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TESTO INTEGRALE DELLE DICHIARAZIONI DI VOTO DEI DEPUTATI FERDINANDO BENITO PIGNATARO, RICCARDO PEDRIZZI E SILVANA MURA SULLE MOZIONI NN. 1-00030, 1-00034 E 1-00230
FERDINANDO BENITO PIGNATARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, noi sosteniamo la mozione Lulli n. 1-00030 della quale, tra l'altro, siamo sottoscrittori. Ne condividiamo le linee fondamentali e strategiche: prima di tutto la difesa del consumatore, i suoi diritti e la sicurezza nel mercato nazionale e in quello internazionale, sopratutto riguardo alle importazioni dei prodotti extraeuropei. Non vi è dubbio alcuno, infatti, che la tracciabilità, quindi la trasparenza, il marchio, la riconoscibilità siano, nel contempo, un certificato di qualità dei prodotti manifatturieri e garantiscano la sicurezza per il consumatore sulla provenienza e affidabilità. Occorre tutelare i consumatori, conformemente a quanto disposto dall'articolo 153 del Trattato istitutivo della Comunità europea, sia rispetto alla sicurezza e alla salute nel sistema moda, in senso largo - dal tessile agli accessori - sia riguardo alle false indicazioni, a partire dai marchi delle grandi aziende conosciute in tutto il mondo.
Il secondo punto rilevante della mozione è la richiesta e l'impegno che si chiede al Governo nella lotta alla contraffazione ed alla falsificazione delle produzioni italiane. Nel dibattito di ieri alcuni colleghi hanno evidenziato il volume d'affari della commercializzazione dei prodotti contraffatti, la localizzazione della percentuale maggiore di produzione di prodotti manifatturieri contraffatti. Un solo dato voglio evidenziare: la contraffazione rappresenta oramai quasi il 7 per cento del commercio mondiale delle merci. Ed è un dato che, com'è ovvio, è tendenzialmente in crescita. Tra l'altro, le mafie hanno nelle mani il 70 per cento del mercato interno di prodotti contraffatti e della pirateria che ingrossano il fatturato delle attività criminali, come risulta dal decimo rapporto di SOS Impresa di Confesercenti, reso noto proprio ieri!
Stati Uniti, Canada, Giappone e Repubblica popolare cinese hanno reso obbligatorio il marchio di origine; nel mentre i prodotti italiani del tessile, in particolar modo, sono sottoposti ad un attacco doppio: sia legalmente, con prodotti tessili e affini a prezzi bassi, sia illegalmente, con la commercializzazione dei falsi, in tutti e due i casi provenienti dai paesi dell'Estremo Oriente.Pag. 42
La mozione chiede al Governo di sostenere con forza al Consiglio europeo la proposta di regolamento che rende obbligatoria l'etichetta almeno sui prodotti del settore moda importati nel mercato interno, da un lato; dall'altro, la legiferazione nazionale in tema di riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani, anche se in sede comunitaria si afferma che occorre attendere le decisioni europee e che i singoli Stati non possono legiferare in materia. Ciò contrasta con i tanti Paesi membri, vecchi e nuovi, che hanno reso obbligatorio il «made in».
L'esigenza di legislazione anche per l'Italia è evidente e improcrastinabile. La X Commissione della Camera sta discutendo un testo che può aiutare, ponendo in essere la soluzione della «volontarietà» del marchio che evita di entrare in collisione con la normativa europea. Pur apprezzando il rafforzamento delle iniziative di contrasto alla contraffazione dei prodotti e delle misure per far fronte ai rischi sulla salute dei consumatori, che sicuramente daranno risultati, riteniamo che occorrano una consapevolezza maggiore ed una più forte determinazione nelle questioni sulle quali la mozione chiede un impegno dal Governo del nostro Paese e dallo stesso Parlamento: sostegno per il regolamento europeo; promozione di iniziative per favorire la tracciabilità dei prodotti manifatturieri, per una corretta informazione dei consumatori che li metta nella condizione di scegliere liberamente e consapevolmente i prodotti che vogliono acquistare, e per tutelare la salute dei consumatori e dei lavoratori.
Il voto dei Comunisti Italiani è a sostegno delle mozioni Lulli ed altri.
RICCARDO PEDRIZZI. La globalizzazione dell'economia e la pratica di deregolamentazione del commercio mondiale, a causa della sistematica inosservanza delle norme della OMC, stanno provocando effetti indesiderati sulle industrie manifatturiere dei Paesi dell'Unione, in particolare in Italia.
In Italia l'impiego industriale rappresenta il 13 per cento dell'occupazione.
Se non si agisce con decisione a favore del settore industriale, la progressiva riduzione della partecipazione dell'industria al prodotto interno lordo dei Paesi dell'Unione, registrata a partire dagli anni Ottanta, può subire un'ulteriore accelerazione nei prossimi anni.
Recenti studi pongono l'accento su questo problema e segnalano che la progressiva scomparsa dell'occupazione industriale nell'Unione europea non si accompagna ad un aumento dell'occupazione nei servizi e nell'alta tecnologia. Tenendo conto che l'occupazione manifatturiera si è mantenuta piuttosto stabile negli ultimi trenta anni e che continua ad essere un pilastro fondamentale per l'economia e l'occupazione, è sempre più impellente ed urgente richiamare l'attenzione della Commissione europea su questa questione e, in particolare, su quanto segue: in primo luogo, richiamati gli obiettivi di Lisbona basati su un accrescimento della conoscenza, dell'innovazione, della ricerca e della formazione permanente, è necessario creare una politica industriale comune nell'Unione europea che eviti gli effetti economici e sociali negativi della delocalizzazione industriale nei paesi terzi, assicurando che il mercato europeo sia tutelato da pratiche commerciali che non rispettano quei valori e quelle esigenze che l'Unione europea stabilisce per la propria produzione industriale.
