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Si riprende la discussione.
PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono stati votati tutti gli emendamenti riferiti all'articolo 2, ad eccezione della parte consequenziale dell'emendamento 2.250 (Nuova formulazione) della Commissione, che è stata accantonata per essere esaminata contestualmente agli emendamenti riferiti all'articolo 3, e del subemendamento ad essa riferito. È stata inoltre accantonata la votazione dell'articolo 2.
(Esame dell'articolo 3 - A.C. 553-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 3 e delle proposte emendative ad esso presentate (Vedi l'allegato A - A.C. 553 ed abbinate sezione 2).
Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative il deputato Brancher. Ne ha facoltà.
ALDO BRANCHER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervenendo sul complesso degli emendamenti all'articolo 3 del testo unificato in discussione vorrei svolgere una premessa.
In linea generale, i sistemi bicamerali nascono per garantire il pluralismo, anche istituzionale, e l'equilibrio tra i poteri. In sintesi, nessuno può avere il monopolio delle decisioni. Nel corso degli anni, anzi, dei secoli, e nelle diverse esperienze e contesti i sistemi bicamerali si sono strutturati ed evoluti in modi molto differenti tra di loro.
Le Camere in alcune circostanze si sono differenziate sulla base di criteri di rappresentanza e sulle funzioni; in altri casi, si è inteso creare una «Camera di riflessione» - chiamiamola così - in modo da evitare che le decisioni fossero assunte troppo precipitosamente, magari sull'onda di spinte emotive e senza un'istruttoria legislativa adeguatamente ponderata.Pag. 27
In Italia, la questione del bicameralismo ha iniziato ad essere approfondita solo dopo la prima attuazione del regionalismo e poi, più incisivamente, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, che lasciava aperta proprio la questione della rappresentanza delle autonomie al centro del sistema, nel momento in cui, invece, introduceva elementi di federalismo o di forte regionalismo nel nostro ordinamento.
L'unica soluzione del tutto eventuale e transitoria era costituita, infatti, dalla Commissione bicamerale per le questioni regionali nella composizione integrata. La questione è stata poi affrontata compiutamente dalla riforma costituzionale approvata dalle Camere nella scorsa legislatura.
Eppure, la stessa Costituente si pose il problema di una Camera in cui fossero rappresentati gli interessi regionali ma, alla fine, produsse l'anomalia di due Camere chiamate entrambe a instaurare un rapporto fiduciario con il Governo, con il solo vincolo per il Senato della elezione a base regionale.
Dopo un ampio dibattito, in cui si confrontarono le diverse tesi relative al bicameralismo e al ruolo della Camera alta (rappresentanza per interessi, Camera di riflessione e Camera di rappresentanza per le autonomie), prevalse la scelta che è tuttora contenuta nella Carta costituzionale.
Inoltre, l'esperienza di alcuni Stati federali non offre una risposta univoca circa la soluzione più adeguata. Nomina da parte dei Governi regionali come per il Bundesrat, elezione parlamentare ed elezione popolare diretta costituiscono gli elementi di riferimento che più diffusamente possono sintetizzare le modalità costitutive di una seconda Camera, variamente combinabili con il numero degli eletti in rappresentanza delle realtà regionali o locali, in misura fissa o proporzionale alla popolazione di riferimento.
L'articolo 3 del testo in discussione riguarda - come è noto - la struttura del Senato, che viene definito «federale». A tal fine sono state apportate alcune importanti modificazioni all'articolo 57 della Costituzione.
Vorrei sintetizzare, per utilità di riflessione, le modifiche nel modo seguente: il Senato federale è eletto secondo modalità stabilite dalla legge e sono fatti salvi i sei seggi della circoscrizione Estero; sono soppresse le disposizioni sul numero totale dei senatori, sul numero minimo dei senatori per ogni regione e sulla ripartizione dei senatori per regione; è indicata la disciplina di elezione dei senatori e, in particolare, in ciascuna regione i senatori sono eletti dal consiglio regionale al proprio interno e dal consiglio delle autonomie locali tra i componenti dei consigli dei comuni, delle province e delle città metropolitane.
Il consiglio regionale elegge, con voto limitato, cinque senatori nelle regioni fino a un milione di abitanti, sette senatori in quelle da uno a tre milioni, nove senatori nelle regioni da tre a cinque milioni, dieci senatori nelle regioni da cinque a sette milioni e dodici senatori nelle regioni con più di sette milioni di abitanti.
I consigli regionali della Valle d'Aosta e del Molise eleggono un senatore per ciascuna regione, mentre i consigli provinciali di Trento e Bolzano eleggono, con voto limitato, due senatori per ciascuna provincia; inoltre, in ciascuna regione, il consiglio delle autonomie locali elegge un senatore nelle regioni fino ad un milione di abitanti e due senatori nelle regioni con più di un milione di abitanti.
