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TESTO INTEGRALE DELLE DICHIARAZIONI DI VOTO FINALE DEI DEPUTATI LUCIO BARANI E LANFRANCO TURCI SUL DISEGNO DI LEGGE N. 3178-A
LUCIO BARANI. Signor Presidente, è del tutto evidente che la moderna strutturazione del Welfare appartenga alla cultura socialista e riformista.
In origine il termine «riformismo» nacque per distinguere all'interno del movimento socialista coloro che sostenevano graduali riforme anziché la rivoluzione propugnata dai massimalisti.
È singolare che ancora oggi, nel nuovo millennio, questa differenza esista ancora e sia messa in maggior evidenza proprio nel Welfare che stiamo a discutere in questi giorni.
La cultura riformista si differenzia notevolmente dalla concezione di Stato sociale predicata dal comunismo e massimalismo, ideologie che trasferiscono, ancor oggi, il concetto di lotta di classe nei rapporti socioeconomici di una nazione.
«Anche i ricchi devono piangere» è il concetto che meglio rappresenta la suprema concezione di Welfare così come viene predicata dalla sinistra antagonista, componente politica che vive la sua ambiguità nel ritenersi «partito di lotta e di Governo» e dove per Governo viene additato il fulgido esempio, da imitare, del Leader Maximo cubano.
Voglio solo ricordare cos'è il Welfare per i riformisti: da Turati, Nenni, Craxi, Stefano Caldoro - adesso segretario del Nuovo PSI - noi sosteniamo che i Governi legittimati dal voto possono o debbano fornire un livello-base di benessere, salute e istruzione, supportate dal gettito ricavato Pag. 110dalle tasse, al fine di permettere l'uso migliore dei talenti della popolazione.
I riformisti credono nella libertà individuale e la pongono come obiettivo centrale della loro iniziativa politica, ma sono altresì paladini convinti e schietti difensori dei diritti umani e sociali e delle libertà civili ed economiche; perciò sono favorevoli ad un'economia mista, nella quale c'è spazio per uno Stato che permetta anche ai meno abbienti di usufruire dei servizi di base attraverso un sistema efficiente di servizi pubblici.
La differenza ideologica di base fra riformismo liberale e comunismo giace nel ruolo dello Stato rispetto all'individuo.
Noi valutiamo libertà, diritti e proprietà privata quali requisiti fondamentali affinché si realizzi una società dove ogni individuo apprezzi la quantità più grande di libertà possibile.
Sono ormai quindici anni che il nostro Paese vive una fase storica che tutti chiamiamo transizione. Eppure della tanto agognata Seconda Repubblica non si vede nemmeno l'ombra e già stiamo progettando la terza.
Nessuna grande riforma dello Stato è stata concepita, se non la Biagi-Treu, sintetizzata dalla legge Maroni, la riforma Moratti per la scuola e la Lunardi per le opere pubbliche.
Si continua a navigare a vista con un Governo che giudica la propria precaria sopravvivenza un valore superiore agli interessi del Paese. Siamo entrati in Europa per il rotto della cuffia senza aver dotato il Paese né della forza politica né della forza produttiva per reggere l'urto della nuova economia.
In queste condizioni il futuro non può che apparirci assai incerto, e persino minaccioso, perché l'Italia è costretta ad attenderlo. Non a prepararlo.
Intanto la confusione politica cresce.
Le bugie del Governo, sui rimedi da adottare in tempi disastrosi per il nostro Paese, hanno le gambe corte. Una nazione, come ricordava Churchill, è una casa di vetro, e non si possono ingannare molte persone per tanto tempo.
Oggi l'Italia ha bisogno di nuovi pensieri, di nuove frontiere, di costruire nuove storie politiche.
Il Paese sente il bisogno vitale di una classe dirigente capace di proporre idee forti, in grado di chiudere finalmente la transizione e di disegnare il Governo di una nuova modernizzazione italiana.
C'è bisogno, a ben vedere, di un'operazione storico-politica all'altezza di quella concepita e realizzata, nel dopoguerra, da De Gasperi e Einaudi. Diversa perché diverso è il Paese che abbiamo davanti e diversi sono i problemi che l'attualità del mondo propone.
