a lungo un ruolo preminente dei comuni. Ma è altrettanto vero che con la costituzione delle regioni, a partire da quelle a statuto speciale, si è chiaramente definito un livello di governo intermedio che non può non essere il momento di sintesi delle istanze del territorio di riferimento, pena una confusione e sovrapposizione di ruoli che complica ulteriormente un quadro istituzionale già fin troppo affollato e complesso.
Quindi, per queste ragioni più che un improprio Senato federale, ritengo che dovremmo delineare una seconda Camera in cui le regioni siano paritariamente rappresentate, sul modello di altri Paesi. Anche su questo aspetto, della rappresentanza paritaria, la proposta in discussione pur rappresentando un importante mutamento della situazione attuale, a mio avviso, è ancora assai timida e ben lontana per esempio dal Bundesrat tedesco, in cui vi è sì una modulazione in rapporto con la popolazione, ma il divario massimo va dai tre voti dei Länder più piccoli ai sei dei maggiori.
Sul punto vorrei anche richiamare la situazione del Senato spagnolo in cui pure, per le 47 province continentali, sono attribuiti quattro seggi ciascuna, ad elezione diretta, mentre per le comunità autonome l'elezione è indiretta, da parte delle rispettive assemblee legislative.
In ottemperanza ad una impostazione autonomista, si potrebbe anche da noi ipotizzare un sistema non necessariamente univoco ed attribuire alle regioni a statuto speciale potestà decisionale sulla propria rappresentanza. Si tratterebbe di una seconda Camera, quale che ne sia poi la composizione, con funzioni differenziate, come è stato bene illustrato dai relatori.
Ritengo che, al di là dei contingenti tatticismi parlamentari di corto respiro vi sia in tutti piena consapevolezza che il sistema bicamerale attuale produca situazioni insostenibili e radicate patologie, secondo la definizione data dal Ministro Chiti, che minano la credibilità stessa delle istituzioni.
Le norme sulla sicurezza stradale, di cui ci stiamo occupando in questi giorni, che «rimpallano» da una Camera all'altra, con i cittadini e gli operatori del settore esterrefatti ed increduli, ne sono un mirabile esempio. Dunque, sia la Camera la sede della fiducia al Governo e si svolga lì la preminente attività legislativa. Si tratterà ovviamente di approfondire il merito delle norme in questione, della riformulazione dell'articolo 70 della Costituzione, in particolare per le materie in cui la Camera si pronuncia in via definitiva e con quale tipo di maggioranza.
Vorremmo, inoltre, porre l'accento sulla necessità di un confronto intenso non solo in seno al Parlamento, ma anche con il sistema delle autonomie. Riteniamo che nelle assemblee regionali vi possa e debba essere un proficuo dibattito su questi temi, sul testo che la Camera vorrà licenziare, da cui scaturiscano utili indicazioni per il seguito dei nostri lavori.
Concludo, cogliendo questa occasione, per ricordare che in materia di riforme costituzionali la I Commissione ha approvato, ormai da alcuni mesi (luglio 2007), una proposta di legge presentata dalla componente delle minoranze linguistiche per le procedure di modifica degli statuti, tema per noi essenziale, proposta che inspiegabilmente non è stata ancora iscritta nel calendario dei lavori della Camera.
È essenziale ridefinire il quadro generale di riferimento, come stiamo facendo oggi, ma è non meno importante per noi, stabilire nuove regole nelle relazioni traPag. 46Stato e regioni a statuto speciale, di cui l'intesa prevista in quella proposta di legge è l'elemento fondamentale.
Onorevoli colleghi e colleghe, oltre ai condizionamenti della contingente evoluzione della situazione politica, la preoccupazione forte è che i buoni propositi si infrangano comunque nel lungo e sempre tortuoso cammino parlamentare e che i difensori dell'immobilismo, anch'essi trasversali agli schieramenti politici, quando sentiranno concretamente traballare il proprio scranno, ancora possano prevalere.
Dunque, le forze politiche sappiano svolgere fino in fondo la propria funzione e guardare, nell'indifferibile opera di modernizzazione delle istituzioni, all'interesse generale del Paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Moffa. Ne ha facoltà.
SILVANO MOFFA. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli relatori, non so se oggi alla Camera si stia svolgendo una discussione accademica, come è stato riportato nel pomeriggio da alcune agenzie di stampa.
Certo è che sembra esservi un profondo distacco tra la discussione che stiamo svolgendo, l'ambizione riformatrice che accompagna questa proposta di riforma costituzionale e la situazione generale in cui «annaspano» la maggioranza di centrosinistra e il Governo del nostro Paese.
E pur tuttavia, vorrei iniziare questo mio intervento con un apprezzamento per il metodo con cui il lavoro è stato svolto in Commissione, e che costituisce sicuramente una novità, perché ha mirato, almeno nelle intenzioni dei commissari (e anche il voto di astensione dell'opposizione ne è testimonianza), a individuare un nucleo minimo di elementi condivisi, convergenti, tra i due schieramenti di centrodestra e di centrosinistra. Si tratta di un metodo - lo ha rilevato stamane anche il relatore, onorevole Bocchino - che ci auguriamo possa essere di esempio per il futuro, perché di riforme costituzionali ormai, come è stato più volte rilevato anche oggi, si parla nel nostro Paese senza costrutto da diverso tempo: basti pensare agli ultimi tentativi, non solo quello evidentemente che ha riguardato il precedente Governo e che si è risolto nell'insuccesso del referendum confermativo, ma anche l'inizio di una riforma del Titolo V della Costituzione, che fu varata a colpi di maggioranza, e che ha determinato un aumento della conflittualità fra livelli di Governo, fra regione e Stato in particolare. Di qui la necessità obiettiva di cambiare metodo, di sperimentare un procedimento che mi auguro possa, nell'interesse del Paese, portare davvero ad una articolazione diversa della nostra Carta costituzionale.
Il fatto che ci sia una convergenza su un nucleo di ritocchi, di riforme alla Carta costituzionale non mi esime, non ci esime dal confermare anche in questa sede come sarebbe stata più proficua l'attivazione e l'istituzione di una vera e propria Assemblea costituente, per porre mano in maniera più decisa, più sostanziale e più completa alla riforma della Costituzione, che ormai è superata dai tempi e in parte è soppiantata dalla stessa Costituzione materiale.
Così pure appare oggi più chiara la bontà del disegno riformatore avviato dal precedente Governo. Era una riforma, quella, che affrontava in maniera organica il ridisegno della parte seconda della Costituzione, sia sul versante parlamentare, sia sul merito del sistema delle garanzie: un aspetto generalmente e decisamente rafforzato, sulla falsariga dei migliori modelli di moderna democrazia parlamentare, dove le esigenze di governabilità e i connessi meccanismi di rafforzamento delle maggioranze debbono giocoforza trovare un adeguato meccanismo di bilanciamenti e di contrappesi istituzionali. Non solo: quella riforma interveniva significativamente anche sui poteri del Presidente della Repubblica, sulla forma di Governo e sul riparto delle competenze legislative e fissava i principi di leale collaborazione e di unità nazionale.
L'obiettivo centrale era quello di completare il quadro federalista delle istituzioniPag. 47repubblicane. In questo quadro ci si è mossi, sottolineando che la prima questione era, e rimane, costituita dalla riforma federalista dello Stato e dalla devoluzione dei poteri effettivi di Governo alle regioni, in un contesto di equilibrio territoriale tra le diverse aree e di unità nazionale, nonché nel rispetto del principio di autonomia e di sussidiarietà. Si è ritenuto opportuno intervenire su un progetto organico, un progetto completo, in grado di perfezionare il disegno federalista e allo stesso tempo di concretizzare alcune importanti esigenze di carattere istituzionale, come il rafforzamento dell'Esecutivo e l'adeguamento delle strutture parlamentari: in particolare mediante un'ampia rivisitazione del sistema bicamerale e una complessiva accelerazione dei tempi di approvazione delle leggi.
Il nuovo Parlamento nazionale, in quel progetto, veniva articolato in modo tale che vi era un superamento netto del bicameralismo, con una Camera che si fondasse sulla legittimazione democratica dell'intera comunità, e l'altra, il Senato federale, sulla legittimazione federativa dei vari enti territoriali. Nel 2001 - credo che sia opportuno ricordarlo, anche per non commettere in futuro gli stessi errori - il legislatore costituzionale aveva rinunciato, se non con la soluzione in via transitoria concernente la Commissione parlamentare per le questioni regionali, ad introdurre un simile modello, con ciò determinando peraltro una sorta di «corto circuito»: da un lato, sono stati significativamente potenziati ruolo e funzioni delle autonomie locali e regionali, con l'attribuzione a queste ultime di una potestà legislativa di carattere generale e residuale; dall'altro lato, è tuttavia mancata la modificazione dell'impianto del nostro sistema bicamerale, in grado di costituire un momento di sintesi delle esigenze espresse dalle autonomie.
L'idea fondante che aveva animato la riforma approvata nella scorsa legislatura - e che ritroviamo anche nella proposta al nostro esame - era l'esigenza che i territori trovassero un'adeguata rappresentanza all'interno di una Camera nazionale in grado di costituire un bilanciamento complessivo del sistema.
Quello del bilanciamento costituisce infatti un problema essenziale nell'equilibrio di un sistema democratico parlamentare. Vorrei in proposito ricordare il recente studio di Angelo Panebianco, Il potere, lo Stato e la libertà, ove l'autore affronta il tema della divisione del potere verticale che è propria delle organizzazioni politiche che si ispirano al principio del federalismo.
Il federalismo, in punto di dottrina, può essere inteso in due modi: come una particolare variante dello Stato moderno oppure come un'organizzazione politica alternativa allo Stato. Nella prima prospettiva, l'elemento discriminante è l'ubicazione della sovranità; nella seconda interpretazione, invece, tale questione perde rilevanza. La federazione è un modo di organizzare, sulla base di un patto (o foedus) i rapporti fra entità che desiderano preservare la propria identità ed autonomia, ma anche unirsi in vista di scopi che si ritengono comuni. La sua storia, inoltre, non è strettamente legata a quella dello Stato moderno: organizzazioni federali sono esistite in tempi premoderni, ed è plausibile - secondo gli studiosi di questa forma di organizzazione politica - che forme di federalismo esisteranno anche quando lo Stato dovesse essere scomparso.
In questa prospettiva, il federalismo è un genere che si articola in molte specie fra loro anche assai diverse: è sotto il profilo organizzativo, invece, che si coglie con più immediatezza la differenza fra Stato e federazione. Mentre infatti lo Stato è organizzato gerarchicamente, o secondo il modello spaziale centro-periferia, la federazione è organizzata secondo il modello a matrice: in una matrice non esistono centri di potere più alti o più bassi, ma solo arene - più o meno grandi - del processo decisionale e dell'azione politica. Utilizzando il modello a matrice, dunque, si può ritenere che la distribuzione dei poteri implichi competenze diverse in arene differenti e per fini diversi.Pag. 48
Se si accetta questa interpretazione, allora si può sostenere che il sistema federale sia semplicemente uno Stato dotato di un decentramento più spinto di quello che caratterizza gli Stati unitari. Il decentramento è possibile solo in un'organizzazione statale e quindi su basi gerarchiche: qui, invece, siamo di fronte ad un concetto di non centralizzazione che si può concettualizzare nel modo migliore come una matrice di governi con poteri così distribuiti che non può essere fissato alcun ordine gerarchico fra di essi.
Sotto questo profilo, uno dei principali contrassegni del federalismo appare essere la presenza di una Camera parlamentare che sia costituita come assemblea rappresentativa delle organizzazioni territoriali di area vasta e che ne costituisca espressione e sintesi.
Sul piano strutturale - e vengo così al punto che differenzia la nostra posizione rispetto a quella contenuta nella proposta di legge costituzionale al nostro esame - si deve privilegiare la scelta di escludere che la Camera di rappresentanza territoriale si formi attraverso un meccanismo elettivo di secondo grado. Tale meccanismo infatti - come affermava Costantino Mortati già in sede di Assemblea costituente - porterebbe ad attenuare l'immediatezza del legame rappresentativo fra elettori ed eletti.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
SILVANO MOFFA. Concludo, signor Presidente.
Non si esprime dunque una preferenza per il modello tedesco, con un Senato organizzato similmente al Bundesrat. Ciò anche in considerazione del fatto che, in concreto, quel modello potrebbe determinare seri problemi di funzionalità e di continuità dell'azione legislativa: una composizione del Senato in quella forma, infatti, rischierebbe di rendere inidonea la rappresentanza, poiché richiederebbe un'attività continuativa ai rappresentanti regionali, che sono chiamati invece nel contempo agli impegni nei loro rispettivi territori.
Per concludere, onorevoli colleghi, credo che, nel complesso, nella proposta di riforma al nostro esame sono rintracciabili elementi che indubbiamente vanno nel senso di aggiornare la nostra Carta costituzionale: in particolare, il superamento del bicameralismo, la semplificazione del procedimento legislativo, e anche, in qualche misura, la creazione di condizioni di maggiore stabilità.
Mi auguro che ciò serva a superare - e davvero concludo, signor Presidente - quell'autoconservatorismo che sempre ha accompagnato qualunque ipotesi di riforma, quell'autoconservazione che è legge suprema per la comunità come per gli individui.
Di qui, il costante riproporsi del quesito: si può impedire al Governo di abusare dei propri poteri senza spogliarlo della piena potestà della comunità, come diceva John Caldwell Calhoun? Mi auguro che ciò sia possibile attraverso lo sforzo congiunto che si tenta di portare avanti (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Dato. Ne ha facoltà.
CINZIA DATO. Signor Presidente, voglio davvero complimentarmi con il presidente Violante e con il lavoro svolto dai relatori, che traccia la possibilità di un clima - se fosse quello che abbiamo vissuto effettivamente in Commissione - di vero lavoro costituente.
Purtroppo, sento toni che fanno riferimento ai problemi politici della maggioranza in questo momento, che davvero credo dovrebbero restare estranei a riflessioni che riguardano una riforma delle regole fondamentali - quali sono quelle della Costituzione - giudicata necessaria da tutti.
Voglio ricordare all'onorevole Bruno, di Forza Italia, che lamentava il silenzio di coloro che si opposero nella scorsa legislatura al cambiamento di parte (peraltro così grande) della Costituzione, che la vera differenza non si pose mai tra chi non voleva e chi voleva che si toccasse la Costituzione, ma tra chi non voleva e chi voleva che la si stravolgesse per adottarePag. 49un sistema privo di una sua coerenza sistemica e di una organicità funzionale prevedibile. Soprattutto, essa si pose tra coloro che ritenevano necessaria un'Assemblea costituente per tale lavoro e coloro che non lo ritenevano.
Non furono levate voci di assoluta conservazione e le esigenze cui la riforma al nostro esame risponde - o cerca di farlo - sono riconosciute da tutti: un rafforzamento del Governo ed un miglioramento del funzionamento del parlamentarismo (al quale noi siamo molto affezionati, a differenza della maggioranza nella scorsa legislatura), che indubbiamente abbisogna oggi di un aggiornamento, a sessant'anni di distanza dal concepimento del funzionamento di un Paese che ricostruiva una democrazia venendo fuori, con un pluralismo forte, da condizioni politiche difficilissime e non del tutto democratiche.
Ciò che allora giocò come garanzia oggi funge, invece, da rallentamento e impone complicazioni ed appesantimenti inutili, in un mondo, quale quello attuale, che richiede una sempre più forte ed incisiva capacità di scelta e di decisione, anche esecutiva.
Voglio sia chiaro che l'opposizione a quella riforma costituzionale fu forte, sentita e motivata, prima di tutto perché essa si proponeva lo scopo di tenere insieme una maggioranza dando un dono all'uno e un cedimento all'altro, o un bouquet di fiori al capezzale del Bossi malato, come Berlusconi ebbe a dire: forse non parlò, di bouquet di fiori, ma il concetto era proprio quello!
Ma si trattava di una riforma che noi non condividevamo in nessun aspetto, perché rendeva il Presidente della Repubblica una carica puramente onorifica (una sorta di cerimoniale), non rafforzava il Governo, rafforzava troppo, invece, il Primo Ministro ed indeboliva il meccanismo degli organi di controllo e di garanzia.
Quindi, in qualche modo indeboliva la nostra democrazia dall'alto e dal basso. Pertanto la nostra opposizione, malgrado l'apparente presenza in quel testo di alcuni dei temi sentiti anche dalla nostra parte politica, era dovuta al fatto che si proponeva un ridisegno della Costituzione a nostro avviso assolutamente inaccettabile per differenze strutturali e di fondo. Invece, l'attuale testo rafforza il parlamentarismo poiché sveltisce e rende più efficiente il funzionamento e i lavori e risponde ad un'esigenza avvertita da più parti politiche, sulla quale noi socialisti abbiamo una visione parzialmente diversa.
Complessivamente il disegno del Senato federale e delle autonomie risponde all'esigenza di una struttura più federale che dia alle regioni una maggiore voce in capitolo, recependo l'importanza che nella costruzione istituzionale del nostro Paese hanno le stesse autonomie locali.
Proseguo con il tema della riduzione del numero dei parlamentari del quale, per la verità, si è fatto un eccessivo uso demagogico, quasi che tale argomento fosse legato realmente ai costi della politica, mentre sappiamo tutti che non è così, perché è certamente collegato, invece, al tema importante del funzionamento del Parlamento.
Ritengo che la proposta relativa alla riduzione del numero dei parlamentari sia molto coraggiosa in una situazione di cambiamento totale del bicameralismo. I parlamentari non vengono diminuiti di oltre un centinaio, ma vengono ridotti di tale numero e di quello degli attuali senatori, perché il Senato muta nella sua logica, nelle sue funzioni, nella natura dell'elettorato attivo e passivo e nella logica della rappresentanza territoriale, molto più forte, oltre che nelle materie in cui esercita una propria capacità legislativa.
Pertanto, riteniamo tale proposta fin troppo coraggiosa e desideriamo che la riflessione sia approfondita relativamente al tema importantissimo della rappresentanza. Non ci sembra che tale argomento debba essere adoperato, soprattutto a proposito di una riforma costituzionale con debolezze populiste, perché è chiaro che in nessun Paese del mondo e in nessuna epoca storica è mai aumentato il livello della democrazia al contrarsi della rappresentanza e che questa vulgata di antipolitica, sulla quale nessuno rinuncia aPag. 50lanciarsi, prende di mira proprio la parte rappresentativa della democrazia e ritengo che debba essere ragione di inquietudine, di impegno culturale, di discussione e di dibattito pubblico da parte di tutte le forze politiche per la democrazia e la cultura democratica del Paese. Pertanto, ripeto che non si tratta di un tema che va esaminato con leggerezza.
Infine, a proposito dei parlamentari all'estero, voglio brevemente accennare la nostra posizione. Credo che tale argomento imponga una riflessione importante, perché se il Senato federale e delle autonomie propone una rappresentanza territoriale, con quale criterio possiamo immaginare che nel Senato vi sia la rappresentanza territoriale del resto del globo? Vi sarebbero dei senatori eletti a suffragio diretto in una Camera eletta, invece, con un'elezione di secondo grado.
Voglio chiarire tale aspetto perché so che si tratta di un tema difficile da affrontare. Siamo persuasi dell'importanza straordinaria che una consapevole, coraggiosa e forte politica della italianità nella globalizzazione ha per ogni Paese e per l'Italia, in modo particolare, che ha visto sparsi per il mondo moltissimi dei suoi figli e che forse è stato il più grande Paese di emigrazione fino a tempi recenti. Tale politica - lo devo dire - non sta lasciando tracce particolari nell'attuale azione di Governo, a mio avviso.