I consigli delle autonomie locali delle province di Trento e Bolzano eleggono un senatore per ciascuna provincia e, infine, l'elezione ha luogo entro trenta giorni dalla prima riunione del consiglio regionale delle regioni o delle province autonome.
L'articolo in discussione presenta, nel complesso, due elementi sicuramente apprezzabili in linea di principio. Il primo elemento è dato dal radicamento regionale dei senatori prodotto dal carattere contestuale delle elezioni dei senatori di una regione con le elezioni dei rispettivi consigli regionali. Il secondo elemento positivo Pag. 28consiste nella riduzione del numero dei senatori, in linea con l'obiettivo della riduzione del numero complessivo dei parlamentari, anch'esso già previsto, peraltro, nella riforma da noi proposta nella scorsa legislatura.
Occorre valutare, tuttavia, con estrema attenzione le norme appena indicate ma, preliminarmente, occorre sottolineare ancora una volta come un cambiamento così importante debba essere accompagnato da una normativa transitoria adeguata se davvero si vuole cogliere l'obbiettivo di una riforma compiuta. Tale normativa deve consentire di ricevere il consenso ampio di coloro che fanno parte dell'organo di cui si muta completamente natura, composizione e sistema di legittimazione politica.
Voglio ripetere ancora una volta che, se non è soddisfatta questa condizione, la riforma è destinata ad arenarsi.
La riforma della parte seconda della Costituzione approvata dal Parlamento nella scorsa legislatura aveva proprio questo pregio: essa recava un'ampia normativa transitoria per un passaggio morbido - da alcuni giudicato forse fin troppo morbido e prolungano nel tempo - ma sicuramente un passaggio morbido dal vecchio al nuovo sistema.
Non si può, però, dimenticare neppure che proprio su questo punto - non soltanto su questo - la riforma del Titolo V ha segnato uno dei suoi più clamorosi limiti: l'assenza di una vera fase transitoria che accompagnasse le profonde modificazioni al sistema delle autonomie territoriali del nostro Paese prodotte da quella riforma.
Da ciò è derivato un contenzioso elevatissimo tra Stato e regioni, che da una parte era certamente dovuto allo stesso impatto innovativo della riforma che ha imposto di riconsiderare vecchi modelli e concetti, ma anche prassi istituzionali ed amministrative; dall'altra parte, il contenzioso è da ricondurre anche all'assenza di norme transitorie di rango costituzionale che facilitassero le istituzioni nel passaggio delicato al nuovo sistema.
Mi meraviglio che la proposta di questa maggioranza non abbia tenuto conto di una questione di cui essa stessa si è lamentata per i cinque anni che hanno preceduto l'attuale legislatura. Ricordo che ciò è avvenuto - lo posso testimoniare personalmente - sia alla Camera che al Senato.
Anche questo - mi limito a richiamarlo ancora una volta - è il frutto negativo della fretta che accompagnò la fase di approvazione parlamentare della riforma e che rischia di accompagnare anche questa riforma.
Sulla fase costitutiva del Senato federale, come noto, la riforma costituzionale approvata nella scorsa legislatura manteneva inalterato il carattere diretto dell'elezione del Senato. Il carattere regionale derivava, invece, dalla contestualità tra elezione dei consigli regionali ed elezione dei senatori. Il Senato diventava, così, un organo permanente, in cui ciascun gruppo di senatori eletti nella regione cessava di far parte del Senato al rinnovo del rispettivo consiglio regionale con il subentro dei nuovi eletti. Il ciclo politico regionale di ciascuna regione determinava, quindi, il rinnovo parziale dei senatori della regione.
La scelta adottata dal testo in esame non è del tutto diversa, con forme di rinnovo parziale del Senato in corrispondenza del ciclo politico regionale. Tuttavia, la differenza sostanziale è costituita dal carattere indiretto dell'elezione: i senatori di ciascuna regione vengono eletti dal rispettivo consiglio regionale al proprio interno e dal consiglio delle autonomie locali tra i componenti dei consigli comunali, provinciali o delle città metropolitane della regione.
Occorre valutare con attenzione se il carattere indiretto dell'elezione sia davvero preferibile all'elezione diretta. Occorre, infatti, interrogarsi sul senso complessivo e sulle consequenze specifiche di un intervento modificativo del genere. Quale tipo di legittimazione avrebbe così un consigliere regionale rispetto ai propri colleghi non eletti al Senato? Quale reale possibilità avrebbe di partecipare costantemente e, talora, contestualmente ai lavoriPag. 29 del proprio consiglio regionale e a quelli del Senato federale, con immaginabili conseguenze per il numero legale degli organi interessati? Ma non basta! Qual è il senso di una compresenza, a parità di poteri, di senatori espressione delle regioni e di senatori espressione degli enti locali delle regioni?
Non a caso, la riforma della scorsa legislatura prevedeva esclusivamente il diritto di tribuna per i senatori espressi dagli enti locali, ma giustamente attribuiva diritto di voto ai soli senatori espressi dalle regioni. D'altro canto, il Senato si troverà impegnato prevalentemente nello svolgimento della funzione legislativa, dunque di una funzione di cui le regioni sono titolari, a differenza degli enti locali, che ne sono privi.
Si consideri inoltre che vengono attribuite direttamente dalla Costituzione funzioni in capo al consiglio delle autonomie locali (CAL). Attualmente, questo consiglio è previsto dall'articolo 123 della Costituzione quale organo di consultazione tra regioni ed enti locali, la cui disciplina spetta in piena autonomia agli statuti regionali.
È vero che la riforma interviene a disciplinare direttamente i compiti del CAL, scavalcando gli statuti, ma, così facendo, si potrebbe rischiare di comprimere in qualche misura l'autonomia statutaria, tanto più che, in base al nuovo ultimo comma dell'articolo 123, verrebbe riservata alla legge (verosimilmente dello Stato) la determinazione dei principi fondamentali per la formazione e la composizione dei consigli delle autonomie locali.
Se è chiaro che ciò viene fatto in vista della formazione del Senato, è bene valutare l'impatto sull'autonomia delle regioni e sul rapporto tra regioni ed enti locali. È evidente che il meccanismo previsto risulta di non agevole comprensione e, tutto sommato, farraginoso: è bene ribadire che esso sconta il tentativo di raccogliere nel Senato federale, con identici poteri, tanto i rappresentanti regionali quanto i rappresentanti degli enti locali, con una commistione di ruoli e di responsabilità che certo non costituisce un elemento di comprensibilità e di trasparenza per l'elettorato.
Anche in dottrina - cito il professor Caravita - sono stati mossi alcuni rilievi «a caldo» sul testo in discussione. Ad esempio, sul nuovo articolo 57 della Costituzione, non risulta chiaro quale possa essere il ruolo della legge di cui al primo comma del medesimo articolo per l'elezione del Senato, né è evidente se si tratti di legge statale ovvero regionale. Senz'altro la legge statale dovrà riconsiderare i senatori della circoscrizione Estero, ma al tempo stesso potrebbe risultare forse più coerente prevedere la legge regionale per disciplinare le elezioni in seno al consiglio regionale o al consiglio delle autonomie locali.
Inoltre, il testo unificato lascia aperta un'altra questione di non minore rilievo, che certo non potrebbe essere demandata al legislatore ordinario in fase attuativa: si tratta della possibilità per i senatori eletti dai rispettivi consigli regionali o consigli delle autonomie locali di continuare a svolgere le funzioni negli organi di provenienza. In caso di risposta affermativa, si avrebbe un cumulo di cariche che pregiudicherebbe la possibilità di svolgere al meglio entrambe le funzioni; in caso di risposta negativa, invece, non risulterebbe chiaro per quale ragione l'elettorato attivo sia limitato ai soli componenti degli organi collegiali regionali o locali. D'altronde, la modificazione apportata all'articolo 122 della Costituzione, volta a sopprimere l'incompatibilità tra la carica di senatore e quella di consigliere regionale, sembra consentire il cumulo delle due cariche.
Inoltre, in dottrina è stata prospettata una preferenza per la soluzione adottata dalla riforma del 2005, che prevede la contestualità dell'elezione dei senatori e dei consigli regionali.
Un ulteriore elemento è costituito dalla permanenza dei senatori eletti nella circoscrizione Estero. In un Senato federale eletto su base regionale dai consigli regionali e dai consigli delle autonomie locali lascia a dir poco perplessi la scelta di mantenere sei senatori eletti nella circoscrizione Estero, che avrebbero un caratterePag. 30 spurio rispetto agli altri senatori. Infatti, i senatori eletti all'estero sarebbero ben difficilmente riconducibili alla base regionale che caratterizza l'elezione del Senato. Inoltre, a differenza dei senatori eletti in ciascuna regione, essi sarebbero eletti a suffragio universale e diretto.
Al Senato si produrrebbe poi una situazione quasi paradossale, e cioè una parità di funzioni per membri con un diverso tipo di legittimazione popolare.
Al contrario, la riforma approvata nella scorsa legislatura manteneva inalterato il numero complessivo dei parlamentari eletti all'estero (pari a diciotto) e ne prevedeva la presenza nella sola Camera dei deputati. Infatti, il criterio della contestualità fra elezioni dei consigli regionali e dei senatori rendeva pressoché impraticabile - oltre che poco coerente - la figura dei senatori eletti all'estero. Del resto, la presenza dei parlamentari eletti all'estero deve anche essere considerata alla luce dell'attribuzione alla sola Camera dei deputati del rapporto fiduciario con il Governo.
In conclusione, è necessario valutare con attenzione gli elementi che ho richiamato, che inevitabilmente interagiscono fra loro. Ad essi si deve aggiungere poi la questione della ponderazione del numero di senatori fra le regioni in ragione della loro popolazione. Analogamente, infine, l'insieme di tali questioni andrà considerato con riguardo alle funzioni che si intende attribuire al Senato: ciò costituisce infatti un ulteriore elemento che consentirà o meno di considerare effettivamente federale la Camera alta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Holzmann. Ne ha facoltà.
GIORGIO HOLZMANN. Signor Presidente, colleghi, come ho già avuto modo di argomentare in occasione della discussione sulle linee generali, la riforma in senso federale dello Stato è certamente fra gli argomenti più attuali e più urgenti.
Nella scorsa legislatura, sotto il Governo di centrodestra, era stata approvata una riforma che, com'è noto, non è poi «passata» in sede di referendum confermativo: oggi, ci confrontiamo così con un'impostazione che è sostanzialmente diversa rispetto a quella allora seguita.
Nell'impianto generale del testo, vi sono sicuramente taluni punti condivisibili: mi riferisco, ad esempio, alla fine del bicameralismo perfetto, e quindi alla fine di un sistema che genera ritardi nell'azione di governo e che sostanzialmente duplica il procedimento decisionale in maniera pressoché inutile determinando, anzi, effetti negativi. Tale sistema poteva essere giustificato quando i costituenti elaborarono l'attuale Costituzione, ma è oggi sicuramente un sistema obsoleto, che ha creato più problemi di quanti non ne abbia risolti: è dunque chiaro che la sua fine è certamente uno dei primi obiettivi di una riforma federale dello Stato. Ma vi sono anche altri aspetti assolutamente importanti e condivisibili, quali la riduzione del numero dei parlamentari, sia alla Camera sia al Senato.
Accanto però a questi temi così importanti, su cui forse varrebbe la pena di spendersi un poco di più, vi sono anche taluni punti - e su di essi vorrei soffermarmi in questa sede - che hanno suscitato la nostra perplessità. Mi riferisco anzitutto all'opzione per un'elezione mediata dei senatori, che sarebbero scelti attraverso i consigli regionali, secondo un'impostazione sostanzialmente di tipo tedesco. Si tratta di un'impostazione che ci convince poco: il nostro Paese ha necessità di effettuare riforme proprie, senza cadere nella tentazione di imitare modelli presenti in altri Paesi che hanno cultura, storia e situazioni socio-economiche assai diverse dalle nostre. Se dunque tali modelli si adattano forse bene - e anche su questo vi sarebbe forse da discutere - a quelle realtà, essi non sono esattamente trasponibili nella nostra: del resto, se vi fosse un sistema perfetto, tutti i Paesi del mondo lo avrebbero già adottato. È dunque evidente che non vi è alcun sistema perfetto: vi sono piuttosto vari sistemi che sono utilizzabili nelle diverse condizioni e nelle diverse situazioni, poiché gli aspetti culturali, storici e socio-economici incidono Pag. 31sulla loro applicazione in maniera più importante di quanto a volte non si voglia ammettere.
Come ho già detto in altre occasioni, non sono personalmente molto stimolato dai facili innamoramenti verso un sistema rispetto ad un altro. Anche il mio partito, peraltro, su questo aspetto ha cambiato opinione, e ciò rappresenta anche un segno di maturità, perché è evidente che la politica non può essere statica, ma bisogna avere anche la capacità di modificare certe posizioni in funzione di situazioni che cambiano (ricordo, però, quando in quest'Aula la maggior parte dei partiti si pronunciava decisamente contro i sistemi di tipo federale, mentre mi pare che oggi vi sia una ampia trasversalità a favore di tale ipotesi di organizzazione dello Stato).
Certo è che vi sono anche - ma forse tale circostanza viene trascurata, a volte - ottimi esempi di Stati organizzati in maniera centralista come la Francia, e quindi direi che un modello non deve essere tale da suggestionarci nelle nostre convinzioni più di tanto.
Credo, comunque, che nella fase attuale l'Italia possa funzionare meglio se, ponendo mano alla Costituzione, si imposta l'attività legislativa in capo ad una Camera sola, anziché su un sistema bicamerale (su questo punto siamo, naturalmente, tutti convinti).
Purtroppo il sistema scelto - quello dell'elezione attraverso i consigli regionali e i consigli provinciali di Trento e di Bolzano - non ci convince proprio per le ragioni che spiegavo in precedenza.
Viviamo in Italia una fase in cui la società è profondamente scollata rispetto alla politica e dimostra segni di insofferenza (talvolta forse anche eccessivi, talaltra sicuramente motivati): ritengo che la politica dovrebbe assicurare risposte tali da consentire un maggior coinvolgimento dei nostri concittadini, anziché lasciarli spettatori passivi di decisioni, per quanto importanti, che riguardano comunque il loro territorio, ma vengono delegate ad altri.
Credo che questo rappresenti uno dei punti deboli dell'impianto di cui stiamo discutendo. Ciò detto, è chiaro che siamo in presenza di una situazione che sta diventando anche un po' paradossale: abbiamo regioni e province a statuto speciale (poche) e quindici regioni a statuto ordinario.
Il fenomeno del tentativo di migrazione di comuni da una regione all'altra denota proprio l'insoddisfazione rispetto a modelli che sono ormai superati e che in questo momento destinano maggiori risorse alle realtà autonome, lasciando le regioni a statuto ordinario in posizione decisamente meno soddisfacente e vantaggiosa.
È chiaro, quindi, che i comuni confinanti, accampando presunte ragioni storiche, stanno cercando - in più occasioni lo hanno già fatto anche in maniera concreta, e sempre più ciò avverrà naturalmente in futuro, se non si procederà in direzione di una profonda riforma in questo senso - l'aggancio verso le realtà più ricche, dinamiche, sostenute ed anche, consentitemi il termine, assistite. Mi riferisco alla mia regione e alle due province autonome, che ricevono dallo Stato trasferimenti pari al 90 per cento di tutte le tasse imposte e riscosse; se consideriamo poi che lo Stato naturalmente gestisce in proprio moltissimi altri servizi, tali province vivono al 120-130 per cento della loro capacità di produzione di ricchezza.
È chiaro che un modello di questa natura non è - mi auguro - imitabile, così come spero (dico ciò, forse, anche contro il mio interesse) che tale modello possa essere un domani, quanto prima, ridimensionato, per ragioni di equità e di giustizia nei confronti degli altri cittadini italiani. Registriamo, dunque, la situazione paradossale di comuni che cercano di agganciarsi alle realtà più ricche e dinamiche, proprio perché il Parlamento non è stato in grado, in questi anni, di dare una risposta che potesse soddisfare anche le aspettative di quelle regioni che hanno dimostrato capacità di autogoverno, ma che non hanno avuto la possibilità di avere competenze e risorse per esercitarle.
Specificamente, in ordine alle proposte emendative riferite all'articolo 3, mi preme Pag. 32sottolineare la questione che riguarda la provincia di Bolzano, dove qualche passo in avanti è stato sicuramente compiuto, circostanza di cui devo dare atto. Infatti, vi è il problema di garantire quanto meno la rappresentanza al Senato federale della comunità di lingua italiana. Come è noto, il cosiddetto «pacchetto» in favore delle popolazioni altoatesine aveva previsto, attraverso la misura 111, di garantire l'elezione di un senatore di lingua italiana in Alto Adige. A tale scopo, venne disegnato un collegio comprendente il comune di Bolzano e i comuni a sud della cosiddetta Bassa Atesina, che avrebbe effettivamente consentito l'elezione di un senatore di lingua italiana. Così in realtà è avvenuto, perché gli elettori di lingua italiana sono in maggioranza e pertanto sono riusciti ad esprimere un loro senatore.
Tuttavia, nelle ultime due legislature - compresa quella in corso - tale sistema è stato distorto in quanto è subentrato un accordo politico che ha consentito alla Volkspartei di far eleggere un senatore in quel collegio. Pertanto, da due legislature la comunità di lingua italiana non ha un proprio senatore in quanto questi è stato eletto tra i candidati presentati dalla Volkspartei e ciò in virtù di un accordo politico intervenuto tra il centrosinistra e il partito della stella alpina.
È chiaro che lo spirito di quella misura del «pacchetto», la misura 111, è stato sostanzialmente azzerato dall'accordo politico concluso successivamente. Non intendo ora addentrarmi nella diatriba tra centrodestra e centrosinistra, poiché non ritengo utile un tale esercizio. Vorrei cercare di mantenermi ad un livello un po' più alto nelle mie osservazioni e riflessioni. Credo che la comunità di lingua italiana dell'Alto Adige sia la vera minoranza perché rappresenta il 26 per cento della popolazione e in precedenza il 36 per cento. È una comunità che ad ogni censimento ha dimostrato, nei fatti, di ridimensionarsi numericamente e percentualmente, mentre la comunità di lingua tedesca si è rafforzata, nei trenta anni di autonomia, percentualmente e numericamente. Evidentemente, l'autonomia ha comportato maggiori vantaggi e una superiore possibilità di crescita e di sviluppo per la comunità di lingua tedesca rispetto a quella di lingua italiana e tale fatto è dimostrato, numeri alla mano, dalle statistiche ma anche dai fatti, perché la presenza di un partito di maggioranza assoluta che governa per alcuni anni con motivazioni di carattere etnico-linguistico piuttosto che politiche può chiaramente generare tali situazioni.
L'Alto Adige è una contraddizione in termini e credo che costituisca un caso unico al mondo. Infatti lo Stato, nel convincimento di voler tutelare una minoranza linguistica, ha poi finito - in un certo momento - con il danneggiare la propria comunità nazionale. A dimostrazione di ciò il modello Alto Adige viene spesso studiato e preso ad esempio da altri Paesi, ma nessuno di questi si è mai spinto sino al punto di adottare un simile sistema. Pertanto, in ordine a tale tema forse qualche ulteriore riflessione andrebbe sviluppata.
Inoltre, la comunità di lingua italiana si trova in Alto Adige in una situazione di forte difficoltà, perché è numericamente piuttosto esigua e anche i partiti di lingua italiana rappresentati nella Camera dei deputati presentano un maggiore interesse per la provincia di Trento, che è totalmente di lingua italiana. Generalmente, quindi, nei bilanci interni di ogni partito il Trentino assume un'importanza tre volte superiore rispetto all'Alto Adige. Di conseguenza, anche le liste elettorali che vengono stilate tengono conto del fatto che la stragrande maggioranza dei voti raccolti nella regione dai partiti italiani vengono ottenuti nella provincia di Trento e quindi i candidati che sono favoriti sono generalmente quelli trentini.
Ciò detto, è evidente che se la comunità di lingua italiana, guardando al suo futuro, sa che difficilmente potrà ottenere dei propri rappresentanti che la possano, in qualche modo, tutelare alla Camera dei deputati (a causa del forte sbilanciamento dei partiti di lingua italiana, sul piano elettorale, verso la provincia di Trento) al Senato, invece, si poteva cercare di risolvere Pag. 33tale problema con una clausola che garantisse al gruppo linguistico italiano una propria rappresentanza.
Devo dire che su questo punto in Commissione abbiamo a lungo discusso; ho trovato anche una certa buona volontà da parte delle forze di centrosinistra e anche della stessa Volkspartei. Tuttavia il problema è che, mentre da un lato è prevista l'elezione di un senatore del gruppo linguistico italiano, dall'altro, non prevedendosi delle misure attuative in questo senso, si dà sostanzialmente alla Volkspartei - o per meglio dire, ai consiglieri provinciali di lingua tedesca - la capacità di sceglierlo. Pertanto, il senatore che rappresenterà in futuro nel Senato federale la comunità di lingua italiana sarà in realtà scelto dalla comunità di lingua tedesca, perché i numeri purtroppo dicono questo. I consiglieri provinciali del gruppo linguistico italiano che sono stati eletti nell'ultima tornata elettorale, quattro anni fa, erano sette su trentacinque; a seguito delle dimissioni di un consigliere provinciale ne è subentrato un ottavo. Tuttavia, in ogni caso, con otto consiglieri su trentacinque, dovendo eleggere tre senatori, dei quali comunque uno riservato al gruppo linguistico italiano, si comprende che saranno i consiglieri regionali e provinciali del gruppo linguistico tedesco a determinare l'elezione del senatore.
Pertanto questo è certamente un punto che non ci soddisfa, perché consegna alla Volkspartei, attraverso un accordo politico, anche il senatore che rappresenterà la comunità di lingua italiana. Per questo abbiamo presentato un nostro emendamento che sostanzialmente prevede che, al momento della votazione, il consiglio provinciale di Bolzano si divida in due e che i consiglieri del gruppo linguistico italiano votino il senatore del proprio gruppo linguistico e altrettanto facciano quelli di lingua tedesca, così come avviene in altre circostanze, come ad esempio quando il consiglio provinciale è chiamato a nominare i rappresentanti della cosiddetta «commissione 137» che esprime parere obbligatorio sulle modifiche allo statuto. Analogamente, del resto, in consiglio provinciale si vota separatamente anche per i giudici del TAR del gruppo linguistico italiano e del gruppo linguistico tedesco. Tutto l'impianto autonomista dello statuto del Trentino Alto Adige prevede delle garanzie per i gruppi linguistici; ciò vale, ad esempio, per la presidenza del consiglio provinciale, per la sua vicepresidenza e per molte altre circostanze.
Lo statuto di autonomia è stato concepito sostanzialmente per tutelare la popolazione di lingua tedesca, e questo rappresenta forse anche il vizio di fondo di tutto questo ragionamento. Lo statuto di autonomia non è stato voluto dalla popolazione di lingua italiana, ma è stato voluto, attraverso i suoi rappresentanti politici, dalla popolazione di lingua tedesca che voleva uscire dalla fase postbellica in cui alcuni diritti le erano stati conculcati; giustamente, quindi, la comunità di lingua tedesca voleva garanzie per il proprio futuro, in ordine al diritto all'insegnamento della propria lingua nella scuola (cosa che durante il periodo fascista era stata vietata), al bilinguismo, ad una toponomastica bilingue. Ebbene tutti questi aspetti sono stati inseriti nello statuto, in maniera anche molto accentuata, perché - come si sa - la provincia di Bolzano ha competenze primarie e secondarie che investono tutto il mondo dell'economia e tantissime altre materie; allo Stato è rimasto, ormai, ben poco.
Pertanto, questo impianto autonomistico è stato creato per tutelare sostanzialmente la popolazione di lingua tedesca mentre non sono state adottate misure per la tutela della comunità di lingua italiana dell'Alto Adige. Basti pensare che le misure che dovrebbero salvaguardare il gruppo linguistico italiano dell'Alto Adige sono ben poco significative: la rappresentanza proporzionale all'interno della giunta provinciale, la rotazione della presidenza e della vicepresidenza del consiglio provinciale e la possibilità di richiesta di voto separato sulle leggi e sul bilancio (norma che, peraltro, non è stata mai invocata da nessuno, in quanto abbastanza inefficace per una reale tutela).
È chiaro che in una tale situazione la comunità di lingua italiana in questi anni abbia perso competitività anche sul piano politico, in parte per propria responsabilità, poiché si è divisa secondo i consueti schieramenti nazionali senza comprendere che in una realtà dov'era minoranza e nella quale doveva competere con un partito che, invece, rappresentava la maggioranza della comunità di lingua tedesca e che deteneva la maggioranza assoluta all'interno del consiglio provinciale, avrebbe dovuto fare qualche sforzo per cercare formule nuove e, forse, anche un po' irrituali, rispetto agli scenari nazionali, che certamente avrebbero potuto portare a qualche risultato in più sul territorio. Così purtroppo non è stato.
Oggi discutiamo se questa comunità, che attualmente rappresenta il 27 per cento della popolazione ed è la comunità nazionale, ossia la comunità di lingua italiana dell'Alto Adige, debba avere dei propri rappresentanti alla Camera e al Senato. Alla Camera non è impedito che ciò avvenga, ma di fatto non avverrà, proprio perché - come ho affermato poc'anzi - i partiti di lingua italiana raccolgono i quattro quinti dei voti nella provincia di Trento e quest'ultima solitamente pretende delle candidature che successivamente portino all'elezione alla Camera dei deputati.
Per quanto riguarda il Senato, oggi abbiamo superato la misura 111 che favoriva l'elezione di un senatore per passare alla garanzia dell'elezione di un senatore che, però, purtroppo, verrà scelto con il voto determinante del gruppo linguistico tedesco. Quindi, potrebbe non essere rappresentativo della comunità di lingua italiana dell'Alto Adige, così come avviene già da molti anni all'interno della giunta provinciale, nella quale gli italiani che hanno responsabilità di governo nella provincia autonoma di Bolzano sono espressione della minoranza del gruppo linguistico italiano, che viene cooptata dalla maggioranza del gruppo linguistico tedesco.
Questa è una situazione un po' paradossale, poco conosciuta, purtroppo, dal Parlamento. Lo dico senza spirito polemico, anzi l'ho già detto anche in Commissione e non ho difficoltà a ripeterlo in Aula. Ho percepito una certa dose di buona volontà anche nei nostri avversari del centrosinistra nel cercare di individuare una soluzione non semplice - me ne rendo conto - sul piano costituzionale, ma soprattutto sul piano politico.
Non voglio nemmeno fare processi alle intenzioni ai colleghi della Volkspartei che non mi ascoltano perché non sono presenti, ma è indubbio che la norma, così come è congegnata, ci lascia piuttosto perplessi perché apre la porta a ciò che ho richiamato poco fa e che certamente non potrebbe portare la comunità di lingua italiana ad una posizione di tranquillità, o quantomeno a sentirsi degnamente rappresentata (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mario Pepe. Ne ha facoltà.