Ma anche simile: perché, oggi come allora, si avverte la necessità di rispondere a una generale «crisi di fiducia» degli italiani verso il proprio Paese, e, come disse De Gasperi, «senza una ripresa della coscienza morale di tutte le classi del popolo italiano, la ricostruzione materiale e civile è impossibile». Le libertà sono tutte solidali. Non se ne offende una senza offenderle tutte, come diceva Filippo Turati nel 1923 alla Camera.
È simile soprattutto perché, oggi come allora, bisogna definire una nuova carta delle libertà italiane, una nuova filosofia del contratto sociale, una nuova declinazione dei diritti e dei doveri nazionali.
In fin dei conti, oggi come allora, bisogna definire un nuovo ordine politico.
Oggi il peggio del peggio della politica nobile è rappresentato da un Governo costantemente in forse, virtualmente già imploso, che per mantenere la propria fragile esistenza è costretto continuamente a mediare posizioni diverse e opposte, a conciliare ciò che è inconciliabile e quindi a perdere il treno delle grandi riforme che sono le sole in grado di ricuperare le troppe posizioni che l'Italia ha perduto o sta perdendo.
Se noi analizzassimo punto per punto quanto sta proponendo il Governo in materia di Welfare, ci renderemmo conto di perdere il nostro tempo.
L'errore è quello di impostazione generale.Pag. 111
L'errore sta nel mettere assieme pregiudizi, richieste, assunti ideologici che non possono stare assieme.
Io sono tra coloro che ritengono che la tradizione riformista è oggi equamente rappresentata in tre componenti: il Partito del Popolo della Libertà, il Partito Democratico e il Socialismo - liberale, ognuno per la propria parte e, se pur in schieramenti diversi, costretti comunque a interloquire.
Ritengo che la moderna concezione di Welfare riformista non sia il pasticcio oggi presentato dal Governo, ma che debba far parte di quelle grandi riforme, assieme alla legge elettorale e alla modifica della Costituzione che solo i riformisti possono fare assieme.
In questo caso credo che l'apertura al tavolo delle riforme offerta al Partito Democratico da Silvio Berlusconi, rappresenti oggi la soluzione di partenza per mettere mano a riforme eque ed equilibrate senza le quali neppure il Welfare ha speranza di risolvere i bisogni e i diritti degli Italiani.
È convinzione del Nuovo PSI che debbano e possano unirsi per discutere attorno ad un tavole dei volenterosi, le tre grandi aree del riformismo liberale: quella del cattolicesimo liberale, quella del riformismo laico, quella del liberal-socialismo.
Dando vita a una inedita stagione culturale e politica e a un patto di Governo istituzionale per le riforme.
Non si tratta, infatti, di riuscire a «galleggiare» nella palude quotidiana di questo Governo, ma di creare rapporti di consenso così ampi da poter vincere la sfida della modernizzazione.
Gli eredi di De Gasperi, Sturzo ed Einaudi (non di Dossetti), dell'ispirazione della Dc e del liberalismo storico, quelli di La Malfa e Rossi, e infine gli alfieri di quel socialismo liberale che, nella nostra storia, sale da Salvemini a Saragat fino al Craxi del saggio su Proudhon, possono ritrovare i fili di un progetto comune che, liberandosi delle scorie del passato, proponga al Paese un serio orizzonte riformatore.
Onorevoli colleghi, ci riteniamo fortunati sul fatto che l'Italia è stata sorteggiata per le qualificazioni ai Mondiali 2010 nel gruppo 8 con Bulgaria, Eire, Cipro, Georgia e Montenegro.
Non vorrei che questa divenga anche la classifica socioeconomica del nostro Paese.
Parlando a nome del gruppo DC - Nuovo Psi, socialisti che non sono entrati nella Costituente e che non condividono di stare con L'Unione e Prodi e i comunisti, e come relatore di minoranza al disegno di legge sul welfare, diciamo un «No» convinto al ventitreesimo oltraggio che questo Governo fa al Parlamento, chiedendo nuovamente la fiducia su un provvedimento fondamentale per il futuro dell'Italia e delle nuove generazioni: i giovani.
È la ventitreesima candelina sulla torta del malgoverno Prodi, pesante come un cero, questa volta perché anche contro l'impegno di un'intera Commissione lavoro della Camera che ha lavorato ininterrottamente per oltre 200 ore e fino a tarda notte, a portare modifiche al decreto-legge sul welfare.
