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Seguito della discussione del disegno di legge: S. 1819 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, recante interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale (Approvato dal Senato) (A.C. 3194-A) (ore 9,45).
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3194-A)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leo. Ne ha facoltà.
MAURIZIO LEO. Signor Presidente, il decreto-legge di cui ci stiamo occupando viene definito impropriamente «decreto fiscale».
Se andiamo a vedere i contenuti del provvedimento, vediamo che le norme fiscali non sono molto rilevanti. Notiamo, invece, una serie di norme che riguardano la spesa, che trovano il loro fondamento e il loro radicamento nel cosiddetto tesoretto.
Il tesoretto è un neologismo che non è stato neanche granché apprezzato dall'Unione europea. «Tesoretto» significa avere avuto più gettito rispetto alle previsioni. La prima osservazione che va fatta è che le previsioni, forse, non erano molto accorte. Ricordo che la Commissione Faini, nel settembre dello scorso anno, aveva messo in evidenza che le valutazioni non erano in linea con il lavoro che era stato posto in essere.
L'aspetto primario che deve essere evidenziato, quindi, è che si è andato formandoPag. 2un tesoretto, ossia una ricchezza non preventivata dal Governo. Da che cosa discende, allora, il tesoretto?
Si sostiene che esso discende dalla lotta all'evasione fiscale. Ebbene, chi si occupa di queste materie sa che l'evasione fiscale si combatte in un certo lasso temporale. L'amministrazione finanziaria, sia essa civile o militare, nel momento in cui intraprende un'azione di accertamento predispone degli atti, che sono i processi verbali di constatazione.
Dalla predisposizione del processo verbale di constatazione all'atto di accertamento, che è l'atto con il quale si fa valere la pretesa tributaria, passa molto tempo. Successivamente, c'è tutto l'iter contenzioso. Ci sono tre gradi di giudizio (commissione di primo grado, commissione di secondo grado e Corte di cassazione) ed è verosimile che i contribuenti esperiscano tutto l'iter giurisdizionale. Parlare, quindi, di lotta all'evasione in un lasso temporale così ristretto, da giugno del 2006 sino al 2007, mi sembra improprio.
Il tesoretto, allora, forse discende da altri fattori. Da che cosa può discendere? Innanzitutto dalla crescita economica: non dimentichiamoci che dall'inizio del 2006, rispetto agli anni di stagnazione nei quali aveva governato il centrodestra, abbiamo avuto una ripresa dell'economia. L'effetto sui conti pubblici e, in particolare, sulle entrate tributarie si sarebbe verificato quasi automaticamente. Bastava seguire l'andamento della crescita economica per capire che ci sarebbe stato sicuramente un incremento di entrate erariali. Invece, così non si è fatto.
Si è scelta la strada della penalizzazione dei contribuenti. Sono stati approvati tre provvedimenti (il decreto-legge Visco-Bersani, il cosiddetto collegato fiscale del novembre 2006 e, infine, la legge finanziaria per il 2007), che hanno rappresentato una grossa penalizzazione per i contribuenti e un conseguente incremento di entrate erariali.
In che cosa è consistito l'intervento? Basti pensare a quello che è accaduto per le imprese: esse hanno visto allargare a dismisura la base imponibile, vale a dire il quantum su cui si applica l'imposta. Le imprese hanno constatato che molti componenti negativi del loro reddito non erano più deducibili, non si potevano portare in deduzione alcuni costi.
Ricordo quanto è avvenuto con il decreto Visco-Bersani e con il collegato fiscale relativamente agli immobili, un bene strumentale fondamentale per le imprese. Si è detto: l'immobile non può essere più ammortizzato, non si possono più dedurre i costi in modo analitico; l'immobile può essere ammortizzato scorporando la parte relativa al terreno sottostante. Guarda caso, la parte relativa al terreno sottostante era pari al 30 per cento del valore: quindi, se un imprenditore aveva acquistato un fabbricato pagandolo 100 poteva dedurre solamente 70, mentre 30 non erano deducibili.
Penso che qualsiasi persona che si occupi di questa materia si renda perfettamente conto che il valore del terreno sottostante il fabbricato non potrà mai essere quotato, stimato e valutato nel 30 per cento del costo complessivo. Quindi, qual è stato l'effetto? L'effetto è stato quello di aver penalizzato le imprese, che non hanno potuto dedurre il costo del fabbricato.
La situazione è stata ancora più rilevante sul versante delle auto aziendali. Sappiamo tutti che cosa è successo per le auto aziendali: c'è stata una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, la cosiddetta sentenza Strada asfalti, che ha affermato, in linea con le direttive comunitarie, che l'IVA relativa alle auto aziendali doveva essere dedotta. Il Governo ha sostenuto che è stata un'eredità del Governo precedente e che il Governo Berlusconi avrebbe dovuto pensarci. Questa indeducibilità, invece, affonda le radici nel tempo, perché risale al 1979; quindi dare responsabilità al Governo Berlusconi per fatti che risalgono nel tempo mi sembra non corretto.
Dunque, la sentenza Strada asfalti ha comportato che lo Stato doveva rimborsare in parte l'IVA sulle auto aziendali. Il Governo ha detto: il quantum generale del rimborso si attesta su 5 miliardi di euroPag. 3(sono le affermazioni che ha reso il Viceministro dell'economia, onorevole Visco); siccome dobbiamo restituire 5 miliardi di euro, dobbiamo prendere le risorse dallo stesso comparto e, quindi, stabiliamo che non si può dedurre più nulla, a decorrere dal 1o gennaio del 2006, per quanto le riguarda le auto: non si può più dedurre il costo ai fini delle imposte dirette e ai fini dell'IRAP.
Cosa è successo alle imprese? Le imprese non hanno più dedotto nulla: nessuna auto, bene strumentale per svolgimento dell'attività, è stata dedotta nel 2006. Il rimborso, però, non è stato dato: esso poteva essere richiesto previa presentazione di un'istanza, ma l'iter si è protratto nel tempo.
Ecco il tesoretto da cosa nasce, dall'indeducibilità di un costo! L'impresa non ha potuto dedurre assolutamente nulla e intanto il rimborso è di là da venire. Il rimborso è stato previsto sulla base della presentazione di un'istanza all'amministrazione finanziaria che, peraltro, era estremamente complessa da presentare: tanti imprenditori hanno rinunciato a chiedere il rimborso perché dovevano considerare certi aspetti, vale a dire l'indeducibilità, la deducibilità che era stata data relativamente all'IVA capitalizzata sul bene strumentale e altre technicality che non sto qui a dire. Il risultato è stato che, dal punto di vista delle imposte sui redditi, non c'è stata nessuna deduzione e il rimborso dell'IVA non è stato dato. L'effetto di questa operazione ha comportato un incameramento di entrate da parte dello Stato per circa 2-3 miliardi e un esborso, che non si è realizzato, di circa 800 milioni: ecco il tesoretto! Ecco come vengono fuori le risorse!
A questo fattore aggiungiamo l'effetto, ancora più pernicioso per le imprese, che è stato prodotto dagli studi di settore. La legge finanziaria del 2007 ha rivisto il meccanismo degli studi di settore, introducendo i cosiddetti indici di normalità economica. Si tratta di meccanismi attraverso i quali l'imprenditore deve integrare i ricavi congrui: se ha dei ricavi pari a 100, deve pagare necessariamente di più perché ope legis si dice che il ricavo, così come determinato, non va bene, quindi bisogna incrementarlo.
Cito i dati del Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa. Ricordiamoci che al 99,8 per cento delle imprese italiane si applicano gli studi di settore.
Il 99,8 per cento delle imprese italiane ha pagato più tasse e si è registrato un incremento di gettito derivante dagli studi di settore del 25 per cento. Non si tratta, però, di un incremento fisiologico dovuto al fatto che le imprese hanno prodotto maggiori ricavi, bensì di un incremento statistico, dal momento che, attraverso gli studi di settore, si dice che bisogna incrementare in via statistica i ricavi delle imprese. Quindi, le imprese hanno pagato più tasse e, di conseguenza, si è determinato il tesoretto.
Come terzo fattore ricordiamo quanto è successo sul versante delle complicazioni. Sono stati reintrodotti gli elenchi clienti e fornitori, le indagini finanziarie e una serie di monitoraggi dei conti delle imprese e dei professionisti.
Soprattutto con riferimento a quest'ultima categoria di soggetti - i professionisti -, attraverso le indagini finanziarie si è sostenuto che, nel momento in cui si viene a conoscenza di tutti i dati bancari del contribuente e si osserva che dal conto corrente bancario il contribuente, il professionista, ha prelevato delle somme, quel prelievo di somme equivale ad un ricavo sottratto a tassazione.
Ma noi sappiamo che molto spesso il professionista ha un conto che ospita sia i movimenti professionali sia quelli personali. È chiaro che un professionista che dispone di un unico conto non vive di aria, ma dovrà prelevare somme da quel conto anche per le esigenze personali e familiari.
Ebbene, con la normativa che è stata introdotta si stabilisce, invece, che quel prelievo diventa un ricavo qualora il contribuente non sia in grado di giustificarlo, addirittura, per annualità pregresse, in relazione alle quali egli è nell'impossibilità oggettiva di ricostruire i movimenti.
Attraverso tali norme si è creato il gettito: possiamo, dunque, parlare di lottaPag. 4all'evasione? Ammettiamo, piuttosto, che tutto ciò che è stato realizzato in più e che ha formato oggetto dei due provvedimenti - quello di giugno e quello che stiamo discutendo - è il frutto dell'inasprimento del carico fiscale sia sulle imprese, sia sui lavoratori dipendenti.
Non dimentichiamo, infatti, che il meccanismo introdotto con la legge finanziaria dello scorso anno - vale a dire la sostituzione delle deduzioni dall'imponibile con delle detrazioni di imposta - ha inciso pesantemente anche sui lavoratori dipendenti.
Ricordo che alcuni lavoratori dipendenti, addirittura iscritti ad un sindacato vicino alla sinistra (la CGIL), sono andati con le buste paga dinanzi al sindacato a protestare dicendo: che ci avete combinato? Noi che abbiamo redditi addirittura inferiori a 20 mila euro, abbiamo subito una penalizzazione in termini di imposizione. Infatti, andando a vedere le loro buste paga, essi hanno constatato un'impennata delle addizionali locali (comunale e regionale) e hanno visto che il loro reddito disponibile si è assottigliato.
Questi sono i dati preoccupanti: vi è stato un incremento del gettito che però non è derivato dalla lotta all'evasione, bensì da un carico fiscale sicuramente più penalizzante.
I dati de Il Sole 24 Ore dell'altro giorno indicano che sulle imprese (e, dunque, su soggetti IRES interessati dall'imposta sul reddito delle società) vi è stato un inasprimento del carico fiscale del 25 per cento. Possiamo chiamarla «lotta all'evasione»?
Possiamo, piuttosto, dire che la lotta all'evasione si è fatta, ma si è fatta sostenendo che il Governo di centrodestra aveva messo in piedi i cosiddetti condoni fiscali, mentre adesso di condoni non ve ne sono più. È stata un'opera meritoria, perché anche io sono convinto che di condoni non si debba più parlare. Però, dobbiamo essere corretti e dire che oggi i condoni hanno altri nomi e sono prospettati sotto altre sembianze: non si chiamano «condoni fiscali», bensì «accertamenti con adesione».
Anche a tale riguardo debbo citare alcuni dati de Il Sole 24 Ore del 3 settembre di quest'anno. Noi sappiamo che in tutti gli uffici finanziari d'Italia (al nord, al centro e al sud), di tutti gli accertamenti fiscali effettuati, il 50-60 per cento forma oggetto di accertamento con adesione. L'accertamento con adesione consiste in una riduzione dell'imposta dovuta dai contribuenti.
Quindi, se ad avviso degli uffici finanziari si sono evase imposte per un importo pari a 100, si trova un accordo e, anziché pagare 100, si paga 50, 30 o 40. Non vogliamo chiamare questa operazione un «condono mascherato»?
Attenzione: tale fenomeno si sta verificando in tutti gli uffici finanziari d'Italia. Tutti i contribuenti dapprima ricevono un accertamento tributario, ma successivamente l'ufficio finanziario chiama il contribuente e gli propone di sedersi dinanzi ad un tavolo e concludere una sorta di patteggiamento, di transazione.
A tale proposito, voglio ricordare un caso emblematico: un noto sportivo, la scorsa estate, ha ricevuto un accertamento pari a 18 milioni di euro. La materia del contendere riguardava la residenza di questo soggetto, ossia se egli fosse residente a Montecarlo oppure in Italia. I casi sono due: se il contribuente era residente in Italia, avrebbe dovuto pagare tutti i 18 milioni di euro contestati. Se, invece, era residente a Montecarlo, non avrebbe dovuto pagare niente, perché il soggetto residente fuori dal territorio nazionale non è tenuto al pagamento delle imposte.
Come è finita questa vicenda? Si è proposto a tale soggetto di pagare non 18 milioni di euro, ma solo 3 milioni e mezzo. Pertanto, è stato fatto uno sconto, un regalo. A riprova di ciò, recentemente, un altro personaggio sportivo ha seguito la stessa strada compiuta dall'altro soggetto e quindi anche egli fruisce di sconti, di agevolazioni.
Si tratta di lotta all'evasione oppure di un condono mascherato? Su tali punti ci si deve interrogare e si deve riflettere, perché corriamo il rischio di presentare tali misure, che sono state adottate daiPag. 5decreti Visco-Bersani e da quelli successivi, come strumenti di effettivo contrasto all'evasione fiscale.
In realtà, le cose non stanno così e per comprenderlo basta andare in giro, sentire i professionisti e parlare con gli uffici finanziari. Anche loro dicono che, purtroppo, sotto la pressione degli obiettivi e dei risultati che devono ottenere entro la fine anno, sono costretti a fare degli sconti. Se prendiamo atto di tale situazione, siamo in grado di capire come è stato ottenuto il tesoretto e come si sta contrastando l'evasione fiscale: si deve fare, si deve porre un argine, ma non con questi metodi e modalità.
Il punto sul quale intendo richiamare l'attenzione dei colleghi e del Governo è che tali aspetti vanno chiamati con il loro nome. Non si sta lottando contro l'evasione fiscale, ma solo inasprendo il carico fiscale, facendo pagare più tasse ai contribuenti e, automaticamente, si realizzano risorse aggiuntive che non sono destinate alla riduzione dell'indebitamento e del debito, bensì alla spesa.
Veniamo appunto alla spesa. Se indirizzassimo le maggiori risorse alla spesa produttiva, da parte del centrodestra non vi sarebbero né obiezioni né contestazioni. Il problema è che indirizziamo le maggiori risorse, il cosiddetto tesoretto, verso finalità che non sono produttive. Pertanto, deve necessariamente esservi una presa di distanza da parte dell'opposizione. Infatti, laddove tali misure venissero indirizzate e convogliate verso obiettivi di produzione che, soprattutto nell'attuale fase del ciclo economico, che è abbastanza complessa, devono sostenere la crescita economica, ritengo che vi potrebbe essere condivisione e unanimità, da parte di tutto il Parlamento, sull'utilizzo delle risorse in tal senso. Ma nel momento in cui tali risorse vengono destinate solo alla spesa corrente, credo che tale percorso non si possa seguire.
Veniamo ora all'analisi del provvedimento. Esso reca tante disposizioni di spesa e poche disposizioni fiscali e queste ultime, peraltro, sono sbagliate dal punto di vista tecnico. In particolare, mi riferisco alla disposizione più contestata, quella relativa agli incapienti. Sappiamo tutti che vi sono delle categorie di soggetti, non solo i titolari di reddito di lavoro dipendente, ma anche i titolari di reddito di lavoro autonomo, di immobili e via dicendo, che per una serie di circostanze, di oneri deducibili, di costi, eccetera, non devono pagare le imposte. Tali soggetti, i cosiddetti incapienti, vengono beneficiati, giustamente e correttamente, attraverso un bonus che viene loro attribuito perché non sono obbligati al pagamento dell'imposta.
Sappiamo tutti quali sono state le vicende parlamentari: al Senato un emendamento di un esponente della sinistra ha sovvertito l'impianto originario della norma, prevedendo che ai ricordati soggetti spetta una detrazione fiscale di 300 euro. Nel testo licenziato dalla Commissione bilancio, la norma ha assunto addirittura livelli di totale incomprensione e di netta distanza dai principi fondamentali della scienza delle finanze e del diritto tributario. Infatti, si fa riferimento all'introduzione di una disciplina organica delle misure fiscali volte ad assicurare il riconoscimento dell'imposta negativa. Ma, signori miei, sappiamo cos'è un'imposta? Un'imposta è un prelievo coattivo cui è tenuto il contribuente per far fronte alle spese di natura pubblica indivisibili. È un prelievo coattivo che consiste nell'applicazione di un'aliquota su una base imponibile. Le imposte negative cosa sono? In nessun trattato di scienza delle finanze e di diritto tributario si parla mai di imposta negativa. Forse esiste solo nella mente del Viceministro Visco. L'imposta è un prelievo e l'imposta negativa non esiste. Se vi è una cifra negativa si è in presenza di un bonus, ovvero di una somma che deve essere conferita al contribuente, ma non di un'imposta negativa.
Ancora più grave è aver previsto il riconoscimento ai suddetti soggetti di una detrazione fiscale. Occorre considerare che si tratta di un errore palese. Come si può parlare di detrazione fiscale, quando non c'è imposta? La detrazione fiscale esiste nel momento in cui vi è un'imposta da pagare. Per fare un esempio, se io devoPag. 6100 di imposta, da questa somma tolgo 40 di detrazione fiscale e devo un'imposta di 60. Ma nel momento in cui l'imposta netta è pari a zero quale detrazione fiscale posso riconoscere? Si tratta di un'ulteriore lacuna che emerge dal dettato normativo e spero che il provvedimento venga corretto perché, altrimenti, è tecnicamente ingestibile. Non so come faranno gli uffici ad applicare correttamente tale norma. Inoltre, la stessa norma prevede che la detrazione fiscale venga applicata attraverso il sostituto d'imposta. Pertanto, è il soggetto che eroga le somme che deve dare il bonus; non deve applicare ovviamente l'imposta perché in questo caso l'imposta netta non c'è. Sappiamo, tuttavia, che esistono molti casi in cui non vi è il sostituto d'imposta, ossia un soggetto obbligato per legge ad effettuare ritenute alla fonte. Si pensi al caso delle badanti. Cosa succede per le badanti? Chi deve dare loro queste somme? Il datore di lavoro, che non è sostituto d'imposta?
Tutti i problemi che ho richiamato non sono affrontati nel provvedimento, eppure si tratta di problemi reali. Pertanto, invito il Governo a verificare le suddette disposizioni perché si parla di un'imposta negativa che non esiste e di detrazione fiscale quando non c'è imposta da pagare e a verificare come disciplinare i compensi per le badanti o per altri soggetti senza sostituto d'imposta. Si tratta di strafalcioni tecnici che devono essere sicuramente corretti, altrimenti si rischia di non dare nulla a persone che si trovano nell'identica situazione reddituale di altre.
Vi sono altre disposizioni nel provvedimento in esame. Per citarne una, vi è la norma che prevede il parziale finanziamento del cosiddetto 5 per mille. Ebbene, sul 5 per mille occorre uscire dagli equivoci. Si tratta, infatti, di una norma di democrazia, molto apprezzabile perché il cittadino, con lo strumento della dichiarazione dei redditi, può indirizzare risorse verso associazioni e organismi che hanno specifiche finalità (si pensi all'associazione per la ricerca sul cancro). Dobbiamo fare in modo che tali somme siano attribuite alle predette associazioni senza limiti. Il tetto è il 5 per mille, e basta. Una volta stabilito il tetto del 5 per mille non si può prevedere un'ulteriore splafonamento di risorse attraverso le entrate da attribuire.
Infatti, il cittadino vuole sapere come e a cosa vengono destinate le imposte che lo stesso è tenuto a pagare. Quindi, bisogna attribuire tali risorse, una volta stabilito il tetto del 5 per mille, senza limiti. Bisogna fare in modo che si eviti questo meccanismo perverso. Inoltre, ci vuole contestualità, tra il momento in cui si esprime la scelta e quello in cui vengono attribuite le risorse. Trascorre un lasso temporale enorme tra il momento della scelta e il momento in cui vengono attribuite le risorse: ci sono lungaggini burocratiche. Dobbiamo fare in modo di evitare che ciò avvenga. So che nel disegno di legge finanziaria si sta pensando di intervenire in qualche modo. Questo potrebbe essere un argomento bipartisan da trattare, che veramente fornisce una soluzione concreta a problemi reali dei cittadini. Ho cercato di illustrare gli aspetti di maggior rilievo contenuti nel decreto-legge in esame. Ho dichiarato che il provvedimento al nostro esame viene impropriamente chiamato fiscale, ma in realtà è un decreto-legge di spesa e di gestione del tesoretto.
Concludo trattando un altro aspetto. Ci stiamo prefigurando lo scenario italiano come la quintessenza della perfezione in materia tributaria. Stiamo dicendo a tutti che le norme fiscali funzionano e siamo apprezzati dal mondo intero. Allora, vi ricordo che di recente una associazione di rilievo, quale è Business International, ha svolto un'indagine pubblicata sul Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa. Sul versante della competitività tale indagine ha potuto evidenziare che, su ottantadue Paesi, l'Italia si piazza al quarantesimo posto in materia di competitività e il dato più allarmante è che si colloca all'ottantaduesimo posto, l'ultimo della classifica, in materia fiscale. Quindi, ci rendiamo conto che non stiamo facendo interventi seri in materia fiscale? Si sta dicendo ora con il disegno di legge finanziaria che cambieremo le cose, ridurremo l'imposta sul reddito delle società, abbasseremo l'aliquotaPag. 7dal 33 al 27,5 per cento. Ma abbiamo considerato come stiamo allargando la base imponibile? Abbiamo considerato che stiamo rendendo indeducibili gli ammortamenti e gli interessi passivi? Cosa diciamo alle piccole imprese (soprattutto quelle che si sono indebitate per acquistare beni strumentali in un momento di crescita), che gli rendiamo indeducibili i costi? Mascheriamo tutto ciò come allargamento della base imponibile?
