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Discussione congiunta dei disegni di legge: S. 1678 - Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2006 (Approvato dal Senato) (A. C. 3169); S. 1679 - Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2007 (Approvato dal Senato) (A.C. 3170) (ore 15,03).
(Discussione congiunta sulle linee generali - A.C. 3169 e A.C. 3170)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Marchi, ha facoltà di svolgere la relazione.
MAINO MARCHI, Relatore. Signor Presidente, colleghi deputati, l'esame dei disegni di legge di rendiconto e di assestamento avviene in questo ramo del Parlamento in una fase in cui l'attenzione è concentrata sui provvedimenti di finanza pubblica approvati o all'esame del Senato e su disegni di legge collegati di particolare rilievo, come quello sul welfare, che questa Camera si accinge ad esaminare. Se a ciò si aggiungono i ridottissimi tempi di esame in Commissione, dovuti alla tempestiva calendarizzazione in Assemblea dei due provvedimenti, appare evidente il rischio che, come è più volte accaduto negli ultimi anni, non vi sia uno spazio congruo per l'analisi approfondita che documenti come il rendiconto richiederebbero. Il rendiconto, infatti, ci fornisce una fotografia della situazione reale del bilancio dello Stato e degli andamenti della finanza pubblica ben più attendibile di quella del bilancio di previsione. Si tratta di una fotografia che - occorre ricordarlo - sarà nel prossimo futuro ancor più utile alla luce della riclassificazione in missioni e programmi del bilancio dello Stato, avviata dal Governo in via sperimentale con il disegno di legge di bilancio per il 2008, ma che, in prospettiva, costituirà una base di analisi più trasparente e coerente per la valutazione delle decisioni macroeconomiche e per la stessa riqualificazione della spesa pubblica. Analogamente, meriterebbe maggiore attenzione il disegno di legge di assestamento che andrebbe, peraltro, interamente ripensato come strumento, alla luce dell'ormai costante sovrapposizione con l'esame della legge finanziaria, che lo priva di significatività rispetto alla sua funzione di strumento di aggiornamento, a metà esercizio, delle stime di finanza pubblica. Ciò premesso, nel breve tempo a disposizione, svolgerò alcune considerazioni sulle risultanze fondamentali del rendiconto e dell'assestamento.
Per ciò che attiene al disegno di legge di rendiconto, nel corso del 2006 si è registrata una ripresa dell'economia europea, che ha fatto segnare un incremento del PIL più alto (2,7 per cento) rispetto a quello raggiunto l'anno precedente (1,4 per cento). Ciò si è riflesso anche nell'economia italiana, che ha registrato un'ampia ripresa della crescita del PIL, passato da un valore quasi nullo (0,1 per cento) del 2005 all'1,9 per cento del 2006, con una crescita del PIL nominale del 3,7 per cento. Tale crescita è stata trainata principalmente dalla domanda interna, con un contributo di 0,5 punti percentuali dato dagli investimenti e di 0,9 punti percentuali dato dai consumi delle famiglie. Inoltre, grazie al forte incremento delle esportazioni in volume, anche la domanda estera netta è tornata a fornire un contributo positivo (0,3 punti percentuali). Per quanto concerne la finanza pubblica, il 2006 registra un quadro che, al netto della contabilizzazione di alcuni oneri straordinari, appare nettamente più favorevole, sia rispetto all'anno precedente sia rispetto alle previsioni iniziali.
In presenza di una sostanziale stabilizzazione della spesa, elemento innovativo rispetto alle tendenze degli ultimi anni - pur rimanendo peraltro ad un livello ancora elevato - il miglioramento è scaturito da un andamento molto favorevole delle entrate, ascrivibile a fattori sia di natura congiunturale sia di natura strutturale. I conti pubblici hanno beneficiato, in particolare, della ripresa economica in atto e di realizzazioni di gettito superiori alle attese, frutto anche di un'attività incisiva di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale. Per quanto concerne il valore dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione, esso è risultato pari, nel 2006, al 4,4 per cento del PIL. Tale valore è stato, come è noto, influenzato dalla contabilizzazione di oneri straordinari (derivanti dalla sentenza della Corte di giustizia sull'IVA sulle auto aziendali, dall'accollo dello Stato del debito di Infrastrutture Spa e dalla retrocessione alla società di cartolarizzazione dei crediti di contributi sociali dovuti dai lavoratori agricoli). Pertanto, al netto di tali oneri, l'indebitamento netto si sarebbe attestato al 2,4 per cento del PIL (ossia ad un deficit di 35.838 milioni di euro).Pag. 3
L'avanzo primario registra una riduzione dello 0,2 per cento del PIL rispetto al 2005, attestandosi allo 0,3 per cento. In modo analogo a quanto sopra osservato per l'indebitamento netto, anche l'avanzo primario, al netto dei suddetti oneri straordinari, si sarebbe attestato al 2,1 per cento del PIL (31.714 milioni di euro). Per quanto concerne gli interessi passivi, nel 2006 hanno contribuito le minori operazioni di swap, il cui importo è risultato pari a 563 milioni di euro nel 2006, contro un ammontare di 2.387 milioni di euro nel 2005. Tali variazioni hanno comportato la riduzione dal 40 al 39,9 per cento dell'incidenza sul PIL delle spese correnti al netto degli interessi e l'aumento dal 4,5 al 4,6 per cento dell'incidenza degli interessi passivi sul PIL. Il risparmio delle amministrazioni pubbliche, dato dal saldo delle partite correnti, è tornato, dopo un triennio, ad essere positivo e pari a 19.005 milioni di euro, grazie all'aumento delle imposte correnti, sia dirette (con un incremento del 12,4 per cento), sia indirette (con un incremento del 7,8 per cento). A questo risultato ha contribuito in modo decisivo il bilancio dello Stato, che ha visto il risparmio pubblico ad esso relativo passare da 1.509 milioni di euro del consuntivo 2005 a 49.983 milioni di euro nel 2006, rispetto a previsioni iniziali e definitive entrambe negative, pari rispettivamente ad un deficit di 11.353 milioni di euro e ad un deficit di 8.512 milioni di euro.
Le uscite di parte corrente hanno registrato un tasso di crescita del 3,7 per cento; il loro rapporto sul PIL, stabile rispetto al 2005, è risultato pari al 44,5 per cento. Tale risultato deriva da aumenti del 3,6 per cento delle uscite correnti al netto degli interessi, che risultano in aumento dopo un triennio di trend decrescente.
Riguardo ai diversi aggregati di spesa corrente si segnala che: i redditi da lavoro dei dipendenti pubblici sono cresciuti del 4,1 per cento riflettendo, tra l'altro, alcuni rinnovi contrattuali e correlata corresponsione di arretrati, tra cui quelli delle regioni e degli enti locali, della sanità, degli enti di ricerca e dell'università; i consumi intermedi hanno registrato una diminuzione dello 0,8 per cento, contro una crescita del 5 per cento dell'anno precedente. Nel complesso, le spese per consumi finali delle amministrazioni pubbliche sono aumentate del 3,1 per cento rispetto alla crescita del 5,2 per cento registrata nel 2005. Le prestazioni sociali in natura (che includono prevalentemente spese per assistenza sanitaria in convenzione) sono cresciute del 3,4 per cento, rispetto ad una crescita del 5,6 per cento dell'anno precedente.
Le spese in conto capitale sono aumentate per effetto della contabilizzazione in conto capitale degli oneri straordinari sopraindicati (con un incremento pari al 54,2 per cento). Al netto di tali oneri, la crescita sarebbe stata del 2,3 per cento, contro una crescita del 5,3 per cento dell'anno precedente. La sola spesa per investimenti è aumentata dell'1,7 per cento, contro lo 0,4 per cento registrato nel 2005. Sul tasso di crescita degli investimenti diretti incide, peraltro, la riduzione dell'11 per cento per quelli realizzati dallo Stato, nonostante il loro aggiornamento in corso d'anno, per cui dai 34.262 milioni di euro delle previsioni iniziali, inferiori di circa 12.500 milioni di euro rispetto al consuntivo 2005, si è passati a 39.824 milioni di euro nelle previsioni definitive, parzialmente ridimensionati a 38.954 milioni di euro nel rendiconto.
Per quanto concerne le entrate, su un valore complessivo di accertamenti di entrata pari a 662.170 milioni di euro, gli accertamenti relativi alle entrate tributarie sono risultati pari a 429.363 milioni di euro, evidenziando un aumento di 51.509 milioni di euro rispetto al 2005. In rapporto al PIL, l'incidenza è risultata pari al 42,7 per cento. Per quanto concerne i saldi relativi ai conti di cassa, il fabbisogno del settore statale, al lordo delle regolazioni debitorie, al termine dell'esercizio 2006, è risultato pari a 34.608 milioni di euro (ossia al 2,3 per cento del PIL). Il dato risulta inferiore di circa 25.400 milioni di euro rispetto a quello dell'esercizio precedente (60.036 milioni).Pag. 4
Anche il fabbisogno del settore pubblico, al lordo delle regolazioni debitorie nel 2006, si è attestato intorno ai 54.908 milioni di euro, con una diminuzione di 19.690 milioni di euro rispetto al 2005 (74.598 milioni). Il saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato registra un miglioramento di 48.158 milioni di euro in termini di competenza, passando da un deficit di 35.209 milioni di euro nel 2005 ad un sopravanzo di 12.949 milioni di euro nel 2006 e un miglioramento di 17.323 milioni di euro in termini di cassa, passando da un deficit di 48.836 milioni di euro nel 2005 ad un deficit di 31.513 milioni di euro nel 2006. L'ammontare del debito pubblico è invece aumentato fino al 106,8 per cento del PIL, rispetto al 106,2 per cento del 2005. In valori assoluti, il debito pubblico è aumentato da 1.511.210 a 1.575.447 milioni di euro. Sono così confermati i due dati di maggiore preoccupazione sottolineati dalla cosiddetta commissione Faini, istituita dal Governo Prodi a metà del 2006, relativamente al 2005: il quasi azzeramento dell'avanzo primario e la crescita del debito pubblico, elementi ancora presenti nel 2006, seppur determinati da fattori straordinari relativi a questioni maturate negli anni precedenti. Non vi è stato alcun allarmismo - come sottolinea spesso l'opposizione - ma solo la evidenziazione di una dura realtà su cui ha inciso positivamente l'azione del Governo Prodi fin dai suoi primi atti.