Nel quadro di una forte politica in tal senso risiede anche l'importanza della legge per gli italiani all'estero. Il problema è che l'attuale legge - ricordo di non aver sentito alcun collega, di alcuna parte politica, condividere questo testo di legge, votato da tutti un po' perché nessuno si assumeva la responsabilità di sollevare delle osservazioni - per molti versi, non funziona: si rifletta su quale anomalia sia dividere il resto del mondo in collegi italiani. Si pensi che, per esempio, esiste la legge per gli italiani all'estero, ma un cittadino italiano che si trova all'estero non può votare; si pensi che l'emigrato che compra casa in un comune non può influire sulle scelte di quel comune o della regione, che assumono decisioni molto importanti.
Credo che la legge sugli italiani all'estero sia da rivedere nel suo complesso - lo ripeto - non perché sottovalutiamo l'importanza di un sempre più stretto rapporto con coloro che, di origine italiana, vivono in altri Paesi - tutt'altro - , ma perché riteniamo che questa legge non sia adatta a valorizzare in modo ottimale tale - ahimè! - prerogativa dell'Italia.
Apprezziamo molto il rafforzamento del Governo e, prima di tutto, il rapporto di fiducia tra il Primo Ministro e la Camera, che la esprime dopo che il Governo e il programma sono stati definiti.
La possibilità che il Primo Ministro possa indicare l'intenzione di revocare qualche Ministro ci sembra faciliti enormemente la vita di un Governo, tuttavia il ruolo del Capo dello Stato ci sembra costituisca una garanzia necessaria ed una importante camera di compensazione.
Un altro aspetto cui tengo particolarmente - sono molto soddisfatta dell'apertura che conteneva sull'argomento l'intervento dell'onorevole Zaccaria e anche dell'intenzione dei relatori di presentare qualche emendamento in questo senso - riguarda il riequilibrio tra i generi. Infatti, stiamo modificando la Costituzione per quanto attiene a tutte le caratteristiche dell'elettorato attivo e passivo e fissiamo il numero dei componenti delle due Camere: visto che da più parti si afferma la manchevolezza delle nostre istituzioni nell'essere effettivamente rappresentative - come è evidente, a cominciare dall'assenza di donne o dalla loro scarsissima presenza - non sarebbe il caso di fissare, in quella stessa norma che stabilisce il numero dei parlamentari, una clausola di garanzia che eviti l'eccessivo squilibrio tra i generi, stabilendo che non più di due terzi dei componenti possano appartenere allo stesso genere?
Sono scelte che altri Paesi hanno già fatto. Se si riconosce l'importanza di questa falla evidente delle nostre istituzioniPag. 51- talvolta ironicamente dette «rappresentative» - credo che si dovrebbe avere il coraggio di fare una scelta simile.
Alcuni ritengono che l'articolo 51 della Costituzione possa soddisfare tali esigenze, ma ciò è palesemente non vero, in primo luogo perchè tale articolo, a detta di moltissimi costituzionalisti, è stato fatto male. Infatti, è stato approvato all'unanimità credo perché era evidente che non avrebbe comportato alcun cambiamento. Esso costituiva, inoltre, l'abbattimento di un eventuale ostacolo su una via che, però, si poteva non intendere percorrere, come di fatto è avvenuto, perché abbisognava di norme attuative.
Viceversa, un criterio di tale natura, alla vigilia del nostro lavoro sul sistema elettorale, consentirebbe di risolvere nel criterio di base (le regole delle regole), un problema sul quale la sensibilità di ciascuna parte politica sembra essere accesissima quando se ne discute, ma molto più timida e ritrosa di fronte alla possibilità concreta di evitare un eccessivo squilibrio. Ripeto che non si richiedono quote o null'altro, ma una pura e semplice norma di garanzia contro l'eccessivo squilibrio. O abbiamo il coraggio di farlo ora che stiamo intervenendo sulla composizione effettiva del Parlamento e non su quella delle liste elettorali, oppure, secondo me, il nostro Paese rimarrà a lungo nell'incapacità di rispondere ad una questione importante, perché - lo ripeto - parliamo di organismi rappresentativi.
Voglio concludere il mio intervento ricordando l'importanza che attribuiamo anche ad un'azione sull'articolo 49 della Costituzione, nel senso che non vi è dubbio che il partito politico è il grande protagonista della democrazia, il grande mediatore tra società e istituzioni. Tuttavia, in tale vulgata di antipolitica, il partito viene spesso considerato quasi responsabile del cattivo funzionamento della nostra democrazia e gli si attribuisce un ruolo eccessivamente forte. Sappiamo che i partiti politici, viceversa, soffrono di una forte debolezza sul versante della società e della partecipazione, che fa apparire troppo forte la loro capacità di influenza sul sistema istituzionale.
Crediamo che, quando si parla di rappresentanza e di partecipazione democratica, non possiamo dimenticare che l'Italia è un Paese che non ha uno statuto pubblico dei partiti. Ciò fa sì che i partiti politici, che spesso non hanno il dovere di celebrare dei congressi, si trovino poi a gestire ingentissimi finanziamenti, a giocare ruoli straordinariamente smisurati o addirittura - come nel caso di quest'ultima legge elettorale - a «nominare» il Parlamento.
Quindi, agire sulla riforma - o l'attuazione! - dell'articolo 49 della Costituzione ci sembra molto importante al fine di fornire risposte alla crisi del funzionamento delle istituzioni, che è una crisi della rappresentanza, di cui sicuramente il nostro sistema soffre e alla quale è opportuno cominciare a dare le risposte che stanno emergendo con il testo di riforma costituzionale al nostro esame, ma è necessario che la nostra azione sia più profonda e coraggiosa.
A proposito del Senato federale, una delle nostre proposte riguarda l'opportunità che ne facciano parte per diritto i presidenti delle regioni. Per la loro elezione diretta, in considerazione del fatto che costituiscono un organo monocratico e per altre ragioni, ci pare che non possano non essere presi in considerazione in una Camera che abbia le finalità del Senato federale. Naturalmente, ciò comporterebbe una riflessione sulla Conferenza Stato-regioni.
Un'ultima questione: è importante che noi lavoriamo con rapidità e in contemporanea rispetto alla legge elettorale. Non possiamo considerare conclusa questa sia pure prudente e limitata opera di riforma sulla Costituzione, se non abbiamo un'idea chiara del tipo di legge elettorale verso cui andiamo, perché ciò implica degli effetti sul funzionamento di tutti gli organi di controllo e di garanzia. Se il sistema continuasse a rafforzarsi in senso bipolare sarebbe assolutamente necessario rivederli.Pag. 52
In questi anni abbiamo visto un sistema funzionare sostanzialmente in termini di bipolarismo; oggi si sentono posizioni strane. Sono stupefatta di dichiarazioni di qualche esponente del Partito Democratico che si pronuncia a favore di sistemi proporzionali, perché se il Partito Democratico non è un nuovo brand, ma una tipologia precisa di partito in un determinato sistema politico, esso non è immaginabile senza il maggioritario.
Sento molti prendere le distanze da un modello bipolare. Vorrei che fosse chiaro che l'alternativa al sistema bipolare è un sistema neo-centrista. Il bipolarismo significa confronto, alternanza, alternativa, responsabilità. Il sistema neo-centrista, invece, significa un blocco del sistema e lo spegnimento di ogni confronto e alternativa, in una ricerca continua di logiche di compromesso, volte più a non lasciare il potere che a esercitarlo per precise finalità.
Credo che su questi temi di fondo, come la costruzione, il rafforzamento, il miglioramento del bipolarismo (capisco tutte le insoddisfazioni per questo bipolarismo) un dibattito ampio e profondo in questa stagione di riforme riguardi proprio la nostra volontà di continuare a costruire, rafforzando vieppiù, una democrazia dell'alternanza bipolare oppure la disponibilità ad andare incontro ad un blocco sostanziale del sistema che male si accorderebbe, a mio avviso, con le tanto agognate capacità decisionali, collegate alla possibilità di confronto e di alternanza.
Daremo il nostro contributo in dettaglio con gli emendamenti, ma si tratta di un testo che sostanzialmente condividiamo. Rinnoviamo gli apprezzamenti per i relatori (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno e L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Olga D'Antona. Ne ha facoltà.
OLGA D'ANTONA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, la discussione che si è aperta oggi in quest'Assemblea si presenta come il segno di una nuova stagione di riforme istituzionali, che, almeno in sede di Commissione - a tal proposito mi unisco a tutti coloro che hanno espresso apprezzamento sia per i relatori sia per il modo in cui il presidente della I Commissione, Luciano Violante, ha condotto i lavori della stessa - ha visto operare insieme tutte le forze politiche, al fine di realizzare questa riforma, superando le pur esistenti e legittime distinzioni di appartenenza o di colore, per la costruzione di una nuova architettura dell'ordinamento dello Stato.
La riforma della Costituzione oggi in esame, a differenza di altre del recente passato, vuole incardinarsi nello spirito del terzo comma dell'articolo 138 della Costituzione secondo il quale, così come vollero i Padri costituenti, senza dare luogo a referendum, il Parlamento può approvare una modifica della Costituzione con il voto favorevole dei due terzi dei componenti nei suoi due rami.
Credo che valga la pena di ripercorrere la storia dei tentativi di riforma della Costituzione, i suoi fallimenti e anche le ragioni degli stessi. La storia delle riforme costituzionali proposte o realizzate negli ultimi tre lustri ha preso l'avvio all'indomani della fine della Prima Repubblica ma, già negli anni Ottanta, si cominciò a discuterne e si sviluppò un dibattito culturale nel Paese e nel Parlamento. Si partì dalle idee e dalle provocazioni di Craxi sul presidenzialismo; cito, tanto per ricordarle, alcune sue parole: «Vogliamo un Presidente della Repubblica forte, con grandi poteri, eletto direttamente dai cittadini; vogliamo un uomo libero da lacci e lacciuoli per governare senza intoppi e senza la possibilità di essere sfiduciato». Nella realtà, poi, non fu mai presentata ufficialmente una proposta di revisione costituzionale in tal senso.
Venne, poi, Segni negli anni novanta con l'idea del sistema elettorale maggioritario.
Nel 1993 il Parlamento istituì una Commissione bicamerale per le riforme, presieduta dapprima da Ciriaco De Mita, e in seguito da Nilde Iotti. La Commissione Iotti affrontò per la prima volta in sede ufficiale il tema della forma di governo.Pag. 53
Nel 1994 il primo Governo Berlusconi varò un Comitato di studio per le riforme i cui lavori si conclusero con un progetto che prevedeva due alternative in materia di forma di governo: il modello semipresidenziale e il modello del governo di legislatura con Premier elettivo.
Nel gennaio del 1997 fu, poi, la volta della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali di cui fu presidente Massimo D'Alema e componente Silvio Berlusconi. Si cominciarono ad elaborare le cosiddette bozze Boato, che ne realizzò ben sette, e si progettò di rivedere decine e decine di articoli della Costituzione, ma non si riuscì a realizzarne il progetto, in realtà per ragioni meramente politiche.
Solo nell'ultima parte della legislatura, nel 2001, arrivò in porto la riforma del Titolo V della Costituzione confermata dal voto degli elettori con il referendum.
Da ultimo, nella scorsa legislatura, si mise mano ad una riforma complessiva della Costituzione ad opera dell'allora maggioranza di centrodestra che, con il referendum, fu bocciata dal voto popolare. Entrambe le due riforme costituzionali hanno pagato lo scotto di essere state realizzate senza un ampio consenso, ma solo con il voto delle forze della maggioranza in quel momento al governo del Paese, andando a costituire un pericoloso precedente che non vogliamo ripetere.
Siamo impegnati a portare a compimento questa riforma con una maggioranza che superi i due terzi dei voti favorevoli dei membri del Parlamento; perciò esprimiamo soddisfazione per il modo in cui la Commissione affari costituzionali ha lavorato, portando oggi in Assemblea un testo che nel suo impianto complessivo è stato costruito con il contributo di tutte le formazioni politiche che siedono in quest'Aula e che, con il voto finale in Commissione e con l'astensione costruttiva dell'opposizione, è stato confermato.
Auspichiamo che la ritrovata disponibilità da parte di tutti a ragionare sulle riforme, con senso di responsabilità e senza pregiudizi ideologici o di parte, venga confermata anche nella discussione in Assemblea.
La scelta di intervenire sulla Costituzione per parti è stata saggia ed oculata: da una parte, essa mette in luce la volontà politica di tutti di riuscire ad individuare, di volta in volta, gli aspetti su cui vi sono visioni comuni o non distanti; dall'altra, rispetta la volontà dei cittadini che con il referendum hanno bocciato la riforma costituzionale Berlusconi, dimostrando di disapprovare una riforma costituzionale di portata eccessiva.
Siamo consapevoli che il cammino della riforma della Costruzione, di cui il Paese ha bisogno, non può fermarsi qui. Già dalla prossima settimana la I Commissione (Affari costituzionali) lavorerà alacremente per assolvere tale compito, a cominciare dal Titolo V e, in particolare, dall'articolo 117. Sappiamo bene tutti che le riforme costituzionali non possono essere trascinate nell'agone della polemica politica spicciola e che bisogna avere rispetto del significato che riveste la Costituzione in una democrazia maggioritaria.
Con la vigenza del sistema maggioritario va ricordato che la maggioranza assoluta, il 50 per cento più uno, esprime solo una parte. È nostra convinzione - ed è convinzione ormai diffusa - che molti atti, previsti dalla Carta del 1947 e deliberati dal Parlamento con la maggioranza assoluta, nell'attuale situazione politica-istituzionale dovrebbero essere sempre prodotti con la maggioranza dei due terzi, in primo luogo la revisione costituzionale.
Per tale motivo e per non ripetere i pericolosi precedenti, preme l'urgenza di mettere in sicurezza la Costituzione con una riforma dell'articolo 138, volta ad elevare definitivamente a due terzi dei componenti di ciascuna Camera i voti necessari per poter modificare la Costituzione.
L'Unione nel proprio programma si è impegnata a non approvare riforme costituzionali senza una larga maggioranza che comprenda anche l'opposizione. Tale impegno è stato mantenuto ed intendiamo mantenerlo anche per il futuro. La vittoriaPag. 54degli orientamenti democratici e di difesa della Carta costituzionale nel referendum svoltosi nel giugno 2006 ha segnato una svolta nella storia politica e costituzionale italiana. La bocciatura della controriforma, voluta dalle forze di destra, è stata netta ed anche in ragione delle sue dimensioni ha consentito di porre fine agli incalzanti tentativi di delegittimazione della Costituzione, protrattisi nell'ultimo ventennio con accentuazioni più o meno marcate.
Oggi, grazie all'esito referendario, l'idea di una grande riforma della Costituzione non è più all'ordine del giorno. È, tuttavia, necessario interrogarsi criticamente sulla capacità di tenuta del dettato costituzionale e procedere, là dove è necessario, agli opportuni interventi che consentano di rafforzarne l'ispirazione e i principi. L'esigenza di raccordare i mutamenti costituzionali con i processi reali di trasformazione del processo politico e istituzionale sono già affiorati nel corso della transizione dalla prima alla seconda Repubblica, a partire dalla natura bipolare della competizione per il Governo.
Il nodo politico, invece, è costituito da una contraddizione tra l'esigenza reale di stabilità, che il Paese indica come uno dei principi ispiratori della riforma costituzionale, e i comportamenti della classe politica, talvolta ancorati ad una vecchia impostazione. Da tale punto di vista, è certo da considerarsi irrinunciabile uno sbocco della fase riformatrice coerente con le tendenze reali della transizione italiana.
L'Italia, infatti, sia pur faticosamente, dopo i molteplici tentativi di riforme costituzionali succedutesi negli ultimi vent'anni, sta in questo momento tentando di modificare la propria Costituzione attraverso la dialettica e la discussione parlamentare.
È una grande impresa democratica che, se si concluderà positivamente, darà un premio di credibilità e di legittimazione a quanti avranno partecipato e contribuito al realizzarsi di quell'obiettivo.
Nel contempo, questo metodo mette alla prova le istituzioni democratiche e rappresenta una sfida da non sottovalutare per i soggetti politici e per le assemblee, cui è affidata la responsabilità di corrispondere alle aspettative e alle esigenze di cambiamento del Paese. Le assemblee parlamentari sono il vero centro e il motore di questa impresa; ne divengono protagoniste in piena luce sulla scena nazionale, assumendo una speciale responsabilità nel rapporto con l'opinione pubblica. La Commissione affari costituzionali ha svolto il compito affidatole: ha esaminato diversi testi, diverse proposte e ne ha tratto un unico testo.
Certamente, nel lavoro dell'Assemblea, attraverso il più vasto dibattito che la discussione in Aula comporta, potrà essere necessario ricondurre problemi e formulazioni all'essenzialità e alla chiarezza proprie di un testo costituzionale.
Sarà necessario individuare e mettere a fuoco, a cominciare dalla discussione sulle linee generali e nel dibattito preliminare alle votazioni su ciascun punto, gli assi portanti di ciascuna questione, nonché le implicazioni e i rapporti di coerenza conseguenti alle diverse opzioni. L'Assemblea potrà così essere posta nella condizione di decidere su scelte chiare e con piena consapevolezza.
Mi piace ricordare che, in sede di Assemblea costituente, la fase del dibattito in Aula rappresentò un momento di semplificazione e di elevazione politica su molti punti del testo. Si può, infatti, constatare non solo sulla progressiva maturazione di un testo che riesca a individuare un asse politico unificante, ma anche sulla più alta politicità che una vasta Assemblea può esprimere, quando è chiamata a pronunciarsi in modo ordinato e coerente sulle massime questioni.
Solo se queste condizioni riusciranno a realizzarsi, tutti noi potremo esercitare e far valere con pienezza la nostra responsabilità. Anche da noi dipenderà se questo Paese riuscirà a darsi nuove regole per il funzionamento della sua democrazia. Se poniamo l'attenzione sulle scelte di fondo che hanno ispirato il nostro gruppo Sinistra Democratica Per il Socialismo europeoPag. 55nell'approccio strutturale della riforma, non possiamo non cominciare dal Parlamento.
Il nostro presupposto essenziale e fondante, per fortuna largamente condiviso nel dibattito culturale e politico, è costituito dall'autonomia del Parlamento. Ciò è espresso nella convinzione che vi siano opzioni di valore sul ruolo dell'organo rappresentativo nel sistema costituzionale, che restano valide indipendentemente dalla diversità dei modelli possibili di forma di governo e di Stato. In relazione a quei modelli, semmai, le scelte sulla struttura e le funzioni del Parlamento sono suscettibili di tradursi in diverse soluzioni tecnico-istituzionali.
Preliminare, quindi, è una riflessione sulla posizione e sul ruolo del Parlamento nel nuovo assetto costituzionale che si va delineando e nel diverso equilibrio in via di definizione tra istituzioni, poteri e organi.
È una riflessione che ha condotto alla conferma dell'opzione di fondo per la salvaguardia delle istanze irrinunciabili della democrazia rappresentativa e partecipativa che nel Parlamento si esprimono.
Di fronte alla crisi riconosciuta della forma di governo parlamentare, si tratta di rinnovare, senza rinnegarlo, il ruolo dell'organo rappresentativo e i modi del suo funzionamento, per adeguarli a un contesto politico-istituzionale e sociale profondamente trasformato rispetto all'età del parlamentarismo classico e a quella della sua degenerazione.
Le coordinate di riferimento nel nuovo contesto sono rappresentate da un'articolazione dei livelli istituzionali che, da un lato, accentua la valorizzazione degli enti territoriali e, dall'altro, tende al compimento del processo di unificazione europea.