Poi, ci dicono che si stanno favorendo le imprese, perché addirittura si prevede, per i piccoli imprenditori, una tassazione forfettaria del 20 per cento, laddove non si avvalgano di dipendenti e quando non abbiano alcun collaboratore. Mi dite qual è il piccolo imprenditore che non ha almeno un collaboratore? Non è un piccolo imprenditore, diventa un lavoratore autonomo! Quindi, il beneficio non lo avvertirà nessuno e allora non possiamo dire alle piccole e medie imprese, agli artigiani e ai commercianti che abbiamo ridotto la tassazione. Gli dobbiamo dire le cose come stanno: non avrete alcuna riduzione del carico fiscale, perché questa norma non si applica a voi. Ecco ciò che si sta generando in materia fiscale. È necessario uscire dalle menzogne e dal cosiddetto effetto placebo, vale a dire riduzione delle aliquote e allargamento della base imponibile. Dobbiamo parlare chiaro agli italiani, perché capiscano esattamente che quando vanno a pagare le tasse e presentano la loro dichiarazione dei redditi questo Governo ha solo inasprito e reso più pesante il carico fiscale, senza dare alcun beneficio (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signora Presidente, onorevole relatore, ho alcune considerazioni da aggiungere a quelle che sono state svolte, in particolare ieri, e questa mattina dall'onorevole Leo. Volevo iniziare con qualche considerazione di ordine generale. In primo luogo, sulla correttezza di fondo dell'utilizzo di maggiori entrate a copertura del provvedimento normativo al nostro esame. È la seconda volta che accade quest'anno, dopo il decreto-legge dello scorso giugno. Lo stesso servizio studi della Camera (è persino riportato nelle schede di lettura del provvedimento) ha cercato di trovare in qualche modo una soluzione a tale modo molto «garibaldino» di utilizzare presunte entrate extra.
Anche perché fino alla fine dell'anno, da un punto di vista formale, è difficile considerare gli «extra» rispetto alle previsioni delle entrate, perché non si sa come andranno le entrate negli ultimi mesi. Pertanto, si tratta di un modo di procedere del tutto improprio. Il servizio studi della Camera ha cercato di individuare quanto meno un elemento di tenuta, vale a dire il riferimento alla legge finanziaria del 2007, la quale, all'articolo 1, comma 5, disciplina l'utilizzo delle maggiori entrate rispetto alle previsioni di bilancio a legislatura vigente, partendo dal presupposto - ripeto - che sia possibile, e che sia corretto, definire nel corso dell'esercizio quote di entrate extra rispetto alle previsioni di bilancio; una considerazione contabile che per correttezza, non solo formale, andrebbe fatta al termine dell'esercizio, e non durante lo stesso, credo che questo sia evidente a tutti.
Si era individuato questo articolo 1, comma 5, della legge finanziaria 2007 perché aveva posto alcune condizioni per l'utilizzo di eventuali extra gettiti. I primi due requisiti consistevano nel fatto che fossero comunque tutelati i saldi e che le maggiori entrate derivassero dalla lotta all'evasione. E su questi punti dirò due cose, perché lo stesso relatore Di Gioia, nel suo intervento di ieri, è stato giustamente molto prudente nella definizione delle maggiori entrate, quali entrate derivanti dalla lotta all'evasione. Il terzo elemento era che la destinazione dell'extra gettito andasse alla riduzione della pressione fiscale, con priorità per misure di sostegno del reddito di soggetti incapienti. Di fatto, nessuno di questi punti è stato rispettato, se mai è stato individuato un'ancoraggioPag. 8per spendere oggi (come avete già fatto a giugno) soldi di un presunto extra gettito che - lo ripeto per l'ennesima volta - andrà verificato a consuntivo e non in itinere, per ragioni formali ma anche per ragioni di sostanza.
La manovra, che è dichiaratamente espansiva, viola gli obiettivi di saldo derivanti dal patto di stabilità, laddove esso impone agli Stati membri di perseguire una riduzione annuale, dello 0,5 per cento del PIL, del disavanzo di bilancio corretto per gli effetti del ciclo economico, non del disavanzo stimato l'anno prima. Pertanto, giustificare il peggioramento nel rapporto deficit/PIL dicendo «comunque noi siamo dentro i parametri del patto di stabilità» è sbagliato, nel momento in cui il patto di stabilità europeo, a maggior ragione negli anni positivi, imporrebbe di diminuire rispetto all'anno precedente dello 0,5 per cento il disavanzo. In più c'è una considerazione che il relatore fa nel suo intervento: siamo in un anno positivo in termini di crescita e di ciclo economico, ma ci prepariamo ad un 2008, e ancor più un 2009, nei quali le previsioni di crescita - ce lo dice in tono preoccupato lo stesso relatore - sono al ribasso. Ciò avrebbe dovuto costituire una ragione per intervenire in termini di riduzione sensibile del deficit in quest'anno, quindi lasciando le cose scorrere, e utilizzando l'eventuale extra gettito per ridurre il deficit.
Tornando ai punti fissati nella legge finanziaria dell'anno precedente, sulla natura dell'extra gettito è tutto da dimostrare quanta parte di esso sia frutto della lotta all'evasione. Ribadisco che su tale argomento l'intervento di ieri del relatore è stato molto puntuale, in quanto ha scorporato, in qualche modo, in singole voci - ovviamente si tratta di stime - le maggiori entrate, distinguendole tra strutturali, permanenti e non permanenti, e definendo quali di tali entrate siano imputabili alla lotta all'evasione. Ritengo che su tale aspetto il Governo debba presentare, con una precisione maggiore rispetto a quanto ha fatto fino ad oggi, la relazione sui risultati derivanti dalla lotta all'evasione, prevista nella legge finanziaria per il 2007. Il collega Leo, che mi ha preceduto, è stato molto puntuale sul tema. Sarebbe stato quanto mai opportuno che gli esiti di tale relazione - ammesso che, mi rivolgo Governo, sia stata redatta - fosse stata sottoposta all'attenzione del Parlamento in questa sede, perché ci basiamo sulle parole del relatore, che ha cercato di dare un quadro della natura delle entrate straordinarie.
A tal proposito, apro una parentesi: la mia convinzione, che ho ribadito più volte in questa sede, è che in realtà il Governo abbia adottato una tattica molto discutibile, consistita, fin dalla legge finanziaria per il 2007, nel sottostimare le entrate, per avere la possibilità di recuperare con le entrate maggiori del previsto - non maggiori del prevedibile - che sono state utilizzate per tornare, di fatto, sui tagli di spesa previsti nella legge finanziaria per il 2007 e rifinanziare le spese di cui si è detto. Quindi, alla fine di tale gioco, neanche poi così coperto, di fatto si potrebbe tornare a riscrivere la legge finanziaria per il 2007, eliminando i tagli previsti allora semplicemente con una previsione più adeguata delle entrate per l'anno successivo. Chiudo la parentesi che non è polemica, perché quelli che ho esposto sono i dati di fatto: oggi spendiamo delle somme chiamandole entrate straordinarie, rifinanziando spese e sapendo benissimo che in buona parte, anzi, in buonissima parte, tali entrate potevano essere previste già un anno fa. Preannuncio, dunque, la presentazione di un ordine del giorno con il quale chiediamo al Governo di presentare una relazione dettagliata e urgente sulla natura di tali entrate straordinarie, perché sull'aspetto ricordato va fatta maggiore chiarezza.
Paradossalmente, ma non troppo, solo una delle spese previste nel decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, rientra nei limiti posti dalla legge finanziaria per il 2007 alla spesa di eventuali entrate definite allora come straordinarie: si tratta dell'utilizzo dei fondi per il cosiddetto bonus per gli incapienti. Sull'argomento, rispetto a ciò che ha affermato il collega Leo in precedenza, al di là delle questioni squisitamentePag. 9tecniche, ritengo che il principio dell'imposta negativa appartenga alla cultura e alla tradizione liberista, anche di Friedman; quindi, non trovo nulla di scandaloso nel prevedere un'imposta negativa.
Prevista in questo modo, non è un'imposta negativa, bensì un regalo. Tuttavia, qualora vi fosse una riforma fiscale seria con un abbattimento delle aliquote, questo tipo di previsione non dovrebbe destare scandalo.
Tornando al punto, l'intervento di 150 euro - dal mio punto di vista, se si fosse mantenuta la cifra di 300 euro non vi sarebbe stato scandalo - rispetto agli incapienti rappresenta l'unico elemento di spesa contenuto nel decreto-legge in esame che fornisce un riscontro positivo alle previsioni della legge finanziaria per l'anno 2007. Tutto il resto credo che sia assai discutibile nel metodo e nel merito.
Da un punto di vista più generale, il risultato dell'intervento contenuto nel decreto-legge è costituito da un aumento della spesa corrente e da una diminuzione di quella in conto capitale. Secondo un articolo firmato per la rivista on-line lavoce.info da Tito Boeri e Pietro Garibaldi, l'extragettito fiscale (misurato come differenza tra le cifre indicate nella relazione previsionale e programmatica del settembre 2006 e l'aggiornamento al DPEF del settembre 2007) è stato pari a 16,5 miliardi di euro. Di tale somma, secondo questa distinzione, sono stati destinati 9,6 miliardi di euro alla spesa pubblica corrente, 1,7 miliardi di euro agli interessi passivi sul debito pubblico, 5,8 miliardi di euro alla riduzione dello stock del debito. Sconcertante è il fatto che la spesa in conto capitale, nel corso dei dodici mesi considerati e al di là delle redistribuzioni operate e delle destinazioni specifiche - come i 7 milioni di euro per 7 chilometri di semaforizzazione previsti dal decreto-legge in esame - sia diminuita di 1,8 miliardi di euro. Questi sono i dati di fatto a consuntivo.
Siamo di fronte ad un caso di scuola di tax push, ovvero di un incremento di gettito che alimenta nuove spese. Questa è la gravità del metodo scelto dal Governo per condurre la politica economica e fiscale. Io non ero presente, ma nei cinque anni precedenti abbiamo assistito ad ogni sorta di accusa nei confronti della gestione economico-finanziaria del precedente Governo e mi riferisco alla finanza creativa e a tutte le altre belle cose che ci ricordiamo perfettamente. Oggi, assistiamo ad una strategia - parlo in generale e non solo in ordine al provvedimento in esame, che pure costituisce uno degli elementi centrali di questa strategia - assolutamente dissennata. In un momento, infatti, di ciclo favorevole si presenta una finanziaria in cui si sottostimano le entrate. Nel momento in cui le entrate (prevedibili ma non previste) si manifestano, anziché essere utilizzate (proprio perché ci troviamo in una fase positiva del ciclo) per interventi seri e drastici a riduzione del deficit e del debito, sono utilizzate, prima ancora della fine del bilancio di esercizio (cosa assolutamente grave in termini formali e non solo) per finanziare maggiori spese. Ciò è accaduto a giugno e con questo decreto-legge, nell'ambito di una strategia che porta ad una diminuzione della spesa in conto capitale e ad un aumento della spesa di parte corrente.
Quindi, siamo di fronte alla sconfitta sonora di chi, come Prodi, Visco e Padoa Schioppa, continua a pensare che si possano risanare i conti pubblici attraverso l'inasprimento fiscale. Vi è, infatti, un dato da cui non possiamo assolutamente prescindere: nel 2007 la pressione fiscale ha raggiunto livelli record. Questo è il dato di fatto, al di là delle analisi microeconomiche sulle aliquote, svolte in precedenza, su come gli inasprimenti fiscali contenuti nella legge finanziaria 2007 abbiano giocato in termini di fisco a livello centrale e locale. Siete arrivati al record di tassazione in una situazione di congiuntura positiva e, anziché fare tesoro di questo aumento per intervenire sul deficit, con questo escamotage di non prevedere subito le entrate, avete giocato sul fronte delle spese. E questi sono dati di fatto.
L'anno prossimo - lo dice il relatore - la previsione è di una diminuzione della crescita economica e questa strategia dissennataPag. 10si manifesterà in tutta la sua compiutezza. Pertanto, è stato buttato al vento un anno che poteva essere quello più prezioso per il risanamento dei conti pubblici.
Quindi, ci troveremo in una situazione in cui si dirà che siamo in una fase di recessione e di difficoltà e pertanto non sarà possibile abbattere la pressione fiscale; ciò anche perché, al di là del tentativo di spiegare, anche da parte del relatore, che questo decreto-legge produce effetti di spesa solo nell'anno corrente e che non vi saranno effetti di trascinamento (le entrate straordinarie verranno utilizzate per far fronte a spese straordinarie prive di effetti di trascinamento in termini di maggiori spese negli esercizi successivi), sappiamo che è vero il contrario, ossia che, comunque, questi interventi di spesa produrranno aumenti di spesa strutturali per gli anni successivi. Ci troveremo ad affrontare una congiuntura che potrebbe - queste sono ormai le previsioni di consenso - volgere al brutto. Dunque, attraverso questa manovra dissennata, avremmo prodotto un gradino di nuovo al rialzo in termini di spesa pubblica e di tassazione.
Vorrei concludere con una considerazione sull'articolo 26 del decreto-legge, voluto dal Ministro Pecoraro Scanio, che prevede che, dal prossimo anno, il DPEF contenga un aggiornamento sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di CO2 derivanti dal Protocollo di Kyoto. Credo che l'intento di portare all'attenzione del Parlamento e del Governo, che ha la responsabilità del DPEF, ma, per quanto mi riguarda, soprattutto del Parlamento, che lo analizza, i dati relativi all'attuazione del Protocollo di Kyoto, sia molto importante, perché soprattutto nella seconda fase dell'attuazione del Protocollo di Kyoto vi sarà molto da valutare e da verificare.
Credo, però, che il Ministro Pecoraro Scanio abbia fatto una richiesta monca: se è importante - lo ripeto - che nel DPEF si valuti lo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni derivanti dal Protocollo di Kyoto, credo che sia ancora più importante, oltre che fare il quadro dello stato di attuazione, che il Governo presenti anche un'analisi in termini di costi-benefici, o semplicemente in termini di costi, che mostri quanto lo stato di attuazione degli impegni di riduzione delle emissioni derivanti dal Protocollo di Kyoto stia costando al sistema delle imprese e al bilancio pubblico. A mio avviso, del Protocollo di Kyoto si parla spesso e male, anteponendo una visione dell'ambiente ideologica, antindustriale, antimercato e, alla fine, spesso anche antiamericana alla realtà dei fatti.
In Italia e nel resto d'Europa la prima fase di applicazione del Protocollo di Kyoto - come ben sappiamo - è stata un fallimento evidente. Si sono fissate quote di emissione superiori alle emissioni stesse; di fatto il protocollo è stato vanificato. Si è aderito ideologicamente al Protocollo di Kyoto e ci si è subito preoccupati però di evitare che avesse un impatto serio sulle emissioni e soprattutto sull'economia dei Paesi europei. In futuro, nella seconda fase, dove i vincoli diventeranno più stringenti, le prospettive saranno invece molto meno rosee perché è possibile che saranno necessari interventi veri e costosi rispetto ad una diminuzione delle emissioni. Diminuzione che rappresenta un obiettivo lodevole in sé ma che, con gli strumenti previsti dal Protocollo di Kyoto, rischia di avere effetti pressoché nulli rispetto all'obiettivo generale del cambiamento climatico e di produrre al contrario effetti molto incisivi in termini di costo sulle aziende e sui bilanci pubblici. Per tali ragioni ritengo che, per completare la richiesta prevista dall'articolo 26 di questo decreto-legge, occorra inserire nel DPEF una stima dei costi sostenuti dal sistema produttivo per l'adempimento del protocollo, nonché una stima degli oneri della finanza pubblica. Tutto ciò è necessario anche perché, in previsione, nella seconda fase, l'acquisto dei titoli di emissione da parte delle aziende o dello Stato per far funzionare il meccanismo del cap and trade dovrà avere inizio davvero e in quel caso vi saranno costi molto sensibili.Pag. 11
Tra l'altro, se questo provvedimento legislativo avesse avuto un andamento normale, avrebbe previsto una certa stima dei costi (su questo tema sono intervenuti più volte i colleghi e anch'io avevo presentato un emendamento che ovviamente non verrà in alcun modo discusso e, pertanto, presenterò un ordine del giorno perché è un aspetto essenziale). Chiedere che nel DPEF si faccia lo stato dell'arte del Protocollo di Kyoto in termini di misure per il raggiungimento degli obiettivi senza una valutazione obiettiva dei costi che questo comporta ritengo sia una grave lacuna che vada colmata.
In conclusione, credo che questo decreto sia assolutamente discutibile nel metodo perché vengono utilizzati dei soldi che potrebbero in realtà non risultare alla fine dell'anno come il frutto totale o parziale di entrate straordinarie, ma magari solamente di una distribuzione diversa nel corso dell'anno delle entrate. Il provvedimento inoltre non risponde nemmeno ai criteri che erano stati posti nella legge finanziaria per la spesa di eventuali entrate straordinarie; mina la stabilità dei conti pubblici, perché in un anno positivo del ciclo economico viene attuata una politica espansiva che inevitabilmente si trasferirà in buona parte sull'anno successivo, nonostante tutti i tentativi e tutti gli escamotage che possono essere individuati. Un tale aumento di spese, conseguente ad un aumento di tasse, si trasferirà sugli esercizi successivi: il ciclo calerà, le entrate potrebbero essere minori, le spese sconteranno questo gradino verso l'alto e quindi a maggior ragione potrebbero non esservi i margini per diminuire le entrate. Alla luce di ciò, esiste il rischio che noi oggi stiamo ponendo le basi per ulteriori e insostenibili aggravi della pressione fiscale.
Ritengo che ciò rappresenti il quadro complessivo e assolutamente negativo: quest'anno stiamo facendo un uso improprio nel metodo e dissennato nel merito del gettito fiscale. È stato detto che si tratta di una finanziaria - il decreto-legge in esame lo possiamo considerare a tutti gli effetti una componente del disegno di legge finanziaria - elettorale: vi sono le finanziare elettorali che servono ai governi a fine mandato per preparare o tentare di preparare una conferma dello stesso Governo e della stessa maggioranza nelle elezioni che si devono tenere dopo poco. Quella presentata è una finanziaria elettorale nel senso che è costruita per tentare di scongiurare le elezioni.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alessandri. Ne ha facoltà.
ANGELO ALESSANDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, lo sostituisco volentieri. Mi piacerebbe inviare qualche messaggio al Governo per richiamare l'attenzione su alcuni articoli che mi sembra lascino molte perplessità, soprattutto considerando che nelle modifiche introdotte al Senato qualcosa è stato aggiustato. Ma devo dire che circa la spesa farmaceutica e soprattutto sui debiti contratti dalle regioni come Sicilia, Campania e Lazio, in particolare, vi sono, secondo me, ancora parecchie riflessioni da fare.
Faccio una premessa, partendo anche dalle considerazioni svolte precedentemente dal collega Leo. È giusto rilevare - sarà giusto farlo anche nei prossimi mesi di fronte ai nostri elettori - che in questo momento lo Stato ha dichiarato di aver aumentato le tasse. Vi è stata una spesa di recupero da parte dell'anagrafe tributaria come mai si è vista negli ultimi anni. Però credo che tale fenomeno sottostia a un disegno ben logico: non credo che siate impazziti dall'oggi al domani.
Negli ultimi interventi, come la legge Visco-Bersani, sono stati dati segnali ben chiari come anche la legge finanziaria dello scorso anno. Di fatto, anche il disegno di legge finanziaria per il 2008, seppur piuttosto contenuta nei proclami, prevede spese correnti molto forti. Non mi sembra che si vada ad incidere per davvero sulla spesa pubblica - vedremo come finirà nel secondo passaggio al Senato con l'approvazione del disegno di legge finanziaria riguardo alla spesa pubblica - ma piuttosto mi sembra che si emani un decretoPag. 12come quello in esame che poteva tranquillamente essere inserito all'interno della legge finanziaria, tramutandolo in un allegato senza dover emanare un decreto-legge.
Onestamente i motivi di necessità ed urgenza all'interno di questo decreto non vi sono. Vi sono solo alcuni appunti sui nodi infrastrutturali, su interventi dell'ANAS, su comparti in particolare delle infrastrutture viarie. Le restanti previsioni avrebbero dovuto essere inserite all'interno di una discussione ampia sul disegno di legge finanziaria.
Credo che non siate impazziti perché vi deve essere un disegno dietro quello che state combinando contro la nostra gente. Parto proprio dall'anagrafe tributaria. Da un lato, invito questo Governo, magari quando è possibile, ad uscire dalle stanze del palazzo per andare in mezzo alla gente e a chi lavora, in mezzo alle partite IVA. Sei o sette mesi fa da parte del Ministro Visco si è cominciato a dire che le partite IVA sono criminali e che costituiscono il problema di questo Paese.
Mi rendo conto che per chi come voi, in buona parte, svolge il ruolo di funzionario di partito, sia difficile capire cosa vuol dire avere ereditato dai padri e dai nonni una partita IVA, alzarsi la mattina presto per recarsi a lavoro prima degli operai e andarsene a casa dopo, rischiare del proprio, reinvestire tutto l'utile, magari guadagnando il 5-7 per cento del fatturato in nero che spesso non basta neanche per pagare una parte delle spese deducibili, considerato che in questo Paese non è ammesso dedurre quasi nulla, rischiando di fare ciò che molte aziende oggi stanno facendo e che credo sia allucinante (è questo uno dei principali problemi che dovreste porvi): andare in banca a chiedere un mutuo per pagare le tasse. Quando si arriva al punto di recarsi in banca per pagare le tasse allo Stato ed ipotecare la casa per chiedere mutuo, vuol dire che non c'è altro da fare. Vuol dire che la cremagliera è arrivata alla fine della corsa e che vi è molta gente disperata che non crede più in uno Stato che li lasci lavorare e che li aiuti a lavorare. Non dico di arrivare tout court, immediatamente, ad un modello che, a mio avviso, è il migliore come punto di riferimento, quello irlandese.
In Irlanda le spese deducibili sono altissime per chi lavora, ma soprattutto, come sapete bene, vi è una flat tax la cui aliquota è del 12 per cento; non si paga niente di più e, una volta pagato quel 12 per cento, sicuramente si ha cura di non guadagnare alcun euro in nero: a chi conviene evadere quando si paga il 12 per cento? Perché si deve rischiare? Ma soprattutto, l'artigiano, il commerciante o il piccolo e medio imprenditore, poiché possono «scaricare» anche le spese per la casa e quelle personali, pretendono il rilascio della fattura. Questo è un sistema che funziona.
