Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Svolgimento di interpellanze urgenti.
(Iniziative connesse all'accertamento di responsabilità con riguardo agli scontri verificatisi a Nassiriya nella notte tra il 5 e il 6 agosto 2004 - n. 2-00800)
PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00800, concernente iniziative connesse all'accertamento di responsabilità con riguardo agli scontri verificatisi a Nassiriya nella notte tra il 5 e il 6 agosto 2004 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, la nostra interpellanza trae spunto e ragione dalle conclusione dell'iter processuale avviato dal tribunale militare di Roma, in seguito alla vicenda relativa a un episodio di guerra in cui furono coinvolti i militari italiani del contingente inviato a Nassiriya.
Nell'agosto del 2004, in Iraq, mentre era in corso un confronto militare assai aspro tra le truppe statunitensi e i miliziani di Moqtada Al Sadr, nella città di Najaf, si verificarono scontri anche a Nassiriya, che videro coinvolti i militari italiani di stanza in quell'area (in particolare, il reggimento lagunari Serenissima, lì presente in quel periodo), schierati in difesa dei tre ponti sull'Eufrate.
Un filmato girato da un giornalista americano, Micah Garen, che in quel periodo si trovava ospite del contingente italiano, portò alla luce una testimonianza importante del conducente dell'ambulanza che venne coinvolta nella sparatoria e che subì conseguenze drammatiche. Il conducente sosteneva che i militari italiani avessero sparato contro l'ambulanza che trasportava una donna partoriente all'ospedale di Nassiriya, provocando la morte della donna e di altre persone.
Il 27 agosto del 2004, vi fu una seduta delle Commissioni riunite esteri e difesa di Camera e Senato per ascoltare le comunicazioni del Governo in ordine agli eventi iracheni di quel periodo e, in particolare, in ordine alla drammatica vicenda del rapimento e dell'uccisione del giornalista Pag. 37italiano Enzo Baldoni. Nel corso della seduta, da alcuni parlamentari, tra cui la sottoscritta, furono chiesti chiarimenti in relazione alla notizia della sparatoria sull'ambulanza in questione.
In quella occasione, l'allora Ministro degli affari esteri Frattini, alla presenza del Ministro della difesa Martino, respinse, con molta foga e forza, ogni addebito, dichiarando che le notizie, circolate anche sulla stampa italiana in seguito alle testimonianze del giornalista americano Garen, erano assolutamente destituite di qualsiasi fondamento.
Peraltro, attraverso l'accertamento compiuto dall'autorità giudiziaria, è emerso - in modo incontrovertibile - che i fatti si sono realmente verificati secondo le modalità indicate dal giornalista americano. In particolare, dalla sentenza, emessa recentemente dal tribunale militare di Roma, emerge che il veicolo colpito era davvero un'ambulanza dell'ospedale civile di Nassiriya, recante gli usuali contrassegni e dispositivi luminosi, e che a bordo di essa si trovavano sette persone, tre delle quali sedute sui sedili anteriori, che sono sopravvissute, e altre quattro posizionate nella parte posteriore, morte in seguito all'esplosione della vettura causata dai colpi dei militari italiani.
Il tribunale militare ha assolto i militari implicati nella vicenda, ma ha accertato il carattere obiettivamente criminoso del fatto per l'assenza di ogni causa di giustificazione, asserendo, in qualche modo, che i militari avevano preso fischi per fiaschi, ossia che avevano male interpretato ciò che si stava muovendo davanti ai loro occhi.
Non si trattava pertanto di un'autobomba - è scritto nella sentenza -, di un veicolo organizzato ad autobomba, che si dirigeva a luci spente verso il contingente italiano e che veniva fatto esplodere per sventare un attentato, come emerso dalla testimonianza fornita dai militari implicati e dalle autorità militari che hanno condotto l'inchiesta di loro pertinenza. Si trattava di un'autoambulanza che si è incendiata solo a causa delle sventagliate di mitragliatrice esplose dai lagunari della Serenissima con l'arma di reparto.
Chiediamo di sapere se il Governo nel frattempo, quello precedente o l'attuale, dato che la competenza riguarda entrambi, abbia risarcito il danno ai familiari delle vittime o in difetto se intenda risarcirlo al più presto; chiediamo di conoscere lo stato delle cose su questo punto di estrema importanza.
