Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Si riprende la discussione.
PRESIDENTE. Chiedo di acquisire l'orientamento dei relatori.
SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, credo che le argomentazioni del collega, onorevole Cota, siano state già oggetto di ampia discussione in Commissione. Pertanto, in questa sede, mi esprimo in maniera contraria sulla proposta di rinvio in Commissione del testo unificato in esame.
Mi sembra che tali argomenti siano già stati discussi e che vi sia, da parte del Comitato dei nove, la disponibilità ad un approfondimento delle questioni trattate, che sono già state affrontate in Commissione.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore Bocchino.
ITALO BOCCHINO, Relatore. Signor Presidente, su tale argomento non vi è piena concordanza tra i due relatori. Ritengo,Pag. 5infatti, che il collega Cota abbia posto alcune questioni molto importanti e delicate. Allorché si svolge un dibattito giornalistico autorevole, ad opera di uno dei maggiori costituzionalisti del nostro Paese, si pongono alcune questioni sicuramente importanti che sono già state oggetto di riflessione da parte della Commissione, ma poi rinviate all'Assemblea. Forse, non si deve escludere l'ipotesi di un rinvio in Commissione del testo unificato, anche solo per 24 o 48 ore, al fine di affrontare alcuni nodi che sono rimasti non dico ingarbugliati, ma quantomeno irrisolti. Mi riferisco all'istituto della sfiducia costruttiva, al problema dei costi del federalismo, che rappresenta la questione principale posta dal collega Cota, nonché al rapporto fra la Camera dei deputati e il Governo in ordine alla questione di fiducia.
Personalmente, come relatore e a nome del gruppo di Alleanza Nazionale, ritengo che sia possibile un rinvio del provvedimento in Commissione o, in subordine, anche una riunione del Comitato dei nove per affrontare tali questioni più prontamente e con maggiore chiarezza nell'ambito del dibattito che si prospetta in Assemblea.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare contro il deputato Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, ho ascoltato con molta attenzione l'intervento del collega Cota il quale ha posto, in maniera molto seria, una questione fondamentale per il prosieguo dei nostri lavori. Si tratta di stabilire se, nell'ambito di questa nostra attività di riforma, il tema della duplicazione delle funzioni, degli uffici e di conseguenza dei costi non debba essere seriamente preso in considerazione.
Presuppongo che tale preoccupazione sia corretta ed essa rappresenta anche la nostra preoccupazione. Credo, però, che il Comitato dei nove, che già in altre occasioni ha affrontato questo tema, abbia la possibilità di risolverlo senza particolari indugi mettendo mano, da subito, all'articolo 118 della Costituzione ed introducendo il principio della «non duplicazione» con un comma aggiuntivo che possa, in qualche modo, fare riferimento alla necessità che, ove una funzione sia trasferita dallo Stato ad altro ente, il soggetto che ha trasferito i poteri e le competenze non possa restare così come era prima.
Ritengo che sia un argomento assolutamente serio e sul quale deve esservi totale e piena condivisione. Pertanto, non occorre rinviare il provvedimento in Commissione perché il Comitato dei nove è in grado di risolvere tale questione serenamente.
Posso aggiungere che, proprio in virtù di tale tipo di argomentazioni e preoccupazioni, si può immaginare che questo tema possa diventare addirittura (nell'ambito della riforma del sistema di Camera e Senato) oggetto di una vera e propria legge bicamerale. Laddove si fa riferimento all'articolo 118, primo e terzo comma, della Costituzione, ogni legge che affronta tale materia può diventare legge bicamerale.
Pertanto, come è facile intuire, non c'è alcun tipo di problema nell'affrontare tali questioni, dato che la condivisione è piena e totale. Per questo motivo riteniamo non opportuno ritornare in Commissione, ma consideriamo sufficiente il lavoro del Comitato dei nove. Pertanto, la nostra opinione è contraria al rinvio in Commissione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare a favore il deputato Boscetto. Ne ha facoltà.
GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, certamente la richiesta del collega Cota merita attenzione, che gli è stata tributata anche dai colleghi di maggioranza attraverso l'intervento del collega Bressa. Essa merita un approfondimento molto serio, perché ci stiamo spostando dall'esame degli articoli compresi nel testo licenziato dalla Commissione a problematiche più forti e generali - anche più importanti - quali sono quelle riguardanti gli articoli 118 e 119 della Costituzione, che, insieme all'articolo 117 (che avevamo escluso dai lavori), costituiscono gli elementiPag. 6 portanti di una riforma costituzionale.
Noi tutti conosciamo la riforma che ha istituito le regioni nel 1970 e lamentiamo il fatto che essa sia deficitaria proprio per la mancata attuazione della grande idea di attribuzione di competenze, funzioni e risorse alle regioni che ne era alla base: contestualmente e attraverso il passaggio di cespiti, di competenze e funzioni di diverso tipo dallo Stato alle regioni, lo Stato doveva poter snellire completamente la propria condizione. Purtroppo, a distanza di tanti anni, abbiamo la sensazione (anche se certamente esistono delle eccezioni positive) che quanto lo Stato ha trasferito alle regioni sia per gran parte rimasto anche in capo ad esso e che, comunque, quei trasferimenti non abbiano coinvolto completamente competenze, funzioni, risorse e quant'altro.
Se oggi ci troviamo in questa situazione, a distanza di tantissimi anni, e stiamo tentando di riformare la Costituzione - con tutte le riserve che il gruppo di Forza Italia ha espresso, insieme a gran parte dell'opposizione, se non tutta - credo sia importante tornare in Commissione e farci carico dei problemi riguardanti l'articolo 118, l'articolo 119 e, probabilmente, anche l'articolo 117, per meglio modulare le competenze bicamerali e monocamerali, nell'ambito della struttura di questo provvedimento. Tali problematiche non possono essere esaurite nel Comitato dei nove, dove questi temi sono stati trattati per accenno, ma non sono mai stati approfonditi. Desidero anche ricordare che il Comitato dei nove è una sede di affinamento, ma non è la sede propria, quale invece è la Commissione, per discutere a fondo e pubblicamente, perché le discussioni in Commissione sono pubblicate nei resoconti, sui quali tutti possono riflettere, mentre quanto detto in sede di Comitato dei nove non è pubblicato in alcun resoconto.
Non è detto che il rinvio in Commissione debba durare molti giorni, perché può essere un esame breve ma intenso. Pertanto, chiedo ai colleghi della minoranza, ma anche a quelli della maggioranza, anche alla luce del parere del relatore Bocchino, di accogliere la richiesta del collega Cota.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di rinvio in Commissione formulata dal deputato Cota.
(È respinta).
La Camera respinge per 87 voti di differenza.
Essendo stata respinta la proposta di rinvio in Commissione, resta da esaminare la richiesta di una breve sospensione della seduta al fine di consentire una riunione del Comitato dei nove. Chiedo al deputato Cota se insista su questa richiesta.
ROBERTO COTA. Sì, signor Presidente.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, non ho ben capito perché il Comitato dei nove dovrebbe riunirsi, anche perché credo che i relatori chiederanno di accantonare l'articolo 1 e di passare all'esame dell'articolo 2.
La materia cui si riferisce il collega Cota è molto seria e viene affrontata negli articoli successivi del progetto di riforma costituzionale, in quanto riguarda gli articoli 117 e 118 della Costituzione. Quindi, francamente non vedo come oggi, in mezz'ora, si possa risolvere il problema, seppur giusto, di evitare la duplicazione di organi e il trasferimento di funzioni tra Stato e regioni e tra regioni, comuni e province.
Per tale motivo, domani ci riuniremo nel Comitato dei nove, sia la mattina sia il pomeriggio - e credo anche nei giorni successivi - e avremo tutto il tempo per esaminare questa materia.
PRESIDENTE. Prendo atto che il deputato Cota insiste sulla richiesta di sospensione della seduta per consentire al Comitato dei nove di riunirsi. Do dunque la parola ad un deputato contro e ad uno a favore.
ELIO VITO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Deputato Vito, immagino che lei voglia intervenire a favore. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, per la verità sono sorpreso dalla dichiarazione del presidente Violante, perché, colleghi, stiamo parlando di riforme costituzionali e non è possibile procedere come se si trattasse di un provvedimento di cui non si conosce l'esito o la complessità del progetto organico.
Lo stesso presidente Violante, parlando con i giornalisti, ha riconosciuto che vi sono dei punti meritevoli di modifica e di intervento; pertanto, giustamente l'onorevole Cota chiede che su tali punti il Comitato dei nove proceda alle integrazioni necessarie. Inoltre, il fatto che il presidente Violante preannunci - su questo aspetto chiederei davvero un po' di attenzione - che addirittura la Commissione non è pronta per l'esame dell'articolo 1, per cui dovremmo passare all'articolo 2, conferma la necessità di sospendere i nostri lavori per dare modo alla Commissione e al Comitato dei nove di essere pronti in maniera organica su tutto il progetto di riforma.
Signor Presidente, non vorrei che iniziassimo con il modo di lavorare che, purtroppo, appartiene alla vostra consueta procedura di esame dei disegni di legge, ma che non è meritevole - e probabilmente non è neanche possibile seguire - per un progetto di riforma organica della Costituzione.
Su questo aspetto chiederei anche a lei di intervenire: se la Commissione non è pronta ad esaminare l'articolo 1, ritengo sia opportuno sospendere i lavori, perché non credo che si possa passare all'articolo 2 senza sapere cosa riguarda l'articolo 1. Se si sospende l'esame dell'articolo 1 perché, ad esempio, la Commissione non è pronta ad affrontare il tema dei poteri del cosiddetto Senato federale, allora bisognerebbe passare prima all'esame dell'articolo 7, che definisce tali poteri, e non all'articolo 2, che riguarda la riduzione del numero dei deputati della Camera.
Signor Presidente, ritengo che tutte queste ragioni consiglierebbero, al fine del buon andamento dei nostri lavori, di sospendere l'esame per dare modo al Comitato dei nove di presentare in modo organico una proposta di legge sulla quale l'Assemblea possa procedere.
L'emendamento relativo all'articolo 2 che è stato presentato poco fa, nonostante che il termine per la presentazione subemendamenti sia già scaduto, rappresenta il modo con il quale, in genere, procediamo nell'esame della legge finanziaria, ma non credo si possa procedere nello stesso modo per le riforme costituzionali!
Tra l'altro, inviterei il presidente Violante e i colleghi di maggioranza a tenere in debita considerazione il fatto che uno dei due relatori, l'onorevole Bocchino - relatore di maggioranza - si è espresso favorevolmente al rinvio in Commissione e credo che ciò debba dimostrare la buona volontà della maggioranza di fare in modo che nell'esame delle riforme vi sia la possibilità di tutti i gruppi, anche di quelli di opposizione, di contribuire. Se, invece, si intende procedere con la solita arroganza da parte della maggioranza, allora anche noi dovremo rivedere la nostra posizione e probabilmente la dovrebbe rivedere lo stesso onorevole Bocchino.
Poiché non è questo il caso, ritengo che si debba tenere conto delle opinioni di entrambi i relatori.
Poiché si è voluta bocciare la proposta di rinvio in Commissione, credo che concedere al Comitato dei nove una sospensione dei lavori per iniziare l'esame del provvedimento quantomeno dall'articolo 1 e per avere il quadro completo degli emendamenti che la Commissione intende presentare, sia una questione di buon senso e, probabilmente, anche di «igiene» dei nostri lavori parlamentari.
PRESIDENTE. Colleghi, prima di dare la parola al deputato Zaccaria, che si pronuncerà contro la proposta di sospensione, avverto che, successivamente, siccome siamo ancora in una fase preliminare, darò la parola ad un rappresentante per ogni gruppo che ne faccia richiesta. Tuttavia, faccio notare fin d'ora che nell'organizzazione dei lavori ci si attiene al Regolamento e che, di conseguenza, restano fuori - lo dico anche al presidente Vito - le valutazioni di ordine politico che, naturalmente, sono importanti ma estranee alla conduzione dei lavori.
Prego, onorevole Zaccaria, ha facoltà di parlare contro.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, la prima considerazione riguarda «l'arroganza» con la quale si procederebbe in ordine alla materia in esame. Ricordo - ma non vi è bisogno che lo ricordi ai colleghi parlamentari - che abbiamo già dedicato due intere sedute dell'Assemblea al complesso degli emendamenti riferiti all'articolo 1. Vi sono stati una cinquantina di interventi che hanno riguardato, in maniera ripetuta - non dico che fosse ostruzionismo, ma certamente ne aveva molto l'apparenza -, il problema della denominazione del Senato federale.
La Commissione (assolutamente pronta con il Comitato dei nove a discutere dell'argomento) ha preferito accantonare la materia per una ragione molto semplice, che non sfugge a nessuno. È inutile, infatti, definire un organo prima di averne indicato le strutture e le funzioni. Quindi, l'accantonamento ha una ragione di natura funzionale e non di preparazione sul tema. Si discuterà dell'articolo 3 e dell'articolo 7 e, successivamente, in modo coerente, si potrà definire il Senato come federale.
In ordine alla questione su cui si richiede un approfondimento ulteriore, ricordo che anche il presidente Vito - che oggi si associa a tale richiesta - se avesse avuto informazioni più dettagliate sui lavori della Commissione e del Comitato dei nove, avrebbe notato che, mentre l'Assemblea ha interrotto per una decina di giorni l'esame del problema, in sede di Comitato dei nove abbiamo continuato ad approfondire una serie di aspetti molto importanti, compreso quello sollevato dal deputato Cota quando ha motivato prima la richiesta di rinvio in Commissione e poi quella di sospensione dei lavori.
Questi problemi sono in corso di approfondimento e quasi definiti. Tuttavia, l'ordine dei nostri lavori, salvo l'accantonamento dell'articolo 1 che risponde ai motivi suddetti, ha una ragione precisa. Gli articoli 2 e 3, infatti, possono essere esaminati in questa sede, mentre si può affrontare l'esame dell'articolo 118, con le relative modifiche, successivamente.
In modo molto chiaro, questa è la ragione per cui siamo contrari al rinvio, ossia affinché si possa passare, finalmente, al merito di questioni già ampiamente istruite.
LUCA VOLONTÈ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, più che entrare nel merito della discussione e prendendo atto - come hanno fatto molti colleghi e gran parte del popolo italiano - di come essa si sia anche svolta in maniera interessante (seppure non abbia trovato niente di nuovo nelle parole dello «scienziato della politica», il professor Sartori, che ha poco a che fare con l'esperto di diritto costituzionale), devo invitare il presidente Violante a considerare l'ipotesi avanzata da altri colleghi della maggioranza.
Faccio memoria, inoltre, di una consueta disponibilità (sia nella scorsa legislatura, sia in quella precedente) a procedere il più possibile, proprio in materie come quella della riforma costituzionale, se non sul merito, almeno d'accordo sulla procedura e sull'avanzamento dei lavori.
È ben vero che, in entrambi i casi, nelle ultime due legislature si sono verificati salti di articoli, accantonamenti e discussioni di articoli successivi: tutto ciò, però, era stato compiuto in una certa direzione e, certamente, con qualche consenso da Pag. 9parte delle varie componenti politiche all'interno delle due coalizioni, anche in maniera abbastanza disomogenea.
Da questo punto di vista, presidente Violante e, soprattutto, Presidente Bertinotti, avete potuto notare come io, diversamente da altri colleghi, abbia lamentato l'intenzione del Governo di non lasciare a questo ramo del Parlamento il tempo necessario per approfondire tutti i temi della riforma costituzionale: sappiamo tutti, infatti, che l'esame del provvedimento terminerà giovedì e forse, se tutto andrà bene, sarà ripreso dopo l'approvazione della legge finanziaria. Chiedo al presidente Violante se, anche in considerazione di questo aspetto, non sia auspicabile - non essendo stato possibile rinviare il provvedimento in Commissione - una sospensione che adeguatamente metta nelle condizioni, come ha affermato il collega che mi ha preceduto, di arrivare alla conclusione di una discussione che si è svolta in sede di Comitato dei nove e che, su alcuni punti - devo darne atto - è giunta in prossimità della conclusione.
Non penso che ciò arrechi un nocumento particolare ai lavori e alla discussione sulla riforma costituzionale, alla quale teniamo molto: teniamo molto, infatti, alla discussione di alcuni temi che non sono neanche contenuti nella riforma, ma sui quali - come ci è stato detto in Commissione - si sarebbe trovato il modo di discutere durante il dibattito parlamentare - la ragione per la quale ho lamentato la ristrettezza dei nostri tempi è proprio questa -, a partire, ad esempio, dalla discussione sulla cosiddetta sfiducia costruttiva che, come tutti sappiamo, avverrà nelle prossime ore e nei prossimi giorni.
In conclusione, signor Presidente - anche sulla base dei precedenti e, certamente, del nostro orizzonte temporale, purtroppo dovuto anche alle scelte del Governo - in considerazione dell'opportunità di iniziare a discutere approfonditamente di questi temi in maniera proficua, ritengo sia opportuno che il presidente Violante, se dal canto suo lo riterrà, consideri l'ipotesi di una sospensione dei lavori anche solo di qualche ora, per giungere, almeno per i primi articoli, alla conclusione di quella discussione che, appunto, ci è stata anticipata e che ormai sarebbe molto rapida.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, a nome del gruppo di Alleanza Nazionale esprimerò il parere sulla richiesta, che è quella subordinata, avanzata dal collega Cota. Come abbiamo visto, la sua richiesta principale è stata respinta; su quella subordinata, invece, constato che le motivazioni addotte per respingerla sono piuttosto deboli o, comunque, decisamente preconcette e certamente non favorevoli a un clima di confronto sereno e disteso.
Signor Presidente, se vogliamo dirla tutta, i problemi non sono stati tutti risolti: in verità, il Comitato dei nove non è riuscito a risolvere il problema di cui si sta parlando, così come il corretto regime di inserimento dei rappresentanti degli italiani all'estero, la dimensione della rappresentanza degli enti e delle autonomie locali (che personalmente ho ritenuto troppo esigua rispetto a quella, troppo preponderante, delle regioni) e altri problemi, come vedete, di non secondaria importanza.
Il Comitato dei nove, quindi, ha predisposto un testo tutt'altro che soddisfacente da tutti i punti di vista.
PRESIDENTE. Deputato Benedetti Valentini, mi scusi, ma inviterei i deputati in aula a sciogliere gli assembramenti.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Basti dire che anche qualche gruppo della maggioranza non è d'accordo sui passaggi più delicati della riforma: lo affermo al fine di prevenire ogni speculazione.
Chiarito, dunque, che non esiste il partito dei favorevoli alle riforme e quello dei contrari o «frenatori» - questa polemicaPag. 10 sarebbe assolutamente deviante e fasulla - il tema dell'eventuale scelta per il trasferimento delle funzioni, dei poteri e delle prerogative, parallelo e condizionato al trasferimento delle strutture e delle risorse umane e strumentali all'ente e al livello di Governo che riceve le competenze e i poteri, non è stato affatto discusso in sede di Comitato dei nove. Contesto tale aspetto: così come ha sottolineato un altro collega, si tratta di un tema relativamente nuovo che aleggia sui nostri lavori.
Credo di poter dire che questo è un tema di straordinaria, ma diffusa, valenza. Mi sembra strumentale rispondere in questo modo al collega Cota, che ha sollevato il problema. Non mi voglio fare gli affari degli altri, ma permettetemi di dire che affermare che i colleghi della Lega non sono favorevoli a un processo di riforma in questa direzione significa, quanto meno, far loro torto, perché, anzi, essi hanno dimostrato apertura, se non addirittura sollecitudine, da questo punto di vista.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, è stato sollevato un problema che si riverbera su tutte le parti della riforma, e che rappresenta ciò che l'opinione pubblica soprattutto si aspetta. Mi darete atto, infatti, che i cittadini saranno certamente interessati a sapere quali poteri saranno conferiti al Senato, se sarà eletto un numero maggiore o minore di rappresentanti a questo o a quel livello di governo, ma essi sono fondamentalmente interessati a conoscere quale prosciugamento ed economie di costi si realizzerà con questo tipo di riforma, per non dare spazio a quegli isterismi antipolitici che abbiamo più volte contestato in maniera argomentata.