Il rendiconto offre, infine, elementi significativi in merito alla valutazione dell'attività amministrativa attraverso i dati relativi all'evoluzione dei residui. Il fenomeno dei residui si attesta ancora a livelli piuttosto elevati. In particolare, a fronte di una diminuzione dell'11 per cento dei residui attivi, si registra un aumento dei residui passivi. In proposito, ricordo come già in passato si sia richiamato il Governo ad un'approfondita analisi sul fenomeno dei residui passivi, che rimane tuttora di dimensioni eccessive, anche al fine di evitare che le amministrazioni si abbandonino alla logica di tipo inerziale in base alla quale non vi sarebbe una reale gestione della spesa, limitandosi il Ministero dell'economia e delle finanze a riprodurre le previsioni dell'anno precedente, salvo richiesta di integrazione degli stanziamenti. Al riguardo, ricordo che una misura volta a ridimensionare tale fenomeno è quella introdotta dal Governo nel disegno di legge finanziaria per l'anno 2008 all'articolo 89, commi 1-4, in base al quale si dispone la riduzione da sette a tre anni del termine di perenzione dei residui passivi delle spese in conto capitale, prevedendo nel contempo un programma di ricognizione, da effettuarsi con cadenza triennale dal 2008, dei medesimi residui propri, ai fini della individuazione di quelli da eliminare, non ricorrendo i presupposti per il loro mantenimento in bilancio. Si tratta di una misura utile che, oltre ad offrire la copertura per una parte rilevante della manovra di finanza pubblica (circa 1,5 miliardi di euro, secondo la relazione tecnica), spingerà le amministrazioni ad una migliore programmazione degli interventi di spese in conto capitale.
Passo ora all'esame del disegno di legge di assestamento. Ricordo che esso reca le variazioni che, a metà dell'esercizio, il Governo ritiene opportuno adottare in relazione alle previsioni di bilancio, in termini di competenza e di cassa.
Considerando l'ulteriore recente revisione delle stime di previsione dell'entrata, effettuata dal Governo in sede di esame del disegno di legge al Senato, richiamo, come in precedenza accennato, la necessità di una seria riflessione sull'opportunità, più volte segnalata in sede parlamentare, di un differimento dei tempi di presentazione dell'assestamento, in modo da poter tenere conto dell'effettivo andamento del gettito tributario, nell'ambito di un complessivo riesame delle procedure di decisione in materia di finanza pubblica.
Passando allo specifico delle variazioni proposte in sede di assestamento, ricordo, per ciò che attiene allo stato di previsione dell'entrata, che parte delle maggiori entrate iscritte nel disegno di legge di assestamento, presentato al Senato prima dell'estate (7.403 milioni di euro), sono state utilizzate, per un importo pari a 4.131 milioni di euro per l'anno 2007, a coperturaPag. 5degli oneri recati dal decreto-legge n. 81 del 2007 in materia finanziaria, adottato lo scorso giugno, e per 3.219 milioni a copertura di maggiori spese iscritte nello stesso disegno di legge di assestamento. Analogamente, nel corso dell'esame presso il Senato, si è operata una revisione delle previsioni in conto competenza, relative sia alle entrate (con un incremento pari a 5.978 milioni di euro) sia alle spese (con una riduzione pari a 2.032 milioni di euro). Anche in tal caso, tuttavia, l'ulteriore miglioramento del saldo netto da finanziare rispetto alle previsioni contenute nel disegno di legge di assestamento, che sarebbe risultato pari a 8.010 milioni di euro, è stato in gran parte ridimensionato a seguito delle misure adottate dal Governo con il decreto-legge n. 159 del 2007, collegato alla manovra di finanza pubblica.
Ricordo che, in termini di competenza, le previsioni assestate per il 2007, risultanti dalle variazioni apportate per atto amministrativo fino al 31 maggio scorso e da quelle proposte con il disegno di legge di assestamento presentato al Senato, avrebbero determinato, rispetto alle previsioni iniziali di bilancio, una riduzione del saldo netto da finanziare, al netto delle regolazioni debitorie e contabili, da 22.972 milioni di euro a 18.806 milioni di euro.
PRESIDENTE. Mi rendo conto della complessità della materia, onorevole Marchi, ma se potesse concludere...
MAINO MARCHI, Relatore. Signor Presidente, passo rapidamente alle conclusioni, anche se penso di essere stato nei tempi.
PRESIDENTE. No, onorevole Marchi, li ha già superati, per la verità, ma comunque siamo molto tolleranti. Oggi siamo buoni, però bisognerebbe che lei cercasse di concludere.
MAINO MARCHI, Relatore. Signor Presidente, arrivo subito alle conclusioni. Il decreto-legge n. 159 del 2007 ha, in particolare, utilizzato a parziale copertura degli investimenti in materia di sviluppo e di equità sociale, da esso introdotti per l'esercizio 2007, sia la somma di 5.978 milioni di euro risultante dalle maggiori previsioni di entrata introdotte nel corso dell'esame al Senato sia la somma di 1.300 milioni di euro derivante dalla riduzione di spesa dell'unità previsionale di base concernente le risorse proprie dell'Unione europea, a seguito della rideterminazione delle quote richieste dalla Commissione quale contributo al bilancio comunitario per il corrente anno.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione per quanto riguarda le variazioni apportate allo stato di previsione delle entrate e anche per quanto riguarda...
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Siccome c'è solo questo punto all'ordine del giorno, eccezionalmente posso autorizzarla anche a proseguire ancora un po'. Mi affido al suo buon cuore.
MAINO MARCHI, Relatore. Conclusivamente, rilevo che ad un anno e mezzo dall'inizio della legislatura il quadro finanziario fornito dal rendiconto e dall'assestamento costituisce un riscontro concreto dei risultati raggiunti dalle politiche del Governo sul fronte del risanamento dei conti pubblici. Gli andamenti della finanza pubblica si sono rivelati migliori rispetto alle previsioni, soprattutto in ragione del favorevole andamento del gettito tributario. Sul versante della spesa si registrano risultati certo meno eclatanti, ma credo non sia da sottovalutare la stabilizzazione della spesa nel 2006, da una parte, e, dall'altra, l'avvio di una metodologia, la spending review, che non può dare effetti rilevanti nell'immediato, ma, se perseguita con costanza, è l'unico modo per sottoporre la spesa a una revisione complessiva, a un contenimento e, in certi casi, a una riduzione nel medio termine. Lo sforzo che il Paese ha compiuto sul piano fiscale necessitava, però, di provvedimenti a sostegnoPag. 6della crescita e per una maggiore equità, con l'avvio di politiche di riduzione della pressione fiscale per i cittadini che le imposte le pagano. Lo sottolineo perché, in presenza del successo di una politica di lotta all'evasione fiscale e al lavoro nero (ricordo le 143 mila situazioni di lavoro nero emerse nel primo anno di attività del Governo Prodi), potremmo trovarci di fronte a una situazione per cui decisioni di riduzioni fiscali possono determinare minor pressione fiscale per i contribuenti virtuosi, ma anche aumento delle entrate complessive e, quindi, della pressione fiscale.
Trovo quindi del tutto giustificate e condivisibili le due manovre di carattere espansivo, ancor più alla luce del disegno di legge finanziaria per il 2008, anche se le stesse hanno determinato complessivamente un incremento dell'indebitamento netto rispetto al valore tendenziale pari a circa lo 0,9 per cento del PIL. Alla luce del quadro a legislazione vigente e degli andamenti tendenziali, l'indebitamento netto per il 2007 al netto delle misure adottate si sarebbe infatti attestato all'1,5 per cento del PIL, a fronte del 2,4 indicato nella nota di aggiornamento al DPEF. Ma ciò è avvenuto in un quadro di rispetto degli impegni assunti in sede europea, di ulteriore riduzione rispetto alle previsioni dell'indebitamento netto, di miglioramento seppur lieve del saldo netto da finanziare e con una politica di bilancio in cui la cautela nelle previsioni porta a migliorare i risultati finali, mentre nel recente passato l'eccesso di ottimismo nelle previsioni ha portato a risultati sempre discordanti dalle stesse in termini peggiorativi.
