Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Si riprende la discussione.
(Esame dell'articolo 2 - A.C. 553-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 2 e delle proposte emendative ad esso presentate (Vedi l'allegato A - A.C. 553 ed abbinate sezione 3).
SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, dal momento che, a nostro avviso, da parte della maggioranza non vi è una grande coerenza di linea nel procedere ed esiste, invece, una questione di natura politica in ordine al merito della riforma, e considerato che su ciò che per consuetudine giornalistica potremmo ormai definire il «progettino», sono state sollevate obiezioni di merito dal professor Sartori sui poteri del Presidente del Consiglio e sul rafforzamento del premierato, formuliamo la proposta di procedere all'esame dell'articolo 8, partendo, quindi, proprio dal merito dei poteri del Premier incaricato e del Governo.
PRESIDENTE. Deputato Baldelli, Si è già deciso di passare all'esame dell'articolo 2, dunque siamo all'esame dell'articolo 2.
ELIO VITO. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, vi è una nuova proposta dell'onorevole Baldelli, ossia passare all'esame dell'articolo 8.
PRESIDENTE. Deputato Elio Vito, ribadisco che stiamo esaminando l'articolo 2.
ELIO VITO. No, signor Presidente, non siamo all'esame dell'articolo 2 perché non è iniziata la discussione sull'articolo 2.
PRESIDENTE. Siamo passati all'esame dell'articolo 2, lei non ha ascoltato?
ELIO VITO. Sì, ho ascoltato, signor Presidente, ma con la stessa modalità con la quale ha fatto votare le proposte di passare...
PRESIDENTE. No, deputato Elio Vito ho fatto votare prima di passare all'articolo. La prego!
ELIO VITO. Non vi è dubbio, signor Presidente. Chiedo dunque di parlare sull'articolo 2.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, mi pareva che la richiesta dell'onorevole Baldelli fosse ammissibile, comunque propongo di stralciare l'articolo 2 per fare in modo che la Camera lo esamini rapidamente e altrettanto Pag. 23rapidamente lo trasmette al Senato, nella giornata di oggi, così si potrà constatare chi vuole e chi non vuole la riduzione del numero dei parlamentari.
MARCO BOATO. Propone di stralciare tutto il resto, non l'articolo 2!
ELIO VITO. Lo ripeto: chi è a favore della riduzione effettiva dei parlamentari subito, a partire dalla prossima legislatura, deve voler varare subito tale riforma, da sola, senza il resto delle riforme costituzionali che non vedranno mai la luce in questa legislatura. Per questo motivo, signor Presidente chiedo di stralciare l'articolo 2, affinché la Camera possa vararlo immediatamente e il Senato possa conseguentemente approvarlo entro la fine dell'anno e si possa passare, dopo i tre mesi previsti dalla Costituzione, al voto finale. Chiedo dunque di stralciare l'articolo 2, affinché possa essere esaminato separatamente dal resto delle riforme.
PRESIDENTE. Sulla richiesta di stralcio testé avanzata, ai sensi dell'articolo 86, comma 7 del Regolamento, chiedo quale sia l'avviso dei relatori.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, lo stralcio, sulla base di quanto stabilisce la prassi, comporta che un certo articolo sia accantonato e messo da parte; quindi lo stralcio richiesto dal collega Elio Vito produce un effetto del tutto contrario all'obiettivo che si propone. Il collega Elio Vito dovrebbe chiedere di stralciare tutto il provvedimento in esame e lasciare l'articolo 2, ossia il contrario di ciò che egli ha affermato. Ho dunque l'impressione che vi sia qualcosa che non va in tale richiesta.
PRESIDENTE. Lo stralcio, qualora venisse accolto, farebbe sì che l'articolo 2 divenisse autonomo e dunque è richiesto il parere dei relatori.
SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, credo che il parere debba essere contrario alla suddetta proposta perché stralciando solo l'articolo 2 e mantenendolo autonomo, esprimeremmo un giudizio di ordine politico sull'impossibilità da parte di quest'Assemblea di svolgere una discussione di merito sulla questione della riduzione del numero dei parlamentari, che non è completamente autonoma, ma è legata ad alcune funzioni precise di differenziazione e alla fine del bicameralismo paritario. Per tali motivi, esprimo parere contrario sulla proposta di stralcio del collega Elio Vito.
PRESIDENTE. Sulla proposta di stralcio dell'articolo 2 darò la parola ad un deputato a favore e ad uno contro.
GIORGIO JANNONE. Chiedo di parlare a favore.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIORGIO JANNONE. Signor Presidente, mi pare che le motivazioni testé addotte dalla relatrice Amici siano esattamente coerenti con le precedenti richieste di non esaminare ora l'articolo 2. La collega Amici, infatti, ha sostenuto la tesi, assolutamente condivisibile, in base alla quale l'articolo 2 non può essere analizzato come un unicum, perché fa parte di un complesso legislativo che riguarda tutta la Costituzione.
Onorevole relatrice, le faccio notare che questo è esattamente l'argomento con cui il relatore Bocchino sosteneva di non affrontare ora l'esame dell'articolo 2. Tale l'articolo, infatti, fa parte di un insieme, ovvero la Carta costituzionale, studiata ed approvata sessanta anni or sono dai padri costituenti nel suo insieme e non in questo modo.
Presidente, mi permetta di rilevare che l'Assemblea è bloccata da due ore su schermaglie di ordine procedurale e ciò testimonia come non vi sia quel clima sufficiente, necessario e condiviso per affrontare in modo costruttivo una riforma di questo tipo.Pag. 24
Nella scorsa legislatura si è avuta un'occasione, credo, storica e unica per affrontare determinati argomenti. Tuttavia, voi del centrosinistra - non dimentichiamolo - l'avete allora bocciata, non garantendo il quorum che avrebbe evitato il referendum e così facendo vi siete assunti un'enorme responsabilità politica, in quanto oggi non sussistono le condizioni tecniche e politiche per poter affrontare questa riforma. Ciò voi lo sapete benissimo.
State affrontando questa riforma in modo assolutamente demagogico, rafforzato dal fatto che insistete nel voler discutere il tema della riduzione dei parlamentari di cui all'articolo 2. Si tratta di un tema caro, certamente, all'antipolitica e a chi vuol far demagogia, ma non può essere avulso dall'insieme della riforma costituzionale, la quale non può essere affrontata in questo modo, cioè saltando da un articolo all'altro e da un argomento all'altro, in quanto si tratta - e ciò lo sa per primo l'onorevole Violante - di un unicum, di una Carta che deve essere letta e modificata nel suo insieme.
FRANCO RUSSO. Chiedo di parlare contro.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor Presidente, motiverò la contrarietà allo stralcio - non sono a favore, in quanto sono a favore della procedura già votata dalla Camera - per un motivo abbastanza semplice.
È necessario, infatti, considerare le polemiche ed anche le aspettative dell'opinione pubblica in ordine alla diminuzione del numero dei parlamentari, che la proposta di revisione costituzionale in esame avanza. D'altro canto, non si può pensare ad un unico provvedimento in tema di riduzione del numero dei parlamentari, avulso dalle funzioni e dalle finalità che un'istituzione deve svolgere e perseguire.
Per tranquillizzare l'onorevole Elio Vito, ricordo a lui e a tutta l'Assemblea che si accinge al voto, che il primo comma dell'articolo 21 della proposta di revisione costituzionale in esame recita: « Le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano a decorrere dalla prima legislatura successiva a quella in corso alla data della sua entrata in vigore».
Penso, quindi, che non vi sia nulla di demagogico da parte della maggioranza e di chi sostiene il provvedimento in esame (spero l'ampia maggioranza della Camera), nel ritenere necessario intervenire anche sul numero dei parlamentari. Tale intervento sarà efficace immediatamente dalla prossima legislatura e non come prevedeva il disegno del centrodestra, che rimandava alla XVI, XVII e XVIII legislatura l'entrata in vigore di determinate norme.
Penso, dunque, che si debba ritornare ad uno svolgimento dei lavori, a mio avviso, coerente, esaminando dall'articolo 2 in poi la proposta di legge alla nostra attenzione. L'avere accantonato l'articolo 1 significa semplicemente mettere da parte il nome di un'istituzione, non quindi le sue funzioni, né il numero dei parlamentari necessari al suo funzionamento.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico, senza registrazione di nomi, la proposta di stralcio dell'articolo 2 del testo in esame.
(È respinta).
Ha chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti riferiti all'articolo 2 il deputato Mario Pepe. Ne ha facoltà.
MARIO PEPE. Signor Presidente, il dibattito che si è svolto finora dimostra una sola cosa, ovvero che il Parlamento si muove con i metodi di cent'anni fa, in cui il culto del rito prevale sull'efficienza legislativa. Sono, infatti, trascorse tre ore per decidere che era necessario procedere con l'esame dell'articolo 2.
La necessità di riformare il Parlamento si evidenziò immediatamente già subito dopo il varo della Costituzione. Subito dopo il varo della Costituzione ci si rese conto che le istituzioni che erano nate dall'Assemblea costituente avevano mostratoPag. 25 lentezza e inefficienza. Tant'è vero che anche allora, come è capitato a noi nella scorsa legislatura, alcuni gridarono: «Giù le mani dalla Costituzione!». Desidero ricordare in quest'aula che, in quell'occasione, un segretario della Democrazia Cristiana, l'onorevole Gonella, ebbe a dire, a coloro che gridavano «Giù le mani dalla Costituzione!», che la Costituzione non è il Corano, ossia un libro sacro che va portato in processione e mostrato in pubblico.
Avevamo approvato una riforma costituzionale che prevedeva una riduzione del numero dei parlamentari già a partire dal 2011. A tale proposito, vi fu allora un movimento di popolo. A quelle persone che gridavano «Giù le mani dalla Costituzione!» ricordo le parole dell'onorevole Gonella: la Costituzione non è il Corano! Gonella pronunciò quelle parole perché alcune scelte, effettuate da quell'Assemblea, che era nata dal fascismo, non furono felici. Mi riferisco proprio a quella, riguardante il Parlamento, di un bicameralismo paritario e ripetitivo. È stata sbagliata, a mio avviso, la scelta di affidare alle Commissioni di merito la potestà legislativa. Ciò ha creato, negli anni, un assemblearismo che non era presente in nessun Paese d'Europa e che ha generato leggi, leggine e leggi-provvedimento che hanno causato una dilatazione della spesa pubblica.
L'onorevole Cirino Pomicino, nel suo intervento in quest'aula, difendendo il Parlamento e indicando una strada per velocizzare i lavori parlamentari, ci ha consigliato di utilizzare maggiormente la sede redigente delle Commissioni. L'onorevole Cirino Pomicino, però, ha omesso di affermare che la follia legislativa di quegli anni - nei quali egli stesso faceva il grande «elemosiniere», come presidente della Commissione bilancio - ha generato uno spaventoso debito pubblico, che pesa come un macigno sul futuro degli italiani. Se oggi i nostri giovani mangiano pane e cipolla - perché mancano le risorse - lo dobbiamo alla follia legislativa di quegli anni, a quei Governi di solidarietà nazionale che hanno creato, lo ripeto, uno spaventoso debito pubblico. Ritengo che l'onorevole Cirino Pomicino sia responsabile anche di questo.
Mi chiedo perché quelle persone che ci accusavano di sacrilegio per aver modificato la Costituzione oggi chiedano la nostra collaborazione su una riforma che è peggiore della nostra, la quale prevedeva il Senato federale e la riduzione del numero dei parlamentari già dal 2011. L'elezione indiretta dei senatori - che sarebbero eletti dai rispettivi consigli regionali al proprio interno e dal consiglio delle autonomie locali - presenta un limite: i senatori e i consiglieri regionali dovrebbero prender parte ai consigli regionali. In questo modo, però, si alimenterebbe l'assenteismo degli eletti.
Il Parlamento, se guardate il tabellone, già funziona con cento parlamentari in meno. La riforma in esame riduce il Senato a una Camera consultiva. Ritengo, pertanto, che questa offerta di collaborazione nasconda qualche trappola, come quella di prolungare la vita del Governo, magari fino al 2010. Se si dovesse votare in anticipo, la Camera verrebbe eletta con il nuovo sistema e il Senato sarebbe invece eletto dagli attuali consigli regionali, che sono tutti di sinistra; avremmo, quindi, una maggioranza diversa alla Camera e al Senato e saremmo alle solite.