Chiediamo di sapere, inoltre, se le regole di ingaggio applicate dal dispositivo militare di accompagnamento dell'invio del contingente italiano a Nassiriya prevedessero una tale evenienza. Tutto ciò è scritto nel testo dell'interpellanza, ma voglio precisare meglio la domanda, dato che certamente non poteva essere prevista la possibilità di aprire il fuoco anche contro le ambulanze in deroga all'articolo 191 del codice penale militare di guerra. Vogliamo sapere se le regole di ingaggio vennero formulate - su questo insisto perché lo voglio proprio sapere - in maniera non adeguata a mettere in evidenza l'assoluto vincolo inibitorio affinché si potessero svolgere azioni di questo genere.
Chiediamo anche di sapere se il Governo intenda accertare se i fatti si siano svolti secondo la testimonianza dell'autista e secondo il racconto che ha fatto il giornalista americano anche alla luce della sentenza del tribunale militare di Roma che - ripeto - da una parte si assolve in nome di un accreditamento di non comprensione di quello che stava succedendo, ma dall'altra riconosce l'evento criminoso. Domandiamo se il Governo intenda accertare, altresì, alla luce di questa importante sentenza, le responsabilità della catena di comando del battaglione lagunari «La Serenissima» e dei comandanti della missione Antica Babilonia nella diffusione di informazioni false all'opinione pubblica e alle autorità politiche del nostro Paese.
Intendiamo sapere, infine, se il Governo non ritenga che l'encomio concesso dal generale Corrado Dalzini al maresciallo Stival, il sottufficiale che ha ordinato di aprire il fuoco contro l'ambulanza, non costituisca un atto illegittimo di compiacimentoPag. 38 dato il carattere criminoso dell'episodio secondo la definizione che ne fornisce la sentenza e se intenda prendere provvedimenti.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere.
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, l'interpellanza in esame si riferisce alla vicenda degli scontri avvenuti nella notte tra il 5 e il 6 agosto 2004 a Nassiriya tra i miliziani sciiti e i militari italiani della task force «Serenissima», per il controllo dei tre ponti che collegano, lungo il fiume Eufrate, le zone nord e sud della città, con particolare riferimento all'episodio che ha visto coinvolto un veicolo civile, rivelatosi alla luce dei fatti un'ambulanza che, mentre tentava di attraversare il ponte «Charlie», verso le 3,30, del 6 agosto 2004, veniva fatto segno da fuoco erogato dai militari del contingente italiano.
In via preliminare, nell'affrontare tale complessa e delicata vicenda si ritiene opportuno, anche per una questione di sensibilità istituzionale e di dovere etico, assumere atteggiamenti improntati a criteri di equilibrio, chiarezza e buonsenso, nell'interesse generale di pervenire, sempre e comunque, al primato della verità.
Tale sottolineatura appare doverosa nella considerazione che l'interpellanza in discussione, che si impernia sostanzialmente sulla sentenza di assoluzione dei militari italiani coinvolti nell'episodio predetto, così come è stata formulata, non si basa evidentemente su un quadro della situazione completo e pare presentare l'occasione per deduzioni o valutazioni non appropriate.
In effetti è l'intera citata sentenza del giudice per l'udienza preliminare, in data 9 maggio 2007, che va presa in considerazione, senza sottrarne parti essenziali e ridurla ad una lettura selettiva. Soltanto un esame completo della stessa sentenza, nella sua interezza, può consentire un approccio soddisfacente alla vicenda e offrire gli elementi oggettivi di valutazione.
All'interno di detta sentenza, in particolare in alcuni punti che vanno messi qui in evidenza, risiedono anzitutto le risposte alle domande di cui all'interpellanza.
Fatta questa premessa, con riferimento all'aspetto secondo cui sarebbero state fornite, dai comandi militari in teatro, informazioni e versioni dei fatti false «nel tentativo di allontanare da sé la responsabilità per un evento criminoso», come pure al presunto «castello di menzogne attraverso il quale si è voluta negare perfino l'esistenza del fatto materiale», si ritiene che la sentenza consenta di fare ampia luce.
Dall'analisi della sentenza, infatti, con particolare riguardo alla parte in cui il gruppo ricostruisce la dinamica dell'episodio, lo stesso giudice evidenza, spiegandone le ragioni, il diverso tenore delle deposizioni rese da numerosi militari italiani; deposizioni che appariranno non soltanto contrastanti con le testimonianze rese dai cittadini iracheni, ma anche divergenti tra loro.
In proposito, la sentenza stessa fa riferimento al fatto che «le condizioni di particolare tensione operativa, nonché le difficoltà visive derivanti dal buio notturno (...), le diverse posizioni occupate da ogni singolo militare (...), possono con tranquillità spiegare le divergenze e le imprecisioni che è stato possibile evidenziare nelle ricostruzioni del fatto (...), senza doversi spingere fino ad ipotizzare falsità artatamente preordinate ovvero muri di omertà».
Ancora, la sentenza afferma: «appare comunque non convincente ed anzi destituita di fondamento la tesi di un muro di omertà costruito da una sorta di congrega, preoccupata solo di dichiarare il falso a chiunque cercasse di accertare quanto accaduto in quella notte».
D'altro canto, sempre secondo quanto si rileva dalla sentenza, «l'episodio in questione non è stato nascosto dai militari operanti sin dal suo primo verificarsi, nella sua immediatezza; tanto è vero che sul registro degli avvenimenti della "Serenissima" si legge (...): "un mezzo stava Pag. 39attraversando il ponte C non fermandosi all'alt e sparando contro il dispositivo, veniva colpito da colpi di arma da fuoco ed esplodeva"».
Dalla lettura di tali passaggi si rileva che, nell'immediatezza del fatto risultava obiettivamente operazione complessa ricostruire con precisione i fatti e la dinamica dell'episodio. Riguardo alla deduzione degli onorevoli interpellanti secondo cui l'autorità giudiziaria avrebbe «accertato il carattere obiettivamente criminoso del fatto per l'assenza di ogni causa di giustificazione», si osserva che lo stesso GUP giunge a conclusioni diametralmente opposte a tale deduzione.
In particolare con riferimento alla ricostruzione del fatto, il GUP ritiene sia necessaria «una sua più ampia contestualizzazione».
Infatti nella citata sentenza, si legge: «i nostri militari si trovavano nella notte tra il 5 il 6 agosto 2004 a fronteggiare un attacco di vaste dimensioni belliche; durante il suo perdurare si verificavano vari tentativi di attraversare il ponte denominato «Charlie» ad opera di svariati autoveicoli; mentre in tutte le altre occasioni i conducenti ottemperavano alle intimidazioni a tornare indietro, in due casi ciò non si verificava». Uno dei due casi è proprio quello di cui si sta discutendo.
«Tutto questo» - continua la sentenza - «in un più generale contesto operativo in cui occorreva non solo rispondere militarmente ad eventuali aggressioni in campo aperto, per così dire di natura tradizionale, ma anche tener conto che non infrequentemente dal fronte opposto si sarebbe fatto ricorso a strumenti di guerra nuovi e diversi, in estrema sintesi qualificabili come terroristici e di guerriglia».
La medesima autorità giudiziaria - va rimarcato - ha assolto i militari italiani, «perché» - come affermato nella sentenza, - «persone non punibili per aver ritenuto di agire in stato di necessità militare».
Le considerazioni sullo stato di necessità valgono anche per la più ampia questione riguardante le regole d'ingaggio rispetto al richiamato articolo 191 del codice penale militare di guerra.
Le regole di ingaggio sono vincolate ai principi del diritto internazionale, pattizio ed umanitario, e sono assunte in conformità alle vigenti leggi penali, ordinarie e militari, e devono rispondere ai criteri di necessità e proporzionalità dell'azione. Da una parte, quindi, queste regole servono a codificare l'autodifesa, dall'altra devono precisare il livello di uso della forza, per raggiungere lo scopo della missione nel caso in cui vengano incontrati atteggiamenti ostili.
In particolare, l'autorità giudiziaria fa rilevare, nell'ambito della sentenza, che la possibilità di utilizzare la forza in modo adeguato è stata applicata in maniera del tutto legittima, benché condizionata dallo stato di necessità militare. Nel particolare contesto operativo di cui si discute, i militari, fra l'altro, avevano «l'oneroso compito di adottare provvedimenti e di intraprendere iniziative di particolare delicatezza e difficoltà, talvolta in tempi e modi rapidissimi». Il comportamento tenuto dai militari, pertanto, è stato ispirato ai principi di proporzionalità e necessità e l'uso della forza è stato deciso solo dopo aver rilevato l'inefficienza delle altre disposizioni poste in essere per dissuadere il mezzo dell'attraversamento del ponte.
La sentenza, ha tra l'altro, accertato che «i mezzi da loro utilizzati per fronteggiare la situazione di ritenuto pericolo erano (...) gli unici disponibili e comunque proporzionati (...)». Sulla specifica circostanza, il giudice afferma che: «a fronte di tali ritenute emergenze operative non si poteva far altro che, ed in pochi istanti, decidere di applicare le regole di ingaggio (...) facendo uso delle armi a disposizione e della successiva gradualità prescritta. Non vi era altra possibilità per impedire che il veicolo in questione oltrepassasse il limite di sicurezza, che esso si avvicinasse ulteriormente al dispositivo, tanto più che era giunto a distanza ravvicinata, qualificabile in non più di cinquanta o sessanta metri».
Con riferimento, poi, alle richieste di risarcimento danni, si rappresenta che agli Pag. 40atti del procedimento penale sono presenti istanze di risarcimento o aiuto economico, formulate dai parenti delle vittime a margine e nel corso dei relativi verbali di assunzione di informazioni come persone informate sui fatti.
Tali verbali furono redatti dal Provost Marshall del contingente italiano e trasmessi alla procura militare della Repubblica di Roma a seguito e a corredo della notizia di reato, nella prima fase delle indagini militari, in data 31 agosto 2004. Nessuno dei parenti delle vittime risulta, però, essersi formalmente costituito nel procedimento come persona danneggiata, ai sensi dell'articolo 90 del codice di procedura penale ovvero come parte civile, ai sensi degli articoli 74 e 76 dello stesso codice. La predetta sentenza non contiene, pertanto, alcuna statuizione civile a favore delle persone offese. Ogni valutazione economica sarà conseguente al giudicato penale.
Con riferimento, infine, all'aspetto relativo alla presunta concessione di un encomio a favore del maresciallo Stival, gli organi militari competenti hanno reso noto che, dall'esame dello stato di servizio dell'interessato, non risulta alcuna trascrizione a matricola in tal senso.
PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di replicare.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, mi dichiaro molto insoddisfatta, ma mi aspettavo una risposta di questo genere, perché tutto ciò che riguarda l'ambito militare è protetto o dai segreti militari o dalla protezione istituzionale e politica non di questo Governo, ma dei Governi in genere.
Vorrei avanzare alcune osservazioni, alcune considerazioni politiche e, poi, alcune precisazioni contestuali. La partecipazione del nostro Paese all'impresa statunitense in Iraq non è stata una qualsiasi missione militare. È stata la scelta di far parte di una spedizione di aggressione all'Iraq che ha comportato prezzi pesantissimi per il nostro Paese, sia dal punto di vista dei vincoli costituzionali, sia del rispetto del diritto internazionale, delle convenzioni e delle alleanze, sia dal punto di vista dei costi umani che il Paese ha avuto (voglio ricordare l'attentato ai carabinieri italiani sempre a Nassiriya).
Pertanto, credo che una sensibilità politica da parte del Governo Prodi - che ha voluto sancire la fine dell'impresa militare italiana a Nassiriya - avrebbe richiesto una risposta ispirata al pensiero politico e non soltanto un'informazione burocratica, mediante un'interpretazione letterale della sentenza del tribunale o in relazione ai fatti così come raccontanti dalle relazioni delle autorità militari.
Inoltre, ci saremmo aspettati una sensibilità politica che mettesse l'accento sulla tragicità di quell'episodio e non sulle ragioni per si è sparato addosso ad un'autoambulanza con i segnali, le luci e tutto quello che poteva far riconoscere che si trattava di un'autoambulanza, anziché di un veicolo per il trasporto del pane, spedito contro il contingente italiano, rendendo necessaria una capacità di lettura di quella tragica storia di una donna irachena partoriente e bisognosa di cure specialistiche trasportata su un'ambulanza, colpita e morta nella battaglia dei tre ponti, nel corso della quale i militari italiani sono stati coinvolti in un conflitto a fuoco pesantissimo, che di per sé, in radice, contraddiceva la denominazione dell'impresa italiana come impresa e missione di pace.