Complimenti, Ministro Damiano, ha avuto la faccia tosta di venire alla Camera in discussione generale e disquisire sul testo della Commissione che poi con emendamento del suo Governo ha smontato, cambiato con l'eliminazione della soglia minima per i lavori usuranti, l'abolizione dello staff leasing (somministrazione a tempo indeterminato) e l'abrogazione del Job on call ad eccezione dei settori turismo, spettacolo e ristorazione.
E lei di tutto questo ne era a conoscenza ed ha mentito sapendo di mentire.
Come relatore di minoranza sul Welfare le rappresento il disappunto della stragrande maggioranza degli italiani che le chiedono di abbandonare il dicastero perché non all'altezza, come chiedono a Prodi di liberare l'Italia da questo malgoverno che tanto male fa agli italiani e alla ripresa economica di un Paese, ultimo nella crescita tra le nazioni dell'UE ed in grande ritardo su ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture.
D'altronde, mettendo a capo di un ministero chiave come quello dei Lavori Pubblici l'ex questurino Antonio Di Pietro, mi sia concessa la digressione scherzosa, Pag. 112sarebbe come presidente dell'Avis, Dracula; con le conseguenze che possiamo tutti immaginare. Le risorse verrebbero inevitabilmente succhiate.
Ormai anche nella maggioranza si sta levando un coro di repulsione verso questo Governo; quasi tutti i gruppi che lo sostengono rivendicano libertà di iniziative e di decisioni, le cosiddette «mani libere»; ciò è riscontrabile dall'Udeur al gruppo Dini, da Rifondazione alla Rosa nel pugno, da Diliberto a Di Pietro, dai Verdi alle minoranze linguistiche, tutti dicono che il Governo sta concludendo una lunga agonia e che bisogna staccare la spina.
Il suo destino, anche nei momenti terminali, è penoso: deve ogni istante vigilare che l'ala massimalista dei suoi compagni di strada ed il sindacato non stacchino davvero la spina.
L'impressione diffusa, a destra come a sinistra, è che il Governo Prodi sia sotto tutela dei sindacati, delle cooperative rosse, dei poteri forti (banche, assicurazioni, grandi famiglie del capitalismo italiano) e delle multinazionali straniere che hanno occupato economicamente l'Italia. D'altronde mai poteva essere diversamente: Romano Prodi è l'uomo degli interessi del capitalismo straniero in Italia. È risaputo da tutti.
Questo disegno di legge è nato male, costruito partendo dal tetto, con fragili fondamenta.
Per accattivarsi le organizzazioni sindacali si è voluto prima «concertare» (che brutta parola la concertazione, anche in passato ha sempre portato male!) con le organizzazioni sindacali tradizionali un protocollo su previdenza, lavoro, competitività per poi farlo ratificare dal Parlamento.
Si è voluto dialogare con organismi che rappresentano meno del 50 per cento delle cosiddette parti sociali e si è voluto concertare con una esigua minoranza nel Paese destinato ad avere pesanti effetti su tutti gli Italiani e soprattutto sulle future generazioni destinate a lavorare più di 40 anni (i fortunati che troveranno lavoro!) e ad andare in pensione con la metà dell'attuale livello salariale pensionistico.
Avevamo una legge seria, realizzata a più mani da persone capaci come Biagi, Treu, il Ministro Maroni, durante il Governo Berlusconi e la si è voluta snaturare e così rendere più pesante il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti.
Questo è un comportamento cinico ed irresponsabile!
La legge 30 (Biagi, Maroni) era un patto tra le generazioni, un patto solidale tra genitori e figli, con un pensiero rivolto anche ai nipoti e tale doveva rimanere.
È stato un errore aver chiesto a dei pensionati non coinvolti in questo patto di partecipare ad un referendum confermativo del Protocollo.
La vogliamo dire la verità, colleghi: a quel referendum hanno partecipato meno di 3 milioni di persone e due terzi dei pensionati (senza diritto).