In conclusione, si è affermato che le buone leggi fanno i buoni governanti. Questa in esame non è una buona proposta di legge e non contribuirà al buon governo del Paese. Esprimerò, pertanto, su di essa il mio voto contrario.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, mi ero iscritto a parlare sull'articolo 2, ma dopo che fossero esauriti il dibattito e le votazioni sull'articolo 1. La situazione che si è determinata adesso è nuova; quindi, rinuncio ad intervenire in questa fase.
PRESIDENTE. Sta bene.Pag. 26
Ha chiesto di parlare il deputato Jannone. Ne ha facoltà.
GIORGIO JANNONE. Devo dire che seguire i lavori in questo modo non è semplicissimo, visto anche il tema delicato di cui ci stiamo occupando.
Della necessità di modificare la Costituzione si parla ormai da circa venti anni. Si tratta di una Costituzione che ha sessanta anni di storia, essendo stata approvata il 22 dicembre del 1947, e ciò significa effettivamente che ormai si avverte l'esigenza di modificarla. D'altra parte, le procedure previste per le modifiche alla Carta costituzionale sono estremamente complesse, poiché si tratta di una Costituzione rigida. Proprio la difficoltà di queste procedure, avrebbe dovuto portare il centrosinistra a esaminare l'importanza dell'occasione che è sfuggita nella precedente legislatura.
Riproporre di modificare la Carta costituzionale in queste condizioni, quando tutti rileviamo, già dai lavori e dagli interventi svolti sul complesso degli emendamenti, un'assoluta discrasia tra maggioranza e opposizione, continue schermaglie procedurali che non consentono di procedere con i lavori, tesi e antitesi che si contrappongono persino tra i relatori di maggioranza, dovrebbe fare emergere, in modo estremamente semplice e chiaro, la consapevolezza che non si possa procedere in maniera concreta in questo modo.
Stiamo esaminando il tema della riduzione dei parlamentari, che è certamente venuto in rilievo a seguito delle note polemiche dell'antipolitica e della volontà, espressa da più parti, di ridurre i costi della politica. Sta di fatto, però, che stiamo analizzando il tema della riduzione dei parlamentari senza nemmeno sapere bene che cosa essi dovranno fare, perché, signor Presidente, onorevoli colleghi, come ho fatto rilevare precedentemente, abbiamo in sostanza saltato questioni fondamentali relative al ruolo che avranno il Senato e la Camera a seguito di questa riduzione. Di conseguenza, non sappiamo bene di che cosa dovranno occuparsi i deputati e i senatori, perché abbiamo stralciato argomenti di estrema rilevanza per motivazioni di carattere squisitamente politico.
Queste evidenti contraddizioni portano ad affrontare questo tema, che è rilevante, importante e assolutamente demagogico, con un metodo che non ha alcuna coerenza. Nella scorsa legislatura, questo stesso argomento era stato proposto dalla maggioranza di centrodestra e si pensava che potesse essere condiviso da tutta l'Assemblea e da tutto il Parlamento. Nella scorsa legislatura, siamo arrivati vicinissimi al traguardo. Per volere del centrosinistra vi è stata la bocciatura della riforma costituzionale, in quanto non si è raggiunto il quorum necessario ad evitare il ricorso al referendum. I risultati del referendum, con la volontà ovviamente rispettabilissima del popolo sovrano, hanno portato a ripartire da zero.
Ora ci si chiede come possa essere affrontato utilmente questo argomento da una maggioranza che oggi al Senato non esiste più, quando nella scorsa legislatura, in una occasione unica, con una maggioranza acclarata e notevolissima alla Camera, una maggioranza presente al Senato e un Governo durato tutta la legislatura, per volere del centrosinistra, non si è riusciti a tagliare questo traguardo.
Il clima è evidentemente diverso: non c'è né la sensibilità, né la possibilità politica, né le potenzialità della maggioranza per giungere ad alcuna ipotesi di accordo. Stiamo perseguendo, in un clima surreale, soluzioni tecniche che si contraddicono per mancanza di costruttività e di argomenti.
Anche solo l'iter procedurale - come già evidenziato dal relatore Bocchino e da molti altri colleghi - dimostra e attesta che non vi è alcuna possibilità di procedere con i lavori e, se si procede in questo modo, si crea una confusione che non ha alcuna possibilità di farli proseguire.
È chiaro che il tema che avrebbe dovuto essere affrontato in precedenza, cioè quello del superamento del bicameralismo perfetto, è assolutamente dominante. Se si vuole creare un sistema diverso, un Senato federale o comunque diverso rispetto a quello attuale (cioè un Senato con identici Pag. 27poteri della Camera dei deputati), allora bisogna che questa riforma sia assolutamente antecedente rispetto alla decisione di ridurre il numero dei parlamentari.
Infatti, se è vero che la diminuzione dei parlamentari certamente consente una diminuzione dei costi della politica - tema tanto caro a chi fa demagogia, ma condiviso da tutta l'Assemblea e sicuramente da Forza Italia e dal centrodestra, che l'hanno sostenuto anche nella scorsa legislatura - è altrettanto vero e chiaro che emerga un tema di pari importanza: quello della rappresentanza. In altre parole, bisogna che il numero dei parlamentari sia congruo rispetto alle funzioni e alle definizioni che caratterizzano le due Camere. Non si tratta di un tema secondario: la diminuzione di un numero così consistente di parlamentari, se non dispone di una precisa correlazione con le funzioni svolte dai parlamentari stessi, perde significato e diventa assolutamente pericolosa.
Infatti, se è vero che tutta la grande ondata di antipolitica, anche in parte demagogica, porta anche a logiche coerenti con il nostro volere politico - mi riferisco alla diminuzione del numero dei parlamentari - è anche vero che una delle lamentele più energiche degli stessi sostenitori della riduzione dei parlamentari riguarda la stretta correlazione tra territorio e rappresentanti in Parlamento. Dunque il rischio è che, se il numero non è congruo e se le funzioni non sono ben definite, la semplice riduzione del numero possa portare, paradossalmente, ad un allontanamento dal territorio; esattamente ciò - per citare qualcuno - che Beppe Grillo non vuole. Quando Grillo lamenta una lontananza dei parlamentari dal territorio, cita proprio il criterio della rappresentanza, che ha una funzione estremamente rilevante nel numero e nelle funzioni.
Voi, come maggioranza, avete saltato completamente gli argomenti riguardanti le funzioni e la definizione dei ruoli delle due Camere. Non sappiamo, in questo momento, cosa sarà il Senato: se sarà un Senato federale, se avrà un altro nome o quali funzioni svolgerà. Voi volete occuparvi direttamente del numero, con il gravissimo rischio che il criterio della rappresentanza democratica, fondamentale in uno Stato democratico, possa perdere significato.
È vero che il sistema bicamerale oggi è superato; è vero che il bicameralismo perfetto vigente in Italia crea evidenti problemi di tempistica e di possibilità di risoluzione dei problemi; è vero che questo sistema, così come esiste in Italia, non ha nei medesimi termini alcun altro termine di paragone, ad eccetto della recentissima Costituzione della Romania del 1991, che ha ripreso tale e quale il nostro sistema di bicameralismo perfetto. È anche vero però che mettere mano, oggi, semplicemente sul numero dei parlamentari, senza affrontare gli altri temi inerenti e conseguenti e senza comprendere che la Carta costituzionale è stata approvata nel 1947 come un unicum - attraverso lavori estremamente complessi, nel corso dei quali non si saltava mai di articolo in articolo, e che affrontavano tale tematica nel suo insieme - rappresenta un modo di procedere incoerente e assolutamente non costruttivo.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 16,05)
GIORGIO JANNONE. Precedentemente il presidente Violante ha affermato che occorre procedere con i numeri in sequenza (uno, due, tre, quattro e così via), in coerenza con la sequenza dei lavori svolti dai padri costituenti all'epoca della stesura della Costituzione. Sarebbe bene andarsi a rivedere quei lavori, per rendersi conto che la sequenza numerica non è certamente la sequenza dei lavori. Si era discusso con un'altra metodologia e certamente in un altro clima, un clima postbellico, ma con la volontà di costruire una Carta costituzionale di insieme, che aveva un significato preciso e che oggi cerchiamo di modificare - o meglio, che voi volete modificare - con una metodologia che, oltre a non essere corretta, rischia anche di creare una serie di discrasie e di Pag. 28incoerenze di cui, certamente, non possiamo essere orgogliosi.
Chiediamo poi che il tema della riduzione numerica dei parlamentari - che certamente ci vede concordi, perché già lo eravamo nella scorsa legislatura, tanto che siamo arrivati, come ho ricordato, a pochissima distanza dal traguardo, che non è stato raggiunto a causa del vostro voto contrario - sia affrontato in modo serio, perché non vi è solo la questione della differenza di funzioni tra le due Camere, ma vi è anche il tema, estremamente rilevante, della rappresentanza degli eletti all'estero.
Anche questo tema deve coerentemente essere trattato nell'ambito della discussione dell'articolo 2 mentre è assolutamente improprio affrontarlo in questo modo. Se non sappiamo bene cosa dovranno fare né i parlamentari eletti nel nostro Paese né quelli eletti nella circoscrizione Estero, dato che non ne conosciamo ancora le funzioni, come possiamo determinarne al meglio il numero e il criterio della rappresentanza, che - lo ripeto - è fondamentale? Occorrerebbe, quindi, Presidente, rivedere questi lavori secondo un criterio di coerenza: non è stato fatto oggi, è stata scelta una procedura certamente non corretta con modalità e in un contesto che tutti sappiamo non essere produttivi. Vi è nel Paese un clima che non è sereno, con la maggioranza che spesso viene meno al Senato, come dimostrano ormai numerose votazioni. Tutto ciò rende del tutto non produttiva e incoerente questa volontà di modificare la Carta costituzionale: nessuno, dunque, faccia riferimento a quanto avevano fatto i padri costituenti nel 1947 quando il contesto era assolutamente diverso e certamente non paragonabile con l'attuale.
Tornando poi ad una tematica di ordine tecnico, occorre che siano ben valutate le norme transitorie che devono accompagnare un'eventuale riduzione dei parlamentari. Pur trattandosi, infatti, di una finalità condivisibile e condivisa da tutti noi - lo abbiamo detto più volte -, tuttavia se sull'onda della demagogia si perviene sic et simpliciter alla riduzione del numero dei parlamentari senza prevedere norme transitorie adeguate il Paese non avrà quel giovamento di cui si parla propagandisticamente, ma semplicemente si confonderanno i temi e certamente ne potrà risentire il criterio fondamentale della rappresentanza democratica che è alla base di ogni sistema appunto democratico.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Lussana. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, come ho già avuto modo di evidenziare in sede di discussione sulle linee generali la Camera riprende ad affrontare il tema importantissimo delle riforme e dell'architettura della nostra Costituzione; tema che ci ha impegnato lungamente e in modo approfondito nella passata legislatura. Riforme istituzionali come quelle del federalismo, dello snellimento dell'iter di approvazione delle leggi e delle creazione, finalmente, di una seconda Camera che sia rappresentativa delle autonomie locali e delle regioni sono temi fortemente sentiti e che la Lega Nord ha avuto a cuore e ha posto come centrali nella passata legislatura, dapprima nel programma di Governo e poi in tutta l'azione di Governo.
Ebbene, si riprende la discussione sulle riforme costituzionali dopo - lo sottolineo con grande rammarico - aver perso anche troppo tempo. Adesso la maggioranza, una maggioranza fortemente in crisi - soprattutto al Senato, dove non possiede i numeri per andare avanti - pone di nuovo come fondamentale la questione delle riforme istituzionali e chiede alla maggioranza di allora, l'attuale opposizione, di collaborare per l'interesse e il bene del Paese. Responsabilmente noi, come Lega Nord, come forza che ha particolarmente a cuore queste riforme, non ci siamo sottratti al dialogo ma non possiamo, purtroppo, mancare di evidenziare come questa maggioranza faccia, del tentativo di riformare un'architettura costituzionale non più rispondente alle esigenze del Paese, un modo per prolungare la propria Pag. 29sopravvivenza. Adesso ci chiedete di collaborare mentre nei cinque anni di Governo della Casa delle libertà avete rifiutato il dialogo su tutto. Per quanto riguarda le riforme costituzionali il vostro è stato sempre un «no» continuo, non vi siete mai voluti confrontare su determinati temi, non l'avete fatto in Assemblea e non l'avete fatto neanche nel Paese dove avete invece sostenuto una campagna referendaria raccontando delle menzogne e facendo perdere, appunto, anni preziosi.