Ovviamente per il futuro si dovrà riverificare tutto questo, alla luce di un ritocco verso il basso delle aspettative di crescita del PIL e tenendo conto che, ai fini del patto di stabilità e crescita e dunque del raggiungimento del pareggio di bilancio, nel triennio 2009-2011 occorrerà comunque adottare manovre correttive pari almeno allo 0,4 per cento del PIL; un eventuale rallentamento congiunturale del ciclo potrebbe rendere più difficoltoso il conseguimento di un tale obiettivo. In questo senso, con riferimento ad eventuali maggiori entrate che si dovessero manifestare in corso di esercizio, in futuro, dovrà essere oggetto di attenta valutazione la loro destinazione, a fini di consolidamento degli obiettivi di finanza pubblica o per la riduzione della pressione fiscale o per politiche di crescita ed equità, non escludendo un mix tra queste finalità.
Per le ragioni esposte si invita l'Assemblea della Camera dei deputati ad approvare il disegno di legge relativo al rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2006 e il disegno di legge di assestamento del bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2007 (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
ANTONANGELO CASULA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Ricci. Ne ha facoltà.
ANDREA RICCI. Signor Presidente, la discussione sul rendiconto e sull'assestamento del bilancio dello Stato rappresenta un'occasione utile per affrontare un'analisi strutturale sull'andamento e sulla composizione della finanza pubblica italiana, rimandando ai successivi ed imminenti dibattiti parlamentari l'esame delle misure contenute nella manovra di finanza pubblica per il 2008 presentata dal Governo.
Ciò è tanto più necessario di fronte al dilagare, sui principali mezzi di informazione e in parti significative di opinione pubblica, di radicati luoghi comuni intorno all'argomento. Il più importante di essi riguarda la convinzione che in Italia il livello di spesa pubblica sia troppo elevato a causa di un'esagerata presenza dello Stato, in particolare nei settori dell'economia e della protezione sociale, e che ciò sia alla base di un livello eccessivo di tassazione posta a carico dei cittadini. Questo luogo comune è stato ossessivamente usatoPag. 7nel corso di questi anni, e viene ancora oggi usato dallo schieramento di centrodestra per giustificare politiche di impianto neoliberista, tese a ridimensionare il ruolo dell'intervento pubblico e ad aprire la strada alla privatizzazione e alla mercatizzazione integrale dell'economia e della società. La legittimazione delle politiche neoliberiste si è fondata infatti su presunti dati di fatto, presentati come oggettivi e inoppugnabili, piuttosto che sulla chiara e trasparente proposta di un modello di organizzazione economica e sociale. In altre parole, la forza attrattiva del neoliberismo, che in alcuni Paesi e in alcune fasi storiche ha raggiunto un consenso maggioritario presso l'opinione pubblica, si è costruita sulla demolizione e sulla delegittimazione delle politiche ad esso alternative in nome di una presunta realtà oggettiva che ad un esame solo un po' più attento risulta essere invece una realtà del tutto artefatta ed immaginaria, frutto di continue manipolazioni e falsificazioni in grado di imporsi a livello di massa grazie al dominio comunicativo derivante dal monopolio del potere e del denaro.
Il modo più semplice e diretto per giudicare sulla veridicità dell'asserzione riguardante l'eccesso dei livelli assoluti di spesa pubblica e di tassazione nel nostro Paese è quello di effettuare un confronto internazionale con gli altri Paesi appartenenti alla nostra stessa area economica e monetaria, cioè quelli dell'Unione europea.
Nel 2006, al netto degli oneri straordinari derivanti dalla sentenza della Corte di giustizia in materia di IVA sulle auto aziendali, dall'accollo da parte dello Stato del debito di Infrastrutture Spa e dalla retrocessione alla società di cartolarizzazione dei crediti di contributi sociali dovuti dai lavoratori agricoli, la spesa complessiva delle pubbliche amministrazioni si è attestata in Italia al 48,5 per cento del PIL. Tale livello è da considerarsi strutturale, poiché corrisponde sostanzialmente al valore medio dell'ultimo decennio, che risulta pari al 48,3 per cento del PIL.
Confrontiamo ora tale livello di spesa pubblica complessiva con quello degli altri Paesi europei, utilizzando a tal proposito le statistiche ufficiali della Commissione europea. Il valore medio nei ventisette Paesi aderenti all'Unione è risultato nel 2006 pari al 46,7 per cento del PIL; se escludiamo dal calcolo i Paesi dell'est europeo di più recente adesione - che hanno una struttura economica e sociale ancora lontano da quella dei Paesi dell'Europa occidentale - e se consideriamo i quindici Paesi di più antica adesione, il livello di spesa pubblica complessiva sale al 47,1 per cento del PIL. All'interno dell'area dell'euro, poi, la media cresce ancora, fino a raggiungere il 47,4 per cento del PIL. In termini di graduatoria per dimensione della spesa pubblica complessiva in rapporto al PIL, l'Italia si colloca all'ottavo posto nell'Unione europea, superata dalla Francia (53,5 per cento), dal Belgio (49,1 per cento), dall'Austria (49,1 per cento), dalla Finlandia (48,5 per cento), dalla Danimarca (50,9 per cento), dall'Ungheria (52,9 per cento) e dalla Svezia (55,3 per cento).
Se consideriamo il livello della spesa pubblica corrente, il quadro sostanzialmente non muta. L'Italia, con il 44,5 per cento del PIL, si colloca al settimo posto della graduatoria nell'Unione europea. Se scomponiamo l'aggregato della spesa pubblica complessiva, verifichiamo che la spesa pubblica primaria - al netto cioè degli interessi - in Italia è pari al 43,9 per cento del PIL, contro una media dell'Unione Europea a 27 membri del 44,1 per cento, una media dell'Unione a 15 del 44,4 per cento e una media dell'area dell'euro del 44,5 per cento. In termini di spesa per beni e servizi offerti dal settore pubblico ai cittadini, dunque, l'Italia si colloca al di sotto della media europea, ed è soltanto a causa dell'onere sul debito accumulato che la spesa pubblica complessiva nel nostro Paese supera, sia pur di poco, il livello medio europeo.
Passando all'esame del fronte delle entrate, troviamo una situazione analoga. Grazie ai provvedimenti assunti dal nuovo Governo fin dal momento del suo insediamento, il livello delle entrate totali sul PIL è cresciuto nel 2006 dell'1,6 per cento, raggiungendo il 45,6 per cento. In questoPag. 8modo, il livello delle entrate fiscali del nostro Paese ha decisamente ridotto la distanza che lo separava da quello degli altri Paesi europei: nell'area dell'euro, infatti, la media delle entrate totali sul PIL è pari al 45,8 per cento. Anche in questo caso, l'Italia si colloca all'ottavo posto nella graduatoria europea.
Di fronte a questi dati, parlare di una grave anomalia italiana, di una situazione fortemente eccentrica dell'Italia a causa di un peso eccessivo del settore pubblico nell'economia e di una conseguentemente intollerabile pressione fiscale, non risulta affatto fondato. I livelli di spesa pubblica e di tassazione sono in Italia quantitativamente adeguati alla scelta di adottare un modello sociale di tipo europeo, fondato sulla garanzia universale di diritti sociali essenziali attribuiti a tutti i cittadini, indipendentemente dal loro reddito individuale. L'alternativa a tale modello è il modello sociale americano, che lascia al mercato la fornitura dei servizi sociali, anche di quelli più elementari.
Chi vuole la riduzione drastica della spesa pubblica e della tassazione nel nostro Paese deve, allora, avere l'onestà politica ed intellettuale di sostenere che occorre smantellare e privatizzare il sistema pubblico del welfare, sapendo che ciò implicherebbe spogliare una grande fetta di popolazione - quella con redditi medi e bassi - dei più elementari diritti sociali, a cominciare dal diritto alla salute e alla vita, come accade negli Stati Uniti d'America, dove 40 milioni di persone sono sprovviste di assicurazione sanitaria ed anche chi la possiede non è affatto sicuro di essere curato, a causa dei trucchi e degli inganni delle grandi compagnie assicurative assetate di profitto.
Il problema della spesa pubblica italiana non risiede allora nella sua quantità, ma nella sua qualità, non nel «quanto», ma nel «come» si spende.
In altre parole, non è vero che in Italia lo Stato spende troppo, ma è vero che spesso spende male.
La priorità strategica di un Governo riformatore dovrebbe, allora, essere quella di innalzare la qualità della spesa pubblica, incrementandone l'efficienza e dirottandola verso quei settori di intervento che oggi sono sottodimensionati, pur avendo un grado elevato di utilità sociale.
In questo senso, ritengo che due siano oggi le emergenze da affrontare: la prima riguarda la riduzione delle disuguaglianze sociali, la seconda la riduzione degli squilibri territoriali.
L'effetto redistributivo della spesa pubblica si è, nel corso dell'ultimo quindicennio, via via attenuato, e non è stato in grado di controbilanciare le spontanee tendenze all'accentuarsi delle disparità sociali messe in moto dal prevalere del modello economico della globalizzazione neoliberista.
Accanto alle vecchie forme di disuguaglianza, centrate sulle differenze nella remunerazione dei fattori produttivi, sono sorte nuove forme di disuguaglianza, prima fra tutte quella legata alla precarietà ed all'insicurezza della propria condizione lavorativa ed occupazionale, in particolare per le donne e le giovani generazioni.
La struttura della spesa pubblica italiana non è stata in grado di adeguarsi a queste trasformazioni. Il ruolo del «pubblico» è stato così quello di assecondare - quando non di accentuare, attraverso le nuove normative sul mercato del lavoro, come la legge n. 30 del 2003 - la tendenza alla crescita delle disuguaglianze, sino ad arrivare ad una condizione di grave emergenza sociale, quale quella che oggi stiamo vivendo sul fronte della distribuzione del reddito.