Voi, invece, avete congegnato un sistema completamente diverso: non avete impostato un rapporto con il cittadino e con chi lavora, non avete investito su questi valori, ma avete pensato in maniera «sovietica» (a mio avviso, perché qualcosa di sovietico vi rimane nelle vene, e anche nella testa)! Non raccontiamoci storie: in questo Paese, una grande parte dell'evasione fiscale proviene da traffici come droga, prostituzione, riciclaggio, malaffare, spesso gestiti dalla mafia. Uno Stato serio, ritenendo che una grande e enorme parte dell'evasione fiscale provenga da tali fattori, investirebbe di più nelle forze dell'ordine, farebbe una guerra forte alla mafia, non solo al sud, ma anche al centronord, considerato che, ormai, essa è ramificata anche da noi. In questo modo, recupererebbe gran parte dell'evasione. Ma, tutto questo, voi non lo fate!
Sembra che degli 800 milioni di euro promessi ad agosto, per «mettere a tacere» momentaneamente le forze dell'ordine, ne rimangano solo 100 milioni. In uno Stato in cui non si investe nei settori di contrasto all'illegalità, si crea una situazione difficile. Tuttavia, se venisse recuperato «il nero» che proviene dai traffici della mafia, altro che i 31 miliardi di euro di cui parlava Visco o i 27 miliardiPag. 13di euro di cui parlava Padoa Schioppa! Si recupererebbe quasi tutta l'evasione fiscale! Ma non volete farlo.
Inoltre, vi è quanto entra nel porto franco di Napoli. Alcune pubblicazioni (tra cui anche un libro) hanno affermato in modo chiaro che basterebbe svolgere i dovuti accertamenti, che si tratta di un porto franco, in cui entra molta merce proveniente dalla camorra e dalla contraffazione eseguita in Cina. Uno Stato serio assumerebbe un bel po' di finanzieri, blinderebbe il porto franco di Napoli, in modo da non far entrare più nulla che possa creare evasione, non pagando né le tasse in entrata né l'IVA né altri balzelli. Uno Stato serio farebbe ciò, ma questo Governo non lo fa: in questo modo, non recupera una parte importante dell'evasione fiscale.
Vi è, inoltre, la questione gli evasori totali che, spesso, rappresentano il 90 per cento al sud; forse il dieci per cento sono al nord, ma, anche in questo caso, provengono dal sud, perché si tratta comunque dei soldi della mafia da riciclare. In Padania, chi investe in un'azienda, ha intestato la casa, il fabbricato, il camioncino ai figli che vanno scuola: non è un evasore totale, non potrà mai esserlo. Ma lo può essere chi viene da fuori con soldi da riciclare.
Pertanto, anche riguardo agli evasori totali, è necessario un investimento nelle forze dell'ordine, che devono compiere tale lavoro. Non si recupera l'evasione totale con l'anagrafe dei conti correnti, perché queste persone, spesso, non lavorano utilizzando conti correnti, ma solo contanti. Non si fa così il recupero sull'evasione totale! Anche su questo lo Stato allarga le braccia, perché non vuole procedere a questo recupero.
Vi è, altresì, la questione del secondo lavoro in nero. Capisco che i sindacati sono dalla vostra parte ed è difficile «rompere le scatole», ma, a tale proposito, voi cosa fate? Vista l'impossibilità da parte di questo Governo di recuperare l'evasione fiscale laddove è più presente, ovvero laddove sta il 95 per cento dell'evasione fiscale del Paese, vi comportate come banderuole e andate a massacrare quel 5-7-8 per cento di cittadini italiani che già paga le tasse. Voi siete impazziti! Questa gente già paga il 43 per cento di tasse dirette; determinate l'incremento di quelle locali, provocando con la scorsa legge finanziaria - né con la legge finanziaria in corso d'esame modificate questo aspetto - il loro aumento. Avete anzi sostenuto che, poiché lo Stato prendeva, in ipotesi, cento, ora che prende, invece, centocinquanta, agli enti locali non dà più un bel niente! Voi lo avete chiamato «federalismo fiscale», ma più che un «federalismo fiscale», continuo a ripeterlo, è un altro «ff», è una «fregatura fiscale». Infatti, lo Stato si tiene tutto (ed è più di prima), ma obbliga sindaci, presidenti di provincia, presidenti di regione ad aumentare le addizionali, l'ICI e quant'altro. In questo modo, aumentano le tasse che gravano sul cittadino.
Avete realizzato - e tra poco sarà operativa - la revisione degli estimi catastali mentre l'ICI, in alcuni casi, raddoppierà e in altri ancora - abbiamo già fatto i conti - addirittura triplicherà. Si comprende, dunque, come ciò sia veramente una presa in giro per la gente: quando col proprio reddito si paga il 43 per cento di imposte dirette, che sommate a quelle locali, raggiungono il 60-65 per cento, ciò significa lavorare fino alla fine di ottobre per lo Stato.
Ditemi in quale Paese del mondo - neanche in Burkina Faso credo sia possibile prevedere una cosa del genere - si può continuare, in una tale situazione, a investire e a credere di poter lavorare, pensando di guadagnare il giusto per vivere!
Vi sono alcuni dati dell'Agenzia delle entrate, raccolti dall'ex sottosegretario di Stato, Molgora, secondo i quali in regioni come la mia - ossia l'Emilia Romagna - siamo al di sotto del 10 per cento di evasione presunta; vi sono regioni come la Calabria dove siamo intorno al 95 per cento di evasione presunta. Capite bene che non si tratta di massacrare le partite IVA: piuttosto, si tratterebbe di avere unPag. 14po' di coraggio e riconoscere che, sì, l'evasione esiste in questo Paese (ce n'è tanta!), ma bisogna cercarla dov'è!
Se, invece, andate dal «povero Cristo» che fa l'artigiano - il quale guadagna, ad esempio, il 10 per cento in nero (per far fronte, magari, a qualche spesa indeducibile, anche se, ripeto, forse neanche gli basta), ma già paga sul 90 per cento le tasse - e lo massacrate, costui alla fine chiude la propria attività! Egli ha due strade da seguire: o fa più lavoro nero, o chiude! Cosa avete risolto come Stato?
Trasmettete un messaggio completamente sbagliato: siete stati oppressori, avete cercato soltanto di colpire chi era facile da colpire, ossia quanti hanno tutto da perdere, coloro che, se anche li massacrate, pur di non chiudere l'azienda - che, ereditata dal padre e dal nonno, vorrebbero consegnare ai loro figli e nipoti - continuano a pagare e a massacrarsi, ricorrendo persino alle banche per contrarre mutui e pagare le tasse!
Questo sistema non può durare in eterno, ormai sta collassando. Dovreste dare un segnale immediatamente e ammettere di avere sbagliato; dovreste ammettere che, in effetti, l'evasione sta da un'altra parte e fare in modo che paghino tutto, ma paghino tutti, e paghino poco! Questo è il sistema da approntare.
Perché dico che non siete impazziti? Comincio ad avere il sospetto - dato che la cosiddetta legge Visco-Bersani ci aveva inviato qualche segnale al riguardo, ma poi il provvedimento era stato stralciato, perché le «lenzuola» che arrivavano in Assemblea si trasformavano in «fazzolettini di carta» quando ne uscivano - che voi abbiate in testa (se doveste continuare a governare, cosa che non ci auguriamo) di arrivare a mettere talmente in crisi le partite IVA di questo Paese, da lasciare loro l'unica opzione di un sistema cooperativo come soci lavoratori. Ho il sospetto che pensiate di arrivare a fare ciò, come si fece anni fa con la Conad, ossia costringere i piccoli negozianti che non ce la fanno più a riunirsi in un sistema cooperativo.
Temo che questa potrebbe essere una vostra intenzione perché lo stesso Viceministro Visco, nella sua audizione in Parlamento, dichiara che il grande problema di questo Paese consiste nel fatto che l'Italia non riesce a garantire all'Europa di poter controllare l'economia.
Sì, certo, vi sono questi 5 milioni e mezzo di «pazzi» (ossia, di partite IVA), che fanno gli imprenditori e che continuano a voler investire! Capisco che, per un «Governo sovietico», sia difficile pensare di poterli governare e gestire, di poter rendere conto (per conto loro) anche all'Europa, ma grazie al cielo costoro esistono!
Questo Paese, infatti, onestamente, non sta in piedi perché ci sono la FIAT, i Della Valle o i De Benedetti ovvero i grandi gruppi! Al contrario, questi ultimi, spesso, grazie agli ammortizzatori sociali, ottengono più di quello che pagano, molte volte. Questo Paese, invece, sta in piedi proprio perché vi sono queste partite IVA - con i loro dipendenti, il loro indotto e il loro lavoro - che continuano a creare ricchezza. Se continuate a «bastonarli» e questi chiudono, a mio avviso, il Paese è destinato a fallire! Altro che «rischio Argentina»: ci avete fatto rischiare l'Argentina, portandoci in Europa, non tenendocene fuori, senza spiegarci quello che sarebbe successo e senza intervenire quattro o cinque anni prima calmierando i prezzi. Questo è il vero dramma che avete provocato.
In questa condizione, ritengo dunque che sia logico vedere uno Stato oppressore. Leggo che Visco, anche a Reggio Emilia (ha appena iniziato, i primi sono già assunti), vuole assumere 17 mila «007» a suo comando (cioè, risponderanno a lui), attraverso l'anagrafe tributaria, i quali dovranno gestire nuove agenzie di riscossione e saranno pagati con bonus a percentuale. Costoro, dunque, saranno veri agenti vessatori, ma attraverso quale strumento? Ed è qua che arriva la grande frenatura per i cittadini: l'anagrafe dei conti correnti! Non so se la gente si sia ancora interrogata su cosa sia l'anagrafe dei conti correnti, se ci si sia interrogatiPag. 15sui profili strettamente legati alla privacy, ma vi sono risvolti che andrebbero maggiormente esaminati!
Pertanto, abbiamo 17 mila «007» in mano a Visco, con un'anagrafe dei conti correnti, in grado di controllare in via telematica, tramite la Sogei, tutto! Ogni singola spesa! Avete detto che vorreste togliere anche la carta moneta nei pagamenti, per cui tutto sarà pagato con carta di credito e tutto sarà controllato dai vostri computer, attraverso i vostri 17 mila «007». Non è il KGB, questo?
Ciò mi spaventa perché significherebbe aver creato un sistema in cui si controlla chi lavora mettendolo talmente in crisi da obbligarlo ad entrare nel sistema e controllandogli ogni singola spesa. Attraverso la cosiddetta legge «Visco-Bersani», poi, volete controllare anche dove andrà a spendere questi soldi, quel poco che guadagnerà. Tale provvedimento è, infatti, molto chiaro: si chiudono i centri storici (che diventeranno solo dei dormitori) e si creano delle città alternative. Ci saranno Roma 1 e Roma 2, che sarà un centro commerciale; Milano 1 e Milano 2, che sarà, anch'essa, un centro commerciale: in tal modo, voi avrete sempre tutto in mano. Non è un caso che si inizino a vendere farmaci nei centri commerciali (dove l'offerta è migliore e così le farmacie chiudono nel centro storico), si tolgano dalla strada i benzinai per portarli nei centri commerciali, e poi, magari, si farà lo stesso anche con i panettieri.
Avete già iniziato a realizzare tutto ciò e mi aspetto di vedere il resto in una futura legge «Bersani-quater» e nelle eventuali successive.
La gente sta cominciando a percepire tali cambiamenti e in tutta questa logica cosa manca ancora del comunismo? Manca solamente l'insicurezza dei cittadini e, proprio perché riconosco che non siete impazziti, credo che nella vostra logica contorta avete pensato anche a ciò. Da un lato - lo ricordavo prima - il mancato investimento sulle forze dell'ordine, dall'altro, l'investimento, invece, sull'insicurezza.
Non esistono, infatti, direttive chiare date alla magistratura su come applicare le norme e non ci sono più i soldi per le forze dell'ordine: addirittura sono stati chiusi alcuni centri di polizia in tutto il Paese e, guarda caso, la maggior parte, ancora una volta, al nord.
Avete approvato l'indulto scaraventando fuori dal carcere sessantamila criminali condannati - trentamila subito e trentamila grazie agli effetti secondari - che non scontano la loro pena, ma sono in giro. Solo 96 su 60 mila hanno trovato un posto di lavoro, altro che bugie! Degli altri, oltre 50 mila sette-ottomila sono rientrati in carcere per aver commesso un furto, uno stupro o addirittura un omicidio e ci sono 50 mila persone di cui abbiamo perso le tracce. Di tutto ciò dovreste accollarvi la piena responsabilità.
Se ci fosse la possibilità di incriminarvi penalmente per ciò che avete causato con l'indulto credo che ciò sarebbe utile e moralmente giusto nei confronti dei cittadini che stanno subendo questi effetti per colpa vostra. È comunque un segnale chiaro che siamo di fronte ad uno Stato che investe sull'insicurezza.
Abbiamo detto per tempo - ed è un «bel dire» quello del Ministro Amato che sostiene che non è vero: basterebbe al riguardo considerare la «valanga» di atti parlamentari da noi presentati per sollecitare l'adozione di una tale misura - che, prima del 31 dicembre 2006, doveva essere reintrodotto un istituto che noi per primi avevamo introdotto in una prima fase ossia la moratoria. Essa, con riferimento ai rumeni, non doveva essere di soli due anni, ma almeno di sei o sette anni perché sapevamo che avrebbero creato un problema enorme. La Romania, infatti, come fece a suo tempo l'Albania, avrebbe incoraggiato a trasferirsi a casa nostra i peggiori personaggi, quelli che non erano più graditi - a partire dai rom, che gli stessi rumeni non vogliono - e ci sarebbe stata un'invasione.
Silenzio del Governo, silenzio dello Stato e dopo sette mesi il Ministro Amato convoca una conferenza stampa affermando che, in effetti, è in atto un'invasione.Pag. 16È facile dirlo quando le porte della stalla sono aperte e sono usciti tutti fuori, ma poi come fai a chiuderle? Diventa inutile! A quel punto qualcuno dovrebbe di nuovo assumersi la responsabilità di ciò che è accaduto sul territorio e non continuare a far finta di niente. In ciò vedo uno Stato molto «sovietico» ed è un po' la chiusura del cerchio. Voi pensate che la gente possa reagire solo in due modi quando create insicurezza nelle città perché ormai tutti sanno che alle otto di sera, nelle nostre città, non è più possibile uscire per la paura. La gente ha due soluzioni. Una, nella quale sperate, è che si blindi in casa; così, i carcerati, li facciamo noi a casa nostra mentre quelli veri, anziché stare in carcere, sono fuori! Sistemi d'allarme, cani da guardia, inferriate, collegamento con la polizia, alle otto di sera ci chiudiamo in carcere e le città diventano preda di qualcun altro.
Invece mi auguro - e devo dire che sono proprio le reazioni che sto percependo dalla mia gente in questi giorni - che la reazione sia totalmente diversa. La gente ha voglia di reagire, non ha più voglia di chiudersi in casa.
Capisco che quando la gente si chiude in casa chi è al Governo in quel momento diventa più forte e questi sono i conti che avete fatto. La gente non è disposta, però, a chiudersi in casa e a lasciarvi vincere perché questa è ancora casa nostra. In Padania c'è ancora ciò che i nostri padri e i nostri nonni ci hanno consegnato e sarebbe un crimine non lottare al fine di consegnare il tutto, a nostra volta, ai figli e ai nipoti. Per fare ciò dobbiamo, però, riprendere il controllo delle nostre città, farle rivivere, eliminare la delinquenza e investire su ciò è esattamente il contrario di ciò che state facendo voi.
Il cerchio si chiude in un'altra maniera, in maniera, anche questa, molto sovietica (sembra di essere arrivati a riproporre il modello Stalin in questo Paese): dare il voto agli extracomunitari senza cittadinanza se solo dimostrano che da cinque anni sono presenti sul territorio italiano.
Ovviamente, chi lo dimostrerà? I sindaci di sinistra, la CGIL, i sindacati vostri amici, la Caritas, non certo noi. Guardate che è devastante! L'ultimo rapporto della Caritas parla del 7 per cento di immigrati regolari nella popolazione. Poi ci sono gli irregolari: quanti sono già presenti in questo Paese? Il 10, il 15 per cento della popolazione? Se «passa» il cosiddetto disegno di legge «Amato-Ferrero» voi tramutereste in regolari tutti i clandestini presenti oggi in questo Paese, perché quel provvedimento lo prevede, lo avete previsto voi, non ce lo stiamo inventando.
Questo vuol dire che immediatamente siamo già al 20 per cento di immigrati, che per voi, secondo i vostri calcoli contorti, diventano un 20 per cento di votanti. Già il Partito Democratico è nato con una fetta consistente di voti di immigrati che non sono cittadini. Per far votare Veltroni avete fatto votare anche un sacco di immigrati; in certe zone, addirittura, c'è stata la fila.
Guardate che in nessun Paese del mondo uno Stato regala l'unico valore che rimane nel patto tra cittadino e Stato, e non starò ad evocare Rousseau! Guardate che il contratto sociale è basato su questo: si devono assumere non solo i diritti, ma anche i doveri nei confronti degli altri cittadini che già sono tali. Il dovere lo si assume attraverso la cittadinanza: c'è già una legge, prevede dieci anni!
Sapete bene, altrimenti ci raccontiamo favole, che un immigrato che viene a casa nostra lo fa per lavorare, è un lavoratore. Per prima cosa deve essere quindi legato a un lavoro, non può essere legato ad altre cose. Voi prevedete che una persona che venga a casa nostra, con tutti quelli che ci sono e che verranno, possa entrare in attesa di trovare un lavoro.
Ma cosa fanno queste persone se non hanno un lavoro? Possono solo finire, spesso e volentieri, in mano alle mafie. Ancora una volta torniamo sullo stesso punto! Se una persona non ha un lavoro si deve arrangiare in qualche maniera!
Non potete creare una povertà da controllare ai margini e in condizioni pietose a casa nostra solo per fini e calcoli elettorali. Non potete, perché sarebbe davvero un crimine nei confronti di questo popolo,Pag. 17in particolare dei «nostri» in Padania, perché sono quelli che oggi stanno subendo il peso maggiore con l'immigrazione.
La gente deve entrare attraverso un lavoro, deve sapere che, se rimane dieci anni per lavorare - per poi tornare a casa propria con un gruzzoletto in tasca - rimane come lavoratore straniero: non deve avere solo diritti, ma deve avere il dovere di risiedere qui come lavoratore e rispettare le regole del Paese che lo ospita, come fecero i nostri nonni.
Non veniteci a insegnare niente sull'immigrazione! Ho parenti che sono emigrati, molti di noi ce li hanno e ci hanno sempre spiegato che andavano all'estero con il permesso di lavoro e il permesso di soggiorno. Così si fa l'immigrazione, non in un'altra maniera!
Facevano anche la quarantena, aspettavano trent'anni: non gli interessava pretendere nulla, perché sapevano che il loro compito, il loro scopo era andare a casa di altri e integrarsi, cercare di diventare argentini, tedeschi, francesi, svizzeri.
Vi è gente che viene a casa nostra sapendo che c'è un Governo che dice loro: venite qui e fate quello che vi pare, non dovete rispettare alcuna regola; anzi, se ci darete il voto senza cittadinanza, vi daremo tutto: tanto gli italiani tacciono, tanto i padani tacciono e intanto noi vi diamo la possibilità di continuare a seguire le vostre usanze e costumi. Sono contro le nostre leggi? È lo stesso!
Nessuno mi spiega perché il Governo Prodi, in passato, introdusse la possibilità per i sikh di girare con un coltello infilato nella cintola, perché è tradizionale. Ma chi se ne frega! Girare con un coltello è vietato dalle leggi italiane! Queste persone girano con un coltello perché è rituale e, secondo la loro religione, il sikh non può non girare con il coltello in tasca. Ma stiamo scherzando? Il sikh può non girare con il casco in testa perché ha il turbante, ma le leggi italiane non prevedono che bisogna andare in motorino con il casco in testa?
Per quanto riguarda la poligamia, facciamo finta di niente o ammettiamo che ci sono le poligamie in questo Paese? È contro la legge oppure no?
Sull'infibulazione, facciamo finta di niente o ci diciamo un bel giorno che molte ragazzine, che vivono a casa nostra, figlie di immigrati musulmani, vengono infibulate perché lo prevede la loro religione? Accettiamo l'infibulazione, che credo sia il più grande e tragico dei crimini che si possa commettere nei confronti di una ragazzina di dieci o dodici anni, vietandole per tutta la vita di poter provare piacere, perché è questo che prevede il Corano, tagliandole il sesso.
Prevediamo anche le piccole cose quanto al rispetto delle culture altrui.
Vi sono molti musulmani, che voi come Governo continuate a mantenere all'interno della Consulta degli immigrati, l'UCOI, e che spesso e volentieri hanno disprezzato la nostra cultura. Gesù Cristo - hanno detto - è un cadavere appeso su un pezzo di legno e lo scopo fondamentale del buon musulmano - ci hanno ripetuto in tutte le salse - è quello di far prevalere l'Islam e disintegrare gli infedeli; lei, signor Presidente, è infedele, io sono infedele: non ci poniamo qualche problema?
Parliamo poi dei cinesi: avete mai visto la comunità cinese integrarsi davvero? Sono qui per fare gli affari loro.
Non dovete pensare solo a calcoli elettorali. Se volete vincere le elezioni la prossima volta, non dovete regalare il voto a chi cittadino non è. Un soggetto deve compiere un percorso, deve fare una scelta; dopo dieci anni può chiedere la cittadinanza (magari sveltite, allo scadere dei dieci anni, l'iter, ma quello non è un problema) e si assumerà anche dei doveri, non solo i diritti, e deciderà se essere italiano. Vedrete che lo faranno in pochi, perché a loro non interessa essere italiani: a loro interessa venire qui, prendere i soldi, riportarli a casa loro e, dopo dieci anni di lavoro, andare a fare i ricchi a casa loro; a loro non interessa assolutamente niente di stare qui, di rispettare la nostra cultura e di vivere la nostra cittadinanzaPag. 18e la nostra cultura. Prima lo capirete, meglio sarà; sono dieci anni che ve lo diciamo e, nel frattempo, abbiamo perso già dieci anni per la vostra - devo dire - insulsa volontà di non ascoltare. I vostri silenzi sono anche piuttosto irritanti.