La riforma che contemplava la devolution era una buona riforma; sicuramente perfettibile, la si è invece voluta cassare completamente e adesso si riparte con questi tentativi di dialogo. Però, è evidente la legitima suspicione che tutto ciò rappresenti un tentativo di prolungare l'attività di un Governo ormai già morto e non più in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini, alle esigenze concrete delle famiglie e delle imprese del Paese che vi chiedono di andare a casa.
Comunque, come sempre abbiamo fatto in modo responsabile, noi non ci siamo sottratti al dialogo. Evidenziamo, in questo tentativo di riprendere il dialogo sulle riforme, che vi è sicuramente qualche luce ma anche tante, tantissime ombre che si riscontrano anche nella discussione di questo pomeriggio. Nell'affrontare un tema così fondamentale - adesso siete diventati tutti federalisti e avete a cuore il bene del Paese! - non si parte dall'articolo 1 del testo in esame, che è fondamentale e che prevede, appunto, l'istituzione del Senato federale. Si tratta di un tema ampiamente dibattuto nella passata legislatura, che adesso ci viene presentato con caratteristiche che possono sicuramente meritare un'attenzione positiva. Si discute di un Senato di secondo grado, sulla falsariga di quello che è il Bundesrat in Germania, un Senato al quale apparentemente vengono conferiti poteri e funzioni, i quali però, per come sono strutturati l'iter, alla fine, dell'attività legislativa e i rapporti tra Camera e Senato, risultano fortemente limitati.
Avremo modo di affrontare l'argomento nel prosieguo della discussione, ma non si può parlare di un Senato federale, che sia veramente rappresentativo delle autonomie delle regioni, se poi si conferisce alla Camera, cioè ad un organo con una maggioranza politica, il potere di intaccare e di cambiare le decisioni assunte dal Senato federale. A tal proposito mi riferisco al quorum che avete previsto: noi abbiamo presentato degli emendamenti con i quali si chiede di alzare questo quorum ai tre quinti, e quindi di non lasciare il tutto affidato ad una maggioranza politica, con la possibilità di vanificare la funzione e i poteri del Senato.
Abbiamo avuto modo di evidenziare come anche questo tentativo di ripartire con le riforme sia qualcosa di per sé monco in partenza perché nel testo in esame manca la parte fondamentale relativa alla revisione dell'articolo 117 della Costituzione, ovverosia l'articolo che stabilisce il riparto di competenze tra Stato e regioni, che è stato motivo negli ultimi anni di numerosi conflitti di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale. Si tratta di quei conflitti di attribuzione che fanno gridare i detrattori del federalismo: «Guardate, il federalismo costa!».
Ma non è così. Il federalismo non costa, semmai costa il pasticcio di federalismo, ovverosia il federalismo confuso, in cui non è spiegato a chiare lettere - è una materia in cui bisogna davvero fare chiarezza - quali siano le competenze dello Stato e quelle delle regioni.
Dunque in questa sede stiamo discutendo senza «toccare» il tema dell'articolo 117.
Certo, adesso - è quanto afferma il presidente Violante - ripartirà la discussione di tale argomento attraverso un provvedimento autonomo. Ma che senso ha?
Se volete veramente fare una cosa seria, è questa la sede opportuna per affrontare questa delicatissima materia, che comunque rappresenta il cuore della riforma costituzionale che si vuole portare avanti. Allora - ripeto - l'attuale discussione nasce monca in partenza; peraltro adesso, accantonato l'articolo 1 del provvedimento, affrontiamo la discussione delPag. 30l'articolo 2, quello sulla riduzione dei parlamentari. Si discute della Camera dei deputati, e tale argomento lascia comunque aperte alcune questioni. Intendo affrontarne una in particolare: non si parla più di senatori a vita, ma, comunque di deputati che verranno nominati dal Presidente dalla Repubblica e di deputati di diritto in quanto ex Presidenti della Repubblica.
Considerato quanto è successo al Senato, dove vi è una maggioranza che va avanti grazie ai voti di senatori a vita, come Scalfaro, Ciampi e Rita Levi Montalcini, noi chiediamo che a questi deputati, nominati e non eletti, non sia dato diritto di voto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Fitto. Ne ha facoltà.
RAFFAELE FITTO. Signor Presidente, ritengo che la discussione attuale, che poteva avere un senso e poteva costituire una grande opportunità, considerato il tema in esame, abbia perso completamente di contenuto ma anche di tensione dal punto di vista politico, per scivolare in una polemica parlamentare che è il modo peggiore per iniziare il dibattito su un argomento simile.
Condivido il giudizio di quanti ritengono che in un momento di difficoltà del Governo si stia intensificando questa discussione nel semplice tentativo di spendere all'esterno il tema della riduzione dei parlamentari per dare un segnale all'opinione pubblica, il che certamente nulla ha a che vedere con l'intero impianto di riforma costituzionale di cui avrebbe bisogno questo Paese.
È importante sottolinearlo; infatti, così come poc'anzi ha osservato la collega Lussana, penso sia utile fare una valutazione che non prescinda da ciò che è accaduto negli ultimi anni in questo Paese: due riforme costituzionali, l'una varata e puntualmente entrata in vigore, l'altra bloccata dal referendum confermativo, che in modo evidente hanno affrontato, pur con alcune lacune, la grande questione della riforma costituzionale.
Non vi è dubbio che oggi non possiamo immaginare di calendarizzare una riforma costituzionale con questa fretta, senza che ci sia un quadro chiaro di riferimento ma soprattutto in un contesto nel quale non si affrontano i nodi reali che esistono in questo Paese e che in questi anni hanno prodotto situazioni di paralisi e di contrapposizione tra i livelli istituzionali; nodi la cui soluzione certamente non può essere rinviata.
Sinceramente non comprendo il senso delle dichiarazioni di chi oggi sostiene la necessità di varare la riforma in discussione, salvo poi affrontare successivamente altre modifiche a partire da quella che ritengo essenziale, vale a dire la riforma dell'articolo 117 della Costituzione. Quest'ultimo punto, infatti, non solamente definirebbe chiaramente il riparto delle competenze tra i diversi livelli territoriali ma avrebbe anche la funzione di snellire il rapporto tra le istituzioni: è la questione centrale sulla quale proprio la riforma varata dal centrodestra nella scorsa legislatura aveva avuto il merito di intervenire, cercando di superare il livello di contrasto emerso in modo sempre più chiaro da parte dei diversi livelli dello Stato e infrastatuali.
La riforma varata nel 2001 e che oggi è in vigore, ha elevato al massimo, con una percentuale che non ha confronti nel passato, il livello di conflittualità tra lo Stato ed i diversi livelli infrastatuali, in particolare tra regioni e Governo, specie con riferimento a molte leggi varate a livello regionale e impugnate dallo Stato e a molte leggi dello Stato impugnate, invece, dalle regioni.
Tutto questo non è solamente un esercizio di contrasto e scontro tra i diversi livelli istituzionali ma comporta, considerati i temi di cui stiamo parlando, anche una paralisi dell'intero sistema istituzionale. Quando le contrapposizioni vertono sulle grandi opere o in materia di distribuzione di energia o di professioni intellettuali, quando cioè si tratta di questioni che incidono sulla vita quotidiana del nostro Paese, non possiamo non tener conto che oggi vige una Costituzione che, Pag. 31con le sue attuali previsioni, determina grandi difficoltà e che soprattutto non offre soluzioni ma si pone invece come ostacolo nel rapporto con i cittadini.
Cosa potevamo fare oggi, anziché varare questa piccola parte di modifica costituzionale che non serve a nessuno, se non ad una maggioranza che pensa di poter allungare la vita del Governo in questo modo? Facciamo esattamente l'opposto: anziché prendere in considerazione le due riforme costituzionali, quella entrata in vigore e l'altra varata nella scorsa legislatura, e cercare di comprendere come, mettendole a confronto, si possano correggere l'una e l'altra negli aspetti negativi, prendiamo una parte dell'ultima, la modifichiamo e costruiamo un pasticcio che è così evidente da portarci, anche in fase di discussione in quest'Assemblea, a impiegare circa tre ore per rinviare l'esame di questo o di quell'articolo, fuori da un contesto e da un disegno.
Ciò dimostra in modo molto chiaro quale sia il livello di confusione che regna all'interno di questo testo ma, soprattutto, come all'interno di esso non vi sia alcun disegno strategico sui problemi reali, sui quali dovremmo confrontarci.
I problemi reali sono quelli cui facevo riferimento poc'anzi: affrontare, ad esempio, il funzionamento del Senato federale o la sua composizione. Però, se non affrontiamo contemporaneamente o, addirittura, come penso, preliminarmente il tema delle competenze da assegnare a livello regionale e dei rapporti tra i diversi livelli istituzionali, come si può pensare di dare oggi un'organizzazione dal punto di vista costituzionale al funzionamento delle istituzioni superando il bicameralismo perfetto che, com'è evidente, costituisce un assetto ormai non più sostenibile?
In tutto questo, non affrontiamo il nodo della questione, che è quello che regola i rapporti fra i diversi livelli istituzionali. Anche il dibattito riportato sul Corriere della sera nei giorni scorsi mostra come si stia continuando ad evidenziare il rischio per il nostro Paese, di battere, ancora una volta, un record: un'altra riforma costituzionale varata a colpi di maggioranza, che peraltro non possiede l'organicità propria delle due riforme precedenti e, soprattutto, ripete in modo clamoroso gli errori emersi da esse.
Per tale motivo, ritengo che sarebbe opportuno soprassedere a questa discussione e, soprattutto, sarebbe opportuno correggere le precedenti riforme senza voler dar vita necessariamente, per spirito di protagonismo, ad una nuova riforma. La riforma in discussione peraltro rinvierebbe - anche per chiara affermazione del presidente della Commissione e dei relatori - la definizione di questioni importanti ad un'ulteriore discussione. Dove mai si è visto e come possiamo noi pensare che questa discussione possa essere accompagnata, nell'ambito del confronto dei prossimi mesi e dei prossimi anni, anche da elementi che dovrebbero, poi, ulteriormente, integrare tali questioni? Come si può immaginare una riforma della seconda Camera attribuendo ad essa funzioni e procedure totalmente diverse, di confronto e partecipazione dei componenti del Senato federale indicati dai consigli regionali, con una modalità che, sicuramente, ha solo lo scopo - al quale abbiamo fatto riferimento in precedenti molteplici interventi - di far emergere in modo molto chiaro l'obiettivo della riduzione dei parlamentari? Analogamente deve dirsi per quanto riguarda l'organizzazione della votazione in Commissione; in questo Paese, c'è il «mal vezzo» di dare le notizie, di acquisire le notizie stesse e di far finta, poi, che esse diano un segnale chiaro in quella direzione.
Ebbene, noi non abbiamo voluto ridurre i parlamentari, perché questa riforma non potrà andare avanti. Questo Parlamento, infatti, sia alla Camera sia al Senato, non ha i numeri per poter andare avanti e procedere su questo percorso; soprattutto, poi, per dare ossigeno a questo Governo, stiamo rischiando di discutere - come affermavo poco fa - un «pezzo» di riforma costituzionale e, in modo del tutto disorganico rispetto alle grandi questioni che dovremmo affrontare, incanalarlo in un dibattito parlamentare che, a mio modesto avviso, non serve e che Pag. 32soprattutto, qualora il provvedimento dovesse essere realmente approvato nei prossimi mesi, rischierebbe di complicare ulteriormente la situazione e le condizioni di questo Paese.
L'urgenza - e concludo - che doveva essere affrontata, caro presidente Violante, era quella relativa alla modifica dell'articolo 117 della Costituzione. Lo affermo da ex amministratore regionale: il livello di conflittualità e di caos che è stato determinato dalla riforma del Titolo V della Costituzione - e che, sicuramente, ha costituito e costituisce un «blocco» nel nostro Paese sui grandi temi e sulle grandi questioni - rappresenta il vulnus principale che doveva essere affrontato come punto centrale di una riforma costituzionale.
Vorrei archiviare, mettere da parte, rinviare, aggiornare questo aspetto, perché ritengo che indebolisca totalmente l'impianto, già debole di per sé, del merito di questa modifica costituzionale. Essa non è assolutamente condivisibile dal punto di vista metodologico, ma - come ho poc'anzi spiegato, anche dal punto di vista del merito - ha gravi carenze che non possono essere valutate con i tempi e il dibattito di una legge ordinaria. Ritengo che sulla riforma costituzionale vi sia bisogno di un approccio differente.
Temo, tuttavia - e concludo così come ho iniziato - che questa legislatura stia portando (o punti a portare) avanti una riforma costituzionale che è espressione di equilibri molto fragili di una parte politica, che mette insieme sensibilità diverse pur di raggiungere una maggioranza su questo provvedimento, ma che non ha nulla di organico, non affronta le grandi questioni di cui questo Paese avrebbe fortemente bisogno né fornisce una risposta chiara.