Un'analoga impotenza, nello stesso scorcio di tempo, ha mostrato la spesa pubblica sul versante del riequilibrio economico e sociale tra nord e sud del Paese.
Negli ultimi anni, le differenze tra centronord e Mezzogiorno, in termini di reddito pro capite e prodotto, hanno ripreso a salire: il Mezzogiorno d'Italia risulta così essere l'unica grande area geografica d'Europa in cui non si è assistito, nell'ultimo quindicennio, ad un processo di convergenza economica, ma al contrario si sono riattivati i ben noti meccanismi cumulativi e circolari all'origine della divergenza e dello squilibrio.Pag. 9
La fine dell'intervento straordinario, nel 1992, non è stata accompagnata da un riorientamento dei flussi ordinari di spesa pubblica, e ciò si è tradotto in una semplice decurtazione delle risorse disponibili per il sud del Paese.
A fronte di un obiettivo programmatico, confermato da tutti i Governi che si sono succeduti da allora in poi, del 45 per cento di spesa in conto capitale da destinare al Mezzogiorno, nel 2006 si rileva una quota del 36,3 per cento, con un significativo declino rispetto alla quota del 40,3 per cento «toccata» nel 2001 e ben inferiore al peso naturale dell'area, che si colloca intorno al 38 per cento del Paese.
Di fronte a tali dati, non si può che rilevare un sostanziale fallimento della funzione di coesione sociale e territoriale della spesa pubblica.
Passando all'analisi delle entrate, anche a tale proposito si può notare come, alla luce del confronto europeo, il problema consista non nel livello assoluto del carico fiscale, ma nella sua iniqua distribuzione tra le diverse categorie di contribuenti.
In Italia, il carico fiscale è infatti fortemente distorto a tutto svantaggio dei redditi da lavoro, a causa di due gravissime anomalie: un'enorme sacca di economia sommersa e di evasione fiscale senza pari nel mondo industrializzato, che sottrae al fisco ben 100 miliardi di euro di gettito all'anno.
In secondo luogo, un livello di imposizione sui redditi finanziari tra i più bassi del mondo che, oltre a determinare gravi sperequazioni sociali, favorisce gli investimenti parassitari e speculativi a discapito di quelli produttivi, con grave danno per lo sviluppo economico e l'ammodernamento qualitativo della nostra struttura produttiva.
La priorità riformatrice della politica fiscale deve essere, dunque, quella del riequilibrio e della giusta distribuzione del peso fiscale tra le diverse categorie di contribuenti, nell'ambito di una stabilizzazione della pressione fiscale complessiva ai livelli raggiunti nell'ultimo anno. Il recupero del gettito evaso e l'aumento delle aliquote per i redditi finanziari potrà, in tal modo, essere utilizzato per ridurre le imposte sul lavoro dipendente e sui redditi medio-bassi. In tale modo il sistema fiscale potrà essere da ausilio nell'affrontare un gravissimo problema economico e sociale recentemente ribadito dal Governatore della Banca d'Italia, Draghi, relativo al basso livello dei salari in Italia. È evidente che la necessaria crescita salariale non potrà essere garantita, né esclusivamente, ma nemmeno principalmente, da provvedimenti fiscali poiché la via maestra non può che essere quella della contrattazione nazionale. Tuttavia, provvedimenti come il recupero del drenaggio fiscale o la detassazione degli aumenti contrattuali, pur non risolvendo il problema, ne favorirebbero un ridimensionamento, agendo nel senso dell'equità sociale e, attraverso lo stimolo della domanda interna, dello sviluppo economico.
Come ho tentato di argomentare, dunque, nel campo della finanza pubblica la priorità non consiste nell'azione sui livelli assoluti delle entrate e delle uscite delle pubbliche amministrazioni. Noi siamo contrari a politiche di riduzione quantitativa dei bilanci pubblici, ma allo stesso modo non riteniamo che essi debbano crescere senza limiti.
Chi addita la sinistra perché sarebbe parte consistente di un fantomatico fronte del deficit e della spesa pubblica, incurante dei conseguenti squilibri finanziari che esso potrebbe generare, dipinge soltanto una volgare caricatura e crea, a proprio uso e consumo, l'avversario da combattere. L'equilibrio tendenziale dei conti pubblici e la loro sostenibilità nel lungo periodo fanno parte della nostra proposta politica e programmatica. Il rigore nella gestione dei flussi delle risorse pubbliche è anzi una caratteristica del patrimonio ideale e politico che abbiamo ereditato dalla storia della sinistra del nostro Paese.
Ciò che abbiamo contestato e continuiamo a contestare è semmai la costruzione di gabbie istituzionali, rigide ed automatiche, aventi per obiettivo la sottrazione della gestione dei bilanci pubblici alle scelte politiche e democratiche come sono i vincoli, spesso irrazionali e controPag. 10producenti, posti dal trattato di Maastricht o peggio da regole costituzionali che impongono il pareggio del bilancio nel breve periodo. Il peso del bilancio delle pubbliche amministrazioni sul complesso dell'economia, sia dal lato delle entrate, sia da quello delle uscite, deve a nostro avviso essere mantenuto, nel nostro Paese, sostanzialmente costante ossia ai livelli attuali per i prossimi anni. Il necessario processo di riduzione del debito pubblico, che permane in Italia a livelli troppo elevati, deve essere perseguito attraverso un'accelerazione del tasso di sviluppo economico in grado di ridimensionare il peso relativo dello stock di debito accumulato in passato.
Infatti, la condizione di debolezza strutturale della finanza pubblica italiana, nell'ultimo quinquennio, è risieduta più nella grave stagnazione economica che non nell'esplosione della spesa pubblica. L'ammodernamento tecnologico e il mutamento qualitativo del nostro apparato produttivo rappresenta la soluzione principale anche per perseguire, con maggiore rapidità, l'obiettivo della riduzione del debito pubblico e dell'onere della spesa per interessi.
L'intervento riformatore sulla struttura del bilancio pubblico deve essere concentrato intorno all'obiettivo di rendere più efficiente la spesa e più equo il sistema fiscale, in modo da aprire gli spazi necessari per interventi di politica economica finalizzati alla redistribuzione sociale e territoriale del reddito e della ricchezza e alla riqualificazione del sistema produttivo verso un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla qualità della produzione e dei consumi.
Rispetto a queste linee generali di indirizzo il giudizio che il gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea esprime sul rendiconto per il 2006 e sull'assestamento per il 2007, oggi in discussione, è complessivamente positivo, anche se notiamo deficienze ed incertezze nell'azione fin qui condotta dal Governo che non mancheremo di far rilevare in sede di dichiarazione di voto sui presenti provvedimenti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, cercherò di intervenire sui due provvedimenti in esame evitando di ripercorrere gli aspetti quantitativi già illustrati, con dovizia di particolari, dal relatore. Mi limiterò, pertanto, ad alcune considerazioni di natura politica, che prendono spunto da una considerazione di fondo in base alla quale - lo anticipo - vi sarà il voto favorevole del gruppo Italia dei Valori. Come è stato affermato dal relatore, poiché si tratta di «fotografie», esse permettono di capire, attraverso il confronto con le istantanee precedenti, che vi è stato un netto miglioramento della finanza pubblica e questo è un dato sicuramente positivo.
Tuttavia, vorrei svolgere alcune riflessioni che, lungi dal rappresentare delle critiche al Governo, vogliono, invece, stimolarlo e pungolarlo ad essere più rigoroso su taluni aspetti. Inoltre, tali riflessioni politiche sono dirette a quella parte della maggioranza di cui faccio parte che, invece, a mio giudizio, fatica a comprendere che determinati nodi strutturali della nostra finanza pubblica non potranno essere sciolti se non attraverso alcune azioni molto coraggiose che il Governo è invitato ad intraprendere.
È facile rilevare tali nodi ripercorrendo la relazione sul rendiconto svolta dalla Corte dei conti che, naturalmente, ha espresso un giudizio di parificazione sui documenti in esame e ha verificato la conformità dei dati sulle entrate e sulle spese agli stanziamenti contenuti nel bilancio di previsione, dichiarando regolare il conto del bilancio e i conti allegati per l'esercizio finanziario 2006.
La Corte dei conti, tuttavia, non ha rinunciato a svolgere delle riflessioni e a rilevare alcuni punti che vorrei ripercorrere e che, se rappresentano uno stimolo per il Governo a fare meglio, certamente suonano come una critica verso chi, nei cinque anni che hanno preceduto l'attualePag. 11Governo, non ha fatto sostanzialmente nulla per affrontarli e risolverli in modo adeguato.
Già abbiamo detto che si è verificato un miglioramento dei conti pubblici; ciò, tuttavia, ha qualche contrappeso che sicuramente non possiamo giudicare positivo, come l'aumento della pressione fiscale. Infatti, è vero che vi è stato un miglioramento generale dell'economia, ma anche un maggior peso della tassazione a carico dei cittadini e delle imprese, per cui siamo arrivati, nel 2006, al 42,3 per cento di pressione fiscale. Inoltre, la spesa corrente, che già era aumentata nei cinque anni precedenti, è ulteriormente cresciuta raggiungendo quasi il 40 per cento della spesa al netto degli interessi.