Questo provvedimento che comporta una maggior gradualità nell'innalzamento dell'età necessaria per conseguire il diritto della pensione di anzianità determina oneri ingenti (circa sette miliardi di euro nell'arco del decennio 2008/2017) in lapalissiana contraddizione con quello che avviene in tutti gli altri Paesi europei che hanno minori tasse, maggiori salari, poco debito pubblico, imprese più competitive e lavoratori che vanno in pensione tutti tra i 60 e i 70 anni di età e mai prima.
Il disegno di legge in esame manca anche di copertura finanziaria ed oltre a questioni di incostituzionalità porterà ad aumentare il nostro debito pubblico, perché dalla razionalizzazione del sistema degli enti di previdenza non scaturiranno mai i 3,5 miliardi di euro nell'arco del decennio previsti dal Governo, al contrario la fusione degli enti previdenziali comporterà nuove spese così come nuove ulteriori spese comporterà l'allargamento dei congedi parentali.
Anche la Ragioneria generale dello Stato conferma quanto da noi sostenuto. Se è vero come è vero che, per la prima volta dal dopoguerra è l'unica nazione in Europa, la spesa pubblica in Italia ha superato (grazie alle vostre finanziare e alle deliranti manovre economiche) il 51 per cento del Pil, quindi economicamente Pag. 113siamo sull'orlo di un burrone; approvare la legge finanziaria, il suo collegato, e il welfare non come da noi predisposti, significherebbe fargli fare un deciso passo in avanti e cadere quindi nel burrone e consegnare alle future generazioni non un patto solidale ma una nazione fallita né più né meno di quello che è successo in Argentina.
L'approvazione di questo disegno di legge in attuazione del protocollo del 23 luglio 2007 voluto da un'esigua minoranza di lavoratori e dalla triplice organizzazione sindacale e non dalla maggioranza delle parti sociali significherebbe compromettere il futuro dei nostri giovani, delle donne, dei disabili e delle classi più svantaggiate.
Categorie tutte dimenticate da questo Governo.
Agli incapienti signor Ministro Damiano non servono i 41 centesimi (miseria) al mese e solo per un anno per risolvere e alleviare i loro problemi. Questo è solo demagogia, falso populismo e semplice carità.
La cultura riformista che rappresento con il nuovo PSI nella tradizione da Turati a Saragat a Nenni a Craxi e per finire a Stefano Caldoro, attuale segretario già autorevole Ministro per l'attuazione del programma nel Governo Berlusconi, ci differenzia notevolmente dalla concezione di Stato sociale e socialismo reale predicata dai partiti comunisti e massimalisti che appoggiano questo Governo, tutte ideologie che trasferiscono, ancora oggi fuori dai tempi il concetto di lotta di classe nei rapporti socio-economici di una nazione: anche i ricchi devono piangere.
Ricordo che con il Governo Berlusconi all'Italia è stato riconosciuto dall'ONU di essere il primo paese al mondo per erogazione di servizi e solidarietà.
Per noi riformisti il welfare è fornire un livello base di benessere, salute e istruzione, supportato dall'equo gettito ricavato dalle tasse, al fine di permettere l'uso migliore dei talenti della popolazione, le cosiddette «risorse umane»; vogliamo un'Italia dei bisogni e dei meriti.
Siamo convinti difensori di tutte le libertà individuali sociali ed economiche. Siamo favorevoli ad un'economia mista dove lo Stato deve pensare ai meno abbienti ed usufruire di servizi di base attraverso un sistema efficiente di servizi pubblici e dove libertà, diritti e proprietà private siano i requisiti fondamentali affinché si realizzi una società dove ogni individuo apprezzi la quantità più grande di libertà possibile.
Il Governo Prodi e con lei, Ministro Damiano, le bugie sui rimedi da adottare in tempi disastrosi per il nostro paese hanno le gambe corte.
Una nazione, come ricordava Winston Churchill, è una casa di vetro e non si possono ingannare molte persone per tanto tempo.
Oggi il peggio del peggio della politica nobile è rappresentato da un Governo costantemente in forse, virtualmente già imploso, che per mantenere la propria fragile esistenza è costretto continuamente a mediare posizioni diverse e opposte, a conciliare ciò che è inconciliabile e quindi a perdere il treno delle grandi riforme che sono le sole in grado di ricuperare le troppe posizioni che l'Italia ha perduto o sta perdendo.