Per questi motivi, non c'è dubbio che, in tale direzione, il nostro voto non può che essere contrario (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Murgia. Ne ha facoltà.
BRUNO MURGIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in sede di discussione sulle linee generali era già stato detto, con molta chiarezza, che tale provvedimento pur essendo importante, aveva l'aria di essere una sorta di escamotage con il quale la maggioranza di centrosinistra stesse cercando di occupare il tempo in attesa che la finanziaria, dopo l'esame al Senato, venisse inviata alla Camera.
I temi sono fondamentali e a nostro giudizio, si tratta sicuramente di una occasione perduta, perché ci sembra che il provvedimento in discussione in realtà sia una «scopiazzatura» abbastanza scadente di tutto il grande lavoro che il centrodestra ha portato avanti nella scorsa legislatura. Vi sono norme che appaiono come pallide fotocopie. Si tratta di un passo indietro. Inoltre, vi è un altro aspetto politico semplice, chiaro e lampante: la maggioranza non ha né la capacità di aprire un confronto serio e costruttivo sulle riforme, né la forza di approvare una modifica di tale importanza. Avrebbe potuto avere un senso ma, oggi, rappresenta soltanto un'occasione perduta.
Siamo certamente favorevoli a quanto previsto dall'articolo in esame sulla riduzione dei parlamentari. Tuttavia, quello che emerge e costituisce un altro aspetto da sottolineare è che quello che il centrosinistra propone sembra quasi essere una risposta al clima di antipolitica che pervade il Paese: cercare di curare la difficoltà mediatica facendo cose concrete.
Ci siamo già schierati contro il bicameralismo. Anche la giornata di oggi - questa confusione, il continuo portare avanti i temi per poi cercare di fermarli e rinviarli - la dice lunga sull'incapacità del Parlamento di essere concreto, chiaro e di fare le cose per bene.
Oggi il Parlamento non è nelle condizioni di essere operativo. Ci accorgiamo come si tratti quasi di una «rimasticazione», di un «palleggio» del discorso politico. È stato detto anche in precedenza - e concordo - che oggi saremmo dovuti arrivare a rivedere e discutere l'articolo 117 della Costituzione, perché abbiamo bisogno di uno snellimento nel rapporto Pag. 33tra i diversi livelli istituzionali, data la conflittualità molto dura tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, i quali, come vedremo durante la discussione del disegno di legge finanziaria, hanno pochi fondi e poche risorse al proprio attivo.
La nostra proposta è di rinviare non un solo articolo, bensì tutto il testo, fermarlo e aspettare tempi sicuramente migliori. Abbiamo anche espresso un parere e siamo, tutto sommato, interessati alla costruzione di un Senato federale. Tuttavia, vorremmo comprendere meglio, e per questo motivo non siamo d'accordo con il provvedimento in discussione, come il Senato dovrà essere eletto, quali funzioni, rapporti e capacità concrete abbia per fare le cose. Dobbiamo sicuramente rispettare l'autonomia.
ITALO BOCCHINO. Bravo!
IGNAZIO LA RUSSA. Bravo!
PRESIDENTE. Colleghi che succede?
ITALO BOCCHINO. Un momento di entusiasmo.
PRESIDENTE. Vi invito, tuttavia, a non voltare le spalle alla Presidenza.
BRUNO MURGIA. Dobbiamo equilibrare il rispetto e l'autonomia dei territori con la centralità dello Stato e la sua capacità di emanare le grandi leggi e dettare gli indirizzi della vita della comunità.
Il nostro voto di astensione, come abbiamo già detto anche altre volte, discende dal fatto che l'interesse nazionale non emerge chiaramente nel provvedimento in esame. Dobbiamo quindi valutare ancora meglio le competenze del Senato federale, e cercare di mettere in equilibrio quanto avviene nei singoli territori.
Vi sono tanti temi ancora aperti, come la TAV, le grandi opere di infrastrutturazione e il provvedimento, che viene portato avanti in un clima di grande difficoltà politica, con una maggioranza che noi riteniamo morta, dovrebbe essere ritirato e lasciato a tempi migliori.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Biancofiore. Ne ha facoltà.
MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la riforma costituzionale che una maggioranza sull'orlo del declino ha predisposto nel goffo tentativo di procrastinare una legislatura che volge a schizofrenica conclusione, non è seria né nel merito né nel metodo utilizzato, tanto da ottenere anche la dissociazione di uno dei partiti fondamentali della coalizione, il partito dei Comunisti Italiani, e l'astensione totale dei partiti di opposizione.
Ma il non plus ultra demagogico lo raggiunge proprio con la predisposizione dell'articolo 2, sulla riduzione dei parlamentari. Tentare infatti di approntare una riforma costituzionale alla fine di una stagione politica memorabile per negatività, è non solo scarsamente etico ma anche dannoso per la credibilità delle istituzioni, messe già a dura prova da un Governo incapace ed inadatto a governare, che ha «inspirato» l'ansia di rinnovamento della politica che esala dal Paese. È un'ansia che il futuro Governo Berlusconi intende raccogliere attraverso una stagione di riforme serie e condivise dalla maggioranza dei cittadini italiani, riforme già varate nella scorsa legislatura e che a causa della faziosità della maggioranza di sinistra sono state scientificamente smembrate, sezionate, proprio a partire dall'ampia riforma in senso federale dello Stato approvata in maniera compatta dalla maggioranza assoluta dello scorso Parlamento e sottoposta a referendum popolare.
Le stesse forze che oggi ripresentano questa strumentale riforma atta a dimostrare un'efficienza inesistente del Governo Prodi hanno posto in essere una campagna propagandistica indecente per affossare quella vera riforma costituzionale, che declinava in maniera corretta il termine federalismo e che già dimezzava il numero dei parlamentari e dava vita al Pag. 34Senato federale, ma soprattutto riportava responsabilmente in campo allo Stato competenze alle quali nessuna nazione può rinunciare: strade, ferrovie, energia, insomma le grandi reti infrastrutturali. Basti viceversa pensare che, sempre per clientelismo e necessità di sopravvivenza, il vostro Governo ha svenduto circa il 30 per cento dell'energia alle amministrazioni locali, fomentando il senso di disparità che attanaglia il sistema regionale del Paese e che sta dando vita all'increscioso fenomeno dei referendum disgregrativi dei confini regionali previsti dalla nostra Costituzione.
Per voi del centrosinistra, infatti, federalismo è sinonimo di clientelismo regionale, nel quale siete maestri, governando senza ricambio politico-istituzionale ininterrottamente ben sei regioni del centronord: microsecessioni, e dunque creazione di piccole patrie che divengono veri e propri Stati nello Stato, lontani dai principi di quell'Europa dei popoli il cui cardine è l'ideale di sussidiarietà. Non è un caso che con l'approvazione frettolosa e non ponderata della riforma del Titolo V da parte di un centrosinistra, giunto anche in quel caso al capolinea nel 2001, con soli tre voti di maggioranza, si è ingenerato nel Paese un conflitto interistituzionale che non conosce pari in Europa, e che ha ingolfato la Corte costituzionale di ricorsi tra lo Stato e le regioni e province autonome.
Questo è tanto più grave, peraltro, in un Paese che storicamente ha avuto difficoltà nel riconoscersi unito in una patria. Federalismo, infatti, al contrario di quello che vuol far credere la sinistra, viene dal verbo latino foedero, che significa unire, non dividere, e il potere appartiene al popolo che lo esercita attraverso le istituzioni locali scelte per via diretta.
Si tratta dunque di unire una patria, ma secondo quei cardini federali che comportano, innanzitutto, una relativa riforma della pubblica amministrazione della quale nel provvedimento al nostro esame non vi è traccia, come non vi è traccia del presidenzialismo, della sfiducia costruttiva, della norma «antiribaltone» ed anche delle competenze effettive del Senato federale.
Mi unisco, pertanto, alle recenti parole del professor Giovanni Sartori: come già in passato questo centrosinistra - aggiungo io - svende il Paese per trenta denari (ed ha ragione che con una declinazione scorretta si aumentano vertiginosamente i costi di una politica già oggetto del montare dello scontento da parte dei cittadini).
Il federalismo del centrosinistra non snellisce l'apparato dello Stato, ma centralizza, burocratizza gli apparati locali. Basti pensare che in alcune realtà esemplari - federaliste o autonomiste che dir si voglia - l'accentramento burocratico ed il relativo condizionamento palese sono tali che si arriva ad avere circa 44 mila dipendenti pubblici su 400 mila abitanti, quando la regione Lombardia, amministrata dal centrodestra, ne ha appena tremila.
A ciò va aggiunto il paradosso che non vi è stato per lo più - con la riforma federale del Titolo V - alcun passaggio di competenze dalle regioni e province autonome agli enti istituzionali più vicini ai cittadini, cioè province e comuni, tradendo con ciò l'obiettivo primario del federalismo, cioè quello di avvicinare quanto più possibile il cittadino alle istituzioni, ponendo dunque la pubblica amministrazione (una pubblica amministrazione orientata ai principi di trasparenza, imparzialità e legalità) al servizio del popolo amministrato.
Il federalismo deve, quindi, condurre all'obiettivo di sgombrare il campo da leggi complicate e poco comprensibili, da regolamenti e procedure che servono soltanto agli apparati burocratici per consolidare il loro potere verso i cittadini.
Il sistema italiano è un sistema in cui tutto è vietato, salvo ciò che è espressamente consentito: i nostri valori di libertà, che si sposano ad un corretto principio di federalismo, ci impongono di ribaltare questo criterio, stabilendo finalmente che ogni attività del privato è consentita, salvo quelle che nell'interesse superiore della Pag. 35collettività sono espressamente vietate. Con un corretto federalismo nessun cittadino, ad ogni livello istituzionale, dovrà più sentirsi suddito; al contrario, dovrà essere protagonista, libero da condizionamenti, ricatti e paure nei confronti certamente dello Stato, ma anche degli enti istituzionali derivati, ancora più pericolosi se non vi è una declinazione corretta del federalismo, in quanto nel piccolo i condizionamenti si fanno più pesanti, il controllo più assiduo e soffocante, e gli sprechi si moltiplicano.
Non è un caso che nella nazione europea federale per eccellenza, la Germania, grandi landër come la Sassonia, l'Alta Sassonia e la Turingia hanno deciso di riunificarsi in un'unica regione (in un'unica macroregione), per porre fine al moltiplicarsi delle spese e degli apparati. Ciò accade in un federalismo maturo come quello tedesco, che si accompagna anche al federalismo fiscale.
In Italia, viceversa, assistiamo ad autonomismi eccessivi che vivono sul paradosso delle più ampie competenze foraggiate dagli ingentissimi trasferimenti statali, ovvero il contrario del federalismo. Ed è, dunque, facile amministrare ampie competenze essendo di fatto ricchi dipendenti dello Stato, invece che imprenditori che si debbono procacciare mezzi per amministrare le competenze relative.
Venendo nel dettaglio più stridente del «progettino» costituzionale in questione, ciò che emerge con forza è la complicazione ulteriore del testo costituzionale, che dovrebbe essere per antonomasia snello, specie per quanto riguarda le modalità di elezione del Senato federale, dove viene meno uno dei cardini costituzionali a me personalmente più caro, ovvero il suffragio universale, grande conquista delle democrazie.
Non si tratta di una «cosetta» da nulla, visto che il federalismo si accompagna necessariamente con quello che viene definito il voto fiscale, cioè l'elezione diretta da parte dei cittadini dei loro rappresentanti, e di conseguenza con l'introduzione del principio in base al quale il cittadino paga le tasse, elegge i suoi rappresentanti più prossimi e, quindi, valuta il modo in cui le maggioranze esercitano il loro mandato.
Solo così si realizza un rapporto di verifica continua e diretta da parte dei cittadini, che garantisce la trasparenza e che può tornare utile anche agli amministratori o ai rappresentanti politici, e che con una riforma siffatta viene totalmente meno.
In ultimo, vi è da sottolineare una delle tante specificità della mia terra - l'Alto Adige o provincia autonoma di Bolzano che dir si voglia -, che ancora una volta nel testo costituzionale in discussione non viene garantita per quanto attiene la minoranza territoriale, ovvero quella del gruppo linguistico italiano.
In Commissione avevo presentato un emendamento all'articolo 57 della Costituzione, che fissava il principio generale, come dovrebbe essere in un testo costituzionale, della garanzia di elezione di almeno un senatore appartenente al gruppo linguistico italiano in Alto Adige.