È evidente che l'elevato livello del debito pubblico, come nota la Corte dei conti, dovrebbe spingere a capire le cause degli insuccessi che vi sono stati in questi anni sul controllo della spesa e, quindi, dovrebbe indurre a prendere anche decisioni più incisive.
Il primo fondamentale elemento dal quale partire, in termini positivi, è costituito dalla lotta all'evasione fiscale. Si discute - è vero - sull'entità del fenomeno e il Viceministro Visco ritiene che circa 23 miliardi di maggiori entrate siano in buona parte legate al miglioramento della tax compliance dei cittadini.
Vi sono studi che forniscono giudizi non esattamente in tal senso e che individuano una parte inferiore di questi 23 miliardi dovuti alla lotta all'evasione e all'elusione fiscale. Tuttavia, comunque sia, credo che non si possa dubitare dell'importanza del fatto che finalmente si siano esclusi con certezza, per i prossimi anni, interventi di condono fiscale e che si sia intrapresa una seria lotta all'evasione, anche con strumenti tecnologicamente avanzati.
Non posso dimenticare che uno dei primi provvedimenti approvati da questo Governo e dal Parlamento è stata la revisione completa dell'anagrafe tributaria. Credo che questo dato sia assolutamente importante anche per spiegare la lotta all'evasione, perché tutti sanno che nei sistemi più evoluti (come quello americano, ad esempio) l'anagrafe tributaria permette senza difficoltà al controllore, schiacciando un pulsante, di verificare alla fine dell'anno che cosa ha fatto il contribuente, confrontando la dichiarazione resa rispetto alle sue spese.
Mi sono sempre chiesto - l'ho dichiarato anche in quest'aula - come fosse possibile nel nostro Paese che, quando ci rechiamo al ristorante e chiediamo una fettina di carne, possiamo sapere chi era l'animale, dove era nato, chi erano i genitori, dove aveva pascolato e che cosa aveva mangiato. Possiamo sapere tutto di un animale, però stranamente, immettendo il codice fiscale di un contribuente nell'anagrafe tributaria, non riuscivamo a conoscerne gli acquisti rilevanti. Per capire se una persona era proprietaria di una Ferrari dovevamo partire dall'automobile, non dal proprietario.
Credo che su tale piano questo Governo abbia intrapreso azioni importanti di lotta all'evasione. Se è vero che il valore aggiunto dell'economia sommersa è quasi il 18 per cento dell'intero PIL e che addirittura sarebbe maggiore per quanto riguarda l'imponibile IRAP e l'IVA, è evidente che stiamo parlando di cifre enormi, che, in termini di mancate entrate, rappresentano il 7 per cento del PIL e, in termini tassazione, una perdita superiore ai 100 miliardi di euro l'anno. Questo fatto oggi comporta che, su quelli che pagano, la tassazione pesi tantissimo, come dicevamo. Sotto tale profilo bisogna intervenire, soprattutto sul fronte della spesa.
Da questo punto di vista è interessante notare alcuni elementi indicati sempre dai rilievi della Corte dei conti. Quando parliamo di spesa, innanzitutto bisogna distinguere tra le spese correnti e le spese di investimento. Purtroppo, in questi anni per far quadrare i conti, soprattutto con il precedente Governo - perché quello attuale un po' di quattrini li ha stanziati -, si sono ridotti gli investimenti: nel 2006 vi è stato un livello inferiore di oltre il 40 per cento rispetto al 2003 e negli anni 2003, 2004 e 2005 si è investito pochissimo.Pag. 12
È evidente che non destinare risorse agli investimenti significa penalizzare il Paese nel medio periodo. Da questo punto di vista, anche questo Governo si è mosso per trovare e individuare le risorse che mancavano, nonostante si fossero inaugurati tanti cantieri. Tuttavia, si trattava di inaugurazioni nominali, ma non vi erano i denari e le risorse per poter realizzare effettivamente le infrastrutture. Anche questo è un elemento positivo sul quale riflettere.
È certamente diverso il ragionamento sul lato della spesa. Le spese si dovevano contenere di più e bisognerebbe certamente essere un po' più parsimoniosi.
Inoltre, uno dei rilievi che la Corte dei conti svolge - e che mi sento di sottoscrivere, in quanto l'Italia dei Valori ne ha più volte parlato - riguarda, ad esempio, la problematica del pubblico impiego.
Se andiamo a guardare quanto avvenuto negli ultimi anni, il rinnovo dei contratti - come rileva la Corte dei conti - ha comportato un aumento complessivo dei redditi da lavoro dipendente di circa il 9 per cento nel biennio, rispetto ad un obiettivo programmatico del 4 per cento. Quindi, è evidente che abbiamo un problema molto serio, sul quale la Corte ha mosso anche alcuni rilievi di natura metodologica.
Ritengo che il problema del numero e della spesa complessiva dello Stato per i dipendenti pubblici sia un nodo cruciale che va affrontato; se ne discuteva in quest'Aula la scorsa settimana e nelle precedenti nel corso della discussione sul provvedimento del Ministro Nicolais sulle amministrazioni pubbliche. Tale tema costituisce un nodo dal quale non si può sfuggire ed è spiacevole che il Ministro Nicolais abbia dovuto ritirare le proposte concrete che aveva avanzato per ridurre il numero dei dipendenti pubblici. Penso che il Ministro Nicolais debba procedere rapidamente su quella strada, che è assolutamente indispensabile per far crescere la produttività del nostro sistema economico complessivo, perché senza una riduzione del costo dei servizi, in particolare di quelli pubblici, difficilmente potremmo competere con le nazioni che costituiscono tradizionalmente i nostri competitors sul piano economico, come i Paesi della vecchia Europa, gli Stati Uniti e il Giappone. Ritengo, quindi, che dobbiamo intervenire abbastanza rapidamente su questo tema.
Un altro nodo evidenziato dalla Corte dei conti riguarda la problematica delle pensioni. Non intendo affrontarlo in questa sede, perché nelle prossime settimane avremo occasione di parlarne quando sarà in discussione il provvedimento sul welfare. Al riguardo penso - lo dichiaro anche a nome del mio gruppo - che la mediazione che si è trovata rappresenti il migliore risultato possibile e che non sia immaginabile andare al di là di ciò che si è riusciti faticosamente a mettere in cantiere. La riforma del welfare da un lato evita quel salto, previsto dalla legge Maroni, che a molti non piaceva, dall'altro lato, va in qualche modo a discapito dei giovani e del loro futuro, anche se contiene una serie di provvedimenti, in termini di ammortizzatori sociali ed altro, che compensano un po' tale situazione. Tuttavia, è evidente che non possiamo permetterci di peggiorarla.
Faccio fatica a capire alcune parti della maggioranza che non riescono ad accettare ciò che diversi soggetti del nostro sistema economico, come la Corte dei conti e la Banca d'Italia, dicono da tempo. Certamente è facile dire che gli stipendi e le retribuzioni sono basse - siamo tutti d'accordo - e lo ha riconosciuto anche il Governatore della Banca d'Italia. Tuttavia, non possiamo immaginare di avere più sviluppo con una pressione fiscale così alta; dovremmo per forza accettare di intervenire in futuro più pesantemente sulla spesa, in particolare su quella del personale dello Stato, altrimenti questi dati che oggi fotografano una situazione in tendenziale miglioramento rischiano di farci trovare in futuro di fronte a problemi ben più seri.
Rilevo un ultimo punto - perché ne ha trattato la Corte dei conti credo in modo corretto - che riguarda la pubblica amministrazione e la finanza degli enti localiPag. 13e, in particolare, il ricorso che è stato operato a meccanismi quali i derivati in materia di indebitamento.
È un tema delicato, perché la Corte dei conti rileva anche che molti comuni hanno ristrutturato il loro debito ricorrendo ai derivati anche in modo rilevante e migliorando la situazione dei loro conti a breve termine, ma in sostanza spostando il rischio sulle generazioni future, sugli amministratori futuri e, quindi, anche sui cittadini.
Pertanto, mi sono fatto promotore di una richiesta al presidente della Commissione bilancio di un'audizione di rappresentanti del Ministero del tesoro o della Banca d'Italia, proprio per capire meglio il fenomeno, che va monitorato considerato che, altrimenti, i riflessi sulla finanza pubblica allargata potrebbero essere pesanti.
Come ho già anticipato, annuncio quindi che il gruppo dell'Italia dei Valori voterà a favore dei due disegni di legge sottoposti alla nostra attenzione (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gioacchino Alfano. Ne ha facoltà.
GIOACCHINO ALFANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, esaminiamo due documenti congiuntamente, in cui sono riportate delle cifre: il rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2006 e le disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2007.
Ho chiesto ai commessi di portarmi i documenti che dobbiamo esaminare: sono volumi molto corposi. Per evitare, quindi, di perdere il filo conduttore di un intervento che dia un'idea delle valutazioni sul rendiconto e sull'assestamento, ho operato una verifica degli ultimi anni sull'atteggiamento della Camera dei deputati nel valutare tali strumenti. Infatti, si tratta di due strumenti di lavoro e in seguito ritornerò su questo punto per spiegarlo meglio.
Condivido quanto espresso dai colleghi riguardo al metodo di valutazione su tali strumenti di lavoro: è indispensabile procedere ad una valutazione generale, che deve soffermarsi con maggiore attenzione sugli scostamenti.