Ciò che il collega Cota, e forse l'intero suo gruppo, sottolineano è che, mentre si concepisce addirittura una Camera con la rappresentanza dei delegati degli enti di governo ai vari livelli - regioni, province e comuni - e si stabilisce la ripartizione delle competenze legislative, concorrenti o disgiunte, con il diverso apporto di tali rappresentanti nel procedimento legislativo, affermare nella Costituzione il principio che quando si trasferiscono da un livello all'altro (in particolare dall'alto al basso, o dal centro alla periferia) certe potestà legislative, debbano essere anche non duplicati, ma «sduplicati» i costi per il personale, le strutture e le dotazioni, investe, quasi come un contesto di clima, l'intera riforma di cui ci stiamo occupando.
Concludo osservando che ciò vale non solo nel rapporto tra Stato e regioni, ma tra regioni e livelli locali di governo, perché il neocentralismo regionale viene giustamente condannato, né più né meno, come i fenomeni di ipercentralismo, non solo legislativo, ma soprattutto amministrativo. Quindi, la richiesta è assolutamente pertinente e, se si vuole fare una riforma corretta nella sua articolazione, praticabile nella sua attuazione, comprensibile da parte dei cittadini e sostenuta dal loro consenso, affrontare meglio in Commissione, o quanto meno in adeguate e concludenti sedute del Comitato dei nove, più o meno allargato, l'argomento del trasferimento delle risorse e delle strutture, è assolutamente pregiudiziale.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Quindi, il gruppo Alleanza Nazionale, con argomenti non pretestuosi o dilatori, ma di merito, è a favore del rinvio almeno al Comitato dei nove, con una sospensione dei lavori.
GIORGIO LA MALFA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, l'onorevole Zaccaria ha argomentato con molta ragionevolezza il motivo per cui ci verrà chiesto di accantonare l'articolo 1: egli ha detto che non si può definire un'istituzione fino a quando non se ne conosca con esattezza l'attività, e poiché la Commissione e il Comitato dei nove si apprestano a modificare gli articoli 6 e 7 del provvedimento, questo è ragionevole.Pag. 11
Sottopongo due considerazioni all'Assemblea, che mi conducono ad affermare che bisognerebbe rinviare questo provvedimento all'esame della Commissione o, quanto meno, concedere un congruo tempo. La prima considerazione è che se l'argomentazione dell'onorevole Zaccaria fosse valida, i relatori - la settimana scorsa, quando sono stati esaminati gli emendamenti all'articolo 1 - avrebbero dovuto suggerire all'Assemblea il posticipo dell'esame. Se non lo hanno fatto, è perché essi in quel momento pensavano che si potesse arrivare a votare l'articolo 1. Dunque, evidentemente, nel corso dell'ultima settimana, sono emerse altre considerazioni, in particolare quelle sollevate da una discussione di stampa tra alcuni costituzionalisti e il presidente Violante, che inducono a riflettere su questa materia. Quindi, onorevole Zaccaria, non è più possibile sostenere che se la scorsa settimana eravamo pronti a votare l'articolo 1 e i suoi emendamenti, dovremmo essere pronti anche adesso. Se, invece, non lo siamo più, allora ci si deve domandare a che punto siamo.
Passo alla seconda considerazione e concludo, signor Presidente: è possibile (l'ho già domandato la settimana scorsa), per il Parlamento italiano, affrontare la riforma costituzionale su un testo che non è completo nei suoi contenuti? In altre parole, prima di sottoporre un testo all'Assemblea occorre che la Commissione, trattandosi della Costituzione del nostro Paese, abbia concordato una proposta che costituisca, in un certo senso, la sua opinione ben maturata. Se vi è una situazione nella quale compiamo un passo avanti, poi accantoniamo un articolo, come se si trattasse (lo ha affermato giustamente l'onorevole Elio Vito) di altra materia, ad esempio della legge finanziaria, arrechiamo alla Costituzione un insulto molto profondo.
Pertanto, chiedo al presidente della Commissione, onorevole Violante, se non sia il caso di concedere una breve ma congrua sospensione dei nostri lavori, in modo che il Comitato dei nove e la Commissione possano presentare all'Assemblea un testo che costituisca una vera e propria base per le nostre deliberazioni.
GIUSEPPE MARIA REINA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, intervengo non esattamente sull'argomento in esame, ma sono costretto a farlo perché fatti di inaudita gravità si stanno consumando in questo momento, mentre il Parlamento è impegnato a lavorare in modo serio.
Carissimo Presidente, non un partito politico, non un insieme di partiti politici, ma l'Unione delle province siciliane - e lo dico proprio oggi, che celebrate l'unità di questo Paese - da venti giorni ha chiesto e ottenuto le autorizzazioni per tenere una manifestazione domani, davanti a Montecitorio...
PRESIDENTE. Scusi, ma su cosa ha chiesto la parola?
GIUSEPPE MARIA REINA. Su questo argomento, caro Presidente, perché dobbiamo sapere se è il questore di Roma che regola il dibattito politico in questo Paese! Se siamo a questo punto, non facciamo la manfrina di discutere in quest'Aula: agli amministratori siciliani si impedisce di confrontarsi con il Governo! È una vergogna per il Paese e per il Parlamento! È intollerabile che ciò accada! Non si tratta di un partito politico, sono i presidenti delle province della Sicilia, gli assessori, i consiglieri, i sindaci siciliani! È vergognoso! Rimuovete il questore! È uno Stato di polizia! Questo non è tollerabile: che i colleghi siciliani si alzino, si allontanino dall'aula! Non si può discutere, se nel Paese non è garantito il diritto alla libera manifestazione.
Peraltro, quale grave pericolo può essere provocato da parte di amministratori, di soggetti che civilmente chiedono un confronto anche pubblico sulla piazza, con il Governo e con il Parlamento? È inaudito!Pag. 12 Potete continuare questi lavori, ma sono falsi, come il dibattito che si sta svolgendo nel Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Movimento per l'Autonomia e DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie - Partito Socialista-Nuovo PSI e di deputati del gruppo Forza Italia).
ANDREA GIBELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, non ripeterò le argomentazioni che il collega Cota ha avanzato in favore del rinvio in Commissione e della sospensione. Esiste però un principio - a cui mi appello - di gentlemen agreement tra parlamentari e gruppi, che consente comunque, per le argomentazioni che sono state sottolineate da alcuni colleghi, un momento di riflessione. Infatti non vorrei, signor Presidente, che il convegno su Garibaldi svoltosi stamani avesse creato turbative dei rapporti.
Signor Presidente, mi rivolgo a lei, riferendomi alla richiamata prassi parlamentare secondo la quale, considerata la delicatezza della materia, è sempre stata ammessa la possibilità, nel caso in cui alcuni gruppi parlamentari lo richiedano, di un approfondimento.
Ritengo che se da parte dell'opposizione, che evidentemente svolge un proprio ruolo politico...
PRESIDENTE. Mi scusi, per favore. Scusate, vorrei invitare ad ascoltare chi interviene. Prego, deputato Gibelli.
ANDREA GIBELLI. Grazie, Signor Presidente.
PRESIDENTE. Anche alle sue spalle forse farebbero bene a consentirle di parlare...
ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, vorrei invitare l'Assemblea a svolgere questa riflessione seguendo le argomentazioni che i gruppi hanno indicato fino a questo momento. Comprendiamo le ragioni politiche della maggioranza per non concedere la possibilità di un rinvio in Commissione, però riteniamo sia giusto ricordare all'Assemblea come un approfondimento su una materia così delicata sia stato in passato già concesso.
Mi appello alla sensibilità dei colleghi affinché venga accolta questa proposta, in considerazione delle decisioni della Conferenza dei presidenti di gruppo e del fatto che il provvedimento è contingentato e che velocizzarlo vorrebbe dire ottenere convergenze vere e di merito su ogni singolo articolo, consentendo di avere un giudizio complessivo, anche su parti definite superate, già approfondite e teoricamente condivise nel merito. Mi è testimone di tutto ciò il clima politico esistente: la maggioranza pensa a cosa sta accadendo fuori dal palazzo e non a quanto accade in questo momento sulla riforma costituzionale. Ricordo, quindi, all'Assemblea che su argomenti di questo tipo un momento di riflessione è sempre stato concesso.
Non vorrei - concludo e la ringrazio, signor Presidente - che ci fosse una volontà troppo estremizzata da parte della maggioranza, che vive già molti problemi in termini politici, di dire al Paese in maniera strumentale che qualcosa sulla riforma costituzionale, almeno in primissima lettura, è stato fatto. Questo può rappresentare una rendita politica, ma si deve comunque consentire a tutti di poter anche rivendicare un momento di approfondimento.
PRESIDENTE. Non essendoci altre richieste di intervento, passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta formulata dal deputato Cota di sospensione della seduta al fine di consentire una riunione del Comitato dei nove.
(È respinta).
Prima di procedere oltre, la Presidenza intende integrare le dichiarazioni di inammissibilità, svolgendo alcune considerazioni di carattere preliminare.
Per l'esame in Assemblea sono state presentate talune proposte emendative ulterioriPag. 13 rispetto a quelle presentate in Commissione, anche relative a materie che la Commissione stessa - nella seduta dello scorso 31 luglio e, successivamente, nella seduta del 10 ottobre - aveva convenuto di non prendere in considerazione durante l'esame di questo provvedimento.
A tale riguardo ricordo che l'articolo 86, comma 1, del Regolamento - costantemente osservato dalla Presidenza nel corso delle legislature - prevede che gli emendamenti sono, di regola, presentati e svolti nelle Commissioni e che possono comunque essere presentati in Assemblea nuovi emendamenti purché nell'ambito degli argomenti già considerati nel testo o negli emendamenti presentati e giudicati ammissibili in Commissione.
Come è noto la ratio della norma - che essendo posta a garanzia del procedimento è rivolta alla tutela di tutti i deputati - è quella di evitare che attraverso singoli emendamenti vengano introdotti in Assemblea argomenti che non abbiano avuto un'adeguata istruttoria in Commissione.
Alcuni tra i nuovi emendamenti presentati per l'Assemblea non rispondono ai criteri sopra enunciati. In particolare, un ampio gruppo di emendamenti incide sull'articolo 117 della Costituzione e, più in generale, su articoli contenuti nel Titolo V della Parte seconda della Costituzione e non modificati nel provvedimento medesimo.
Nella già ricordata seduta del 10 ottobre della Commissione è stato convenuto che il Titolo V non facesse parte «dell'ambito dell'esame previsto» con questo provvedimento; conseguentemente - nel corso dell'esame - tutte le proposte emendative riferite a tale partizione del testo della Costituzione sono state ritirate dai presentatori e, quindi, non hanno formato oggetto di esame da parte della Commissione.
Risulta, inoltre, alla Presidenza che l'Ufficio di Presidenza della Commissione, nella riunione del 23 ottobre scorso (come comunicato in pari data alla medesima Commissione), ha stabilito di avviare fin dal mese di novembre un distinto procedimento di revisione costituzionale avente ad oggetto la modifica dell'articolo 117.
Gli emendamenti attinenti al Titolo V non possono considerarsi esaminati in Commissione e, pertanto, non saranno ammessi al voto.
Si tratta, in particolare, delle seguenti proposte emendative: Benedetti Valentini 16.060, che incide sull'articolo 114, abrogando il primo comma, relativo all'articolazione della Repubblica; Benedetti Valentini 16.0108, che abroga l'articolo 116, relativo alle forme di autonomia speciale; gli identici Boscetto 16.065 e La Russa 16.082, nonché Contento 16.0101, 16.0102, 16.0103, 16.0104 e 16.0105, volti a modificare l'articolo 117; Boato 16.0100, volto a modificare l'articolo 120, con riferimento alla titolarità del potere sostitutivo; D'Alia 16.0110, volto a modificare l'articolo 121, con riferimento alla composizione del consiglio regionale; Benedetti Valentini 017.079, Boscetto 017.0103 e D'Alia 17.101, volti a modificare l'articolo 122, con riferimento alla forma di governo regionale; Boscetto 018.0104, volto a modificare l'articolo 123, con riferimento alle modalità di approvazione dello statuto regionale; Boscetto 19.0100 e 19.0101, volti a modificare l'articolo 127, con riferimento al contenzioso tra Stato e regioni; Boscetto 19.0103, volto a modificare l'articolo 133, con riferimento alle modalità di istituzione delle città metropolitane.
Anche con riferimento a tre ulteriori proposte emendative - Boscetto 1.116 e 20.101, nonché Turco 16.0107 - la Presidenza rileva che esse, nel loro testo, presentano profili problematici in ordine alla loro ammissibilità in quanto riguardano anche materie - quali lo status dei giudici costituzionali e l'elezione del presidente del Consiglio superiore della magistratura - che non hanno formato oggetto di esame in Commissione. Pertanto, la Presidenza porrà in votazione le stesse limitatamente alle parti che possono essere considerate ammissibili.
In particolare, l'emendamento Boscetto 1.116 verrà posto in votazione, previa riformulazione della seconda parte consequenziale nel senso di limitare la stessa al Pag. 14solo primo comma del capoverso, da intendersi come sostitutivo del primo comma dell'articolo 135 della Costituzione; con riferimento all'emendamento Boscetto 20.101, esso sarà posto in votazione previa riformulazione nel senso sopra indicato, ovvero limitatamente al primo comma da intendersi come sostitutivo del solo primo comma dell'articolo 135 della Costituzione.
L'emendamento Turco 16.107, invece, deve intendersi integralmente inammissibile (Vedi l'allegato A - A.C. 553 ed abbinate sezione 1).
MARCO BOATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, vi sarà tempo per valutarlo (non arriveremo rapidamente al suo esame), ma vorrei rilevare, a proposito della sequenza di proposte emendative che ha dichiarato inammissibili in relazione in particolare alla questione dell'articolo 117 della Costituzione - che obiettivamente avevamo concordato unanimemente di escludere da questa fase del processo di revisione costituzionale per rinviarlo a una fase successiva, come lei ha giustamente ricordato -, che ha indicato anche una proposta emendativa a mia prima firma, l'articolo aggiuntivo 16.0100, che si riferisce all'articolo 120 della Costituzione. Quest'ultimo tema era stato affrontato nel corso del lavoro della Commissione, anche se non formalizzato in un emendamento; comunque sotto il profilo emendativo questo tema specifico era stato proposto all'esame della Commissione nella seduta in cui abbiamo conferito il mandato ai relatori.
Non le chiedo una risposta immediatamente perché è necessaria una ricognizione tramite gli uffici, però le chiedo - mi darà una risposta tra qualche ora o, se del caso, domani - di riconsiderare la dichiarazione di inammissibilità dell'articolo aggiuntivo 16.0100 a mia prima firma, perché si tratta di un tema emerso nel dibattito della Commissione e che io stesso esplicitamente ho preannunziato in vista del dibattito in Assemblea nella seduta in cui sono state svolte le dichiarazioni di voto per conferire il mandato al relatore. La prego di effettuare una verifica al riguardo con la collaborazione degli uffici che possono attestarlo.
PRESIDENTE. Deputato Boato, la ringrazio e mi riservo di valutare le sue osservazioni.
(Ripresa esame dell'articolo 1 - A.C. 553-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame dell'articolo 1 e delle proposte emendative ad esso presentate (Vedi l'allegato A - A.C. 553 ed abbinate sezione 2).
SESA AMICI, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, come è già stato preannunziato dal presidente della Commissione, i relatori intendono chiedere l'accantonamento dell'articolo 1 e iniziare l'esame della proposta di legge dall'articolo 2.
Consta al relatore dare una spiegazione su alcuni argomenti sollevati dai colleghi nella discussione che abbiamo appena lasciato alle spalle - in particolare dal collega Vito - con argomenti che credo siano abbastanza facilmente confutabili, soprattutto alla luce della proposta presentata da entrambi i relatori e ad una sua lettura testuale.
Non è vero che la Commissione decide l'accantonamento perché non è pronta o perché su questo argomento vi è una decisione del tutto arbitraria. È stato, invece, il frutto di un ragionamento molto stringato alla luce di due temi posti a volte anche con estrema forza dai gruppi dell'opposizione, in particolare dai colleghi di Forza Italia.
La definizione del Senato federale della Repubblica comporta evidentemente la questione della natura non solo della sua Pag. 15composizione ma anche degli elementi che attengono alle sue competenze. Per tale ragione riteniamo che procedere all'esame e, quindi, al voto dell'articolo 1 della proposta di riforma dopo aver discusso gli articoli 3 e 7 permetterebbe una discussione sul termine «Senato federale» del tutto aliena da un certo elemento politologico che intorno a questo tema potrebbe crearsi e ciò consentirebbe di rimanere legati al merito della qualità e della natura del tipo di Senato che stiamo ipotizzando.
È del tutto evidente, pertanto, che non vi è alcuna impreparazione da parte della Commissione. Credo che si tratti non solo di un elemento di buon senso ma di una logica tutta interna al testo che può essere condiviso o non condiviso (ciò appartiene legittimamente alle posizioni politiche). Su questo tema vorrei che tutti ci tenessimo collegati. Pertanto la richiesta è di iniziare l'esame a partire dall'articolo 2.
ITALO BOCCHINO, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ITALO BOCCHINO, Relatore. Signor Presidente, anch'io condivido la proposta, avanzata dalla relatrice Amici ed anticipata dal presidente Violante, di accantonare l'articolo 1. È prematuro definire quale denominazione debba avere il Senato se prima non conosciamo la sua composizione, ai sensi dell'articolo 3 di questo progetto di legge, ed i relativi poteri, come previsto dall'articolo 7. Ritengo, tuttavia, una volta che l'Assemblea si dovesse esprimere a favore... Signor Presidente, comprendo le ragioni di partito, attendo che lei abbia terminato.
PRESIDENTE. Se fossero quelle sarebbero più facilmente risolvibili, anche senza conversazioni. La prego di continuare.
ITALO BOCCHINO, Relatore. Mi sembra che le ragioni di partito sarebbero più...
PRESIDENTE. Le assicuro che, come osservatore esterno, mi permetto di rivolgerle l'osservazione che le ho sottoposto. Lei non indaghi e prosegua.
ITALO BOCCHINO, Relatore. Come dicevo, risolte le questioni di partito, signor Presidente, l'accantonamento dell'articolo 1 ha senso se successivamente verranno esaminati o l'articolo 3 o l'articolo 7, perché ciò potrebbe portare alla soluzione del dilemma dell'articolo 1: ossia come si deve chiamare il Senato in base alla sua composizione ed ai suoi poteri.
Per questo motivo, sono favorevole all'accantonamento dell'articolo 1 per passare, però, esclusivamente all'esame dell'articolo 3 o dell'articolo 7. Ovviamente non avrebbe alcun senso accantonare l'articolo 1 per passare all'esame dell'articolo 2.
PRESIDENTE. In merito alla richiesta di accantonamento dell'articolo 1 darò la parola ad un oratore contro e ad uno a favore.
ROBERTO COTA. Chiedo di parlare contro.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, chiedo di parlare contro, perché poco fa l'Assemblea ha respinto la richiesta di rinviare il testo in esame in Commissione per un ulteriore approfondimento. La richiesta era motivata dal fatto che non si può procedere al buio su una materia così importante e, puntualmente, si è verificato quello che avevamo previsto: non si hanno le idee chiare e già all'esame del primo articolo, si chiede di accantonarlo per proseguire la discussione su altri articoli.
Questa è una delle motivazioni - con la successiva motivazione avanzerò un'altra considerazione - che ci spinge a votare contro la richiesta di accantonamento. È necessario arrivare in Assemblea il più possibile con le idee chiare. Non si può procedere al buio, sperando che arrivi Pag. 16l'illuminazione o che accada qualcosa, senza avere le idee chiare su quanto si è fatto in Commissione.
La seconda motivazione è la seguente: se vi è una logica in questa proposta legge - ed io spero che vi sia - non può che essere quella del superamento del bicameralismo con la creazione del Senato federale. Sul ruolo del Premier si è deciso di soprassedere, così come sulla modifica dell'articolo 117, sulla sfiducia costruttiva, su eventuali nuovi poteri del Presidente della Repubblica: pertanto, l'unica proposta che resta è quella relativa al Senato federale. Dal nostro punto di vista, essa è in sé una proposta positiva, anche se sosteniamo che non debba essere una presa in giro, perché questo Senato federale non deve avere le competenze di una Camera consultiva, ma quelle di una Camera legislativa.