Tale proposta era già prevista dalla misura 111 del pacchetto di legge per le popolazioni altoatesine che ha rango costituzionale e che è stata, ad opera degli interessi del centrosinistra italiano e altoatesino, nelle ultime due elezioni politiche, completamente disattesa con un aggiramento strategico che ha portato il centrosinistra alla desistenza con il partito di maggioranza etnica locale e dunque all'elezione anche del terzo senatore di lingua tedesca.
Con apposita norma di attuazione, nel 1992, l'ex Presidente della Repubblica Ciampi, all'epoca dei fatti Presidente del Consiglio, varò un provvedimento sulla base della misura 111 che ridisegnava i confini del collegio elettorale Bolzano-Bassa Atesina, attribuendo in base alla proporzionale linguistica il seggio uninominale al gruppo linguistico italiano. Di questa necessità, sostenuta costituzionalmente, nel testo oggetto oggi della lettura dell'Assemblea non vi è traccia e il mio emendamento è stato bocciato, sempre per motivi legati al familismo politico e alla Pag. 36sopravvivenza stessa di un Governo in agonia e caratterizzato dalla logica del ricatto.
Concludendo, dunque, do ragione al professor Sartori. Un federalismo siffatto, figlio non di convinzioni nel centrosinistra ma di antiche rincorse ai programmi e soprattutto alle idee della Casa delle libertà, che fomenta la paralisi burocratica e le distorsioni clientelari, non va attuato ma disattivato e il professor Sartori non è certamente l'unico a pensarlo, ma nemmeno più a dirlo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Allasia. Ne ha facoltà.
STEFANO ALLASIA. Signor Presidente, in ordine al provvedimento in esame vi è un'assoluta confusione mentale da parte della maggioranza. Da un lato, salta da un articolo all'altro, in modo tale da ingenerare confusione, non tanto per gli addetti ai lavori, ma per il pubblico esterno che non comprende cosa stia avvenendo e, dall'altra, contingenta i tempi e fa apparire che vogliate correre ai ripari dopo i disastri elettorali, affrettandovi ad approvare questa «pseudoriforma» costituzionale il più rapidamente possibile, quasi che abbiate paura di non mangiare il panettone.
Iniziando l'esame dal testo, sicuramente si tratta di un provvedimento confuso perché non si parla assolutamente di riforme. Era molto più chiaro, a mio avviso e secondo la Lega, scrivere un bel testo sulle riforme costituzionali ma forse la vostra maggioranza aveva qualche problema. Da parte nostra sicuramente vi sarà un possibile appoggio per questa «pseudoriforma» costituzionale. Infatti, chi è contrario alla riduzione del numero dei deputati da 630 a 500? Siamo stati ben felici di approvare nel 2005 una riforma costituzionale analoga, dove si prevedeva una forte riduzione del numero dei deputati e dei senatori. Chi è contrario alla riduzione dell'età per l'elettorato passivo prevista in 18 anni per la Camera dei deputati? Chi è contrario alla riforma del bicameralismo perfetto, al rafforzamento del Governo in Parlamento, alla riforma della decretazione d'urgenza, alla revisione della forma di Governo e chi è contrario (arrivando alla previsione interessante per la Lega) alla nuova composizione del Senato federale ispirato ad un modello simile, ma con rilevanti differenze, al Bundesrat tedesco, con una rilevante impronta federalista e perciò con una decisa impronta di Senato federale.
Siamo assolutamente favorevoli a tutte queste proposte e lo abbiamo già preannunciato nella passata legislatura con una riforma costituzionale sfortunatamente bocciata da un referendum che tutti ricordiamo. Tuttavia, occorre cominciare da una citazione di Gianfranco Miglio, uno dei padri del federalismo in Italia, che affermava che federalismo significa stare con chi si vuole e con chi ci vuole.
In pratica, si afferma che alla base del federalismo vi è il principio di autodeterminazione dei popoli, per cui un popolo, una regione, una comunità decide di stare con chi vuole e può stare con un'altra comunità solo se essa lo vuole. È questo il principio cardine che Gianfranco Miglio attribuiva al federalismo. Partendo da tale principio, il tipo di federalismo indicato dal testo unificato delle proposte di legge costituzionale in esame è logicamente un federalismo «all'acqua di rose». Tornando alla proposta del 2005, alla riforma della Casa delle libertà - un'occasione sprecata per il Paese - essa poteva rappresentare il modo per arrivare ad un federalismo veramente compiuto e ad un federalismo fiscale, attribuendo responsabilità amministrative ed economiche alle regioni ed agli enti locali. Tuttavia, i partiti del centrosinistra e quella parte del Paese che non vuole le riforme si sono messi contro. Abbiamo perso un'occasione, forse l'ultima che il Paese aveva, per provare ad autoriformarsi. Chi oggi viene in quest'Aula a proporre questa riforma deve prima assumersi le responsabilità politiche verso il Paese per non aver fatto passare la predetta riforma, che sul federalismo era molto più ampia e compiuta rispetto al testo che stiamo discutendo e che in Pag. 37seguito affronteremo nel merito. Vediamo certo con favore tale aspetto della riforma perché, trattandosi di federalismo, la Lega Nord non può che vedere in modo positivo la forma del provvedimento. Tuttavia, quando ne verifichiamo la sostanza abbiamo molti dubbi. Si parte, infatti, dalla riforma del Titolo V della Costituzione realizzata dal centrosinistra nel 2001 che ha creato una sorta di ingorgo costituzionale, per quanto riguarda il riparto di competenze tra Stato e regioni. La competenza legislativa concorrente, così com'era stata pensata dall'articolo 117 della Costituzione, ha creato un ingorgo in tema di riparto di attribuzioni per materia, per cui ancora oggi è oggettivamente problematico cercare di dirimere le relative controversie.
La riforma della Casa delle libertà cercava di rimuovere, seppur parzialmente, i predetti limiti perché, attribuendo alle regioni la competenza esclusiva per quanto riguarda la scuola, la sanità e la polizia locale, si cominciava a conferire attribuzioni importanti, non «acqua fresca». Sappiamo, infatti, che la sanità e la scuola costituiscono competenze rilevanti e che in seguito si sarebbe ottenuta la gestione finanziaria relativa a tali materie. Ed è in tale ambito, in materia sanitaria soprattutto, che si verificano gli sprechi importanti all'interno del nostro Paese. Si trattava di un inizio ed è stato bocciato. Siamo tornati al Titolo V del centrosinistra e siamo ancora di fronte ai problemi di riparto di competenza per quanto riguarda la legislazione concorrente, per cui non si sa chi debba legiferare tra regione e Stato, e in tal modo si provoca un ingorgo; un ingorgo dovuto alla vostra confusione mentale.
Riprendo alcune dichiarazioni del 2005 di alcuni vostri leader che, per vostra incapacità interna, non sono leader coerenti ed autorevoli: o discutono di politica o discutono, come qualcuno ha riferito in precedenza, «di pizza e fichi». Dall'opposizione il leader dell'Unione, Romano Prodi, nel 2005 dichiarava: «L'opposizione è compatta sul «no». Esprimo una profonda amarezza come cittadino e come uomo politico per una riforma che cambia radicalmente il volto della nostra Repubblica e della democrazia italiana. È una riforma incoerente e squilibrata che svuota il Parlamento senza rafforzare davvero la capacità di governare; che rende il Presidente del Consiglio fortissimo con la Camera dei deputati e debolissimo con il Senato; che rende interminabile il procedimento legislativo; che sottrae potere al Presidente della Repubblica e umilia tutte le istituzioni di garanzia; che crea un Senato privo di ogni reale rappresentatività delle regioni e delle autonomie locali, mentre si ampliano le competenze regionali sino al punto di mettere a serio rischio, aprendo la via a inaccettabili disparità tra i cittadini, la stessa unità sostanziale della Repubblica». Di analogo tenore erano altre dichiarazioni di Gavino Angius, allora esponente dei Democratici di Sinistra, di Bordon, esponente della Margherita, i quali facevano appunto dichiarazioni simili a quelle dell'allora leader dell'Unione, Romano Prodi, denunciando che la Casa delle libertà era ostaggio, era sotto ricatto della Lega Nord e della sua fantomatica Repubblica padana. Vi dico ora, come allora dicevamo: magari! Non saremmo stati ora in quest'Aula a discutere di riforma costituzionale. Il progetto di riforma che oggi si discute non si occupa degli aspetti che secondo la Lega Nord sono importanti. Non si modifica l'articolo 117.
In altre parole: non si indicano con chiarezza le competenze esclusive delle regioni e non si parla di federalismo fiscale; infatti, alla fine, come è stato già affermato, si deve contare sui soldi per tentare di formare il Paese. La Lega Nord sarà sempre in Aula, in ogni ente e in ogni istituzione quando si discuterà di riforma costituzionale perché dobbiamo e vogliamo ritornare a essere padroni a casa nostra (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, anzitutto credo che non possiamo Pag. 38discutere di singoli articoli poiché una riforma costituzionale non può che essere un unicum organico in cui tutto è collegato, anche perché ritengo che in materia di riforma delle istituzioni - lo ripeto: stiamo parlando di organizzazione dello Stato, non della parte prima della Costituzione - qualsiasi scelta può essere giusta e l'importante è che le scelte siano tra loro coerenti. Perciò credo che il tema del Senato federale sia fondamentale per molte ragioni.
Le Costituzioni, come sappiamo, si modificano per due ragioni: o per grandi rivolgimenti sociali, dunque quando cambiano completamente il corpo sociale e i rapporti nell'ambito del corpo sociale che una nazione esprime; o quando il passare del tempo rende necessario l'adattamento delle norme costituzionali concepite in epoche storiche differenti e, dunque, si tratta di adeguamenti, non di riforme sostanziali che intaccano l'equilibrio complessivo della Costituzione. In questa seconda ipotesi, che ritengo sia quella sulla quale oggi ci confrontiamo, ovviamente l'approccio dev'essere estremamente umile, nel senso che occorre individuare i punti della Costituzione del 1948 che ormai richiedono quell'adeguamento storico necessario per il semplice passaggio del tempo e, oltretutto, come si suole dire, per il formarsi di una costituzione materiale che ormai supera il dato costituzionale.
L'approccio che abbiamo dato alla riforma in discussione è proprio questo, e ritengo che sia molto corretto perché è avvenuto nella sede del Parlamento. Ricordo, infatti, a me stesso che abbiamo vissuto una stagione di riforma costituzionale (quella della XIV legislatura), nella quale l'equilibrio della Costituzione non veniva studiato in Parlamento, ma a Lorenzago dai famosi «quattro saggi», che poi ne hanno combinate di tutti i colori, e che certamente non sono riusciti a trovare quell'equilibrio che era necessario. Invece, in questa occasione stiamo discutendo nella sede che deve lavorare per riformare la Carta costituzionale - prima nella Commissione affari costituzionali, ora nell'Aula parlamentare - oltretutto, con la scelta di due relatori che ringrazio per la loro bravura e per la capacità d'interagire tra loro, nonostante abbiano provenienze politiche così diverse. Credo, quindi, che questo sia, oggi, il merito dell'approccio con il quale stiamo riformando la Costituzione nell'attuale legislatura.
Francamente, mi sorprende la «melina» che alcune forze dell'opposizione stanno mettendo in atto, in particolare sui temi su cui si è discusso oggi, tra i quali figura quello dell'attribuzione delle risorse alle regioni e del loro trasferimento dallo Stato alle regioni, che è già compreso nella riforma del Titolo V della Costituzione varata nella XIII legislatura. Non mi pare che le forze politiche che hanno governato nella XIV legislatura e, in particolare, la Lega, si siano mai preoccupate in cinque anni di dare attuazione all'articolo 119 della Carta costituzionale. Abbiamo avuto tutto il tempo per fare un'operazione di questo tipo e non occorre alcuna modifica costituzionale perché il tema è già presente nella Costituzione; si tratta di attuarlo e di realizzare ciò che stranamente la Lega, quando ha governato, non ha fatto minimamente.
Allora, oggi credo che il tema di fondo, sul quale dobbiamo concentrarci, specie in ordine alla riforma del Senato, sia l'adeguamento della struttura del Senato stesso alla riforma del Titolo V della Costituzione. Questa è la motivazione principale. Troppe volte, infatti, noto collegare il tema dei costi della politica a quello della riforma costituzionale: questo collegamento, a mio avviso, è aberrante. Non si deve ridurre il numero dei deputati e dei senatori perché costano troppo: mi auguro che si voglia ridurre il loro numero per rendere gli organismi più efficienti ed efficaci nella loro azione politica. Le Costituzioni si riformano per questioni ben più di fondo e non per qualche tema che, oggi, è di moda sui giornali e tra la gente.