Vorreste arrivare, con la legge Amato-Ferrero, a dare il voto agli immigrati. Il nostro sarebbe l'unico Paese al mondo - lo ripeto - nel quale un soggetto vota senza avere contratto nessun tipo di accordo e nessun tipo di cittadinanza. Capisco che sarebbe la fine della politica, ma non pensiate che, di fronte a tutto questo, ci sia della gente disposta a tacere e a non intervenire. Lo ribadisco perché so che quando la Lega prevede queste cose, di solito poi accadono, magari a distanza di anni, sempre troppo tardi per intervenire, mentre all'inizio si poteva ancora farlo.
Se volete entro nel merito dei singoli articoli, che era ciò cui mi stavo preparando. Lasciatemi dire che almeno mi piacerebbe vedere applicate delle sanzioni veramente pesanti. In un articolo le prevedete tramite la nomina del commissario ad acta, ma poi non si capisce come attuarlo davvero in regioni come la Sicilia, la Campania e il Lazio. Parlo di Lazio e Campania, in particolare, perché appena pochi mesi fa avete ripianato un buco, oltre che ad altre due regioni, sulla sanità di oltre 3 miliardi di euro, che sono 6 mila miliardi delle vecchie lire: mentre noi al nord siamo obbligati a rispettare, giustamente, il patto di stabilità e a mantenere i conti in regola, ci sono regioni che continuano ad essere sempre più furbe delle altre e a prevaricarle.
Di fronte a tutto ciò, ci saranno due reazioni, ma lo scenario sarà molto rapido. Vi voglio lanciare un appello affinché sia anche scritto a futura memoria, perché va oltre il contenuto del decreto-legge in esame e della legge finanziaria. Oggi la gente ha bisogno, in primo luogo, di percepire con ottimismo un segnale di fiducia e ha bisogno di percepirlo immediatamente. La mia richiesta - so che siete talmente impasticciati in questo momento all'interno del Governo che non lo farete, ma comunque ve la faccio lo stesso - è quella di prendere ciò che il Senato ha trasmesso alla Camera - magari con un maxiemendamento, con la questione di fiducia, fate ciò che volete -, stravolgerlo e, invece di giocare ancora, cercare di togliere un sacco di tasse alla gente, perché in questo momento ne ha assolutamente bisogno.
Fermate Visco! Fermatelo! Basta con l'anagrafe dei conti correnti e nessuna assunzione degli «007»! Gli studi di settore erano nati per diminuire la burocrazia, sul modello americano: si cerca di stabilire che, se tu hai un certo numero di dipendenti e fai un certo lavoro, pagherai certe tasse, ma lo sai all'inizio dell'anno. Noi abbiamo rappresentato Visco sui manifesti vestito da vampiro, spesso e volentieri: ci sarà un motivo! Se si dà in mano a Visco, questo strumento, che doveva essere di snellimento burocratico, diventa vessatorio. Per forza oggi tutti odiano gli studi di settore! Facciamoli tornare a ciò che erano: un elemento di rapporto serio, anche fraterno, fra il fisco e il cittadino che lavora. Non possono più essere visti come un'imposizione.
Oltre agli studi di settore, si continuano a rompere le scatole a chi, magari, non emette tre scontrini! Decidetevi: o guardi gli scontrini e fai pagare in base ad essi, com'era una volta, oppure fai pagare le tasse in base agli studi di settore. Ma non si possono fare entrambe le cose, magari indirizzando, come avete fatto, circolari alla Guardia di finanza affinché si rechi davanti ai negozi a continuare a rompere le scatole. Se poi qualcuno non emette tre scontrini, magari da un euro, si vede chiuso per quattro o cinque giorni il negozio, sul quale viene apposto un bell'adesivo secondo il quale quel negoziante è un criminale.
Questo sistema è ancora peggio che sovietico! Ho visto cose di questo genere. Ero con il collega Migliore in missione, come osservatore internazionale delle presidenziali venezuelane durante le elezioni di Chavez, e vi erano negozi chiusi con scritto: «Costui non ha pagato le tasse l'anno scorso, è un pericolo per il Paese».Pag. 19Pensavo che queste situazioni appartenessero solo al populismo sudamericano, invece, adesso me le ritrovo anche a casa mia. Credo, allora, che Visco vada davvero fermato!
Vi suggerisco il modello irlandese, nel quale si arriva al 12 per cento.
Ma vi dico un'altra cosa: non pensiate che la gente smetta di reagire. Se dovesse arrivare in Aula il disegno di legge Amato-Ferrero, noi della Lega abbiamo giurato guerra totale su tale provvedimento, perché credo che esso rappresenti la fine della politica, dello Stato e della società italiana.
Vi chiedo di fermarvi prima che sia troppo tardi e finché siamo ancora in tempo! Ma vi prometto anche che, senza la Lega e senza la politica, se continuate di questo passo, entro breve tempo non sarà soltanto quest'Aula a ribellarsi, ma tutto il popolo, a partire dalla Padania, perché davvero ne ha piene le scatole!
Mi feci espellere dall'Aula per un manifesto, ma credo che mai come adesso sia importante ribadirne il contenuto. Signor Presidente, faccia ciò che vuole, ma io lo ripeto: questo è il momento, credo, affinché Prodi se ne vada «fuori dalle balle» (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
ANDREA GIBELLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREA GIBELLI. Grazie, signor Presidente, mi rivolgo a lei, comprendendo l'irritualità di intervenire sull'ordine dei lavori in questo momento, ma le chiedo di concedermi dieci secondi.
Al di là degli emendamenti presentati dal Governo nella serata di ieri e delle possibilità subemendative che sono ancora - a quanto mi risulta - possibili, vorrei segnalare a lei e al Governo che, comunque, era stato stabilito un percorso molto lineare - il fatto è politico - all'interno di un dibattito in Commissione, che prevedeva tutta una serie di passaggi che sono stati affrontati e, per ragioni politiche, non risolti. Riteniamo - ma questa è una denuncia esclusivamente politica - che il Governo, presentando in un orario molto particolare una serie di emendamenti «di rincorsa», non abbia rispettato il rapporto, difficile e dialettico, tra maggioranza e opposizione, il cui ruolo consideriamo assolutamente irrinunciabile.
Pertanto, annunciamo che dalla prossima settimana ciò modificherà, in termini politici, al di là dei subemendamenti che presenteremo, il nostro atteggiamento.
Desideravo segnalare questa circostanza e ringrazio il Presidente per avermi concesso, comunque, questa possibilità.
PRESIDENTE. Sottosegretario, se vuole, può prendere la parola adesso, anche se sarebbe un po' irrituale; altrimenti, può farlo in sede di replica, se preferisce.
MARIO LETTIERI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Grazie, signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Onorevole Gibelli, avrà la risposta dal Governo in sede la replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Salerno. Ne ha facoltà.
ROBERTO SALERNO. Signor Presidente, nell'ascoltare gli interventi dei colleghi - ovviamente svolgerò anche io il mio intervento - qualche volta mi sento in dovere di ricordare che l'evasione, magari, si annida e ha un'origine prevalente in qualche zona dell'Italia. Ma trovo sempre «non appassionante» l'idea della Lega in base alla quale l'evasione proverrebbe solo dalla Calabria o dalla Campania.
Vorrei ricordare che in Emilia Romagna - la bella Emilia-Romagna della Padania - vi sono stati quei fenomeni chiamati «Callisto Tanzi», che da solo non soltanto ha evaso miliardi di imposte, ma ha distrutto miliardi e miliardi di euro del risparmio di piccoli risparmiatori cittadini italiani.
Dunque, lottiamo contro l'evasione e i falsi dappertutto, perché abbiamo degli esempi significativi.Pag. 20
Per venire al decreto, signor Presidente, credo che l'attuale legislatura non riscontri un solo precedente nella storia repubblicana della nostra cara e amata Italia. Il danno di immagine, anche all'estero, prodotto dall'attuale maggioranza, composta da frange di estrema sinistra, antioccidentali e anticristiane, schierate contro la proprietà privata e il libero mercato, che vive grazie allo scandaloso e immorale uso del voto dei senatori a vita, sta trasformando l'Italia in quel «paese di Pulcinella» che per tanti anni ci è costato caro e tuttora ci costa, essendo nuovamente sprofondati in termini di credibilità e di prestigio all'estero.
Tuttavia, tornando al provvedimento in esame, scopriamo che esso non è altro che un ragionieristico elenco di numeri, senza un progetto complessivo e un nesso logico, ma una mera sequenza di misure inconsistenti e improduttive. Credo che il dato più rilevante sia proprio questo, ossia la mancanza di un progetto complessivo: si tratta semplicemente di una sorta di lenzuolo di numeri per accontentare ora un soggetto, ora un altro, senza disegnare una rotta né indicare come l'economia dovrebbe essere regolata o quale direzione dovrebbe prendere per favorire una crescita reale della nazione. Non vi è alcuna misura volta a rilanciare l'economia reale o a sostenere l'attività di impresa.
Noi de La Destra - voglio dirlo - siamo assolutamente schierati a favore della tutela del lavoro e del lavoratore, obiettivo da raggiungere attraverso una maggiore retribuzione e remunerazione del lavoro, in grado di dare dignità al lavoro stesso e al lavoratore. Tuttavia, siamo consapevoli del fatto che dobbiamo creare e favorire le condizioni ottimali per le imprese, necessarie a favorirne lo sviluppo e il consolidamento dell'attività, perché senza imprese non vi può essere né creazione di reddito, né di posti di lavoro.
Pertanto, desta stupore il fatto che il provvedimento in esame sia privo, scarno, del tutto assente su tale versante e presenti una grave carenza di occasioni di favore e di ambiente propizio alla creazione delle attività di impresa.
Voglio capire come potremmo mai attrarre capitali in Italia o consolidare e sostenere le attività già storicamente presenti nella nazione se continuiamo a non capire che abbiamo bisogno di diminuire la pressione fiscale sulle imprese, in modo da consentire un'ossigenazione del settore produttivo privato.
Desta stupore - voglio farlo presente al Governo - l'assoluto silenzio con cui cercate di nascondere lo straordinario incremento di gettito derivante dalle maggiori entrate fiscali. Infatti, in questi giorni è stato registrato dal Ministero dell'economia e delle finanze un dato complessivo e progressivo, ad oggi, di maggiori entrate. Parlo di entrate ordinarie e, quindi, non mi riferisco né alle una tantum né ai condoni.
In particolare, alludo alle autotassazioni degli imprenditori e delle persone fisiche in Italia e ritengo che il silenzio su tale punto sia molto fraudolento. Le maggiori entrate, registrate in questi primi dieci mesi dell'anno, sarebbero pari a circa 15,7 miliardi di euro. Si tratta di dati relativi alle maggiori entrate del 2007 rispetto al 2006. Ma, se non sbaglio già nel 2006, rispetto al 2005, erano state registrate maggiori entrate per 13 miliardi di euro. Quindi il 2007, rispetto al 2005, signor Presidente, registrerebbe un incremento di 28 miliardi di euro. Si tratta di una cifra colossale se si pensa che equivale ad un incremento di circa il 6,5-7 per cento di maggiori entrate rispetto al 2005. È noto, inoltre, che il PIL è aumentato all'incirca dell'1 per cento, o addirittura meno, quindi, in termini di maggior gettito, si tratta di una cifra straordinaria, di una quantità di ricchezza colossale che questo Governo non ha assolutamente capacità di impiegare in maniera produttiva. Si tratta di una massa di ricchezza che questo Governo non sa spendere. Un Governo con un minimo di senso logico, considerando l'economia e il bisogno reale di crescita della nazione, dovrebbe impiegare le predette risorse per diminuire di qualche punto la pressione fiscale alle imprese, riducendo l'IRES di uno o due punti e cominciando ad aumentare laPag. 21deducibilità dall'IRAP, abbassando l'imponibile. Infatti, è vero che l'IRAP è al 4,25 per cento, ma viene pagata anche dalle aziende che chiudono in perdita e che non hanno utili perché grava esclusivamente sul costo del lavoro e sull'indebitamento degli interessi passivi delle imprese.
Pertanto, è necessario aumentare la deducibilità dell'IRAP e diminuire l'IRES. Le imprese otterrebbero una boccata di ossigeno e potrebbero impiegare i risparmi in investimenti. Sappiamo, infatti, che gli imprenditori vorrebbero investire, ma non rimane loro una ricchezza di valore aggiunto per poterlo fare. Con una sopravvenienza attiva di 28 miliardi in due anni, è possibile che non si riesca a diminuire di uno o due punti l'IRES? Possibile che non si possa diminuire l'IRAP alle imprese, anche per quelle che chiudono in perdita? Le imprese potrebbero creare nuovi posti di lavoro, investire, aumentare la competitività, di cui si riempie sempre la bocca anche il Presidente del Consiglio, Prodi. Non si prevede, invece, nulla di tutto ciò. Con un simile tesoro di maggiori entrate si potrebbero finire le grandi opere. Per fare alcuni esempi si potrebbero concludere i cantieri dell'alta velocità (che invece languono), si potrebbero terminare i raddoppi autostradali (mentre ci sono sempre i cantieri aperti), si potrebbero addirittura costruire non uno, ma due ponti sullo stretto di Messina. La costruzione del ponte, che costa molti miliardi, sarebbe un ulteriore esempio. Con un simile maggior gettito, lo ripeto, ci sarebbero risorse non per uno, ma per due ponti. Sarebbe meglio che l'Italia scommettesse anche sulle grandi opere e che accettasse queste grandi sfide sulle quali una grande nazione ha l'obbligo di misurarsi.
Talvolta parliamo dei possibili effetti economici della costruzione del ponte sullo stretto di Messina: della creazione di attività o passività, della possibilità di creare disoccupazione ovvero occupazione, ma non si tratta soltanto di questi aspetti. Si pensi che, nonostante il tunnel della Manica tra la Francia e l'Inghilterra probabilmente rimarrà in perdita per anni, tale opera rappresenta una sfida sulla quale le grandi nazioni devono misurarsi. Simili sfide devono essere vinte perché danno il segno di una grande nazione che progetta e realizza il futuro. La modernizzazione del territorio, della società, della comunità, della nazione, sono le sfide che bisognerebbe cogliere e vincere. Il ponte sullo stretto di Messina assume il significato culturale di proiezione in avanti. Lo afferma un piemontese che, tuttavia, guarda simili opere come le grandi sfide che una nazione, lo ripeto, deve cogliere, accettare e vincere proprio per proiettarsi verso il futuro. Invece, nel cosiddetto decreto fiscale in esame vi è soltanto il conferimento di prebende e la previsione di gabelle e di balzelli. Si tratta di termini molto appropriati, che arrivano dalla storia. Apprendo di provvedimenti come il conferimento di un milione di euro alla Lega del filo d'oro e di 15 milioni al Gaslini di Genova. Perché mai non concederli al Fatebenefratelli o alle Molinette di Torino? Forse perché a Genova c'è un sindaco amico di questa maggioranza che ha strappato la concessione della prebenda per il suo ospedale.
Leggo che c'è un'emergenza idrica in Abruzzo. Dove sarà mai l'Abruzzo? In Africa, nel centro Africa oppure non è al centro dell'Italia, nella dorsale appenninica dove ci sono monti, fiumi e neve, e piove? Eppure c'è un'emergenza idrica. Tuttavia, anche per quell'area è stato destinato qualche milione di euro, probabilmente per qualche «carrozzone» pieno di gente che magari non lavora e non metterà a frutto nemmeno tali risorse. Continuate, quindi, con gabelle e balzelli degni della storia e del momento storico dal quale potrebbero essere assunte: i principati e i granducati, magari il Granducato di Mantova o il Principato di Firenze. Credo che sareste proprio degni di governare al tempo di quei secoli, dell'epoca delle signorie e dei comuni, sicuramente non siete degni di governare la sesta potenza industriale del mondo.
Ogni tanto bisognerebbe anche che ce lo ricordassimo: non siamo il Liechtenstein o la Svizzera! Siamo la sesta potenzaPag. 22industriale del mondo e abbiamo un Governo che va avanti con difficoltà e in una situazione di ingovernabilità, con un decreto-legge fiscale che distribuisce un milione qua, due milioni là, senza un progetto complessivo, senza l'accettazione della proiezione verso le sfide forti che una nazione proiettata al futuro deve accettare e vincere. Non so, quindi, se in queste ore qualche senatore, che ancora ha un sussulto di dignità, porrà fine a questa commedia tragica, facendo terminare questa legislatura in cui il Governo Prodi continua a dare una rappresentazione di sé totalmente ed assolutamente inadeguata. Ci troviamo in un biennio di fondamentale comunismo reale. Abbiamo il Presidente della Camera che è un comunista dichiarato, che è contrario alla proprietà privata e al libero mercato, nella maggioranza sono seduti i no global e i Luxuria. Tra le altre cose, signor Presidente, protesto perché ho ricevuto una proposta di legge firmata Luxuria. Ammetto che ci possano essere anche dei diminutivi per non confondere un tizio da un altro. Mi pare che Giuseppe Pisanu sia detto Beppe oppure un altro sia soprannominato Tonino. Tuttavia, protesto per il fatto che ci si possa firmare Luxuria, che è un termine per una perversione sessuale, e vorrei che non ci fosse nemmeno più la possibilità di poter firmare così una proposta di legge. Comunque passo alle conclusioni in questa seduta che tratta di questo decreto-legge fiscale.
Spero che si vada al più presto alle elezioni e si ponga fine al danno di questo biennio di comunismo reale. Credo che sia davanti agli occhi di tutti che l'Italia è stanca. Cari colleghi, l'Italia realmente in questi ultimi mesi sembra smarrita e lo sembrano anche un po' gli italiani. Dopo cinquant'anni di Repubblica ritroviamo il nostro popolo pieno zeppo di poveri e una società assolutamente terrorizzata. Credo che l'Italia meriti qualcosa di diverso e sia un po' stanca, sia arrivata a mostrare tali segni di stanchezza nel vedere che questo Governo non sa governare le realtà difficili e l'economia. Non sa che fare dell'enorme ricchezza che gli italiani onesti mettono nelle mani del Presidente del Consiglio e dei Ministri, vede le liti tra Ministri, un Ministro della giustizia come Mastella, un Ministro delle infrastrutture come Di Pietro, vede che non c'è una rotta, un costrutto, non c'è un progetto complessivo.
Soprattutto, signor Presidente, è un'Italia assolutamente terrorizzata per come questo Governo non riesce a tutelare il territorio e permette che ci sia una violenza diffusa ovunque. Quasi ogni famiglia ormai in Italia viene toccata, se non dalla violenza, dall'intimidazione, dalle aggressioni, dai furti, dagli scippi. Da quando questo Governo è in carica ha lanciato segnali di grande tolleranza e permissività e l'Italia è diventata di nuovo un territorio in cui ci sono scorribande di criminali stranieri.
Credo che ciò sia umiliante, ma anche immeritato da parte di un popolo che non merita certo questo. Allora spero che al Senato ci sia una svolta - non so se sarà possibile in queste ore - che ponga fine a questo disastro e che restituisca presto l'Italia, la nazione e il suo popolo, a un Governo giusto e sano, che sappia guardare al futuro, sappia accettare le sfide, sappia governare, che sia composto di persone con buonsenso, con la testa sulle spalle e che soprattutto si pongano il principale obiettivo di una politica sana, vale a dire gli interessi nazionali e della comunità nazionale.
PRESIDENTE. Sono costretta ad invitare i deputati ad avere rispetto della persona dei colleghi, onorevole Salerno.
ROBERTO SALERNO. Signor Presidente, non mi pare di aver detto alcunché di irrispettoso. È il collega che deve aver rispetto delle istituzioni, non io...
PRESIDENTE. Onorevole Salerno, per cortesia!
ROBERTO SALERNO. Signor Presidente, se lei mi dice di fare qualcosa, le devo rispondere!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Armosino. Ne ha facoltà.
Pag. 23
MARIA TERESA ARMOSINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, signor relatore, onorevoli colleghi, nell'intervenire sull'esame di questo decreto-legge farò una serie di rilievi che partono dal metodo, per arrivare a qualche constatazione di merito. Nella mia esperienza (credo di essere all'undicesimo esame tra finanziaria e provvedimenti collegati) non era mai accaduto che un decreto-legge che affianca e viaggia in parallelo con la legge finanziaria giungesse da una Camera all'altra, nel nostro caso dal Senato alla Camera dei deputati, con il totale impedimento alla modifica di un qualsivoglia punto. Sono costretta a far rilevare che non solo non sono stati accolti, e neppure esaminati, gli emendamenti presentati in Commissione bilancio, persino quelli della maggioranza, ma anzi la Commissione bilancio è stata chiamata a lavorare in tempi concitati e ristretti per consentire che una volontà sbagliata, a mio parere, politicamente, ma macroscopicamente sbagliata per quanto concerne le coperture, come evidenziato dopo il passaggio del provvedimento al Senato, avesse un qualche rappezzo e che si potesse dire che le misure ci sono e ci devono piacere. Dobbiamo anche correggere le coperture che nella fretta, nella furia, nella concitazione del dialogo politico, non ci sono state. Tale aspetto non è di poco conto, nel momento in cui si esamina una parte rilevante di ciò che sarà l'impianto finanziario, e quindi la linea dell'azione strategica del Paese per il 2008, nel momento in cui nell'altra Camera, al Senato, è in corso una vivace discussione sulla legge finanziaria, vivace perché anche nella maggioranza vi sono molte tesi tra loro contrapposte e i conti - si sa - alla fine devono tornare. Ritengo sia necessario - intendo sottolinearlo con il mio intervento - far constare la nostra assoluta contrarietà all'aspetto di cui ho detto. Si tratta di una contrarietà che mi disturba ancora di più evidenziare perché, onorevoli colleghi, è la conferma totale - mi rivolgo ai colleghi della maggioranza - di quella inutilità che noi avevamo inteso eliminare con le modifiche costituzionali che avevamo introdotto, sottolineando l'affermazione: ma che ce ne facciamo di un bicameralismo perfetto? Ebbene, la maggioranza che oggi governa il Paese ha inteso, con la scelta che ha operato sul referendum, ribadire il bicameralismo perfetto, ma intendendolo di maniera, dato che di fatto lo ha soppresso. Questo è il primo caso evidente dell'assoluta inutilità del bicameralismo.