Ho mostrato lo spessore dei due documenti sottoposti alla nostra attenzione per sottolineare che, se vogliamo intervenire su ogni posta del rendiconto e dell'assestamento, è normale che, con arbitrio, ci soffermiamo su quei punti che sono a noi più favorevoli per svolgere osservazioni critiche nei confronti della parte politica avversa; nel caso specifico, io rappresento l'opposizione e, quindi, dovrei comportarmi in tal modo. Invece, mi sforzerò di evitare interventi soltanto tattici, ma - come ho fatto anche in passato, quando la mia parte politica era maggioranza - cercherò di mettere in evidenza quali sono gli elementi che ritengo criticabili in questa fase (opererò forse un solo accenno alla variazione delle entrate fiscali).
In primo luogo, l'assestamento viene esaminato da noi ora, a fine ottobre, con molto ritardo rispetto alla data di riferimento: se tale strumento deve continuare ad essere efficace, ritengo che se ne debba accelerare l'esame.
La nostra Assemblea esamina tali documenti dopo il loro passaggio al Senato: quindi, se rinviamo sempre i temi che dovremmo affrontare a provvedimenti più consoni alle valutazioni del caso, è pur vero che le questioni sono già state poste ed esaminate nel corso della discussione al Senato.
Inoltre, nessuno ha detto - ci tengo a precisarlo - che il rendiconto è immodificabile: in effetti esso non è altro che il saldo dei conti al termine dell'esercizio finanziario 2006. Nel caso dell'assestamento, invece, ci troviamo di fronte ad una valutazione dell'andamento dei conti relativi a una spesa o a un'entrata che viene corretta progressivamente.
Abbiamo visto, quindi, come anche al Senato si sia dovuti intervenire precisando i numeri indicati nei conti dell'assestamento del bilancio. Se il centrosinistra ha organizzato una campagna elettoralePag. 14incentrata fondamentalmente sulle riforme, ritengo che - anche alla luce degli interventi svolti quando eravate all'opposizione - in questa fase si sarebbe potuto dare un segnale forte, ossia non solo accelerare l'esame di questi provvedimenti, ma anche renderli più efficaci rispetto alla politica economica e finanziaria proposta dal Governo.
Vorrei aprire, a questo punto, una piccola parentesi: nella scorsa legislatura in ogni intervento veniva lamentata la mancata presenza del Ministro durante le sedute attinenti l'esame del rendiconto e dell'assestamento del bilancio, trattandosi di documenti fondamentali relativi alla politica del Governo. Alla luce di ciò, sarebbe stato opportuno che il Governo - senza voler nulla togliere al sottosegretario presente - su una tale materia avesse dimostrato l'onestà di questa sua valutazione.
Il mio intervento è volto a rilevare la necessità di rendere non tanto il rendiconto quanto l'assestamento di bilancio strumenti di politica seri. E mi auguro che nel prossimo futuro saremo capaci di raggiungere un tale obiettivo.
Se l'assestamento non verrà diviso in due parti - una che attiene all'assestamento di bilancio e alla conseguente politica economica e finanziaria di previsione per l'anno 2007 e un'altra legata ai provvedimenti che vengono presentati durante l'anno e che modificano i conti - non saremo mai in grado di sapere se i provvedimenti di politica economica inseriti nella legge finanziaria, dopo tante contrapposizioni violente, siano realmente efficaci ai fini del raggiungimento degli obiettivi posti.
Un secondo aspetto importante che vorrei rilevare e che mi rende molto critico nei confronti della valutazione dei due documenti in esame consiste nel fatto che bisogna distinguere gli andamenti dei conti che il Governo ha inserito nella legge finanziaria (l'anno precedente per quello successivo) e le modifiche apportate durante l'anno che tendono a correggere i conti.
Se ciò non avverrà, utilizzeremo, come ormai facciamo da diversi anni (e ciò negli ultimi due anni rappresenta un controsenso evidente), i provvedimenti in esame soltanto come momenti di riflessione critica su alcuni punti arbitrariamente estrapolati dai documenti, tralasciando il loro valore fondamentale che risulta utilissimo ai fini della valutazione dell'attività del Governo in carica e dei flussi indispensabili per il mantenimento dei conti.
Il deputato di sinistra che mi ha preceduto ha fatto riferimento alla discordanza di vedute esistenti sulla spesa nel settore pubblico ed ha espresso perplessità sul fatto che la riduzione della spesa pubblica fosse un obiettivo importante. L'ultimo parlamentare che mi ha preceduto, sempre facente parte della maggioranza, ritiene che bisogna intervenire proprio sulla spesa pubblica. Ma azzeramento del deficit e riduzione della spesa pubblica rappresentavano proprio le riflessioni critiche che il centrosinistra ci rivolgeva quando eravamo maggioranza. Rispetto a tutto ciò e al di là delle valutazioni di merito, mi domando ulteriormente se lo strumento in esame sia in grado di mettere in evidenza la parte di spesa legata al contratto di lavoro prevista nel 2006 per il 2007 e la parte condizionata dalla modifica del contratto. Tutto questo nei conti non è presente.
Ritengo, allora, che dobbiamo evitare di svolgere dibattiti politici come se fossero sempre presenti una telecamera o un giornalista che ci chiedono di rendere dichiarazioni per i media; non dobbiamo perdere di vista la finalità più importante dei documenti e degli atti da valutare.
Uno degli elementi di maggiore discordanza per quanto attiene ai conti risiede nella valutazione del tesoretto e del carico fiscale. Durante i lavori svolti nella Commissione ho avanzato un quesito che in questa sede ripropongo al Governo nella speranza di ottenere una risposta: allorché abbiamo accertato una maggiore entrata del gettito fiscale, vi è successivamente la possibilità di verificare se questa maggiore entrata sia stata frutto della battaglia all'evasione? Ci sono azioni messe inPag. 15campo dal Governo insieme all'Agenzia delle entrate che hanno portato a quantificare (e non solo a prevedere) maggiori entrate? Se tutto ciò è avvenuto - dato che voi, come noi, ritenete che il condono rappresenti una misura sbagliata - per quale motivo definite «evasori» coloro che hanno liberamente dichiarato un reddito superiore, determinando così maggiori entrate tributarie?
Se, secondo il provvedimento in materia di assestamento del bilancio dello Stato, grazie alla pressione fiscale, si è verificata un'entrata maggiore rispetto alle previsioni, per affermare in questa sede - dove non stiamo discutendo di politica fiscale o della riforma tributaria - che quella maggiore entrata è il frutto di una maggiore pressione fiscale, vi deve essere nel bilancio un capitolo dedicato ad un provvedimento apposito.
Solo in questo modo possiamo esprimere valutazioni compatibili e congrue - per usare un termine ragionieristico - con i documenti oggi all'esame dell'Assemblea; altrimenti, utilizzeremmo un dato al fine di promuovere un'azione politica che in questa fase ritengo sbagliata. Infatti, lo strumento in esame è indispensabile ai fini della valutazione della politica del Governo, al di là delle posizioni del centrodestra o del centrosinistra.
Un altro elemento di maggiore discordanza che non avete citato - a differenza del primo - riguarda l'accollo del debito di Infrastrutture Spa. Sapete bene cosa significa modificare la politica degli investimenti per quanto riguarda le infrastrutture. Quindi, un conto è affermare che si vuole interrompere un'iniziativa volta a realizzare un'opera pubblica, altro è verificare quali siano le conseguenze economiche e finanziarie dell'interruzione di tale programmazione. Infatti, un conto è che si tratti di una programmazione riguardante la sola politica triennale del Governo; se, invece, quell'attività ha già prodotto degli impegni, è normale che il mancato rispetto di tali impegni poi comporti delle spese.
Nel caso specifico credo occorra affermare che nel bilancio vi è una discordanza riguardante tale situazione (se è stata già quantificata la penale o, comunque, la spesa dovuta a seguito dell'interruzione del rapporto); dopodiché, occorre verificare se tutto ciò sia giusto o meno.
In questa fase, essendo membro dell'opposizione, non mi sento di entrare nel merito della quantificazione del danno e delle conseguenze dovute alla mancata realizzazione dell'opera che si vuole interrompere, bensì del dato che dobbiamo individuare nel bilancio.
Se il Governo è in grado di quantificare nel documento di assestamento del bilancio dello Stato la cifra corrispondente alla penale relativa a Infrastrutture Spa, paradossalmente, il giudizio sul provvedimento contenente le disposizioni di assestamento in esame dovrebbe essere favorevole, perché nei conti non vi è alcun errore di valutazione e non vi è alcun arbitrio nella valutazione degli incrementi dei conti stessi; invece, siamo critici per quanto riguarda la valutazione di tipo politico.
Purtroppo - considerato che ho cercato di prevedere il contenuto degli interventi dei rappresentanti dell'opposizione, come hanno fatto anche altri colleghi - dichiaro con profondo rammarico che, se non cambia l'atteggiamento della maggioranza in merito ai due documenti in discussione, sarò costretto a invitare i colleghi ad esprimere un voto contrario. E per chi ha rivestito la funzione di sindaco o di assessore di un comune o per chi comunque si è occupato di conti pubblici e conosce la tecnica ragionieristica dello Stato è imbarazzante votare contro un numero, ovverosia contro un dato inconfutabile.
Allora, vorrei citare la dichiarazione di un parlamentare resa la settimana scorsa durante l'esame della proposta di legge di revisione della Costituzione in merito alla riorganizzazione della Camera e del Senato, il quale ha affermato testualmente che, essendo «le parole come pietre, occorre che le stesse vengano chiarite». Ritengo che, quando i numeri (che sono ancora più inconfutabili delle parole) sono accompagnati da valutazioni fortementePag. 16arbitrarie, è ancora più indispensabile soffermarsi per chiarire il nostro punto di vista.