Al contrario, il tema su cui dobbiamo confrontarci è come riformare, oggi, gli articoli 57 e 70 della Costituzione in relazione alla riforma del Titolo V. Infatti, è fuori discussione che tale riforma rimarrà incompiuta se non adeguiamo il Pag. 39Senato alle necessità che nascono dalla riforma del Titolo V, dall'articolo 117 della Costituzione ed altro.
Quindi, oggi, il problema da affrontare è capire come si deve costruire il Senato federale e il rapporto e l'equilibrio tra Stato e regioni. Si è constatato, infatti, che alla stregua della riforma del Titolo V della Costituzione (quindi dell'inevitabile contrasto che si è verificato tra Stato e regioni anche nell'interpretazione dell'articolo 117 della Costituzione), la camera di equilibrio del contrasto si è trasferita al di fuori delle aule parlamentari, ovvero in una sede sostanzialmente impropria, quella della Corte costituzionale e del conflitto di attribuzione. Ciò non può accadere, in quanto i conflitti tra Stato e regioni devono trovare un luogo in cui essere affrontati ben prima che diventino conflitti, ovvero devono trovare un luogo di compensazione in un'aula parlamentare che non può che essere il Senato federale. Solo in questo modo avremo compiutamente realizzato la riforma della Costituzione e avremo dato seguito compiuto alla riforma del Titolo V.
Qualcuno ha sostenuto che ciò era stato realizzato nella scorsa legislatura. Francamente trovo un po' paradossale questo dibattito, alimentato molte volte da Forza Italia (lo ha affermato spesso il collega Boscetto). Il leader di Forza Italia invoca continuamente l'elettorato, in quanto quest'ultimo è sovrano. Tuttavia, quando la riforma della Costituzione è stata bocciata dall'elettorato, si è sostenuto che è stato un nostro errore: mi sembra una contraddizione politica che qualcuno dovrebbe affrontare. La riforma della scorsa legislatura è stata bocciata dall'elettorato, in quanto era sbagliata, non coerente al suo interno e presentava la necessità di trovare un equilibrio tra forze politiche che non avevano una concezione unitaria della Costituzione. Quindi, da quell'equilibrio politico è nata una riforma della Costituzione non equilibrata, un Senato che non era affatto federale e tutto un meccanismo legislativo, tra cui un articolo 70 della Costituzione che era assolutamente inapplicabile e avrebbe creato la paralisi legislativa. Oggi, dobbiamo fare tesoro di quell'esperienza.
Abbiamo combattuto - anche il Presidente Leoni lo sa bene essendo, all'epoca, uno dei membri della Commissione affari costituzionali - e abbiamo dimostrato che era una riforma sbagliata. Tuttavia, da quell'errore e da quella riforma dobbiamo trovare gli strumenti per capire come riformare correttamente la Costituzione, in particolare gli articoli 57 e 70, che sono norme strettamente collegate. È ovvio che la composizione del Senato e l'attribuzione delle funzioni sono norme assolutamente collegate tra loro. Abbiamo proposto la soluzione che consiste, effettivamente, in un Senato federale.
Sia ben chiaro, infatti, che, nella scorsa legislatura, al di là del nomen di Senato federale che fu attribuito all'istituzione, in realtà fu costruita una semplice seconda Camera politica, che non aveva nulla di federale. Erano previsti un sistema di elezione uguale a quello previsto per la Camera - sfalsato nei tempi, ma con le stesse modalità - ed una composizione del Senato proporzionale alla popolazione: la negazione del federalismo e del Senato federale. Quest'ultimo, infatti, deve scollegarsi dalla popolazione, ma deve collegarsi ai territori, dei quali deve essere espressione, a prescindere dalla quantità di popolazione che vive sui territori stessi. Questo, effettivamente, significa Senato federale ed è quello che stiamo costruendo nella legislatura in corso: ritengo che ciò costituisca un notevole passo avanti e una soluzione equilibrata rispetto alle esigenze che dobbiamo raggiungere, che sono necessità fondamentali. Ormai da alcuni anni, infatti, viviamo una fase di conflitto tra Stato e regioni che non può essere naturale: si tratta di una fase conseguente a una riforma molto complessa e anche molto radicale, ma la situazione di conflitto verificatasi in questi anni deve essere recuperata e, appunto, riportata nella sede competente, ossia in un luogo dove Stato e regioni si possano adeguatamente parlare. Questa è l'elaborazione dell'articolo 57 della Carta costituzionale, così come Pag. 40l'abbiamo prevista nel testo unificato delle proposte di legge costituzionale in discussione.
Analogo discorso vale per l'articolo 70 della Costituzione, che era il punto più delicato. Qualsiasi organo, infatti, può essere bloccato; la storia e la politica ci insegnano che subentra sempre qualche altra cosa: il mondo e la storia vanno avanti, ma non si può bloccare la funzione legislativa di un Parlamento. Con il meccanismo creato nella scorsa legislatura, sostanzialmente si impediva l'attività legislativa, perché si era costruito un procedimento così complesso e inapplicabile che probabilmente queste aule con molta difficoltà avrebbero approvato le leggi. Oggi, invece, abbiamo pensato a un meccanismo che recupera fortemente il rapporto Stato-regioni nelle materie di competenza dello Stato e delle regioni; in tale sede, quindi, possiamo elaborare la soluzione, o addirittura prevenire i conflitti tra Stato e regioni: ciò rappresenta l'unico modo per far funzionare correttamente il nostro Stato. Ovviamente, la Camera deve avere l'ultima parola, perché la funzione legislativa deve comunque avere una sua rapida conclusione: questo è un altro dei temi sui quali bisogna lavorare.
Ritengo necessaria, poi, una riflessione ulteriore - che però non attiene molto a questo argomento - sul tema dell'efficienza del potere legislativo, sul quale molte volte discutiamo in occasione di riforme costituzionali. Forse, sarebbe molto più opportuno se intervenissimo anche sui Regolamenti di questo consesso: otterremmo risultati altrettanto efficaci sotto il profilo dell'efficienza del Parlamento. Dobbiamo cominciare a svolgere una riflessione seria, non solo sulla riforma dell'articolo 70 della Costituzione - quindi, del bicameralismo perfetto - ma principalmente sui meccanismi di funzionamento delle Aule parlamentari, che non richiedono alcuna modifica costituzionale, ma un semplice adeguamento storico a tutte le altre Assemblee e a tutti gli altri consessi che, ovviamente, si sono adeguati all'evoluzione, ai tempi e ai ritmi della storia. In Parlamento, invece, non ci siamo ancora riusciti: credo che il prossimo sforzo da compiere dovrà essere questo (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Briguglio. Ne ha facoltà.
CARMELO BRIGUGLIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro ormai è diventato un rito piuttosto stanco: lo svolgimento di questo dibattito sembra l'eterno ritorno di una stagione di discussioni interminabili che in Parlamento, intorno alla riforma della Costituzione e alle riforme istituzionali, la ruota del tempo ci propone.
Si tratta di una serie interminabile di dibattiti che, storicizzando quanto è accaduto in questi anni, non sboccano mai in un cambiamento reale e in una vera e profonda trasformazione delle nostre istituzioni. Eppure, dinanzi a questa consapevolezza e alla domanda che potrebbe pervenire sia dagli osservatori sia dalla pubblica opinione, noi di Alleanza Nazionale e del centrodestra, che partecipiamo a questo dibattito, crediamo di poter rispondere con l'etica del dovere e della responsabilità, ma anche con il senso della nostra presenza politica e con le radici profonde del nostro essere forza politica in questo Paese, che sono nel nostro DNA culturale. Destra politica per noi significa, infatti, pensare immediatamente alla grande riforma delle istituzioni e della Costituzione.
La volontà di cambiare a tutti i costi la Costituzione e le istituzioni trova fondamento nella nostra memoria storica e in tutto il percorso e l'evoluzione politica e culturale di questi anni, dal dopoguerra ad oggi, anche attraverso le leadership politiche, da Giorgio Almirante - lo voglio ricordare - che fu uno dei primi nella storia del dopoguerra italiano a immaginare la riforma delle istituzioni, fino a Gianfranco Fini e all'attuale classe dirigente della destra politica e del centrodestra, che sulla riforma delle istituzioni hanno scommesso. Tant'è vero che appena nel 2006 il Governo di centrodestra non Pag. 41soltanto immaginò, ma riuscì a mettere in campo e a far approvare dal Parlamento una grande riforma delle istituzioni, che non ebbe fortuna soprattutto perché ci fu la rabbiosa, immotivata e anche irrazionale reazione del centrosinistra - eppure, oggi dal centrosinistra sentiamo tanti richiami a una improbabile comune responsabilità - che portò fino allo svolgimento del referendum, che pose termine al tentativo e all'opportunità di cambiare nel profondo le nostre istituzioni e la Costituzione italiana.
Oggi siamo punto e a capo: vi è la richiesta di una comune responsabilità e solidarietà, cui corrisponde da parte nostra un atteggiamento che, nonostante le riserve e le perplessità, è comunque di attenzione e partecipazione. Lo testimonia anche il fatto, che noi riteniamo altamente positivo, che un parlamentare autorevole del nostro gruppo, l'onorevole Bocchino, condivida la responsabilità di relatore di questo provvedimento.
Un provvedimento che, però, come testimonia anche l'articolo 2 del testo, manca di una visione e di una missione orientata al cambiamento. Sembra l'ennesimo passo tattico, l'ennesima strizzatina d'occhio per poter superare un momento difficile per il Governo, un'impasse, una difficoltà per una maggioranza che ha bisogno di tempo per tirare a campare, e quindi per puntare, rispetto al tema e allo spessore politico e culturale delle questioni che stiamo discutendo, a un obiettivo troppo piccolo: quello di dare fiato e tempo a un Governo che ne ha bisogno.
La prima osservazione che vogliamo avanzare è che, da parte nostra, vi è coerenza con le posizioni del passato, mentre da parte del centrosinistra vi è una posizione assolutamente strumentale; un centrosinistra che anche in occasione della riforma del 2006 si dimostrò incapace di innovare. Si registra comunque un riflesso teso a conservare nel profondo la Costituzione attuale, ad apportare cambiamenti minimi ed operare piccole riforme, mentre il grande obiettivo di un cambiamento effettivo, che noi avevamo nel 2006, è stato accantonato.
In qualche modo è stata un'occasione perduta, anche questa; infatti abbiamo assistito due volte ad atteggiamenti del centrosinistra legati alla tattica e non al respiro delle grandi riforme: sia nel 2001 quando si impose, nel Parlamento, una maggioranza che per quattro voti cambiò la Costituzione, senza tener conto dell'apporto dell'opposizione, nell'illusione, alla vigilia di elezioni politiche importanti, di scavalcare, in particolare sul federalismo, le posizioni della Lega, con tesi addirittura più oltranziste; sia oggi, perché tiene una posizione che definirei tattica e strumentale.
Ma già allora, nel 2001, quella del centrosinistra fu una posizione - lo vogliamo ricordare in questa occasione, per ciò che più profondamente ci riguarda - che arrecò grandi danni all'architettura costituzionale del nostro Paese e a noi, che siamo una forza politica nazionale legata al valore dell'interesse nazionale. Si giunse a cancellare non solo una norma, un concetto giuridico, ma un vero e proprio valore: l'interesse nazionale, il quale fu eliminato dalla Carta costituzionale.
L'interesse nazionale è un valore strategico, che vediamo ormai largamente praticato in Europa. Da altri Paesi - dalla Francia di Sarkozy ma anche dalla Germania di Angela Merkel, dalla Russia, dal Giappone e perfino dalla Cina - giungono lezioni, esempi e modelli che attestano quanto sia importante, per gli equilibri del mondo, coltivare l'interesse nazionale, anche come valore strategico.
Oggi assistiamo anche ai piccoli opportunismi della piccola politica, che ci costringe ad essere assorbiti, giorno dopo giorno, da un testo, da valutazioni, da un dibattito, da infinite discussioni che poi sappiamo che ben difficilmente potranno portare ad una conclusione operativa. Eppure noi affrontiamo nel merito, ma anche nella loro ispirazione, le modifiche che sono contenute nel provvedimento sottoposto alla nostra attenzione (dalla riduzione dei parlamentari all'istituzione del Senato delle regioni, fino al rafforzamento del Governo e dei poteri del Presidente del Consiglio).