Pertanto, se si accantona l'articolo 1, avendo paura di utilizzare il termine: «Senato federale», perché, evidentemente, qualcuno ha in mente di cambiare le carte a fronte di un lavoro che, invece, è stato svolto in Commissione, allora la nostra posizione non può che essere quella di votare contro. Si segua la logica: se l'articolo 1 è stato posto all'inizio vi è un motivo e, quindi, si inizi da lì.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Chiedo di parlare a favore.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, come vede, non vi è uno schieramento preconcetto di maggioranza o di opposizione. Sembrerebbe una specie di interlocutorio derby all'interno dell'opposizione. Infatti, mentre il collega Cota, con pregevoli argomenti nella sua ottica, dice di «no», io, a nome di Alleanza Nazionale e, credo, di numerosi altri colleghi, dico di «sì».
Prendendo spunto da quanto ho fatto in Commissione, svolgo una considerazione - mi permetterete questo piccolo lusso - un po' polemica. Quando in Commissione, per quattro volte, ho proposto di accantonare la questione (che non è meramente terminologica, ma è politica) se chiamare tale organo Senato, Camera parlamentare, federale o quant'altro, perché prima dobbiamo vedere come è composto, quali sono le sue funzioni e quali le sue prerogative, si è detto sempre «no!», come se avesse parlato il «vento mattutino». Adesso che nello schieramento della maggioranza emerge un dubbio a questo riguardo e si ritiene opportuno posticipare l'esame della questione, tale richiesta è avanzata addirittura dalla Commissione (o, comunque, almeno da un relatore) e ci si appresterebbe a votare a favore.
Alcuni colleghi hanno giustamente affermato che, se ciò ha una logica, allora non si dovrebbe passare all'esame dell'articolo 2, ma all'esame degli articoli 3 e 7, cioè quelli di contenuto. Infatti, onorevole Presidente, la questione non è solo se chiamare federale o non federale questa Camera parlamentare, ma se convenga addirittura chiamarla o meno Senato perché - mi perdoni, signor Presidente - l'elemento della senectus non ci sarebbe più! Non sarebbero più rappresentanti eletti dal popolo. Sarebbero depositari di un potere legislativo limitato. Questa sarebbe la Camera alta? Addirittura la chiamiamo con il pomposo nome di Senato della Repubblica?
Per questo motivo sono stati presentati fior di emendamenti: non solo i miei (modestissimi, gli ultimi della classe), ma anche addirittura quelli di schieramenti della maggioranza, che propongono di chiamarlo Camera delle autonomie, oppure Senato (se si sceglie tale denominazione) delle autonomie locali, o delle regioni e delle autonomie, o ancora Assemblea dei delegati. In altre parole, il problema si pone non sull'aggettivo ma, addirittura, sul sostantivo! E non si tratta solo di una questione di estetica o di cosmesi costituzionale, ma di capire che cos'è questo organismo!
Per queste ragioni ancora una volta di merito, di logica e di sistema, non pretestuose o dilatorie, il nostro gruppo - conformemente a quanto diceva uno dei due relatori - è favorevole ad accantonare Pag. 17l'articolo 1, ma osserva che sarebbe giusto passare all'esame non dell'articolo 2 ma, se non dell'articolo 3, quantomeno dell'articolo 7, oppure di entrambi.
PRESIDENTE. Successivamente si deciderà in merito a tale questione. Ora dobbiamo decidere sulla proposta di accantonare l'articolo 1.
Passiamo, quindi, ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di accantonare l'esame dell'articolo 1.
(È approvata).
Deciso l'accantonamento dell'articolo 1, vi è la proposta avanzata dal relatore Bocchino di non procedere all'esame dell'articolo 2, ma dell'articolo 3.
Ha chiesto di parlare per un'ulteriore proposta il deputato Bruno. Ne ha facoltà. Terminato il suo intervento procederemo ai voti.
DONATO BRUNO. Signor Presidente, il mio intervento è a favore della proposta del relatore Bocchino. Rilevo e osservo, e chiedo al presidente Violante se non sia il caso - con il rinvio in Commissione del provvedimento - di iniziare dall'articolo 7. Questa proposta è subordinata a quella cui faceva riferimento il collega Bocchino.
In altre parole, abbiamo due articoli che qualificheranno il nomen juris di quella che sarà l'altra Camera: uno attiene alla composizione, l'altro alle funzioni. Pertanto, ritengo che, forse, se dovessimo procedere con una logica, dovremmo procedere con l'esame prima dell'articolo 7, poi dell'articolo 3, e quindi dell'articolo 1. Indifferentemente, si potrebbe anche ipotizzare di procedere prima con l'esame dell'articolo 3, poi del 7, e quindi dell'articolo 1. In questo modo, infatti, si scioglierebbe un nodo che in Commissione, ancora oggi, non è stato del tutto dipanato.
Credo quindi che la proposta sensata del relatore Bocchino possa essere accolta, proprio per dare a tutti la possibilità di comprendere come sarà la composizione del Senato federale o del Senato delle autonomie, e quali saranno le funzioni che lo stesso andrà a svolgere.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, ho ascoltato le parole del presidente Bruno. Credo che potremmo procedere in questo modo, se i colleghi sono d'accordo: innanzitutto, l'ordine negli articoli non è determinato da noi, ma dalla Costituzione, nel senso che, poiché si interviene su articoli della Costituzione, questa è la ragione per cui si susseguono gli articoli 55, 56, 57 della suddetta, cui corrispondono gli articoli 1, 2, 3, e così via del provvedimento in esame. Trovo che abbia ragione il presidente Bruno, quando afferma che vi è un rapporto molto stretto tra l'articolo 3 e l'articolo 7, nel senso che l'articolo 3 definisce la fonte di costituzione del Senato, come si costituisce, mentre l'articolo 7 definisce quali poteri ha il Senato così costituito. Poiché le funzioni sono determinate dal modo in cui è costruito un organo, credo che debba votarsi prima l'articolo 3 per poi esaminare (forse ha ragione il presidente Bruno al riguardo), superati gli articoli 4, 5 e 6, il 7 ai fini di un discorso unitario. Proporrei però che adesso si proceda all'esame dell'articolo 2, seguendo l'ordine della Costituzione; dopo aver concluso l'esame dell'articolo 3 si può passare all'articolo 7. Credo che sia giusto per avere una discussione coerente in ordine alla fonte di nomina del Senato e alle funzioni del Senato. La mia proposta sarebbe quindi la seguente: iniziare l'esame dell'articolo 2 per passare poi al 3 e al 7 ai fini di una discussione unitaria sulla composizione e le funzioni del Senato.
PRESIDENTE. Proporrei, ad ogni passaggio, di deliberare. Ricordo che il relatore Bocchino aveva avanzato la proposta Pag. 18di non procedere all'esame dell'articolo 2 e di passare direttamente all'articolo 3. Insiste su questa proposta?
ITALO BOCCHINO, Relatore. Sì, signor Presidente, ma avevo chiesto di passare all'articolo 3 o all'articolo 7.
PRESIDENTE. Stiamo discutendo del passaggio all'articolo 3, poi vedremo. Adesso votiamo sulla proposta di passare all'esame dell'articolo 3, in subordine al 7.
ITALO BOCCHINO, Relatore. All'articolo 7, in subordine all'articolo 3.
PRESIDENTE. Riformuli dunque la proposta.
ITALO BOCCHINO, Relatore. Riformulo la mia proposta: chiedo di passare all'esame dell'articolo 7, in subordine all'articolo 3.
PRESIDENTE. Lei chiede dunque di non procedere all'esame dell'articolo 2, bensì di passare all'articolo 7.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Chiederei, signor Presidente, se si può mettere in votazione il passaggio all'articolo 2.
PRESIDENTE. È normale il passaggio all'articolo 2; vi è, invece, una nuova proposta che deve essere votata.
MARCO BOATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. A che titolo?
MARCO BOATO. Secondo il Regolamento sulla proposta si può parlare contro ed a favore ed io chiedo di parlare contro.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, credo che molto opportunamente, con larghissimo consenso dell'Assemblea, abbiamo deciso di accantonare la votazione sull'articolo 1, e non perché la Commissione e l'Aula non siano pronte: nel merito sono assolutamente d'accordo con le considerazioni che ha svolto il collega Cota, ma nel metodo aveva ragione il collega Benedetti Valentini, secondo il quale la definizione del nomen dell'istituto è conseguenza anche della struttura che vogliamo proporre per l'altro ramo del Parlamento, per il Senato. Non è invece accettabile, a mio parere, che si scavalchi ulteriormente la sequenza degli articoli; il provvedimento in esame è, infatti, abbastanza contenuto e gli articoli, che non sono moltissimi, seguono, come opportunamente affermato dal presidente Violante, la sequenza numerica di quelli della Costituzione. L'articolo 2, riferito all'articolo 56, riguarda il numero dei deputati che verrà definito nel processo di revisione costituzionale, ossia i membri di questo ramo del Parlamento; riguarda poi la questione degli eletti nella circoscrizione estero, che ha una connessione anche fra Camera e Senato anche a fronte di un emendamento specifico della Commissione; riguarda anche la riduzione dell'elettorato attivo e passivo per la Camera dei deputati. Poiché, fra l'altro, incidendo sull'articolo 2, per quanto riguarda l'aspetto specifico della circoscrizione estero, voteremo anche un emendamento della Commissione che va ad incidere sull'articolo 3, è logica necessaria e conseguente cominciare dall'articolo 2 e poi proseguire oltre.
Quindi, propongo all'Assemblea con assoluta pacatezza - poiché non si tratta di una questione di disputa ideologica, ma di ordine dei lavori - di riprendere i nostri lavori dall'esame dell'articolo 2, respingendo così la proposta di passare ora all'esame dell'articolo 7.
ENRICO LA LOGGIA. Chiedo di parlare a favore.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
Pag. 19
ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, noi siamo ovviamente a favore della proposta del relatore Bocchino, ma vorrei anche - assai brevemente - argomentarne la ragione, nella speranza che i colleghi possano anche ascoltare. Non si tratta né di un problema ideologico né, vorrei dire, di schieramento, bensì puramente e semplicemente di logica e di razionalità. Come potranno osservare i colleghi dalla semplice lettura dell'articolo 7, in esso si stabilisce quali saranno le funzioni legislative che saranno esercitate dalla Camera e dal Senato. È di tutta evidenza che nella rilevanza delle funzioni esercitate e nella divisione dei compiti tra la Camera ed il Senato (ci auguriamo quanto più precisa possibile), si determinerà la rilevanza costituzionale dello stesso Senato, oltre che della Camera dei deputati.
È di tutta evidenza - e perciò mi appello alla logica ed alla razionalità - che se non si stabilirà esattamente la rilevanza, come dicevo, delle predette funzioni, con difficoltà si potrà valutare - credo che saremmo addirittura nell'impossibilità di farlo - se i componenti della Camera che si denominerà Senato federale dovranno essere eletti ovvero nominati attraverso una diversa procedura. Dico ciò perché, sino a quando il potere legislativo sarà esercitato collettivamente dalle due Camere, è di tutta evidenza che sarà estremamente difficile poter scegliere un metodo di elezione così radicalmente diverso tra la Camera e il Senato, così come viene ipotizzato dalla proposta di riforma costituzionale al nostro esame.
Quando, invece, si stabilissero con esattezza le funzioni e i compiti - e, quindi, la rilevanza della Camera che si chiamerà Senato federale - sarà molto più facile e più semplice dare la dimensione delle funzioni che saranno esercitate dai rappresentanti dei cittadini nei due organi richiamati e, a maggior ragione, saremo nelle condizioni di poter valutare se potranno essere eletti attraverso un'elezione di primo grado, di secondo grado o, addirittura, di terzo grado (ipotesi, quest'ultima della proposta di riforma al nostro esame).
Invertire l'ordine degli articoli - ossia, in questo caso, seguire la proposta così come è stata formulata, stabilendo chi farà parte del Senato e poi, successivamente, di cosa tale organo si dovrà occupare - non soltanto contrasta con la logica e la razionalità di un disegno riformatore costituzionale, ma anche con la logica e la razionalità, per così dire, dell'uomo qualunque, nel senso che chiunque si troverebbe dinanzi alla difficoltà di poter comprendere di cosa sta parlando se non sa a cosa servirà tale Camera, tale Senato federale. Mi auguro, allora, di essere stato sufficientemente chiaro. Ribadisco che, al di là delle posizioni politiche di schieramento, vi è proprio un banale elemento che riguarda la logica e razionalità: occupiamoci prima, come propone il relatore Bocchino, di stabilire funzioni e compiti, e dopo - subito dopo - potremmo semmai con maggiore consapevolezza valutare come ed in che modo dovranno essere eletti, nominati o comunque scelti i componenti della Camera che si definirà Senato federale.
PRESIDENTE. Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione dei nomi la proposta del relatore Bocchino di passare all'esame dell'articolo 7.
(È respinta).
Il relatore Bocchino aveva avanzato in subordine la proposta, che è stata appoggiata dal deputato Bruno, di passare all'articolo 3.
ELIO VITO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, sono a favore della suddetta richiesta. Tuttavia, vorrei un po' di attenzione, oltre che dal presidente Violante anche da lei e dagli altri colleghi della maggioranza, perché sta accadendo qualcosa di strano. Dobbiamo proseguire l'esame del provvedimento in base a quanto prevede il Regolamento, Pag. 20come lei giustamente ci ha ricordato. Signor presidente, vi sono norme scritte e norme di buonsenso. La maggioranza, in ordine a questo testo unificato di riforma costituzionale, ha deciso di bocciare la richiesta, presentata da un gruppo e sostenuta da uno dei due relatori, di rinviare il testo in Commissione. Successivamente, ha ritenuto, a maggioranza, non necessario procedere a una nuova riunione del Comitato dei nove e si è stabilito di non dover cominciare, come sarebbe stato naturale, dall'esame dell'articolo 1. Ora dovremmo iniziare con l'esame dell'articolo 2, secondo una parte della maggioranza, anche se uno dei due relatori, poiché tale è l'onorevole Bocchino, ha proposto di iniziare - a nostro avviso, in modo sensato - prima dall'articolo 7 e ora dall'articolo 3. Pertanto, vi sono due questioni, di cui una di sostanza e una di immagine, con cui si rende palese, a mio avviso, il castello montato in questi mesi in ordine alle riforme. La questione di sostanza è che dovremmo discutere, secondo il presidente Violante e l'onorevole Amici, dell'articolo 2, che si riferisce al numero dei deputati, senza però sapere quali siano le competenze della Camera dei deputati né se essa sarà o no l'unica Camera legislativa, in base al progetto di riforma costituzionale che la Commissione ci propone. Questo è il punto. In ordine al merito, dovremmo prima definire se le Camere legislative sono due o una, poi quali sono i compiti del Senato e quali quelli della Camera e solo a quel punto, dopo aver individuato i compiti della Camera e se essa è l'unica Camera legislativa, potremmo stabilire l'eventuale riduzione o no del numero dei parlamentari.
A mio giudizio, non è sostenibile in ordine al merito della riforma volere ad ogni costo iniziare con l'esame dell'articolo 2, senza tenere in conto il vero senso della riforma stessa, ossia la riduzione dei poteri del Senato, l'istituzione del Senato federale e l'eliminazione del bicameralismo perfetto. Temo che la volontà di occuparci immediatamente, solo e comunque dell'articolo 2, senza avere stabilito il restante contenuto della riforma, dimostri la volontà di procedere frettolosamente ad un esame di «bandiera» del testo unificato delle proposte di legge costituzionale per affrontare solo la riforma del numero dei deputati. Tale questione non ha più nulla a che vedere con il Senato federale, con la Repubblica federale, con il bicameralismo perfetto, ma porterebbe la Commissione a sostenere che si vuole affrontare in via prioritaria il tema della riduzione del numero dei parlamentari, vicenda realmente importante e rilevante, ma estranea all'oggetto del provvedimento in esame e all'entità della revisione organica che è stata presentata.
Signor Presidente, le preannuncio sin d'ora che se la maggioranza non dovesse approvare la proposta, sensata, del relatore Bocchino, di passare all'esame dell'articolo 3 e volesse ad ogni costo occuparsi, comunque e solo, dell'articolo 2 la coerenza dovrebbe portare la stessa maggioranza, e questa sarà la mia proposta, a stralciare l'esame dell'articolo 2 e a votare subito e solo la riduzione del numero dei deputati. Ciò se proprio volete seguire questa «bandiera» da offrire al Paese in modo da inviare immediatamente al Senato la riduzione del numero dei deputati. Infatti, tale riforma può entrare rapidamente in vigore nel giro di pochi mesi e successivamente, con calma, si può affrontare il resto della riforma costituzionale. Diversamente, non vi è senso di affrontarla. Se vogliamo procedere ordinatamente è necessario prima occuparsi delle funzioni delle due Camere e conseguentemente del numero dei parlamentari.
Se volete sollevare la «bandiera» della riduzione del numero dei parlamentari, senza prendere in giro il Paese, non la potete subordinare all'insieme delle riforme costituzionali le quali, come sapete anche voi, non saranno mai varate o lo saranno alle calende greche. Noi non ci prestiamo a questa operazione di presa in giro del Paese. Pertanto, signor Presidente, la pregherò subito dopo di passare alla proposta di stralcio dell'articolo 2. Ma mi auguro, signor Presidente, che si prenda in esame anche un'altra questione regolamentare, che rimetto alla sua valutazione. Pag. 21Vi sono due relatori che non sono tali per parti diverse del provvedimento in esame. La Commissione deve sottoporci, su ciascuna questione, anche su come procedere, una sola proposta. Non vi possono essere due relatori, due correlatori, in modo che un relatore viene considerato «di maggioranza», l'onorevole Amici, e ciò che propone si realizza, mentre un altro relatore, l'onorevole Bocchino, viene di fatto considerato un relatore «di minoranza» e ciò che propone non si fa.
PRESIDENTE. Deputato Elio Vito, la invito a concludere.
ELIO VITO. Questo non è corretto, signor Presidente. Se si dovesse proseguire con la convinzione che le proposte di un relatore...
PRESIDENTE. La prego, deve concludere.
ELIO VITO. Sì, signor Presidente, concludo. Cosa accade quando la Camera respinge le proposte del relatore? Si sospendono i lavori, la Commissione nomina un nuovo relatore, se ne prende atto. È la terza volta che votiamo proposte del relatore onorevole Bocchino, con il parere contrario della Commissione.
PRESIDENTE. Adesso, davvero deve concludere.
ELIO VITO. Allora chiedo, signor Presidente, che ciò meriti, da un punto di vista regolamentare...
PRESIDENTE. È per questo motivo che le ho consentito un minuto in più per svolgere il suo intervento. Deve concludere.
ELIO VITO. Sì, signor Presidente, concludo, ma non è che stiamo discutendo di «pizza e fichi...» (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)
PRESIDENTE. Appunto, nelle discussioni importanti le regole sono importanti.
ELIO VITO. La Commissione deve dirci qual è la sua opinione su questo argomento, non può avere un'opinione di un relatore e un'altra di un altro relatore. Questa è una presa in giro!
PRESIDENTE. Lei fa una osservazione di natura politica, deve concludere il suo intervento.
ELIO VITO. No, Presidente. Questa è una osservazione regolamentare sulla quale il presidente della Commissione ci deve dire (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia e di deputati del gruppo Alleanza Nazionale)...
PRESIDENTE. Deputato Elio Vito, ha concluso il suo intervento. Grazie.
Ha chiesto di parlare contro il deputato Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, avendo partecipato sempre, tra l'altro, ai lavori della Commissione e del Comitato dei nove, devo dare atto dell'assoluta correttezza dei due relatori, il collega Bocchino e la collega Amici, che hanno sempre collaborato nei lavori della Commissione e del Comitato. Con assoluta lealtà reciproca, nei rarissimi casi in cui hanno avuto valutazioni legittimamente differenti, le hanno manifestate nelle sedi opportune. L'Assemblea è sovrana, signor Presidente, non sono i relatori a decidere, essi avanzano le proposte, lei le mette in votazione e l'Assemblea è sovrana e decide.