Secondo: i settori del tessile, abbigliamento, calzaturiero, ma anche farmaceutico e dei cosmetici e dei giocattoli, in particolare, sono strategici per l'industria europea e per quella italiana, non soltanto perché è un'industria con milioni di occupati (ottocentomila solo in Italia), ma anche perché è il testimone evidente della cultura, del gusto, del modo di vivere del nostro popolo. È infatti esportato ed amato in tutto il mondo, dove fa sempre moda e tendenza.
Terzo: i paesi europei e l'Italia in particolare non sono certo Paesi «protezionisti», ma oggi per non entrare in crisi - di fronte alla crescita di beni importati dalla Cina e da altri Paesi concorrenti - necessitano di un periodo di tempo perPag. 43poter rinnovare e riconvertire e rilanciare i settori manifatturieri, in genere con una strategia di investimento sul piano dell'innovazione, della ricerca, della formazione. L'attuale politica dell'Unione europea e dei Governi deve, quindi, essere volta, pur in una logica di libera competizione, a controllare le importazioni provenienti dai Paesi competitori e, contemporaneamente, ad investire nel rilancio industriale, permettendo così di tutelare in modo idoneo lo sviluppo del tessile e dell'abbigliamento europeo.
Quarto: i principi di tutela della salute e dell'ambiente, di protezione dagli incidenti sul lavoro e di tutela sociale che si richiede di rispettare alle industrie localizzate nei Paesi dell'Unione europea devono essere applicati, almeno in prospettiva e con grandi tempi definiti, anche da parte delle industrie dei paesi terzi che esportano i propri prodotti verso l'Unione europea.
Quinto: l'attuale regolamentazione del mercato del lavoro dovrebbe evolvere in un quadro di dialogo sociale e condivisione con le parti sociali in modo tale da consentire alle industrie europee di intraprendere la transizione necessaria per far fronte alla concorrenza dei paesi terzi. È necessario mettere in atto politiche di sostegno alle industrie europee nel periodo di transizione per il loro adattamento alla nuova situazione di liberalizzazione commerciale (sia nel settore del lavoro che ai fini dei miglioramento della loro tecnologia e capacità di innovazione). L'aiuto al mantenimento dell'occupazione può risultare più efficace, in termini sociali, dell'aiuto illimitato per la disoccupazione.
Sesto: se non si agirà con fermezza, le massicce esportazioni dai paesi terzi comporteranno nel medio termine una «esportazione di disoccupazione» che difficilmente potrà essere assorbita da molti paesi dell'Unione europea.
Signor ministro, sarebbe veramente auspicabile che il nostro Governo si assumesse l'impegno di richiedere alla Commissione europea di fissare fin da ora come priorità dei prossimi anni una politica industriale forte che contribuisca a mantenere l'occupazione dell'industria dei paesi membri.
SILVANA MURA. L'Italia dei Valori condivide e sostiene le mozioni presentate che impegnano il Governo ad agire presso il Consiglio Europeo affinché venga adottato un Regolamento che disciplini l'indicazione del paese d'origine di alcune categorie di prodotti provenienti da paesi extracomunitari.
D'altronde i nostri principali partners commerciali, quali Stati Uniti, Canada, Giappone e Cina hanno già reso obbligatorio il marchio d'origine sulle loro importazioni.
Questo regolamento ha come obiettivo anzitutto la tutela dei consumatori, e dei produttori delle piccole e medie imprese, che si trovano a competere, ad armi impari, sul piano della forza di mercato, ma non certo della qualità, con le grandi multinazionali, in particolare nel settore del tessile-abbigliamento e calzaturiero.
A fronte dei processi di globalizzazione in atto occorrerà offrire sempre più ai consumatori informazioni dettagliate sulla provenienza delle merci e su tutta la filiera produttiva, dalle materie prime ai prodotti finiti, al fine di tutelare il potere di scelta dei consumatori e, quindi, la qualità dell'offerta.
Come non ricordare, a questo proposito, i casi sempre più numerosi di merci ritirate dal mercato in quanto pericolose per la salute stessa dei cittadini, dai giocattoli ai dentifrici, agli stessi prodotti di abbigliamento per la tossicità dei coloranti impiegati?
Voglio sottolineare che nel settore moda la qualità e l'eccellenza a livello mondiale sono rappresentate dalle produzioni delle piccole e medie imprese che caratterizzano, in particolare, la struttura produttiva italiana ed europea, grazie all'alta specializzazione e all'alto livello di professionalità raggiunto dalle nostre maestranze.
Non si devono poi trascurare le conseguenze negative provocate dal mercato dei falsi che spiazzano le produzioni diPag. 44qualità ed alimentano un circuito illegale fatto di sfruttamento della manodopera, lavoro in nero, evasione fiscale, con frequenti infiltrazioni della criminalità organizzata.
Per tutte queste considerazioni crediamo che il Governo debba fare tutto ciò che è nelle sue possibilità per far approvare dal Consiglio Europeo la proposta di Regolamento sull'indicazione di origine di alcune categorie di prodotti di importazioni extracomunitarie e promuovere iniziative per favorire la tracciabilità del prodotto del tessile-abbigliamento e delle calzature a tutela, lo ripeto, e concludo, anzitutto di una corretta informazione e libertà di scelta dei consumatori e a tutela di una corretta competizione tra i produttori, contrastando il mercato dei falsi e delle contraffazioni.