Tutto ciò avviene perché siamo interessati che comunque si discuta e venga immaginata una riforma della Costituzione e una ricostruzione del concetto stesso di Stato nazionale. In Europa e nel mondo vi è un desiderio, un trend di ritorno molto chiaro verso gli Stati nazionali e alla necessità di Costituzioni efficienti; un ritorno a nazioni che abbiano la possibilità di edificare una statualità che presenti forza, consenso, fiducia, autorità e senso di una missione.
Ritengo che abbiamo tutti il dovere di tendere verso una modifica della Costituzione e verso un ripensamento dello Stato anche attraverso un dibattito che, come questo, presenta grandi limiti. L'Italia, senza una nuova statualità, una nuova Costituzione, un processo legislativo efficiente e dei vertici che abbiano autorevolezza e consenso reale da parte dei cittadini non può stare in Europa e nel mondo; oggi l'Italia non conta nulla anche perché non ha processi costituzionali celeri ed efficienti.
Siamo di fronte ad una Costituzione che, con false riforme, è arrivata addirittura a delegare la politica energetica alle regioni e agli enti locali; abbiamo, pertanto, bisogno di ricostruire una nuova statualità anche attraverso una nuova Costituzione o con modifiche profonde del nostro sistema istituzionale. Ciò è necessario soprattutto perché parliamo di un Paese che ha dato in appalto a bande criminali quasi metà del territorio nazionale; faccio riferimento anche a quelle altre bande criminali, provenienti da fuori del nostro Paese, artefici di fatti di cronaca, come ad esempio quello di cui abbiamo parlato in questi giorni e che ha destato la nostra attenzione. Faccio, altresì, riferimento alla notizia secondo la quale nel nostro Paese la mafia presenta un fatturato superiore addirittura ad aziende come la FIAT. Tutto ciò sta a dimostrare la necessità di rifondare le istituzioni, per renderle autorevoli ed avere uno Stato forte.
Dobbiamo avere una visione importante di quello che facciamo; non ci dobbiamo sottrarre alla sfida delle correnti politiche e culturali che in Europa ci richiamano ad un tale dovere. Noi dobbiamo considerare anche questo dibattito come un servizio reso alla comunità nazionale. Non ci siamo arroccati e non ci arrocchiamo. Abbiamo le nostre riserve e partecipiamo pienamente al dibattito pur nella consapevolezza che questa non è la stagione giusta, non un momento strategico ma tattico, inventato dalla maggioranza proprio per superare un periodo difficile.
Noi non abbiamo nemmeno paura di affrontare questioni come quella dell'istituzione del Senato federale che forse molti ritenevano avrebbe potuto mettere in difficoltà una destra politica che nell'ambito della Casa delle libertà rappresenta il partito della nazioni.
Riteniamo che il federalismo, che noi immaginiamo tricolore ovvero sintesi della nazione e delle varie articolazioni del sistema istituzionale italiano, sia un qualcosa di accettabile e che, nei limiti dell'unità nazionale, possa favorire il processo legislativo e il superamento di un bicameralismo che oggi probabilmente non è in linea con le moderne architetture costituzionali europee.
Tuttavia per noi vi sono dei punti importanti ai quali non possiamo assolutamente rinunciare, uno dei quali è certamente il bipolarismo, che non fa parte e non è formalmente iscritto nella Carta costituzionale, ma che è l'essenza e - direi - il patrimonio più importante e che rappresenta il cuore della Costituzione materiale dell'Italia contemporanea, cui le forze politiche insieme, e in particolare il centrodestra e la destra politica italiana a partire dal 1994, hanno dato un contributo importante e determinante. Per noi tutto ciò è assolutamente irrinunciabile.
Noi non possiamo iscrivere nel dibattito sui costi della politica - dico ciò sia sul piano politico sia anche, se mi consentite, su quello personale - la riduzione del numero dei parlamentari.
Vedete, passerà questo momento in cui tutti siamo spinti da tensioni emotive autentiche o dalle pressioni mediatiche, e poi dovremo anche riflettere su quale sia la Pag. 43sostanza vera del problema dei costi della politica. Non bastano una, dieci, cento inchieste giornalistiche, o un libro che vende un milione di copie, per farci abdicare dalla necessità di svolgere un'analisi reale e vera sul grande tema dei costi della politica. Noi siamo d'accordo sulla necessità della riduzione del numero dei parlamentari, ma non nell'ottica - se mi consentite - un pò becera della riduzione dei costi della politica, ma in quella di un superamento del bicameralismo perfetto; è necessario, quindi, rivedere funzioni, attribuzioni, composizioni e anche il numero dei parlamentari.
Noi ci poniamo su questo piano e intendiamo dare il nostro contributo e anche il nostro consenso, ma nel dibattito sulla casta o sulle caste del Paese, dobbiamo capire che in un certo senso è iniziata - direi - in tutte le direzioni una sorta di rivoluzione culturale, se vogliamo impropriamente usare un linguaggio maoista. Abbiamo iniziato con la casta politica, e credo che dovremmo cominciare ad analizzare, con serietà, responsabilità e obiettività, le dimensioni, i poteri d'influenza e la capacità di condizionamento anche di altre caste in questo nostro Paese. Vi è, infatti, la casta dei grandi editori - diciamolo - che nel nostro Paese, rispetto ad altri Paesi occidentali, al suo interno non ha editori puri ma editori che svolgono attività economiche e finanziarie che si intrecciano con gli interessi che tutelano i grandi giornali.
Vi sono, inoltre, aree del sistema delle imprese che ci devono ancora spiegare perché in alcune regioni del Paese, per esempio in Sicilia, esse spesso vanno a braccetto con i poteri criminali, nonché sistemi di imprese, singole imprese e aziende legate addirittura da cointeressenze.
Occorre ancora affrontare il problema che noi - fin dagli albori della nostra storia politica in questo Paese (all'epoca dei grandi leader del dopoguerra della destra politica italiana) ed ora come Alleanza Nazionale - abbiamo sollevato circa il riconoscimento giuridico dei sindacati e delle organizzazioni sindacali e relativa mancata attuazione dell'articolo 39 della Carta costituzionale. Si tratta, anche in questo caso, di un'area di autoreferenzialità in cui vi sono, all'interno di organizzazioni sindacali e di enti padronali, sacche di socialismo reale che bisogna affrontare e - credo - eliminare.
Inoltre un saggio che è al primo posto nelle classifiche dei libri più letti, Toghe Rotte, ci ripropone il tema della casta dei magistrati o comunque di una parte della magistratura: non credo che tutte le toghe siano «rotte» ma credo che su questo vi sia materia per discutere e per analizzare le questioni quando verrà il momento di una maggiore serenità e quando il Parlamento complessivamente considerato sarà libero anche dai lacci delle passioni e avvertito della necessità di esercitare il suo ruolo secondo contrapposizioni che si devono giocare su altri terreni.
Allora potremo rivedere il tema della modifica necessaria dell'architettura costituzionale, di una Costituzione moderna per un Paese moderno.
Crediamo, infatti, che verrà presto il tempo per una discussione serena. Forse sarà necessario anche qualcosa di straordinario; l'ideale sarebbe la sede di una vera e propria Assemblea costituente. Pensiamo che, passato questo momento e questa stagione politica, questo momento di debolezza della politica nel nostro Paese, a cui corrisponde una fragilità profonda del Governo e di una maggioranza politica e parlamentare che non hanno più il consenso degli italiani, verrà il momento opportuno perché, varate leggi importanti per le quali sono stati dati contributi significativi da tutti gli schieramenti politici - ma certamente anche dalla nostra parte -, si possa affrontare anche il tema importante della innovazione istituzionale del nostro Paese con serenità, con obiettività e con comune senso di responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Costantini. Ne ha facoltà.
Pag. 44
CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, credo che il confronto parlamentare non ci stia aiutando molto e non stia aiutando nemmeno i cittadini che ci stanno ascoltando. Stiamo parlando di molte questioni interessanti ma non stiamo affrontando la questione ora in esame, l'articolo 2 della proposta di legge di revisione costituzionale e il complesso degli emendamenti presentati all'articolo 2.
Discutiamo, quindi, di due questioni fondamentali: la prima è legata al numero dei deputati e la seconda, sollevata soprattutto da una serie di emendamenti presentati da diversi gruppi politici, è legata alla conservazione dei diciotto parlamentari eletti all'estero. Sono le questioni delle quali stiamo discutendo e sulle quali, tra poco o domani, saremo chiamati a votare.
Nel mio intervento vorrei attenermi alla materia che è all'ordine del giorno. La maggior parte degli emendamenti ci pone di fronte a due scelte, mi riferisco alla questione dei parlamentari eletti all'estero: la prima scelta è se conservare o non conservare i diciotto parlamentari eletti all'estero.
La seconda scelta che saremo chiamati ad operare è relativa alla diversa dislocazione tra Camera e Senato dei diciotto parlamentari eletti all'estero e della eventuale coerenza di una diversa dislocazione con gli obiettivi della riforma della quale stiamo discutendo.
Al primo interrogativo di fronte al quale ci pongono gli emendamenti all'articolo 2, rispondiamo «sì».
Noi dell'Italia dei Valori siamo convinti dell'opportunità di mantenere i diciotto parlamentari eletti all'estero per due motivi: il primo è di opportunità costituzionale. Questa è una riforma attesa per anni da decine di milioni di italiani. Si tratta di una conquista ottenuta grazie ad un confronto vivace che ha interessato le istituzioni ed il dibattito si è svolto anche al di fuori di esse per moltissimo tempo. Si tratta di un diritto costituzionalmente riconosciuto alle comunità di italiani residenti all'estero e noi crediamo che non sia assolutamente possibile che un semplice emendamento possa cancellarlo.
Ad una valutazione di opportunità costituzionale, noi ne aggiungiamo anche una di merito. Siamo profondamente convinti che la conquista di milioni di italiani che vivono all'estero non per scelta, ma per necessità debba essere difesa in questa sede. L'elezione dei parlamentari eletti all'estero è una riforma che ha rafforzato il legame tra le istituzioni e gli italiani residenti all'estero ed ha aiutato decine di milioni di essi a sentirsi ancora italiani; attraverso i diciotto parlamentari eletti all'estero, tale riforma ha portato le nostre istituzioni nelle aree più lontane del mondo. È una riforma che, grazie al contributo di quei parlamentari, ha consegnato alla discussione ed al dibattito parlamentare, nei primi diciotto mesi di questa legislatura, un punto di vista che prima era quasi completamente ignorato.
Personalmente, sono convinto che il giudizio politico negativo di alcuni gruppi parlamentari sia legato principalmente a due fattori: il primo è connesso ad un'obiettiva disarticolazione e disomogeneità che esiste tra il sistema elettorale nazionale e quello previsto per gli eletti all'estero, che molto spesso rischia di porre questi ultimi al di fuori degli equilibri politici di maggioranza e di opposizione che emergono dalle urne a livello nazionale. Ritengo, altresì, che il secondo aspetto, relativo alla valutazione negativa sulla presenza dei parlamentari eletti all'estero, sia legato ad una scarsa conoscenza, ad uno scarso approfondimento del lavoro e dell'impegno che essi mettono in campo.
Credo che il primo problema, relativo alla disarticolazione dei sistemi elettorali, sia facilmente risolvibile attraverso la costruzione di un meccanismo elettorale che leghi la loro elezione alle stesse maggioranze e alle stesse opposizioni espresse dalle urne a livello nazionale. Sarebbe sufficiente un piccolo intervento legislativo per far sì che gli eletti all'estero siano organici alle maggioranze ed alle opposizioni espresse a livello nazionale.
Ritengo che il secondo aspetto, legato alla non conoscenza dell'attività dei parlamentari eletti all'estero, debba essere Pag. 45superato facendo un po' di fatica, cercando di andare a verificare e a scoprire quale e quanto intenso sia il loro impegno nei collegi elettorali di appartenenza. Sono parlamentari che si confrontano costantemente con gli italiani residenti all'estero. Essi hanno rafforzato enormemente il legame tra le istituzioni nazionali e la comunità di italiani che vive all'estero - lo ripeto - non per scelta o per valutazioni di opportunità, ma solo ed esclusivamente per ragioni di necessità. Sono queste le ragioni per le quali noi dell'Italia dei Valori difenderemo la conquista dei diciotto parlamentari eletti all'estero e voteremo contro gli emendamenti che propongono la loro soppressione.
Diverso è il ragionamento da fare, invece, rispetto ad un'eventuale loro diversa dislocazione tra Camera e Senato, alla luce del nuovo sistema delineato soprattutto dagli articoli 3 e 7 della proposta di riforma della Costituzione. Noi siamo convinti che una diversa dislocazione sia possibile (anzi, opportuna) e per questo motivo, preannunciamo già da adesso il voto favorevole sugli identici emendamenti D'Alia 2.122 e 2.250 della Commissione che ribaltano le attuali previsioni, posizionando sei parlamentari eletti all'estero alla Camera e dodici parlamentari eletti all'estero al Senato.
A mio avviso, sei parlamentari eletti all'estero alla Camera rappresentano, oggettivamente, una percentuale di poco superiore all'1 per cento che, certamente, attenua le perplessità di chi ritiene che gli eletti all'estero non debbano comunque alterare gli equilibri politici nazionali. Si tratta di una percentuale minima, sicuramente insufficiente ad alterare gli equilibri politici espressi dalle urne a livello nazionale.
Per altro verso, dodici parlamentari al Senato, sembrano interpretare la volontà di chi sta portando avanti questo progetto di riforma: costruire una Camera dei territori e delle singole comunità, ben potendo, a nostro parere, le comunità nazionali integrare il proprio punto di vista con quello dei rappresentanti di comunità nazionali dei cittadini italiani residenti all'estero.
Pertanto, siamo convinti che gli identici emendamenti D'Alia 2.122 e 2.250 della Commissione costituiscano il punto più avanzato di equilibrio e sintesi tra diversi punti di vista. Non voteremo, invece, gli emendamenti che perseguono l'obiettivo di impedire la riduzione del numero dei parlamentari. Il testo base all'esame dell'Assemblea parla di cinquecento deputati. Ciò era e rimane uno dei principali obiettivi della riforma.
Si tratta di una riduzione importante ma, al tempo stesso, contenuta, proprio per l'obiettivo di non determinare squilibri nel diritto alla rappresentanza parlamentare. È una prima e significativa risposta non tanto alla domanda di riduzione dei costi della politica - su ciò mi ricollego all'intervento dell'onorevole Marone e a quello del collega di Alleanza nazionale che mi ha preceduto - bensì anche al bisogno di semplificazione e avanzamento dell'efficacia dei nostri procedimenti di costruzione e approvazione delle leggi.
Pertanto, riepilogando, noi dell'Italia dei Valori diremo «no» alla soppressione degli eletti all'estero, diremo «si» ad una loro diversa dislocazione tra Camera e Senato e «no» all'aumento del numero dei parlamentari rispetto ai cinquecento previsti nel testo base (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 17,40)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Brancher. Ne ha facoltà.
ALDO BRANCHER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch'io vorrei entrare nel merito dell'articolo 2 e svolgere alcune riflessioni sul complesso degli emendamenti. L'articolo 2 del testo del provvedimento in discussione reca tre disposizioni modificative dell'articolo 56 della Costituzione. Il numero dei deputati viene portato da seicentotrenta a cinquecentododici, di Pag. 46cui dodici nella circoscrizione estero. Inoltre, l'età per l'elettorato passivo alla Camera viene portata da venticinque a diciotto anni e conseguentemente, l'operazione prevista dal terzo comma dell'articolo 56 della Costituzione per la ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni viene effettuata dividendo il numero degli abitanti della Repubblica per cinquecento e non più per seicentodiciotto, facendo sempre salvo il numero dei deputati eletti nella circoscrizione estero.
La riduzione del numero dei deputati - come io stesso ho già ricordato nella discussione sulle linee generali - costituisce un obiettivo del tutto condivisibile, ampiamente sostenuto e voluto nella riforma costituzionale approvata dalla Camera dei deputati nella precedente legislatura.
Pertanto, con riferimento al metodo si conferma l'esistenza di numerosi punti di convergenza tra la riforma costituzionale approvata dal Parlamento nella precedente legislatura, e non confermata dal successivo referendum, e il progetto elaborato dalla Commissione affari costituzionali attualmente all'esame dell'Assemblea.
Numerose scelte adottate da quella riforma erano davvero valide, come sostenuto dalla maggioranza di centrodestra e confermato anche adesso dall'attuale maggioranza. Inoltre, la riduzione del numero dei deputati era, tra l'altro, prevista nello stesso programma della Casa delle libertà.
Vi è da dire che la riduzione del numero dei parlamentari si iscrive in un più ampio quadro di riduzione dei costi delle istituzioni e, soprattutto, in un contesto di snellimento e semplificazione del loro funzionamento.
Com'è noto, l'Italia è tra i Paesi col più alto numero di eletti nel Parlamento nazionale. In realtà, la riduzione dei parlamentari costituisce un'esigenza avvertita, anche se forse con minore intensità, fin da tempi dell'Assemblea costituente, nel cui ambito furono presentate alcune proposte, poi non approvate, volte a modificare il rapporto tra eletti e popolazione. Nel testo originario della Costituzione si prevedeva che la Camera fosse composta da un numero di deputati in ragione di un deputato ogni ottantamila abitanti, o per frazione superiore a quarantamila. Risulterebbe che, in base alla popolazione dell'epoca, nel primo caso la Camera sarebbe stata composta da poco più di 300 deputati e nel secondo caso da poco più di 450.
Ma la questione è ancor più rilevante. Il rapporto di rappresentanza adeguato fu discusso dagli stessi padri fondatori della Costituzione americana: James Madison, in particolare, si soffermò sulla questione rilevando i rischi del Governo dei pochi e della confusione della moltitudine.
La riduzione dei parlamentari deve essere tuttavia considerata in una duplice ottica: quella della riduzione dei costi della politica e quella dello snellimento e della maggiore efficienza dell'attività parlamentare. In entrambi i casi, occorrerà individuare una soluzione che al tempo stesso eviti una concentrazione eccessiva di poteri nelle mani di pochi e consenta una diretta ed approfondita conoscenza delle questioni da parte degli eletti. Il punto di equilibrio è dunque da individuarsi fra la necessità di limitare i costi e l'esigenza di garantire che le decisioni riflettano con efficacia le preferenze dei cittadini. Un numero eccessivamente limitato di parlamentari potrebbe finire con il privilegiare nelle proprie scelte minoranze particolarmente attive o lobby, a danno dei gruppi meno organizzati.
Vale la pena richiamare tuttavia, pur con la dovuta prudenza e con un approccio necessariamente pragmatico, lo studio di due economisti francesi, Emmanuelle Auriol e Robert Gary-Bobo, che porterebbe a conclusioni ancora più decise in ordine alla riduzione del numero dei parlamentari. Semplificando molto la complessa teoria elaborata dai due studiosi, il numero dei parlamentari dovrebbe essere fissato in misura proporzionale alla radice quadrata della popolazione. Ancora, secondo i due studiosi, negli Stati Uniti, dove i parlamentari sono 535, per tener conto dell'evoluzione della popolazione e della formula elaborata, gli eletti dovrebbe essere 807. Gli stessi studiosi hanno effettuatoPag. 47 una comparazione tra oltre cento Paesi, tenendo conto del rapporto tra popolazione e numero di parlamentari. La Francia, che conta attualmente 898 parlamentari, dovrebbe avere invece un numero di 545 rappresentanti; l'Italia, che ha attualmente 945 eletti in Parlamento, arriverebbe a un numero di 570. Italia e Francia sarebbero quindi i due Paesi che supererebbero in maggior misura il numero ottimale, secondo la regola individuata dai due economisti.
Soprattutto vale la pena ricordare che la comparazione ha portato a conclusioni ancora più importanti sui rapporti tra numero dei parlamentari e sistema economico. I due studiosi hanno infatti sottolineato che il numero eccessivo di parlamentari non solo contribuisce a gonfiare le spese e i costi in genere, ma determinerebbe ripercussioni negative sull'orientamento complessivo di un Paese a favore dell'economia di mercato.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, per cui un numero limitato di parlamentari agevolerebbe l'attività delle lobby, i numeri mostrerebbero che nei Paesi con troppi parlamentari si ha più burocrazia, maggiori ostacoli per l'avvio di nuove attività imprenditoriali, maggiore chiusura rispetto al commercio estero, maggiore interferenza dello Stato nell'attività economica e, addirittura, più corruzione percepita dall'opinione pubblica.
L'influenza del numero dei parlamentari sui costi della politica andrebbe, dunque, ben al di là del loro peso diretto sui conti dello Stato, e si rifletterebbe almeno in parte sul funzionamento dell'intera economia.
Come è noto, anche la riforma della scorsa legislatura riduceva il numero dei deputati, portandolo a cinquecentodiciotto. La riforma della scorsa legislatura manteneva inalterato il numero complessivo dei parlamentari eletti all'estero - ossia diciotto -, di cui peraltro si prevedeva la presenza nella sola Camera dei deputati. Infatti, il criterio della contestualità tra elezione dei consigli regionali ed elezione dei senatori rendeva pressoché impraticabile, oltre che poco coerente, la figura dei senatori eletti all'estero.
La presenza dei parlamentari eletti all'estero deve essere poi considerata anche in relazione all'attribuzione alla sola Camera del rapporto fiduciario con il Governo. La scelta concernente i parlamentari eletti all'estero è probabilmente subordinata alle funzioni che si intendono attribuire a ciascuna Camera, ragione per cui i colleghi che mi hanno preceduto hanno chiesto di passare subito all'esame dell'articolo 7.
È, per converso, da dubitare dell'opportunità di mantenere, come è invece nel testo in discussione, la figura dei senatori eletti all'estero con riferimento al Senato federale, eletto su base regionale ed espressione dei consigli regionali e dei consigli delle autonomie locali.
Considerare la circoscrizione estero alla stregua di una regione sembra poco corrispondente alla natura del Senato federale ed alla sua stessa forma di rappresentanza dei nostri cittadini all'estero.
Inoltre, a differenza dei senatori eletti in ciascuna regione, nel testo in discussione i senatori eletti all'estero sarebbero eletti a suffragio universale e diretto: si produrrebbe, allora, una situazione poco coerente al Senato (parità di funzioni per senatori eletti con un diverso tipo di legittimazione popolare).
Un ulteriore elemento di distinzione della riforma costituzionale della scorsa legislatura è il seguente: quella riforma prevedeva anche che non vi fosse più la figura dei senatori a vita, per essere sostituita da quella dei deputati a vita in numero non superiore a tre (anche su tale aspetto occorre interrogarsi con attenzione).
L'esperienza insegna, poi, che per raggiungere un obiettivo del genere - quale la riduzione del numero dei deputati e o dei senatori - occorre affrontare e risolvere i problemi di praticabilità di una riduzione di questo tipo, che può trovare perplessità nel ramo o nei rami del Parlamento di cui si propone una riduzione, oppure in cui alla riduzione del numero dei parlamentariPag. 48 si accompagna anche un diverso sistema di legittimazione politico-istituzionale (come, ad esempio, si sta facendo con il Senato).
Un'adeguata, e non per questo semplice, normativa di carattere transitorio può facilitare un più morbido passaggio alla nuova composizione: ciò dovrebbe valere con particolare riguardo alle modificazioni attinenti alla composizione del Senato.
Con riferimento alla questione dell'elettorato attivo e passivo, essa è correlata alle funzioni di ciascuna Camera, ma ancor più al rilievo che si intende riconoscere al Senato quale espressione non solo etimologica della maggiore esperienza che debba caratterizzare la Camera alta.
Attualmente la Costituzione prevede per l'elettorato passivo 25 anni alla Camera e 40 al Senato e per l'elettorato attivo 18 anni alla Camera e 25 al Senato. La riforma della scorsa legislatura modificava l'elettorato passivo per la Camera portandolo a 21 anni e per il Senato a 25, mentre uniformava l'elettorato attivo che veniva portato a 18 anni per entrambi i rami del Parlamento. Scompariva, infatti, ogni diversa previsione costituzionale a riguardo e pertanto si sarebbe applicato per risulta l'articolo 48, primo comma, della Costituzione, che afferma che sono elettori tutti i cittadini maggiorenni. Ciò significa, in ordine a tale argomento, che la diversa caratterizzazione in senso federale del Senato quale sede di rappresentanza delle autonomie farebbe venire meno le ragioni, ammesso che ancora ne sussistano, della differenziazione attuale dell'elettorato attivo e passivo.
Voglio concludere con l'invito a valutare, anche in generale, se il diverso contesto storico e il complessivo sviluppo sociale del Paese giustifichino ancora l'esclusione di una fascia più giovane dei maggiorenni dall'elettorato attivo e passivo.
PRESIDENTE. Secondo le intese intercorse, il seguito dell'esame è rinviato alla seduta di domani.