Sul punto specifico, invito l'Assemblea a votare contro la proposta di passare non all'articolo 2, ma all'articolo 3, perché come ho già accennato - ma forse è meglio renderlo esplicito - non c'è alcun problema di bandiera ideologica sulla riduzione del numero dei deputati, sulla quale fra l'altro credo ci sia un consenso pressoché unanime di quest'Aula. Pertanto, se qualcuno vuole poi rivendicarne il merito lo possiamo fare tutti, collega Elio Vito. La questione è che c'è una sequenza logica degli articoli della Costituzione: prima la Camera e poi il Senato. Pag. 22La connessione presente in un emendamento della Commissione fra i deputati eletti nella circoscrizione Estero e la previsione di quanti siano i senatori assegnati alla stessa circoscrizione, rende logicamente e giuridicamente obbligatorio affrontare prima l'articolo 2, perché ad esso è riferito l'emendamento della Commissione che poi incide anche sull'articolo 3. Questa è l'unica ragione, non ideologica, non di bandiera e non di vanto, perché il vanto dell'eventuale riduzione dei deputati ce lo possiamo prendere tranquillamente tutti, anche il collega Elio Vito. Non c'è ovviamente alcun problema di stralcio, che è assolutamente pretestuoso. La coerenza logico-giuridica vuole che si passi ora all'esame dell'articolo 2. Pertanto, suggerisco all'Assemblea di non accettare la proposta del relatore Bocchino.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi la proposta del relatore Bocchino di passare all'esame dell'articolo 3.
(È respinta).
(Esame dell'articolo 2 - A.C. 553-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 2 e delle proposte emendative ad esso presentate (Vedi l'allegato A - A.C. 553 ed abbinate sezione 3).
SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, dal momento che, a nostro avviso, da parte della maggioranza non vi è una grande coerenza di linea nel procedere ed esiste, invece, una questione di natura politica in ordine al merito della riforma, e considerato che su ciò che per consuetudine giornalistica potremmo ormai definire il «progettino», sono state sollevate obiezioni di merito dal professor Sartori sui poteri del Presidente del Consiglio e sul rafforzamento del premierato, formuliamo la proposta di procedere all'esame dell'articolo 8, partendo, quindi, proprio dal merito dei poteri del Premier incaricato e del Governo.
PRESIDENTE. Deputato Baldelli, Si è già deciso di passare all'esame dell'articolo 2, dunque siamo all'esame dell'articolo 2.
ELIO VITO. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, vi è una nuova proposta dell'onorevole Baldelli, ossia passare all'esame dell'articolo 8.
PRESIDENTE. Deputato Elio Vito, ribadisco che stiamo esaminando l'articolo 2.
ELIO VITO. No, signor Presidente, non siamo all'esame dell'articolo 2 perché non è iniziata la discussione sull'articolo 2.
PRESIDENTE. Siamo passati all'esame dell'articolo 2, lei non ha ascoltato?
ELIO VITO. Sì, ho ascoltato, signor Presidente, ma con la stessa modalità con la quale ha fatto votare le proposte di passare...
PRESIDENTE. No, deputato Elio Vito ho fatto votare prima di passare all'articolo. La prego!
ELIO VITO. Non vi è dubbio, signor Presidente. Chiedo dunque di parlare sull'articolo 2.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, mi pareva che la richiesta dell'onorevole Baldelli fosse ammissibile, comunque propongo di stralciare l'articolo 2 per fare in modo che la Camera lo esamini rapidamente e altrettanto Pag. 23rapidamente lo trasmette al Senato, nella giornata di oggi, così si potrà constatare chi vuole e chi non vuole la riduzione del numero dei parlamentari.
MARCO BOATO. Propone di stralciare tutto il resto, non l'articolo 2!
ELIO VITO. Lo ripeto: chi è a favore della riduzione effettiva dei parlamentari subito, a partire dalla prossima legislatura, deve voler varare subito tale riforma, da sola, senza il resto delle riforme costituzionali che non vedranno mai la luce in questa legislatura. Per questo motivo, signor Presidente chiedo di stralciare l'articolo 2, affinché la Camera possa vararlo immediatamente e il Senato possa conseguentemente approvarlo entro la fine dell'anno e si possa passare, dopo i tre mesi previsti dalla Costituzione, al voto finale. Chiedo dunque di stralciare l'articolo 2, affinché possa essere esaminato separatamente dal resto delle riforme.
PRESIDENTE. Sulla richiesta di stralcio testé avanzata, ai sensi dell'articolo 86, comma 7 del Regolamento, chiedo quale sia l'avviso dei relatori.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, lo stralcio, sulla base di quanto stabilisce la prassi, comporta che un certo articolo sia accantonato e messo da parte; quindi lo stralcio richiesto dal collega Elio Vito produce un effetto del tutto contrario all'obiettivo che si propone. Il collega Elio Vito dovrebbe chiedere di stralciare tutto il provvedimento in esame e lasciare l'articolo 2, ossia il contrario di ciò che egli ha affermato. Ho dunque l'impressione che vi sia qualcosa che non va in tale richiesta.
PRESIDENTE. Lo stralcio, qualora venisse accolto, farebbe sì che l'articolo 2 divenisse autonomo e dunque è richiesto il parere dei relatori.
SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, credo che il parere debba essere contrario alla suddetta proposta perché stralciando solo l'articolo 2 e mantenendolo autonomo, esprimeremmo un giudizio di ordine politico sull'impossibilità da parte di quest'Assemblea di svolgere una discussione di merito sulla questione della riduzione del numero dei parlamentari, che non è completamente autonoma, ma è legata ad alcune funzioni precise di differenziazione e alla fine del bicameralismo paritario. Per tali motivi, esprimo parere contrario sulla proposta di stralcio del collega Elio Vito.
PRESIDENTE. Sulla proposta di stralcio dell'articolo 2 darò la parola ad un deputato a favore e ad uno contro.
GIORGIO JANNONE. Chiedo di parlare a favore.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIORGIO JANNONE. Signor Presidente, mi pare che le motivazioni testé addotte dalla relatrice Amici siano esattamente coerenti con le precedenti richieste di non esaminare ora l'articolo 2. La collega Amici, infatti, ha sostenuto la tesi, assolutamente condivisibile, in base alla quale l'articolo 2 non può essere analizzato come un unicum, perché fa parte di un complesso legislativo che riguarda tutta la Costituzione.
Onorevole relatrice, le faccio notare che questo è esattamente l'argomento con cui il relatore Bocchino sosteneva di non affrontare ora l'esame dell'articolo 2. Tale l'articolo, infatti, fa parte di un insieme, ovvero la Carta costituzionale, studiata ed approvata sessanta anni or sono dai padri costituenti nel suo insieme e non in questo modo.
Presidente, mi permetta di rilevare che l'Assemblea è bloccata da due ore su schermaglie di ordine procedurale e ciò testimonia come non vi sia quel clima sufficiente, necessario e condiviso per affrontare in modo costruttivo una riforma di questo tipo.Pag. 24
Nella scorsa legislatura si è avuta un'occasione, credo, storica e unica per affrontare determinati argomenti. Tuttavia, voi del centrosinistra - non dimentichiamolo - l'avete allora bocciata, non garantendo il quorum che avrebbe evitato il referendum e così facendo vi siete assunti un'enorme responsabilità politica, in quanto oggi non sussistono le condizioni tecniche e politiche per poter affrontare questa riforma. Ciò voi lo sapete benissimo.
State affrontando questa riforma in modo assolutamente demagogico, rafforzato dal fatto che insistete nel voler discutere il tema della riduzione dei parlamentari di cui all'articolo 2. Si tratta di un tema caro, certamente, all'antipolitica e a chi vuol far demagogia, ma non può essere avulso dall'insieme della riforma costituzionale, la quale non può essere affrontata in questo modo, cioè saltando da un articolo all'altro e da un argomento all'altro, in quanto si tratta - e ciò lo sa per primo l'onorevole Violante - di un unicum, di una Carta che deve essere letta e modificata nel suo insieme.
FRANCO RUSSO. Chiedo di parlare contro.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor Presidente, motiverò la contrarietà allo stralcio - non sono a favore, in quanto sono a favore della procedura già votata dalla Camera - per un motivo abbastanza semplice.
È necessario, infatti, considerare le polemiche ed anche le aspettative dell'opinione pubblica in ordine alla diminuzione del numero dei parlamentari, che la proposta di revisione costituzionale in esame avanza. D'altro canto, non si può pensare ad un unico provvedimento in tema di riduzione del numero dei parlamentari, avulso dalle funzioni e dalle finalità che un'istituzione deve svolgere e perseguire.
Per tranquillizzare l'onorevole Elio Vito, ricordo a lui e a tutta l'Assemblea che si accinge al voto, che il primo comma dell'articolo 21 della proposta di revisione costituzionale in esame recita: « Le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano a decorrere dalla prima legislatura successiva a quella in corso alla data della sua entrata in vigore».
Penso, quindi, che non vi sia nulla di demagogico da parte della maggioranza e di chi sostiene il provvedimento in esame (spero l'ampia maggioranza della Camera), nel ritenere necessario intervenire anche sul numero dei parlamentari. Tale intervento sarà efficace immediatamente dalla prossima legislatura e non come prevedeva il disegno del centrodestra, che rimandava alla XVI, XVII e XVIII legislatura l'entrata in vigore di determinate norme.
Penso, dunque, che si debba ritornare ad uno svolgimento dei lavori, a mio avviso, coerente, esaminando dall'articolo 2 in poi la proposta di legge alla nostra attenzione. L'avere accantonato l'articolo 1 significa semplicemente mettere da parte il nome di un'istituzione, non quindi le sue funzioni, né il numero dei parlamentari necessari al suo funzionamento.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico, senza registrazione di nomi, la proposta di stralcio dell'articolo 2 del testo in esame.
(È respinta).
Ha chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti riferiti all'articolo 2 il deputato Mario Pepe. Ne ha facoltà.
MARIO PEPE. Signor Presidente, il dibattito che si è svolto finora dimostra una sola cosa, ovvero che il Parlamento si muove con i metodi di cent'anni fa, in cui il culto del rito prevale sull'efficienza legislativa. Sono, infatti, trascorse tre ore per decidere che era necessario procedere con l'esame dell'articolo 2.
La necessità di riformare il Parlamento si evidenziò immediatamente già subito dopo il varo della Costituzione. Subito dopo il varo della Costituzione ci si rese conto che le istituzioni che erano nate dall'Assemblea costituente avevano mostratoPag. 25 lentezza e inefficienza. Tant'è vero che anche allora, come è capitato a noi nella scorsa legislatura, alcuni gridarono: «Giù le mani dalla Costituzione!». Desidero ricordare in quest'aula che, in quell'occasione, un segretario della Democrazia Cristiana, l'onorevole Gonella, ebbe a dire, a coloro che gridavano «Giù le mani dalla Costituzione!», che la Costituzione non è il Corano, ossia un libro sacro che va portato in processione e mostrato in pubblico.
Avevamo approvato una riforma costituzionale che prevedeva una riduzione del numero dei parlamentari già a partire dal 2011. A tale proposito, vi fu allora un movimento di popolo. A quelle persone che gridavano «Giù le mani dalla Costituzione!» ricordo le parole dell'onorevole Gonella: la Costituzione non è il Corano! Gonella pronunciò quelle parole perché alcune scelte, effettuate da quell'Assemblea, che era nata dal fascismo, non furono felici. Mi riferisco proprio a quella, riguardante il Parlamento, di un bicameralismo paritario e ripetitivo. È stata sbagliata, a mio avviso, la scelta di affidare alle Commissioni di merito la potestà legislativa. Ciò ha creato, negli anni, un assemblearismo che non era presente in nessun Paese d'Europa e che ha generato leggi, leggine e leggi-provvedimento che hanno causato una dilatazione della spesa pubblica.
L'onorevole Cirino Pomicino, nel suo intervento in quest'aula, difendendo il Parlamento e indicando una strada per velocizzare i lavori parlamentari, ci ha consigliato di utilizzare maggiormente la sede redigente delle Commissioni. L'onorevole Cirino Pomicino, però, ha omesso di affermare che la follia legislativa di quegli anni - nei quali egli stesso faceva il grande «elemosiniere», come presidente della Commissione bilancio - ha generato uno spaventoso debito pubblico, che pesa come un macigno sul futuro degli italiani. Se oggi i nostri giovani mangiano pane e cipolla - perché mancano le risorse - lo dobbiamo alla follia legislativa di quegli anni, a quei Governi di solidarietà nazionale che hanno creato, lo ripeto, uno spaventoso debito pubblico. Ritengo che l'onorevole Cirino Pomicino sia responsabile anche di questo.
Mi chiedo perché quelle persone che ci accusavano di sacrilegio per aver modificato la Costituzione oggi chiedano la nostra collaborazione su una riforma che è peggiore della nostra, la quale prevedeva il Senato federale e la riduzione del numero dei parlamentari già dal 2011. L'elezione indiretta dei senatori - che sarebbero eletti dai rispettivi consigli regionali al proprio interno e dal consiglio delle autonomie locali - presenta un limite: i senatori e i consiglieri regionali dovrebbero prender parte ai consigli regionali. In questo modo, però, si alimenterebbe l'assenteismo degli eletti.
Il Parlamento, se guardate il tabellone, già funziona con cento parlamentari in meno. La riforma in esame riduce il Senato a una Camera consultiva. Ritengo, pertanto, che questa offerta di collaborazione nasconda qualche trappola, come quella di prolungare la vita del Governo, magari fino al 2010. Se si dovesse votare in anticipo, la Camera verrebbe eletta con il nuovo sistema e il Senato sarebbe invece eletto dagli attuali consigli regionali, che sono tutti di sinistra; avremmo, quindi, una maggioranza diversa alla Camera e al Senato e saremmo alle solite.
In conclusione, si è affermato che le buone leggi fanno i buoni governanti. Questa in esame non è una buona proposta di legge e non contribuirà al buon governo del Paese. Esprimerò, pertanto, su di essa il mio voto contrario.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, mi ero iscritto a parlare sull'articolo 2, ma dopo che fossero esauriti il dibattito e le votazioni sull'articolo 1. La situazione che si è determinata adesso è nuova; quindi, rinuncio ad intervenire in questa fase.
PRESIDENTE. Sta bene.Pag. 26
Ha chiesto di parlare il deputato Jannone. Ne ha facoltà.
GIORGIO JANNONE. Devo dire che seguire i lavori in questo modo non è semplicissimo, visto anche il tema delicato di cui ci stiamo occupando.
Della necessità di modificare la Costituzione si parla ormai da circa venti anni. Si tratta di una Costituzione che ha sessanta anni di storia, essendo stata approvata il 22 dicembre del 1947, e ciò significa effettivamente che ormai si avverte l'esigenza di modificarla. D'altra parte, le procedure previste per le modifiche alla Carta costituzionale sono estremamente complesse, poiché si tratta di una Costituzione rigida. Proprio la difficoltà di queste procedure, avrebbe dovuto portare il centrosinistra a esaminare l'importanza dell'occasione che è sfuggita nella precedente legislatura.
Riproporre di modificare la Carta costituzionale in queste condizioni, quando tutti rileviamo, già dai lavori e dagli interventi svolti sul complesso degli emendamenti, un'assoluta discrasia tra maggioranza e opposizione, continue schermaglie procedurali che non consentono di procedere con i lavori, tesi e antitesi che si contrappongono persino tra i relatori di maggioranza, dovrebbe fare emergere, in modo estremamente semplice e chiaro, la consapevolezza che non si possa procedere in maniera concreta in questo modo.
Stiamo esaminando il tema della riduzione dei parlamentari, che è certamente venuto in rilievo a seguito delle note polemiche dell'antipolitica e della volontà, espressa da più parti, di ridurre i costi della politica. Sta di fatto, però, che stiamo analizzando il tema della riduzione dei parlamentari senza nemmeno sapere bene che cosa essi dovranno fare, perché, signor Presidente, onorevoli colleghi, come ho fatto rilevare precedentemente, abbiamo in sostanza saltato questioni fondamentali relative al ruolo che avranno il Senato e la Camera a seguito di questa riduzione. Di conseguenza, non sappiamo bene di che cosa dovranno occuparsi i deputati e i senatori, perché abbiamo stralciato argomenti di estrema rilevanza per motivazioni di carattere squisitamente politico.
Queste evidenti contraddizioni portano ad affrontare questo tema, che è rilevante, importante e assolutamente demagogico, con un metodo che non ha alcuna coerenza. Nella scorsa legislatura, questo stesso argomento era stato proposto dalla maggioranza di centrodestra e si pensava che potesse essere condiviso da tutta l'Assemblea e da tutto il Parlamento. Nella scorsa legislatura, siamo arrivati vicinissimi al traguardo. Per volere del centrosinistra vi è stata la bocciatura della riforma costituzionale, in quanto non si è raggiunto il quorum necessario ad evitare il ricorso al referendum. I risultati del referendum, con la volontà ovviamente rispettabilissima del popolo sovrano, hanno portato a ripartire da zero.
Ora ci si chiede come possa essere affrontato utilmente questo argomento da una maggioranza che oggi al Senato non esiste più, quando nella scorsa legislatura, in una occasione unica, con una maggioranza acclarata e notevolissima alla Camera, una maggioranza presente al Senato e un Governo durato tutta la legislatura, per volere del centrosinistra, non si è riusciti a tagliare questo traguardo.
Il clima è evidentemente diverso: non c'è né la sensibilità, né la possibilità politica, né le potenzialità della maggioranza per giungere ad alcuna ipotesi di accordo. Stiamo perseguendo, in un clima surreale, soluzioni tecniche che si contraddicono per mancanza di costruttività e di argomenti.
Anche solo l'iter procedurale - come già evidenziato dal relatore Bocchino e da molti altri colleghi - dimostra e attesta che non vi è alcuna possibilità di procedere con i lavori e, se si procede in questo modo, si crea una confusione che non ha alcuna possibilità di farli proseguire.
È chiaro che il tema che avrebbe dovuto essere affrontato in precedenza, cioè quello del superamento del bicameralismo perfetto, è assolutamente dominante. Se si vuole creare un sistema diverso, un Senato federale o comunque diverso rispetto a quello attuale (cioè un Senato con identici Pag. 27poteri della Camera dei deputati), allora bisogna che questa riforma sia assolutamente antecedente rispetto alla decisione di ridurre il numero dei parlamentari.
Infatti, se è vero che la diminuzione dei parlamentari certamente consente una diminuzione dei costi della politica - tema tanto caro a chi fa demagogia, ma condiviso da tutta l'Assemblea e sicuramente da Forza Italia e dal centrodestra, che l'hanno sostenuto anche nella scorsa legislatura - è altrettanto vero e chiaro che emerga un tema di pari importanza: quello della rappresentanza. In altre parole, bisogna che il numero dei parlamentari sia congruo rispetto alle funzioni e alle definizioni che caratterizzano le due Camere. Non si tratta di un tema secondario: la diminuzione di un numero così consistente di parlamentari, se non dispone di una precisa correlazione con le funzioni svolte dai parlamentari stessi, perde significato e diventa assolutamente pericolosa.
Infatti, se è vero che tutta la grande ondata di antipolitica, anche in parte demagogica, porta anche a logiche coerenti con il nostro volere politico - mi riferisco alla diminuzione del numero dei parlamentari - è anche vero che una delle lamentele più energiche degli stessi sostenitori della riduzione dei parlamentari riguarda la stretta correlazione tra territorio e rappresentanti in Parlamento. Dunque il rischio è che, se il numero non è congruo e se le funzioni non sono ben definite, la semplice riduzione del numero possa portare, paradossalmente, ad un allontanamento dal territorio; esattamente ciò - per citare qualcuno - che Beppe Grillo non vuole. Quando Grillo lamenta una lontananza dei parlamentari dal territorio, cita proprio il criterio della rappresentanza, che ha una funzione estremamente rilevante nel numero e nelle funzioni.
Voi, come maggioranza, avete saltato completamente gli argomenti riguardanti le funzioni e la definizione dei ruoli delle due Camere. Non sappiamo, in questo momento, cosa sarà il Senato: se sarà un Senato federale, se avrà un altro nome o quali funzioni svolgerà. Voi volete occuparvi direttamente del numero, con il gravissimo rischio che il criterio della rappresentanza democratica, fondamentale in uno Stato democratico, possa perdere significato.