A queste linee direttrici corrisponde evidentemente l'esigenza di calibrare i relativi meccanismi di bilanciamento e contrappeso: ad enti territoriali più autonomi e ad istituzioni europee titolari di sovranità deve affiancarsi un Parlamento nazionale anch'esso forte ed autorevole. Tutto ciò non significa conservazione pura e semplice del ruolo tradizionale delle Assemblee rappresentative, nelle quali era concentrata classicamente la totalità dei poteri decisionali o direttamente, attraverso l'esercizio del potere legislativo, che si identificava, esaurendola, con la funzione normativa, o indirettamente attraverso le tecniche di scelta degli esecutivi e del loro vertice. In particolare, il sistema maggioritario e la posizione del Governo nel suo ruolo di guida della maggioranza implicano necessariamente una valorizzazione della funzione di controllo democratico sull'operato del Governo stesso.
Tali considerazioni, evidenziando alcuni aspetti della forte complessità del sistema politico istituzionale, sono a fondamento della scelta per il mantenimento di un sistema bicamerale in linea con la maggior parte dei Paesi di democrazia matura ad alta densità di popolazione come l'Italia. Inoltre, democrazia complessa e pluralità dei centri istituzionali rappresentano un binomio indissolubile e l'evoluzione del sistema sembra sconsigliare di rinunciare a quell'importante funzione di garanzia che, in sé, il bicameralismo assolve, consentendo una rappresentanza diversificata, un più ampio confronto politico, una più approfondita riflessione sulla produzione legislativa ed un sicuro rafforzamento della funzione di controllo. Ci è parso, tuttavia, necessario mutare la struttura rappresentativa delle due Camere ed in particolare del Senato in maniera tale da garantire il collegamento con il territorio, ma assicurando anche il principio della democrazia rappresentativa.
Ritengo sia utile spendere qualche parola sulla riduzione complessiva del numero dei parlamentari. Il loro numero è sensibilmente diminuito ed una così consistente riduzione non deve, a nostro avviso, essere intesa come genericamente ispirata ad istanze antiparlamentaristiche o ad intenti demagogici. Essa può invece contribuire ad accrescere l'autorevolezza della rappresentanza ed il prestigio dell'istituzione, mentre il rapporto di uno a due del numero dei senatori rispetto a quello dei deputati non ha più uno specificoPag. 56fondamento logico e istituzionale in presenza di una profonda differenziazione di funzioni tra i due rami del Parlamento. La riduzione del numero dei parlamentari si giustifica anche alla luce della revisione complessiva del sistema istituzionale e del superamento del modello del bicameralismo perfetto. La base rappresentativa si amplia con la riduzione dell'età minima per l'elettorato passivo.
Quanto alle funzioni, il Parlamento conserva il primato nell'esercizio della funzione legislativa che viene interamente ridisciplinata. Il riparto di competenza materiale tra le due Camere e procedure radicalmente diverse da quelle vigenti improntate ad istanze di agilità e rapidità dovrebbero consentire lo svolgimento di una dialettica più serrata e proficua con il Governo, imponendo anche al Parlamento di compiere scelte chiare in tempi ragionevoli. In questo modo, l'istanza di governabilità non si traduce in una perdita di autorevolezza del Parlamento o in un sostanziale disconoscimento della democraticità della funzione normativa assicurata dal principio rappresentativo, bensì nella previsione, accanto ai nuovi modi di formazione del Parlamento stesso e del Governo, di strumenti procedurali che inducano un rapporto chiaro e corretto tra il potere legislativo e quello esecutivo e tra le diverse forze politiche all'interno delle assemblee rappresentative.
Nella ricerca di un equilibrio certamente delicato tra governabilità e attuazione del principio democratico e rappresentativo, le due Camere hanno quindi funzioni e ruolo politico differenziati, con una più specifica funzione di contrappeso istituzionale nel Senato rispetto alla funzione politica, Governo - maggioranza parlamentare, nella Camera dei deputati.
Il modello proposto attribuisce infatti alla Camera dei deputati la titolarità esclusiva del potere di fiducia e di sfiducia. Nella Camera si concentra il sostegno parlamentare alla realizzazione del programma di Governo nella dialettica del confronto tra maggioranza ed opposizione; alla Camera, quindi, è attribuita tutta la legislazione strettamente riferibile all'indirizzo politico governativo, rispetto alla quale il Senato opera come Assemblea di riflessione.
Il Senato svolge un ruolo diverso, partecipando al procedimento legislativo con potestà decisionale piena in un'area di attribuzione non esclusivamente riferibile al programma di Governo, e, pertanto, risalta meno la dialettica maggioranza - opposizione. È bensì vero che la sua diversa composizione tende comunque a garantire, con scelte meno vincolate alla politica governativa, un meditato confronto tra le Camere parlamentari, così come l'esigenza di una riflessione più approfondita.
Viene mantenuto sostanzialmente inalterato l'istituto della delegazione legislativa in favore del Governo, mentre in tema di decretazione d'urgenza si propone una disciplina parzialmente restrittiva, che peraltro richiama consolidati orientamenti della dottrina e della giurisprudenza costituzionale.
Si auspica che questa riforma costituzionale cammini di pari passo con la riforma elettorale avviata al Senato, perché il legame tra le due iniziative è essenziale ed imprescindibile. Il testo che presentiamo oggi in questa Aula può essere ulteriormente migliorato, ma esso già rappresenta un segnale molto positivo. Si tratta di un'occasione che non va sprecata. Il Paese si trova a vivere una stagione politica difficile. Si è parlato di cittadini lontani dalle istituzioni, di qualunquismo e di antipolitica. In realtà, credo che la grande partecipazione democratica sia al referendum promosso dai sindacati tra i lavoratori, sia alle elezioni primarie del nascente Partito Democratico rappresenti una conferma - e di ciò sono convinta - che vi sia nel Paese una grande domanda di cambiamento e di buona politica. È responsabilità della politica, che in questi anni non ha saputo decidere e non ha saputo realizzare quelle riforme istituzionali di cui il Paese aveva bisogno e di cui ancor di più oggi necessita, dare risposte. Nel passato ogni volta che si è tentato di affrontare questo tema ci si è piegati aPag. 57logiche di bieco politicismo ed a interessi di parte, piuttosto che al supremo bene dell'Italia.
Ritardare ulteriormente il percorso delle riforme sarebbe esiziale ed il Paese non può permetterselo (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, L'Ulivo e del deputato Bocchino)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cota. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, colleghi, stiamo affrontando una materia che noi riteniamo molto importante. Per la Lega Nord probabilmente è la più importante.
Abbiamo sempre affermato che o si riformava lo Stato o il sistema sarebbe esploso. Lo affermava Bossi oltre vent'anni fa. La questione settentrionale per noi dev'essere assolutamente affrontata e per affrontarla bisogna partire da una riforma in senso federale dello Stato.
Bisogna che il Nord - il discorso può valere senz'altro anche per il Centro e per il Sud - liberi la sua energia positiva. Quella energia positiva che oggettivamente va riconosciuta nell'interesse di tutti, altrimenti il male, la cancrena intaccherà anche la parte sana.
Quando faccio riferimento alla cancrena, parlo di uno Stato in ritardo su tutto, con il debito pubblico più alto d'Europa ed un apparato elefantiaco, dove il pubblico impiego rappresenta una spesa sociale iniqua, perché sottrae le risorse a chi ne avrebbe veramente bisogno. Parlo di uno Stato in ritardo che non riesce a realizzare quelle infrastrutture di cui il Nord ha bisogno come il pane per affrontare le nuove sfide ed essere competitivo in Europa. Parlo di uno Stato percepito come «lontano», insieme alla sua classe politica; uno Stato che, per esempio, non tutela la sicurezza dei cittadini e che, in un momento storico molto complesso, dove l'immigrazione ha ridotto il grado di sicurezza, ha pensato bene di varare l'indulto. A fronte di ciò, in questa situazione, il federalismo va realizzato. Il federalismo, signor Presidente e colleghi, non consente di scherzare e metterebbe la parola fine, una volta tanto, alla filosofia del «tanto paga Pantalone»!
Tutti i cambiamenti che, fino ad oggi, sono stati compiuti nella direzione dell'efficienza, della modernizzazione e della responsabilizzazione, in questi anni sono stati realizzati grazie alla spinta della Lega Nord Padania e penso che ciò sia riconosciuto un po' da tutti - da sinistra a destra - e questo dibattito, in fondo, ne è la testimonianza. Credo che, se si fosse ascoltata di più la nostra posizione, oggi il Nord ed il Paese si troverebbero in condizioni ben diverse.
Oggi scioperano a Malpensa ed a Linate: in ballo vi sono lo sviluppo del territorio e tanti posti di lavoro. Le scelte fallimentari di Alitalia, con la connivenza di questo Governo, sono l'esempio del centralismo, del «romanocentrismo» che ha devastato lo Stato; sono l'esempio di quello che non vi sarebbe più con il federalismo.
La Lega Nord Padania, per sua coerenza, quindi, non può che essere presente ed attenta quando si parla di riforme. Occorre, tuttavia, esprimere alcune considerazioni: non bisogna prendere in giro la gente! Non mi riferisco tanto alla Lega Nord Padania ed ai parlamentari che siedono in quest'Aula (oggi sono pochi, perché nelle discussioni sulle linee generali di provvedimenti, anche importanti, accade sempre così), ma alla gente, in particolare al Nord, in cui il livello di sopportazione è stato ampiamente superato.
Oggi, in quest'Aula, si parla di superamento del bicameralismo e di riduzione del numero dei parlamentari, ma non ci si ricorda che, nella passata legislatura, è stata approvata una riforma che conteneva tali questioni perché vi siete opposti strumentalmente ed anche al referendum avete condotto una battaglia ideologica soltanto per i vostri interessi di bottega: è chiaro che avete perso credibilità.
Non solo: questo testo giunge in Assemblea mentre il Governo ha dimostrato e sta dimostrando di non avere una maggioranza nel Paese e di essere paralizzato,Pag. 58perché non ha una maggioranza parlamentare. Ormai non si parla che della catastrofica azione di Prodi e delle liti all'interno della maggioranza. In queste condizioni, colleghi, non potete pensare di usare il dibattito sulle riforme per tenere in vita un Governo moribondo. Va chiarito che presentare un testo, sapendo che l'iter di approvazione, comunque, è oggettivamente molto lungo, non può essere l'alibi per chiedere ed ottenere Governi - anzi «governicchi» - di democristiana memoria. La gente non lo permetterebbe e la Lega Nord Padania non lo permetterà!
Vi è, poi, un'altra considerazione che vorrei svolgere. Il federalismo non può essere soltanto previsto sulla carta. Il Senato federale non può essere soltanto un «pennacchio» d'altri tempi: occorre che abbia delle competenze vere. In questo senso e per questo motivo presenteremo degli emendamenti. Dopo aver affermato che il Senato federale sarà la Camera rappresentativa dei territori, non possiamo accettare che sia poco più che un organismo consultivo. Proprio per tale ragione, in questa seconda parte del mio breve intervento, vorrei far presente alcune cose che riguardano il testo del provvedimento in discussione.
Il Senato federale, come impianto generale, va bene, perché, come abbiamo affermato in Commissione votando anche con coraggio un emendamento che era stato presentato, ha un'impostazione rispondente al Senato federale come originariamente proposto da noi, è cioè un Senato rappresentativo dei territori, designato direttamente dagli stessi territori e dai consigli regionali principalmente, nonché dal consiglio delle autonomie locali.
Abbiamo sempre affermato che i comuni e le province dovessero comunque avere voce in capitolo. È la nostra battaglia di sempre e anche quando difendiamo le comunità montane rappresentiamo questo tipo di interesse. Chiediamo soltanto che, se l'impianto deve essere quello della rappresentanza proporzionale delle regioni in base al numero dei propri abitanti, tale proporzionalità venga rispettata e tale parametro sia seguito fino in fondo. Ciò vale anche per quanto riguarda le designazioni del consiglio per le autonomie locali: le regioni con più di 9 milioni di abitanti devono avere una corrispondente rappresentanza.
Vi è un altro aspetto. Come ho già detto poc'anzi nella prima parte del mio intervento relativo alle competenze del Senato federale, questo non può essere un «pennacchio». Pertanto, se il Senato federale - come è stato detto, anzi scritto nel documento che abbiamo approvato prima dell'estate in Commissione - deve essere a pieno titolo una Camera rappresentativa e legislativa e il superamento del bicameralismo perfetto deve consistere nel fatto che le due Camere compiano attività diverse tra loro, il Senato deve possedere competenze vere.
Diciamolo subito: non è possibile che la Camera, con una maggioranza politica, possa rendere nulle le decisioni del Senato federale. Ho sentito dire dagli interventi, svolti da parte dei colleghi, che il Senato deve essere l'organo rappresentativo dei territori dove la tensione politica è meno acuta e, a mio avviso, dove forse rispetto alla politica prevalgano gli interessi dei territori. Allora, se gli interessi dei territori devono prevalere, bisogna fare in modo che tali interessi, una volta riconosciuti da parte di un'Assemblea con una rappresentanza che non è di colore politico ma solo territoriale, una volta riconosciuti dal Senato federale, possano tradursi in provvedimenti legislativi.
Ho sentito dire che il Senato è una Camera di secondo grado. Tuttavia, si tenga conto che nel testo che abbiamo approvato - rispetto al quale ci siamo astenuti, ma anche noi abbiamo votato a favore della parte relativa alla composizione del Senato - è scritto in maniera chiara che i senatori federali sono eletti con voto limitato.
Ciò vuol dire che all'interno di ogni regione vi è una rappresentanza sia di maggioranza sia di opposizione, fatto che dovrebbe garantire tutti in ordine alle votazioni che avverranno all'interno del Senato federale. Inoltre, è evidente chePag. 59quando un soggetto viene eletto nel Senato federale rappresenta i territori e le loro istanze, ma queste devono essere messe insieme per riuscire a trovare una sintesi.
Ricordo, con riferimento agli Stati che sono autenticamente federali, che essi hanno delle rappresentanze in sede di organismi internazionali, per esempio in sede di Unione europea, che sono rappresentanze regionali, laddove le regioni hanno la competenza esclusiva; per cui i rappresentanti delle regioni, in sede di organismi comunitari, rappresentano gli interessi di tutte le regioni, non soltanto di una parte di esse. E allora il Senato deve poter dire l'ultima parola.
In subordine - uso questa espressione con lo spirito con cui gli avvocati costruiscono le subordinate - non può essere la maggioranza assoluta, quella richiesta affinché la Camera (voglio essere un po' più esplicito, anche per i non addetti ai lavori) possa modificare le decisioni assunte dal Senato: essa è troppo esigua! Dovrebbe essere almeno una maggioranza dei tre quinti dei componenti. E noi chiediamo che lo stesso quorum venga richiesto anche quando la Camera dei deputati debba decidere su materie di sua competenza, sulle quali il Senato si sia pronunciato in maniera differente e che riguardano però in maniera definita competenze e aspetti della vita degli enti locali. Su questo punto è stato presentato un emendamento.
È poi prevista una «microriforma» della decretazione d'urgenza. Il testo originario sicuramente era un pochino più audace e, dal nostro punto di vista, migliore nel limitare le potestà del Governo, in base al principio della separazione dei poteri e anche all'esperienza parlamentare che abbiamo avuto nel passato: il Governo emana i decreti-legge, che, presentati in Parlamento, sono spesso «blindati»; in questo modo il Parlamento viene esautorato della sua competenza legislativa e il principio della separazione dei poteri, diciamo così, va a farsi benedire. Noi chiediamo che sulle materie di competenza bicamerale e sulle materie di competenza del Senato federale, proprio perché sono quelle materie che non necessitano di un intervento di urgenza (se andiamo a scorrere l'elenco lo capiamo molto bene), non si possa ricorrere alla decretazione d'urgenza e si debba seguire il procedimento legislativo ordinario; a meno che non vi sia una autorizzazione preventiva da parte del Senato federale.
Veniamo ad un altro punto, sul quale vorrei richiamare l'attenzione dell'Assemblea, anche se c'è poca gente, soprattutto con riferimento al dibattito futuro che si svolgerà. Con questo testo, andiamo a toccare una serie indefinita di questioni, perché maneggiamo la Costituzione. Affrontiamo tra gli altri il problema dell'amnistia e dell'indulto: quando si prevede che la legge di autorizzazione dell'amnistia e dell'indulto deve passare dalla Camera dei deputati, si svolge un ragionamento stabilendo che la Camera dei deputati diventi la Camera politica. Ma, quando approviamo una riforma, siamo anche responsabili di fronte ai cittadini di quanto sta succedendo: questa non può non essere l'occasione perché ciascuno si prenda le proprie responsabilità! Lo dico con riferimento al fatto che la gente, fuori di qui, vorrebbe sentire una parola chiara su questo argomento.
Oggi si parla tanto di effettività della pena; però, circa un anno fa, è stato approvato un provvedimento che è la contraddizione in termini della effettività della pena, è la risposta sbagliata a tutte le esigenze di sicurezza che vengono dal territorio, ed è anche la risposta sbagliata al sovraffollamento delle carceri.
Come abbiamo visto, coloro che vengono liberati commettono poi nuovi crimini, creando una serie di conseguenze negative sul territorio, e per la gran parte ritornano in carcere.
Chiediamo dunque che la riforma affronti il problema dell'amnistia e dell'indulto, modificando l'articolo 79 della Costituzione. In primo luogo, occorre stabilire che amnistia ed indulto debbano essere concessi con legge costituzionale, e non con legge ordinaria (magari approvata «alla chetichella»). Del resto, la legge costituzionale è prevista per vari casi, e questo senz'altro la merita, dal momentoPag. 60che si tratta di una materia rilevante per la vita dei cittadini. Dunque, considerato che tutti, fuori da quest'Aula, affermano che l'effettività della pena dovrebbe essere un principio costituzionale, chiediamo che si costituzionalizzi anche la norma per cui l'amnistia e l'indulto debbano essere concessi con una procedura aggravata e sottoponibile a referendum (così come lo sono tutte le modifiche della Costituzione).
In secondo luogo, chiediamo che si affermi esplicitamente che, dopo la concessione di un'amnistia o di un indulto, essi non possano essere concessi nuovamente per dieci anni. Non si può infatti procedere come si fa ora, con provvedimenti che si susseguono ogni due o cinque anni: ciò dà la sensazione che, in questo sistema, non vi siano più regole, e che il bilanciamento degli interessi penda sempre dalla parte dei colpevoli e dalla parte degli autori dei reati, e mai da quella delle vittime. Credo dunque che sia necessario riaffermare i diritti, gli interessi e le istanze della gente comune, che lavora, che paga le tasse e che vuole vivere tranquilla all'interno delle proprie città e delle proprie abitazioni.
Vi è poi un ulteriore aspetto - che si ricollega alla considerazione che ho appena svolto - che desidero affrontare in sede di discussione generale, anche se è di carattere tecnico: è quello legato all'articolo 126 della Costituzione, cioè al problema dello scioglimento dei consigli regionali. In quanto federalisti, noi vorremmo chiedere che i consigli regionali possano essere sciolti solo da un'autorità superiore. Qualcuno obietterà che vi sono realtà nelle quali vi sono forti rischi di contaminazione mafiosa nelle assemblee legislative (si ricorda il caso di un consiglio in cui i due terzi dei membri sono indagati per associazione di tipo mafioso). Ciononostante, lo scioglimento non può essere previsto in Costituzione come strumento di prevaricazione da parte dello Stato nei confronti delle regioni. In particolare, per noi è inaccettabile che si parli di interesse nazionale come causa di scioglimento.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ROBERTO COTA. Abbiamo dunque cercato un equilibrio ed abbiamo così proposto un emendamento che prevede che il consiglio regionale possa essere sciolto solo per gravi violazioni della legge o della Costituzione. Un altro emendamento, poi, richiede che ciò avvenga con una delibera adottata a maggioranza assoluta da parte del consiglio regionale.
Per concludere, desidero affrontare anche la questione dei senatori a vita: nonostante infatti se ne parli molto, ad essa non è stata data alcuna risposta. Nessuno ce l'ha con queste persone, che hanno onorato il Paese in diversi campi: non è però accettabile che persone di novanta o cento anni vengano utilizzate strumentalmente per tenere in piedi il Governo.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ROBERTO COTA. Noi chiediamo dunque che il Presidente della Repubblica possa nominare i senatori a vita e che gli ex Capi dello Stato debbano sedere in Senato, ma chiediamo anche che essi non abbiano diritto di voto e non possano così condizionare le maggioranze politiche.
È sleale un gioco di questo tipo! Vogliamo vedere quale sarà la posizione dei colleghi rispetto a tale punto specifico.
Ovviamente - e concludo - ci riserviamo di intervenire in sede di discussione sia degli articoli sia degli emendamenti. Ciò che posso dire, a nome del gruppo che ho l'onore di rappresentare, è che noi affronteremo la discussione con coerenza, portando avanti i nostri principi, le nostre posizioni e le nostre battaglie di sempre.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cicchitto. Ne ha facoltà.
FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio intervento sarà breve, perché le ragioni del gruppo di Forza Italia sono già state rappresentate in modo perfetto nell'intervento dell'onorevole Donato Bruno.
Rispetto a varie operazioni mediatiche che sono state fatte, voglio premettere che, come vale il proverbio secondo il quale «lePag. 61bugie hanno le gambe corte», così anche in politica la furbizia ha il fiato corto.
La nostra sensazione - lo dico molto francamente - è che la discussione sulle riforme costituzionali, così fortemente accelerata dalla maggioranza, discende più da una sua esigenza tattica di guadagnare tempo rispetto alla crisi che le rotola all'interno, che non da quella di affrontare davvero questo nodo.
Comunque, esistono per poi quattro ragioni - tre politiche ed una che riguarda il merito del provvedimento - che danno senso alla nostra valutazione fortemente negativa. La prima ragione politica attiene ad un fatto sul quale non si può, (e lo si sta, invece, facendo) scherzare: i rapporti tra maggioranza ed opposizione.
Ho ascoltato l'intervento dell'onorevole professor Zaccaria che evocava il 1947. La scelta che fu fatta nel 1947 da De Gasperi, da un lato, e da Togliatti, dall'altro, derivava in primo luogo da ragioni di fondo, dovute al fatto che l'Italia non aveva ancora una Carta costituzionale e doveva averla.
In secondo luogo, essa derivava da una valutazione e da una scelta di fondo importante compiuta allora dal Partito comunista italiano - e da Palmiro Togliatti in primo luogo -, che riteneva, per un verso, che non fosse definitiva la rottura (e che anzi su quel terreno vi fosse un filo che rimaneva e poteva essere recuperato nell'ottica della riproposizione dell'alleanza di unità nazionale) e, in secondo luogo, voleva costruire un assetto costituzionale nel quale è indubbio il segno dell'elaborazione politica e culturale del Partito comunista dell'epoca, specie per quanto riguarda la prima parte della Costituzione.
Ci troviamo oggi in una fase totalmente diversa: dobbiamo modificare la Costituzione - una Costituzione che è alle nostre spalle e che abbiamo davanti -, e non c'è un'urgenza. Quella evocazione, a mio avviso, è fatta intelligentemente, ma non coglie il dato che noi abbiamo, consistente nel fatto che siamo usciti, dopo uno scontro durissimo, al 50 per cento nei rapporti di forza. E non si venga a dire che la vicenda del Senato deriva da una cattiva legge! No, la vicenda del Senato discende dal fatto che mentre alla Camera voi avete avuto 24 mila voti in più, al Senato il centrodestra ne ha avuti 250 mila in più.
Quindi, o c'era una legge veramente «truffa», oppure qualunque legge non poteva non registrare questa situazione dei rapporti di forza, salva la complicazione del premio regionale e non nazionale, che però è derivata anche da un ukase della Presidenza della Repubblica dell'epoca.
È emerso, quindi, il dato relativo a tali rapporti di forza. Pertanto, dopo aver preso atto di questi rapporti di forza - voi lo dimenticate e lo dimentica la pubblicistica - il presidente Berlusconi compì una mossa di non poco conto, ossia tentò di stabilire, con una maggioranza risicatissima, i termini di un Governo di larghe intese.
La risposta è stata negativa non solo su quel terreno, ma anche per l'occupazione totale che avete compiuto delle massime cariche dello Stato e addirittura - lei, onorevole Violante, lo ricorderà perché intervenne in quella polemica - quando l'opposizione indicò, nell'ambito della maggioranza, un nome per la candidatura alla carica di Presidente della Repubblica. Poiché non si tratta di segreti, ripeto in Aula quel nome: si trattava di Giuliano Amato. Ci fu risposto che era quasi una discriminazione, perché Giuliano Amato storicamente non aveva in tasca la tessera del Partito comunista italiano.
Questo è lo stato da cui partiamo; dopodiché, stiamo assistendo ad uno smantellamento di tutte le leggi approvate dal centrodestra, anche se la maggioranza, per la logica - peraltro in crisi - dei suoi assetti interni, sta andando verso guai inutili (come quello di rimettere in discussione la legge di riforma delle pensioni che il centrodestra aveva adottato e di cui si era assunto l'onere, consegnandovi una situazione nella quale potevate evitare danni maggiori).
Pertanto, in primo luogo abbiamo assistito ad un rifiuto di una proposta politica molto forte e pesante; in secondo luogo, ad un'occupazione totale del poterePag. 62delle massime cariche dello Stato; in terzo luogo, ad un deterioramento dei rapporti politici, derivante dallo smantellamento di ogni legge che il centrodestra aveva emanato nel suo periodo di Governo.
Inoltre, oggi indubbiamente ci troviamo in una situazione in cui emerge la crisi di fondo della formula politica su cui è basata la vostra maggioranza, ossia il rapporto fra la sinistra radicale e quella moderata e i centristi. Ai tempi del Governo di centrodestra, voi organizzavate contro di noi una o due manifestazioni al giorno, mentre oggi siamo al punto che vi fate le manifestazioni l'uno contro l'altro! Si tratta di un dato certamente paradossale, ma costituisce l'indice di tale situazione.
L'altra discriminante non risolta è che noi dobbiamo essere garantisti nel Parlamento senza porci problemi rispetto a quale dei componenti della maggioranza viene colpito dalla magistratura, mentre le componenti e le realtà giustizialiste sono tutte interne alla vostra maggioranza: si sta svolgendo una resa dei conti incredibile fra il Ministro Di Pietro e il Ministro Mastella e si tratta di una resa dei conti che sembra dimenticare, a fronte di un atteggiamento garantista dell'opposizione, che gli avvisi di garanzia a Catanzaro sono stati inviati sia al Presidente del Consiglio, sia al Ministro guardasigilli. Pensate cosa sarebbe successo a parti rovesciate (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
Ciò premesso, secondo la nostra analisi non esistono, per vostra responsabilità, i presupposti in termini di rapporti politici, in Parlamento e nel Paese, fra maggioranza e opposizione.
Riteniamo che il Governo abbia fatto e stia facendo dei danni, che sia in crisi la formula su cui esso è stato costruito ed anche che tatticamente questa abile mossa - parlavo di furbizia prima, onorevole Violante - di incardinare nel Parlamento il discorso sulle riforme costituzionali discende da un tentativo, anche abbastanza disperato, di guadagnare tempo in attesa di giorni migliori. Tuttavia, non esiste il presupposto; lo diciamo in quest'Aula e anche al Presidente della Repubblica. A nostro avviso, il deterioramento dei rapporti politici è tale che non può valere il fatto che, siccome si tratta di riforme costituzionali, se dovesse esplodere una crisi politica, potrebbe costituire una ragione per riparlarne fra tre o quattro anni.
Vi è, inoltre, un discorso di merito, perché le nostre ragioni sono in parte di natura politica, ma riguardano anche il merito del provvedimento in esame.
Qualche giorno fa, accendendo la televisione, ho visto un nostro collega, l'onorevole Franceschini (che è anche un bravo romanziere) - che, fra l'altro, a me sta simpatico e che ha avuto anche una carica importante, perché è il secondo del ticket con Veltroni -, che auspicava che l'opposizione convergesse sulle riforme costituzionali.
Evidentemente la sua vena da romanziere lo porta anche ad un meccanismo psicologico di rimozione, perché oggi stiamo discutendo di questioni che si potevano emendare, ma che erano state risolte già nella precedente legislatura. Prendiamo atto con interesse che, quando la tematica del premierato viene avanzata dal centrosinistra non è più una deriva plebiscitaria, anche perché di deriva plebiscitaria non potete più parlare, perché avete costruito un partito di confronto sul terreno della deriva plebiscitaria, quale quello delle primarie.
A parte questo aspetto, su alcuni nodi che sono stati elencati adesso si propone: in primo luogo - e lo dico anch'io -, per mandare un segnale all'antipolitica, la riduzione del numero dei parlamentari; in secondo luogo, il premierato; in terzo luogo, il federalismo, e così via. Ebbene, su questo terreno vi era una legge molto più organica e compiuta di quella che voi proponete.
Vi sono, inoltre, due punti deboli e preoccupanti nella vostra operazione. In primo luogo, avete fatto una provocazione al Senato. Ricordo all'onorevole Violante che quando ci misurammo con una legge difficile e complessa qual era la legge sui servizi segreti, il Copaco rappresentò anche una sede di confronto fra Camera e Senato per avvicinare le posizioni in modoPag. 63tale da rendere indifferente se il confronto avveniva prima alla Camera e poi al Senato.
Voi fate una legge che rappresenta una provocazione nei confronti del Senato, dei suoi poteri e delle sue caratteristiche, con un'operazione propagandistica, ma precostituite già le condizioni negative da questo punto di vista. Infatti, qualche vostro collega del Senato ha già detto che loro non smontano tutta l'intelaiatura istituzionale perché la Camera ha deciso di smantellare una serie di poteri del Senato.
Inoltre, sul merito, la formula di un'elezione di secondo o di terzo grado del Senato suscita in me delle obiezioni molto rilevanti. La questione era disciplinata molto meglio dalla legge precedente.
In secondo luogo, non mettete mano al Titolo V della Costituzione che, come ricordava Donato Bruno citando Barbera, non i testi del centrodestra, ha determinato dei guasti che sono ben visibili, anche in termini di un contenzioso che non finisce mai. Voi non lo avete neanche sfiorato.
Per quanto riguarda il premierato, capiamo che ci arrivate in ritardo e, quindi, su questo terreno vi muovete con particolari contraddizioni. Tuttavia, il premierato che qui è proposto è un flatus vocis. Il premierato ha un senso se ha due poteri, quello di revoca diretta dei ministri e quello di scioglimento delle Camere attraverso una richiesta rivolta al Presidente della Repubblica. Se non ci sono questi due nodi, se il Premier non ha questi due artigli, le cose che voi proponete sono assolutamente marginali e non vanno al nocciolo della questione.
Ricordava poco fa l'onorevole Donato Bruno che in questo Parlamento siamo tutti ammirati della capacità decisionale di Sarkozy, che però ha a disposizione degli strumenti costituzionali che gli consentono di fare cose che un Presidente del Consiglio italiano non si sognerebbe neanche.
Quindi, per concludere, il paradosso è rappresentato dalla sommatoria di ragioni politiche e di merito. Voi potevate metterci in difficoltà dal punto di vista delle ragioni politiche facendoci una proposta di merito molto forte, ossia sposando il nucleo della legge di riforma costituzionale approvata nella legislatura precedente. Invece, ci imputate di non essere sul fronte per quanto riguarda la riforma costituzionale, ma proponete una riforma dimezzata, che ha un senso politico preciso, ovvero quello di un tentativo disperato, tattico e di furbizia, di guadagnare tempo e, nel merito, facendo una complessa e complicatissima mediazione tutta al vostro interno.
Pertanto, concludo come l'onorevole Donato Bruno: vi faremo cimentare anche con emendamenti significativi, ma, poiché il confronto politico è fatto di verità e, francamente, non abbiamo nessun complesso di inferiorità da superare e nessun problema di dimostrarci à la page per quanto riguarda le riforme costituzionali (ne abbiamo approvata una molto incisiva nella passata legislatura), vogliamo francamente dirvi che, allo stato attuale delle cose, le nostre obiezioni politiche di merito sono molto, molto consistenti e serie, in quanto derivano da una valutazione politica generale e dal merito del provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Sospendo brevemente la seduta, che riprenderà alle 18,15.
La seduta, sospesa alle 18,05, è ripresa alle 18,15.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Alia. Ne ha facoltà.
GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche in questa legislatura discutiamo di riforme istituzionali e credo che la prima domanda - preceduta da una apprezzamento non formale, ma sostanziale, per il lavoro svolto in Commissione, innanzitutto dal presidente Violante e quindi dai nostri colleghi relatori Italo Bocchino e Sesa Amici - riguardi il motivo per cui questo tema sia ancora di attualità, nonostante vi sia stato un referendum popolare, subito dopo le elezioni politiche, che ha bocciato, a furor di popolo (è la prima volta che più del 50 perPag. 64cento degli elettori italiani si reca a votare per un referendum costituzionale), il testo approvato nella passata legislatura dal centrodestra. Si tratta di un tema di attualità, perché ci sono alcuni nodi che non sono risolti e vi è una domanda da parte dell'opinione pubblica di maggiore efficienza e di maggiore trasparenza dell'azione della politica nelle istituzioni. Credo che dovremmo fare una riflessione.
Dal nostro punto di vista, sono fallite tutte quelle ipotesi riformatrici che hanno legato la discussione e il dibattito sulle riforme ai destini di questa o di quella maggioranza politica - mi riferisco sia alla prima che alla seconda Repubblica -, perché è assolutamente evidente che, se non si separa il percorso del Governo da quello delle riforme, qualunque sia il Governo non c'è possibilità e prospettiva per un percorso certo sul piano riformatore. Hanno fallito, infatti, quelle riforme che sono state approvate a colpi di maggioranza. Ricordo le ultime due, per ragioni di importanza: in primo luogo, quella approvata dal centrosinistra nella legislatura 1996-2001, che ha modificato il Titolo V della parte seconda della nostra Carta costituzionale, il cosiddetto federalismo. A tal proposito - mi rivolgo al collega Cota - dovremmo intenderci anche sotto il profilo di come lo definiamo, perché esistono tanti modelli federali quanti sono quelli che ne parlano: a volte si parla di federalismo mentre ci si confronta sul regionalismo, sull'autonomia e così via. Credo che più che alle parole dovremo badare ai contenuti di ciò che vogliamo realizzare; lo dico anche patrocinando interessi che possono non essere miei, ma degli amici della Lega Nord.
C'è stata poi la riforma approvata dal centrodestra nella passata legislatura, che è stata bocciata dagli elettori e che, a nostro parere, ha anche compromesso la vittoria elettorale del centrodestra alle ultime elezioni politiche. Su questi temi un supplemento di riflessione da parte degli altri colleghi dei partiti di opposizione, dell'ex centrodestra, sarebbe forse opportuna e, per la verità, gli interventi che ascoltiamo in questi giorni non ci sembrano proprio tenere conto di questi che non sono trascurabili dettagli, ma che rappresentano, purtroppo, la storia recente di questa fase controversa sotto il profilo politico.
Come dicevo, è opportuno e necessario slegare il destino delle riforme da quello del Governo, anche perché con una battuta si potrebbe dire che, per quanto riguarda il Governo Prodi, ci pensano da soli i colleghi di maggioranza a farsi del male e a creare un'immagine e una sostanza di un Governo che non decide, che non governa e che è dannoso per il Paese. Credo che affrontare in quest'Aula un tema che sta cuore ai cittadini, indipendentemente dal livello di attenzione che oggi possono avere, ossia l'ammodernamento dell'apparato delle istituzioni pubbliche per dare più democrazia e più partecipazione ai cittadini stessi, scollegandolo dall'autolesionismo del Governo Prodi, non costituisca un aiuto per il Governo Prodi, tutt'altro.
Ritengo - mi rivolgo ai colleghi degli altri gruppi di opposizione del Parlamento - che sia sbagliato arroccarsi e chiudersi sulle posizioni del «no» a tutti i costi. Ciò, infatti, non solo non è giusto, soprattutto quando ci si confronta partendo da una piattaforma riformatrice che è quella che viene dalla passata legislatura, ma credo che sia anche politicamente sbagliato, perché consente a questo centrosinistra, che è disunito su tutto, di essere unito su una sola cosa, vale a dire su un modello di Stato che non è quello che a noi piace, o almeno che non ci piace del tutto.
Noi dell'UDC ci siamo astenuti in Commissione e all'onorevole Franceschini che, probabilmente, è stato molto distratto dal giro delle primarie del suo neonato Partito Democratico, vorrei dire che lo abbiamo fatto determinando le condizioni affinché anche altri gruppi di opposizione si astenessero, per ragioni di merito e non certamente per ragioni di metodo.
Sotto il profilo del metodo, ad esempio, rispetto al gruppo parlamentare di Forza Italia - con buona pace di falchi e falchetti che aleggiano al suo interno e che comunque, sotto questo profilo, nonPag. 65sono delle aquile né dei fulmini di guerra - abbiamo registrato con favore la convergenza del voto di astensione rispetto al testo che è stato definito in Commissione. Noi lo riteniamo un fatto importante perché, su questioni che attengono alle regole, l'UDC non ha mai tenuto una posizione diversa da quella dell'obbligo del confronto e del dialogo parlamentare, e lo abbiamo fatto anche nella passata legislatura.
Oggi è desueto individuare di chi siano le responsabilità, ma certamente se il centrosinistra di allora, anziché seguire Prodi e subire il diktat con cui impose il «no» al dialogo parlamentare, dopo i primi voti di astensione dei gruppi parlamentari dell'opposizione dell'epoca, avesse seguito i suoi parlamentari più responsabili che premevano per un confronto sul tema delle riforme, probabilmente non ci sarebbe stato il referendum, oggi discuteremo di altro e non riapriremmo vecchi dibattiti su un tema comunque importante e centrale. Lo dico non per un gioco allo «scaricabarile» di responsabilità, ma perché ciò appartiene alla storia. L'allora capogruppo dei DS, oggi presidente della Commissione, Luciano Violante, sa bene che vi fu un passaggio molto delicato in cui vi era stata un'apertura da parte dell'allora centrosinistra con un voto di astensione iniziale in Aula, ma successivamente l'allora candidato Premier, oggi Presidente del Consiglio, disse che non si doveva dialogare su quel tema. Credo che molti, per ragioni di schieramento, subirono quel diktat che fu sbagliato, come oggi è sbagliato il diktat che qualcuno vuole porre ad un dialogo che, se è costruttivo per il bene del Paese e prescinde dall'opposizione all'attuale Governo che noi consideriamo nefasto, è sempre giusto portare avanti, anche per non fornire alibi ad alcuno.
Signor Presidente, la nostra è stata un'astensione sul merito perché abbiamo contribuito con una serie di proposte di modifica al testo che i relatori avevano predisposto. Alcune innovazioni ci sono piaciute e le abbiamo votate; mi riferisco, ovviamente, alla riduzione del numero dei parlamentari, all'eliminazione dell'elettorato attivo e passivo per il Senato a venticinque anni (per cui oggi questo testo consente ai diciottenni di votare sia per la Camera sia per il Senato, e di essere eletti in entrambi i rami del Parlamento), nonché all'abbassamento a quarant'anni dell'elettorato passivo per la carica di Presidente della Repubblica.