Nel merito, ho apprezzato molte parti dell'intervento del relatore Di Gioia perché, sebbene possiamo avere talune diversità marginali di vedute sui numeri o sulla distribuzione interna del tetto dell'extragettito che si è realizzato, egli ha svolto un'analisi molto puntuale e lucida su un dato che da nessuno viene negato. Mi riferisco al fatto che, per una serie di circostanze, abbiamo realizzato per gli anni 2006 e 2007 un gettito fiscale ulteriore e maggiore rispetto al previsto e, come risulta dalle affermazioni del relatore, sulle quali concordo, ciò è avvenuto anche e prevalentemente perché siamo riusciti ad agganciare una ripresa economica che ci ha consentito di aumentare la base imponibile sulla quale applicare la tassazione. Vi sono stati anche altri fattori in relazione ai quali, sui numeri che vengono forniti, possiamo trovarci più o meno in sintonia. Citerò solo un dato sul quale non siamo d'accordo: la parte dell'extragettito che viene attribuita alla lotta all'evasione perché, a mio avviso, l'effetto sui conti della lotta all'evasione è uno solo, ossia il ricavato dall'accertamento dell'evasione che sia stato contestato e poi trasferito nelle casse pubbliche, altrimenti lo definisco in un altro modo! Altrimenti, si tratta di una vicenda che sta a latere, per cui posso anche avere scoperto sacche di evasione e tentato di perseguirle per ottenere quanto dovuto, ma sono somme che non sono entrate nei conti pubblici. Sui proventi della lotta all'evasione rammento solo la dichiarazione che rese il dottor Befera (che, com'è noto, è il presidente di Riscossione Spa, oggi Equitalia Spa) nel 2006, in Commissione finanze, dalla quale, se non ricordo male, risultava che dalla lotta all'evasione avevamo ricavato 350Pag. 24milioni di euro, dai quali ne dovevano essere sottratti 200, che erano il costo di esercizio in vita di Equitalia Spa.
Ribadisco, comunque, che ho apprezzato il lucido intervento del relatore perché non ha preso supinamente il provvedimento discussione, ma ha tentato di analizzarne lucidamente le criticità. La prima criticità che viene evidenziata, sulla quale mi associo, è che non abbiamo assolutamente la certezza che questo extragettito abbia valore strutturale. Ciò significa, o dovrebbe significare, che se non abbiamo la certezza del valore strutturale e permanente nel tempo dell'extragettito dovremo stare molto attenti alle voci di spesa, soprattutto a quelle che hanno carattere permanente. Possiamo fingere di dire che costino poco perché le valutiamo per tre mesi, ma sappiamo che, se valutate per la permanenza del valore che hanno, non costano poco, ma decine di miliardi di euro! Nel momento in cui obiettivamente lo stato dei conti pubblici non funziona, si tratta di un'attività doppiamente a rischio perché non si è sufficientemente utilizzato l'extragettito per ridurre il debito - creando con ciò anche un decremento del costo che paghiamo per gli interessi sul debito, oltre alle altre considerazioni che possono essere svolte sul rispetto dei parametri - e perché si vanno ad introdurre voci di spesa rilevanti che non sapremo come pagare.
Quando non si sa come far pagare, la misura immediata è di aumentare il prezzo della benzina (così la pagano tutti) e l'altra, un po' più prossima nel tempo, è di aumentare la pressione fiscale con la legge finanziaria. Credo che il nostro Paese - ma non lo credo solo io, in quanto ritengo di avere troppa compagnia per poter sbagliare - sia schiacciato da una pressione fiscale oppressiva. Temo, inoltre, che una gran parte dell'extragettito non sia dovuta ad un'induzione alla minore evasione, evasione che sarebbe determinata da un approccio, rispetto ad un altro, di un Governo tendenzialmente - si dice e non lo credo - più amico di coloro che non pagano che dei rigoristi. Credo, invece, che sia il frutto di un incremento della pressione fiscale che ha colpito coloro che già pagavano molto. Ritengo che ciò possa essere percepito da ciascuno di noi, in quanto ciascuno di noi è, in primo luogo, un cittadino che vive nella sua comunità, cui capita di andare a fare la spesa e di avere un amico negoziante. Si percepisce che la corda è sul punto di spezzarsi, se non è già spezzata. Intendo dire che le suddette scelte di politica fiscale e di non contenimento della spesa, che determinano il costo di cui ho parlato, rischiano, a mio avviso, di trasformare molti settori marginali (specie quelli piccoli), in cui i soggetti sono in grado di condurre dignitosamente un'esistenza, in settori di povertà o in settori titolari di un diritto e pronti ad essere sussidiati a carico del pubblico. Credo che ciò rappresenti un grande problema da affrontare. Nel Paese vi è, infatti, una logica di contrapposizioni che lo sta danneggiando. Non si può parlare di logiche di convergenza sulle opinioni e su cosa serve al Paese, se non siamo neanche d'accordo nel capire, o se siamo così diversi nella sensibilità per capire cosa stanno vivendo il Paese, i suoi operatori e i suoi cittadini in questo momento.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 11,55)
MARIA TERESA ARMOSINO. Vi è un altro caso che, in relazione a questo aspetto, vorrei citare e che mi ha colpito molto. Si sostiene che si è voluta porre in essere una misura a favore dei piccolissimi imprenditori. È la prima volta che viene introdotta in Italia una flat tax con una misura del 20 per cento per tutti coloro che producono fino a 30 mila euro di reddito l'anno. Penso che dobbiamo verificare in concreto chi produce fino a 30 mila euro di reddito l'anno. Non sono, infatti, imprenditori, in quanto, se si trattasse di imprenditori, avreste concesso la deducibilità di quel minimo strumento di lavoro che serve per l'esercizio dell'impresa, ad esempio, le chiavi inglesi e i bulloni, o la linea telefonica e il computer. Credo che tale previsione - non sapendoPag. 25come diversamente procedere - tenda a chiudere un buco mettendo una pezza su un'altra vicenda, ovvero quella, che tanto contestate, relativa a tutte le forme di lavoro a termine o a progetto. Addirittura, ciò potrebbe diventare la quadra di copertura dell'aspetto ricordato (che dovrebbe essere risolto diversamente) che, nelle difficoltà di trovare una sintesi e una mediazione nella maggioranza, non sapete come risolvere.
Allora vi chiedo: ma che senso ha che un dipendente che percepisce una somma analoga paghi il 27-28 per cento di tasse, mentre quelli che voi chiamate non dipendenti - che non so cosa siano - paghino il 20 per cento? È una questione di equità fiscale, ma forse dietro vi è il problema di identificare davvero cosa intendiamo fare. Certamente, questa non è una misura che è servita ai piccoli imprenditori, necessariamente soggetti a costi per l'esercizio della loro piccola attività. Penso alle attività più marginali: al parrucchiere che non ha un salone incredibile, ma che opera, nei paesi da 400 abitanti, con un phon e cinque spazzole.
Vi sono altri argomenti che vorrei affrontare. Vi è una dichiarazione attribuita a Boeri e Garibaldi, due economisti molto bravi, di cui uno torinese, molto vicini - lo sono stati nei cinque anni in cui noi eravamo al Governo - alle posizioni del centrosinistra, che ci fornisce un dato di redistribuzione dell'extragettito per il 2007. Essi ci dicono che sono stati incassati 16,5 miliardi di euro, di cui 5,8 miliardi sono stati destinati a riduzione del debito, che è stata ridotta di 1,8 miliardi la spesa per investimenti e che 9,6 miliardi sono destinati ad ulteriore spesa pubblica.
Voglio mettere a confronto questo dato con l'analisi lucida svolta dal relatore sulla non sicurezza che l'extragettito abbia valenza strutturale e dare, quindi, la dimensione di ciò che ci troveremo costretti a coprire, laddove sia vero - lo temo ma non lo spero - ciò che anche il Ministro dell'economia e delle finanze afferma, ossia che stiamo lentamente iniziando una nuova fase recessiva, in cui non solo non vi sarà più l'extragettito, ma si potrà avere una diminuzione della base imponibile al di sotto dell'extragettito, perché soggetti in condizione di marginalità potrebbero andare al di sotto della soglia di povertà.
Intendo svolgere solo alcune brevissime considerazioni su alcuni interventi. Credo che durante gli anni del Governo Berlusconi abbiamo sbagliato profondamente - e questa è la mia grande amarezza - in ordine alla politica della casa, nel senso che non siamo stati né efficaci né efficienti. In questo provvedimento, sono previste misure che apparentemente dovrebbero rispondere alla logica di una soluzione in termini di politica abitativa, ma non credo che andranno in quella direzione. Cercherò di spiegarne le ragioni. In primo luogo, credo poco alle dazioni per situazioni emergenziali. Credo che il problema debba essere affrontato in modo strutturale, anche se a piccoli passi, vista la scarsità delle risorse. Anche sulla base di questo provvedimento - se non sarà previsto in questa sede, vedremo se sarà possibile farlo con la legge finanziaria - sarà possibile, con gli stanziamenti previsti, iniziare una piccola attività di costruzione di nuove unità immobiliari nelle aree che siano già immediatamente cantierabili.
Questa potrebbe essere forse proprio la sede per cominciare a parlare seriamente del problema e i dati in nostro possesso ci consentono di farlo (proprio quest'anno l'Agenzia del demanio ha presentato il censimento del patrimonio immobiliare dello Stato). Si potrebbe cominciare attraverso il concorso tra Stato, regioni e comuni a trasferire beni e terreni demaniali. Tali provvedimenti potrebbero con la collaborazione del pubblico e del privato dare sfogo a quella che rappresenta davvero l'esigenza prioritaria della nostra società o quell'elemento che fa sì che chi possiede un salario basso possa o meno sopravvivere e avere la disponibilità della casa a condizioni adeguate al suo reddito. Avevo provato a presentare nell'ambito di questo stanziamento qualche modestissima proposta emendativa, però non so neanche se in merito si potrà aprire oPag. 26meno una discussione perché non ci è stato concesso nemmeno di iniziare ad affrontare il tema.
Vi è un altro dato sul quale sono invece totalmente in disaccordo e riguarda le SIIQ, le società di investimento quotate. Secondo me tali società non risolveranno il problema poiché si andrà a creare una sovrastruttura ulteriore e si appesantirà questo meccanismo. Con la riforma del Titolo V il problema della casa è passato dalla competenza statale a quella regionale e per anni abbiamo capito che occorre discutere su tale aspetto nel senso che, senza il concorso dello Stato, le regioni da sole non potranno risolvere il problema della casa. Sappiamo bene quindi che i provvedimenti devono essere posti in essere attraverso un'azione congiunta dello Stato, delle regioni e dei comuni e tutto ciò dovrà essere fatto nelle sedi abilitate, come ad esempio le Conferenze Stato-città e autonomie locali, Stato-regioni, o in quelle unificate.
Ritengo che un segnale in questo senso dobbiamo provare a fornirlo e dobbiamo altresì chiederci se destinare risorse, come stiamo facendo, per costruire ulteriori osservatori non sia non solo uno spreco inutile di denaro ma anche un qualcosa che temo farà risentire e arrabbiare sensibilmente coloro che, per loro sfortuna, vivono quel problema. Non vi è bisogno di un altro osservatorio per censire questa problematica, sussistendo già una pletora di società e di organizzazioni in grado di farlo. Vi sono i censimenti del demanio, vi è la Patrimonio dello Stato spa, oggi diventata Fintecna, che forse è la migliore delle società dipendenti dal Ministero dell'economia e delle finanze per capacità di azione, di integrazione, di progettazione e di risposta immediata.
Temo che questa misura, oltre ad uno spreco di risorse economiche, possa davvero far sentire ulteriormente offeso e sbeffeggiato colui che, sollevando una questione, si sente rispondere che il suo problema verrà osservato, ma che forse sarebbe stato meglio farlo prima. Ho qualche perplessità sui bonus previsti per gli incapienti, perché mi diventa difficile capire una misura che sia diversa da quella che consente di non pagare le tasse.
Temo inoltre che esistano situazioni di incapienza fittizie. Credo che dovremmo andare a chiedere a quegli istituti che si chiamavano una volta IACP e oggi ATC, ALER, ATER, a seconda delle zone dove sono ubicati, quante sono le famiglie che non hanno più titolo a rimanere in quelle realtà, non presentando più i requisiti di reddito. Sono molte purtroppo. E dico purtroppo perché anche quelle sono situazioni che, se a disposizione, consentirebbero ai reali aventi diritto di beneficiarne. Tuttavia, so anche che le lettere di sfratto non vengono spedite, perché lo dovrebbero fare i comuni e, con il sistema elettorale legato all'espressione della preferenza, a me risulta che nessuna amministrazione, a prescindere dalla sua collocazione politica, si metta a fare queste cose.
Pertanto, sulla base di dati che possediamo, vi sono situazioni di persone che occupano case popolari non avendo più i requisiti di reddito, non perché non li possieda il titolare, ma perché all'interno della famiglia vivono figli adulti che lavorano. La famiglia si evolve e noi auspichiamo che essa, pur partendo con difficoltà (conservando, comunque, grande dignità), poi, rafforzi la sua posizione anche attraverso l'attività dei suoi componenti. Ritengo, dunque, che sia necessario porsi anche questo problema relativo agli utilizzi dei bonus e dei loro beneficiari finali. Attualmente, tali bonus vengono valutati - mi sembra - tornando alla cifra di 150 euro (stimati in 1,9 miliardi di euro), ma, laddove si dovessero riprodurre e fossero misure stabilizzate per risolvere il problema, torno al discorso iniziale: sarebbero necessari, forse, 15 o 20 miliardi di euro. Ciò comporterebbe ulteriori tasse per altri soggetti che, da una condizione, quella di coloro che contribuiscono a pagare, possono passare ad un'altra, quella dei percipienti.
Vorrei esporre un'ulteriore questione. Ho notato che è stato modificato il criterio di definizione della ruralità dei fabbricatiPag. 27- non entro nel merito perché il tema non mi appassiona, pur avendo origini contadine (ma non più attuate!) - ma non è stato modificato il termine per la presentazione delle domande. Ritengo che su questa piccolissima questione, se non adesso, in seguito sarà necessario intervenire, perché se vengono modificate le disposizioni non è pensabile che venga lasciato il termine previgente sulla base delle altre, affinché le persone si adeguino. Affinché la misura sia efficace ritengo che ciò debba essere fatto.
Da piemontese, vorrei svolgere un'ultima considerazione. Sulle infrastrutture, relativamente ai trasporti, si sono premiate tre città. Il Piemonte non ha ricevuto una lira in termini di trasferimenti infrastrutturali: la metropolitana di Torino è stata avviata in occasione delle Olimpiadi, ma è ancora da ultimare. Pertanto, proporremo e tenteremo di ottenere qualcosa di diverso nella legge finanziaria.
Con questa premessa - e concludo - non posso esprimere un parere favorevole sul provvedimento in discussione. Tuttavia, spero che durante l'esame del disegno di legge finanziaria possa esservi una diversa possibilità di discussione e di individuazione delle questioni. Non è facile, ma deve essere possibile, se si invoca e si chiede la capacità di sedersi congiuntamente ad un tavolo per riformare questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Maroni, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, anche noi, come gruppo Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI, vogliamo dare il contributo alla discussione sulle linee generali sulla conversione in legge del decreto-legge, recante nel titolo: «Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale».
Chi non può essere d'accordo con un titolo così impegnativo? «Interventi urgenti» significa che vi è una politica del Governo di sviluppo e di equità sociale, che è già in essere e ha già una rotta ben definita, sulla quale bisogna intervenire con piccoli interventi, per cercare di modificarla verso un migliore e maggiore sviluppo e verso una migliore equità sociale. Ebbene, di tutto questo non si trova traccia, anche perché è difficile valutare un decreto-legge disgiunto dalla legge finanziaria.
Siamo in presenza di una schizofrenia di questo Governo e di questa maggioranza, in termini di «bulimia legislativa». La bulimia è una patologia psichiatrica, che si può benissimo applicare anche in termini di esagerazione di legiferazione. Vi ricordo che l'anno scorso il disegno di legge finanziaria, sui cui è stata posta la questione di fiducia, ha avuto un articolato di circa 350 pagine. Quest'anno non esiste un unico provvedimento, ma la manovra è scissa in tre - una e trina - per cui abbiamo: un disegno di legge finanziaria di oltre 200 pagine, questo decreto-legge fiscale di oltre 150 pagine e il provvedimento sul welfare con i contributi in arrivo, con il probabile rialzo, con gli incerti risparmi e con il super INPS; addirittura, il servizio bilancio della Camera dei deputati, in merito al Protocollo modificato dal Governo, afferma di avere alcune perplessità, le evidenzia e le certifica.
Si tratta, pertanto, di tre argomenti che riguardano l'ambito economico-finanziario e che non possono essere trattati in modo disgiunto, a compartimenti stagni. L'economia di un Paese è un tutt'uno e questi tre provvedimenti (il primo in discussione al Senato, il secondo adesso qui alla Camera e il terzo arriverà nei prossimi giorni) non possono che essere tenuti ben presenti, altrimenti si perde la rotta e il Paese perde in competitività e modernizzazione.
Cosa succede, dunque, al Paese? Quello che è successo: siamo il fanalino di coda della zona euro, siamo gli ultimi! Il dato parla chiaro. Si dice a volte che unaPag. 28squadra è ultima in classifica, però gioca bene: in tal caso non so se giochi bene, però è ultima! Quindi, il dato concreto, percepito e reale è quello che noi siamo gli ultimi: nella zona euro, siamo quelli che hanno uno sviluppo sotto la media; è aumentata la forbice rispetto a quei Paesi con cui, solamente qualche anno fa, eravamo alla pari, se non superiori; in questo momento stiamo retrocedendo e siamo ultimi in classifica.
Crediamo che questa pletoricità di legiferazione sia il male vero. Infatti, la somma di tutti questi piccoli interventi in tanti settori, non fa una vera manovra! Una rondine non fa primavera! In campo economico-finanziario, per la ripresa dello sviluppo di questo Paese e per una vera equità sociale, abbiamo bisogno veramente di una stagione di primavera e non di un profondo inverno o di un «profondo rosso»!
Per questo motivo, critichiamo la tuttologia e la pluralità di interventi messi a caso, uno dopo l'altro, per tenere insieme la maggioranza. Abbiamo una maggioranza eterogenea, che sta implodendo e non ha più una rotta da seguire, né mete da raggiungere; si cerca di dare il contentino a questo o a quel ministro, a questo o a quel senatore, e a questo o a quel segretario di partito, per fargli votare la finanziaria!
Si tratta di un obbligo e quindi è come quando si tende una corda dove ognuno tira da una parte e ovviamente non c'è un'ottimizzazione, non si ha l'effetto leva - molto conosciuto dai nostri studenti - e si fa tanta fatica e soprattutto la si fa fare ai cittadini italiani. Parlo di fatiche in termini di gettito, di pressione fiscale e di tasse e il tutto si ripercuote negativamente sullo sviluppo del Paese: la spesa non è governata e non viene favorita la crescita e ciò ovviamente porta al declino della nostra economia. Abbiamo «fame» di interventi infrastrutturali: lo sviluppo in un Paese passa anche attraverso le infrastrutture.
Sto preparando un libro bianco sulle opere incompiute: si dice che quando si va «in bianco» con la propria donna, con la propria moglie, c'è qualcosa che non va ed il nostro Ministro delle infrastrutture sta andando «in bianco» con tutti i suoi interventi ministeriali. Le opere infrastrutturali non stanno effettivamente partendo: il corridoio n. 5 non sarà realizzato, così come il ponte sullo Stretto, e le nostre autostrade non saranno modernizzate.
La collega Armosino, intervenuta prima di me, parlava degli interventi sulle case popolari, degli interventi di edilizia residenziale: ci si limita ad una mera enunciazione degli stessi, ma poi, di fatto, non vengono ultimati. Le opere rimangono incompiute e si continua a dire - come ha fatto il Ministro, anche ieri, durante il question time - che la colpa è del Governo precedente. Tra cento anni si dirà ancora che è colpa del Governo Berlusconi e gli si continua a dare la colpa perché la teoria del sospetto è una teoria delle culture comuniste che ancora esistono in questo Parlamento.
Sappiamo che tali culture in economia non ci hanno mai «azzeccato» e che hanno sempre portato alla rovina quei Paesi e noi ne stiamo subendo le conseguenze anche nel campo della sicurezza o meglio dell'insicurezza percepita dai nostri cittadini perché il pericolo viene veramente dall'est. Si tratta di un pericolo costante per il quale i prodotti del comunismo stanno entrando nel nostro Paese ed i peggiori stanno mettendo a rischio la sicurezza di tutti. Ciò che sta accadendo è vergognoso: tutti giorni si legge sui giornali di stupri, rapine, omicidi e via dicendo.
Dicevo che siamo la cenerentola dell'Europa anche in campo di sviluppo infrastrutturale ma soprattutto non si vede la ripresa economica. Ci dicono già fin d'ora che la nostra crescita quest'anno sarà intorno all'1,9 per cento, ma noi crediamo che per il 31 dicembre arriveremo all'1,7 per cento, ossia allo 0,2 per cento in meno, perché questo è un Governo un po' bugiardo. Esso ci dice che il prossimo anno avremo una crescita all'1,5 per cento: pertanto dobbiamo intenderla pari all'1,1-1,2 per cento. Non è vero, quindi, ciò che il relatore Di Gioia esponeva nella relazione illustrando questoPag. 29decreto-legge, ossia che l'extragettito è arrivato dalla ripresa economica. Non godremo più di tale extragettito perché non è strutturale e quindi il prossimo anno la legge finanziaria sarà fatta di «sudore e sangue». Sudore perché i nostri cittadini dovranno lavorare di più - se troveranno il lavoro - ma dovranno pagare anche più tasse. Sangue, ovviamente, per l'insicurezza e per tutto ciò che sta accadendo e soprattutto perché il prelievo fiscale ha raggiunto, ormai, livelli di guardia non più sopportabili.
C'è pertanto una contraddizione: il debito pubblico rimane tale e non si fa nulla per abbassarlo, anzi esso sta crescendo. In un anno e sei mesi di questo Governo il debito pubblico è cresciuto in maniera lenta, ma continua.