È vero che il sistema bicamerale oggi è superato; è vero che il bicameralismo perfetto vigente in Italia crea evidenti problemi di tempistica e di possibilità di risoluzione dei problemi; è vero che questo sistema, così come esiste in Italia, non ha nei medesimi termini alcun altro termine di paragone, ad eccetto della recentissima Costituzione della Romania del 1991, che ha ripreso tale e quale il nostro sistema di bicameralismo perfetto. È anche vero però che mettere mano, oggi, semplicemente sul numero dei parlamentari, senza affrontare gli altri temi inerenti e conseguenti e senza comprendere che la Carta costituzionale è stata approvata nel 1947 come un unicum - attraverso lavori estremamente complessi, nel corso dei quali non si saltava mai di articolo in articolo, e che affrontavano tale tematica nel suo insieme - rappresenta un modo di procedere incoerente e assolutamente non costruttivo.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 16,05)
GIORGIO JANNONE. Precedentemente il presidente Violante ha affermato che occorre procedere con i numeri in sequenza (uno, due, tre, quattro e così via), in coerenza con la sequenza dei lavori svolti dai padri costituenti all'epoca della stesura della Costituzione. Sarebbe bene andarsi a rivedere quei lavori, per rendersi conto che la sequenza numerica non è certamente la sequenza dei lavori. Si era discusso con un'altra metodologia e certamente in un altro clima, un clima postbellico, ma con la volontà di costruire una Carta costituzionale di insieme, che aveva un significato preciso e che oggi cerchiamo di modificare - o meglio, che voi volete modificare - con una metodologia che, oltre a non essere corretta, rischia anche di creare una serie di discrasie e di Pag. 28incoerenze di cui, certamente, non possiamo essere orgogliosi.
Chiediamo poi che il tema della riduzione numerica dei parlamentari - che certamente ci vede concordi, perché già lo eravamo nella scorsa legislatura, tanto che siamo arrivati, come ho ricordato, a pochissima distanza dal traguardo, che non è stato raggiunto a causa del vostro voto contrario - sia affrontato in modo serio, perché non vi è solo la questione della differenza di funzioni tra le due Camere, ma vi è anche il tema, estremamente rilevante, della rappresentanza degli eletti all'estero.
Anche questo tema deve coerentemente essere trattato nell'ambito della discussione dell'articolo 2 mentre è assolutamente improprio affrontarlo in questo modo. Se non sappiamo bene cosa dovranno fare né i parlamentari eletti nel nostro Paese né quelli eletti nella circoscrizione Estero, dato che non ne conosciamo ancora le funzioni, come possiamo determinarne al meglio il numero e il criterio della rappresentanza, che - lo ripeto - è fondamentale? Occorrerebbe, quindi, Presidente, rivedere questi lavori secondo un criterio di coerenza: non è stato fatto oggi, è stata scelta una procedura certamente non corretta con modalità e in un contesto che tutti sappiamo non essere produttivi. Vi è nel Paese un clima che non è sereno, con la maggioranza che spesso viene meno al Senato, come dimostrano ormai numerose votazioni. Tutto ciò rende del tutto non produttiva e incoerente questa volontà di modificare la Carta costituzionale: nessuno, dunque, faccia riferimento a quanto avevano fatto i padri costituenti nel 1947 quando il contesto era assolutamente diverso e certamente non paragonabile con l'attuale.
Tornando poi ad una tematica di ordine tecnico, occorre che siano ben valutate le norme transitorie che devono accompagnare un'eventuale riduzione dei parlamentari. Pur trattandosi, infatti, di una finalità condivisibile e condivisa da tutti noi - lo abbiamo detto più volte -, tuttavia se sull'onda della demagogia si perviene sic et simpliciter alla riduzione del numero dei parlamentari senza prevedere norme transitorie adeguate il Paese non avrà quel giovamento di cui si parla propagandisticamente, ma semplicemente si confonderanno i temi e certamente ne potrà risentire il criterio fondamentale della rappresentanza democratica che è alla base di ogni sistema appunto democratico.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Lussana. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, come ho già avuto modo di evidenziare in sede di discussione sulle linee generali la Camera riprende ad affrontare il tema importantissimo delle riforme e dell'architettura della nostra Costituzione; tema che ci ha impegnato lungamente e in modo approfondito nella passata legislatura. Riforme istituzionali come quelle del federalismo, dello snellimento dell'iter di approvazione delle leggi e delle creazione, finalmente, di una seconda Camera che sia rappresentativa delle autonomie locali e delle regioni sono temi fortemente sentiti e che la Lega Nord ha avuto a cuore e ha posto come centrali nella passata legislatura, dapprima nel programma di Governo e poi in tutta l'azione di Governo.
Ebbene, si riprende la discussione sulle riforme costituzionali dopo - lo sottolineo con grande rammarico - aver perso anche troppo tempo. Adesso la maggioranza, una maggioranza fortemente in crisi - soprattutto al Senato, dove non possiede i numeri per andare avanti - pone di nuovo come fondamentale la questione delle riforme istituzionali e chiede alla maggioranza di allora, l'attuale opposizione, di collaborare per l'interesse e il bene del Paese. Responsabilmente noi, come Lega Nord, come forza che ha particolarmente a cuore queste riforme, non ci siamo sottratti al dialogo ma non possiamo, purtroppo, mancare di evidenziare come questa maggioranza faccia, del tentativo di riformare un'architettura costituzionale non più rispondente alle esigenze del Paese, un modo per prolungare la propria Pag. 29sopravvivenza. Adesso ci chiedete di collaborare mentre nei cinque anni di Governo della Casa delle libertà avete rifiutato il dialogo su tutto. Per quanto riguarda le riforme costituzionali il vostro è stato sempre un «no» continuo, non vi siete mai voluti confrontare su determinati temi, non l'avete fatto in Assemblea e non l'avete fatto neanche nel Paese dove avete invece sostenuto una campagna referendaria raccontando delle menzogne e facendo perdere, appunto, anni preziosi.
La riforma che contemplava la devolution era una buona riforma; sicuramente perfettibile, la si è invece voluta cassare completamente e adesso si riparte con questi tentativi di dialogo. Però, è evidente la legitima suspicione che tutto ciò rappresenti un tentativo di prolungare l'attività di un Governo ormai già morto e non più in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini, alle esigenze concrete delle famiglie e delle imprese del Paese che vi chiedono di andare a casa.
Comunque, come sempre abbiamo fatto in modo responsabile, noi non ci siamo sottratti al dialogo. Evidenziamo, in questo tentativo di riprendere il dialogo sulle riforme, che vi è sicuramente qualche luce ma anche tante, tantissime ombre che si riscontrano anche nella discussione di questo pomeriggio. Nell'affrontare un tema così fondamentale - adesso siete diventati tutti federalisti e avete a cuore il bene del Paese! - non si parte dall'articolo 1 del testo in esame, che è fondamentale e che prevede, appunto, l'istituzione del Senato federale. Si tratta di un tema ampiamente dibattuto nella passata legislatura, che adesso ci viene presentato con caratteristiche che possono sicuramente meritare un'attenzione positiva. Si discute di un Senato di secondo grado, sulla falsariga di quello che è il Bundesrat in Germania, un Senato al quale apparentemente vengono conferiti poteri e funzioni, i quali però, per come sono strutturati l'iter, alla fine, dell'attività legislativa e i rapporti tra Camera e Senato, risultano fortemente limitati.
Avremo modo di affrontare l'argomento nel prosieguo della discussione, ma non si può parlare di un Senato federale, che sia veramente rappresentativo delle autonomie delle regioni, se poi si conferisce alla Camera, cioè ad un organo con una maggioranza politica, il potere di intaccare e di cambiare le decisioni assunte dal Senato federale. A tal proposito mi riferisco al quorum che avete previsto: noi abbiamo presentato degli emendamenti con i quali si chiede di alzare questo quorum ai tre quinti, e quindi di non lasciare il tutto affidato ad una maggioranza politica, con la possibilità di vanificare la funzione e i poteri del Senato.
Abbiamo avuto modo di evidenziare come anche questo tentativo di ripartire con le riforme sia qualcosa di per sé monco in partenza perché nel testo in esame manca la parte fondamentale relativa alla revisione dell'articolo 117 della Costituzione, ovverosia l'articolo che stabilisce il riparto di competenze tra Stato e regioni, che è stato motivo negli ultimi anni di numerosi conflitti di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale. Si tratta di quei conflitti di attribuzione che fanno gridare i detrattori del federalismo: «Guardate, il federalismo costa!».
Ma non è così. Il federalismo non costa, semmai costa il pasticcio di federalismo, ovverosia il federalismo confuso, in cui non è spiegato a chiare lettere - è una materia in cui bisogna davvero fare chiarezza - quali siano le competenze dello Stato e quelle delle regioni.
Dunque in questa sede stiamo discutendo senza «toccare» il tema dell'articolo 117.
Certo, adesso - è quanto afferma il presidente Violante - ripartirà la discussione di tale argomento attraverso un provvedimento autonomo. Ma che senso ha?
Se volete veramente fare una cosa seria, è questa la sede opportuna per affrontare questa delicatissima materia, che comunque rappresenta il cuore della riforma costituzionale che si vuole portare avanti. Allora - ripeto - l'attuale discussione nasce monca in partenza; peraltro adesso, accantonato l'articolo 1 del provvedimento, affrontiamo la discussione delPag. 30l'articolo 2, quello sulla riduzione dei parlamentari. Si discute della Camera dei deputati, e tale argomento lascia comunque aperte alcune questioni. Intendo affrontarne una in particolare: non si parla più di senatori a vita, ma, comunque di deputati che verranno nominati dal Presidente dalla Repubblica e di deputati di diritto in quanto ex Presidenti della Repubblica.
Considerato quanto è successo al Senato, dove vi è una maggioranza che va avanti grazie ai voti di senatori a vita, come Scalfaro, Ciampi e Rita Levi Montalcini, noi chiediamo che a questi deputati, nominati e non eletti, non sia dato diritto di voto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Fitto. Ne ha facoltà.
RAFFAELE FITTO. Signor Presidente, ritengo che la discussione attuale, che poteva avere un senso e poteva costituire una grande opportunità, considerato il tema in esame, abbia perso completamente di contenuto ma anche di tensione dal punto di vista politico, per scivolare in una polemica parlamentare che è il modo peggiore per iniziare il dibattito su un argomento simile.
Condivido il giudizio di quanti ritengono che in un momento di difficoltà del Governo si stia intensificando questa discussione nel semplice tentativo di spendere all'esterno il tema della riduzione dei parlamentari per dare un segnale all'opinione pubblica, il che certamente nulla ha a che vedere con l'intero impianto di riforma costituzionale di cui avrebbe bisogno questo Paese.
È importante sottolinearlo; infatti, così come poc'anzi ha osservato la collega Lussana, penso sia utile fare una valutazione che non prescinda da ciò che è accaduto negli ultimi anni in questo Paese: due riforme costituzionali, l'una varata e puntualmente entrata in vigore, l'altra bloccata dal referendum confermativo, che in modo evidente hanno affrontato, pur con alcune lacune, la grande questione della riforma costituzionale.
Non vi è dubbio che oggi non possiamo immaginare di calendarizzare una riforma costituzionale con questa fretta, senza che ci sia un quadro chiaro di riferimento ma soprattutto in un contesto nel quale non si affrontano i nodi reali che esistono in questo Paese e che in questi anni hanno prodotto situazioni di paralisi e di contrapposizione tra i livelli istituzionali; nodi la cui soluzione certamente non può essere rinviata.
Sinceramente non comprendo il senso delle dichiarazioni di chi oggi sostiene la necessità di varare la riforma in discussione, salvo poi affrontare successivamente altre modifiche a partire da quella che ritengo essenziale, vale a dire la riforma dell'articolo 117 della Costituzione. Quest'ultimo punto, infatti, non solamente definirebbe chiaramente il riparto delle competenze tra i diversi livelli territoriali ma avrebbe anche la funzione di snellire il rapporto tra le istituzioni: è la questione centrale sulla quale proprio la riforma varata dal centrodestra nella scorsa legislatura aveva avuto il merito di intervenire, cercando di superare il livello di contrasto emerso in modo sempre più chiaro da parte dei diversi livelli dello Stato e infrastatuali.
La riforma varata nel 2001 e che oggi è in vigore, ha elevato al massimo, con una percentuale che non ha confronti nel passato, il livello di conflittualità tra lo Stato ed i diversi livelli infrastatuali, in particolare tra regioni e Governo, specie con riferimento a molte leggi varate a livello regionale e impugnate dallo Stato e a molte leggi dello Stato impugnate, invece, dalle regioni.
Tutto questo non è solamente un esercizio di contrasto e scontro tra i diversi livelli istituzionali ma comporta, considerati i temi di cui stiamo parlando, anche una paralisi dell'intero sistema istituzionale. Quando le contrapposizioni vertono sulle grandi opere o in materia di distribuzione di energia o di professioni intellettuali, quando cioè si tratta di questioni che incidono sulla vita quotidiana del nostro Paese, non possiamo non tener conto che oggi vige una Costituzione che, Pag. 31con le sue attuali previsioni, determina grandi difficoltà e che soprattutto non offre soluzioni ma si pone invece come ostacolo nel rapporto con i cittadini.
Cosa potevamo fare oggi, anziché varare questa piccola parte di modifica costituzionale che non serve a nessuno, se non ad una maggioranza che pensa di poter allungare la vita del Governo in questo modo? Facciamo esattamente l'opposto: anziché prendere in considerazione le due riforme costituzionali, quella entrata in vigore e l'altra varata nella scorsa legislatura, e cercare di comprendere come, mettendole a confronto, si possano correggere l'una e l'altra negli aspetti negativi, prendiamo una parte dell'ultima, la modifichiamo e costruiamo un pasticcio che è così evidente da portarci, anche in fase di discussione in quest'Assemblea, a impiegare circa tre ore per rinviare l'esame di questo o di quell'articolo, fuori da un contesto e da un disegno.
Ciò dimostra in modo molto chiaro quale sia il livello di confusione che regna all'interno di questo testo ma, soprattutto, come all'interno di esso non vi sia alcun disegno strategico sui problemi reali, sui quali dovremmo confrontarci.
I problemi reali sono quelli cui facevo riferimento poc'anzi: affrontare, ad esempio, il funzionamento del Senato federale o la sua composizione. Però, se non affrontiamo contemporaneamente o, addirittura, come penso, preliminarmente il tema delle competenze da assegnare a livello regionale e dei rapporti tra i diversi livelli istituzionali, come si può pensare di dare oggi un'organizzazione dal punto di vista costituzionale al funzionamento delle istituzioni superando il bicameralismo perfetto che, com'è evidente, costituisce un assetto ormai non più sostenibile?
In tutto questo, non affrontiamo il nodo della questione, che è quello che regola i rapporti fra i diversi livelli istituzionali. Anche il dibattito riportato sul Corriere della sera nei giorni scorsi mostra come si stia continuando ad evidenziare il rischio per il nostro Paese, di battere, ancora una volta, un record: un'altra riforma costituzionale varata a colpi di maggioranza, che peraltro non possiede l'organicità propria delle due riforme precedenti e, soprattutto, ripete in modo clamoroso gli errori emersi da esse.
Per tale motivo, ritengo che sarebbe opportuno soprassedere a questa discussione e, soprattutto, sarebbe opportuno correggere le precedenti riforme senza voler dar vita necessariamente, per spirito di protagonismo, ad una nuova riforma. La riforma in discussione peraltro rinvierebbe - anche per chiara affermazione del presidente della Commissione e dei relatori - la definizione di questioni importanti ad un'ulteriore discussione. Dove mai si è visto e come possiamo noi pensare che questa discussione possa essere accompagnata, nell'ambito del confronto dei prossimi mesi e dei prossimi anni, anche da elementi che dovrebbero, poi, ulteriormente, integrare tali questioni? Come si può immaginare una riforma della seconda Camera attribuendo ad essa funzioni e procedure totalmente diverse, di confronto e partecipazione dei componenti del Senato federale indicati dai consigli regionali, con una modalità che, sicuramente, ha solo lo scopo - al quale abbiamo fatto riferimento in precedenti molteplici interventi - di far emergere in modo molto chiaro l'obiettivo della riduzione dei parlamentari? Analogamente deve dirsi per quanto riguarda l'organizzazione della votazione in Commissione; in questo Paese, c'è il «mal vezzo» di dare le notizie, di acquisire le notizie stesse e di far finta, poi, che esse diano un segnale chiaro in quella direzione.
Ebbene, noi non abbiamo voluto ridurre i parlamentari, perché questa riforma non potrà andare avanti. Questo Parlamento, infatti, sia alla Camera sia al Senato, non ha i numeri per poter andare avanti e procedere su questo percorso; soprattutto, poi, per dare ossigeno a questo Governo, stiamo rischiando di discutere - come affermavo poco fa - un «pezzo» di riforma costituzionale e, in modo del tutto disorganico rispetto alle grandi questioni che dovremmo affrontare, incanalarlo in un dibattito parlamentare che, a mio modesto avviso, non serve e che Pag. 32soprattutto, qualora il provvedimento dovesse essere realmente approvato nei prossimi mesi, rischierebbe di complicare ulteriormente la situazione e le condizioni di questo Paese.
L'urgenza - e concludo - che doveva essere affrontata, caro presidente Violante, era quella relativa alla modifica dell'articolo 117 della Costituzione. Lo affermo da ex amministratore regionale: il livello di conflittualità e di caos che è stato determinato dalla riforma del Titolo V della Costituzione - e che, sicuramente, ha costituito e costituisce un «blocco» nel nostro Paese sui grandi temi e sulle grandi questioni - rappresenta il vulnus principale che doveva essere affrontato come punto centrale di una riforma costituzionale.
Vorrei archiviare, mettere da parte, rinviare, aggiornare questo aspetto, perché ritengo che indebolisca totalmente l'impianto, già debole di per sé, del merito di questa modifica costituzionale. Essa non è assolutamente condivisibile dal punto di vista metodologico, ma - come ho poc'anzi spiegato, anche dal punto di vista del merito - ha gravi carenze che non possono essere valutate con i tempi e il dibattito di una legge ordinaria. Ritengo che sulla riforma costituzionale vi sia bisogno di un approccio differente.
Temo, tuttavia - e concludo così come ho iniziato - che questa legislatura stia portando (o punti a portare) avanti una riforma costituzionale che è espressione di equilibri molto fragili di una parte politica, che mette insieme sensibilità diverse pur di raggiungere una maggioranza su questo provvedimento, ma che non ha nulla di organico, non affronta le grandi questioni di cui questo Paese avrebbe fortemente bisogno né fornisce una risposta chiara.
Per questi motivi, non c'è dubbio che, in tale direzione, il nostro voto non può che essere contrario (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Murgia. Ne ha facoltà.
BRUNO MURGIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in sede di discussione sulle linee generali era già stato detto, con molta chiarezza, che tale provvedimento pur essendo importante, aveva l'aria di essere una sorta di escamotage con il quale la maggioranza di centrosinistra stesse cercando di occupare il tempo in attesa che la finanziaria, dopo l'esame al Senato, venisse inviata alla Camera.
I temi sono fondamentali e a nostro giudizio, si tratta sicuramente di una occasione perduta, perché ci sembra che il provvedimento in discussione in realtà sia una «scopiazzatura» abbastanza scadente di tutto il grande lavoro che il centrodestra ha portato avanti nella scorsa legislatura. Vi sono norme che appaiono come pallide fotocopie. Si tratta di un passo indietro. Inoltre, vi è un altro aspetto politico semplice, chiaro e lampante: la maggioranza non ha né la capacità di aprire un confronto serio e costruttivo sulle riforme, né la forza di approvare una modifica di tale importanza. Avrebbe potuto avere un senso ma, oggi, rappresenta soltanto un'occasione perduta.
Siamo certamente favorevoli a quanto previsto dall'articolo in esame sulla riduzione dei parlamentari. Tuttavia, quello che emerge e costituisce un altro aspetto da sottolineare è che quello che il centrosinistra propone sembra quasi essere una risposta al clima di antipolitica che pervade il Paese: cercare di curare la difficoltà mediatica facendo cose concrete.