Se noi analizzassimo punto per punto quanto sta proponendo il Governo in materia di Welfare, ci renderemmo conto di perdere il nostro tempo.
L'errore è quello di impostazione generale. L'errore sta nel mettere assieme pregiudizi, richieste, assunti ideologici che non possono stare assieme.
Bisogna dare vita ad un'inedita stagione culturale e politica e a un patto di Governo istituzionale per le riforme.
Non si tratta, infatti, di riuscire a «galleggiare» nella palude quotidiana di questo Governo, ma di creare rapporti di consenso così ampi da poter vincere la sfida della modernizzazione.
Gli eredi di De Gasperi, Sturzo ed Einaudi (e non quelli di Dossetti), dell'ispirazione della Dc e del liberalismo storico, quelli di La Malfa e Rossi, e infine gli alfieri di quel socialismo liberale che, nella nostra storia, sale da Salvemini a Saragat Pag. 114fino al Craxi del saggio su Proudhon, possono ritrovare i fili di un progetto comune che, liberandosi delle scorie del passato, proponga al Paese un serio orizzonte riformatore.
Onorevoli colleghi, ci riteniamo fortunati sul fatto che l'Italia è stata sorteggiata per le qualificazioni ai Mondiali 2010 nel gruppo 8 con Bulgaria, Eire, Cipro, Georgia e Montenegro.
Non vorrei che questa divenga anche la classifica socioeconomica del nostro Paese.
Voi siete un Governo forte con i deboli e debole con i poteri forti.
E noi convintamente vi annunciamo il nostro voto contrario.
LANFRANCO TURCI. Resta in noi forte l'insoddisfazione e l'amarezza per il modo in cui il Governo è venuto meno all'impegno assunto prima al Senato poi in Commissione Lavoro, di istituire una forma di indennità di disoccupazione per i giovani collaboratori a progetto, strettamente collegata a percorsi formativi e di reinserimento lavorativo.
Si trattava di una misura tutt'altro che assistenzialistica, tesa a dare una tutela e una opportunità alla categoria di lavoratori in assoluto meno tutelata e più precaria. Questa proposta, che si ispira alle politiche di flex-security dei più avanzati Paesi europei, avrebbe dato anche un segno di novità a un provvedimento come quello che stiamo approvando, che non può non essere definito come un provvedimento di breve respiro, sostanzialmente limitato a una manutenzione dell'esistente. Non rinunceremo perciò a riproporre questa nostra proposta nella legge finanziaria che ha avviato il suo iter in questi giorni alla Camera, come non rinunceremo, se dovesse essere ancora una volta respinta, a riproporla insieme alle altre due riforme, relative a una definizione giuridica più stringente delle collaborazioni a progetto e all'istituzione della «prova lunga», con un apposito progetto di legge dei parlamentari socialisti.
Il disegno di legge che ci apprestiamo ad approvare appare ancora una volta sbilanciato sul versante previdenziale e sulla tutela dei lavoratori insider, confermando una vecchia tendenza della politica del lavoro del nostro Paese a privilegiare gli interventi previdenziali in confronto agli ammortizzatori sociali e alle politiche attive del lavoro, e a concentrare l'attenzione sui lavoratori insider e sindacalizzati, in confronto ai precari e a coloro che hanno collocazioni marginali nel mercato del lavoro. Non a caso questo provvedimento concentra la grandissima parte delle risorse sulle pensioni di anzianità e sui lavori usuranti, per consentire una anticipazione delle pensioni in confronto alla normativa vigente. A proposito dei lavori usuranti devo dire su questo tema, di per sé legittimo e importante, si è svolto una sorta di gioco degli equivoci fra coloro che si sono eretti a difensori intransigenti della tenuta dei conti pubblici - come il senatore Dini - e i gruppi della sinistra massimalista che hanno avallato l'idea che l'emendamento approvato in Commissione Lavoro potesse comportare un pericoloso allargamento della platea degli aventi diritto, con conseguente sfondamento delle risorse poste nel provvedimento. In mezzo si è collocato il Governo che ha accettato prima la modifica approvata in Commissione, poi l'ha cassata nel maxi emendamento, sostenendo al contempo che nulla cambiava, in una formulazione o nell'altra, in confronto al protocollo e alle risorse destinate a questo fine.