Non si cerca di abbassarlo, perché abbassando il debito pubblico ci potrebbe essere la ripresa economica. Come si fa ad abbassare il debito pubblico? Per noi socialisti, credo, la proposta è chiara e lapalissiana: bisogna vendere i gioielli di famiglia! E quali sono? Tutte quelle aree demaniali, tutte quelle case e quelle proprietà demaniali che sono abbandonate a se stesse e non sono utilizzate. Bisogna cercare di renderle produttive, bisogna cercare di metterle sul mercato, cercando di trarne dei benefici, ma non per dare contributi elettorali a pioggia.
Questa, onorevoli colleghi, è una finanziaria elettorale, che ci porterà alle elezioni nella prossima primavera, perché ci saranno le elezioni nella prossima primavera e questa finanziaria lo dice lapalissianamente. Bisogna cercare di impedire questo gettito a pioggia a tutti perché non risolve il problema, non riduce il debito pubblico e, quindi, non c'è ripresa dello sviluppo e, sicuramente, non c'è equità fiscale.
Bisogna, poi, abbassare la pressione fiscale: guardate che abbassando la pressione fiscale, quindi abbassando il livello dell'acqua, emerge l'evasione e c'è la possibilità che questa sia ridotta sensibilmente. L'extragettito è arrivato dal recupero dell'evasione fiscale solo per il 15 per cento: significa che la forbice è ancora larga e, quindi, se abbassiamo la pressione fiscale, emergerà l'evasione. Siamo convinti che la possibilità di avere un maggiore gettito esista veramente. Su questo dobbiamo, ovviamente, lavorare.
Bisogna anche rilanciare gli investimenti privati, facendo l'opposto di quello che sta facendo questo Governo. Abbiamo bisogno di uno shock nell'economia: è necessaria una minore deducibilità degli interessi e un'accelerazione degli ammortamenti; bisogna permettere agevolazioni a tempo per le nostre imprese, per un periodo di 18-24 mesi, per cercare di farle investire, per farle essere competitive con i partners europei.
Soprattutto, abbiamo bisogno, oltre che di competitività, che il Governo garantisca la reciprocità rispetto agli altri Stati, perché quelli più forti riescono a tutelare meglio le loro imprese. Dopo avere sottolineato, in linea generale, la nostra posizione critica, rilevo che anche il relatore Di Gioia è abbastanza critico, perché leggo testualmente dalla trascrizione della sua esposizione che egli afferma che bisogna ridare dignità alla Commissione Bilancio, alle istituzioni e al Parlamento.
Lo dice lui e se lo dice il relatore significa che la Commissione Bilancio non ha fatto il suo dovere, perché il Governo le ha impedito di fare il suo dovere, perché l'ha obbligata, sic et simpliciter, a prendere per buona una manovra che le ha imposto.
Se lo dice il relatore, significa che è vero. Di Gioia continua affermando che siamo in una situazione economica che suscita serie preoccupazioni: significa che anche all'interno della maggioranza si sente il bisogno di dire «basta» a questo Governo, perché non se ne può più e andare avanti così significa veramente la fine.
Anche l'anno scorso siamo stati dei facili profeti, quando abbiamo detto che la legge finanziaria 2007 avrebbe previsto più tasse per tutti, ed è poi quello che è successo: ad ogni famiglia essa è costata di più, le buste paga sono state più magre, più scarne e le famiglie hanno dovuto sopportare rialzi incredibili. Con un petrolio che supera ormai i 100 euro alPag. 30barile, questo Governo, cosa fa? Ci aspetta un inverno freddo e al buio perché la politica energetica non esiste, e, se Dio vuole, fino adesso, che il rapporto euro-dollaro è alto, i rincari del gas o del petrolio, della benzina non si sentono ancora, anche se ci sono; ma se dovesse tornare il rapporto di due anni fa, avremmo la benzina che costerebbe il doppio, avremmo il riscaldamento che costerebbe il doppio, avremmo la bolletta dell'ENEL che costerebbe il doppio. Lo diciamo, questo, ai cittadini? E guardate che non è un bene avere un dollaro in queste condizioni, perché le nostre imprese ovviamente non sono competitive!
Manca quindi una politica energetica, non si vuole ammettere che si è sbagliato quindici, venti anni fa, seguendo il falso populismo di non aver portato avanti una politica energetica e nucleare seria. E ancora: i prodotti agroalimentari, sui nostri mercati, hanno raggiunto costi tali che le nostre famiglie non se li possono più permettere. D'altronde quando un chilo di pane viene a costare quasi 5 euro, di cosa stiamo parlando? Non è possibile sostenere che questo Governo ha fatto una politica economica vera; anzi, ha fatto una politica, come ho già detto, patologica, bulimica, schizofrenica e che sta costando sudore e sangue a tutte le famiglie.
Una riduzione del debito pubblico non c'è e non si intravede, la modernizzazione dello Stato non c'è, siamo la Cenerentola d'Europa. Noi abbiamo cercato di presentare, come gruppo DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI, degli emendamenti; però riconosciamo che sono solamente palliativi, perché cercano di far soffrire meno le nostre famiglie. Con questo impianto, tuttavia, come vi ho detto, con questa bulimia legislativa, tuttologa e di eccessiva pluralità, c'è poco da fare. Cerchiamo di alleviare le sofferenze con i nostri emendamenti.
A soffrire è veramente l'Italia degli operai, l'Italia delle piccole aziende, delle partita IVA, degli artigiani, dei commercianti, dei ricercatori, degli studenti, che sono attualmente le categorie più in difficoltà e le più vulnerabili, per le quali non facciamo nulla. Abbiamo un capitalismo familiare ma, quanto alle grandi famiglie italiane, anche se le tassate di più, anche se il prelievo è maggiore, è come togliere un bicchiere d'acqua dal mare; chi soffre invece sono le famiglie più povere, le categorie più vulnerabili.
L'Italia dei poteri forti, che trae beneficio da questa legge finanziaria, è l'Italia delle banche, è l'Italia delle cooperative rosse. Non se ne può proprio più: non pagano le tasse, acquistano le grandi imprese, le banche, la grande distribuzione. Sono veramente il potere; e d'altronde questo Governo è la loro espressione, i poteri forti sono in questo Governo. E così i mass media. Essi ovviamente non tremano, state tranquilli: chi trema sono le famiglie più povere, le famiglie che tutti i giorni sanno quanto «sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale», tanto per citare Dante. Abbiamo un'Italia dell'assistenzialismo, dei sindacati, che è premiata nella legge finanziaria e nel decreto-legge in esame: essi la fanno sempre da padroni.
A dimostrazione di ciò, scendo nel particolare dell'articolato. L'articolo 12 - relativo alla scuola ed ai cinquantamila esuberi nel mondo della scuola - ne è la prova: esso prevede lo stanziamento di 150 milioni di euro, mentre con l'articolo 15 si dà un miliardo di euro per i contratti della pubblica amministrazione!
Forse non ve ne siete accorti, ma per la prima volta la spesa pubblica - dall'inizio della Repubblica italiana - ha superato il 50 per cento del PIL: unico caso al mondo! Lo dite voi, non io, come si legge nella vostra relazione. Com'è possibile superare il 50 per cento del PIL in spesa pubblica? Non è possibile, ciò significa che siamo al tracollo, alla rovina. Non si può andare avanti in questo modo.
All'articolo 21 si investe sulle case popolari, magari, come diceva qualche mio collega della Lega, per darle poi agli extracomunitari illegali (a Roma, soprattutto, e nei comuni dove ovviamente la situazione e le criticità sono tali che con il falso populismo non si possono mandarePag. 31via e dunque gli vengono assegnate case popolari), mentre facciamo vivere nelle baracche i nostri cittadini italiani.
Noi siamo per la sussidiarietà e la solidarietà, ma vi è bisogno di criteri e regole: esse non possono tradursi in provvedimenti «a pioggia», solo per fare clientelismo elettorale.
L'articolo 24, poi, rappresenta l'ossigeno per il malgoverno delle regioni e dei comuni. Mi riferisco alla sanità della Campania, ai soldi per i rifiuti in Campania e ai comuni in dissesto finanziario che sono - guarda caso - tutti gestiti dall'Unione. Richiamo, inoltre, gli articoli 27 e 43 sui lavoratori socialmente utili (o inutili).
La dignità del lavoro è altra cosa, amici colleghi: assunzioni senza criteri di merito e senza concorso non si possono fare! È clientelismo, è assistenzialismo! Si tratta di 350 mila persone che voi immettete nella pubblica amministrazione a fare nulla - visto che non vi è nemmeno la possibilità della mobilità tra le pubbliche amministrazioni -, ad incrociare le braccia e a far sì che la spesa pubblica e il debito pubblico continuino a crescere.
Ricordo, inoltre, l'articolo 44, che prevede 150 euro a favore degli incapienti, di coloro cioè - dipendenti, autonomi o assimilati - che non dichiarano reddito. Ma vorrei, al riguardo, una spiegazione: essi erano 300 euro, e poi sono stati dimezzati?
Ma con quali regole vengono distribuite tali risorse? Le date direttamente voi per fare clientelismo o le date ai comuni affinché, con i loro servizi sociali e la polizia municipale, vadano a verificare lo stato di incapienza?
La filosofia del contadino non è quella di seminare a caso, ma di seminare in terreni che debbono essere resi fertili per cercare di superare un problema: deve, cioè, essere ben presente la complessità del problema e non devono essere adottati interventi casuali e improvvisati, che magari non servono a nulla perché non producono nulla.
Lo statalismo in Italia è pletorico, congestionato e non produttivo. L'Italia presenta in Europa la pubblica amministrazione più pletorica e costosa, ma ha il PIL più basso. Come facciamo ad essere competitivi? Come facciamo a perseguire ciò che voi dite - sviluppo ed equità sociale -, se mancano questi punti fondamentali, questi due cardini portanti?
Il collega Garavaglia ieri molto correttamente riportava dei dati allarmanti (che sono stati verificati e risultano, pertanto, veri), che voglio richiamare. In Calabria - diceva - vi è un numero di guardie forestali uguale a quello del Canada. Il Canada intero, cioè, ha guardie forestali in numero pari a quello della regione Calabria. Ma come è possibile?
Eppure, in Calabria si verifica il doppio degli incendi rispetto al Canada.
All'Italia dei poteri forti - mi riferivo alle cooperative rosse, ai capitalisti, ai sindacalisti - stiamo concedendo tutto, mentre all'Italia che «boccheggia» il decreto-legge in materia economica e finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale non dà nulla e perciò quell'Italia continua a soffrire. Si tratta dei precari, degli artigiani, cui rivolgiamo il nostro plauso, dei commercianti, delle piccole e medie aziende, dei ricercatori.
Ricordo che tali categorie, in certi casi, arrivano a pagare fino al 70 per cento di tasse! Si tratta dell'Italia del rischio, perché tali categorie rischiano in proprio, con la loro attività, tutti i giorni e anche dell'Italia del fisco. Bravo, Prodi, complimenti! È riuscito - unico esempio al mondo! - a far sì che tutte le categorie professionali (i commercialisti, gli avvocati, i medici, i farmacisti, i tassisti) si siano riunite a Roma, di fronte al Parlamento, per protestare. Ne hanno tutti i diritti perché costituiscono l'Italia del rischio, perché mettono a rischio i loro capitali e quando si trovano dinanzi uno Stato che non è né madre né padre, ma matrigna o patrigno, sono costrette a chiudere o investire le proprie risorse all'estero, come effettivamente avviene.
Nei Paesi europei le aziende concorrenti alle nostre pagano imposte che vanno dal 25 al 50 per cento, ma mai il 70 per cento. Pertanto, stiamo perdendo in termini di competitività e, come ho già detto,Pag. 32non vi è reciprocità poiché non abbiamo un vero Governo, che, come un allenatore, organizzi la squadra, evitando che ognuno segua la palla, scoprendosi in tutti i settori del campo.
Pertanto, siamo la Cenerentola, il fanalino di coda dell'Europa. Noi Socialisti, ovviamente, non condividiamo l'allargamento dell'Europa al Baltico. Da sempre, la nostra storia è stata fondata sull'area mediterranea e si dovrebbe perseguire una politica con i Paesi che si affacciano su questo lago e con i quali dovremmo avere più dialogo, maggiori scambi commerciali e rapporti, affinché il nostro sviluppo avvenga con i Paesi dell'area mediterranea e non certamente con quelli del Baltico. Se avessimo perseguito tale politica, avremmo più sicurezza, perché non avremmo più il vento dell'Est che ci colpisce, causando insicurezza per le ondate di immigrazione che ci investono.
D'altronde - lo ripeto - siamo in una Camera che ha inasprito, nei confronti degli imprenditori e dei datori di lavoro, le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Pertanto, questi soggetti sono anche preoccupati. È una notizia di ieri che la Cassazione ha condannato un datore di lavoro se per caso si azzarda a riprendere un dipendente, affermando che non fa nulla e usando dei toni un po' forti. In questo caso, deve essere anche condannato al risarcimento civile e a sanzione penale. A tale proposito, apro una parentesi: solo in Italia, rispetto a tutti gli altri Paesi del mondo, esiste un potere monocratico che ha la forza di arrestare un cittadino che nel 60 per cento dei casi è dichiarato innocente da giudici terzi.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, sto per concludere il mio intervento. Pertanto, non si deve parlare più della lotta all'evasione fiscale come la panacea di tutti i mali che vi sono in Italia, ma è necessario abbassare la pressione fiscale, far emergere il sommerso e, solo a quel punto, chi evade le tasse deve essere punito seriamente e severamente con una pena certa, perché altrimenti si continuerebbe ad evadere.
PRESIDENTE. Onorevole Barani...
LUCIO BARANI. Signor Presidente, concludo il mio intervento con un'ultima riflessione di natura macroeconomica...
PRESIDENTE. Onorevole Barani, ha già ampiamente superato il tempo a sua disposizione.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Virgilio. Ne ha facoltà.
DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento che stiamo esaminando (atto Camera 3194-A) nel testo pervenutoci dal Senato - diciamolo chiaramente, come molti colleghi hanno già sottolineato - è insoddisfacente.
Esso fotografa lo stato di confusione e di totale irrequietezza (con un termine medico direi di «fibrillazione») di questo Governo che, invece di prendere decisioni coraggiose, necessarie nel momento presente così preoccupante per il nostro Paese non soltanto dal punto di vista economico, pensa a «bivacchiare» e a firmare ogni giorno compromessi pur di sopravvivere.
Inoltre, i continui richiami degli organismi europei - ricordo che facciamo parte integrante e siamo fondatori dell'Unione europea - al risanamento della nostra economia sembrano essere caduti nel vuoto. Ogni volta che veniamo richiamati è come se ciò non riguardasse noi. È il segno di un'assoluta presunzione e dell'instabilità di questo Governo, che è noto ai cittadini soprattutto per il grado di indecisione dei suoi provvedimenti, presi per accontentare ora questa, ora quella componente governativa, multiforme e variegata, denotando, per l'appunto, insicurezza. È un segnale d'allarme molto preoccupante per il futuro del nostro Paese.
Deve essere sottolineato ancora una volta, come abbiamo fatto nelle questioni pregiudiziali da noi presentate, che il disegno di legge in esame di conversione in legge del decreto-legge, collegato alla manovraPag. 33finanziaria per il 2008, non rispetta i requisiti di straordinaria necessità ed urgenza chiaramente previsti dalla nostra Carta costituzionale per l'emanazione dei decreti-legge, in quanto la maggior parte delle norme in esso contenute potevano e dovevano essere inserite in separati disegni di legge ordinari. Avete scelto di intraprendere una strada che non condividiamo.
Il Senato, rispetto al testo iniziale, ha ulteriormente aggravato la situazione inserendo norme disorganiche, eterogenee e settoriali, il cui effetto reale sarà quello di disperdere risorse finanziarie preziose, come sottolineato dai colleghi che mi hanno preceduto, che dovrebbero invece essere impiegate per rispettare gli impegni di risanamento finanziario assunti nei confronti della Comunità europea e di fronte a tutti i cittadini.
Per effetto della dissipazione delle risorse per complessivi 15 miliardi di euro - ben 15 miliardi di euro! - posta in essere dai testi presentati dal Governo a partire da giugno del 2007 si è procrastinata di un anno la conclusione del processo di azzeramento del disavanzo statale, concordato - lo ricordo - con l'Unione europea.
Inoltre, alcune delle spese aggiuntive introdotte nel corso dell'esame al Senato sono prive di copertura finanziaria adeguata. Ne è un esempio l'articolo 44, sul quale tornerò in seguito, relativo al contributo per gli incapienti, il cui costo è stato raddoppiato dal Senato e finanziato con l'impiego di parte dei depositi dormienti.
Siamo dunque di fronte, signor Presidente, onorevoli colleghi, ad un provvedimento dannoso ed irresponsabile, che rappresenta l'esatto contrario di quanto, invece, sarebbe stato necessario per la nostra economia, per la nostra finanza pubblica e per le tasche dei cittadini, specialmente di quelli più bisognosi.
Mi limiterò ad analizzare alcuni articoli di competenza della Commissione affari sociali, di cui sono componente e capogruppo di Forza Italia.
L'articolo 4, già diffusamente illustrato dall'onorevole Mazzaracchio, reca disposizioni in materia di commissari ad acta per le regioni inadempienti. Si tratta di una misura sicuramente importante, che rischia, tuttavia, di essere vanificata se lo Stato non è in grado di verificare in modo puntuale il rispetto dei piani di rientro concordati con le regioni e questo non lo è. Assistiamo ad un «balletto» in alcune regioni e, in tal senso, anche in quella nella quale vivo.
Si corre, infatti, il rischio di giungere alla nomina di un commissario ad acta soltanto in seguito alla chiusura dell'esercizio finanziario, con la conseguente penalizzazione dei cittadini. Infatti, cosa faranno le regioni? Aumenteranno l'IRAP e utilizzeranno altri balzelli fiscali.
Quanto poi alla possibilità che il commissario ad acta proponga la sostituzione del direttore generale delle ASL (voglio ricordare che avete fatto uno spoil system totale e che molti ricorsi al Consiglio di Stato sono stati vinti, per cui avete dovuto remunerare chi è stato sostituito), tale misura è destinata a rivelarsi del tutto insufficiente se non viene modificata la normativa che attualmente disciplina la nomina dei direttori generali, altrimenti l'atto previsto è giuridicamente non valido. Tale normativa risulta del tutto inadeguata e prevede requisiti decisamente insufficienti per un direttore generale. Per esempio, vengono al contempo esclusi parlamentari e consiglieri regionali cessati dal mandato che, grazie alla loro esperienza, potrebbero rientrare in tale delicato campo e in tale delicata funzione.
Sorvolo, in parte, la particolare e pesante problematica prevista dall'articolo 5 sugli aspetti economici dell'assistenza farmaceutica, ribadita nell'intervento puntuale e chiaro dell'onorevole Chiara Moroni, cui rimando. Desidero però sottolineare - non posso non farlo - che non possiamo continuare a penalizzare la nostra industria farmaceutica, già ridotta al lumicino come risorse e presenza sul mercato (tutte le aziende farmaceutiche sono inglobate nelle multinazionali), come anche è dimostrato, cari colleghi, dalla carenzaPag. 34assoluta in Italia della ricerca di base e dagli studi internazionali, per cui le sperimentazioni in fase uno e in fase due in Italia rappresentano una parte irrisoria della ricerca. Così facendo diventeremo un Paese sempre più dipendente dalle grandi multinazionali estere. Ciò comporterà sicuramente una scarsa possibilità di agire autonomamente, con un conseguente aumento dei costi per lo Stato e, quindi, per la tasca di ogni cittadino. Altro che risparmi sulla spesa farmaceutica, che - come voi indicate - giustamente dovremmo fare, con una campagna anche informativa per il corretto uso dei farmaci da parte di tutti, di chi li prescrive e di chi li utilizza. Quindi, è un problema molto particolare e non potete limitarvi soltanto a stabilire un budget o un tetto senza delle iniziative volte, per esempio, ad una capillare campagna informativa in questo senso.
Invece, voglio riservare uno sguardo particolare all'articolo 20, che riguarda il 5 per mille. Signori miei, è veramente incredibile ciò che è successo. Intanto, voglio ricordare che tale illuminante iniziativa fu presa dal nostro Governo nella passata legislatura con la legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005). Il Fondo che ne deriva è dedicato al volontariato e alla ricerca. Oltre sedici milioni di cittadini spontaneamente, con grande senso di solidarietà, hanno sottoscritto questa brillante e significativa iniziativa, che ha portato nelle casse dello Stato oltre 400 milioni di euro.
Voglio anche ricordare - è importantissimo e i cittadini che ci ascoltano lo debbono sapere - che in Italia oltre sei milioni di cittadini hanno scelto volontariamente di donare una parte del proprio tempo con gratuità e spontaneità come volontari in vari campi, in particolare quello sanitario, con l'ausilio organizzativo di oltre ventimila associazioni di volontariato. È una perla, una gemma particolare. Quindi, ci saremmo aspettati che questo 5 per mille, così generosamente sottoscritto da sedici milioni di cittadini, fosse rapidamente erogato. Invece, questo Governo impiega un anno e mezzo per ripartire le somme secondo la scelta dei cittadini, provocando grandi difficoltà e sofferenze alle organizzazioni di volontariato, che ricordiamo significa gratuità. Ma il Governo ha anche pensato di mettere un tetto, perché questa somma che liberamente il cittadino devolve all'associazione di volontariato, secondo il Governo, sarebbe eccessiva e, quindi, riduce di fatto il 5 per mille al 3 per mille. Ditelo chiaramente! È una vera vergogna che le associazioni di volontariato e del terzo settore ben conoscono e che hanno denunciato clamorosamente.
Lo stesso ragionamento, oltre che per il volontariato, vale per la ricerca. In Italia destiniamo alla ricerca circa l'1 per cento del PIL. In Europa siamo gli ultimi in assoluto; poi ci lamentiamo che i ricercatori vanno all'estero e che dobbiamo importare il know how o altre cose del genere.
La ricerca è la base fondamentale di ogni iniziativa. Quindi, chiediamo con decisione che il Governo rispetti fedelmente la scelta volontaria dei cittadini. Questi cittadini che ancora una volta - lo speriamo nonostante le cocenti delusioni - sottoscriveranno nella prossima dichiarazione dei redditi questo 5 per mille a favore del volontariato e della ricerca.