Ci siamo già schierati contro il bicameralismo. Anche la giornata di oggi - questa confusione, il continuo portare avanti i temi per poi cercare di fermarli e rinviarli - la dice lunga sull'incapacità del Parlamento di essere concreto, chiaro e di fare le cose per bene.
Oggi il Parlamento non è nelle condizioni di essere operativo. Ci accorgiamo come si tratti quasi di una «rimasticazione», di un «palleggio» del discorso politico. È stato detto anche in precedenza - e concordo - che oggi saremmo dovuti arrivare a rivedere e discutere l'articolo 117 della Costituzione, perché abbiamo bisogno di uno snellimento nel rapporto Pag. 33tra i diversi livelli istituzionali, data la conflittualità molto dura tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, i quali, come vedremo durante la discussione del disegno di legge finanziaria, hanno pochi fondi e poche risorse al proprio attivo.
La nostra proposta è di rinviare non un solo articolo, bensì tutto il testo, fermarlo e aspettare tempi sicuramente migliori. Abbiamo anche espresso un parere e siamo, tutto sommato, interessati alla costruzione di un Senato federale. Tuttavia, vorremmo comprendere meglio, e per questo motivo non siamo d'accordo con il provvedimento in discussione, come il Senato dovrà essere eletto, quali funzioni, rapporti e capacità concrete abbia per fare le cose. Dobbiamo sicuramente rispettare l'autonomia.
ITALO BOCCHINO. Bravo!
IGNAZIO LA RUSSA. Bravo!
PRESIDENTE. Colleghi che succede?
ITALO BOCCHINO. Un momento di entusiasmo.
PRESIDENTE. Vi invito, tuttavia, a non voltare le spalle alla Presidenza.
BRUNO MURGIA. Dobbiamo equilibrare il rispetto e l'autonomia dei territori con la centralità dello Stato e la sua capacità di emanare le grandi leggi e dettare gli indirizzi della vita della comunità.
Il nostro voto di astensione, come abbiamo già detto anche altre volte, discende dal fatto che l'interesse nazionale non emerge chiaramente nel provvedimento in esame. Dobbiamo quindi valutare ancora meglio le competenze del Senato federale, e cercare di mettere in equilibrio quanto avviene nei singoli territori.
Vi sono tanti temi ancora aperti, come la TAV, le grandi opere di infrastrutturazione e il provvedimento, che viene portato avanti in un clima di grande difficoltà politica, con una maggioranza che noi riteniamo morta, dovrebbe essere ritirato e lasciato a tempi migliori.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Biancofiore. Ne ha facoltà.
MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la riforma costituzionale che una maggioranza sull'orlo del declino ha predisposto nel goffo tentativo di procrastinare una legislatura che volge a schizofrenica conclusione, non è seria né nel merito né nel metodo utilizzato, tanto da ottenere anche la dissociazione di uno dei partiti fondamentali della coalizione, il partito dei Comunisti Italiani, e l'astensione totale dei partiti di opposizione.
Ma il non plus ultra demagogico lo raggiunge proprio con la predisposizione dell'articolo 2, sulla riduzione dei parlamentari. Tentare infatti di approntare una riforma costituzionale alla fine di una stagione politica memorabile per negatività, è non solo scarsamente etico ma anche dannoso per la credibilità delle istituzioni, messe già a dura prova da un Governo incapace ed inadatto a governare, che ha «inspirato» l'ansia di rinnovamento della politica che esala dal Paese. È un'ansia che il futuro Governo Berlusconi intende raccogliere attraverso una stagione di riforme serie e condivise dalla maggioranza dei cittadini italiani, riforme già varate nella scorsa legislatura e che a causa della faziosità della maggioranza di sinistra sono state scientificamente smembrate, sezionate, proprio a partire dall'ampia riforma in senso federale dello Stato approvata in maniera compatta dalla maggioranza assoluta dello scorso Parlamento e sottoposta a referendum popolare.
Le stesse forze che oggi ripresentano questa strumentale riforma atta a dimostrare un'efficienza inesistente del Governo Prodi hanno posto in essere una campagna propagandistica indecente per affossare quella vera riforma costituzionale, che declinava in maniera corretta il termine federalismo e che già dimezzava il numero dei parlamentari e dava vita al Pag. 34Senato federale, ma soprattutto riportava responsabilmente in campo allo Stato competenze alle quali nessuna nazione può rinunciare: strade, ferrovie, energia, insomma le grandi reti infrastrutturali. Basti viceversa pensare che, sempre per clientelismo e necessità di sopravvivenza, il vostro Governo ha svenduto circa il 30 per cento dell'energia alle amministrazioni locali, fomentando il senso di disparità che attanaglia il sistema regionale del Paese e che sta dando vita all'increscioso fenomeno dei referendum disgregrativi dei confini regionali previsti dalla nostra Costituzione.
Per voi del centrosinistra, infatti, federalismo è sinonimo di clientelismo regionale, nel quale siete maestri, governando senza ricambio politico-istituzionale ininterrottamente ben sei regioni del centronord: microsecessioni, e dunque creazione di piccole patrie che divengono veri e propri Stati nello Stato, lontani dai principi di quell'Europa dei popoli il cui cardine è l'ideale di sussidiarietà. Non è un caso che con l'approvazione frettolosa e non ponderata della riforma del Titolo V da parte di un centrosinistra, giunto anche in quel caso al capolinea nel 2001, con soli tre voti di maggioranza, si è ingenerato nel Paese un conflitto interistituzionale che non conosce pari in Europa, e che ha ingolfato la Corte costituzionale di ricorsi tra lo Stato e le regioni e province autonome.
Questo è tanto più grave, peraltro, in un Paese che storicamente ha avuto difficoltà nel riconoscersi unito in una patria. Federalismo, infatti, al contrario di quello che vuol far credere la sinistra, viene dal verbo latino foedero, che significa unire, non dividere, e il potere appartiene al popolo che lo esercita attraverso le istituzioni locali scelte per via diretta.
Si tratta dunque di unire una patria, ma secondo quei cardini federali che comportano, innanzitutto, una relativa riforma della pubblica amministrazione della quale nel provvedimento al nostro esame non vi è traccia, come non vi è traccia del presidenzialismo, della sfiducia costruttiva, della norma «antiribaltone» ed anche delle competenze effettive del Senato federale.
Mi unisco, pertanto, alle recenti parole del professor Giovanni Sartori: come già in passato questo centrosinistra - aggiungo io - svende il Paese per trenta denari (ed ha ragione che con una declinazione scorretta si aumentano vertiginosamente i costi di una politica già oggetto del montare dello scontento da parte dei cittadini).
Il federalismo del centrosinistra non snellisce l'apparato dello Stato, ma centralizza, burocratizza gli apparati locali. Basti pensare che in alcune realtà esemplari - federaliste o autonomiste che dir si voglia - l'accentramento burocratico ed il relativo condizionamento palese sono tali che si arriva ad avere circa 44 mila dipendenti pubblici su 400 mila abitanti, quando la regione Lombardia, amministrata dal centrodestra, ne ha appena tremila.
A ciò va aggiunto il paradosso che non vi è stato per lo più - con la riforma federale del Titolo V - alcun passaggio di competenze dalle regioni e province autonome agli enti istituzionali più vicini ai cittadini, cioè province e comuni, tradendo con ciò l'obiettivo primario del federalismo, cioè quello di avvicinare quanto più possibile il cittadino alle istituzioni, ponendo dunque la pubblica amministrazione (una pubblica amministrazione orientata ai principi di trasparenza, imparzialità e legalità) al servizio del popolo amministrato.
Il federalismo deve, quindi, condurre all'obiettivo di sgombrare il campo da leggi complicate e poco comprensibili, da regolamenti e procedure che servono soltanto agli apparati burocratici per consolidare il loro potere verso i cittadini.
Il sistema italiano è un sistema in cui tutto è vietato, salvo ciò che è espressamente consentito: i nostri valori di libertà, che si sposano ad un corretto principio di federalismo, ci impongono di ribaltare questo criterio, stabilendo finalmente che ogni attività del privato è consentita, salvo quelle che nell'interesse superiore della Pag. 35collettività sono espressamente vietate. Con un corretto federalismo nessun cittadino, ad ogni livello istituzionale, dovrà più sentirsi suddito; al contrario, dovrà essere protagonista, libero da condizionamenti, ricatti e paure nei confronti certamente dello Stato, ma anche degli enti istituzionali derivati, ancora più pericolosi se non vi è una declinazione corretta del federalismo, in quanto nel piccolo i condizionamenti si fanno più pesanti, il controllo più assiduo e soffocante, e gli sprechi si moltiplicano.
Non è un caso che nella nazione europea federale per eccellenza, la Germania, grandi landër come la Sassonia, l'Alta Sassonia e la Turingia hanno deciso di riunificarsi in un'unica regione (in un'unica macroregione), per porre fine al moltiplicarsi delle spese e degli apparati. Ciò accade in un federalismo maturo come quello tedesco, che si accompagna anche al federalismo fiscale.
In Italia, viceversa, assistiamo ad autonomismi eccessivi che vivono sul paradosso delle più ampie competenze foraggiate dagli ingentissimi trasferimenti statali, ovvero il contrario del federalismo. Ed è, dunque, facile amministrare ampie competenze essendo di fatto ricchi dipendenti dello Stato, invece che imprenditori che si debbono procacciare mezzi per amministrare le competenze relative.
Venendo nel dettaglio più stridente del «progettino» costituzionale in questione, ciò che emerge con forza è la complicazione ulteriore del testo costituzionale, che dovrebbe essere per antonomasia snello, specie per quanto riguarda le modalità di elezione del Senato federale, dove viene meno uno dei cardini costituzionali a me personalmente più caro, ovvero il suffragio universale, grande conquista delle democrazie.
Non si tratta di una «cosetta» da nulla, visto che il federalismo si accompagna necessariamente con quello che viene definito il voto fiscale, cioè l'elezione diretta da parte dei cittadini dei loro rappresentanti, e di conseguenza con l'introduzione del principio in base al quale il cittadino paga le tasse, elegge i suoi rappresentanti più prossimi e, quindi, valuta il modo in cui le maggioranze esercitano il loro mandato.
Solo così si realizza un rapporto di verifica continua e diretta da parte dei cittadini, che garantisce la trasparenza e che può tornare utile anche agli amministratori o ai rappresentanti politici, e che con una riforma siffatta viene totalmente meno.
In ultimo, vi è da sottolineare una delle tante specificità della mia terra - l'Alto Adige o provincia autonoma di Bolzano che dir si voglia -, che ancora una volta nel testo costituzionale in discussione non viene garantita per quanto attiene la minoranza territoriale, ovvero quella del gruppo linguistico italiano.
In Commissione avevo presentato un emendamento all'articolo 57 della Costituzione, che fissava il principio generale, come dovrebbe essere in un testo costituzionale, della garanzia di elezione di almeno un senatore appartenente al gruppo linguistico italiano in Alto Adige.
Tale proposta era già prevista dalla misura 111 del pacchetto di legge per le popolazioni altoatesine che ha rango costituzionale e che è stata, ad opera degli interessi del centrosinistra italiano e altoatesino, nelle ultime due elezioni politiche, completamente disattesa con un aggiramento strategico che ha portato il centrosinistra alla desistenza con il partito di maggioranza etnica locale e dunque all'elezione anche del terzo senatore di lingua tedesca.
Con apposita norma di attuazione, nel 1992, l'ex Presidente della Repubblica Ciampi, all'epoca dei fatti Presidente del Consiglio, varò un provvedimento sulla base della misura 111 che ridisegnava i confini del collegio elettorale Bolzano-Bassa Atesina, attribuendo in base alla proporzionale linguistica il seggio uninominale al gruppo linguistico italiano. Di questa necessità, sostenuta costituzionalmente, nel testo oggetto oggi della lettura dell'Assemblea non vi è traccia e il mio emendamento è stato bocciato, sempre per motivi legati al familismo politico e alla Pag. 36sopravvivenza stessa di un Governo in agonia e caratterizzato dalla logica del ricatto.
Concludendo, dunque, do ragione al professor Sartori. Un federalismo siffatto, figlio non di convinzioni nel centrosinistra ma di antiche rincorse ai programmi e soprattutto alle idee della Casa delle libertà, che fomenta la paralisi burocratica e le distorsioni clientelari, non va attuato ma disattivato e il professor Sartori non è certamente l'unico a pensarlo, ma nemmeno più a dirlo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Allasia. Ne ha facoltà.
STEFANO ALLASIA. Signor Presidente, in ordine al provvedimento in esame vi è un'assoluta confusione mentale da parte della maggioranza. Da un lato, salta da un articolo all'altro, in modo tale da ingenerare confusione, non tanto per gli addetti ai lavori, ma per il pubblico esterno che non comprende cosa stia avvenendo e, dall'altra, contingenta i tempi e fa apparire che vogliate correre ai ripari dopo i disastri elettorali, affrettandovi ad approvare questa «pseudoriforma» costituzionale il più rapidamente possibile, quasi che abbiate paura di non mangiare il panettone.
Iniziando l'esame dal testo, sicuramente si tratta di un provvedimento confuso perché non si parla assolutamente di riforme. Era molto più chiaro, a mio avviso e secondo la Lega, scrivere un bel testo sulle riforme costituzionali ma forse la vostra maggioranza aveva qualche problema. Da parte nostra sicuramente vi sarà un possibile appoggio per questa «pseudoriforma» costituzionale. Infatti, chi è contrario alla riduzione del numero dei deputati da 630 a 500? Siamo stati ben felici di approvare nel 2005 una riforma costituzionale analoga, dove si prevedeva una forte riduzione del numero dei deputati e dei senatori. Chi è contrario alla riduzione dell'età per l'elettorato passivo prevista in 18 anni per la Camera dei deputati? Chi è contrario alla riforma del bicameralismo perfetto, al rafforzamento del Governo in Parlamento, alla riforma della decretazione d'urgenza, alla revisione della forma di Governo e chi è contrario (arrivando alla previsione interessante per la Lega) alla nuova composizione del Senato federale ispirato ad un modello simile, ma con rilevanti differenze, al Bundesrat tedesco, con una rilevante impronta federalista e perciò con una decisa impronta di Senato federale.
Siamo assolutamente favorevoli a tutte queste proposte e lo abbiamo già preannunciato nella passata legislatura con una riforma costituzionale sfortunatamente bocciata da un referendum che tutti ricordiamo. Tuttavia, occorre cominciare da una citazione di Gianfranco Miglio, uno dei padri del federalismo in Italia, che affermava che federalismo significa stare con chi si vuole e con chi ci vuole.
In pratica, si afferma che alla base del federalismo vi è il principio di autodeterminazione dei popoli, per cui un popolo, una regione, una comunità decide di stare con chi vuole e può stare con un'altra comunità solo se essa lo vuole. È questo il principio cardine che Gianfranco Miglio attribuiva al federalismo. Partendo da tale principio, il tipo di federalismo indicato dal testo unificato delle proposte di legge costituzionale in esame è logicamente un federalismo «all'acqua di rose». Tornando alla proposta del 2005, alla riforma della Casa delle libertà - un'occasione sprecata per il Paese - essa poteva rappresentare il modo per arrivare ad un federalismo veramente compiuto e ad un federalismo fiscale, attribuendo responsabilità amministrative ed economiche alle regioni ed agli enti locali. Tuttavia, i partiti del centrosinistra e quella parte del Paese che non vuole le riforme si sono messi contro. Abbiamo perso un'occasione, forse l'ultima che il Paese aveva, per provare ad autoriformarsi. Chi oggi viene in quest'Aula a proporre questa riforma deve prima assumersi le responsabilità politiche verso il Paese per non aver fatto passare la predetta riforma, che sul federalismo era molto più ampia e compiuta rispetto al testo che stiamo discutendo e che in Pag. 37seguito affronteremo nel merito. Vediamo certo con favore tale aspetto della riforma perché, trattandosi di federalismo, la Lega Nord non può che vedere in modo positivo la forma del provvedimento. Tuttavia, quando ne verifichiamo la sostanza abbiamo molti dubbi. Si parte, infatti, dalla riforma del Titolo V della Costituzione realizzata dal centrosinistra nel 2001 che ha creato una sorta di ingorgo costituzionale, per quanto riguarda il riparto di competenze tra Stato e regioni. La competenza legislativa concorrente, così com'era stata pensata dall'articolo 117 della Costituzione, ha creato un ingorgo in tema di riparto di attribuzioni per materia, per cui ancora oggi è oggettivamente problematico cercare di dirimere le relative controversie.
La riforma della Casa delle libertà cercava di rimuovere, seppur parzialmente, i predetti limiti perché, attribuendo alle regioni la competenza esclusiva per quanto riguarda la scuola, la sanità e la polizia locale, si cominciava a conferire attribuzioni importanti, non «acqua fresca». Sappiamo, infatti, che la sanità e la scuola costituiscono competenze rilevanti e che in seguito si sarebbe ottenuta la gestione finanziaria relativa a tali materie. Ed è in tale ambito, in materia sanitaria soprattutto, che si verificano gli sprechi importanti all'interno del nostro Paese. Si trattava di un inizio ed è stato bocciato. Siamo tornati al Titolo V del centrosinistra e siamo ancora di fronte ai problemi di riparto di competenza per quanto riguarda la legislazione concorrente, per cui non si sa chi debba legiferare tra regione e Stato, e in tal modo si provoca un ingorgo; un ingorgo dovuto alla vostra confusione mentale.
Riprendo alcune dichiarazioni del 2005 di alcuni vostri leader che, per vostra incapacità interna, non sono leader coerenti ed autorevoli: o discutono di politica o discutono, come qualcuno ha riferito in precedenza, «di pizza e fichi». Dall'opposizione il leader dell'Unione, Romano Prodi, nel 2005 dichiarava: «L'opposizione è compatta sul «no». Esprimo una profonda amarezza come cittadino e come uomo politico per una riforma che cambia radicalmente il volto della nostra Repubblica e della democrazia italiana. È una riforma incoerente e squilibrata che svuota il Parlamento senza rafforzare davvero la capacità di governare; che rende il Presidente del Consiglio fortissimo con la Camera dei deputati e debolissimo con il Senato; che rende interminabile il procedimento legislativo; che sottrae potere al Presidente della Repubblica e umilia tutte le istituzioni di garanzia; che crea un Senato privo di ogni reale rappresentatività delle regioni e delle autonomie locali, mentre si ampliano le competenze regionali sino al punto di mettere a serio rischio, aprendo la via a inaccettabili disparità tra i cittadini, la stessa unità sostanziale della Repubblica». Di analogo tenore erano altre dichiarazioni di Gavino Angius, allora esponente dei Democratici di Sinistra, di Bordon, esponente della Margherita, i quali facevano appunto dichiarazioni simili a quelle dell'allora leader dell'Unione, Romano Prodi, denunciando che la Casa delle libertà era ostaggio, era sotto ricatto della Lega Nord e della sua fantomatica Repubblica padana. Vi dico ora, come allora dicevamo: magari! Non saremmo stati ora in quest'Aula a discutere di riforma costituzionale. Il progetto di riforma che oggi si discute non si occupa degli aspetti che secondo la Lega Nord sono importanti. Non si modifica l'articolo 117.
In altre parole: non si indicano con chiarezza le competenze esclusive delle regioni e non si parla di federalismo fiscale; infatti, alla fine, come è stato già affermato, si deve contare sui soldi per tentare di formare il Paese. La Lega Nord sarà sempre in Aula, in ogni ente e in ogni istituzione quando si discuterà di riforma costituzionale perché dobbiamo e vogliamo ritornare a essere padroni a casa nostra (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, anzitutto credo che non possiamo Pag. 38discutere di singoli articoli poiché una riforma costituzionale non può che essere un unicum organico in cui tutto è collegato, anche perché ritengo che in materia di riforma delle istituzioni - lo ripeto: stiamo parlando di organizzazione dello Stato, non della parte prima della Costituzione - qualsiasi scelta può essere giusta e l'importante è che le scelte siano tra loro coerenti. Perciò credo che il tema del Senato federale sia fondamentale per molte ragioni.
Le Costituzioni, come sappiamo, si modificano per due ragioni: o per grandi rivolgimenti sociali, dunque quando cambiano completamente il corpo sociale e i rapporti nell'ambito del corpo sociale che una nazione esprime; o quando il passare del tempo rende necessario l'adattamento delle norme costituzionali concepite in epoche storiche differenti e, dunque, si tratta di adeguamenti, non di riforme sostanziali che intaccano l'equilibrio complessivo della Costituzione. In questa seconda ipotesi, che ritengo sia quella sulla quale oggi ci confrontiamo, ovviamente l'approccio dev'essere estremamente umile, nel senso che occorre individuare i punti della Costituzione del 1948 che ormai richiedono quell'adeguamento storico necessario per il semplice passaggio del tempo e, oltretutto, come si suole dire, per il formarsi di una costituzione materiale che ormai supera il dato costituzionale.
L'approccio che abbiamo dato alla riforma in discussione è proprio questo, e ritengo che sia molto corretto perché è avvenuto nella sede del Parlamento. Ricordo, infatti, a me stesso che abbiamo vissuto una stagione di riforma costituzionale (quella della XIV legislatura), nella quale l'equilibrio della Costituzione non veniva studiato in Parlamento, ma a Lorenzago dai famosi «quattro saggi», che poi ne hanno combinate di tutti i colori, e che certamente non sono riusciti a trovare quell'equilibrio che era necessario. Invece, in questa occasione stiamo discutendo nella sede che deve lavorare per riformare la Carta costituzionale - prima nella Commissione affari costituzionali, ora nell'Aula parlamentare - oltretutto, con la scelta di due relatori che ringrazio per la loro bravura e per la capacità d'interagire tra loro, nonostante abbiano provenienze politiche così diverse. Credo, quindi, che questo sia, oggi, il merito dell'approccio con il quale stiamo riformando la Costituzione nell'attuale legislatura.
Francamente, mi sorprende la «melina» che alcune forze dell'opposizione stanno mettendo in atto, in particolare sui temi su cui si è discusso oggi, tra i quali figura quello dell'attribuzione delle risorse alle regioni e del loro trasferimento dallo Stato alle regioni, che è già compreso nella riforma del Titolo V della Costituzione varata nella XIII legislatura. Non mi pare che le forze politiche che hanno governato nella XIV legislatura e, in particolare, la Lega, si siano mai preoccupate in cinque anni di dare attuazione all'articolo 119 della Carta costituzionale. Abbiamo avuto tutto il tempo per fare un'operazione di questo tipo e non occorre alcuna modifica costituzionale perché il tema è già presente nella Costituzione; si tratta di attuarlo e di realizzare ciò che stranamente la Lega, quando ha governato, non ha fatto minimamente.
Allora, oggi credo che il tema di fondo, sul quale dobbiamo concentrarci, specie in ordine alla riforma del Senato, sia l'adeguamento della struttura del Senato stesso alla riforma del Titolo V della Costituzione. Questa è la motivazione principale. Troppe volte, infatti, noto collegare il tema dei costi della politica a quello della riforma costituzionale: questo collegamento, a mio avviso, è aberrante. Non si deve ridurre il numero dei deputati e dei senatori perché costano troppo: mi auguro che si voglia ridurre il loro numero per rendere gli organismi più efficienti ed efficaci nella loro azione politica. Le Costituzioni si riformano per questioni ben più di fondo e non per qualche tema che, oggi, è di moda sui giornali e tra la gente.
Al contrario, il tema su cui dobbiamo confrontarci è come riformare, oggi, gli articoli 57 e 70 della Costituzione in relazione alla riforma del Titolo V. Infatti, è fuori discussione che tale riforma rimarrà incompiuta se non adeguiamo il Pag. 39Senato alle necessità che nascono dalla riforma del Titolo V, dall'articolo 117 della Costituzione ed altro.
Quindi, oggi, il problema da affrontare è capire come si deve costruire il Senato federale e il rapporto e l'equilibrio tra Stato e regioni. Si è constatato, infatti, che alla stregua della riforma del Titolo V della Costituzione (quindi dell'inevitabile contrasto che si è verificato tra Stato e regioni anche nell'interpretazione dell'articolo 117 della Costituzione), la camera di equilibrio del contrasto si è trasferita al di fuori delle aule parlamentari, ovvero in una sede sostanzialmente impropria, quella della Corte costituzionale e del conflitto di attribuzione. Ciò non può accadere, in quanto i conflitti tra Stato e regioni devono trovare un luogo in cui essere affrontati ben prima che diventino conflitti, ovvero devono trovare un luogo di compensazione in un'aula parlamentare che non può che essere il Senato federale. Solo in questo modo avremo compiutamente realizzato la riforma della Costituzione e avremo dato seguito compiuto alla riforma del Titolo V.
Qualcuno ha sostenuto che ciò era stato realizzato nella scorsa legislatura. Francamente trovo un po' paradossale questo dibattito, alimentato molte volte da Forza Italia (lo ha affermato spesso il collega Boscetto). Il leader di Forza Italia invoca continuamente l'elettorato, in quanto quest'ultimo è sovrano. Tuttavia, quando la riforma della Costituzione è stata bocciata dall'elettorato, si è sostenuto che è stato un nostro errore: mi sembra una contraddizione politica che qualcuno dovrebbe affrontare. La riforma della scorsa legislatura è stata bocciata dall'elettorato, in quanto era sbagliata, non coerente al suo interno e presentava la necessità di trovare un equilibrio tra forze politiche che non avevano una concezione unitaria della Costituzione. Quindi, da quell'equilibrio politico è nata una riforma della Costituzione non equilibrata, un Senato che non era affatto federale e tutto un meccanismo legislativo, tra cui un articolo 70 della Costituzione che era assolutamente inapplicabile e avrebbe creato la paralisi legislativa. Oggi, dobbiamo fare tesoro di quell'esperienza.
Abbiamo combattuto - anche il Presidente Leoni lo sa bene essendo, all'epoca, uno dei membri della Commissione affari costituzionali - e abbiamo dimostrato che era una riforma sbagliata. Tuttavia, da quell'errore e da quella riforma dobbiamo trovare gli strumenti per capire come riformare correttamente la Costituzione, in particolare gli articoli 57 e 70, che sono norme strettamente collegate. È ovvio che la composizione del Senato e l'attribuzione delle funzioni sono norme assolutamente collegate tra loro. Abbiamo proposto la soluzione che consiste, effettivamente, in un Senato federale.
Sia ben chiaro, infatti, che, nella scorsa legislatura, al di là del nomen di Senato federale che fu attribuito all'istituzione, in realtà fu costruita una semplice seconda Camera politica, che non aveva nulla di federale. Erano previsti un sistema di elezione uguale a quello previsto per la Camera - sfalsato nei tempi, ma con le stesse modalità - ed una composizione del Senato proporzionale alla popolazione: la negazione del federalismo e del Senato federale. Quest'ultimo, infatti, deve scollegarsi dalla popolazione, ma deve collegarsi ai territori, dei quali deve essere espressione, a prescindere dalla quantità di popolazione che vive sui territori stessi. Questo, effettivamente, significa Senato federale ed è quello che stiamo costruendo nella legislatura in corso: ritengo che ciò costituisca un notevole passo avanti e una soluzione equilibrata rispetto alle esigenze che dobbiamo raggiungere, che sono necessità fondamentali. Ormai da alcuni anni, infatti, viviamo una fase di conflitto tra Stato e regioni che non può essere naturale: si tratta di una fase conseguente a una riforma molto complessa e anche molto radicale, ma la situazione di conflitto verificatasi in questi anni deve essere recuperata e, appunto, riportata nella sede competente, ossia in un luogo dove Stato e regioni si possano adeguatamente parlare. Questa è l'elaborazione dell'articolo 57 della Carta costituzionale, così come Pag. 40l'abbiamo prevista nel testo unificato delle proposte di legge costituzionale in discussione.
Analogo discorso vale per l'articolo 70 della Costituzione, che era il punto più delicato. Qualsiasi organo, infatti, può essere bloccato; la storia e la politica ci insegnano che subentra sempre qualche altra cosa: il mondo e la storia vanno avanti, ma non si può bloccare la funzione legislativa di un Parlamento. Con il meccanismo creato nella scorsa legislatura, sostanzialmente si impediva l'attività legislativa, perché si era costruito un procedimento così complesso e inapplicabile che probabilmente queste aule con molta difficoltà avrebbero approvato le leggi. Oggi, invece, abbiamo pensato a un meccanismo che recupera fortemente il rapporto Stato-regioni nelle materie di competenza dello Stato e delle regioni; in tale sede, quindi, possiamo elaborare la soluzione, o addirittura prevenire i conflitti tra Stato e regioni: ciò rappresenta l'unico modo per far funzionare correttamente il nostro Stato. Ovviamente, la Camera deve avere l'ultima parola, perché la funzione legislativa deve comunque avere una sua rapida conclusione: questo è un altro dei temi sui quali bisogna lavorare.
Ritengo necessaria, poi, una riflessione ulteriore - che però non attiene molto a questo argomento - sul tema dell'efficienza del potere legislativo, sul quale molte volte discutiamo in occasione di riforme costituzionali. Forse, sarebbe molto più opportuno se intervenissimo anche sui Regolamenti di questo consesso: otterremmo risultati altrettanto efficaci sotto il profilo dell'efficienza del Parlamento. Dobbiamo cominciare a svolgere una riflessione seria, non solo sulla riforma dell'articolo 70 della Costituzione - quindi, del bicameralismo perfetto - ma principalmente sui meccanismi di funzionamento delle Aule parlamentari, che non richiedono alcuna modifica costituzionale, ma un semplice adeguamento storico a tutte le altre Assemblee e a tutti gli altri consessi che, ovviamente, si sono adeguati all'evoluzione, ai tempi e ai ritmi della storia. In Parlamento, invece, non ci siamo ancora riusciti: credo che il prossimo sforzo da compiere dovrà essere questo (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Briguglio. Ne ha facoltà.
CARMELO BRIGUGLIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro ormai è diventato un rito piuttosto stanco: lo svolgimento di questo dibattito sembra l'eterno ritorno di una stagione di discussioni interminabili che in Parlamento, intorno alla riforma della Costituzione e alle riforme istituzionali, la ruota del tempo ci propone.
Si tratta di una serie interminabile di dibattiti che, storicizzando quanto è accaduto in questi anni, non sboccano mai in un cambiamento reale e in una vera e profonda trasformazione delle nostre istituzioni. Eppure, dinanzi a questa consapevolezza e alla domanda che potrebbe pervenire sia dagli osservatori sia dalla pubblica opinione, noi di Alleanza Nazionale e del centrodestra, che partecipiamo a questo dibattito, crediamo di poter rispondere con l'etica del dovere e della responsabilità, ma anche con il senso della nostra presenza politica e con le radici profonde del nostro essere forza politica in questo Paese, che sono nel nostro DNA culturale. Destra politica per noi significa, infatti, pensare immediatamente alla grande riforma delle istituzioni e della Costituzione.
La volontà di cambiare a tutti i costi la Costituzione e le istituzioni trova fondamento nella nostra memoria storica e in tutto il percorso e l'evoluzione politica e culturale di questi anni, dal dopoguerra ad oggi, anche attraverso le leadership politiche, da Giorgio Almirante - lo voglio ricordare - che fu uno dei primi nella storia del dopoguerra italiano a immaginare la riforma delle istituzioni, fino a Gianfranco Fini e all'attuale classe dirigente della destra politica e del centrodestra, che sulla riforma delle istituzioni hanno scommesso. Tant'è vero che appena nel 2006 il Governo di centrodestra non Pag. 41soltanto immaginò, ma riuscì a mettere in campo e a far approvare dal Parlamento una grande riforma delle istituzioni, che non ebbe fortuna soprattutto perché ci fu la rabbiosa, immotivata e anche irrazionale reazione del centrosinistra - eppure, oggi dal centrosinistra sentiamo tanti richiami a una improbabile comune responsabilità - che portò fino allo svolgimento del referendum, che pose termine al tentativo e all'opportunità di cambiare nel profondo le nostre istituzioni e la Costituzione italiana.
Oggi siamo punto e a capo: vi è la richiesta di una comune responsabilità e solidarietà, cui corrisponde da parte nostra un atteggiamento che, nonostante le riserve e le perplessità, è comunque di attenzione e partecipazione. Lo testimonia anche il fatto, che noi riteniamo altamente positivo, che un parlamentare autorevole del nostro gruppo, l'onorevole Bocchino, condivida la responsabilità di relatore di questo provvedimento.
Un provvedimento che, però, come testimonia anche l'articolo 2 del testo, manca di una visione e di una missione orientata al cambiamento. Sembra l'ennesimo passo tattico, l'ennesima strizzatina d'occhio per poter superare un momento difficile per il Governo, un'impasse, una difficoltà per una maggioranza che ha bisogno di tempo per tirare a campare, e quindi per puntare, rispetto al tema e allo spessore politico e culturale delle questioni che stiamo discutendo, a un obiettivo troppo piccolo: quello di dare fiato e tempo a un Governo che ne ha bisogno.
La prima osservazione che vogliamo avanzare è che, da parte nostra, vi è coerenza con le posizioni del passato, mentre da parte del centrosinistra vi è una posizione assolutamente strumentale; un centrosinistra che anche in occasione della riforma del 2006 si dimostrò incapace di innovare. Si registra comunque un riflesso teso a conservare nel profondo la Costituzione attuale, ad apportare cambiamenti minimi ed operare piccole riforme, mentre il grande obiettivo di un cambiamento effettivo, che noi avevamo nel 2006, è stato accantonato.
In qualche modo è stata un'occasione perduta, anche questa; infatti abbiamo assistito due volte ad atteggiamenti del centrosinistra legati alla tattica e non al respiro delle grandi riforme: sia nel 2001 quando si impose, nel Parlamento, una maggioranza che per quattro voti cambiò la Costituzione, senza tener conto dell'apporto dell'opposizione, nell'illusione, alla vigilia di elezioni politiche importanti, di scavalcare, in particolare sul federalismo, le posizioni della Lega, con tesi addirittura più oltranziste; sia oggi, perché tiene una posizione che definirei tattica e strumentale.
Ma già allora, nel 2001, quella del centrosinistra fu una posizione - lo vogliamo ricordare in questa occasione, per ciò che più profondamente ci riguarda - che arrecò grandi danni all'architettura costituzionale del nostro Paese e a noi, che siamo una forza politica nazionale legata al valore dell'interesse nazionale. Si giunse a cancellare non solo una norma, un concetto giuridico, ma un vero e proprio valore: l'interesse nazionale, il quale fu eliminato dalla Carta costituzionale.
L'interesse nazionale è un valore strategico, che vediamo ormai largamente praticato in Europa. Da altri Paesi - dalla Francia di Sarkozy ma anche dalla Germania di Angela Merkel, dalla Russia, dal Giappone e perfino dalla Cina - giungono lezioni, esempi e modelli che attestano quanto sia importante, per gli equilibri del mondo, coltivare l'interesse nazionale, anche come valore strategico.
Oggi assistiamo anche ai piccoli opportunismi della piccola politica, che ci costringe ad essere assorbiti, giorno dopo giorno, da un testo, da valutazioni, da un dibattito, da infinite discussioni che poi sappiamo che ben difficilmente potranno portare ad una conclusione operativa. Eppure noi affrontiamo nel merito, ma anche nella loro ispirazione, le modifiche che sono contenute nel provvedimento sottoposto alla nostra attenzione (dalla riduzione dei parlamentari all'istituzione del Senato delle regioni, fino al rafforzamento del Governo e dei poteri del Presidente del Consiglio).
Tutto ciò avviene perché siamo interessati che comunque si discuta e venga immaginata una riforma della Costituzione e una ricostruzione del concetto stesso di Stato nazionale. In Europa e nel mondo vi è un desiderio, un trend di ritorno molto chiaro verso gli Stati nazionali e alla necessità di Costituzioni efficienti; un ritorno a nazioni che abbiano la possibilità di edificare una statualità che presenti forza, consenso, fiducia, autorità e senso di una missione.
Ritengo che abbiamo tutti il dovere di tendere verso una modifica della Costituzione e verso un ripensamento dello Stato anche attraverso un dibattito che, come questo, presenta grandi limiti. L'Italia, senza una nuova statualità, una nuova Costituzione, un processo legislativo efficiente e dei vertici che abbiano autorevolezza e consenso reale da parte dei cittadini non può stare in Europa e nel mondo; oggi l'Italia non conta nulla anche perché non ha processi costituzionali celeri ed efficienti.
Siamo di fronte ad una Costituzione che, con false riforme, è arrivata addirittura a delegare la politica energetica alle regioni e agli enti locali; abbiamo, pertanto, bisogno di ricostruire una nuova statualità anche attraverso una nuova Costituzione o con modifiche profonde del nostro sistema istituzionale. Ciò è necessario soprattutto perché parliamo di un Paese che ha dato in appalto a bande criminali quasi metà del territorio nazionale; faccio riferimento anche a quelle altre bande criminali, provenienti da fuori del nostro Paese, artefici di fatti di cronaca, come ad esempio quello di cui abbiamo parlato in questi giorni e che ha destato la nostra attenzione. Faccio, altresì, riferimento alla notizia secondo la quale nel nostro Paese la mafia presenta un fatturato superiore addirittura ad aziende come la FIAT. Tutto ciò sta a dimostrare la necessità di rifondare le istituzioni, per renderle autorevoli ed avere uno Stato forte.
Dobbiamo avere una visione importante di quello che facciamo; non ci dobbiamo sottrarre alla sfida delle correnti politiche e culturali che in Europa ci richiamano ad un tale dovere. Noi dobbiamo considerare anche questo dibattito come un servizio reso alla comunità nazionale. Non ci siamo arroccati e non ci arrocchiamo. Abbiamo le nostre riserve e partecipiamo pienamente al dibattito pur nella consapevolezza che questa non è la stagione giusta, non un momento strategico ma tattico, inventato dalla maggioranza proprio per superare un periodo difficile.
Noi non abbiamo nemmeno paura di affrontare questioni come quella dell'istituzione del Senato federale che forse molti ritenevano avrebbe potuto mettere in difficoltà una destra politica che nell'ambito della Casa delle libertà rappresenta il partito della nazioni.
Riteniamo che il federalismo, che noi immaginiamo tricolore ovvero sintesi della nazione e delle varie articolazioni del sistema istituzionale italiano, sia un qualcosa di accettabile e che, nei limiti dell'unità nazionale, possa favorire il processo legislativo e il superamento di un bicameralismo che oggi probabilmente non è in linea con le moderne architetture costituzionali europee.
Tuttavia per noi vi sono dei punti importanti ai quali non possiamo assolutamente rinunciare, uno dei quali è certamente il bipolarismo, che non fa parte e non è formalmente iscritto nella Carta costituzionale, ma che è l'essenza e - direi - il patrimonio più importante e che rappresenta il cuore della Costituzione materiale dell'Italia contemporanea, cui le forze politiche insieme, e in particolare il centrodestra e la destra politica italiana a partire dal 1994, hanno dato un contributo importante e determinante. Per noi tutto ciò è assolutamente irrinunciabile.
Noi non possiamo iscrivere nel dibattito sui costi della politica - dico ciò sia sul piano politico sia anche, se mi consentite, su quello personale - la riduzione del numero dei parlamentari.
Vedete, passerà questo momento in cui tutti siamo spinti da tensioni emotive autentiche o dalle pressioni mediatiche, e poi dovremo anche riflettere su quale sia la Pag. 43sostanza vera del problema dei costi della politica. Non bastano una, dieci, cento inchieste giornalistiche, o un libro che vende un milione di copie, per farci abdicare dalla necessità di svolgere un'analisi reale e vera sul grande tema dei costi della politica. Noi siamo d'accordo sulla necessità della riduzione del numero dei parlamentari, ma non nell'ottica - se mi consentite - un pò becera della riduzione dei costi della politica, ma in quella di un superamento del bicameralismo perfetto; è necessario, quindi, rivedere funzioni, attribuzioni, composizioni e anche il numero dei parlamentari.
Noi ci poniamo su questo piano e intendiamo dare il nostro contributo e anche il nostro consenso, ma nel dibattito sulla casta o sulle caste del Paese, dobbiamo capire che in un certo senso è iniziata - direi - in tutte le direzioni una sorta di rivoluzione culturale, se vogliamo impropriamente usare un linguaggio maoista. Abbiamo iniziato con la casta politica, e credo che dovremmo cominciare ad analizzare, con serietà, responsabilità e obiettività, le dimensioni, i poteri d'influenza e la capacità di condizionamento anche di altre caste in questo nostro Paese. Vi è, infatti, la casta dei grandi editori - diciamolo - che nel nostro Paese, rispetto ad altri Paesi occidentali, al suo interno non ha editori puri ma editori che svolgono attività economiche e finanziarie che si intrecciano con gli interessi che tutelano i grandi giornali.
Vi sono, inoltre, aree del sistema delle imprese che ci devono ancora spiegare perché in alcune regioni del Paese, per esempio in Sicilia, esse spesso vanno a braccetto con i poteri criminali, nonché sistemi di imprese, singole imprese e aziende legate addirittura da cointeressenze.
Occorre ancora affrontare il problema che noi - fin dagli albori della nostra storia politica in questo Paese (all'epoca dei grandi leader del dopoguerra della destra politica italiana) ed ora come Alleanza Nazionale - abbiamo sollevato circa il riconoscimento giuridico dei sindacati e delle organizzazioni sindacali e relativa mancata attuazione dell'articolo 39 della Carta costituzionale. Si tratta, anche in questo caso, di un'area di autoreferenzialità in cui vi sono, all'interno di organizzazioni sindacali e di enti padronali, sacche di socialismo reale che bisogna affrontare e - credo - eliminare.
Inoltre un saggio che è al primo posto nelle classifiche dei libri più letti, Toghe Rotte, ci ripropone il tema della casta dei magistrati o comunque di una parte della magistratura: non credo che tutte le toghe siano «rotte» ma credo che su questo vi sia materia per discutere e per analizzare le questioni quando verrà il momento di una maggiore serenità e quando il Parlamento complessivamente considerato sarà libero anche dai lacci delle passioni e avvertito della necessità di esercitare il suo ruolo secondo contrapposizioni che si devono giocare su altri terreni.
Allora potremo rivedere il tema della modifica necessaria dell'architettura costituzionale, di una Costituzione moderna per un Paese moderno.
Crediamo, infatti, che verrà presto il tempo per una discussione serena. Forse sarà necessario anche qualcosa di straordinario; l'ideale sarebbe la sede di una vera e propria Assemblea costituente. Pensiamo che, passato questo momento e questa stagione politica, questo momento di debolezza della politica nel nostro Paese, a cui corrisponde una fragilità profonda del Governo e di una maggioranza politica e parlamentare che non hanno più il consenso degli italiani, verrà il momento opportuno perché, varate leggi importanti per le quali sono stati dati contributi significativi da tutti gli schieramenti politici - ma certamente anche dalla nostra parte -, si possa affrontare anche il tema importante della innovazione istituzionale del nostro Paese con serenità, con obiettività e con comune senso di responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Costantini. Ne ha facoltà.
Pag. 44
CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, credo che il confronto parlamentare non ci stia aiutando molto e non stia aiutando nemmeno i cittadini che ci stanno ascoltando. Stiamo parlando di molte questioni interessanti ma non stiamo affrontando la questione ora in esame, l'articolo 2 della proposta di legge di revisione costituzionale e il complesso degli emendamenti presentati all'articolo 2.
Discutiamo, quindi, di due questioni fondamentali: la prima è legata al numero dei deputati e la seconda, sollevata soprattutto da una serie di emendamenti presentati da diversi gruppi politici, è legata alla conservazione dei diciotto parlamentari eletti all'estero. Sono le questioni delle quali stiamo discutendo e sulle quali, tra poco o domani, saremo chiamati a votare.
Nel mio intervento vorrei attenermi alla materia che è all'ordine del giorno. La maggior parte degli emendamenti ci pone di fronte a due scelte, mi riferisco alla questione dei parlamentari eletti all'estero: la prima scelta è se conservare o non conservare i diciotto parlamentari eletti all'estero.
La seconda scelta che saremo chiamati ad operare è relativa alla diversa dislocazione tra Camera e Senato dei diciotto parlamentari eletti all'estero e della eventuale coerenza di una diversa dislocazione con gli obiettivi della riforma della quale stiamo discutendo.
Al primo interrogativo di fronte al quale ci pongono gli emendamenti all'articolo 2, rispondiamo «sì».
Noi dell'Italia dei Valori siamo convinti dell'opportunità di mantenere i diciotto parlamentari eletti all'estero per due motivi: il primo è di opportunità costituzionale. Questa è una riforma attesa per anni da decine di milioni di italiani. Si tratta di una conquista ottenuta grazie ad un confronto vivace che ha interessato le istituzioni ed il dibattito si è svolto anche al di fuori di esse per moltissimo tempo. Si tratta di un diritto costituzionalmente riconosciuto alle comunità di italiani residenti all'estero e noi crediamo che non sia assolutamente possibile che un semplice emendamento possa cancellarlo.
Ad una valutazione di opportunità costituzionale, noi ne aggiungiamo anche una di merito. Siamo profondamente convinti che la conquista di milioni di italiani che vivono all'estero non per scelta, ma per necessità debba essere difesa in questa sede. L'elezione dei parlamentari eletti all'estero è una riforma che ha rafforzato il legame tra le istituzioni e gli italiani residenti all'estero ed ha aiutato decine di milioni di essi a sentirsi ancora italiani; attraverso i diciotto parlamentari eletti all'estero, tale riforma ha portato le nostre istituzioni nelle aree più lontane del mondo. È una riforma che, grazie al contributo di quei parlamentari, ha consegnato alla discussione ed al dibattito parlamentare, nei primi diciotto mesi di questa legislatura, un punto di vista che prima era quasi completamente ignorato.
Personalmente, sono convinto che il giudizio politico negativo di alcuni gruppi parlamentari sia legato principalmente a due fattori: il primo è connesso ad un'obiettiva disarticolazione e disomogeneità che esiste tra il sistema elettorale nazionale e quello previsto per gli eletti all'estero, che molto spesso rischia di porre questi ultimi al di fuori degli equilibri politici di maggioranza e di opposizione che emergono dalle urne a livello nazionale. Ritengo, altresì, che il secondo aspetto, relativo alla valutazione negativa sulla presenza dei parlamentari eletti all'estero, sia legato ad una scarsa conoscenza, ad uno scarso approfondimento del lavoro e dell'impegno che essi mettono in campo.
Credo che il primo problema, relativo alla disarticolazione dei sistemi elettorali, sia facilmente risolvibile attraverso la costruzione di un meccanismo elettorale che leghi la loro elezione alle stesse maggioranze e alle stesse opposizioni espresse dalle urne a livello nazionale. Sarebbe sufficiente un piccolo intervento legislativo per far sì che gli eletti all'estero siano organici alle maggioranze ed alle opposizioni espresse a livello nazionale.
Ritengo che il secondo aspetto, legato alla non conoscenza dell'attività dei parlamentari eletti all'estero, debba essere Pag. 45superato facendo un po' di fatica, cercando di andare a verificare e a scoprire quale e quanto intenso sia il loro impegno nei collegi elettorali di appartenenza. Sono parlamentari che si confrontano costantemente con gli italiani residenti all'estero. Essi hanno rafforzato enormemente il legame tra le istituzioni nazionali e la comunità di italiani che vive all'estero - lo ripeto - non per scelta o per valutazioni di opportunità, ma solo ed esclusivamente per ragioni di necessità. Sono queste le ragioni per le quali noi dell'Italia dei Valori difenderemo la conquista dei diciotto parlamentari eletti all'estero e voteremo contro gli emendamenti che propongono la loro soppressione.
Diverso è il ragionamento da fare, invece, rispetto ad un'eventuale loro diversa dislocazione tra Camera e Senato, alla luce del nuovo sistema delineato soprattutto dagli articoli 3 e 7 della proposta di riforma della Costituzione. Noi siamo convinti che una diversa dislocazione sia possibile (anzi, opportuna) e per questo motivo, preannunciamo già da adesso il voto favorevole sugli identici emendamenti D'Alia 2.122 e 2.250 della Commissione che ribaltano le attuali previsioni, posizionando sei parlamentari eletti all'estero alla Camera e dodici parlamentari eletti all'estero al Senato.
A mio avviso, sei parlamentari eletti all'estero alla Camera rappresentano, oggettivamente, una percentuale di poco superiore all'1 per cento che, certamente, attenua le perplessità di chi ritiene che gli eletti all'estero non debbano comunque alterare gli equilibri politici nazionali. Si tratta di una percentuale minima, sicuramente insufficiente ad alterare gli equilibri politici espressi dalle urne a livello nazionale.
Per altro verso, dodici parlamentari al Senato, sembrano interpretare la volontà di chi sta portando avanti questo progetto di riforma: costruire una Camera dei territori e delle singole comunità, ben potendo, a nostro parere, le comunità nazionali integrare il proprio punto di vista con quello dei rappresentanti di comunità nazionali dei cittadini italiani residenti all'estero.
Pertanto, siamo convinti che gli identici emendamenti D'Alia 2.122 e 2.250 della Commissione costituiscano il punto più avanzato di equilibrio e sintesi tra diversi punti di vista. Non voteremo, invece, gli emendamenti che perseguono l'obiettivo di impedire la riduzione del numero dei parlamentari. Il testo base all'esame dell'Assemblea parla di cinquecento deputati. Ciò era e rimane uno dei principali obiettivi della riforma.
Si tratta di una riduzione importante ma, al tempo stesso, contenuta, proprio per l'obiettivo di non determinare squilibri nel diritto alla rappresentanza parlamentare. È una prima e significativa risposta non tanto alla domanda di riduzione dei costi della politica - su ciò mi ricollego all'intervento dell'onorevole Marone e a quello del collega di Alleanza nazionale che mi ha preceduto - bensì anche al bisogno di semplificazione e avanzamento dell'efficacia dei nostri procedimenti di costruzione e approvazione delle leggi.
Pertanto, riepilogando, noi dell'Italia dei Valori diremo «no» alla soppressione degli eletti all'estero, diremo «si» ad una loro diversa dislocazione tra Camera e Senato e «no» all'aumento del numero dei parlamentari rispetto ai cinquecento previsti nel testo base (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 17,40)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Brancher. Ne ha facoltà.
ALDO BRANCHER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch'io vorrei entrare nel merito dell'articolo 2 e svolgere alcune riflessioni sul complesso degli emendamenti. L'articolo 2 del testo del provvedimento in discussione reca tre disposizioni modificative dell'articolo 56 della Costituzione. Il numero dei deputati viene portato da seicentotrenta a cinquecentododici, di Pag. 46cui dodici nella circoscrizione estero. Inoltre, l'età per l'elettorato passivo alla Camera viene portata da venticinque a diciotto anni e conseguentemente, l'operazione prevista dal terzo comma dell'articolo 56 della Costituzione per la ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni viene effettuata dividendo il numero degli abitanti della Repubblica per cinquecento e non più per seicentodiciotto, facendo sempre salvo il numero dei deputati eletti nella circoscrizione estero.
La riduzione del numero dei deputati - come io stesso ho già ricordato nella discussione sulle linee generali - costituisce un obiettivo del tutto condivisibile, ampiamente sostenuto e voluto nella riforma costituzionale approvata dalla Camera dei deputati nella precedente legislatura.
Pertanto, con riferimento al metodo si conferma l'esistenza di numerosi punti di convergenza tra la riforma costituzionale approvata dal Parlamento nella precedente legislatura, e non confermata dal successivo referendum, e il progetto elaborato dalla Commissione affari costituzionali attualmente all'esame dell'Assemblea.
Numerose scelte adottate da quella riforma erano davvero valide, come sostenuto dalla maggioranza di centrodestra e confermato anche adesso dall'attuale maggioranza. Inoltre, la riduzione del numero dei deputati era, tra l'altro, prevista nello stesso programma della Casa delle libertà.
Vi è da dire che la riduzione del numero dei parlamentari si iscrive in un più ampio quadro di riduzione dei costi delle istituzioni e, soprattutto, in un contesto di snellimento e semplificazione del loro funzionamento.
Com'è noto, l'Italia è tra i Paesi col più alto numero di eletti nel Parlamento nazionale. In realtà, la riduzione dei parlamentari costituisce un'esigenza avvertita, anche se forse con minore intensità, fin da tempi dell'Assemblea costituente, nel cui ambito furono presentate alcune proposte, poi non approvate, volte a modificare il rapporto tra eletti e popolazione. Nel testo originario della Costituzione si prevedeva che la Camera fosse composta da un numero di deputati in ragione di un deputato ogni ottantamila abitanti, o per frazione superiore a quarantamila. Risulterebbe che, in base alla popolazione dell'epoca, nel primo caso la Camera sarebbe stata composta da poco più di 300 deputati e nel secondo caso da poco più di 450.
Ma la questione è ancor più rilevante. Il rapporto di rappresentanza adeguato fu discusso dagli stessi padri fondatori della Costituzione americana: James Madison, in particolare, si soffermò sulla questione rilevando i rischi del Governo dei pochi e della confusione della moltitudine.
La riduzione dei parlamentari deve essere tuttavia considerata in una duplice ottica: quella della riduzione dei costi della politica e quella dello snellimento e della maggiore efficienza dell'attività parlamentare. In entrambi i casi, occorrerà individuare una soluzione che al tempo stesso eviti una concentrazione eccessiva di poteri nelle mani di pochi e consenta una diretta ed approfondita conoscenza delle questioni da parte degli eletti. Il punto di equilibrio è dunque da individuarsi fra la necessità di limitare i costi e l'esigenza di garantire che le decisioni riflettano con efficacia le preferenze dei cittadini. Un numero eccessivamente limitato di parlamentari potrebbe finire con il privilegiare nelle proprie scelte minoranze particolarmente attive o lobby, a danno dei gruppi meno organizzati.
Vale la pena richiamare tuttavia, pur con la dovuta prudenza e con un approccio necessariamente pragmatico, lo studio di due economisti francesi, Emmanuelle Auriol e Robert Gary-Bobo, che porterebbe a conclusioni ancora più decise in ordine alla riduzione del numero dei parlamentari. Semplificando molto la complessa teoria elaborata dai due studiosi, il numero dei parlamentari dovrebbe essere fissato in misura proporzionale alla radice quadrata della popolazione. Ancora, secondo i due studiosi, negli Stati Uniti, dove i parlamentari sono 535, per tener conto dell'evoluzione della popolazione e della formula elaborata, gli eletti dovrebbe essere 807. Gli stessi studiosi hanno effettuatoPag. 47 una comparazione tra oltre cento Paesi, tenendo conto del rapporto tra popolazione e numero di parlamentari. La Francia, che conta attualmente 898 parlamentari, dovrebbe avere invece un numero di 545 rappresentanti; l'Italia, che ha attualmente 945 eletti in Parlamento, arriverebbe a un numero di 570. Italia e Francia sarebbero quindi i due Paesi che supererebbero in maggior misura il numero ottimale, secondo la regola individuata dai due economisti.
Soprattutto vale la pena ricordare che la comparazione ha portato a conclusioni ancora più importanti sui rapporti tra numero dei parlamentari e sistema economico. I due studiosi hanno infatti sottolineato che il numero eccessivo di parlamentari non solo contribuisce a gonfiare le spese e i costi in genere, ma determinerebbe ripercussioni negative sull'orientamento complessivo di un Paese a favore dell'economia di mercato.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, per cui un numero limitato di parlamentari agevolerebbe l'attività delle lobby, i numeri mostrerebbero che nei Paesi con troppi parlamentari si ha più burocrazia, maggiori ostacoli per l'avvio di nuove attività imprenditoriali, maggiore chiusura rispetto al commercio estero, maggiore interferenza dello Stato nell'attività economica e, addirittura, più corruzione percepita dall'opinione pubblica.
L'influenza del numero dei parlamentari sui costi della politica andrebbe, dunque, ben al di là del loro peso diretto sui conti dello Stato, e si rifletterebbe almeno in parte sul funzionamento dell'intera economia.
Come è noto, anche la riforma della scorsa legislatura riduceva il numero dei deputati, portandolo a cinquecentodiciotto. La riforma della scorsa legislatura manteneva inalterato il numero complessivo dei parlamentari eletti all'estero - ossia diciotto -, di cui peraltro si prevedeva la presenza nella sola Camera dei deputati. Infatti, il criterio della contestualità tra elezione dei consigli regionali ed elezione dei senatori rendeva pressoché impraticabile, oltre che poco coerente, la figura dei senatori eletti all'estero.
La presenza dei parlamentari eletti all'estero deve essere poi considerata anche in relazione all'attribuzione alla sola Camera del rapporto fiduciario con il Governo. La scelta concernente i parlamentari eletti all'estero è probabilmente subordinata alle funzioni che si intendono attribuire a ciascuna Camera, ragione per cui i colleghi che mi hanno preceduto hanno chiesto di passare subito all'esame dell'articolo 7.
È, per converso, da dubitare dell'opportunità di mantenere, come è invece nel testo in discussione, la figura dei senatori eletti all'estero con riferimento al Senato federale, eletto su base regionale ed espressione dei consigli regionali e dei consigli delle autonomie locali.
Considerare la circoscrizione estero alla stregua di una regione sembra poco corrispondente alla natura del Senato federale ed alla sua stessa forma di rappresentanza dei nostri cittadini all'estero.
Inoltre, a differenza dei senatori eletti in ciascuna regione, nel testo in discussione i senatori eletti all'estero sarebbero eletti a suffragio universale e diretto: si produrrebbe, allora, una situazione poco coerente al Senato (parità di funzioni per senatori eletti con un diverso tipo di legittimazione popolare).
Un ulteriore elemento di distinzione della riforma costituzionale della scorsa legislatura è il seguente: quella riforma prevedeva anche che non vi fosse più la figura dei senatori a vita, per essere sostituita da quella dei deputati a vita in numero non superiore a tre (anche su tale aspetto occorre interrogarsi con attenzione).
L'esperienza insegna, poi, che per raggiungere un obiettivo del genere - quale la riduzione del numero dei deputati e o dei senatori - occorre affrontare e risolvere i problemi di praticabilità di una riduzione di questo tipo, che può trovare perplessità nel ramo o nei rami del Parlamento di cui si propone una riduzione, oppure in cui alla riduzione del numero dei parlamentariPag. 48 si accompagna anche un diverso sistema di legittimazione politico-istituzionale (come, ad esempio, si sta facendo con il Senato).
Un'adeguata, e non per questo semplice, normativa di carattere transitorio può facilitare un più morbido passaggio alla nuova composizione: ciò dovrebbe valere con particolare riguardo alle modificazioni attinenti alla composizione del Senato.
Con riferimento alla questione dell'elettorato attivo e passivo, essa è correlata alle funzioni di ciascuna Camera, ma ancor più al rilievo che si intende riconoscere al Senato quale espressione non solo etimologica della maggiore esperienza che debba caratterizzare la Camera alta.
Attualmente la Costituzione prevede per l'elettorato passivo 25 anni alla Camera e 40 al Senato e per l'elettorato attivo 18 anni alla Camera e 25 al Senato. La riforma della scorsa legislatura modificava l'elettorato passivo per la Camera portandolo a 21 anni e per il Senato a 25, mentre uniformava l'elettorato attivo che veniva portato a 18 anni per entrambi i rami del Parlamento. Scompariva, infatti, ogni diversa previsione costituzionale a riguardo e pertanto si sarebbe applicato per risulta l'articolo 48, primo comma, della Costituzione, che afferma che sono elettori tutti i cittadini maggiorenni. Ciò significa, in ordine a tale argomento, che la diversa caratterizzazione in senso federale del Senato quale sede di rappresentanza delle autonomie farebbe venire meno le ragioni, ammesso che ancora ne sussistano, della differenziazione attuale dell'elettorato attivo e passivo.
Voglio concludere con l'invito a valutare, anche in generale, se il diverso contesto storico e il complessivo sviluppo sociale del Paese giustifichino ancora l'esclusione di una fascia più giovane dei maggiorenni dall'elettorato attivo e passivo.
PRESIDENTE. Secondo le intese intercorse, il seguito dell'esame è rinviato alla seduta di domani.