Al di là di questo problema sicuramente di rilievo, c'è stata da una parte e dall'altra una agitazione strumentale e ideologica che ha esasperato i termini del confronto e delle modifiche approvate in Commissione Lavoro. Strumentale è stata la Confindustria e il centrodestra a denunciare come uno scandalo il fatto che l'ulteriore contratto a termine che si stipulerebbe in deroga, dopo avere già utilizzato per 36 mesi lo stesso lavoratore in un contratto a termine, non avrebbe potuto superare otto mesi.
Ideologica e priva di realismo è stata la sinistra massimalista a fare una battaglia contro la norma sui lavori discontinui nel turismo e nello spettacolo, cosi come ideologica e controproducente è stata l'altra Pag. 115richiesta, bocciata dalla Commissione, di svuotare tout court il lavoro a termine con l'obbligo di prevedere la riassunzione del lavoratore a termine dopo i primi sei mesi, se l'azienda procedesse a un ulteriore contratto dello stesso tipo. La verità è che sul mercato del lavoro continua uno scontro in cui noi non ci riconosciamo. Da un lato gli esaltatori della flessibilità generalizzata e dei suoi meravigliosi benefici, purché - beninteso - questa flessibilità riguardi gli altri o i figli degli altri. È l'ottica tipica dei ceti privilegiati, sempre pronti a elargire consigli di austerità e sacrifici purché non riguardino le loro condizioni e i loro portafogli. Questo atteggiamento ricorda la leggerezza inimitabile di Maria Antonietta che di fronte al popolo che si lamentava perché non c'era pane, suggeriva di mangiare brioches! Dall'altro lato c'è l'idea, tipica della sinistra comunista, che nel mercato del lavoro si possa tornare al passato, che il problema non sia una riforma delle regole secondo la logica della flessibilità più la sicurezza, bensì il ripristino di un passato impossibile, ignorando che molte delle attuali degenerazioni e dell'insostenibile dualismo che si è determinato nel mercato del lavoro derivano anche dalle rigidità indifendibili di quel passato. Come non ricordare, a conferma di questa critica, che solo qualche anno fa furono proprio i compagni della sinistra massimalista a proporre un referendum per estendere l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori alle piccole imprese? Noi socialisti ci muoviamo per sottrarci alla morsa di questa contrapposizione e per promuovere politiche del lavoro ispirate a una logica di riforma e di equità.
Per i cocopro (che non dimentichiamolo, esclusa l'area di liberi professionisti, rappresentano la parte più debole del mercato del lavoro) abbiamo proposto una ridefinizione più stringente di quella tipologia contrattuale per fare emergere la vasta area di lavoro dipendente che viene mascherato sotto questi contratti atipici. Contemporaneamente abbiamo intanto richiesto che in via sperimentale, per due anni, per quei lavoratori possa operare, in caso di disoccupazione, una forma di indennità strettamente correlata a corsi di formazione professionale e a politiche attive per il reinserimento nel lavoro.
L'altra proposta fortemente innovativa che abbiamo avanzato è quella di istituire una «prova lunga» per l'accesso al contratto di lavoro a tempo indeterminato, al fine di consentire un periodo adeguato di verifica delle attitudini e delle capacità lavorative delle persone interessate e un reciproco affidamento tra il lavoratore e il datore di lavoro. Noi pensiamo che questa sia la via più efficace per ridurre l'eccessivo ricorso ai contratti a termine, senza affidare questo obiettivo a norme puramente repressive che finirebbero per incoraggiare il ricorso al lavoro nero. Come si vede, si tratta di riforme che vanno ben oltre quella logica di semplice manutenzione dell'esistente che caratterizza il disegno di legge che stiamo approvando. Intendiamo proseguire su questa strada e su questa strada vogliamo misurare davvero quale sia il tasso di innovazione del Partito Democratico, che non può limitarsi a battere un colpo ora contro la sinistra massimalista, ora contro i cultori della flessibilità senza tutele. Il vero terreno di prova è quello di riforme coraggiose ed eque. Il terreno appunto che intendiamo riproporre anche nel momento in cui esprimiamo il nostro voto a favore di un provvedimento che non ci lascia affatto soddisfatti.