Credo che questi siano aspetti da non sottovalutare, in quanto, oggi, il nostro Paese vive una crisi, anche generazionale, delle sue classi dirigenti. Il Paese, infatti, non si può più permettere una classe dirigente, nella migliore delle ipotesi, di sessant'anni, poco importa se in politica, all'università, in magistratura o in qualsiasi altra professione. Il Paese, anche sotto tale profilo, necessita di un rinnovamento generazionale profondo che deve partire dalla politica.
Ci piace la rimodulazione dei poteri del Governo e di un premierato - mi spiace non essere d'accordo con il collega Cicchitto - forte, anche se in un sistema di democrazia parlamentare. Nella passata legislatura abbiamo effettuato un'altra operazione, ovvero abbiamo introdotto un sistema di premierato forte, immaginando e costruendo la figura del Presidente del Consiglio dei Ministri sull'elezione diretta dello stesso. Abbiamo previsto all'interno della Costituzione non solo l'elezione diretta del Presidente del Consiglio, ma anche l'opzione sulla legge elettorale tendenzialmente maggioritaria, che fosse a supporto di tale elezione, ovviamente temperando il ruolo e la funzione del Parlamento.
L'ipotesi di cui, oggi, discutiamo è molto più vicina alla nostra tradizione politica di democratico-cristiani - ma credo che dovrebbe essere tale anche per chi ha altre tradizioni, come quella socialista - in quanto guarda ad un Premier forte che si confronta con un Parlamento forte (ma che non si sostituisce al Premier in competenze che, costituzionalmente, devono appartenere al Presidente del Consiglio, e non al Parlamento) e che rivendica l'autonomia del suo ruolo in unaPag. 66logica di pesi e contrappesi che, credo, abbia rappresentato la salvezza del Paese, anche nei suoi anni più bui.
Ho parlato di poteri del Governo non genericamente, in quanto comprendono non solo il potere di nomina e di revoca dei Ministri da parte del Presidente del Consiglio (ancorché mediati dalla funzione insostituibile del Capo dello Stato), ma perché nel testo in esame si effettua anche una revisione del potere normativo del Governo. Mi riferisco alla decretazione d'urgenza - che è riportata nel proprio alveo costituzionale - il cui abuso nasce dall'alterazione che, di fatto, un sistema bipolare sbagliato ha introdotto nell'attività ordinaria delle nostre istituzioni.
Non è attraverso l'abuso della decretazione d'urgenza, infatti, che si rafforzano i poteri del Premier e si trasferisce la cosiddetta volontà popolare, in quanto la decretazione d'urgenza nasce da altre esigenze e ragioni. Quindi, molto opportunamente nel testo si precisa quale sia la portata normativa della decretazione d'urgenza del Governo e si amplia l'intervento prioritario dell'iniziativa legislativa dell'Esecutivo nel rapporto con il Parlamento, anche con riferimento ai decreti legislativi, sottoposti, comunque, in modo positivo e in misura maggiore al controllo parlamentare.
Ciò che ci lascia perplessi in ordine al provvedimento in esame, signor Presidente, sono alcuni problemi non risolti. Il primo riguarda il Senato federale. Infatti, insieme alla Lega Nord, abbiamo votato a favore dell'emendamento volto a introdurre l'elezione indiretta del Senato federale, in quanto abbiamo compiuto una scelta semplice, chiara e non ibrida: avere una seconda Camera non più elettiva, ma che rappresenti la sintesi dei territori e che sia eletta in parte dai consigli regionali e in parte dal sistema delle autonomie locali.
Tuttavia, dobbiamo essere consequenziali. Non possiamo immaginare, infatti, che il Senato federale abbia le competenze legislative attribuitegli dal testo licenziato dalla Commissione, in quanto non presenta un'investitura popolare diretta.
Per tale motivo, abbiamo riproposto un emendamento che prevede l'elezione a suffragio universale diretto del Senato federale della Repubblica (ma con una durata sfalsata rispetto alla Camera: prevediamo, cioè, una durata del Senato federale di sei anni), qualora si ritenesse di non ridurre il numero delle competenze legislative dello stesso, in particolare di quelle introdotte dalla nuova formulazione proposta dell'articolo 70 della Costituzione, che stabilisce alcune funzioni legislative collettive della Camera e del Senato federale della Repubblica.
Quindi, su questo tema siamo disponibili al confronto: se scegliamo la strada di continuare sul percorso del Senato a elezione indiretta, le funzioni legislative devono essere ridotte, mentre devono essere ampliate altre funzioni. Lo dico ai colleghi della Lega: presenteremo un emendamento che amplia e attribuisce in via esclusiva i poteri di inchiesta parlamentare al Senato federale - in ordine alla verifica dell'attuazione di tutte le norme che riguardano il Titolo V, della parte seconda, della Costituzione, e quindi sull'attuazione del federalismo - e che introduce e attribuisce al Senato federale il ruolo di Camera di compensazione dei conflitti tra Stato e regioni, in via preliminare rispetto all'impugnativa delle leggi regionali e statali, di cui all'articolo 127 della Costituzione, davanti alla Corte costituzionale. Un Senato federale a elezione indiretta, infatti, ha queste caratteristiche: non può avere un potere legislativo ampio, se non per le leggi di sistema, perché ampliare il potere legislativo di un organo privo di caratterizzazione politica, e che quindi non è espressione di sovranità popolare, significa introdurre un corto circuito nel sistema virtuoso che si cerca di costruire, a fatica, con questa riforma.
Occorre essere chiari. Sappiamo che, se procediamo lungo la strada del Senato federale con elezione indiretta, dobbiamo ridurne le competenze legislative, ampliarne i poteri di inchiesta e farlo diventare la Camera di compensazione dei conflitti tra Stato e regioni, che credo sia molto più importante di avere qualchePag. 67competenza legislativa in più. Peraltro, non viene toccato l'articolo 117 della Costituzione, che tutti, compresi gli amici della Lega, riconosciamo essere inattuabile. Infatti, si è reso necessario l'intervento della Corte costituzionale, con un'opera meritoria di supplenza, che non so fino a quando potrà durare.
Signor Presidente, ci lascia ulteriormente perplessi l'ampliamento del procedimento legislativo e la circostanza che non abbia trovato ingresso nel nostro dibattito la modifica dell'articolo 117 della Costituzione, che considero la madre di tutte le riforme. Non si può, infatti, disciplinare seriamente il federalismo fiscale con legge ordinaria, se non si capisce quali sono le competenze e le funzioni amministrative che svolgono lo Stato e le regioni.
Nella passata legislatura, quando abbiamo affrontato il tema della riforma costituzionale, abbiamo assistito a una polemica sui costi del federalismo. Si è detto che la riforma dell'allora Governo di centrodestra avrebbe ampliato i costi dello Stato e comportato una duplicazione di funzioni. Quella riforma non è passata, e oggi nel Paese aumenta il senso di insofferenza che alimenta quella brutta antipolitica. Infatti, i costi della politica aumentano, ma aumentano soprattutto i costi dell'apparato pubblico. Infatti, oggi, signor Presidente, vi sono strutture dell'amministrazione dello Stato rimaste in piedi - non ne è stata soppressa una - nonostante il massiccio passaggio di competenze legislative, e quindi anche amministrative, dallo Stato alle regioni, con la nuova - ormai non più nuova - formulazione dell'articolo 117 della Costituzione.
In questa logica, proponiamo un emendamento, che non è provocatorio, che propone la riduzione del numero dei consiglieri regionali. Non crediamo ai patti di autonomia con l'ANCI, l'UPI e i rappresentanti delle regioni.
Non ci crediamo perché sono stati già smentiti in sede di discussione sulla legge finanziaria. Vi era stato, infatti, un impegno, un patto sottoscritto tra il Governo e il sistema delle autonomie sulla riduzione del numero dei consiglieri che è già saltato al Senato semplicemente perché è un sistema che non regge: non possiamo, da un lato, giustamente ridurre il numero dei parlamentari e, dall'altro, consentire alle regioni di aumentare, così come è stato fatto, il numero dei consiglieri regionali. Per tale ragione, presenteremo una proposta emendativa volta a limitare il numero dei consiglieri regionali in un rapporto equilibrato tra popolazione, cittadini elettori e assemblee elettive.
Abbiamo delle perplessità anche sul ruolo dei parlamentari eletti nella circoscrizione estero ed è un tema che dobbiamo affrontare con assoluto equilibrio. Attualmente ci troviamo in una condizione che avevamo già rappresentato all'allora maggioranza di centrodestra: non è possibile che si affidi un potere determinante per la fiducia a questo o a quel Governo a parlamentari che non risiedono in Italia, che non pagano le tasse in Italia e che rappresentano un mondo certamente importante ma diverso come è quello degli italiani residenti all'estero.
Oggi la maggioranza al Senato della Repubblica, al di là del voto dei senatori a vita, si regge sul voto determinante di senatori eletti nella circoscrizione estero, e se ciò non avviene alla Camera è solo per l'effetto in parte «distorsivo» del premio di maggioranza della legge elettorale. Questa è la situazione e tutto ciò non è giusto, non è costituzionalmente corretto e altera il principio della sovranità popolare, fondamento della nostra Carta costituzionale, così come lo abbiamo conosciuto; è un tema che va affrontato e risolto.
Per questa ragione proponiamo il trasferimento di una tale rappresentanza al Senato o una riduzione sostanziale del numero dei deputati eletti nella circoscrizione estero o anche un'inversione rispetto alla previsione attuale che preveda sei deputati e dodici senatori. Tali provvedimenti sono necessari anche perché altrimenti non reggerebbe più neanche la proporzione del numero dei parlamentari che abbiamo introdotto con la riduzione.
Vi è la necessità di rivedere anche la norma costituzionale che riguarda il consiglioPag. 68delle autonomie. Non basta solamente affermare che la legge dello Stato fissa i principi generali, ma dobbiamo riflettere anche su un punto fondamentale: il consiglio delle autonomie, diventando un organo che elegge i senatori, cambia natura rispetto alla riforma del Titolo V (dove era considerato un organo consultivo delle regioni), e non può essere disciplinato solo dallo statuto o da una legge di principio. Per tale ragione presentiamo una proposta emendativa nella quale affermiamo che il consiglio delle autonomie locali è eletto da tutti i consigli comunali e provinciali della regione e la legge dello Stato ne disciplina le forme e i modi di funzionamento, di composizione e quant'altro, restando impregiudicata la parte di competenza regionale che è rinviata alla disciplina degli statuti e che riguarda l'esercizio dell'attività consultiva nei confronti della regione stessa. Secondo il nostro punto di vista tutto ciò è necessario perché altrimenti il sistema non reggerebbe.
Per la stessa ragione introduciamo un correttivo sulla contestualità perché, qualora si accedesse alla tesi del mantenimento dell'elezione indiretta del Senato federale, è evidente che la composizione dello stesso non può dipendere dal singolo governatore. Una disposizione nella Costituzione prevede che, se il presidente della regione si dimette, il consiglio regionale viene sciolto; ma, poiché agganciamo alla durata dei consigli regionali la durata in carica dei senatori di quella regione, dobbiamo introdurre una norma che preveda che, salvo il caso di rimozione o di mozione di sfiducia, nel caso di morte o di decadenza o di dimissioni del presidente della regione, resti in carica il vicepresidente della regione per tutta la durata del mandato elettorale, introducendo così una sorta di ticket e rinviando agli statuti la disciplina dell'esercizio delle funzioni vicarie.
Signor Presidente, vi sarebbero molte altre considerazioni da svolgere, ma ve n'è una alla quale teniamo più delle altre: proprio perché pensiamo ad un sistema bipolare in una democrazia parlamentare, riteniamo fondamentale che questa Assemblea affronti il tema della sfiducia costruttiva di stampo tedesco, sistema che consente di garantire condizioni di vero bipolarismo, nonché una certa stabilità di governo, in un rapporto equilibrato di dialettica tra il Parlamento, il Governo ed i cittadini elettori. Non ve ne sono altri.
Nelle ultime settimane e negli ultimi giorni abbiamo ascoltato dichiarazioni preoccupanti per la democrazia del nostro Paese. Ne cito qualcuna del seguente tenore: Il modello elettorale tedesco è un attacco al bipolarismo e alla democrazia.
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Lo ha affermato Maroni ...
GIANPIERO D'ALIA. No, signor sottosegretario, mi sto riferendo a dichiarazioni di esponenti del centrosinistra, dalla collega Chiaromonte in poi, tanto per capirci.
Credo che siano toni pesanti. Se vi è una cosa totalitaria e antidemocratica (non sono io ad affermarlo) è un'eventuale legge elettorale determinata dal referendum, ovverosia dall'accoglimento dei quesiti referendari, perché in tal caso saremmo di fronte ad una deriva neofascista che aleggia in maniera trasversale nelle opposizioni e nella maggioranza; in nessun Paese democratico esiste, infatti, un sistema elettorale in forza del quale chi raccoglie il 30 per cento dei voti ottiene il 55 per cento dei seggi. Capisco che ormai si confonde l'etica della decisione con quella della cooptazione - si tratta di due concetti distinti e separati - ma a quanti credono che il bipolarismo si fondi su una deriva referendaria vorrei dire che il prodotto del referendum sarebbe peggiore della legge Acerbo di mussoliniana memoria.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
GIANPIERO D'ALIA. Concludo brevemente, signor Presidente, affermando che sarebbe meglio un sistema bipolare che funzioni, anche con il peso della democrazia,Pag. 69che una deriva plebiscitaria e fascista, come verrebbe proposta dai quesiti referendari.
La riforma costituzionale, dal punto di vista del gruppo UDC, è legata alla legge elettorale. Non prendiamoci in giro! Legge elettorale e riforma istituzionale sono due facce della stessa medaglia, come accaduto nella passata legislatura, in cui a quella costituzionale si è accompagnata una riforma della legge elettorale. Può piacere come può non piacere, ma così è stato ed oggi è così anche dal nostro punto di vista; riteniamo pertanto fondamentale che si modifichi questo sistema elettorale.
Anche in ordine a tale aspetto, cari colleghi del centrosinistra, decidete cosa volete fare! Non è solo il tema della riforma costituzionale a dirimere le questioni, ma vi è anche quello della legge elettorale, perché se tali questioni non camminano di pari passo e se non ci fate capire seriamente i vostri intendimenti sulla legge elettorale, senza avanzare alcuna proposta, non si va da nessuna parte né sulla riforma costituzionale né sul resto.
A tale proposito vorrei dire a quanti ne discutono senza neanche sapere di cosa parlano, che il modello tedesco prevede due principi fondamentali. Il primo è costituito dallo sbarramento al 5 per cento, con l'eliminazione del frazionamento e della proliferazione dei partiti, diventati ormai solo dei marchi commerciali che infatti vengono registrati.
Il secondo principio è rappresentato dalla scelta diretta da parte del cittadino elettore con i collegi uninominali, anche contro le scelte dei partiti. Si tratta del sistema più libero e democratico, che serve a costruire progetti politici, partiti e schieramenti omogenei.
Ciò che si vuole oggi, invece, è mantenere lo status quo, consistente nella difesa del premio di maggioranza che ha prodotto il fallimento dell'attuale sistema elettorale, il cosiddetto porcellum: infatti oggi il futuro di questo Paese è nelle mani dei partiti con un consenso pari allo 0,01 per cento che, a seconda della parte che si compra il marchio, determina il risultato elettorale.
La cancrena vera del sistema attuale, la più grande immoralità, è data dal premio di maggioranza. Vorrei che l'onorevole Franceschini si dedicasse di più alle tecniche elettorali e meno ai romanzi, così eviterebbe di dire qualche sciocchezza anche sui sistemi elettorali: infatti, non si può contemperare, caro collega, il premio di maggioranza con lo sbarramento al 5 per cento, perché andremmo oltre la legge...
PRESIDENTE. Onorevole D'Alia, deve concludere.
GIANPIERO D'ALIA. Bisogna scegliere! Se vogliamo questo sistema costituito da tanti partitini manteniamo il premio di maggioranza e non parliamo di sbarramenti che non esistono; altrimenti dobbiamo adottare il modello tedesco, l'unico che consente un'azione di trasparenza e di moralizzazione della vita politica di questo Paese. Se non discutiamo del sistema elettorale insieme alla riforma, credo che non approderemo a niente e non avremo reso alcun buon servizio al Paese.
Il centrosinistra oggi ha la più grande responsabilità, dato che è maggioranza di Governo o presunta tale e, anche sulla legge letterale, oltre che sulle riforme, deve avere il coraggio di uscire dalla situazione nebulosa nella quale si trova [Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lussana. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, intervengo anch'io sulla proposta di modifica della parte seconda della Costituzione al nostro esame con un certo rammarico. Tale rammarico deriva dal fresco ricordo di come si sono svolte le vicende della passata legislatura per quanto riguarda il dibattito sulle riforme costituzionali e sulla revisione della parte seconda della Costituzione.Pag. 70
Il tema delle riforme è stato fortemente sentito dal Governo della Casa delle libertà, proprio anche sotto il forte impulso della Lega Nord Padania che di una diversa ripartizione delle competenze tra Stato e regioni (la cosiddetta devolution), dell'introduzione di nuove competenze esclusive regionali, della fine del sistema del bicameralismo perfetto ha fatto un preciso impegno elettorale ed un preciso impegno durante l'attività dei cinque anni di Governo.
In quei cinque anni di Governo purtroppo - lo ribadisco - abbiamo evidenziato la mancanza assoluta di un confronto e di un dialogo manifestata dall'opposizione di allora, oggi maggioranza di questo Paese che non so se rispondesse a certi diktat.
Ricordo, però, che nei numerosi passaggi parlamentari non ci si è mai voluti confrontare nel merito delle proposte che venivano avanzate. Tutto era finalizzato a strumentalizzare il tentativo difficile, difficoltoso e anche ambizioso di riformare la nostra Costituzione, di renderla più consona alle esigenze dei Paesi, le mutate e nuove esigenze degli enti locali, una mancanza di dialogo tutta finalizzata a una strumentalizzazione politica. Tale atteggiamento ha trovato, poi, il culmine nella mancanza di dialogo che causò il mancato raggiungimento del quorum previsto dalla nostra Costituzione per una riforma istituzionale di tale portata, con un'intensa propaganda contraria e demagogica messa in atto in vista del referendum. Tant'è che oggi ci troviamo in questa sede, dopo un anno e mezzo del nuovo Governo, con una nuova maggioranza, a riaprire il capitolo delle riforme istituzionali su molti di quei punti che già la nostra riforma, oggetto della consultazione referendaria, aveva toccato.
Non abbiamo condiviso il vostro atteggiamento di rifiuto del dialogo e del confronto per finalità politiche né abbiamo condiviso l'atteggiamento tante volte anche di terrorismo nei confronti della nostra riforma che si è manifestato durante la campagna referendaria.
Basti pensare alle cose che sono state raccontate, come le venti sanità regionali o le venti polizie locali: tutto per contrastare una riforma che sicuramente era perfettibile e poteva essere migliorata, ma che rappresentava un passo in avanti. Da lì si poteva ripartire in questa legislatura, magari abbassando i toni e con posizioni meno schierate tra destra, sinistra e quant'altro, per tornare a discutere del tema, apportandovi le migliorie necessarie.
Invece, adesso, siamo ancora qui: si riparte da capo, da zero perché quella riforma, purtroppo, è stata cancellata ed è chiaro che, adesso, chiedete all'opposizione il confronto ed il dialogo. Ci chiedete di essere responsabili. Ebbene, la Lega Nord Padania, nata per raggiungere il federalismo in questo Paese, facendone un preciso impegno politico, crede veramente molto nella necessità di giungere a riforme costituzionali ed auspica che tali riforme possano essere veramente condivise. Per tale motivo abbiamo tenuto un atteggiamento responsabile e non ci siamo sottratti al confronto in Commissione, così come non ci sottrarremo dal confronto in Assemblea.
Tuttavia, non possiamo non evidenziare che questa improvvisa accelerazione sulle riforme ha, in sé e per sé, qualcosa di sospetto. Non se ne è parlato per un po' e poi, dopo l'estate, vi è stata questa accelerazione, sicuramente legata alla crisi interna che questa maggioranza sta vivendo. Questa maggioranza si sta sgretolando, anche nelle aule parlamentari (soprattutto al Senato), dopo aver perso la fiducia dei cittadini, trascorso solo un anno e mezzo di Governo nel corso del quale non è stata capace di risolvere nessuna delle esigenze pressanti provenienti dal Paese e dalla piazza che rappresentate (la manifestazione della sinistra radicale, dello scorso sabato, ha fornito una precisa indicazione in questa direzione).
Vi è stata, così, questa accelerazione sulle riforme istituzionali dove si sa che vi possono essere, dall'altra parte, nell'opposizione, forze disponibili all'ascolto e al dialogo. Ebbene, la Lega Nord Padania, haPag. 71tenuto un atteggiamento di confronto e di dialogo, ma ciò non vuol dire che avalleremo la posizione di chi, magari, vuole fare delle riforme istituzionali un modo per ottenere una facile scialuppa al Governo Prodi. Le riforme ed il dialogo sulle riforme non possono essere un modo per allungare la vita ad un Governo traballante, già politicamente morto.
Vedremo come si svolgerà il dibattito in aula; in Commissione ci siamo astenuti per una ragione di merito: riteniamo, infatti, che il testo che ci viene proposto - che, sicuramente, è più ampio rispetto alle intenzioni originarie di questa maggioranza e tocca aspetti che il testo iniziale non prevedeva - possa e debba essere modificato.
Se questa maggioranza crede nelle riforme costituzionali ed in quello che ci propone, deve avere il coraggio di andare oltre. Bisogna avere il coraggio di fare passi in avanti. Come Lega Nord Padania, ci confronteremo su alcuni punti che abbiamo evidenziato e che potrebbero essere migliorati nel dibattito parlamentare; sulla base dell'accoglimento delle nostre proposte, quindi, valuteremo l'atteggiamento da adottare sulle singole proposte emendative e, chiaramente, da ciò, dipenderà molto il voto finale su questo testo di riforma.
Vi sono aspetti che non è possibile non condividere e che condividiamo pienamente (se ne è parlato nell'intervento del collega del mio gruppo che mi ha preceduto, come negli interventi di altri colleghi), come, ad esempio, la riduzione del numero dei parlamentari. Tale previsione era presente nella nostra riforma, che è stata bocciata dai cittadini, i quali, adesso, chiedono una riduzione dei costi della politica.
Finalmente ci proponete un testo che si muove in tale direzione, riducendo il numero dei parlamentari e aprendosi ai giovani, poiché prevede di ridurre l'età per l'elettorato per la Camera dei deputati.
Tuttavia, riteniamo che anche in tal caso si possa compiere un ulteriore passo in avanti. Infatti, la Lega Nord Padania ha presentato alcune proposte emendative per ridurre a 400 il numero dei deputati, in luogo dei 500 previsti, e per eliminare gli eletti all'estero, sia per la Camera che per il Senato federale. Abbiamo altresì presentato emendamenti diretti a prevedere che le regioni del nord abbiano una maggiore rappresentanza nel nuovo Senato federale.
Tuttavia, ciò che ci interessa veramente è che la configurazione delle due Camere, ossia della Camera dei deputati, come portatrice degli interessi nazionali, per così dire a titolo esemplificativo, e della seconda Camera, come effettivamente rappresentativa delle regioni e delle autonomie locali, abbia un significato pieno.
La proposta che ci viene presentata appare sicuramente apprezzabile: pone fine al bicameralismo perfetto e crea veramente una seconda Camera rappresentativa delle autonomie delle regioni, come è stato già detto, fra l'altro muovendosi nella direzione di quanto avviene nel Bundesrat della vicina Germania. Abbiamo apprezzato molto il fatto che non vi sia stata la scelta dell'elezione diretta, bensì di secondo grado. Tuttavia, in considerazione del fatto che siamo giunti a questo punto, conviene compiere un passo in avanti.
Nell'ambito dell'intervento svolto dall'onorevole collega dell'UDC, non ho condiviso il fatto che si voglia ridimensionare il Senato federale sotto il profilo delle competenze. Non credo che un'elezione di secondo grado non sia compatibile con le nuove, importanti ed esclusive competenze, che invece tale Senato deve avere e che devono essere rafforzate. Ciò, per essere realmente la voce dei territori, dei quali poi, chiaramente, verrà compiuta una sintesi. Non prevarranno i campanilismi di questa o quella regione: ci mancherebbe altro! Tuttavia, perché tale voce si faccia effettivamente sentire e si tratti di un'operazione non solo di forma o di immagine, ma anche di sostanza, è importante conferire competenze al Senato federale ed è altresì importante che quest'ultimo non abbia la funzione di un organismo consultivo.
Per tale motivo, riprendendo quanto già affermato dal collega che mi ha preceduto nel suo intervento, la posizionePag. 72della Lega Nord Padania è chiara: chiediamo che vi sia un aumento del quorum di maggioranza con cui la Camera dei deputati può superare le deliberazioni del Senato federale in determinate materie di legislazione.
Quindi, riteniamo che, affinché possa determinarsi un'ingerenza della Camera dei deputati sulle decisioni del Senato federale non possa e non debba essere sufficiente una maggioranza politica, con un certo quorum della maggioranza assoluta, ma occorra un quorum rafforzato, cioè una maggioranza qualificata, al fine di sottolineare la straordinarietà della possibilità di un simile intervento. In caso contrario, anche se istituiremo il Senato federale, una maggioranza politica facilmente raggiungibile, chiaramente, condizionerà le scelte dei territori: è inaccettabile! Pertanto, chiediamo un preciso impegno per elevare il quorum, proponendo di arrivare ai tre quinti.
Nel corso degli interventi che si sono susseguiti, si è anche parlato di una necessità di revisione dell'articolo 117 della Costituzione. Vorrei far presente che, noi della Lega Nord Padania, riteniamo che il fatto di non aver approfondito nuovamente la questione della revisione dell'articolo 117 della Costituzione sia una occasione mancata. La proposta di riforma costituzionale in discussione non tocca tale tema. Non so per quali ragioni non si intenda entrare nel merito. Forse vi è la fretta di approvare un provvedimento, una riforma che, ripeto, possa essere un salvagente per il Governo. Non ne conosco le ragioni e non vorrei essere maliziosa, pensando ciò.
Tuttavia, è chiaro che non si può approvare una riforma di questo tipo che, ripeto, ha delle ombre ma anche delle luci - lo sottolineiamo, con onestà intellettuale - se non si rimette mano alla ripartizione delle competenze previste dall'articolo 117.
Abbiamo visto - e lo dimostrano i numerosi ricorsi alla Corte costituzionale - quanto nutrite siano le difficoltà che questa stesura dell'articolo 117 sta purtroppo manifestando con sempre maggiore evidenza. Occorre fare più chiarezza nella ripartizione delle competenze, perché altrimenti si rischia la paralisi! È doveroso e necessario intervenire. Questa «non chiarezza» può essere un alibi per giustificare un aumento dei costi: quante volte si è detto, da parte degli scettici del federalismo, che il federalismo costa. Il federalismo costa se non è ben attuato, se non è ben ideato, se non è ben applicato; il federalismo costa se è una duplicazione. Il federalismo non costerebbe, se ci fosse una netta e chiara ripartizione di ciò che spetta allo Stato e di ciò che spetta alle regioni. Questo è un aspetto che non è stato toccato e che invece dovrebbe essere affrontato.
Altre parti della riforma, si è detto, riguardano la decretazione d'urgenza, l'utilizzo del decreto-legge. Effettivamente, abbiamo visto come in questa legislatura, dove al Senato è difficile arrivare alla maggioranza parlamentare, si cerca sempre di più di battere la via del decreto-legge: con questo abuso della decretazione d'urgenza, senza che tante volte ve ne siano i presupposti, si compie uno «scippo» alle competenze del Parlamento. Su tale materia alcuni aspetti devono essere rivisti.
C'è poi il discorso, che è stato affrontato, di una nuova disciplina dell'amnistia e dell'indulto, sottratti alle competenze bicamerali e affidati unicamente alla Camera dei deputati. Non si tocca invece il quorum, attualmente previsto dall'articolo 79 della nostra Costituzione. L'adozione dei provvedimenti di clemenza è un tema sul quale questo Parlamento si è ampiamente diviso. Si poteva forse fare un passo in avanti: ricordiamo che la maggioranza qualificata dei due terzi, che oggi viene richiesta, è stata introdotta quando è stata modificata la Costituzione, sostituendo un meccanismo molto più farraginoso che prevedeva addirittura un'autorizzazione presidenziale; questo per farci capire come si tratti di materie assolutamente delicate, di strumenti che devono essere utilizzati in via assolutamente eccezionale.
Sono stati comunicati la scorsa settimana i dati negativi per quanto riguarda l'adozione dell'indulto. Si era detto chePag. 73sarebbe stato un provvedimento che non avrebbe minato la sicurezza dei cittadini. Abbiamo commesso degli errori enormi, anzi avete commesso, voi che l'avete votato, degli errori enormi, non escludendo reati, ad esempio, come l'omicidio dall'elenco dei reati per i quali si applica tale misura.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
CAROLINA LUSSANA. E allora è chiaro che noi, anche per questa materia così delicata, chiediamo un procedimento rafforzato, il procedimento della legge costituzionale, così da sottoporre questi provvedimenti al giudizio dei cittadini per via referendaria.
Ci sono ancora altri aspetti, come ad esempio la stabilità di Governo. Non è stato affrontato l'istituto della sfiducia costruttiva.
Questo è un argomento che deve essere preso in considerazione: non so se riusciremo ad arrivare ad una nuova legge elettorale condivisa prima della scadenza della legislatura, ma sicuramente è un tema che deve essere affrontato.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
CAROLINA LUSSANA. Concludo riferendomi ad un ultimo emendamento che il gruppo della Lega Nord Padania presenterà e che riguarda le norme sui senatori a vita. Su questo argomento si è fatta grande polemica: è però innegabile che, al Senato, la maggioranza è stata salvata troppe volte dai senatori a vita. Chiediamo, dunque, che essi rimangano con il loro ruolo ma che non possano avere diritto di voto, poiché non è possibile che una maggioranza sia condizionata dalla loro presenza o meno in Aula.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Costantini. Ne ha facoltà.
CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, il gruppo dell'Italia dei valori ha seguito con interesse e con partecipazione il percorso - breve ma intenso - che ha portato in Aula questa proposta di legge di revisione costituzionale. Lo ha fatto con convinzione, poiché giudicava strumentale la posizione di chi, all'interno dell'opposizione, affermava che non vi fossero le condizioni politiche per mettere mano ad un cambiamento della Costituzione. Ma lo ha anche fatto spinto dall'esigenza di rimuovere quelle condizioni di instabilità politica che gli stessi che le hanno determinate strutturalmente (con l'approvazione dell'attuale legge elettorale) ritengono oggi costituire elemento preclusivo del dialogo e del confronto fra tutte le forze politiche presenti in Parlamento: un dialogo ed un confronto che sono fondamentali, perché un processo di riforma (pur se solo parziale) della nostra Carta costituzionale possa avere all'orizzonte una meta e un possibile punto di arrivo.
L'attuale sistema elettorale, oltre i limiti che già conosciamo e che ormai sembrano condivisi da tutti, è nella sostanza incompatibile con l'attuale assetto costituzionale, che prevede che le due Assemblee legislative detengano gli stessi poteri ed esercitino le stesse funzioni e che richiede una doppia approvazione per tutte le iniziative legislative. Il rischio che nascano maggioranze diverse alla Camera e al Senato è, infatti, in realtà molto più che un rischio: e le conseguenze sul piano dell'instabilità dei Governi e delle maggioranze dovrebbero far comprendere a tutti, sia a chi governa oggi sia a chi pensa di governare domani, la necessità e l'urgenza di un intervento di riforma.
Tale intervento deve interessare il sistema elettorale, ma si rivelerebbe ancor più efficace nel caso in cui si riuscisse a condurre a compimento le poche, circoscritte modifiche della Costituzione contenute nel testo che approda oggi in Assemblea dopo un sereno e costruttivo confronto che si è svolto in Commissione grazie all'equilibrio e alla capacità di sintesi del presidente della Commissione e dei due relatori. Il superamento del bicameralismo perfetto e l'introduzione di un'unica Assemblea legislativa consentirebbero, infatti, di superare il limite maggiore dell'attuale, ma anche di molti altriPag. 74sistemi elettorali: quello di non poter assicurare che nelle due Assemblee si determinino equilibri politici omogenei a seguito dell'espressione del voto popolare.
Ma per superare in pieno questo meccanismo - che rende l'Italia l'unico (o comunque uno dei pochissimi) fra i Paesi occidentali con un sistema legislativo che obbliga due Assemblee elette entrambe a suffragio universale a fare esattamente le stesse cose e a ripetere le approvazioni già intervenute in una Camera anche nell'altra - era necessario fare molto di più rispetto a quanto previsto nella proposta di revisione costituzionale elaborata dal centrodestra pochi anni fa. Questo di più è costituito dal nuovo sistema di elezione dei senatori che è previsto nella proposta di legge oggi al nostro esame.
È un di più perché alla diversità sostanziale di ruolo istituzionale e di funzioni fra Camera e Senato federale si aggiunge la diversità di sistema di elezione dei loro componenti, una diversità senza la quale la riforma ed i suoi obiettivi sarebbero rimasti parziali; ed è un di più perché, prevedendo che l'elezione dei senatori avvenga da parte dei consigli regionali al proprio interno e dei consigli delle autonomie locali, si definisce un sistema che permette ai territori, alle regioni e alle autonomie locali, di entrare da protagonisti nel processo di formazione delle leggi dello Stato.
In questa sede non siamo intervenuti sull'articolo 117 e sui complessi meccanismi di definizione delle competenze legislative esclusive e concorrenti di Stato e regioni, che innumerevoli contenziosi hanno generato e continuano a generare dinanzi alla Corte costituzionale.
Ciò nonostante, sono convinto che l'approvazione di questa riforma consentirebbe - tra i tanti risultati possibili - anche un'enorme attenuazione delle tensioni manifestatesi in questi anni tra Stato e regioni sul piano del riparto delle competenze legislative, e di conseguenza anche una forte riduzione dei ricorsi dinanzi alla Corte costituzionale.
La mediazione - o meglio, la sintesi - tra le diverse vedute avverrebbe automaticamente, proprio per il ruolo che il Senato federale, e - suo tramite - le stesse regioni, potrebbero esercitare in tutte le fasi di formazione di una legge, durante le quali è previsto che il Senato si esprima sempre e possa anche proporre modifiche al testo approvato alla Camera, alla quale resta, comunque, la decisione finale, salvi i pochi ma significativi casi in cui la funzione legislativa resta esercitata collettivamente dalla Camera e dal Senato federale.
Ritengo quindi la soluzione proposta capace di esprimere un deciso salto di qualità, sia sul piano dell'efficienza e della rapidità dei processi di formazione delle leggi, sia sul piano della contemperazione degli interessi e delle prerogative dello Stato, delle regioni e delle autonomie locali. È un sistema che mette tutti di fronte alle più importanti responsabilità per un Paese, quelle che un Parlamento si assume, quando decide di poter varare una legge.
E se significativo sarebbe il miglioramento del sistema sul piano dell'efficacia del suo funzionamento, ancor più significativi sarebbero i vantaggi in termini di riduzione dei costi della politica. Il Senato sarebbe composto da poco più di centottanta senatori, ma anche la Camera subirebbe una robusta cura dimagrante. Nel testo è infatti prevista la riduzione dei deputati a 500, oltre a quelli eletti all'estero: un taglio complessivo, quindi, di circa 300 parlamentari, certamente un taglio significativo nell'ottica di ridurre i costi della politica.
Sulla questione dei parlamentari eletti all'estero sono certo che in Assemblea si riproporrà il confronto che, in parte, si è già sviluppato in Commissione, e per questo ritengo opportuno chiarire subito qual è la nostra posizione, la posizione del gruppo dell'Italia dei Valori.
Ha ragione chi sostiene che meccanismi elettorali così diversi - perché radicalmente diversi sono i sistemi elettorali previsti per i parlamentari nazionali rispetto a quelli eletti all'estero - rischiano di alterare gli equilibri politici ed i rapportiPag. 75tra maggioranza ed opposizione espressi dalle urne a livello nazionale.
La soluzione del problema va rinvenuta, però, nella modifica del sistema elettorale, e non certo nell'eliminazione dei parlamentari eletti all'estero.
Noi siamo, quindi, contrari al ritorno al passato e convinti che i parlamentari eletti all'estero - per la funzione che svolgono, per i rapporti che sono tenuti a conservare con i territori di provenienza, per l'efficace svolgimento del mandato elettorale - rappresentino la risposta migliore alla domanda di partecipazione e di condivisione delle scelte impegnative per il futuro del Paese che ci arrivano da chi - per necessità, nella stragrande maggioranza dei casi, e non per scelta - è costretto a vivere lontano dall'Italia.
È poi previsto un significativo rafforzamento dei poteri del Governo, che può chiedere che un disegno di legge sia iscritto all'ordine del giorno con priorità rispetto agli altri e sia esaminato entro un periodo di tempo predeterminato.
Sempre al Presidente del Consiglio è attribuito il potere di proporre la nomina e la revoca dei Ministri, una previsione diversa da quella contenuta nell'ipotesi elaborata dal centrodestra, che tutela le prerogative costituzionali e di sistema del Presidente della Repubblica.
Anche questa modifica rappresenta un passo in avanti importante sul piano della funzionalità dell'attività del Governo, che responsabilizza ulteriormente il Presidente del Consiglio dei Ministri che, ormai, nell'applicazione pratica dei più recenti sistemi elettorali, è indicato direttamente con l'espressione del voto popolare.
Vi sono poi altre modifiche che completano il quadro di una riforma «piccola», se ci fermiamo al numero degli articoli che andiamo a modificare, ma «grande» se consideriamo i potenziali benefici che deriverebbero dalla sua approvazione. Una modifica che responsabilmente dobbiamo conquistare, evitando il più possibile il pericolo - che purtroppo ormai sembra molto più di un pericolo - che l'asprezza del confronto politico del momento possa condizionare negativamente le possibilità della sua approvazione.
Ovviamente, il mio non può che essere un auspicio che non intende minimamente sottovalutare le difficoltà del momento aggravate, per noi dell'Italia dei Valori, dall'attacco al principio dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura che si è consumato con il tentativo di trasferimento del sostituto procuratore di Catanzaro, il dottor De Magistris, e con la decisione ancora più recente di impedirgli di proseguire le indagini che aveva in corso.
Si tratta di un principio garantito dalla nostra Carta costituzionale, proprio la Carta costituzionale sulla quale stiamo lavorando, pensando di migliorarla. È una difficoltà in più con cui non possiamo e non potremo non confrontarci anche nel prosieguo della discussione.
Con tale spirito, intatto sul piano della valutazione positiva di ciò che stiamo facendo ma indebolito sul piano della convinzione ideale, continueremo nei prossimi giorni a dare il nostro contributo perché la riforma sia varata nel più breve tempo possibile (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Licandro. Ne ha facoltà.
ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Signor Presidente, oggi affrontiamo una discussione su un tema difficile, complicatissimo, in un momento altrettanto difficile e delicato della situazione politica italiana ed è un argomento che attraversa la vita politica del Paese da diversi decenni. Infatti, da diversi decenni si persegue ostinatamente una grande riforma, sin dagli anni Ottanta del secolo scorso, per dire e per sostenere l'esigenza e la necessità di innovare e modernizzare il nostro impianto costituzionale, la nostra architettura costituzionale, rendere cioè, con parole anche ricche di enfasi, moderno il nostro Stato.
Il tema è diventato ancora più difficile e intricato dal 1989, da quando cioè il nostro Paese ha comunque imboccato unaPag. 76lunga, altrettanto difficile e non ancora superata transizione. Cosa abbiamo oggi alle spalle? Vi sono numerosi tentativi di riforme costituzionali perseguiti attraverso diverse esperienze di Commissioni bicamerali.
Abbiamo avuto il tentativo di manomissione pesante della Carta costituzionale repubblicana del 1948 attraverso la riforma varata, a maggioranza, dalla Casa delle libertà nella precedente legislatura e fortunatamente sconfitta, con uno straordinario esito referendario popolare, una riforma che avrebbe veramente messo in ginocchio il Paese piuttosto che aiutarlo a renderlo più moderno, più forte e all'avanguardia delle democrazie occidentali, come hanno sostenuto per lungo tempo i cosiddetti saggi di Lorenzago.
Inoltre, abbiamo dietro di noi numerosi tentativi di assestamento del sistema politico italiano, assecondati dai politologi ma anche da tantissimi «apprendisti stregoni», attraverso le riforme elettorali. Come è noto, e non è un'opinione di chi parla né del gruppo parlamentare dei Comunisti Italiani, l'Italia ancora non è uscita dal tunnel della transizione.
Oggi discutiamo una proposta di riforma costituzionale che certamente vuole rispondere ad un'esigenza, cioè rendere almeno il Parlamento più forte, più agile ed efficace nella sua azione legislativa, ma così come essa viene proposta, così come è stata configurata nel suo impianto, tale proposta al momento ci risulta difficilmente accettabile.
Ciò non soltanto perché richiama, per molti versi, la riforma bocciata dal referendum dello scorso anno, che, come dicevo prima, fu varata dalla Casa delle libertà soltanto a maggioranza, ma perché è proprio nel merito che non ci convince e perché non aiuta affatto il Paese a darsi quegli aggiustamenti e quell'architettura costituzionale di cui oggi avrebbe bisogno.
La proposta, incentrata innanzitutto sulla trasformazione del Senato della Repubblica in Senato federale, così come viene formulata, trova la nostra contrarietà. Non riteniamo che l'idea di un Senato federale che, in qualche modo - perché alla fine si tratta di cose diverse - riecheggi l'impianto del Parlamento tedesco, dia al Parlamento italiano quella forza e quella struttura in grado di farlo procedere più celermente nella sua attività legislativa.
Un Senato che perde il carattere elettivo e che è espressione delle maggioranze che si formano nei consigli regionali, francamente, non credo serva all'Italia (può anche non convincere i Comunisti Italiani, ma credo che non serva all'Italia). Se fosse così - non è soltanto una provocazione, nel momento in cui si parla di tagli dei costi nella politica - tanto varrebbe abolirlo e riproporre un tema che appartiene alla storia della sinistra italiana e dei comunisti di questo Paese sin dalla Costituente, sin dal 1947, vale a dire la proposta di un Parlamento monocamerale. Credo che, se volessimo davvero dare una risposta forte e più radicale, visto che questo termine lo si usa spesso a sproposito, dovremmo seguire questa strada.
La proposta di un Parlamento con un Senato federale che richiami in qualche modo il modello tedesco secondo noi sottende altro, cioè la predisposizione di un assetto costituzionale cui agganciare una legge elettorale che noi avversiamo con estrema determinazione, una legge elettorale alla tedesca. Ciò appartiene al dibattito politico non solo di questi giorni, ma davvero dei mesi che abbiamo alle spalle, e soprattutto anche al dibattito politologico che, purtroppo, in questi ultimi decenni ha prodotto in Italia soltanto danni e macerie.
Infatti, pensare di modificare le leggi elettorali ogni anno, periodicamente e ciclicamente, nella speranza vana e illusoria di assestare un sistema politico che deve, invece, trovare altre dinamiche per raggiungere la stabilità, piuttosto che con le continue riforme elettorali, non rientra nelle nostre corde e nella nostra cultura istituzionale.
Serve allora a questo Paese una riforma di tal genere? Aiuta ad uscire dalla transizione, che - lo ripeto - dura dal 1989? Credo di no. Purtroppo, tale impianto - questa è la ragione del nostroPag. 77profondo dissenso - serve a soddisfare interessi particolari di alcune forze politiche e di quelle forze politiche che puntano, con assoluta determinazione, all'introduzione di un sistema elettorale diverso che ricalchi quello tedesco.
Se sono queste le coordinate del dibattito e dell'azione riformatrice, noi diremo di no, perché tale impianto riporta il Paese indietro di qualche decennio, al tempo in cui ci si presentava agli elettori con le «mani libere», senza sapere, né dire con chi poi si doveva governare e si sarebbe diretto il Paese. Noi, invece, siamo convinti che i cittadini italiani siano più avanti di noi, che abbiano metabolizzato e fatto proprio fino in fondo il sistema bipolare.
L'idea di un ritorno a qualche decennio fa, ad una sorta di proporzionale, che cancelli - da un lato, con l'introduzione di soglie di sbarramento elevatissime e, dall'altro, con la cancellazione del carattere elettivo del Senato - il principio della rappresentanza politica, che ricordo essere un principio costituzionale, riteniamo che sia un grave errore, che anche la maggioranza di cui facciamo parte è sul passo di commettere.
Dopodiché, ho sentito nel dibattito anche qualche sciocchezza, come quella secondo cui il Nord dovrebbe avere più peso nel Senato federale. Presidente Violante, non so che cosa volesse dire la collega della Lega Nord. Tuttavia, se restano tali elementi, lei capisce bene come le ambiguità di fondo in questo Paese permangano e non vengano dissolte da chi nel passato ha tentato con ogni determinazione di destrutturare questo Paese.
Perché la Casa delle libertà si è astenuta, mentre prima, nel merito, alcune sue importanti componenti, come l'UDC, la Lega Nord e parte di Alleanza Nazionale, avevano votato a favore? Perché alla fine si è astenuta, raggiungendo una falsa, apparente e ipocrita unità? Perché al loro interno sono profondamente divisi e probabilmente non c'è uno che la pensi allo stesso modo sull'impianto costituzionale che questo Paese deve avere e perché sono quelle forze politiche che, nei cinque anni che abbiamo alle spalle, volevano demolire la Costituzione repubblicana del 1948 e che non sono in disaccordo soltanto sulla legge elettorale.
Non sono d'accordo, non si trovano d'accordo, non trovano un'intesa sulla legge elettorale. È bene che queste cose si dicano e restino agli atti per fissare le coordinate vere della materia.
Dopo di che, non c'è dubbio che i colleghi della Lega Nord farebbero bene a parlare dei loro problemi piuttosto che di quelli della maggioranza: la Lega Nord è costantemente sotto ricatto del capo della Casa delle libertà, fino a quando resisterà al timone Silvio Berlusconi.
Vi sono stati interventi e cenni sulla crisi del Governo, sulla crisi di questa maggioranza, sulle responsabilità, sulle presunte tensioni provenienti da una parte dell'Unione, segnatamente dai partiti della sinistra, secondo il martellamento mediatico ben costruito (ma ovviamente del tutto falso e strumentale). Ma l'interpretazione autentica della manifestazione del 20 ottobre spetta soltanto a noi: siamo noi a rappresentare al Governo il senso della manifestazione di sabato, il significato politico e le rivendicazioni che sono venute da quella straordinaria partecipazione di popolo vero, composto, pacifico, democratico, senza nessun urlo, senza nessun insulto, neppure un cenno aspro nei confronti di un avversario formidabile, come Berlusconi. Nulla.
Da quella manifestazione è emerso soltanto un messaggio al Governo, quello di una sinistra unita che chiede al Governo di andare avanti sul piano delle riforme, anche di quelle costituzionali, ma soprattutto delle riforme vere, sulle politiche del lavoro, sulle politiche sociali, sulla scuola pubblica, sulla sanità, sull'università. Questo è quanto è emerso.
Mentre, al contrario, dalla Casa delle libertà ogni giorno c'è un bollettino di guerra. Basta leggere i quotidiani per provare un senso infinito e indicibile di pena: la crisi ogni giorno paventata dall'onorevole Berlusconi, le notizie trapelate, confermate, mai smentite, di un inaccettabile e immorale mercimonio di parlamentari. Potremo fare qualunque riforma costituzionale,Pag. 78ma se il sistema politico, il quadro dei valori e le idealità restano queste, è tutto vano.
Ma torniamo alle riforme. Noi presenteremo nel merito una serie di emendamenti. Ho già parlato del Senato federale e delle enormi perplessità che ci attraversano. Credo che si debba chiarire bene il terreno delle competenze che, per certi versi, sembra ancora pasticciato. Se ci si richiama all'impianto tedesco, bisogna ricordare che il Senato federale tedesco ha compiti estremamente limitati: sostanzialmente non ha competenza legislativa, mentre noi attribuiamo al Senato federale una competenza legislativa rilevante, anche su materie fondamentali.
C'è da chiarire bene tutta la materia relativa alla fiducia e all'impianto parlamentare. Non ci convincono alcuni passaggi che introducono surrettiziamente elementi di presidenzialismo. Cosa significa che il Presidente della Repubblica conferisce l'incarico tenendo conto dei risultati elettorali?
Cosa significa? Cosa nasconde questa generica espressione? Affronteremo la questione nel merito durante la discussione e l'esame da parte dell'Assemblea; tuttavia, non ci convince l'idea che si possa agevolare, ancor più di quanto sia materialmente accaduto nei fatti, un impoverimento ulteriore del Parlamento.
Per le ragioni che anche altri hanno esposto, ormai in questo Paese, anche attraverso le riforme del sistema amministrativo, le istituzioni democratiche assembleari hanno subito dei colpi formidabili, dai consigli comunali sino al Parlamento, a vantaggio, da un lato, degli Esecutivi, e dall'altro, dell'apparato burocratico.
Il vento impetuoso dell'antipolitica, che ha soffiato in questi mesi in Italia, è stato magistralmente orchestrato e orientato dalla grande stampa nazionale, che non è libera e indipendente in senso puro, ma è la voce forte di gruppi economico-finanziari che perseguono altri interessi, che nulla hanno a che vedere con la tenuta dell'impianto democratico di questo Paese.
Riteniamo che un Parlamento riformato in quel modo sia ancora più debole e che veda ancor più compresse le proprie funzioni, la propria dimensione, i propri margini d'azione e la possibilità di portare all'interno dell'Assemblea quei fermenti che esistono nel Paese e che rischiano di restarne fuori, costituendo poi il brodo di coltura di fenomeni devastanti e tragici.
Faccio un esempio, ma non alludo solo a questo, ovviamente: spesso siamo afflitti da una sorta di esterofilia che ci impedisce di entrare nel merito dei nostri problemi; guardiamo alla Francia, alla Spagna, alla Germania e all'Inghilterra, ma in Francia cosa accade? Come si spiega il fenomeno delle banlieu parigine se non analizzando un Parlamento, come quello francese, costruito con quella legge elettorale, che è ingessato, innaturale e che non rappresenta tutto ciò che è presente nella società francese? Vogliamo davvero andare in questa direzione? Pensiamo davvero che, per uscire da questa transizione, dobbiamo di nuovo rafforzare maggiormente i poteri dell'Esecutivo, a detrimento del Parlamento? Dobbiamo restringere lo spazio e il ruolo del Parlamento accettando ipocritamente che si tratti della riduzione di un costo della politica?
Se non vi è più una Camera come quella del Senato elettivo e se i membri dell'unica Camera politica che accorda la fiducia al Governo, ossia la Camera dei deputati, si riducono da 630 a 500, non vi sono tutti i rischi che noi già paventiamo? Io credo di sì.
Per tale motivo - e concludo - abbiamo tenuto un atteggiamento molto responsabile. Infatti, non abbiamo diviso la maggioranza, sebbene determinati accordi, ancora una volta come ormai sovente accade in questa legislatura, siano stati conclusi senza il concorso di una parte importante della coalizione, privilegiando alcune componenti e lasciandone fuori altre.
Tuttavia, per responsabilità non vogliamo incrinare l'Unione, così come abbiamo fatto da un anno e mezzo a questa parte. Abbiamo sopportato di tutto e chi crea tensioni e fibrillazioni nella maggioranzaPag. 79e nel Governo si trova esattamente da un'altra parte, ovvero sul versante moderato della coalizione.
Dunque, responsabilmente non fermeremo il processo riformatore; tuttavia, non rinunceremo alle nostre idee e valutazioni. Sarà compito di altri assumere la responsabilità delle fratture e delle incomprensioni. Siamo convinti, infatti, che sia un momento particolarmente delicato per il Paese e perseguiremo fino in fondo l'obiettivo di rappresentare il mandato popolare che gli elettori del centrosinistra hanno conferito all'Unione e al suo leader Romano Prodi per chiudere i cinque terribili anni della legislatura della Casa delle libertà, la quale ha destrutturato socialmente e moralmente il Paese.
Per tali ragioni ci auguriamo che si possa recuperare un vero dibattito di merito, sia all'interno dell'Unione, sia con le altre forze presenti nel Parlamento, ricordando l'impegno assunto dinanzi all'intera Nazione: non procedere a riforme costituzionali senza il consenso di tutti, in quanto questa è «la casa» di tutti. Ci auguriamo, quindi, che si possano recuperare nel merito e si possano correggere talune storture. Soprattutto, ci auguriamo che non si realizzi ciò che, surrettiziamente e per interessi politici di alcune forze politiche, si vorrebbe perseguire con riforme costituzionali sbagliate.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato La Loggia. Ne ha facoltà.
ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, vorrei svolgere qualche considerazione sulla riforma in esame e anche qualche valutazione politica connessa a questo delicatissimo argomento. La prima parola che mi viene in mente è: peccato. Sarebbe potuto essere, infatti, un momento certamente migliore e avremmo potuto seguire seriamente - anche insieme, come è giusto che sia - un percorso riformatore del quale hanno così tanto bisogno il Paese e i nostri cittadini, ai quali è sempre più difficile spiegare di cosa stiamo discutendo. Sino a quando non riusciremo a spiegare che, collegata alla riforma, vi è la funzionalità stessa dell'intero sistema istituzionale e burocratico del nostro Paese, probabilmente i cittadini continueranno a non essere così interessati ad un argomento che, invece, è di fondamentale importanza.
Bisogna spiegare ai cittadini che la riforma della Costituzione si rende necessaria per semplificare tante situazioni nelle quali si imbattono sostanzialmente ogni giorno, individualmente e con le loro famiglie, e che questo avrebbe potuto essere un momento di particolare riflessione costruttiva, per far fare un salto avanti al nostro Paese.
Peraltro, sino a quando non riusciremo a essere abbastanza chiari, si comprende il motivo per cui - lo devo dire con molta amarezza - anche un dibattito così importante, come quello che stiamo svolgendo, trova gli stessi rappresentanti dei cittadini, ossia i parlamentari, così distratti e poco interessati, molto probabilmente quasi a preconizzare un risultato, gli uni in positivo gli altri in negativo, di questo lungo percorso, senza arrivare a nessun esito concreto.
Peccato! Sono veramente amareggiato! Ricordo quante volte - lo dico per me stesso, ma anche per fotografare la situazione che si è sostanzialmente materializzata sotto i miei occhi in questi anni di partecipazione al Parlamento (prima al Senato e adesso alla Camera) e al Governo, come Ministro per gli affari regionali - abbiamo immaginato che, lavorando insieme, avremmo potuto finalmente far fare, veramente, un grande passo avanti al nostro Paese, sul modello di tante democrazie occidentali, come la Germania, l'Inghilterra, la Francia, gli Stati Uniti. Si tratta di strutture democratiche che hanno in passato già risolto problemi apparentemente semplici, che noi, invece, continuiamo a trascinarci da decenni. Mi riferisco, ad esempio, alla possibilità che i cittadini possano dare un'indicazione ben precisa di chi debba governarli, per realizzare un confronto aperto, tra due o più candidati con programmi e progetti diversi, dando a chi scelgono un mandato preciso: realizzarePag. 80quel determinato programma in un tempo dato, cioè la durata della legislatura. Sembra una cosa semplice? In realtà, in altri Paesi è già così. È veramente mortificante, per certi versi, immaginare che i cittadini italiani non possano ottenere ciò che centinaia di milioni di altri cittadini nel mondo hanno già ottenuto con la maturazione fisiologica del sistema democratico, e in particolare del sistema democratico rappresentativo, perché i due aspetti non possono non essere collegati.
Abbiamo sperimentato ormai per troppo tempo: penso alle Commissioni Bozzi, De Mita-Iotti, D'Alema, ai mille discorsi, confronti, alle mille ipotesi, per riuscire finalmente a fare ciò che obiettivamente non potevano fare i nostri Padri costituenti in quel particolare momento, nel quale, uscendo dalla devastante esperienza del fascismo, poteva esserci una più che giustificata remora a dare qualche potere in più al Presidente del Consiglio. Ma sono passati sessanta anni! Eppure anche quella Costituzione, che fu considerata una tra le migliori del mondo e che certamente ha un'enorme quantità di punti positivi, merita di essere rivista e aggiornata.
Bisogna che si tenga pure conto che l'Italia non è più quella del dopoguerra e bisognerà anche immaginare come si possa far compiere al nostro Paese un passo in avanti. Prendiamo atto che tutti i tentativi in questo senso sono falliti e che è fallita anche la riforma che abbiamo realizzato nella scorsa legislatura nei confronti della quale tutta la sinistra, probabilmente anche non condividendo le tante critiche che le furono rivolte, votò sostanzialmente contro e si spese nel referendum affinché venisse bocciata, salvo poi riprenderne alcuni spunti e non portandoli neanche alle logiche normali conseguenze normative.
Si sta tentando, attraverso la riforma che abbiamo sotto gli occhi, di surrogare in qualche modo a quanto già realizzato in modo migliore con la precedente riforma e che sicuramente ancora di più e meglio sarebbe ben possibile realizzare adesso.
Presidente Violante, ho apprezzato molto il suo sforzo e probabilmente nei suoi panni avrei fatto la stessa cosa. Lo dico con molta lealtà perché - lo ripeto - ho sinceramente apprezzato il suo impegno, e conosco bene quali difficoltà, anche interne alla maggioranza, gravano su un tale tentativo, il che lo rende ancora più apprezzabile.
Dovremmo, però, anche prendere atto che siamo arrivati ad un momento politico - dico politico anche se è una terminologia inappropriata dato che, pur trovandoci all'interno del Parlamento, potrebbe creare una barriera nei confronti dei cittadini - in cui dovremmo dire semplicemente, per essere più chiari con i cittadini, che il tempo è scaduto.