È un'occasione che non potete perdere, ma probabilmente non sarete voi a guidarla, per fortuna. Per quanto riguarda l'articolo 28, commi 4-bis, 4-ter, 4-quater, concernente l'agenzia nazionale dei giovani, l'articolo 44, che riguarda le misure di sostegno a favore dei contribuenti a basso reddito, e l'articolo 45, che prevede l'integrazione dei finanziamenti ai servizi socio-educativi alla prima infanzia e al Fondo per le politiche sociali, occorre subito sottolineare che questi tre articoli assorbono, quanto a impegno di risorse, circa i due terzi dell'intera manovra in materia sociale prevista dal decreto-legge in esame, ammontante globalmente a 2.920 milioni di euro, lo ripeto, 2.920 milioni di euro: il 31 per cento di tutta la spesa prevista dal decreto-legge nel suo complesso. Questi tre articoli impegnavano, nel testo originario del Governo,Pag. 35circa 1.950 milioni di euro, di cui 1.900 assorbiti dall'articolo 44 che, come ricordavo prima, riguarda le misure di sostegno a favore dei contribuenti a basso reddito. Gli altri 50 milioni di euro erano destinati ad interventi per la prima infanzia e per i giovani.
Entrando nei particolari, per quanto riguarda l'articolo 28, i commi aggiunti al Senato non hanno grande rilevanza; essi riguardano, infatti, la dotazione organica del personale dell'agenzia nazionale per i giovani e attuano una decisione della Commissione europea del 30 aprile 2007, per quanto riguarda il programma europeo Gioventù in azione. In proposito, ricordo che il programma Gioventù in azione riguarda l'impegno dei Paesi membri per il periodo 2007-2013 ed ha un bilancio di 885 milioni di euro. Poiché la norma non ha particolare rilevanza sul piano delle risorse stanziate, si ritiene che si possano accettare gli indirizzi europei, non senza evidenziare però che le maggiori risorse messe a disposizione vengono assorbite dalle strutture che devono gestire i progetti, e quasi nulla - signor sottosegretario, so che lei è sensibile a questi problemi - rimane per i progetti stessi.
L'articolo su cui si deve concentrare in particolare la nostra attenzione è il 44, che stabilisce misure di sostegno per le persone a basso reddito, come è giusto che sia. Al riguardo, occorre osservare che il testo presentato al Senato, vale a dire il testo che il Governo voleva che fosse approvato, differisce dal testo quale risultante dagli emendamenti approvati dal Senato, grazie alla sconfitta del Governo su un emendamento ormai diventato famoso: quello presentato dal senatore Fernando Rossi. Voglio ricordare che il primo testo, quello del Governo, era non solo deludente, ma anche, scusatemi il termine, vergognoso. Infatti, esso prevedeva uno stanziamento globale di 1.900 milioni di euro a favore dei cosiddetti cittadini incapienti, ossia di coloro che non percepiscono i vantaggi delle detrazioni fiscali perché non hanno reddito o hanno un reddito così basso che non sono tassabili, e quindi non hanno possibilità di beneficiare di sgravi fiscali. Ebbene, era previsto un rimborso forfetario, solo per il 2007, di 150 euro, più altri 150 euro per ogni familiare a carico: una miseria. Persino alcuni esponenti della maggioranza al Senato avevano avanzato delle riserve su tale intervento, sostenendo che sarebbe stato necessario restringere la platea dei beneficiari, per evitare il rischio di avvantaggiare gli evasori. Si era fatto notare che la norma impegnava soltanto il 20 per cento e che quindi era quanto mai grottesco parlare di decreto finalizzato all'equità sociale. Essendo stato fissato un tetto di spesa, potevano nascere problemi dal punto di vista dell'accessibilità per coloro che erano interessati da tale norma. Si è anche evidenziato che si trattava di una norma una tantum, valida solo per il 2007. Le persone interessate al provvedimento sarebbero state circa dodici milioni e mezzo, persone che hanno un reddito pari o inferiore, lo ricordo, a 7.550 euro. Nella versione originaria sarebbero stati elargiti verosimilmente 41 centesimi al giorno ciascuno, questa è la vera traduzione: semplicemente ridicolo! Bene ha fatto un collega del Senato, in sede di discussione in Aula, a ricordare ironicamente che alle mucche europee, signor sottosegretario, diamo 3 euro, alle mucche europee; ai cittadini, agli uomini, 41 centesimi al giorno! Era proprio una elemosina, mezzo chilo di pane ogni due giorni, e non al prezzo attuale che corrisponderebbe a molto meno.
Il giudizio sul testo originario presentato dal Governo al Senato non poteva che essere fortemente negativo da parte nostra e, più in generale di tutta l'opposizione. Ad aumentare le risorse a disposizione degli incapienti è intervenuto proprio il citato emendamento del senatore Rossi che ha portato a raddoppiare la misura delle detrazioni fiscali, pari ora a trecento euro sia pro capite sia per ogni familiare a carico. Si tratta comunque di un segnale. È stata quindi modificata la dotazione originaria del Fondo che è stata portata a cinque milioni di euro; è un segnale positivo, anche se non sufficiente. Tale Fondo verrà coperto con l'impiego deiPag. 36cosiddetti depositi dormienti finora trattenuti presso gli istituti di credito assicurativi, che rappresentano una risorsa che abbiamo utilizzato per primi, nella precedente legislatura, avendo il coraggio di evidenziarla come possibile e utilizzabile. Nella sua ultima finanziaria, il nostro Governo aveva destinato tale Fondo, la cui consistenza, però, era ancora tutta da evidenziare, all'indennizzo dei risparmiatori vittime di frodi finanziarie e che avevano sofferto un ingiusto danno. Mi riferisco, chiaramente, ai risparmiatori danneggiati dalle vicende che hanno investito le società Cirio e Parmalat e i bond argentini, ed altro.
In conclusione, l'emendamento del senatore Rossi approvato dal Senato ha assegnato alle persone non abbienti l'equivalente di mezzo chilo di pane al giorno, ma non ha cambiato comunque lo spirito e il metodo con i quali l'attuale Governo pensa di affrontare l'emergenza povertà, che esso stesso ha accentuato in questo anno e mezzo. L'opposizione ha una visione completamente diversa, essendo convinta che la maggior parte dei cittadini incapienti abbiano orgoglio e dignità, non siano persone di minore valenza e non vogliano l'elemosina, al contrario di quanto accade dandogli qualche centesimo al giorno come fossero mendicanti al semaforo, che vanno ugualmente rispettati! Tali cittadini chiedono allo Stato, e ne hanno un diritto non solo costituzionale, ma anche etico - a tal proposito, voglio ricordare l'enciclica Centesimus annus, del 1991, di Papa Giovanni Paolo II, molto chiara in questo senso - di avere una prospettiva di vita, di lavoro, di inserimento sociale e di una famiglia che oggi, da una parte della vostra maggioranza, viene così fortemente vilipesa e aggredita.
Poi vi è l'articolo 45 del decreto-legge in discussione, che prevede un finanziamento aggiuntivo per il piano straordinario per lo sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Si tratta di stanziamenti irrisori: appena 25 milioni di euro per gli asili nido, i servizi integrativi, i servizi innovativi nei luoghi di lavoro, presso le famiglie e i caseggiati. Si prevedono appena altri 25 milioni di euro per integrare il Fondo per le politiche sociali; lo ripeto: 25 milioni di euro per il Fondo per le politiche sociali! Come è noto, la dotazione di tale Fondo è pari a 1.635 milioni di euro per il 2007, a 1.645 per il 2008 ed a 1.378 per il 2009; quindi è in diminuzione. Nella disponibilità diretta del Ministro della solidarietà sociale, vi sono appena 50 milioni di euro, mentre tutto il resto è assorbito da INPS e regioni. Si tratta, quindi, di una norma insignificante, di cui tra l'altro è incerta anche la copertura finanziaria.
Onorevoli colleghi, ho lasciato per ultimo, perché è molto delicato, il mio intervento sull'articolo 33 del provvedimento in discussione, che contiene le disposizioni a favore dei soggetti danneggiati da trasfusioni infette. Il problema merita profonde riflessioni di ordine non solo politico ed economico, ma anche sociale ed etico. Credo sia indispensabile, per far ben comprendere tale complessa problematica, sottolineare che la stessa coinvolge migliaia di cittadini italiani incolpevoli che sono stati colpiti da danni più o meno gravi (purtroppo vi sono stati anche dei morti), causati dalla somministrazione di sangue ed emoderivati infetti da virus pericolosi, che ormai tutti conoscete, quali quello dell'epatite C e quello dell'HIV. La legge n. 210 del 1992 riconosce il diritto a un indennizzo mensile ai cittadini che abbiano subito lesioni irreversibili alla salute a causa di emotrasfusione e vaccinazione, in quanto tali lesioni sono irreversibili e provocano angoscia e sofferenza fisica e psicologica nell'individuo e nella famiglia che lo accoglie. I danneggiati da emotrasfusione, poiché contagiati da epatite C, normalmente ricevono un indennizzo mensile e un vitalizio; i danneggiati da vaccinazioni, invece, oltre al beneficio mensile ricevono anche un assegno una tantum per il periodo compreso tra il manifestarsi del danno e la data di conferimento dell'indennizzo mensile di cui ho già parlato.
Nel 2005 è stata approvata la legge n. 229, che ha aumentato, per i soli danneggiati da vaccino, sia l'assegno mensilePag. 37sia gli arretrati. La stessa legge, giustamente, ha condizionato l'erogazione del beneficio alla chiusura delle liti pendenti. Gli emotrasfusi, invece, sono rimasti «al palo», pur avendo instaurato numerose azioni di risarcimento dei danni e sono stati esclusi dai benefici della stessa legge n. 229 del 2005, al pari dei talassemici. Nel corso del 2005 è stato aperto un tavolo di trattativa con tre categorie di danneggiati: gli emofilici, i talassemici e i vaccinati, che comprendono anche i trasfusi occasionali. Le azioni avviate dagli emotrasfusi, censite dal Ministero della salute alla data del 16 luglio 2007, sono circa 1.500. Gli emotrasfusi sono stati censiti in base alle domande ed alle cause da esse prodotte. Il Ministero della salute, con questo articolo, intende dirimere le controversie, pagando a ciascuno degli interessati cifre non inferiori a quelle stabilite con il decreto del Ministero della salute del 3 novembre 2003, adottato dal nostro Governo. Se il Ministero dovesse pagare ai contagiati le cifre già erogate in forza del decreto richiamato, potrebbe accontentare soltanto 375 domande, in virtù di quanto stanziato dall'articolo 33. I conti sono banali, anche per un ragazzo delle elementari: 375, e le altre 1.225 che fine fanno?
La legge sembra, inoltre, palesemente priva di copertura. Nelle trattative che si sono svolte con il sottosegretario Gaglione e di cui sono al corrente, al Ministero della salute veniva avanzata anche un'importante richiesta, ovvero l'abolizione dei termini per la presentazione delle domande di indennizzo ai sensi della legge n. 210 del 1992 (o la loro riapertura). Non è possibile, infatti, che un cittadino, venuto a conoscenza dopo anni di essere stato contagiato da un virus somministratogli poiché è stato dimostrato il nesso di causalità con la trasfusione o la vaccinazione o l'emoderivato, non possa fare domanda di risarcimento. Il Ministero della salute, infatti, si è rifiutato di prestare il consenso alla riapertura dei termini per i danneggiati da vaccinazioni, asserendo di non conoscere il numero dei possibili aventi diritto: è una falsità assoluta. A prescindere dal fatto che lo stesso Ministero sembra non conoscere neanche il numero degli emotrasfusi (per i quali ha stanziato 150 milioni di euro), il pretesto, lo ripeto, è assurdo, in quanto il rigetto delle domande per decadenza dei termini di presentazione è disposto proprio con decreto firmato da un sottosegretario per la salute dell'attuale Governo. Quindi, per rigettare le domande, evidentemente, il Ministero conosce quante ne sono state presentate.
Il comma 5 dell'articolo 33, inoltre, estende temporalmente il beneficio all'assegno una tantum agli eredi dei deceduti - come ho ricordato precedentemente, si tratta, purtroppo, non soltanto di danni gravi e cronici, ma anche di decessi - prima dell'entrata in vigore della legge n. 229 del 2005, ma soltanto se siano già titolari del beneficio previsto dalla legge n. 210 del 1992. Capisco che si tratta di questioni tecniche, ma ciò è importante.
Sottolineo, inoltre, che, se un cittadino leso da vaccino è deceduto prima di diventare titolare dell'indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992, ai suoi eredi non spetta proprio nulla. Sebbene il cittadino sia stato danneggiato in modo così grave da perdere la vita, né lui (che è morto), né gli eredi possono vantare alcun diritto. Mi chiedo, dunque, quale sia lo scopo della norma. Si vuol pagare solo chi ha avuto la fortuna di percepire l'indennizzo prima di morire? Che colpa ha - il deceduto o i suoi eredi - se è morto prima di diventare titolare dell'indennizzo? Si tratta di una problematica che non può essere evasa. So bene che era stato raggiunto un accordo con le associazioni rappresentative dei danneggiati, per cui il Ministero della salute avrebbe dovuto presentare una richiesta ben maggiore di 150 milioni di euro, spalmata su un lungo periodo e i danneggiati l'accettavano. Successivamente, il Governo ha tagliato tutto e ha stanziato 150 milioni per il 2007. Non comprendiamo, quindi, perché il Ministero della salute voglia cercare fondi soltanto per far piovere sul bagnato, ovvero a favore di chi ha già avuto, quando vi sono decine di famiglie di danneggiati che siPag. 38trovano ancora nel deserto, in quanto dichiarate decadute dalla possibilità di chiedere l'indennizzo. Ritengo, infine, importante sottolineare ancora che, relativamente al comma 3, sarebbe bene che la riapertura del termine per la presentazione delle domande per accedere all'indennizzo ex lege, ossia al risarcimento previsto dalla legge n. 210 del 1992, sia riconosciuto non solo agli emofilici, ma anche a tutti i danneggiati: ai talassemici e agli altri emoglobinopatici. Si tratta, infatti, di cittadini che hanno pari dignità, quando sia stato riconosciuto il nesso di causalità tra trasfusione ed infezione.
I rappresentanti di tali categorie - lo ripeto - sanno bene che deve essere dimostrato il nesso di casualità e giustamente lo accettano. Essi sono disponibili a un dialogo, ma restano continuamente delusi. Dunque, signor Presidente, signor sottosegretario, bisogna mettere la parola fine a tale annosa situazione e per farlo occorre mantenere le promesse che questo Governo non ha mantenuto e non sa mantenere. Occorre stanziare, spalmandola su un decennio, la somma globale già accettata da tutta la platea dei danneggiati, di 1 miliardo 800 milioni di euro, che, rateizzata in dieci anni, corrisponde a 180 milioni di euro l'anno, ossia a poco più di quanto avete stanziato solo per un anno. Bastano 180 milioni di euro per dieci anni per ottenere il consenso di tutte le organizzazioni che rappresentano le ricordate categorie, che - lo ricordo - sono disponibili a firmare un accordo di questo tipo senza avanzare ulteriori richieste. Presenteremo un emendamento in tal senso e misureremo, così, le vostre sensibilità e capacità. Vedremo come potrete rifiutare un emendamento del genere, che va a favore dei nostri cittadini, così fortemente colpiti da un danno che non avevano assolutamente previsto.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, devo dire, con estremo dispiacere, che l'atto Camera n. 3194, così com'è stato approvato dal Senato, rappresenta una drammatica delusione per 22 milioni di famiglie italiane, che ben altro si aspettavano e speravano. Lo dico con la certezza di non essere smentita. In Parlamento è in uso che la maggioranza debba sempre dire che va tutto bene e che tutto ciò che il Governo e la stessa maggioranza fanno sia giusto, mentre l'opposizione ha il dovere di dire che le cose non vanno e denunciare gli errori. Invece, vorrei, se fosse possibile, spezzare questa logica, chiedendo davvero ai colleghi della maggioranza, a quelli intellettualmente onesti e che ragionano con la loro testa, se sono in grado di darmi ragione sul fatto che questo decreto-legge rappresenti una drammatica delusione per le famiglie. Cercherò di spiegare perché, augurandomi davvero che ci sia qualcuno che mi dia ragione.
Non mi aspetto, ovviamente, il consenso del sottosegretario presente in quest'aula, ma almeno un tentativo di lettura onesta di quanto sta succedendo nei confronti delle famiglie. Erano decenni che la finanza pubblica non poteva contare su un arricchimento così cospicuo come quello dell'extragettito, o «tesoretto» che dir si voglia, che assicura alla finanza pubblica una cifra che era impensabile poter raggiungere. Si parlava del «tesoretto» già all'inizio di quest'anno e la cifra è andata gradualmente aumentando con il trascorrere delle settimane e dei mesi, fino a raggiungere l'ammontare, molto rilevante, di quasi 15 miliardi di euro, che corrispondono, per chi come me è una persona anziana e ragiona con i vecchi sistemi, a 30 mila miliardi delle vecchie lire, ossia a un'intera manovra finanziaria che questo Governo si trova a gestire. Non intendo soffermarmi sulle ragioni per cui il Governo si sia trovato a disporre di tale cifra, se per meriti o per demeriti, ma credo sia l'unica volta che è successo nella storia della Repubblica e ritengo, da quanto si legge sui giornali, che non succederà mai più.
Questa cifra rappresenta un momento straordinario e uno strumento decisivo perPag. 39raggiungere gli obiettivi di politica economica che il Governo si era prefissato e per comprendere le logiche che lo guidano. Questa è l'occasione buona per capire quali siano le priorità del Governo, come ragiona e per conoscere la cultura che lo ispira e gli obiettivi che si pone. Si tratta di una cifra non indifferente (30 mila miliardi delle vecchie lire) sulla quale - bisogna riconoscerlo - si sono avventati tutti. Ognuno ha chiesto risorse da questo tesoretto e ha cercato di dirottare questa somma verso il proprio dicastero, i propri interessi e le proprie clientele. Riconosco al Governo la difficoltà di gestire tante richieste e tante esigenze diverse e tuttavia il problema delle scelte del Governo è proprio quello che ha creato la delusione di cui parlavo precedentemente. Le scelte sono state compiute contro le famiglie italiane e spero proprio di essere smentita; mi piacerebbe avere torto anche se sono convinta di avere purtroppo regione.
Il 2007 - lo voglio ricordare affinché rimanga agli atti - verrà ricordato da molti addetti ai lavori, come noi, come l'anno del family day e come l'anno della Conferenza nazionale di Firenze voluta dal Ministro Bindi. Si tratta di due appuntamenti cruciali per l'accendersi delle speranze e delle aspettative di tutti i sostenitori del ruolo sociale della famiglia quale nucleo fondamentale della nostra società. Il popolo del family day, nato in piazza il 12 maggio, aveva chiesto, anche attraverso coloro che si erano avvicendati sul palco per ore davanti a un milione e mezzo di persone, di fare della famiglia una causa nazionale e di stabilire il principio per cui ognuno deve poter avere i figli che vuole, senza che ciò si traduca in un abbassamento del tenore di vita. Non mi sembra che una tale richiesta sia folle o ingiusta. È noto che in Italia e in Europa il numero dei figli desiderato sia superiore a quello dei figli che effettivamente si hanno e che quasi solamente in Italia chi mette al mondo un figlio diventa più povero; non sono dati miei, ma provengono dalle ultime pubblicazioni della Banca d'Italia, dell'Eurispes, dell'ISTAT.
Vale la pena ricordare che si tratta di una richiesta avanzata da sempre dal forum delle famiglie, che chiede anche politiche strutturali e definitive in grado di permettere alle famiglie di contare su interventi seri e strutturali (credo che ci capiamo su cosa si intende per provvedimenti strutturali). Vale la pena ricordare inoltre che oggi un minore su sette vive sotto la soglia della povertà e che la categoria maggiormente a rischio di povertà è quella dei giovani e non degli anziani. Gli anziani non sono la categoria più a rischio di povertà se non altro perché sono più tutelati anche se vi sono sacche di povertà e le pensioni minime fanno testo e sappiamo che dobbiamo intervenire al riguardo. Tuttavia, la categoria maggiormente a rischio di povertà secondo i dati della Banca d'Italia è rappresentata dai minori da zero a quindici anni.
Se tutto questo è vero, e se è vero che chi mette al mondo un figlio abbassa il proprio tenore di vita del 30 per cento (ciò è stato affermato nel corso di un convegno tenutosi un paio di anni fa presso l'Accademia dei Lincei, e non mi pare che le condizioni siano da allora molto cambiate) si comprende bene per quale ragione il popolo del family day ha richiesto politiche specifiche per le famiglie. Ciò significa che si deve trattare, come si usa dire fra gli addetti ai lavori, di politiche distintive e promozionali: distintive nel senso che devono distinguere fra ciò che è famiglia e ciò che famiglia non è; promozionali nel senso che devono promuovere il ruolo della famiglia. Non si deve dunque trattare semplicemente di politiche sociali, poiché tali politiche non sono adeguate alle famiglie, in quanto rispondono a criteri completamente diversi. Né si deve trattare di politiche che fanno una specie di frittata in ordine alla definizione di famiglia, mescolando ciò che famiglia è e ciò che famiglia non è. Non mi pare che si trattasse di richieste assurde.
In particolare, al family day si chiedeva un accompagnamento al processo di generatività, cioè alla voglia di mettere al mondo i figli, aiutando le famiglie a crescerliPag. 40dall'asilo alle elementari, con provvedimenti in tema di istruzione e diritto allo studio e in tema di lavoro dei genitori (poiché sappiamo che in Italia la compatibilità fra tempi di lavoro e tempi della famiglia non esiste); con l'introduzione di una flessibilità per la cura che la famiglia ha nei confronti dei soggetti più deboli; e anche con provvedimenti di sostegno al reddito attraverso politiche fiscali e tariffarie ispirate all'equità. Tutto ciò proprio allo scopo di impedire che chi mette al mondo un figlio oggi in Italia divenga più povero del 30 per cento (con il primo figlio e fino alle scuole medie: ma il dato sale al 40 per cento quando i figli crescono). Vogliamo dunque che coloro che mettono al mondo i figli in Italia siano eroi? Non credo proprio.