MARIO PEPE. Signor Presidente, il dibattito svoltosi sinora somiglia tanto a quelle discussioni che si fanno al capezzale di un malato; il malato in questione è il Parlamento che vogliamo riformare e per il quale vogliamo trovare i rimedi giusti. Non vorrei, però, che mentre il Parlamento si perde in oziose discussioni, il malato muoia!
Abbiamo perso due giorni per discutere il numero dei parlamentari - trecento, trecentocinquanta, quattrocento o cinquecento - abbiamo perso la giornata di oggi per discutere il numero dei parlamentari eletti nella circoscrizione estero, come se il destino dell'istituzione parlamentare dovesse essere affidato ai parlamentari eletti all'estero!
Entrando nello specifico dell'articolo 3, citerò soltanto i punti negativi e deboli, perché ne ha parlato ampiamente il collega Brancher, tra i quali vi sono la mancanza di una norma transitoria per il passaggio dal vecchio al nuovo sistema e il carattere diretto dell'elezione a senatore, che incrementa l'assenteismo, perché il senatore dovrebbe essere anche consigliere regionale e, Pag. 35quindi, dovrebbe dividersi tra i consigli regionali e il Senato. Non dimentichiamo poi che i consiglieri regionali sono eletti con il sistema delle preferenze e, quindi, hanno un legame diretto con il territorio, che fa sì che dovranno coltivare anche quell'elettorato; ciò accrescerebbe l'assenteismo. Inoltre, che senso ha la circoscrizione estero per il Senato federale?
Tuttavia, vorrei affidare all'Assemblea un quesito: cosa si aspetta l'Italia dal Parlamento, ovvero quale Parlamento dobbiamo dare alla nostra società che è diventata complessa? Dobbiamo dare un Parlamento che rappresenti la Camera di conciliazione di interessi contrastanti di una società complicata come l'Italia, oppure dobbiamo dare un Parlamento decisionista, che incida sul tessuto sociale con provvedimenti legislativi? Questo è l'aspetto su cui dobbiamo dibattere prima di discutere se i deputati debbano essere cinquecento, quattrocento o trecento e se la circoscrizione estero debba avere diciotto senatori o diciotto deputati!
Per dare serenità al dibattito e per decidere serenamente quale Parlamento dare alla società e per quale Italia, vorrei guardare alla storia dei cinquant'anni delle nostre istituzioni. In questi cinquant'anni, infatti, si è avuto un periodo in cui il Parlamento era governante, approvava leggi contrattate che prevalevano sulle leggi di indirizzo, adottava leggi-provvedimento e leggine. Le leggi approvate in Commissione prevalevano su quelle approvate in Assemblea e ciò ha creato una dilatazione della legislazione.
Successivamente, si è avuto il periodo del Governo legislatore, che si è sostituito al Parlamento, ovvero il Governo Prodi, un Esecutivo che governa con i decreti-legge e con i decreti delegati, escludendo il Parlamento dall'attività legislativa. Il Parlamento, di conseguenza, deve lavorare di rimessa ed è stato trasformato in un guscio vuoto. Affido, quindi, all'Assemblea questo quesito, se vogliamo che il Parlamento torni ad essere il centro delle istituzioni e il simbolo della libertà e della democrazia.
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare sull'articolo 3 e sulle proposte emendative ad esso presentate, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.
SESA AMICI, Relatore. Signor Presidente, anche per agevolare il nostro lavoro, su tutte le proposte emendative riferite all'articolo 3, che sono in gran parte soppressive e di modifica della composizione del Senato rispetto al testo unificato, la Commissione formula un invito al ritiro, altrimenti il parere è contrario. La Commissione raccomanda l'approvazione dei suoi emendamenti 3.253, 3.252 e 3.250 ed esprime parere favorevole sull'emendamento Maroni 3.119. Inoltre, la Commissione raccomanda l'approvazione del suo emendamento 3.251. Per quanto riguarda l'emendamento 3.254 della Commissione, poiché è stato presentato il subemendamento Biancofiore 0.3.254.1, si riserva di esprimere il relativo parere nella prossima seduta.
Infine, la Commissione esprime parere favorevole sull'emendamento Zaccaria 3.174 a condizione che sia riformulato aggiungendo la parola «regionale».
PRESIDENTE. Il Governo?
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.
PRESIDENTE. Secondo quanto comunicato all'Assemblea, il seguito dell'esame del provvedimento è rinviato ad altra seduta.