Siamo convinti che il centrosinistra, non riuscendo paradossalmente a programmare la politica fiscale, in particolare, e la politica di bilancio, in generale, per il futuro prossimo e specificamente per l'anno prossimo, stia cercando di rivendicare dei meriti, sostenendo che in determinate poste del bilancio i valori sono aumentati, addirittura esprimendo considerazioni polemiche sulla politica del precedente Governo, così rinviando alla discussione del disegno di legge finanziaria per l'anno prossimo un dibattito che non coglie l'aspetto più importante.
L'aumento del saldo positivo, a nostro modo di vedere, è legato ad un fatto momentaneo e non a una politica fiscale esplicita programmata: se il Governo rimane in carica, diventerà quanto prima addirittura negativo.
Dal 1o gennaio 2008 entreranno in vigore le disposizioni sulla riorganizzazione dei pagamenti, ossia le nuove norme che stabiliscono i limiti entro i quali i pagamenti possono essere effettuati con titoli trasferibili o meno. In questo momento in cui è aumentata la ricchezza nelle tasche dei cittadini, non sappiamo quanto sia ampia la loro disponibilità nei confronti del fisco. Se è vero che i mutui per la prima casa - in Campania è un dato certo - sono in sofferenza e che è aumentata la pressione fiscale, almeno il Governo è in grado di dirci qual è la tipologia di contribuenti che ha subito un maggiore esborso di imposte?
Se il potere di acquisto di una famiglia con reddito medio-basso è diminuito (e lo dimostrano i mutui in sofferenza: si parte, quindi, da un dato certo), se è vero che le maggiori entrate fiscali che hanno determinato la modifica di quei dati sono la conseguenza di una politica del Governo contro l'evasione (anche se non sappiamo con quali provvedimenti sia stata programmata), chi è il contribuente tipo che ha visto aumentare il proprio contributo alle casse dello Stato, pagando maggiori imposte?
Dobbiamo riprendere, a mio modo di vedere, la valutazione sulla politica del Governo, anche all'interno della maggioranza, sebbene lo ritenga difficile: è sufficiente prendere in considerazione le dichiarazioni rese oggi con riferimento a due materie, quali il pubblico impiego e le spese dei contratti con i privati, per capire che questo è impossibile.
Tuttavia, al di là di questioni di casa vostra, ritengo che in un momento in cui dovevamo dare un segnale positivo all'Italia nella valutazione dei conti, abbiamo addirittura dimostrato che il Governo in carica non ha le capacità di riconoscere un merito a chi si è sacrificato; esso non è in grado di dare un segnale, evitando di definire «evasore» colui che si è dichiarato disponibile a contribuire in base a un maggior reddito. Infatti, paradossalmente, chi oggi si trova a pagare le imposte viene considerato evasore, anche se non ha usufruito di nessun provvedimento ad hoc per un reddito che era stato dichiarato evaso in precedenza.
Concludendo, signor Presidente, se i miei colleghi stasera hanno già pronunciato la propria dichiarazione di voto, ritengo che vi sia ancora tempo, entro domani, per ritornare sulla valutazione del rendiconto e dell'assestamento sotto un profilo ragionieristico, cercando di portare avanti due questioni. La prima consiste nel fatto che ogni provvedimento che interviene sui conti debba essere efficace dall'anno successivo. Quindi, se è possibile, tutti gli interventi che influiscono sulle entrate e sulle uscite dello Stato devono avere effetto dal 1o gennaio dell'anno successivo, in modo che i contribuenti abbiano almeno la possibilità di verificare quale debba essere il loro comportamento nei confronti della legge dello Stato.
Se questo è un approccio condivisibile che può essere proposto al Governo e se abbiamo la capacità di dire che le maggiori entrate costituiscono la base della politica messa in atto dal Governo in carica, ma sono anche la conseguenza di un momento in cui l'Italia è stata sollecitata ad un sacrificio, allora tale momento - mi rivolgo in particolare al Governo - deve essere compensato non soloPag. 17con la riduzione della pressione fiscale, ma anche con una valutazione pura e semplice in questa fase delle cause della variazione in aumento.
Ritengo che, per quanto a voi possa interessare (infatti, potrebbe anche darsi che non vi interessi la nostra disponibilità a esprimere un voto favorevole, essendo i nostri numeri inferiori in questo ramo del Parlamento), in un momento che considero importante per i conti dello Stato nonostante il saldo in aumento (vista l'incertezza delle cause dell'aumento stesso), la maggioranza possa chiedere alla minoranza un sacrificio nell'ambito di una valutazione complessiva e, quindi, un voto favorevole.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.
MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Casula, anche in questo esercizio registriamo una limitata attenzione del Parlamento sull'esame dei disegni di legge di rendiconto e assestamento. Oggi discutiamo esclusivamente il bilancio dello Stato.
Ci appassioniamo di più quando diamo una valutazione complessiva sugli andamenti di finanza pubblica che hanno assunto un rilievo crescente con altri aggregati, quali la finanza delle regioni, degli enti locali, la sanità e la previdenza.
Vi è una seconda ragione: questo nostro dibattito si svolge nel momento in cui, contestualmente al disegno di legge finanziaria per il prossimo anno, sono all'esame altri provvedimenti, su cui è concentrato l'interesse di tutti.
I due provvedimenti in discussione, invece, meriterebbero una lettura molto più attenta, perché ci darebbero la possibilità di individuare - come è stato ben evidenziato nell'illustrazione del relatore, l'onorevole Marchi, con cui sono d'accordo e che ringrazio - alcune tendenze significative dell'evoluzione dell'economia e della finanza pubblica del nostro Paese. È necessario, infatti, cercare di fornire alcuni elementi di contesto ed è bene ricordarli.
Innanzitutto, la crescita: per cinque anni l'Italia ha registrato tassi di crescita ridotti, pari, da ultimo nel 2005, allo 0,1 per cento del PIL. Il rendiconto si riferisce ad un anno, il 2006, in cui si è registrata una netta ripresa, con un aumento del PIL reale pari all'1,9 per cento. Non si è trattato di una variazione episodica, dal momento che anche per l'anno in corso, cui si riferisce l'assestamento, è previsto un aumento del tasso di crescita dell'1,9 per cento.
Signor Presidente, mi permetta di fornirle, in dettaglio, il raffronto con quanto è accaduto negli ultimi anni. Il 2001 fu un anno di passaggio: nel DPEF fu prevista una crescita del 2,9 per cento, ma il consuntivo, in base ai dati ISTAT, registrò l'1,8 per cento. Nel 2002 fu prevista una crescita del 3,1 per cento, poi divenuta del 2,3 per cento con la nota di aggiornamento: il consuntivo registrò una crescita dello 0,3 per cento. Nel 2003 prevedemmo una crescita del 2,9 per cento, poi divenuta pari al 2,3 per cento: la crescita realizzata fu pari a zero. Nel 2004 la previsione fu del 2 per cento, ma fu realizzata una crescita dell'1,2 per cento. Nel 2005 - quando si parla di «Finanziarie» elettorali! - la previsione di crescita era del 2,1 per cento, ma il consuntivo, in base ai dati ISTAT, registrò lo 0,1 per cento.
Noi abbiamo ereditato questo Paese nel 2006, operando subito dei correttivi: abbiamo registrato, rispetto alla previsione dell'1,5 per cento, una crescita dell'1,9 per cento. Anche per il 2007, con l'assestamento in discussione, pur avendo previsto l'1-2 per cento di crescita, prevediamo di raggiungere l'1,9 per cento.
Colleghi, la chiave di volta, la diversa impostazione, la serietà della nostra azione è tutta qui. In queste previsioni ottimistiche - sarebbe meglio dire false - vi era un lucido disegno, anche se irresponsabile: si prevedeva una crescita elevata, dimostrando così che non erano necessarie manovre pesanti e, intanto, i conti dello Stato si prosciugavano ed il Paese languiva. Si confidava in una salvifica ripresa internazionale - senza, peraltro, attrezzare il Paese per intercettarla - e non si affrontavano i problemi, che si lasciavano ad altri, secondo la logica del «chi verrà vedrà». SiPag. 18trattava di un gioco pericolosissimo, da giocatori d'azzardo, che, infatti, aveva lasciato il Paese in ginocchio.
Noi oggi discutiamo questi provvedimenti in uno scenario di ripresa economica: l'andamento complessivo della finanza pubblica nel 2006 ha evidenziato un indebitamento netto (vale a dire un deficit) del 4,4 per cento del PIL, rispetto al 4,2 per cento del 2005. L'incremento del deficit è dovuto a voci di spesa di carattere straordinario che l'Europa ha riconosciuto, tra le quali le più significative sono rappresentate dai rimborsi dell'IVA sulle auto aziendali (si tratta di una «polpetta avvelenata» ereditata dalla precedente legislatura, mai affrontata malgrado i richiami dell'Unione europea e lasciataci in dote con il «gioco delle tre carte») e dalla cancellazione dei crediti dello Stato nei confronti della società TAV, assieme ad altre voci che l'onorevole Marchi ha richiamato.
Se non si considerano tali oneri, l'indebitamento netto nel 2006 si sarebbe ridotto al 2,4 per cento. Anche in questo caso, non si tratta di un risultato occasionale: un livello di deficit nettamente inferiore alla soglia del 3 per cento del PIL - e, voglio ricordarlo, viaggiavamo attorno al 6-7 per cento - sarà garantito anche per l'anno in corso e per il successivo, nonostante i rilevanti interventi adottati per sostenere la ripresa economica e per rafforzare l'equità sociale.
Come ho indicato, il disegno di legge di approvazione del rendiconto si riferisce esclusivamente al bilancio dello Stato e conferma i significativi miglioramenti evidenziati dal conto consolidato della finanza pubblica. Nel caso del bilancio dello Stato, tali miglioramenti appaiono ancora più evidenti. Il saldo netto da finanziare (vale a dire il deficit del bilancio dello Stato) si è ridotto nel 2006, rispetto al 2005, di 48 miliardi di euro, attestandosi ad un valore pari a 12.949 milioni di euro. Il miglioramento relativo al bilancio dello Stato, pertanto, è il risultato di oltre il 3 per cento del prodotto interno lordo. Tale miglioramento si dimostra ancora più elevato se si considera il saldo al netto delle regolazioni contabili e debitorie. Altrettanto significativo è il miglioramento del saldo corrente che passa da 1,5 a quasi 50 miliardi di euro, dimostrando che la gestione di bilancio deve essere considerata apprezzabile anche sotto il profilo qualitativo.
Vorrei riportare anche un altro dato che, in qualche modo, incide sulla discussione di oggi: si è ricostituito l'avanzo primario, che era scomparso e che ci fa guardare con maggiori prospettive e maggiore ottimismo al progressivo rientro del debito. Tale rientro (e vorrei ricordare i dati ai colleghi qui presenti, anche se già li conoscono) rappresenta la vera anomalia della finanza pubblica italiana. Il nostro debito è il più alto in Europa; è il terzo del mondo: 1.600 miliardi di euro, 2.800 euro a cittadino. Noi paghiamo 70 miliardi all'anno di interessi: è come se, ogni anno, cedessimo la più importante azienda italiana. Il nostro debito vale il 5 per cento del PIL: ogni anno, quindi, la gara per la competitività con gli altri Paesi parte da meno cinque.
Questo è il tema che abbiamo posto al centro della nostra azione e del quale vogliamo dare consapevolezza al Paese. Di quali politiche per i giovani parliamo, se lasciamo loro questo peso, questa palla al piede, questo handicap! Governare, cercando di risolvere i problemi (così come si faceva) ipotecando le risorse del futuro, è il dato di una politica economica miope - direi, irresponsabile - che per anni si è registrata in questo Paese, in particolare nella precedente legislatura in cui vi è stata una risalita del debito ed un azzeramento dell'avanzo primario che noi vogliamo invertire, guardando al futuro ed assumendoci la responsabilità della nostra generazione.
Il miglioramento dei saldi di bilancio dello Stato deriva essenzialmente da un incremento delle entrate tributarie, che ha interessato tutte le principali tipologie di imposta: quella sui redditi, sui redditi delle società e sull'IVA. Le spese del bilancio dello Stato nel 2006 sono rimaste più o meno allo stesso livello registrato nel 2005, con una leggera diminuzione di circa 149 milioni di euro. I dati che si ricavano dall'assestamento del bilancio per l'esercizio inPag. 19corso dimostrano il forte consolidamento delle tendenze che già si delineavano nel rendiconto. Il disegno di legge di assestamento, presentato dal Governo alla fine di giugno, ha determinato un miglioramento del saldo del bilancio dello Stato di 4,2 miliardi di euro, derivanti da un incremento delle entrate di 7,4 miliardi di euro e da un contestuale aumento delle spese di 3,2 miliardi di euro. Anche in questo caso, l'aumento delle entrate è dovuto pressoché interamente alle entrate tributarie. Per quanto concerne le spese, è il caso di segnalare che oltre un terzo delle maggiori spese riguarda i trasferimenti alle autonomie territoriali, in particolare alle regioni.
Il disegno di legge recante disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2007 - nella versione iniziale e ancor più dopo le modifiche apportate dal Senato - dimostra un notevole miglioramento della situazione del bilancio dello Stato. È stata una deliberata scelta politica, compiuta con interventi successivi (prima con il decreto-legge n. 81 del 2 luglio 2007, poi con il decreto-legge n. 159 del 1o ottobre 2007 e, per il 2008 e gli anni successivi, con il disegno di legge finanziaria), che consiste nel destinare le risorse disponibili a misure volte a sostenere le famiglie e le imprese, attuando politiche di stimolo per la ripresa economica e di affermazione dei principi di equità e solidarietà sociale.
Onorevole Alfano, i dati testimoniano che i consumi delle famiglie sono tornati a crescere, a dimostrazione che le azioni intraprese funzionano e che la maggioranza sta ponendo in essere fatti concreti.
In ogni caso, non è questa la sede per discutere le misure introdotte con i provvedimenti che ho brevemente richiamato. Quello che importa in questa sede, sotto il profilo finanziario, è la possibilità di verificare che tali misure siano state adottate in una situazione in cui è ampiamente garantito il rispetto dei vincoli comunitari relativi alla stabilità dei conti pubblici.
Il rendiconto per l'anno 2006 e le disposizioni per l'assestamento del bilancio per l'anno in corso confermano, infatti, un quadro economico e finanziario caratterizzato da due elementi che non possono essere messi in discussione da alcuna polemica politica.
Il primo elemento è costituito dalla ripresa della crescita, mentre il secondo dal forte aumento delle entrate tributarie, il quale è dovuto, in parte, al miglioramento dell'economia, in parte, può essere spiegato soltanto con il recupero dell'evasione fiscale.
I dati forniti dal Governo su tale aspetto sono incontrovertibili (mi meravigliano i dubbi espressi dall'onorevole Alfano). Già nel 2006 si è registrato un aumento del gettito tributario superiore al tasso di incremento del PIL. Soltanto un terzo delle maggiori entrate può essere spiegato con la crescita.
Anche escludendo le misure specifiche adottate in materia tributaria, rimane almeno un terzo delle maggiori entrate nel 2006 (pari a non meno di 11 miliardi di euro) che costituiscono il frutto di un'efficace e rigorosa politica di contrasto all'evasione.
Tale politica è proseguita nel 2007, producendo ulteriori risultati positivi che sono ben evidenziati nell'assestamento. Spesso rappresenta un argomento di discussione politica determinare in che misura la ripresa dell'autonomia dipenda dall'azione del Governo e della maggioranza e in che misura dipenda, invece, da cause esterne.
Tuttavia, non possono esservi dubbi su come giudicare l'andamento del gettito tributario. Proprio la politica fiscale è uno dei settori in cui il passaggio da un legislatura all'altra ha segnato la più forte discontinuità.
Da una stagione di condoni - direi, signor Presidente, di messaggi subliminali spesso espliciti, tesi a giustificare, o meglio incoraggiare apertamente, l'evasione fiscale - si è passati ad una stagione di lotta seria all'evasione, sia attraverso iniziative normative che hanno notevolmente ridotto gli spazi per comportamenti evasivi o elusivi, sia attraverso un forte potenziamento dell'attività di controllo e di accertamento. I risultati sono evidenti ed i provvedimenti al nostro esame li confermano con la forza dei numeri.
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In un Paese in cui l'evasione corrisponde almeno al 7 per cento del PIL (circa 100 miliardi di euro all'anno), la volontà di assicurare legalità ed equità - prima ancora che quella di garantire l'equilibrio dei conti pubblici - fanno della lotta all'evasione un parametro di giudizio fondamentale per l'attività di Governo.
Che poi il risultato di questa politica sia stato in ampia misura restituito al Paese attraverso interventi a favore delle famiglie e delle imprese costituisce una ulteriore ragione di merito.
Concludo, signor Presidente. In parte ho già parlato del Paese che abbiamo ereditato, della crescita del debito, dell'azzeramento dell'avanzo primario e della fallimentare politica fiscale che abbiamo trovato. Tuttavia, mi piace collegare i due aspetti, ossia la crescita del debito e il fallimento della politica fiscale proprio perché le timide diminuzioni fiscali - se vi sono state - sono avvenute con l'aumento del debito: un po' troppo facile!
Ho già parlato della crescita zero, del disavanzo rispetto al PIL pari al 5 per cento (ricordo che gli impegni di Maastricht lo fissano al 3 per cento), di un paese i cui investimenti in infrastrutture erano fermi e la spesa fuori controllo.
All'inizio della legislatura abbiamo ricevuto un declassamento da parte della seconda agenzia di rating, successivamente rientrato. Vi era - e vi è ancora - una procedura di infrazione instaurata da parte del Consiglio Ecofin per l'eccesso di disavanzo che ci esponeva ad un rischio altissimo nei confronti degli investitori esteri che per metà hanno in mano il nostro debito.
Anche tale questione è in via di evoluzione. Questa Italia non esiste più. Oggi guardiamo al futuro da un'altra prospettiva. La riprova è contenuta nel disegno di legge finanziaria e nei disegni di legge collegati che la Camera si prepara a discutere e che imprimeranno un'ulteriore spinta alla crescita, all'equità e al risanamento.
Proprio per tale motivo e con soddisfazione esprimo il consenso de l'Ulivo sui provvedimenti all'esame, in quanto coerenti con gli impegni assunti con gli elettori e rispettosi di un serio e responsabile progetto di un governo dell'economia che guardi al futuro (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.