Pertanto, signor sottosegretario, a mio avviso nella risposta del Governo vi è la dismissione di qualsiasi obbligo (in primo luogo morale, trattandosi di un episodio per noi così tragico, oltre che politico e istituzionale) di prendere in considerazione seriamente la situazione, e non dal punto di vista tecnico relativo all'assoluzione di quei militari, e di porre all'ordine del giorno un episodio sul quale bisognerebbe ricostruire elementi di memoria che ci servano anche per il futuro - in considerazione del peso e del posto che le missioni militari occupano nella politica internazionale del nostro Paese - affinché episodi di questo genere non si debbano Pag. 41più ripetere. Questa, perlomeno, dovrebbe essere, per così dire, la lezione morale oltre che politica da trarre.
Inoltre, vorrei fare delle osservazioni specifiche. Non ho negato che vi sia stata l'assoluzione dei militari ed ho anche espresso - nella breve illustrazione che ho svolto - le ragioni di contesto che, secondo la sentenza, in qualche modo, hanno costretto i militari italiani a vedere quello che non c'era, a causa della tensione enorme, dell'enorme coinvolgimento nella sparatoria (che deve essere stata una esperienza molto faticosa) a causa delle luci e di tutto il resto.
Tuttavia, la sentenza assolve in nome di ciò, ma non nega la natura criminosa dell'episodio: questo è il fatto!
Ricordo che nell'ordinanza per la formulazione dell'imputazione a seguito dell'archiviazione non accolta - ordinanza del GIP del tribunale militare di Roma - l'interpretazione delle implicazioni che l'episodio criminoso ha avuto, sia sulle vittime, sia sulle responsabilità dei militari, è invece espressa con grandissima crudezza e chiarezza. Quello al codice penale militare di guerra è un riferimento di cui si mette in evidenza il carattere strettamente vincolante e non casuale o sottoponibile a verifiche di necessità, maggiore o minore, da parte dei militari implicati.
Da quanto da lei affermato, signor sottosegretario, parrebbe che il codice penale militare di guerra (l'articolo 191 in maniera particolare, e comunque il complesso delle disposizioni che vincolano le azioni militari a una strettissima tutela dei privati che non compiano atti ostili nei confronti delle truppe italiane in qualsiasi paese) non sia strettamente vincolante. Voglio ricordare che il codice penale militare di guerra, cui facciamo riferimento, risale al 1938, quindi è datato; tuttavia gli articoli che riguardano la tutela dei civili non implicati in atti ostili e la protezione di persone ferite, malate e del personale sanitario sono espressi in un contesto di vincolo strettissimo che - al contrario di quanto lei ha affermato o di quanto gli uffici le hanno scritto, signor sottosegretario - non può essere in nessun modo sottoposto al vaglio, alla misura, alla convenienza e all'opportunità dei militari impegnati in battaglia. Invece, da come lei presenta l'interpretazione di questi articoli, parrebbe che si possano rispettare o meno le norme del codice a seconda del contesto.
Quando chiedo se le regole di ingaggio fossero chiaramente definite rispetto al codice penale militare di guerra (che era quello cui era sottoposta l'impresa) intendo proprio sapere se queste regole - dal momento che era la prima volta che si utilizzava il codice penale militare di guerra in quell'impresa - prevedessero con cura e con carattere vincolante l'osservanza di quella parte del codice penale militare di guerra che detta le regole...
PRESIDENTE. Onorevole Deiana, concluda.
ELETTRA DEIANA. ...che disciplinano il rapporto con i civili, con i malati, con il personale sanitario e via discorrendo.
Insomma a me pare che la risposta che il Governo ha fornito non sia assolutamente soddisfacente e che tutta la vicenda della partecipazione italiana alla guerra in Iraq (così drammaticamente segnata, appunto, dalla violazione della Costituzione e del diritto internazionale, da lutti nostrani e da questa vicenda drammatica di uccisione di gente innocente), aspetti ancora una riflessione pubblica etico-politica all'altezza del coinvolgimento che il nostro Paese ha avuto in quella sciagurata guerra.