È un po' troppo tardi e sa perché, presidente Violante? Perché è passato il momento, l'attimo fuggente. All'inizio della legislatura, preso atto dei risultati (polemiche a parte, non è questa la sede per riprendere il tema sulla linearità e regolarità delle elezioni, e non è di ciò che voglio parlare in questo momento), vi è stato un momento in cui il presidente Berlusconi propose di fare alcune cose assieme nell'interesse del Paese. La risposta fu totalmente inadeguata al senso dello Stato, al senso di responsabilità nei confronti di cittadini, alla stessa consapevolezza delle difficoltà che era chiarissimo già da allora avrebbero appesantito - abbiamo visto fino a che punto - l'azione e la vita di questo Governo e di questa maggioranza. Quello sarebbe stato il momento in cui avremmo anche potuto sederci attorno a un tavolo, riprendere in mano la nostra vecchia riforma, modificare tutti quei punti che, riconosco, sarebbe stato possibile migliorare per trovare quel minimo comune denominatore volto al supremo interesse del Paese. Ho usato con un umiltà e rispetto una tale espressione utilizzata in passato da uomini che sicuramente possono essere definiti statisti perché non riesco a valutare se vi siano così tanti uomini interessati a svolgere la loro azione politica e parlamentare nel supremo interesse del Paese. Forse, sono altre le leve che li muovono, altri gliPag. 81obiettivi da raggiungere, ma certo non è presente, su un argomento di così rilevante sostanza, quello che dovrebbe essere il supremo interesse del Paese.
Peccato, lo dico ancora una volta. Avremmo potuto farlo, e comincio a pensare seriamente - presidente Violante, è la prima volta che lo ammetto e desidero farlo pubblicamente in un intervento alla Camera dei deputati perché resti agli atti - che la scelta che molte volte ho osteggiato nel corso di tanti anni possa diventare attuale e possa essere anche accettata. Per tanti anni abbiamo respinto l'idea di un'assemblea costituente. Forse abbiamo fatto male, certamente lo abbiamo fatto nella più assoluta buona fede, perché ritenevamo di poter fare molto più in fretta, e meglio, attraverso le normali procedure dell'articolo 138 della Costituzione.
Ebbene, credo che dobbiamo prendere atto, dopo i numerosi tentativi dei quali ho fatto menzione, che forse non ci si riesce più. Infatti, o vi è realmente o nasce (e si deve vedere concretamente) questo interesse comune, che deve necessariamente sfuggire alla contrapposizione maggioranza - opposizione e deve poter vedere insieme costruire le regole della casa dentro la quale dobbiamo necessariamente vivere tutti, oppure, se ciò non accade, dobbiamo necessariamente ammettere che forse è meglio conferire una delega ad altri, fuori dall'agone politico, ad esperti che mettano insieme le loro esperienze, le loro conoscenze, la loro saggezza e la loro scienza, per modificare ciò che va così profondamente modificato della seconda parte della Costituzione e ciò che è oramai necessario modificare anche della prima parte della stessa, salvi i principi, salve le libertà e tutto quello che pure sappiamo essere indispensabile modificare.
È veramente un peccato! Avrei voluto intervenire in questa sede, e anche molte più volte nella stessa Commissione affari costituzionali, per dare un contributo migliorativo e modificativo a questa proposta di riforma costituzionale. Non è stato sostanzialmente possibile e me ne rammarico molto.
Penso che la cosa più giusta da fare in questo momento sia prendere atto del fatto che, purtroppo, non vi sono le condizioni (magari ci fossero!) e dichiarare che il tempo è scaduto e che, purtroppo, non è possibile immaginare in questa legislatura di realizzare qualcosa che possa essere così utile nei confronti dei cittadini.
Inoltre, vorrei dire, almeno affinché ne resti traccia, che la mia non è soltanto una posizione politica in rappresentanza del mio gruppo. In Commissione ci siamo astenuti perché volevamo in qualche modo tentare di indurre la maggioranza ad un momento di riflessione sulle stesse considerazioni che ho svolto e in merito a quelle sulle quali vi intratterrò qualche momento, ma anche - perché no? - cercare di trovare soluzioni a problemi molto complessi dal punto di vista dell'equilibrio del sistema costituzionale, evitando contraddizioni palesi.
Vi porto qualche esempio. Il primo riguarda il federalismo, argomento che credo abbia appassionato tutti noi almeno negli ultimi 15-16 anni. Una insufficiente, incerta per molti versi e incompleta riforma del Titolo V della Costituzione, realizzata nella legislatura 1996-2001, ha sostanzialmente recato più danno che bene, come più volte, anche da emeriti esponenti della maggioranza, è stato riconosciuto.
Avevamo tentato di proporre una soluzione migliorativa con la nostra riforma, ma è stata bocciata e non ne parliamo più! Eravamo anche in attesa di conoscere la vostra proposta di riforma del titolo V della Costituzione. Nella riforma costituzionale in esame non si dà risposta a questa domanda, come se il permanere dell'attuale configurazione dell'articolo 117 fosse talmente soddisfacente da accantonare il problema per poi riaffrontarlo in un altro disegno di legge costituzionale. È come dire di voler delineare il progetto di un nuovo sistema di Governo parlamentare nel nostro Paese, senza decidere di cosa si dovrà occupare tale nuovo sistema di Governo e tale nuovo sistema parlamentare. Costruiamo la casaPag. 82senza le fondamenta. Mi pare un atteggiamento estremamente contraddittorio, addirittura sbagliato. Se qualcuno dei miei studenti di diritto costituzionale mi proponesse un'ipotesi di questo tipo, penso che non gli farei superare l'esame. Non va bene e lo dico dal punto di vista tecnico: non perché la mia è una posizione politica contraria, ma perché non funziona. È necessario mettere mano alla riforma dell'articolo 117 - per chi non è strettamente addetto ai lavori faccio riferimento alla ripartizione delle competenze tra Stato e regioni -, sciogliendo finalmente il nodo delle cosiddette legislazioni concorrenti, laddove una parte è disciplinata dallo Stato e una parte dalle regioni e sostanzialmente la Corte costituzionale decide chi deve legiferare e su che cosa, spogliando sostanzialmente il Parlamento della propria capacità decisoria. Così è avvenuto dal 2001 in poi, quando è entrata in vigore la riforma che voi, in quella legislatura, quando eravate ancora una volta maggioranza, avete realizzato.
Si può fare anche di più e di meglio di ciò che avevamo tentato di fare noi con la nostra riforma costituzionale, operando una separazione ancor più netta delle competenze dello Stato e delle regioni. Cosa c'è di più chiaro nello stabilire quale è la competenza esclusiva dello Stato e qual è la competenza esclusiva delle regioni e lasciare soltanto quei pochissimi argomenti che, pure, è necessario attribuire alla legislazione concorrente. Non è possibile mantenere una enorme quantità di materie che francamente non trova giustificazione neanche nella comprensione comune dei cittadini. Penso alla materia delle professioni, attribuita alla legislazione concorrente; come se si potesse esercitare la professione di avvocato, di medico, di ingegnere in un modo in Lombardia e in un altro modo in Calabria. È una follia! Anche con riferimento alle regole sulla produzione e distribuzione dell'energia, come è immaginabile che possa restare così com'è - una parte allo Stato e una parte alle regioni - un argomento di così vitale importanza per tutti i cittadini.
Potrei continuare, ma credo di aver fatto ben comprendere il mio punto di vista al riguardo. Inoltre, magari si fosse discusso di questo tema durante il dibattito, stabilendo come sistemare al meglio anche tecnicamente, oltre che logicamente e razionalmente, il Titolo V della Costituzione, con particolare riferimento all'articolo 117! Invece, abbiamo chiesto più volte che si discutesse su cosa debba occuparsi il Senato federale. Ci è stato risposto che prima bisogna stabilire come deve essere composto e successivamente verrà affrontata la questione delle sue competenze. È come mettere le calze sopra le scarpe: è esattamente lo stesso tipo di contraddizione.
Com'è possibile stabilire da chi debba essere composto il Senato - e su questo aspetto tornerò tra un momento - e poi affrontare successivamente il problema se il procedimento legislativo debba essere bicamerale, se si debba passare da una Camera all'altra, esercitando collettivamente la funzione legislativa, e scoprire poi che il Senato, sostanzialmente, una vera e propria competenza propria non c'è l'ha! Ma come? Eravamo partiti per introdurre un bicameralismo, se non perfetto come quello di oggi, quanto meno equivalente (come era previsto, peraltro, nella nostra riforma costituzionale) e scopriamo, invece, che stiamo per dare vita - se mai questo processo costituente dovesse arrivare in porto - ad un Senato ridotto a meno di una commissione consultiva. Gli si chiede un parere e, una volta che l'ha espresso, gli si dice: bravo, adesso decide la Camera dei deputati! Ma come è possibile prevedere tutto ciò a proposito di quello che tanto pomposamente viene descritto come Senato federale. Poi si capirà, lo comprenderanno tutti, certo! Perché hanno voluto prima stabilire la composizione del Senato federale? Perché i cittadini li abbiamo cancellati totalmente dalla scelta dei loro rappresentanti all'interno del Senato federale! Anche se vi è una protesta sul fatto che i cittadini non scelgono più nemmeno i parlamentari, i senatori e quant'altro, vi è qualcuno dentro quest'Aula che immagina che non solo iPag. 83cittadini non sceglieranno più un bel niente, ma i senatori, per una parte, saranno scelti dai Consigli regionali, con quella che, tecnicamente, si chiama un'elezione di secondo grado. Ma vi è di più! Essi saranno scelti anche dai cosiddetti Consigli delle autonomie. Se vi è una persona su un milione, in Italia, che è in condizione di comprendere, oggi, di cosa stiamo parlando, è già tanto! Allora chiariamolo: i cittadini eleggono i Consigli comunali e i Consigli provinciali; questi ultimi eleggono i Consigli delle autonomie, i quali, a loro volta, eleggeranno i senatori. Ma il tanto decantato Bundesrat tedesco - il Senato della Repubblica federale di Germania - non si è mai sognato di scrivere una follia di questo genere! È ben altro il Bundesrat! O, forse, bisognerà spiegare, a molti parlamentari del nostro Paese, di cosa stiamo parlando, quando parliamo di Bundesrat e di sistema tedesco. In molti, infatti, ne parlano anche con riferimento alla legge elettorale, spesso senza comprendere cosa vi sia all'interno del sistema tedesco, che è ben diverso da quello che si vorrebbe realizzare, forse, nel nostro Paese e, certamente, non con il nostro consenso.
Ciò che si vuole realizzare, infatti, è un Senato federale sostanzialmente ridotto a poco meno - neanche un poco di più - di una commissione consultiva, che fa, sostanzialmente, quasi nulla, tranne una protesta qualora la Camera faccia qualcosa che al cosiddetto Senato federale non sta bene. Abbiamo istituito la Camera della protesta! Mi sembra un bel passo avanti verso il sistema federale! Una protesta fine a sé stessa, ovviamente, perché poi decide la Camera e tanti saluti alla protesta del cosiddetto Senato federale!
Avevamo tentato - e questo è un altro argomento - di attribuire un po' più, neanche tanto, di poteri al Capo del Governo. Anche questo è stato totalmente cancellato.
Si scrive una frase la cui lettura, francamente, si può prestare a talmente tante interpretazioni che, volendo essere un po' maliziosi, si può tradurre in questo modo: il Capo dello Stato, avendo appreso dal telegiornale della sera che vi è una coalizione che ha ottenuto qualche voto in più rispetto all'altra, si domanda se dovrà aspettare il giornale dell'indomani mattina (non intendo riferirmi al quotidiano Il Giornale, bensì ad un qualunque quotidiano; il Capo dello Stato scelga il giornale che crede, ci mancherebbe altro!); leggerà il giornale del giorno dopo o, addirittura, si fiderà degli exit poll o delle prime proiezioni del Ministero dell'interno. A quel punto si chiederà chi fosse il capo della coalizione e se ve ne fosse uno. Può trattarsi di qualcuno il cui cognome inizia con la lettera B oppure - speriamo mai - con la lettera V o P. Poi, dopo avere riflettuto, riterrà preferibile aspettare i giornali dell'indomani mattina per avere migliore contezza della situazione.
Ma può essere questo il ruolo del Capo dello Stato? Pensate, seriamente, che per scegliere chi debba diventare il nuovo Presidente del Consiglio, il ruolo del Capo dello Stato (anche quello dello stesso Presidente del Consiglio) possa essere ridotto ad una mera consultazione dei quotidiani? Infatti, l'espressione inserita all'interno del testo in discussione: «valutati i risultati delle elezioni», vuol significare esattamente ciò che ho appena finito di descrivere.
Inoltre, vorrei fare una domanda, ritornando su un argomento che poc'anzi ho sfiorato: ed i cittadini in tutto questo? In che modo saranno protagonisti della vita democratica del Paese? Non scelgono più i propri rappresentanti al Senato. Probabilmente, se realmente si riuscirà a modificare il sistema elettorale, realizzando il cosiddetto sistema tedesco, i cittadini non potranno neanche scegliere chi li governa e per realizzare cosa! Conferiranno un mandato in bianco. Da questo punto di vista, viva la prima Repubblica! Tale mandato in bianco verrà conferito ai loro partiti, i quali potranno comodamente fare e disfare un Governo ogni sei mesi, così come avvenuto sostanzialmente durante tutto il periodo della prima Repubblica.
Ma è questo ciò che vogliono i cittadini del nostro Paese? Immaginate che si possa realmente rendere un servizio del generePag. 84ai cittadini del nostro Paese che chiedono di essere protagonisti, di scegliere e non di subire le scelte che qualcun'altro al loro posto impone, non solo al Parlamento, ma sulla loro testa di cittadini!
Ma vi è di più! Secondo fonti di agenzia (non ho ancora avuto il tempo di vedere il telegiornale), oggi si sarebbe tenuto un incontro in I Commissione affari costituzionali con i presidenti delle regioni ed i loro rappresentanti. Probabilmente, sarebbe utile un mini corso di diritto costituzionale. I presidenti delle regioni sono i capi dei governi regionali, non dei consigli regionali. A qualcuno sfugge tale differenza? È la stessa differenza che sussiste tra potere esecutivo e legislativo a livello nazionale.
Se tale differenza sfugge, a mio avviso, dovremo terminare il discorso e spiegare alcune regole, per così dire elementari: rudimenti elementari di diritto costituzionale all'interno del Parlamento (forse è utile)! Cosa sono i presidenti delle regioni? Sono consiglieri regionali? No, sono presidenti delle regioni e pertanto, partecipano del potere esecutivo. Allora, come si fa ad affermare che devono poter far parte del Senato federale che è un organo legislativo? Quale strana commistione dovrebbe portare i presidenti delle regioni a fare parte di un organo legislativo?
Pertanto, giusto per spiegarlo, avremo dei senatori di tal fatta: il lunedì saranno consiglieri regionali, mentre il martedì e forse anche il mercoledì saranno senatori della Repubblica federale. Il martedì e il mercoledì stabiliranno i principi cui dovranno uniformarsi i consigli regionali nel fare le leggi; il giovedì torneranno nei consigli regionali, rivestendo la giacca di consigliere regionale e scriveranno le leggi di cui hanno determinato i principi il martedì e il mercoledì. A me sembra una barzelletta. Purtroppo, non lo è, cari colleghi. È tutt'altro che una barzelletta: è scritto in questa bozza di riforma costituzionale o meglio in questo progetto; speriamo che una cosa di questo genere non diventi mai una riforma costituzionale. È veramente singolare che qualcheduno abbia pensato una cosa di questo genere.
Ma vi è di peggio. Se fossero anche i presidenti delle regioni a far parte del Senato? Mi pare che qualcheduno abbia dato loro assicurazioni in proposito, come leggo da fonti di agenzia: hanno detto che si tratta di una richiesta da tenere certamente in conto. Certo: inseriamo anche i presidenti delle regioni dentro il Senato federale! Qualcheduno a quanto pare ha detto loro: tutto sommato, che male c'è? In questo caos incredibile, un po' più di caos in fondo non guasta. Guasta, invece! Perché non solo vi saranno consiglieri regionali che faranno anche i senatori e senatori che faranno anche i consiglieri regionali, ma vi sarà un soggetto, che normalmente dovrebbe svolgere un ruolo legislativo, che svolgerà anche il ruolo dell'Esecutivo. Cari colleghi, giusto per comprenderci, è come se noi, che siamo deputati del Parlamento nazionale, della Camera dei deputati, facessimo un giorno i deputati ed un giorno i ministri o i sottosegretari; come fa egregiamente l'onorevole Naccarato, che ci ascolta ancora così tardi nella sera. Ma vi immaginate che si possa inventare una cosa di questo genere? Noi avevamo anche cercato di trovare una soluzione ben più congrua nel nostro progetto di riforma costituzionale, quella di costituzionalizzare semmai la Conferenza Stato-regioni. Quella sarebbe stata la scelta adatta, perché in quella sede avviene l'incontro tra il Governo nazionale, i Governi regionali e, quando si riuniscono con l'ANCI, l'UPI, l'UNCEM, anche i Governi degli enti locali. Ciò accade a livello di Governo, ma a livello di Parlamento? Com'è possibile immaginare una commistione tra esecutivo e legislativo? Proporrò al Presidente Bertinotti di predisporre delle note esplicative sui rudimenti elementari di diritto costituzionale. Vi è un ottimo ufficio legislativo alla Camera, bisogna dargliene atto: sono sicuro che, senza troppo sforzo, sarebbero nelle condizioni di compiere un eminente lavoro, un chiarissimo lavoro per poter far comprendere la differenza tra potere esecutivoPag. 85e potere legislativo. Peccato, dico ancora una volta, che si stia perdendo tanto tempo per parlare di cose delle quali veramente non se ne avvertiva il bisogno. Veramente non era necessario: bastava soltanto essere consapevoli dell'importanza dell'argomento in discussione.
Vorrei far volgere al termine il mio intervento, affermando che abbiamo perso una bellissima occasione. Mi dispiace che il presidente Violante abbia lasciato l'Aula, perché avrei voluto rivolgere questa mia ultima considerazione direttamente a lui, ma sono sicuro che il relatore Bocchino, così come il sottosegretario Naccarato, potranno farsi interpreti di quanto sto per dire.
Non è vero che non vogliamo la riforma: altroché se la vogliamo! Lo abbiamo anche dimostrato nella scorsa legislatura. In particolare, credo di avere anche contribuito, attraverso la legge n. 131 del 2003, ad attenuare in qualche modo gli effetti negativi della riforma precedente.
Ma è anche vero che bisogna prendere atto del fatto che siamo al 22 ottobre 2007 e che da un anno e mezzo assistiamo non ad una marcia trionfale, ma ad una sostanziale agonia del Governo Prodi. Dunque, immaginare di poter avviare, oggi, un percorso riformatore così impegnativo, fra l'altro praticamente cancellando il progetto fin qui presentato per riscriverlo da capo, mi sembra sostanzialmente impossibile.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ENRICO LA LOGGIA. Lo trovo impossibile perché è tardi, come ho già detto all'inizio del mio intervento; lo trovo impossibile perché non vedo le condizioni politiche affinché si possa realmente intrecciare un dialogo ed un confronto costruttivo fra maggioranza ed opposizione; e lo trovo impossibile perché credo che siamo assai vicini a lasciar calare il sipario su questo Governo e su questa maggioranza.
Ritengo dunque che faremmo bene ad auspicare tutti nuove elezioni, una nuova maggioranza ed un nuovo Governo, forse anche per inserire nel programma di entrambe le coalizioni l'impegno non solo a lavorare insieme per costruire finalmente una riforma costituzionale, ma anche - qualora ciò sia necessario, qualora seriamente si intenda far prevalere l'interesse del Paese - l'impegno a riconsiderare con molta attenzione e senso di responsabilità anche l'ipotesi di un'Assemblea costituente.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ENRICO LA LOGGIA. Non è questa una linea che mi sento di indicare, anche perché l'ho avversata per molti anni: ma laddove non si riesca a trovare il modo per uscire da questo complicatissimo intreccio, che paralizza il nostro Paese sull'argomento riforme costituzionali da troppi anni, forse potrebbe essere una soluzione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.