Quel che si affermava con queste richiese, in sintesi, è che la vera emergenza sociale oggi in Italia è la famiglia. Mentre ai primi del Novecento, infatti, la grande lotta era sul lavoro, quindi sui sistemi di lavoro e sfruttamento (di qui le grandi encicliche e le prese di posizione di quell'epoca per evitare che la società industriale producesse diseguaglianze profonde e che i lavoratori venissero sfruttati malamente), e si trattò di una battaglia sacrosanta, oggi invece l'emergenza sociale sotto gli occhi di tutti si chiama famiglia. Il nostro welfare va ricentrato sulle esigenze della famiglia: il fatto di centrare le politiche familiari ed il welfare sulla famiglia deve avvenire, che ad essa si creda o meno. Perché se andiamo a leggere le dichiarazioni che politici ed esponenti istituzionali fanno sulla famiglia, si potrebbe pensare che ad essa si creda: nei fatti, invece, questo Governo non ci crede.
Spostiamoci dunque dal family day alla conferenza di Firenze. Il Ministro Bindi ha adoperato parte dei soldi che le erano stati concessi con la legge finanziaria - poiché una cifra non elevata, ma riguardevole, era stata pur attribuita al suo Ministero, anche se dopo un po' di polemiche - per organizzare tale conferenza. Nessuno ha obiettato ad un simile investimento e si badi che lo chiamo «investimento», non «spesa», e tengo a sottolinearlo. In quell'occasione, il ministro Bindi fece sfilare praticamente tutti i membri del Governo: all'apertura, vi fu infatti una platea di altissimo livello, con tutti i rappresentanti del Governo (c'erano tutti!); alla fine della conferenza, poi, chi ne ha chiuso i lavori è stato il Presidente del Consiglio, Romano Prodi (facciamo nomi e cognomi!).
Cosa è risultato dalla Conferenza di Firenze? Il Ministro Bindi affermò che: «Più della metà del tesoretto va destinata alle famiglie». E Romano Prodi rispose: «Lo prometto. I due terzi del tesoretto andranno agli anziani e alle famiglie numerose». Credo che i commenti siano superflui. Dire che il Governo stia tradendo le famiglie italiane è un'affermazione troppo forte o no? A dire il vero, l'unico che prese le distanze da questa entusiastica adesione alle politiche familiari del Ministro Bindi e di Romano Prodi fu il Ministro Padoa Schioppa che, con molta onestà intellettuale - glielo devo riconoscere - disse di non essere d'accordo, perché i soldi del tesoretto erano necessari per abbattere il debito pubblico. Abbattendo il debito, infatti, si sarebbe indirettamente portata avanti una politica familiare, perché i nostri figli avrebbero avuto un debito minore da pagare e, quindi, in qualche modo, una facilitazione fiscale.
Ritengo che tale ragionamento non funzioni, perché le politiche familiari devono essere rivolte alle famiglie e non, per interposta persona, alle future generazioni. Tuttavia, poiché il debito esiste e pesa, avevamo ritenuto che andasse comunque bene, poiché se tale cifra abbatteva effettivamente il debito, i nostri figli avrebbero avuto un carico di debito inferiore da rispettare. Non si tratta, comunque, di politiche familiari; le famiglie non percepiranno una lira e continueranno a rimanere povere se mettono al mondo un figlio, ma, comunque, in futuro e in prospettiva, si può immaginare un abbattimento del debito. Il Ministro Padoa Schioppa fu contestato, ma neanche tanto. Vorrei aggiungere che, a maggio, quando il Ministro Bindi organizzò questa benedetta Conferenza di Firenze, il tesoretto nonPag. 41ammontava a 14 miliardi di euro, ma a molto meno: allora si attestava intorno ad una cifra di 4 miliardi di euro. Pertanto, impegnare due terzi del tesoretto per le famiglie era molto più impegnativo e complicato rispetto ad oggi, considerato che i soldi sono molti di più. Ora vi sono più soldi a disposizione e, pertanto, a rigore di logica, sembrerebbe più facile investirli per le famiglie; altra cosa era impegnare due terzi dei soldi per le famiglie quando erano pochi. Dovrebbe essere più facile, quando sono molti, mantenere quella stessa cifra (è evidente che ci si riferiva ai soldi che erano disponibili in quel momento). Pertanto, le attese - per questo motivo ho premesso che si è trattato di un loro tradimento - erano molte sia, lo ripeto, per gli sforzi di un laicato cattolico che si è mobilitato per difendere le famiglie, sia per un Governo che si era espresso in questo modo. Cosa è accaduto? Che il tesoretto si è disperso in una serie di meandri che con le politiche familiari non hanno assolutamente nulla a che vedere.
Quando affermo ciò - giustamente si discute di questi argomenti - mi si risponde che esiste una misura, cioè quella a favore degli incapienti. A tale proposito, è necessario chiarire la questione, perché in questa sede l'ho ripetuto più volte, ma forse repetita iuvant. È necessario sottolineare con forza che la misura a favore degli incapienti - il collega Di Virgilio ha ripercorso tutta la storia della vicenda relativa ad essi - è una tantum. Ciò significa che non è una misura strutturale e che ci stiamo prendendo in giro. Ricordo - allora non ero in Parlamento e, quindi, anch'io criticai quella misura - i famosi mille euro previsti dal Ministro Maroni per chi nasceva in quell'anno.
Si trattava di mille euro a carattere universale - era, quindi, una misura che valeva per tutti, senza limiti di reddito - ed erano mille euro di «bonus bebè» (così fu chiamato) per i bambini che nascevano quell'anno. Mi ricordo la grande polemica sollevata soprattutto dall'allora opposizione (era una giusta polemica). Si trattava di una misura priva di significato: essa, infatti, non aveva carattere strutturale, in quanto a chi fosse nato il primo gennaio dell'anno successivo, non sarebbero stati riconosciuti quei benedetti mille euro, che pure qualcosa erano! La misura fu, dunque, criticata da tutti - anche da chi non sedeva in quest'aula - e fu criticata giustamente, perché non era una misura strutturale!
Per quanto riguarda la misura a favore degli incapienti, il discorso è lo stesso, con la differenza che si tratta di una misura ridicola in termini di cifre. Il collega ha ricordato che sono 41 centesimi di euro al giorno: una cifra che, veramente, costituisce una sorta di presa in giro anche degli incapienti.
Vorrei ricordare che si tratta di una misura che si rivolge, per definizione, alle persone povere, ossia a coloro che, non pagando le tasse, non hanno alcun vantaggio fiscale. Questo è il suo obiettivo. Pertanto, essendo rivolta alle fasce povere, è una misura di lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Si tratta, quindi, di una misura giusta, doverosa e assolutamente necessaria - a parte la ridicola cifra messa in campo - ma non mi si venga a dire che è una misura di politica familiare, perché non lo è! Le politiche familiari, per definizione, danno una mano a chi ha figli (e fanno la differenza tra chi li ha e chi non li ha) e, soprattutto, sono rivolte a tutte le famiglie, non solamente ad alcune, in quanto povere e bisognose.
Inoltre, trattandosi di una misura di questo genere, ho l'impressione (e presenterò un'interrogazione al riguardo, non appena tale previsione verrà approvata e quando il Governo potrà fornirci delle cifre) e sono sicurissima che essa sarà distribuita essenzialmente ai pensionati e ai single: in altre parole, sono assolutamente sicura che le famiglie non vedranno questi soldi!
Pertanto, non mi si venga a dire che si tratta di una misura rivolta alle famiglie e aggiungo che, da quello che si legge sui giornali (io poi non so, ma è quello che si vocifera), il Governo ha intenzione di abbassare a 150 euro, la cifra che fu portataPag. 42a 300 euro dal famoso emendamento presentato da Fernando Rossi e approvato al Senato. Pertanto, se questo è vero, il famoso bonus incapienti di 300 euro - aumentati con il citato emendamento - tornerà ad essere di 150. Non so se ciò sia vero, sono voci e, quindi, staremo a vedere, tuttavia desidero denunciare, in questa sede, l'assoluta incapacità del Governo di affrontare, in maniera seria, questi problemi che sono anche drammatici.
Lo stesso senatore Ripamonti dichiarò che questa era un'iniziativa abbastanza rozza (e tale definizione proviene da persone che non fanno parte dell'opposizione). Pertanto, l'impressione è che - sia nella versione originaria, sia in quella corretta, sia nella misura definitiva che si avrà - si tratta, comunque, di misure che sembrano molto più spot elettorali ed hanno poca sostanza nei confronti delle famiglie.
Per quel che riguarda i famosi depositi dormienti, vorrei ricordare che, su questi ultimi - come sempre avviene, quando si vede qualche soldino - ci si sono avventati sopra in moltissimi, per cercare di ottenerli. Non so cosa succederà a proposito di questi depositi dormienti, tuttavia, per affrontare questa misura si ricorre ai depositi dormienti e, quindi, non si va ad intaccare in maniera seria, in questo decreto-legge, i famosi 14 miliardi di euro di cui si parlava in precedenza.
Non possiamo, quindi, affermare che questa sia una misura di politica familiare, ed è l'unica.
Ricordo che nel disegno di legge finanziaria (non è questa la sede per discuterne, ne parleremo quando tratteremo il provvedimento) esiste una proposta relativa all'ICI. Si potrebbe trattare di una misura a favore delle famiglie e sono consapevole che tale misura esiste, anche se nel disegno di legge finanziaria che non è al nostro esame, per cui se ne parlerà al momento opportuno.
Ricordo anche al sottosegretario - che ringrazio per l'ascolto: può prendere nota di questa mia obiezione - che l'ICI dovrebbe essere calcolata in base ai carichi familiari. Occorre cioè calcolare l'ICI in base al numero degli abitanti di una casa in quanto cento metri quadrati in cui abita una sola persona - che in tale spazio sta bene e gode di un certo privilegio - non possono essere paragonati a cento metri quadrati in cui vivono cinque persone. Esse infatti stanno molto peggio in quanto hanno a disposizione venti metri quadrati ciascuno - al di sotto della soglia del minimo vitale per vivere dignitosamente - e quindi, avendo a disposizione cento metri quadrati in cinque, non dovrebbero pagare l'ICI. Occorrerebbe, pertanto, parametrare l'entità dell'ICI ai carichi familiari: in tal modo anticipo un'obiezione che avanzerò quando discuteremo del disegno di legge finanziaria in questo ramo del Parlamento.
Il problema è che il Governo non sta mettendo in campo delle reali politiche familiari e le misure prese per l'extragettito - quello di cui stiamo parlando - sono la cifra della cultura errata esistente alla base di queste scelte.
È chiaro che se esiste una lettura ed una cultura sbagliata nei confronti della famiglia anche le misure ne subiscono le conseguenze, ovviamente sbagliate anch'esse, a cascata.
I criteri con cui si mettono in campo le politiche familiari sono decisivi e sono molto delusa, non solo dalle misure che sono state presentate in questo decreto-legge, ma anche dalla polemica che il ministro Bindi ha voluto scatenare, in questi ultimi giorni, a proposito di un rapporto presentato a Milano dal Centro internazionale studi famiglia, un centro molto noto, in cui lavorano professori universitari di altissimo livello - né di destra né di sinistra - diretti dal professor Donati, uno dei massimi esperti europei, se non mondiali, sulla famiglia. Esistono, quindi, tutti i presupposti perché questo decimo rapporto sulla famiglia possa diventare veramente un punto di riferimento e una bussola per un Governo che voglia fare politiche familiari.
Il Ministro Bindi ha, invece, deciso di innescare una disputa ideologica assolutamente fuori luogo perché quanto scritto inPag. 43quel rapporto non è un manifesto ideologico, ma semplicemente l'analisi scientifica di ciò che succede in Italia.
Secondo tale rapporto il 93 per cento degli italiani sostiene che gli affetti familiari sono il primo valore della loro vita e che il vincolo stabile tra un uomo e una donna in presenza di figli produce beni sociali in misura molto maggiore rispetto ad ogni altra forma di legame.
Ci sono, poi, due economisti, Bruni e Stanca - che non sono dei vescovi, ma solo degli studiosi - che sostengono che il matrimonio ha un effetto positivo sul benessere individuale. Potrei allungare il discorso con tutti i dati forniti da questo rapporto, per esempio, quello relativo al fatto che il 76 per cento degli italiani non è d'accordo con l'opinione che si tratti di un'istituzione sorpassata: tempo fa era il 73 per cento, quindi è aumentato il numero di quelli che ritengono che il matrimonio ha un importante valore sociale.
E non è vero, come sostengono molti in quest'Aula, e mi dispiace che lo sostenga anche il Ministro Bindi, che la famiglia è luogo di solidarietà e di affetto. Sarà anche così, ma non è sufficiente dire che l'affetto e l'aiuto reciproco siano quelli che stabiliscono il valore di una famiglia.
La famiglia viene definita dagli impegni che assume davanti alla collettività e dall'impegno reciproco che due persone si assumono l'una davanti all'altra. Gli obblighi che la famiglia assume nella società e che i coniugi assumono reciprocamente determinano la definizione di famiglia.
Bisognerebbe avere il coraggio di affermarlo, proprio per il bene delle famiglie italiane, e, invece, non si riconosce che oggi chi si sposa è oberato da rischi, oneri ed incombenze, ben più pesanti di chi non lo fa.
PRESIDENTE. Onorevole Capitanio Santolini, concluda.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Concludo, Presidente. E non vale quello che dice il Ministro Bindi, per cui, allora, non bisogna dare gli asili nido ai figli nati fuori dal matrimonio o bisogna chiedere il certificato di matrimonio se si fa dell'assistenza domiciliare.
Non diciamo stupidaggini! Nessuno chiede una cosa di questo genere, è ovvio. Si tratta solo di distinguere tra chi ha famiglia e chi non è famiglia: l'unica cosa che ha fatto il Governo, da quando è in carica, è la proposta sui Dico, invece di procedere verso l'adozione di concrete politiche familiari.
Concludo dicendo che i sindacati occupano le piazze in continuazione, ma non per questo non vengono presi provvedimenti. Il Ministro Bindi non può dire che, siccome c'è stato il family day, il Governo si preclude ogni possibilità di intervento sulla famiglia, perché non ci sono piazze ideologiche e piazze, invece, legittimate e corrette.
Per questo, mi aspetto dal Ministro Bindi uno scatto di orgoglio e se non è in grado di garantire politiche familiari serie si può anche dimettere, perché è quello che è stato detto al Ministro Amato l'altro giorno a proposito della sicurezza.
PRESIDENTE. Comunico che, al fine di organizzare i nostri lavori, darò adesso la parola all'onorevole Bodega chiesta, e poi sospenderò la seduta, che riprenderà alle ore 15 con il seguito della discussione.
È iscritto a parlare l'onorevole Bodega. Ne ha facoltà.
LORENZO BODEGA. Signor Presidente, mi impegno a non dilungarmi più di dieci, quindici minuti. Innanzitutto, volevo inquadrare questo mio intervento nell'ambito dell'ammontare complessivo delle risorse su cui interviene questo decreto-legge: stiamo parlando di 8,3 miliardi di euro per il 2007, di 5,4 milioni di euro nel 2008 e di 11,3 milioni di euro nel 2009. Sono cifre che poi sono state aggiornate con alcune proposte emendative approvate dal Senato.
Sono cifre non indifferenti, che comunque trovano la loro copertura in un grosso capitolo, quello dei maggiori oneri entrati nelle casse dello Stato, più altre minori spese per il concorso dell'Italia al bilancio della Comunità europea e altre forme di copertura finanziaria.Pag. 44
È per questo che la Lega in Senato aveva presentato anche delle pregiudiziali di costituzionalità, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione. Inquadrato, quindi, il contenitore e l'ammontare complessivo delle cifre che sono in gioco in questo decreto-legge, volevo già esprimere un giudizio di forte preoccupazione per le scelte operate dal Governo e da questa maggioranza attraverso questo decreto-legge, che anticipa la manovra di bilancio di cui è parte integrante.
Affrontiamo questo dibattito con la consapevolezza di chi ha voluto e ha cercato il confronto parlamentare, prima al Senato e oggi qui alla Camera (è da ieri che stiamo partecipando alla discussione sulle linee generali). Penso che il complesso delle misure peggiorerà i conti pubblici.
Non c'è stata quella indispensabile, auspicata e incisiva riduzione della spesa che dovrebbe rappresentare l'obiettivo primario e ineludibile della finanza pubblica; tra l'altro le riduzioni più consistenti hanno riguardato la spesa in conto capitale, proprio quella destinata agli investimenti infrastrutturali. Penso quindi che ci sia stato poco impegno per il risanamento dei conti pubblici, e che le scelte contenute nel decreto in esame siano orientate più ad allargare il consenso politico che a parlare agli interessi del Paese: ciò vale soprattutto per le dotazioni infrastrutturali cui accennavo prima. Si è preferito seguire la strada di accontentare un po' tutti, di accontentare con regalie le aziende bancarie (ad esempio, elevando a un euro le commissioni). Ribadisco che queste scelte sono a dir poco rischiose, perché sono fondate su una previsione di spesa, di crescita dell'economia superiore a quanto stabilito dai principali «previsori», per una sovrastima dell'extragettito, per la mancata riduzione della spesa pubblica e per un incremento intollerabile della pressione fiscale.
È stato quindi fatto un uso distorto - sempre usando con le dovute cautele questi termini, fra virgolette - di queste risorse, del «tesoretto», chiamiamolo così: una politica finanziaria un po' irresponsabile, a causa di scelte non orientate allo sviluppo ma più di carattere elettoralistico. E noi abbiamo cercato di apportare delle correzioni, pensiamo migliorative, attraverso le nostre proposte emendative; ma è successo che la maggioranza, già in Commissione, ha impedito qualsiasi serio confronto, com'era invece necessario.
Non è stato affrontato un problema che era molto sentito dai cittadini, e l'ha approfondito lungamente la deputata Capitanio Santolini che mi ha preceduto: quello delle famiglie. La famiglia, come entità fiscale, è la grande assente da queste scelte. Sono poi assenti le misure per contrastare la denatalità e quelle a sostegno delle famiglie, persino quelle per gli asili nido. La stessa prevista riduzione dell'ICI è un'imposizione ideologica: non ha tenuto conto del reddito familiare, dell'ampiezza della famiglia, delle diverse situazioni catastali, della realtà geografica, con il rischio di premiare magari quelli che non devono essere premiati. Quindi una scelta iniqua, perché non tiene conto delle fasce periferiche, delle fasce popolari. La riduzione del tasso di povertà appare assolutamente marginale, così come l'intervento, da tutti ricordato, a favore degli incapienti: quei 150 euro, già diminuiti, che si basano sul concetto di reddito individuale piuttosto che familiare come soggetto unico di imposta. Quindi, un modesto rimborso senza un'adeguata valutazione per il soddisfacimento pieno di un diritto come era invece auspicabile. Gli incentivi con riferimento ai canoni di locazione per i giovani appaiono troppo esigui per indurre un'effettiva fuoriuscita dal nucleo familiare. Non si prevede poi nessuna clausola di salvaguardia rispetto all'incauta azione dei comuni di modificazione delle rendite catastali: molti comuni stanno rivedendo tutte le rendite catastali e i nuovi classamenti, così la piccola detrazione sarà poi vanificata per tanti contribuenti dalla richiesta di arretrati che può farsi risalire fino a cinque anni prima, oltre che da tutti quei costosi adempimenti; sappiamo bene cosa comporta al cittadino andare negli uffici comunali a chiedere chiarimenti sulla quantificazione dell'imposta comunale sugli immobili,Pag. 45a chiedere addirittura una classificazione catastale delle unità immobiliari che a volte difficilmente si riesce a individuare. Una manovra quindi a mio avviso sbagliata e inutile, un'occasione perduta.
Vorrei solo ricordare due o tre argomenti trattati a proposito di questa materia, senza naturalmente approfondirli.
Ad esempio, all'articolo 2, signor sottosegretario, si prevede un'autorizzazione di spesa di 215 milioni di euro per il 2007 per i progetti ricompresi nel piano di investimenti ANAS. Si tratta di opere in corso (stilate naturalmente dall'ANAS in base ai progetti approvati) per 10,5 miliardi di euro, cui si aggiungono le opere che l'ANAS ha previsto di appaltare entro il 2011, corrispondenti ad ulteriori 24,3 miliardi di euro.
Qualcuno ieri - mi sembra dai banchi del gruppo Italia dei valori - ha detto che il precedente Governo si è apprestato a fare inaugurazioni e cerimonie di posa della prima pietra, lasciando l'attuale Governo con spese non coperte da un punto di vista economico-finanziario e con opere pubbliche importanti non finanziate.
Chi ha avuto un minimo di esperienza amministrativa sa bene che non si può procedere ad un inizio di lavori - in base alla legge Merloni sulle opere pubbliche - senza avere la completa copertura finanziaria.
Quindi, l'entità delle risorse messe a disposizione è molto ridotta, ed a volte addirittura discriminante rispetto ad alcune aree geografiche del Paese.
Per non parlare poi del trasporto metropolitano, ossia delle risorse stanziate per l'ampliamento delle metropolitane di Roma, Napoli e Milano (soldi che sono sicuramente necessari - e grazie al cielo che sono stati previsti! -, ma che sicuramente non assicurano una risposta completa).
Dovremmo essere di fronte ad una nuova ondata di misure che, in teoria, dovrebbero favorire anche le iniziative imprenditoriali e diminuire la pressione sulle famiglie. In pratica, invece, ci troviamo di fronte a disposizioni che, tendenzialmente, creano ancora confusione, disordine e sicuramente, come già detto, anche discriminazioni.
Abbiamo ascoltato in Assemblea tante testimonianze al riguardo, e tante altre sono state portate a conoscenza dalla stampa e dalla televisione.
Signor Presidente, le riflessioni contenute - e mi avvio a concludere - in tutti gli interventi che abbiamo ascoltato in Aula, forniscono spunti per tante considerazioni sul provvedimento al nostro esame (magari si entrerà nel dettaglio man mano che si procederà all'esame dei singoli articoli).
Più volte abbiamo sentito ribadire in quest'Aula dal Governo e dalla maggioranza gli obiettivi che si intendono perseguire con queste manovre, per così dire, tutte finanziarie.
Si tratta degli obiettivi del risanamento, dello sviluppo e dell'equità. Abbiamo ascoltato tante volte pronunciare questi obiettivi che sono largamente condivisibili, ma che, in realtà, non sono concretamente realizzabili attraverso le misure predisposte.
In conclusione, va da sé che occorre una politica economica che possa godere di un consenso ampio, proprio quello di cui non dispone questa maggioranza che è costretta a fare sempre acrobazie per far tornare i numeri.
PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15 con il seguito della discussione sulle linee generali.
La seduta, sospesa alle 13,40, è ripresa alle 15.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI