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Discussione delle mozioni La Russa ed altri n. 1-00011, Elio Vito ed altri n. 1-00013 e Sereni ed altri n. 1-00014 in materia di missioni italiane all'estero (ore 19,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni La Russa ed altri n. 1-00011, Elio Vito ed altri n. 1-00013 e Sereni ed altri n. 1-00014 in materia di missioni italiane all'estero (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni sarà pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Gamba, che illustrerà anche la mozione n. 1-00011, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la discussione sulle mozioni in materia di missioni militari italiane all'estero è ovviamente strettamente collegata a quella avente ad oggetto il provvedimento volto a prevedere la proroga delle missioni internazionali all'estero.Pag. 25
Tale dicitura è stata utilizzata in sede di esame congiunto da parte delle Commissioni difesa ed esteri della Camera dei deputati proprio perché...
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, consentite che possa aver luogo la discussione sulle linee generali e che il collega Gamba possa svolgere il suo intervento! Vi prego di fare silenzio!
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Dicevo che si evidenzia un'anomalia nel percorso travagliato che ha portato la sedicente maggioranza di quest'aula alla discussione odierna ed a quella che si svolgerà domani mattina per la votazione finale del provvedimento, dal momento che il Governo, non senza diversi tentennamenti, ha approvato due distinti provvedimenti che sono, però, identici nel testo, salvo la diversa disposizione delle norme all'interno dell'articolato: un decreto-legge, che è, quindi, entrato immediatamente in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, ed un disegno di legge, che ricalca pedissequamente il testo dello stesso decreto-legge.
Tuttavia, curiosamente, la Camera dei deputati si trova ad affrontare la discussione solo sul disegno di legge riferito alle missioni internazionali e ciò perché il Governo, nelle fumisterie che sta adottando in occasione di questa scadenza così importante delle missioni internazionali, in particolare, della proroga delle missioni internazionali, i cui finanziamenti sono scaduti con la fine del precedente mese di giugno, ha dovuto...
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, vi chiedo di fare silenzio e di consentire al deputato Gamba di svolgere il suo intervento!
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Il Governo, dicevo, ha dovuto utilizzare questa strana duplicazione con il chiaro intento di lasciare decadere il decreto-legge, senza portarlo alla conversione nel termine costituzionale dei 60 giorni, convinto, nel frattempo, di riuscire a portare a casa l'approvazione del disegno di legge.
Perché tutto ciò? Perché, in occasione di questa vicenda, si sono manifestate in tutta la loro rilevanza le molteplici, numerosissime, financo molto rilevanti distanze e diversità di posizioni ed opinioni tra i diversi gruppi che compongono la maggioranza. Queste distanze, queste diversità, questi diversi punti di vista, queste posizioni a volte completamente opposte in politica estera erano già state segnalate dalle forze del centrodestra, in particolare dal gruppo di Alleanza nazionale in campagna elettorale; proprio in relazione a tutto ciò, si voleva porre all'attenzione dell'opinione pubblica l'omogeneità, la compattezza della maggioranza che si diceva pronta a governare questo paese.
Credo che queste diversità si siano manifestate, proprio in questi giorni, ancora più sensibilmente di quanto ci si potesse aspettare. Abbiamo assistito ad una ridda di dichiarazioni, a prese di distanza, a controrepliche, ad iniziative del Presidente del Consiglio Prodi e del ministro degli affari esteri, D'Alema, a minacce di disfacimento della maggioranza, a prese di posizione che si sono via via modificate, anche in seguito al precipitare degli eventi; la politica estera ha interessato in queste giornate tutto lo scenario che, in questi anni, si è presentato all'opinione pubblica internazionale e mondiale, soprattutto in relazione alla crisi mediorientale, i cui germi, peraltro, albergavano in alcune situazioni che già si evidenziavano da alcune settimane.
Ecco, questa totale diversità di opinioni vede ancora nella maggioranza posizioni manifeste di dissenso, addirittura preannunciato, nel caso si ponesse, com'è probabile, un'ulteriore questione di fiducia al Senato della Repubblica sulla conversione del provvedimento. I clamorosi dissensi mettono a rischio il numero dei consensi che la maggioranza dovrebbe avere se fosse tale. Il centrodestra ha inteso affrontare la vicenda con una riflessione pacata, responsabile e che innanzitutto deve evidenziarePag. 26le contraddizioni estreme che albergano nella parte dell'emiciclo che dice di sostenere questo Governo.
Se una maggioranza c'è, si deve manifestare innanzitutto nella politica estera. Certamente, come è già successo in passato da parte di questi banchi, per garantire il prestigio della nostra patria, l'univocità di atteggiamenti e il rispetto degli impegni assunti, vi deve essere, in certi casi, anche una posizione continua, senza soluzione, da parte di chi, in precedenza, ha retto le sorti di questo paese, ossia, in questo caso, dell'ex Governo Berlusconi e della maggioranza delle forze della Casa delle libertà che lo sostenevano.
Ma se la maggioranza non è in grado di sostenere la politica estera con i propri voti, evidentemente la maggioranza, ammesso che lo sia mai stata, non è tale, se non attraverso artifizi, fumisterie e altri giochi e giochetti, che possono anche trovare sostegno nel regolamento, ma che, certamente, offrono subito l'immagine che i cittadini italiani temevano sarebbero stati costretti a riscontrare.
Ecco, allora, che in questi giorni i gruppi della cosiddetta sinistra radicale non soltanto hanno cercato di enfatizzare la posizione riferita alla missione Antica Babilonia, ossia la presenza del contingente militare italiano in Iraq, esaltandone il ritiro e il ripiegamento, che, peraltro, era in parte già previsto e che, come dirò successivamente, trova ulteriore elemento di ipocrisia nel testo della mozione presentata dai gruppi di maggioranza. Essi hanno incentrato la propria attenzione anche nei confronti di quella missione che ha visto, come le altre, ma forse in misura ancora maggiore, una presenza italiana rilevantissima ed efficacissima secondo il ruolo assegnato dalle Nazioni Unite e dalla NATO, ossia la missione ISAF in Afghanistan, collegata alla precedente eppur continuante missione Enduring Freedom.
Insomma, molti esponenti della cosiddetta sinistra radicale invocano - ma non credo che continueranno ad invocare, se vorranno approvare la mozione che viene loro presentata dai gruppi di maggioranza - il ritiro e l'elaborazione di una exit strategy anche per quel che riguarda il contingente militare in Afghanistan.
I pacifisti, i «panciafichisti» di ogni ordine e grado, si sono esercitati in questi giorni in ogni forma di censura dei comportamenti più virtuosi che il contingente militare italiano, ma non soltanto quello italiano, e le forze dei contingenti internazionali hanno invece manifestato in questi lunghi anni di presenza in quel territorio martoriato. Essi hanno svolto un'azione a favore della stabilizzazione e del consolidamento delle istituzioni democratiche, per il rilancio e lo sviluppo economico, che quel paese sta constatando attraverso il suo Governo, per una volta, finalmente, legittimamente eletto, e attraverso i suoi esponenti di maggior rilievo, che invocano a gran voce il mantenimento della presenza dei contingenti militari dei 37 paesi che compongono la forza multinazionale, sotto l'egida dell'ONU e sotto il comando della NATO.
Essi sono anche arrivati ad indicare delle presunte situazioni migliori - ascolti perché questo è veramente inaudito - per la popolazione dell'Afghanistan quando a reggere quel paese era il criminale e terroristico regime talebano.
È quindi chiaro che, di fronte a soggetti come questi, che esaltano come «resistenti» i terroristi sia in ambito afghano sia in ambito iracheno a fronte di una presunta occupazione da parte delle forze multinazionali (e, quindi, segnatamente, anche senza magari sottolinearlo esplicitamente, rivolgono questa accusa alle nostre Forze armate che hanno partecipato alle missioni di cui stiamo discutendo), e di fronte a situazioni del genere, sono assolutamente, da una parte, velleitarie e, dall'altra, minimali la non presa di distanza del ministro degli affari esteri e la sua invocazione ad una compattezza della maggioranza senza la quale si minaccia un suo personale disimpegno.
A fronte di una situazione di questo genere, di questa ridda di dichiarazioni, di queste posizioni che mettono in serio pericolo l'onore stesso della nostra patria perché pongono in discussione anche impegniPag. 27che sono stati assunti non con presunti alleati guerrafondai, ma con organizzazioni internazionali come la NATO e l'ONU, ci troviamo nella necessità di sottolineare, in occasione della discussione che precede quella dei provvedimenti di rifinanziamento delle missioni, non solo le posizioni che riguardano la missione in Iraq, ma anche quelle concernenti la missione in Afghanistan.
È per questo che Alleanza nazionale ha presentato una mozione che si riferisce esplicitamente all'impegno in Afghanistan. A tale mozione è poi seguita quella congiunta dei gruppi della Casa delle libertà, che puntualizza molto bene le posizioni inequivoche di continuità, di serietà e lealtà agli impegni internazionali che gli stessi gruppi hanno assunto in questi anni, partendo da quello che deve essere un leit motiv, cioè la continuazione della lotta al terrorismo internazionale da cui mossero la missione Enduring freedom e la successiva missione ISAF, di stabilizzazione a Kabul e nell'area circostante, da cui sono partite molte delle iniziative che hanno visto interessati i nostri militari in tante parti del mondo in un'opera di vera pacificazione; infatti, la pace non si predica soltanto, ma si costruisce di giorno in giorno anche se certamente non si costruisce né con i girotondi né con l'esposizione delle bandiere arcobaleno.
A fronte di questa chiarezza nella mozione che ha come primo firmatario l'onorevole La Russa, si chiede che il Governo ascolti favorevolmente le richieste di ampliamento della partecipazione italiana alla missione ISAF che sono venute dall'ONU, dallo stesso Segretario generale Kofi Annan, che le ha ribadite anche nelle sedi parlamentari qualche giorno fa, anzi praticamente qualche ora fa, così come da parte della Nato.
Nell'altra mozione si chiede che il nostro paese mantenga gli impegni assunti e, quindi, qualora si decida il ritiro dallo scenario iracheno, quest'ultimo sia compiuto in modo dignitoso e rispettoso della onorabilità dei nostri militari e, soprattutto, in accordo con le autorità irachene, tenendo presente che tale accordo deve essere esteso alle forze alleate.
Ciò affinché non si tratti di un'ignominiosa ritirata, ma di un disimpegno che noi vorremmo fosse associato alla presenza, al mantenimento, anzi alla previsione di una presenza rinnovata per la cooperazione e per le attività di ricostruzione e stabilizzazione, attraverso una entità che sia anche costituita da una parte militare per la difesa dei componenti di quelli che vengono chiamati PRT, e che sono comunque unità di partecipazione all'azione che già ampiamente è stata svolta in tutti questi mesi ed in tutti questi anni dalle nostre forze civili e militari.
Quindi, nel manifestare la totale adesione alla mozione congiunta presentata dai gruppi della Casa delle libertà e nel sollecitare che la presenza in Afghanistan possa essere ripensata in ordine alle richieste che sono giunte nei giorni scorsi dall'ONU e dalla NATO, non possiamo che sottolineare l'ipocrisia che contraddistingue la mozione presentata dai gruppi di maggioranza. Si tratta di un'ipocrisia che straripa da ogni parte, dalle premesse sino agli impegni. È stato veramente un esercizio di equilibrismo quello che devono aver sostenuto gli estensori di tale mozione, per riuscire - si fa per dire - a mettere d'accordo tutti i gruppi rappresentati. Credo che, se solo si parte dalle premesse, tanto generiche quanto, per certi versi, contraddittorie rispetto a ciò che si agita in molte tra le file dei gruppi del centrosinistra e della sinistra in particolare, debbano essere rilevate le vuote dichiarazioni e ripetizioni di principio che largamente potrebbero essere sottoscritte da tutto il Parlamento, tanto appunto generiche e scontate sono.
Certamente, è da rilevare, oltre a molte «scoperte dell'acqua calda» contenute nelle premesse ed anche in alcuni impegni cui si vorrebbe chiamare il Governo, una sorta di escalation che potrebbe essere simile a quello della canzone che Mina cantava assieme ad Alberto Lupo: Parole,Pag. 28parole, parole. È, infatti, una serie infinita di parole - ripeto - tanto scontate quanto vuote di effettivo contenuto.
Credo che debbano, inoltre, essere rilevate le assurdità di alcuni tra gli impegni cui si vorrebbe richiamare il Governo. Si sottolinea la grande importanza e la necessità di privilegiare il multilateralismo, di ricondurre ogni azione all'egida delle Nazioni Unite, dimenticando che la missione in Afghanistan nacque, e rimane, proprio sotto l'egida delle stesse Nazioni Unite, che - con più di una risoluzione - hanno non solo promosso, ma indicato anche gli obiettivi di tali missioni, tuttora in vigore in Afghanistan, le stesse per le quali le Nazioni Unite ci domandano, attraverso il proprio Segretario generale, un ampliamento, una partecipazione per certi versi ancor più convinta.
Viene richiesto un ampliamento dei compiti, da una parte, perché si è consci della bontà di quanto è stato fatto dai contingenti militari italiani e dalle Forze della cooperazione italiane e, dall'altra, perché sono ben consce, le autorità delle Nazioni Unite, che tale sforzo non deve essere interrotto e che, anzi, per la salvaguardia di quel paese e per creare stabilmente le condizioni di quella pace cui tanto si fa riferimento in ogni dichiarazione della sinistra radicale, ve ne sarebbe ulteriore bisogno.
A proposito di contraddizioni, credo che si possa prendere ad emblema della mozione presentata dalle forze politiche del centrosinistra, dalla sedicente maggioranza, nei confronti della quale la nostra posizione non potrà che essere ferma, uno dei suoi ultimi propositi in cui, nel quadro di una pace senza «se» e senza «ma», si invita il Consiglio di sicurezza dell'ONU e il Governo italiano a costituire un contingente militare di pronto intervento per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale alle dirette dipendenze della Segreteria generale delle Nazioni Unite. Si tratta di un'altra ipocrisia e di un'altra contraddizione lampante. I pacifisti ad oltranza - senza «se» e senza «ma» - tali sono, ma cosa chiedono all'ONU? Di costituire un contingente militare di pronto intervento per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale alle dirette dipendenze, immaginiamo, di Kofi Annan. Ciò dimostra come la pace non può esistere se non ci sono i costruttori di pace; inoltre, in molte occasioni è necessario difendere e stabilizzare la pace anche con l'uso, se necessario, della forza.
Atteso, quindi, che sono le stesse forze della maggioranza a chiedere di costituire un contingente militare della NATO, i casi che si pongono alla nostra attenzione sono due. O il contingente in oggetto è armato di margherite che utilizzano come arma la moral suasion in forme innovative quanto pericolose per coloro che volessero sperimentarla; oppure, si tratta, come è di tutta evidenza, di un contingente militare vero e proprio che dovrà essere ben preparato, ben armato e pronto all'impiego proprio perché quella di mantenere e di rafforzare la pace è una delle missioni più delicate che possono essere assegnate ai militari. Nell'assolvimento di questo compito ai militari italiani non possiamo che ribadire, in ogni occasione e in ogni sede, la nostra ammirazione, gratitudine e stima. Ciò detto, a me pare del tutto evidente che sia necessario che i contingenti militari, anche italiani, rimangano in Afghanistan per continuare la loro opera. Allo stesso modo, ritengo che forse sarebbe stato necessario che tali contingenti militari rimanessero a svolgere la loro opera anche in Iraq.
Nella mozione presentata dal centrosinistra non si fa riferimento alla sicurezza e alla lotta al terrorismo al di là di una premessa che li fa rientrare fra i compiti generali spettanti alle Nazioni Unite. Ritengo, quindi, particolarmente significativo che in tale mozione non vi sia, tra gli impegni che il Governo di centrosinistra dovrebbe rispettare, una parola che faccia riferimento alla continuazione della lotta al terrorismo internazionale.
Non c'è dubbio, quindi, che emergano le differenze fra le mozioni presentate dal centrodestra e questa «insalata russa» costituita dalle petizioni di principio contenute nella mozione presentata dal centrosinistra. Credo che se tali diversità nonPag. 29si potranno manifestare in tutta la loro dirompenza qui alla Camera, ciò accadrà al Senato. Tuttavia, una cosa è certa: a fronte della omogeneità, della compattezza e del mantenimento dell'impegno, della lealtà e della fermezza da parte dei gruppi parlamentari del centrodestra, ad iniziare da quello di Alleanza Nazionale, le posizioni assunte dai gruppi del centrosinistra sono uno spettacolo, ahimè, triste ma molto evidente, che tutti i cittadini italiani sapranno valutare (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Boniver, che illustrerà anche la mozione Elio Vito n. 1-00013, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
MARGHERITA BONIVER. Signor Presidente, l'Italia ha una robusta tradizione di impegno internazionale che è stata spesso condivisa in Parlamento, ma che oggi rischia una vera e propria deriva nell'emarginazione e nell'autoreferenzialità.
Non si tratta tanto e soltanto del vergognoso abbandono dell'Iraq - non meno vergognoso solo perché prevedibile - quanto e soprattutto di un vero e proprio disimpegno sempre più generalizzato, che riguarda innanzitutto il ruolo ed il sostegno che l'Italia, da subito e con grande generosità, ha svolto in modo esemplare in Afghanistan; ruolo di cui siamo immensamente fieri e la cui vanificazione siamo, altresì, determinati ad impedire.
Non sappiamo, allo stato, cosa esattamente riuscirà a fare la maggioranza su questo e su altri teatri non meno importanti come i Balcani; troppe sono le contraddizioni, le dichiarazioni e le manifestazioni improntate al pacifismo più deleterio, ispirate da improbabili icone mediatiche che non esitano a paragonare Bush a Bin Laden e addirittura rimpiangono il regime dei talebani.
Quanto più colpisce negativamente è l'enorme spreco di risorse, anche umane, che tutto ciò implica; noi non lasceremo mai soli i nostri militari, che hanno fino ad oggi, e a costo di immensi sacrifici, svolto una missione difficile in un contesto ad alto rischio, riscuotendo il plauso dell'intera comunità internazionale e la gratitudine del Governo Karzai, nonché quella delle popolazioni locali. Tali popolazioni solo da pochi anni possono sperare in un destino di stabilità e di relativa ripresa economica, dopo oltre un quarto di secolo di ininterrotta barbarie; una barbarie che ha visto prima l'ingresso e poi l'occupazione sanguinosa delle forze sovietiche; il sovvertimento dell'ordine statuale; un susseguirsi di atti di atrocità e di violenze inaudite, che hanno provocato oltre quattro milioni e mezzo di profughi «marciti» per oltre vent'anni lungo il confine con il Pakistan; infine, il lunghissimo periodo della guerra civile ed il mortificante regime dei talebani. Con questi ultimi, si instaura, per la prima volta nella storia contemporanea, l'occupazione di un territorio sovrano da parte di un'entità dedita soltanto alla preparazione di masse di terroristi attraverso l'allestimento di sofisticati campi di addestramento per il fanatismo jihadista.
Sono migliaia e migliaia coloro che accorrono in territorio afghano, spesso provenendo dalle periferie di grandi e civili capitali europee, per portare il loro contributo alla guerra contro gli infedeli; è Bin Laden che organizza - molto probabilmente dalle sue basi, sotto la catena dell'Hindukush - una serie di attentati contro gli interessi degli USA e, infine, il settembre di sangue e di terrore tra New York ed il Pentagono.
È una vera e propria dichiarazione di guerra - alcuni la definiscono la quarta guerra mondiale - che inaugura, nel sangue di migliaia di civili innocenti, immolati sull'altare dell'estremismo antioccidentale, l'avvio del terzo millennio in uno scenario internazionale sconvolto dalla cosiddetta guerra asimmetrica.
Non è tanto lo scontro di civiltà - la tanto discussa colta intuizione - quanto una terribile sfida tra barbarie e democrazia che colpisce, quotidianamente e in misura sempre più eloquente, la società civile (in Iraq, ad esempio), rea di partecipare con convinzione alla rinascita, suPag. 30base costituzionalmente rinnovata, del progresso della propria nazione. Su questi cittadini, su questi musulmani intenti a sperimentare per la prima volta nella loro storia, esattamente come avviene in tante province afghane, il metodo della democrazia partecipativa, incombe una sorta di fatwa di massa comminata da anonimi tribunali del terrore.
Sono gli shaid, che si fanno saltare indifferentemente sugli autobus a Tel Aviv o nelle metropolitane di Londra e di Madrid; che uccidono turisti inermi in Egitto, in Giordania; che compiono attentati nelle sinagoghe in Tunisia, in Turchia; che fanno stragi nelle discoteche di Bali; che interrompono con le stragi la rete ferroviaria a Bombay. Solo un piccolo, microscopico elenco di ordinario orrore, apparentemente - solo apparentemente - privo di una vera e propria regia. Invece, quest'ultima emerge prepotente con gli ultimi, tragici fatti in Medio Oriente, dove la lunghissima, irrisolta crisi tra Israele e palestinesi si trova ad una svolta drammatica e improvvisa, la cui gravità nessuno può ignorare. Con il rapimento del giovanissimo caporale israeliano Shalit, il 25 giugno scorso, ad opera di miliziani di Hamas, si compie un atto di ostilità abilmente calibrato per provocare l'immediata reazione di Israele ed imprimere alla crisi un'accelerazione vertiginosa. Dopo la rappresaglia a Gaza e il fallimento della mediazione egiziana per ottenere la liberazione di Shalit, assistiamo agli ultimi, terribili eventi in territorio libanese, dove Israele è costretta ad aprire un altro fronte in risposta alla provocazione di quelle milizie di Hezbollah armate e foraggiate dall'Iran e dalla Siria. Siamo, insomma, nuovamente costretti a confrontarci con un terrorismo sempre più coordinato ed aggressivo, che addirittura mette in gioco l'esistenza stessa dello Stato ebraico.
A questa ennesima, vera e propria dichiarazione di guerra, non possiamo accontentarci di soppesare gli aggettivi e lasciarci andare ad improbabili «equivicinanze». Fa orrore il solo termine di «equivicinanza» che pone oggettivamente sullo stesso piano organizzazioni terroristiche e il legittimo governo dell'unica nazione democratica in quella regione, Israele. Non è tempo di sofismi, ma casomai quello di un'energica azione per convincere i tanti paesi con i quali l'Italia ha da decenni eccellenti relazioni economiche, culturali e diplomatiche che risalgono alla lungimirante azione politica di Craxi, ma anche di Andreotti, che negli anni Ottanta avevano consolidato la vocazione dell'Italia in un'attiva politica mediterranea, ad abbracciare la causa della pace.
Uno scenario che si è ulteriormente arricchito di una rinnovata, forte e coesa solidarietà con Israele, minacciata da più fronti, è stata opera del Governo Berlusconi-Fini senza tralasciare i frequenti, proficui incontri con la dirigenza palestinese, con Abu Habbas, con l'obiettivo della creazione di uno Stato palestinese in pace con i propri vicini e risollevato economicamente da quel cosiddetto piano Marshall di cui Berlusconi si è fatto più volte promotore.
Di fronte a queste sfide terribili, l'Italia non può stare alla finestra. È necessaria più che mai una politica estera forte e condivisa, all'altezza della gravità del momento. I pasticci, le compromissioni, le belle parole, i giri di valzer sono da respingere in toto. Un Governo che non sia in grado, in simili frangenti, di avere una maggioranza propria, dovrebbe avere la decenza di dimettersi immediatamente.
Questo è il senso generale della mozione, che ho l'onore di presentare a nome di tutta La Casa delle libertà. Mi piace concludere il mio intervento citando l'ultimo capoverso del dispositivo della mozione, laddove si dice che è necessario «rafforzare il ruolo del nostro Paese nella diffusione della democrazia e nella lotta contro chi minaccia le tre libertà fondamentali, nel quadro di un impegno volto alla costruzione di un ordinamento internazionale che "assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni", secondo lo spirito e la lettera dell'articolo 11 della Costituzione italiana» (Applausi dei deputati dei gruppiPag. 31di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro)).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Sereni, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00014. Ne ha facoltà.
MARINA SERENI. Cari colleghi e care colleghe, mi limiterò in questa illustrazione a richiamare molto rapidamente le ragioni della mozione con cui la maggioranza ha ritenuto opportuno accompagnare l'approvazione del disegno di legge che finanzia le nostre missioni all'estero. Parto dalla constatazione del fatto che in questi primi mesi, anche in politica estera, il Governo ha dimostrato di voler dare attuazione coerente al programma, sulla base del quale gli elettori e le elettrici ci hanno dato fiducia. I viaggi e le iniziative del Presidente Prodi e del ministro D'Alema in queste settimane hanno mandato all'opinione pubblica italiana ed alla comunità internazionale un messaggio chiaro. L'Italia intende innanzitutto rilanciare la sua iniziativa nel mondo, tornando ad investire sulla dimensione europea, tornando ad essere protagonista del processo di costruzione dell'Unione europea, lavorando per un'Europa in grado di giocare un ruolo attivo per la pace, per la creazione di un assetto più equilibrato e sicuro del pianeta, per il rilancio del multilateralismo.
La difesa e la riforma delle grandi organizzazioni sovranazionali è l'altro cardine della nostra piattaforma in politica estera, tanto più alla luce delle grandi opportunità, ma anche dei rischi che la globalizzazione ha posto di fronte a noi e delle molteplici minacce alla sicurezza, che dobbiamo contrastare, a partire da quella terribile del terrorismo.
In questo quadro di priorità dell'impegno europeista e del rilancio delle sedi multilaterali è possibile e necessario un rinnovato rapporto transatlantico, che enfatizzi i valori che uniscono Europa e Stati Uniti e si misuri sulla base di un confronto tra pari con le sfide inedite di un mondo che, a 15 anni dalla fine della guerra fredda, non ha ancora trovato un nuovo e più stabile equilibrio.
Le decisioni del Governo circa le nostre missioni all'estero si inquadrano all'interno di questi riferimenti essenziali. Provvederemo entro l'autunno al rientro del nostro contingente dall'Iraq, avendo concordato modalità e tempi con le autorità irachene e sulla base di un confronto con gli alleati statunitensi. Questa scelta è motivata in maniera trasparente dalla nostra valutazione su quell'intervento, deciso fuori dalle Nazioni Unite ed in violazione del diritto internazionale. Ciò non vuol dire che abbandoneremo gli iracheni. Vogliamo, anzi, rilanciare l'impegno italiano per contribuire alla ricostruzione civile ed economica di quel paese.
Allo stesso tempo, con il disegno di legge, il Governo italiano mantiene tutte le altre missioni all'estero, che ci vedono impegnati in azioni di tutela delle popolazioni civili, in azioni di stabilizzazione e di ricostruzione, nell'ambito di iniziative decise e guidate da organizzazioni sopranazionali, alle quali l'Italia partecipa. Si tratta di missioni importanti ed impegnative, che le nostre Forze armate portano avanti con grandi ed apprezzate capacità.
La mozione riafferma e ribadisce la nostra idea dell'uso della forza. Sappiamo bene che lo strumento militare può essere necessario di fronte a minacce per la pace e la sicurezza e di fronte a gravi violazioni dei diritti umani. Noi pensiamo, però, che esso debba essere sempre l'extrema ratio e debba sempre essere esercitato nell'ambito della legalità internazionale, come prevede l'articolo 11 della nostra Costituzione. Al tempo stesso, riteniamo indispensabile che l'Italia, invertendo la tendenza degli ultimi anni, torni a dare valore e centralità alla cooperazione internazionale e mantenga gli impegni già assunti, in particolare, per l'attuazione degli obiettivi del millennio.
La mozione, infine, è lo strumento attraverso il quale poniamo l'esigenza di una riflessione nelle sedi multilaterali competenti sulla situazione in Afghanistan. Ho già affermato che non è in discussione il mantenimento della nostra presenza in quel paese. Sarebbe un errore,Pag. 32tuttavia, non vedere le difficoltà che il processo di stabilizzazione sta incontrando in Afghanistan e, per questo, abbiamo ritenuto opportuno prevedere che il nostro paese si faccia promotore di una verifica dei risultati della presenza internazionale nell'area, coinvolgendo tutti i soggetti interessati. D'altra parte, la drammatica crisi nel Medio Oriente e la violenza esplosa in queste ore al confine tra Israele e Libano dimostrano che siamo di fronte ad un evidente fallimento della strategia che l'amministrazione Bush aveva affermato all'indomani dell'11 settembre 2001. L'intervento in Iraq e, più in generale, la dottrina unilateralista di guerra al terrorismo affermata dai neocon non solo non hanno indebolito le centrali del terrorismo e non hanno reso il mondo più sicuro, ma le tensioni e le ragioni di conflitto si sono acuite e, nel mondo islamico, si sono rafforzate le componenti più radicali. L'iniziativa politica e diplomatica della comunità internazionale si è fatta più flebile e inefficace.
Queste sono le ragioni di fondo per le quali, mentre chiediamo di approvare il disegno di legge che finanzia le nostre missioni all'estero e prevede il rientro dei nostri militari dall'Iraq, proponiamo al Parlamento una riflessione di più ampio respiro circa il rafforzamento degli strumenti e delle istituzioni in grado di prevenire i conflitti e di trovare soluzioni politiche ad essi, il rilancio della cooperazione come strumento di giustizia e, quindi, di allentamento delle tensioni e l'uso della forza in un quadro garantito dalla legalità internazionale. Insomma, le ragioni di una politica preventiva al posto della guerra preventiva che, come abbiamo visto, non ha funzionato; le ragioni in base alle quali, quest'oggi, il Presidente Prodi - colgo l'occasione per esprimere un forte apprezzamento per la proposta avanzata - ha dichiarato la disponibilità dell'Italia a prendere parte ad una missione delle Nazioni Unite proprio nel Libano, che si trova in una drammatica situazione, per dare il segno di un paese che non si disimpegna e che, anzi, in un quadro più avanzato si propone alla comunità internazionale come soggetto attore di pace (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, dell'Italia dei Valori e de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, signor viceministro, onorevoli colleghi, la mozione Elio Vito, nella quale mi riconosco, evidenzia in premessa la persistente minaccia del fondamentalismo violento, quale principale fattore di instabilità e di conflittualità armata nel mondo, in questa tormentata fase della nostra storia, e la sua offensiva contro quelle che, nella stessa mozione, sono definite le tre libertà fondamentali: la libertà dal bisogno, la libertà dalla paura e la libertà dall'oppressione. Questa minaccia appare ancora drammaticamente incombente sulla comunità internazionale. In questi giorni l'offensiva terroristica è tuttora presente, forte e reiterata e, come sottolinea la stessa mozione in premessa, non si identifica in un conflitto tra Stati, ma innesca un conflitto che utilizza gli Stati, così come una malattia agisce attraverso il corpo umano.
Tuttavia, mi sembra che, in questi giorni, a tale fenomeno si sia aggiunta una degenerazione diversa; infatti, il conflitto comincia a passare attraverso gli Stati: tra Israele e l'Autorità nazionale palestinese, ormai guidata da un Governo di Hamas nel territorio di Gaza; tra Israele e gli hezbollah nel territorio del Libano. Da un conflitto strisciante, che utilizza gli Stati, ma che non vede contrapposto Stato a Stato, temo si cominci a passare ad un conflitto che inizia a coinvolgere gli Stati in quanto entità politiche e territoriali.
Stiamo vivendo un momento molto difficile, drammatico, denso di inquietudini, di sviluppi nefasti. E proprio in questa fase siamo chiamati a decidere sul rinnovo delle nostre missioni internazionali: missioni di pace, missioni umanitarie, missioni di sostegno alle popolazioni che soffrono, missioni di consolidamento della sicurezza. Ciò accade nell'ambito di teatriPag. 33nei quali, alla radice dei conflitti, delle violenze, delle devastazioni, troviamo sempre la sfida di un fanatismo religioso e culturale che fonda la sua azione sulla volontà distruttiva nei confronti di culture e di modelli di vita diversi. E, costantemente - lo ricordava anche la collega Boniver, accennando ai rapimenti del caporale e degli altri due militari israeliani da parte degli hezbollah -, quando sembra avvicinarsi un esito positivo di negoziati di pace, emerge questa volontà concreta di destabilizzazione, volta ad impedire la conclusione dei processi di pacificazione e il consolidamento di istituzioni rappresentative ispirate all'ideale della sovranità popolare e della coesistenza pacifica.
Per rispondere alle esigenze di tutela e di garanzia di quelle libertà fondamentali menzionate dalla nostra mozione e, in particolare, al fine di risparmiare alle popolazioni ulteriori sofferenze e devastazioni, i paesi più sensibili alla tutela delle libertà e alla garanzia dei diritti umani hanno sviluppato nel tempo l'impegno di partecipazione alla gestione delle crisi attraverso le missioni internazionali. Missioni di peace keeping, di nation building, di ricostruzione materiale, di assistenza e soccorso, di ripristino dei servizi essenziali, di creazione di condizioni di sicurezza e di autosufficienza dei singoli Stati.
In tal senso furono maestri, in modo drammatico ed emblematico, i conflitti nella ex Iugoslavia alla fine dello scorso millennio nell'Europa delle democrazie, dei diritti, del welfare State, in un continente nel quale sembrava ormai preclusa ed esorcizzata ogni possibilità di conflitto, di violenze etniche, di scontri territoriali. Si verificarono all'improvviso i sanguinosissimi conflitti che seguirono la dissoluzione della vecchia federazione socialista iugoslava e ci trovammo a pochi chilometri dai nostri paesi avanzati i massacri etnici, gli eccidi, le guerre, l'instabilità e tutti gli orrori che ne sono scaturiti nonché le condizioni di precarietà che, in alcune aree di quella regione, ancora si avvertono.
E fu proprio l'inerzia iniziale dell'Europa e della comunità internazionale democratica, dovuta soprattutto alla sorpresa ed alla presunzione che fenomeni siffatti non potessero più avverarsi, a consentire a quegli orrori di svilupparsi. Proprio in ragione delle vicende alle quali abbiamo assistito in quegli anni si è maggiormente sviluppato l'impegno dell'Italia e dei suoi alleati nei predetti scenari di conflitto e di crisi (in particolare, attraverso il Patto atlantico e attraverso l'Unione europea).
Ora, con l'Unione europea, con la NATO e con le Nazioni Unite siamo impegnati in diversi teatri: in Iraq, in Afghanistan, in Palestina, nei Balcani, nel tormentato continente africano, in Darfur e Congo, nelle aree maggiormente colpite da conflitti tra paesi confinanti e da conflitti etnici e religiosi. Gli impegni in quelle aree ancora precarie sono necessari e non possono ritenersi esaurite le ragioni che li hanno giustificati: quei territori non sono ancora sicuri, non sono ancora sicure le popolazioni, vi sono ancora molti rifugiati e molte violenze. Quindi, il nostro impegno dovrà proseguire, così come prevede il disegno di legge di rifinanziamento delle missioni.
Per quanto riguarda l'Iraq, il ritiro di cui al menzionato disegno di legge era già stato programmato anche dal precedente Governo. Naturalmente, come avevamo immaginato noi nella precedente legislatura, e come è ben descritto anche nella nostra mozione, il ritiro dovrà essere realizzato d'intesa con i nostri alleati e con il legittimo Governo iracheno, che ha potuto costituirsi insieme al Parlamento e che ha trovato realizzazione, insieme alla Costituzione e alle stesse elezioni, proprio grazie alla missione internazionale, la quale ha consentito all'Iraq di pervenire per la prima volta ad una forma di democrazia e, in ogni caso, di riconquistare la sovranità popolare.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 20)
ALESSANDRO FORLANI. Le modalità del ritiro dovranno essere concordate conPag. 34il Governo di Maliki, in carica da qualche settimana, e si dovrà prevedere, contestualmente, una continuità nell'azione di assistenza e di cooperazione con il Governo ed il popolo iracheni. Si tratta di un paese che è tuttora devastato, quotidianamente, dalla guerriglia, dagli attentati, dai massacri, dalla resistenza tenace di alcune minoranze al processo di ricostruzione democratica. Pertanto, la presenza delle nazioni democratiche è ancora necessaria per aiutare il processo di pacificazione e di ricostruzione.
Naturalmente, ciò sarà fatto ma, a tale riguardo, rivolgiamo un monito al Governo: la cooperazione dovrà essere resa possibile in condizioni di massima sicurezza per gli operatori. Da questo punto di vista, è chiaro che, senza sicurezza, senza una difesa armata, senza un adeguato controllo da parte di forze militarmente attrezzate, i nostri operatori, i nostri cooperanti, i nostri tecnici saranno continuamente esposti a tutte le possibili ritorsioni, violenze ed aggressioni da parte dei gruppi che perseguono l'instabilità.
Anche per questo, nella mozione illustrata pochi minuti fa dalla collega Sereni trovo qualche passaggio un po' tendenzioso, un po' ambiguo. In particolare, la missione Antica Babilonia sarebbe nata in conseguenza di un intervento illegittimo.
Ricordiamo che la nostra presenza in Iraq è legata ad una decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ad una scelta fondata su corretti processi di legalità internazionale. Tale presenza era volta soltanto alla ricostruzione, all'assistenza, alla garanzia della sicurezza e, per quel che riguarda il Governo italiano, nulla ha avuto a che vedere con l'intervento armato in Iraq, quello sì, unilaterale, portato avanti nella primavera del 2003.
Per ciò che riguarda l'aspetto più controverso del provvedimento di rifinanziamento delle missioni internazionali, per ciò che concerne il teatro che ha suscitato più discussioni, in particolare nella coalizione di maggioranza, ossia la missione in Afghanistan, devo riconoscere che, purtroppo, gli interventi bellici, anche quelli giustificati da una particolare situazione internazionale, da un'aggressione, come fu l'intervento in Afghanistan (esso fu giustificato dall'aggressione che aveva subito un paese della NATO da parte di una centrale terroristica ospitata dal governo che, all'epoca, esercitava la sua influenza su gran parte del territorio di quel paese e consentiva la presenza della centrale terroristica sul territorio controllato; a fronte del rifiuto di quel governo di consegnare i terroristi, fu autorizzato un intervento militare internazionale), portano comunque con sé un'inevitabile ingerenza nella vita di un popolo, errori, contraddizioni. La guerra è una cosa terribile, drammatica e, comunque, determina traumi nella popolazione del territorio su cui si svolge, anche se si vuole liberare quella popolazione da un tiranno, da un regime oppressivo, violento ed intollerante. Errori, contraddizioni, disagi, è vero, ma oggi, in quel paese, c'è un Governo democratico, un Governo ed un Parlamento eletti finalmente dal popolo; vi sono i diritti costituzionali riconosciuti almeno formalmente alle donne; vi è un Governo che intende scongiurare un ritorno al passato, ai regimi più oscurantisti, al regime talebano, ai regimi di intolleranza e di oppressione.
Sono state poste le condizioni istituzionali per una stabilizzazione democratica. Certo, non è sufficiente. Certo, questo processo non è stato completato. Certo, ancora riscontriamo forti contraddizioni rispetto a questo obiettivo, ma tale valutazione mi porta ad una conclusione opposta a quella alla quale vorrebbe arrivare il ragionamento di quella che viene chiamata dai nostri mezzi di informazione la sinistra antagonista o la sinistra radicale, che pure è una parte dell'attuale maggioranza. Infatti, proprio a causa di queste contraddizioni, di questo processo di stabilizzazione incompleta, di questa precarietà che gravano ancora su quel territorio, credo sia ancora fortemente necessaria una presenza della comunità internazionale dotata anche di Forze armate e di strumenti di deterrenza che rendano possibile la garanzia della sicurezza.
Vi è ancora molto da fare in quel paese, dove ancora esiste una totale dipendenzaPag. 35dalla comunità internazionale, dagli aiuti. Solo una parte estremamente minoritaria della popolazione può fruire di servizi essenziali come acqua e energia elettrica o può accedere al lavoro. L'eradicazione dell'oppio dalle campagne, che costituiva una risorsa economica molto importante per l'agricoltura (comunque giusta in quanto fondata sull'esigenza di debellare il narcotraffico), ha portato a condizioni di forte depauperamento degli agricoltori, dei piccoli agricoltori in particolare e, naturalmente, devono essere trovate forme di compensazione, nuove forme di attività che possano consentire a queste popolazioni rurali di sopravvivere.
È molto diffusa la corruzione. Opere pubbliche finanziate non sono state portate a termine o si sono rivelate fatiscenti. È diffuso il potere di comandanti corrotti o di «signori della guerra», che in alcune aree esautorano la legittima influenza ed efficacia dell'autorità del Governo centrale. La parità di diritti alle donne è stata riconosciuta sulla carta, ma è ancora lungi dall'essere garantita in tutte le diverse comunità. La cultura dei diritti...
PRESIDENTE. Onorevole Forlani, la prego di concludere.
ALESSANDRO FORLANI. Sì, signor Presidente. La cultura dei diritti deve ancora essere, in modo più efficace, affiancata a quella delle istituzioni rappresentative.
Leggo sul testo della mozione Sereni ed altri n. 1-00014, presentata dalla sinistra, l'impegno che si dovrebbe oggi svolgere in Afghanistan. Sono tutte iniziative che abbiamo realizzato e che si deve continuare a fare; non si tratta di aspetti che sorgono ex novo con il provvedimento di rifinanziamento delle missioni.
Per rispondere all'appello rivolto dal Presidente di accelerare il mio intervento...
PRESIDENTE. No, il fatto è che lei ha già esaurito il tempo a sua disposizione e deve concludere l'intervento.
ALESSANDRO FORLANI. ...concludo con la frase che ha pronunciato il Presidente Karzai, pochi mesi fa, ricordando il conflitto in atto nel sud dell'Afghanistan, con i talebani che stanno tornando e combattono le forze governative e le forze straniere, e quindi l'estrema pericolosità in cui vive il paese. Egli ha lanciato questo monito: se non combattete il terrorismo qui, in Afghanistan, che potrebbe diventare nuovamente un porto franco del terrorismo, dovrete combatterlo a casa vostra. Queste sono le parole del Presidente dell'Afghanistan (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.
LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signor viceministro, signori rappresentanti del Governo, colleghi deputati, arrivano all'esame della Camera un disegno di legge di iniziativa del Governo ed una mozione unitaria a firma dei presidenti di tutti i gruppi dell'Unione. È una mozione volta ad esprimere l'orientamento dei gruppi politici di maggioranza in ordine alla delicatissima materia delle missioni internazionali.
È il primo intervento della Camera, del nuovo Parlamento, sulla pace, sulla guerra, sul terrorismo, così come sul ruolo e la credibilità internazionale dell'Italia. Dopo la caduta del muro di Berlino si impone un processo di profonda alfabetizzazione, di profondo adeguamento culturale e politico.
Siamo infatti chiamati ad interrogarci non più su libertà e su uguaglianza, perché accanto ad esse è necessaria la fraternità. Siamo chiamati ad interrogarci su una dimensione globale che caratterizza non più soltanto la scienza e la fede religiosa, come accadeva negli anni che pure erano di «guerra fredda», ma anche l'economia e la politica. Siamo chiamati ad interrogarci, dopo la caduta dei recinti delimitati dal muro di Berlino, sull'esplodere delle identità. Siamo chiamati ad interrogarci sul nuovo terrorismo, non necessariamentePag. 36fondato sul rapporto «popolo, territorio, esercito», su un terrorismo che sembra ormai soppiantare, quale strumento finale di risoluzione delle controversie, la guerra tradizionale, quella fondata invece sul rapporto stretto «un popolo, un territorio, un esercito».
La mozione che tutti i gruppi dell'Unione hanno presentato vuole dare, in coerenza con il programma di Governo, proposto e raccolto dagli elettori, un contributo all'interpretazione, oggi, dell'articolo 11 della Costituzione, che solennemente afferma: «L'Italia ripudia la guerra» e promuove, sino alla limitazione della sovranità nazionale, in condizioni sempre, però, di reciprocità, il multilateralismo ed il ruolo di organismi internazionali, l'Organizzazione delle Nazioni unite in primo luogo.
Legalità internazionale, definita nelle sedi delle quali l'Italia fa parte (ONU, Unione europea, NATO) e legalità nazionale, definita con la nostra legislazione, devono stare in armonia. Sta in questo principio di corrispondenza tra legalità nazionale e internazionale la vera continuità della scelta del Governo e la vera continuità della nuova maggioranza dell'Unione, una continuità con i principi costituzionali, che taluno rileva essere discontinuità e che noi siamo convinti essere discontinuità necessaria rispetto a talune scelte del Governo precedente e della precedente maggioranza parlamentare.
È una scelta di continuità, sì, di continuità costituzionale, pertanto, la scelta di concludere la missione Antica Babilonia in Iraq, missione nata in conseguenza di un intervento militare deciso in violazione di quella legalità internazionale che la Costituzione, all'articolo 11, e l'attuale maggioranza ritengono, invece, essere la bussola della nostra stessa legalità nazionale, sino a prevedere limitazioni di sovranità in condizioni però di reciprocità, pena la fine del multilateralismo.
È una scelta di continuità, sì, di continuità costituzionale, l'affermazione contenuta nella mozione dell'Unione secondo la quale, in territorio afgano, l'Italia non è più - ripeto, non è più - in alcun modo impegnata militarmente nell'ambito della missione Enduring freedom, essendo ormai il contributo italiano a questa iniziativa limitato alla presenza delle unità navali nel Golfo arabico.
È una scelta di continuità, sì, di continuità costituzionale, la volontà espressa nella nostra mozione di procedere ad una valutazione sulla prospettiva del superamento della missione Enduring freedom in Afghanistan.
È una scelta di continuità, sì, di continuità costituzionale, che ha spinto me e altri parlamentari dell'Italia dei valori a sollecitare una legislazione organica sulle missioni, perché esse, così ricche di valori positivi, di grandi professionalità e di grande impegno di militari e civili, non siano disciplinate e confinate soltanto entro aride autorizzazioni di spesa.
È una scelta di continuità, sì, di continuità costituzionale, che ha spinto l'Italia dei valori a sollecitare il superamento del richiamo al codice penale militare di guerra ed il riferimento, per tutte le missioni, al codice penale militare di pace.
È una scelta di continuità, sì, di continuità costituzionale, che ha spinto l'Unione a confermare e rafforzare interventi di cooperazione allo sviluppo da tenere distinti dai, talora pur necessari, interventi di sicurezza e di polizia internazionale.
Coniugare legalità internazionale e legalità nazionale, coniugare scelte di una politica di pace con i valori di fraternità, coniugare sicurezza e contrasto forte al terrorismo è lo sforzo che l'Italia dei Valori ha sostenuto e sosterrà, a cominciare dalla sottoscrizione della mozione unitaria dell'Unione oggi all'esame della Camera dei deputati (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Italia dei Valori, de l'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dei Popolari-UDEUR).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, con gli attentati dell'11 settembre 2001 si è aperto un conflitto completamentePag. 37nuovo rispetto a quelli che hanno insanguinato l'umanità nei secoli passati. Non è un conflitto tra Stati, perché il nuovo nemico della libertà si serve degli Stati così come un virus si serve di un corpo per diffondersi.
L'attacco - ed è giusto dirlo molto chiaramente - viene da parte dell'Islam ed è rivolto contro l'avanzare della democrazia nel mondo.
La minaccia del terrorismo islamico ripropone in maniera drammatica e su scala globale l'antica questione delle tre libertà fondamentali: la libertà dal bisogno, la libertà dalla paura, la libertà dall'oppressione.
Il precedente Governo si è impegnato con coerenza su questi tre fronti: ha inserito nell'agenda del G8 di Genova la cooperazione tra il nord e il sud del mondo, allo scopo così di determinare l'isolamento dell'islamismo radicale; ha partecipato all'impegno della comunità internazionale nella lotta contro il terrorismo, promuovendo, sul piano interno e su quello internazionale, l'adozione delle misure necessarie per sconfiggere non soltanto i terroristi, ma anche quanti li sostengono e li giustificano con l'incitamento all'odio e all'intolleranza; ha contribuito alla liberazione delle popolazioni afgana e irachena da regimi sanguinari, cooperando attivamente alla transizione di questi paesi verso la democrazia.
L'interesse e il prestigio del nostro paese e il consolidamento della pace e della democrazia nel mondo debbono essere da tutti considerati valori di riferimento irrinunciabili, posti al di sopra di tattiche politiche e di interessi di parte.
In questo spirito, il passato Governo decise di inviare un contingente militare in Afghanistan, nel quadro di un mandato delle Nazioni Unite e, successivamente, di partecipare alle attività di sostegno dell'Iraq nella transizione verso la democrazia.
I nostri militari e i civili, tanto in Afghanistan quanto in Iraq, si sono guadagnati ed hanno guadagnato al nostro paese la stima e l'ammirazione della comunità internazionale, oltre alla gratitudine dei popoli e dei governi afgano e iracheno.
La stabilità geopolitica, la diffusione della democrazia, la lotta al terrorismo ed il superamento dei gravi squilibri economico-sociali del pianeta sono obiettivi strettamente collegati tra loro e richiedono, da parte delle grandi democrazie occidentali, un impegno costante e coerente.
Non possiamo permettere, dunque, che i nostri militari e i civili impegnati in Afghanistan e in Iraq vengano abbandonati a se stessi, come è nelle intenzioni - è giusto dirlo - di questo Governo di centrosinistra.
Pertanto, chiediamo al Governo di impegnarsi a garantire la continuità della presenza italiana in Afghanistan, in Iraq e nei Balcani, attraverso il rifinanziamento delle relative missioni.
Domandiamo all'esecutivo, inoltre, di attuare il disimpegno delle nostre forze presenti in Iraq in modo ordinato e dignitoso, soprattutto concordandone le modalità ed i tempi con i nostri alleati e con il legittimo governo democratico dell'Iraq, nonché di proseguire nell'impegno di assumere un team di ricostruzione a prevalente caratterizzazione civile, con cornice di sicurezza, per la ricostruzione delle infrastrutture civili e dell'economia di questo sfortunato paese.
Chiediamo, altresì, di mantenere ferma la nostra partecipazione alla missione in Afghanistan, accettando di onorare pienamente gli impegni connessi al nostro status di paese membro sia della NATO, sia dell'ONU, in quanto quello afgano costituisce un teatro fondamentale di lotta al terrorismo islamico. Tutto ciò al fine di sostenere il legittimo governo afgano nel ripristino di condizioni di sicurezza indispensabili per la ripresa della vita civile ed economica di quel travagliato paese.
Domandiamo al Governo anche di garantire la prosecuzione di tutte le missioni militari e di sostegno civile nei Balcani, al fine di assicurare una stabile pacificazione di quei territori.Pag. 38
Chiediamo, infine, di rafforzare il ruolo del nostro paese nella lotta contro chi minaccia le tre libertà fondamentali, nel quadro di un impegno volto ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni, secondo lo spirito e la lettera dell'articolo 11 della nostra Costituzione.
È giusto evidenziare chiaramente, in questa sede, anche le ipocrisie e le falsità dimostrate dal centrosinistra e, soprattutto, l'atteggiamento di assoluta incoerenza assunto dai suoi rappresentanti. Infatti, dopo anni di ipocrite battaglie pacifiste, condotte soprattutto dall'ala più radicale presente in questo Parlamento (mi riferisco ai Comunisti Italiani, a Rifondazione Comunista, ai Verdi ed al «correntone» DS), dopo centinaia di marce per la pace contro quello che loro definivano l'intervento di occupazione in Afghanistan, dopo avere inneggiato, con i loro militanti, a «uno, cento, mille Nassiriya» nelle loro manifestazioni di piazza, adesso, con un giro di valzer clamoroso, essi decidono di votare a favore di un provvedimento che rappresenta la fotocopia di quelli che il passato Governo ha sempre presentato in tale materia.
Ricordo le polemiche scatenate in questa Assemblea, quando si chiedeva il ritiro dei militari dall'Afghanistan. Ebbene, vorrei sottolineare che nessun uomo verrà ritirato ed il contingente ivi presente rimarrà inalterato. Si domandava, inoltre, l'abolizione del codice penale militare di guerra, la cui vigenza sarà tuttavia confermata nel provvedimento che esamineremo. Vorrei segnalare, infine, che viene addirittura aumentata e potenziata la missione navale nell'ambito dell'operazione Enduring Freedom.
Dunque, clamorosamente, tutte le critiche avanzate in Parlamento non sono state, in modo chiaramente ipocrita, riproposte successivamente. Ciò, semplicemente, perché bisogna evidentemente garantirsi il posto. Vorrei segnalare, infatti, che siete riusciti a superare il record dei record stabilito, nella prima Repubblica, dal Governo Andreotti: vi sono, infatti, 102 tra sottosegretari, viceministri e ministri. Chiaramente, nessuno nel centrosinistra vuole andare a casa, e dunque siete disposti a tutto, anche a rinnegare le parole pronunciate in passato, pur di mantenere «caldo» il vostro posto!
Voglio aggiungere solo un'ultima considerazione. Non siamo noi a dirlo in questa Assemblea, ma già adesso, nelle piazze, quei pacifisti che sono stati presi in giro vi considerano falsi, bugiardi ed ipocriti. È giusto che sia così, ed è altresì legittimo che ciò venga riportato sui giornali, perché un minimo di coerenza nelle dichiarazioni che si fanno e nelle battaglie politiche che si conducono deve essere comunque mantenuto!
Noi, in sede di esame sia delle mozioni in oggetto, sia del provvedimento relativo al mantenimento delle missioni di pace che il nostro paese sta portando avanti nel mondo, evidenzieremo, in tutti i modi, questa vostra posizione ipocrita (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, entrando nel merito della mozione presentata dalla maggioranza, vorrei rappresentare che i deputati appartenenti al gruppo dei Popolari-Udeur, che hanno fattivamente partecipato alla definizione del testo, non possono che condividerne i contenuti, poiché rispettano in pieno le linee programmatiche dell'Unione in materia di politica estera.
Partendo dall'articolo 11 della nostra Carta costituzionale, citazione quanto mai necessaria e doverosa, la mozione illustra e chiarisce nelle premesse le ragioni degli impegni richiesti dal Governo per valorizzare il ruolo del nostro paese in una dimensione multilaterale, multipolare e globale. È una mozione di ampio respiro, in grado - e questo è estremamente significativo - di dare indirizzi generali di politica estera, che può fungere anche da linea guida, non solo per quanto concerne il rifinanziamento delle missioni italianePag. 39all'estero, ma anche per riaffermare e rilanciare nel segno di una netta discontinuità rispetto al precedente Governo il ruolo dell'Italia nella scena internazionale.
Il nostro paese ha in questo momento un interesse specifico a valorizzare la sua dimensione multilaterale e multipolare, senza però che venga meno la responsabilità nazionale. Le responsabilità nazionali debbono anzi essere costantemente potenziate e costituire la base per l'ottimale funzionamento di tutti gli organismi internazionali, a prevenzione dei conflitti, per la condanna e la lotta al terrorismo. Al riguardo, siamo convinti che l'Italia potrà far giocare un ruolo di fondamentale importanza per contribuire a costruire regole comuni.
Non dimentichiamo che in particolare la politica estera italiana deve fare i conti con diverse nuove realtà: l'ascesa di nuove potenze internazionali, quali la Cina, l'India, il Brasile, i paesi emergenti nella scena mondiale; il vuoto di potere prodotto, soprattutto in Africa, dal fallimento di molti Stati, con il crollo delle strutture governative; le gravissime problematiche di questi giorni del Medio Oriente e dei Balcani, con la necessità di politiche di pace, partenariato e sviluppo.
Proprio per questo siamo consapevoli che l'uso della forza può avvenire esclusivamente nel rispetto dei criteri di legittimità proposti dalle Nazioni Unite e come ultima risorsa. Nella nostra mozione è chiara la necessità di agire sempre di più attraverso l'azione politica, culturale ed economica congiunta a tutti i livelli, valorizzando gli strumenti di prevenzione dei conflitti, di mediazione e di accompagnamento dei processi di pace, anche per conquistare le opinioni pubbliche dei paesi, in cui proliferano le organizzazioni terroristiche da isolare e sconfiggere.
Riteniamo quindi che sia necessario creare, anche e soprattutto attraverso le organizzazioni internazionali, un ambiente di sicurezza globale e di rispetto dei diritti umani, per assicurare a tutti i popoli, in particolare alle fasce più deboli della popolazione - ricordiamo donne e bambini - , quello sviluppo civile e sociale, che sono garanzia di democrazia.
Bisogna riportare, per quanto ci riguarda, al centro di tale politica dapprima la dimensione europea. Il nostro paese deve contribuire con impegno determinato a costruire un'Europa in grado di agire sulla scena internazionale unitariamente con la necessaria incisività. È questo che è espresso nella nostra mozione. Guardare all'Europa per farne un attore globale non significa tuttavia dare una delega in bianco, abdicando ai propri interessi nazionali in nome di un ideale astratto. L'Unione europea è lo strumento più adeguato per promuovere gli interessi, non solo dell'Italia, ma di tutti i paesi che ne fanno parte, soprattutto per promuovere la democrazia, i diritti umani, politici, sociali ed economici, a cominciare dai diritti delle donne.
Alla luce di tale considerazione, la scelta di proseguire e di intraprendere le missioni militari all'estero è e sarà sempre coerente con i principi che ho appena illustrato, in un quadro di legalità e di legittimità internazionale, e terrà sempre conto dell'evolversi delle situazioni o del mutare degli scenari di riferimento.
È doveroso ricordare che la nostra missione in Afghanistan in particolare è stata ed è finalizzata al mantenimento della creazione di quella sicurezza globale e di rispetto dei diritti umani, a cui ho già accennato. Tale missione si è svolta - ricordiamo - nel quadro di una risoluzione ONU - sotto missione NATO - in risposta dell'attacco dell'11 settembre 2001.
È necessario ricordare il grande contributo offerto dalle nostre Forze armate. Le nostre missioni sono state svolte non solo con grande professionalità, ma anche con grande umanità e ne è prova la testimonianza della gente in Afghanistan.
La presenza italiana, delle nostre Forze armate e delle organizzazioni di volontariato è, infatti, considerata tuttora indispensabile dalla comunità internazionale e dal Governo afgano, con l'obiettivo di risollevare un paese in gravissima difficoltàPag. 40dopo anni di regime talebano, basato su continue violazioni dei diritti umani delle donne e dei bambini in particolar modo. È un regime che ha sempre sostenuto il terrorismo e le azioni violente da questo perpetrato anche a livello mondiale.
Vorrei ricordare il significativo ruolo dell'Italia nel cosiddetto board, il direttorio che coordina la ricostruzione. L'Italia ha assunto un ruolo cruciale e di leadership nel settore della riforma della giustizia del paese e di due principali istituzioni, oltre a quella ministeriale, quali, rispettivamente, la Corte suprema e la procura generale.
Occorre anche continuare il lavoro svolto dal gruppo di contatto delle deputate italiane con le donne afghane per contribuire a migliorare la condizione delle donne in Afghanistan e garantire loro un ruolo sempre più importante nella vita civile e politica del paese. Occorre garantire la certezza, per esempio, dell'attuazione del programma di scolarizzazione, tenuto conto che, in questo momento, vi sono grandi problemi di sicurezza.
Permane la necessità di garantire con continuità, quindi, queste condizioni di sicurezza, in quanto esistono segnali di ripresa dei gruppi talebani ed una massiccia criminalità collegata alla produzione dell'oppio.
La nostra presenza in Afghanistan è, quindi, di grande importanza e non esserci significherebbe abbandonare quelle popolazioni e contribuire all'azzeramento dei risultati conseguiti.
Riteniamo, quindi, che sia da condividere pienamente la mozione della maggioranza che impegna il Governo a promuovere quanto previsto nelle sedi competenti, anche internazionali e che venga contestualmente promossa, costantemente, accanto alla presenza militare, una strategia politica umanitaria ed economica più efficace e di sostegno alla transizione democratica; che sia avviata una verifica di quanto fatto finora, valutando nelle sedi internazionali competenti, anche nell'ambito di una conferenza internazionale a livello regionale, eventuali ulteriori azioni o contributi nell'ottica di un continuo miglioramento delle aree di intervento dei processi in atto; che sia mantenuto uno stretto rapporto con il Parlamento cui consentire di esplicare, con piena consapevolezza e responsabilità, il proprio ruolo di indirizzo e controllo in materia. A tal fine, riteniamo che il Comitato parlamentare per il monitoraggio delle missioni internazionali di pace, in cui l'Italia è impegnata, sarà senz'altro di grande utilità.
Vorrei ricordare, inoltre, per ciò che riguarda l'Iraq, che il rientro deve essere garantito nei termini previsti, e che senz'altro il Governo italiano dovrà aiutare, non nel territorio dell'Iraq, ma magari in altri, questo paese nel suo processo democratico.
Vorrei concludere, ricordando ciò che sta accadendo in questo momento il Libano ed in Israele. Credo che sia necessaria una grande coesione per riuscire a trovare la strada affinché il nostro paese porti un contributo in questo momento di grande drammaticità e difficoltà.
La linea della maggioranza e del Governo non può essere che quella dell'Unione europea. L'obiettivo deve essere quello di conquistare una posizione autonoma e, contemporaneamente, collocarla in un rilancio dell'Europa. In questo momento, quindi, il ruolo del nostro Presidente del Consiglio, Romano Prodi, è di grande significato; ad egli va tutto il nostro apprezzamento, in quanto certamente l'Italia sta diventando un paese che sta lavorando molto per la riconquista della pace in quei territori.
Credo che sia necessario proprio per questo che le forze di maggioranza rimangano unite e coese sulle linee già tracciate in questa mozione e cercare di fare in modo che si riesca a portare un contributo in questo difficile momento di guerra tra Libano ed Israele (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur e de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carta. Ne ha facoltà, per quattro minuti.
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GIORGIO CARTA. Signor Presidente, signor sottosegretario, il partito socialista democratico italiano, come già annunciato in Commissione, voterà il disegno di legge senza «se» e senza «ma». Ciò non deriva esclusivamente dal fatto che il provvedimento va votato nel rispetto dei principi del diritto internazionale e dei patti che devono essere onorati, ma anche perché esso costituisce attuazione coerente del programma presentato dall'onorevole Prodi. Credo che questi due motivi siano sufficienti a far votare la maggioranza compatta.
Ciò che un po' mi ha meravigliato - non tanto, per la verità - è stato il tentativo di cercare dei distinguo e motivi di discontinuità per votare quel provvedimento. A chi ha cercato la discontinuità, riferendosi al ritiro del nostro contingente in Iraq, devo ricordare che quella missione, classificata sotto il nome di «missione di pace» - diversamente non avrebbe potuto essere, perché il Parlamento non la avrebbe approvata -, era figlia di una missione di guerra e, come tale, il primo atto di discontinuità lo ha fatto lo stesso precedente Governo, accorgendosi che la sua politica era sbagliata e intravedendo una responsabilità che non poteva essere più sostenuta.
L'atto di ritiro dall'Iraq di questa maggioranza è legato, invece, al fatto che è mutato tutto il contesto della politica internazionale. La scelta dell'attuale maggioranza è quella di dare un segno di discontinuità globale e totale rispetto a questi problemi e, in questo, ha dato segnali abbastanza chiari, sia in riferimento al rilancio della politica europea, sia in riferimento al fatto che la politica unilaterale aveva provocato danni di cui si pagano oggi pesanti conseguenze.
Il disegno di legge per il rinnovo delle missioni internazionali è conseguenza delle deliberazioni prese sotto l'egida delle Nazioni Unite. Quindi, la maggioranza deve onorare l'impegno contratto dall'Italia.
Per questi motivi, credo che non ci sarebbe stata la necessità di questa mozione presentata dalla maggioranza, perché contiene principi ed enunciazioni che, se tolti da questo contesto, sono non solo approvabili, ma approvabilissimi, da tutti. Il problema è che la motivazione politica che la sottende è uno strumento usato dal Governo per portare al voto tutta la maggioranza.
Orbene, questa motivazione, signor Presidente, noi non la condividiamo, perché riteniamo che una maggioranza si deve assumere fino in fondo le responsabilità. Se è utile un elemento di mediazione per arrivare ad un consenso su problemi di cui le forze politiche possono avere visioni diverse, è altrettanto vero che questo potrebbe portare a una maggioranza non coesa, postulando maggioranze variabili, il che in questo caso non sarebbe un peccato mortale.
Per questi motivi, signor Presidente, mi asterrò sulla mozione della maggioranza, proprio perché sono perfettamente cosciente che bisogna votare senza ambiguità il disegno di legge che ha tutti i crismi della legalità, morale e politica.
Ribadisco pertanto che mi asterrò su questa mozione, mentre voterò a favore del disegno di legge presentato dal Governo in materia di missioni all'estero.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cicu. Ne ha facoltà.
SALVATORE CICU. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, credo che le mozioni presentate sia dal centrodestra sia dal centrosinistra possano darci uno spunto forte e importante per fare qualche valutazione rispetto ad un percorso dove il ruolo giocato dall'Italia in tema di politica estera è stato importante ed ha guardato sempre in maniera precisa, in maniera centrale e in prospettiva alla cooperazione, rafforzando la sua posizione e anche e soprattutto i risultati ottenuti.Pag. 42
Ho sentito in quest'aula e nelle Commissioni parlare di obiettivi mancati, di ininfluenza della presenza militare nei teatri dove la stessa presenza ha svolto missioni di pace umanitarie. Io credo che questo sia ingiusto ed ingrato, perché invece abbiamo ottenuto risultati importanti, risultati di consolidamento della pace e della sicurezza nelle aree dove le nostre missioni si sono sviluppate, ma abbiamo ottenuto finalmente - non solo l'inizio - un processo di democrazia che deve essere tenuto nel rilievo che merita rispetto ad una discussione così importante.
Ricordo che è stato continuo il richiamo da parte del precedente Governo, da parte della precedente maggioranza, ad un percorso che ha sempre guardato da una parte all'isolamento dell'islamismo radicale e dall'altra al rafforzamento di una cooperazione internazionale. Attraverso quest'ultima si può sicuramente, nella lotta contro il terrorismo, portare avanti un percorso e obiettivi volti ad eliminare l'incitamento all'odio, all'intolleranza e contribuire alla liberazione di popolazioni come quella irachena e quella afghana che hanno vissuto un periodo buio, di isolamento, di condizionamento, ma soprattutto un periodo di omicidi, di stragi e di morti giustificate solo ed esclusivamente dalla follia della dittatura.
Rispetto a queste riflessioni è importante oggi sottolineare che l'Italia ha sempre svolto un ruolo che ha indotto gli organismi internazionali e gli organismi multilaterali di cui fa parte a promuovere una riflessione su come continuare ad aiutare quei paesi a consolidare l'esperienza democratica appena avviata. Infatti, la presenza militare che noi abbiamo valorizzato e che noi continuiamo a valorizzare è stata ed è uno strumento importantissimo rispetto alla precondizione della sicurezza, della stabilità, della formazione di polizie prima inesistenti che finalmente esistono in maniera legale e soprattutto legittimata da processi di democrazia e da organismi parlamentari eletti in maniera libera. Parlamenti che hanno subito e subiscono il condizionamento del terrore, uomini e donne che per la prima volta si sono sentiti liberi di poter esprimere, attraverso l'esercizio del diritto del voto, un loro contributo per l'individuazione di quella che noi definiamo la libertà dal bisogno, la libertà dall'oppressione, la libertà per popoli che hanno vissuto in maniera drammatica la dittatura.
Credo che il problema sia la politica estera della sinistra; si tratta di un problema evidente ed attualissimo, che sta implodendo. Infatti, mentre la questione Iraq è stata accantonata grazie soprattutto ad una decisione già assunta in maniera forte, coerente e precisa dal precedente Governo Berlusconi, il Governo Prodi si è limitato ad attuare la conferma di una decisione già assunta, che aveva avuto avvio già dal dicembre scorso. Infatti, a giugno 2006 si è già avuta la riduzione del 50 per cento della nostra presenza militare in quel teatro e già il Governo Berlusconi, appunto, aveva proiettato la nostra presenza solo ed esclusivamente in una fase che guardava ad una diversificazione di presenza, con il rafforzamento dei settori civili e - al pari di quanto avvenuto in Afghanistan, ed avviene nella provincia di Herat - attraverso quei PRT (Provincial reconstruction team) che mirano alla possibilità di un sostegno dei settori civili. Ma i settori civili hanno bisogno anch'essi della stessa precondizione, ossia della sicurezza e della stabilità. Infatti, non vorremmo pensare che i settori civili ed i responsabili di tali settori, in maniera inerte, dovessero realizzare chissà quali opere in teatri così difficili e complessi senza che la presenza militare sia in grado di compensare ciò che il grado di formazione delle diverse polizie non ha ancora consentito.
Noi vogliamo porre in evidenza un aspetto: le nostre sono mozioni di politica estera e di difesa. La mozione presentata dalla sinistra è di politica interna. Infatti, essa tratta solo ed esclusivamente di politica interna, ossia delle vostre forti ed inesauribili contrapposizioni, onorevoli colleghi della maggioranza; tratta di come chi, come Ferrando, ringrazia di esistere laPag. 43resistenza irachena ed afgana, e di chi, dai Comunisti Italiani a Rifondazione Comunista, accusa D'Alema di aver bombardato la Serbia e Belgrado in particolare, non accettando dal medesimo lezioni di coscienza. Ciò nel momento in cui l'attuale ministro degli esteri, raccordandosi nello scenario internazionale anche con una serietà ed una capacità dimostrata in molti anni di storia, si trova a dover subire, egli stesso, attacchi precisi e specifici da chi considera i nostri militari, che hanno avuto ed hanno il compito di missioni umanitarie all'estero, quali occupanti e come coloro che legittimano le cosiddette «resistenze» e «dieci, cento, mille Nassiriya», che dovrebbero avallare il dramma che subiscono le nostre famiglie, i nostri soldati, i nostri uomini, che meritano un rispetto diverso, che meritano un ringraziamento diverso, che meritano sicuramente un decoro che deve consentire ad una nazione di dare un'identità precisa ad alcuni valori! Infatti, è troppo facile - e l'ho continuamente sentito ripetere in quest'aula - sostenere che ai nostri militari vada un plauso. Ai nostri militari va sicuramente l'apprezzamento per la capacità dimostrata di essere più istituzionali - forse - di coloro che in quest'aula non rappresentano sicuramente le istituzioni, quando si apprestano a fare discorsi come quelli che abbiamo ascoltato.
La vostra politica estera - così come la vostra politica in assoluto - è ancorata, permeata e tenuta insieme dall'unico motivo che ha fatto nascere l'alleanza che tiene in piedi questo Governo, ossia l'unica giustificazione è quella che guarda alla sconfitta di un uomo che si chiama Silvio Berlusconi! Richiamo tale aspetto perché ancora oggi, nella mozione presentata dal centrosinistra, ciò che si rileva è che questa maggioranza e questo Governo non riescono a tenere in piedi nemmeno questo tipo di motivazione, nemmeno questo tipo di obiettivo. Infatti, così come dichiarato dal Presidente Bertinotti, in un'intervista molto interessante rilasciata al Corriere della Sera e pubblicata sul numero di domenica scorsa, il medesimo rilevava che non si può, in alcun modo, pensare di mantenere a lungo un'alleanza ed una maggioranza che forniscono elementi - come quelli espressi nella mozione presentata dal centrosinistra - di politica estera e di difesa che mirano solo ed esclusivamente a tentare di accontentare e ad individuare soluzioni che parlano di restare o di andarsene e non si capisce con quali mezzi, con quali modi ed in quali tempi.
Vi è un aspetto che voglio ulteriormente evidenziare. Mentre la parte radicale della sinistra mostra sicuramente coerenza e rivendica un proprio diritto di rappresentatività, altri non dimostrano questa coerenza. Altri, infatti, preferiscono fuggire e disperdere un patrimonio di credibilità e di certezze in ordine alla nostra presenza internazionale e, come tali, non portano avanti quanto la stessa sinistra internazionalista, nel corso di un ultimo convegno tenutosi a giugno a Roma, ha riconosciuto richiamando la sinistra a perseguire determinati valori e motivazioni.
Insieme dobbiamo sforzarci di capire sia che non esistono resistenze come quelle che ho citato prima, sia le motivazioni addotte dalla sinistra. Le atrocità perpetrate da Saddam Hussein sono state sicuramente peggiori degli eventuali errori commessi da Bush e da Blair nel rendere sicura la democrazia in Afghanistan e in Iraq.
In conclusione, onorevoli colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, è importante che alcune valutazioni siano fatte al fine di comprendere come la crisi interna, di cui ora ci occupiamo, riguardi un momento che non può essere disatteso. Tale momento è quello della ricerca di un'unità, di una comprensione di motivazioni, di verità che devono essere trasferite ad un popolo - quello italiano - che deve poter valutare, meglio e di più, cosa significhi la strategia del terrorismo e come questo, nella sua evoluzione, sia riuscito non solo ad entrare in Europa ma anche a condizionarne i processi, le libere elezioni e a porsi come individuatore e realizzatore di obiettivi che distorcono le nostre radici, la nostra cultura e la nostraPag. 44capacità di guardare in maniera chiara e precisa, come ci ricorda ripetutamente un nostro grande amico, un amico di tutti, Magdi Allam. Magdi Allam, nel momento in cui Bush si accingeva alla guerra con l'Iraq, in un editoriale de la Repubblica scriveva: «Se io fossi un iracheno, al di là di tutti gli interessi che possono sovrastare questo tipo di attacco, io starei dalla parte di coloro che vengono a liberarci » (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marcenaro. Ne ha facoltà.
PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mentre si svolge questo dibattito il Medio Oriente è nuovamente scosso dalla violenza della guerra. È una spirale che sembra inarrestabile e distrugge, insieme alle vite umane, le infrastrutture e le risorse morali che sono indispensabili per costruire la pace. Il Parlamento italiano, la Camera dei deputati possono unire la loro voce a quanti in questi giorni, in queste ore, agiscono per ottenere l'immediata cessazione delle violenze e perché si ristabiliscano le condizioni affinché il dialogo, il confronto, il negoziato possano riprendere.
Il Governo italiano, in questi giorni, e anche in queste ore, ha agito nella direzione giusta, fino a dichiarare, nella giornata di oggi, la disponibilità dell'Italia a far parte di una forza di interposizione delle Nazioni Unite nel sud del Libano; si tratta di un'iniziativa importante di cui vedremo nei prossimi giorni lo sviluppo.
Se l'uso proporzionato della forza costituisce una reazione legittima alle aggressioni alle quali è sottoposto, è solo da una soluzione negoziata e condivisa che può venire, per Israele, quella sicurezza alla quale ha diritto. Oggi, la ricerca di una soluzione negoziata, basata sul riconoscimento di due ragioni, di due diritti - quello israeliano e quello palestinese - e, quindi, di due Stati, deve misurarsi con un ostacolo in più, costituito dalla crescita, in Palestina ed in tutta la regione, del peso di forze fondamentaliste, integraliste, aggressive.
Tragicamente, la coincidenza della nostra discussione con tali drammatici avvenimenti contribuisce a chiarire il significato politico della decisione di ritirare dall'Iraq i militari italiani; non ci parla, forse, questa situazione, della crisi profonda e drammatica di quella che era stata proposta e presentata come una strategia di stabilizzazione dell'insieme della regione?
Qualcuno ha sostenuto che nulla cambia, nella sostanza, con le decisioni dell'attuale Governo rispetto a quanto deciso dal Governo Berlusconi; si tratterebbe, al massimo, di una differenza di poche settimane. Se consideriamo le valutazioni politiche nelle quali inquadriamo le nostre decisioni, noi possiamo comprendere che tale affermazione è destituita di qualsiasi fondamento. È totale la discontinuità con la scelta che aveva portato l'Italia a schierarsi, incondizionatamente, sulla linea dell'amministrazione Bush e a svolgere, in Europa, un ruolo di divisione anziché di ricomposizione.
I risultati di quella linea, espressione dei circoli neoconservatori, sono drammatici, non solo in Iraq: hanno avuto le conseguenze che ciascuno ha potuto constatare in tutta la regione, con il successo delle forze più integraliste in Iran e la vittoria elettorale di Hamas in Palestina. Il ritiro dall'Iraq rappresenta, per la maggioranza di centrosinistra, la presa d'atto della crisi di una strategia; non già un disimpegno, piuttosto, la scelta di un'altra politica. D'altra parte, la crisi della strategia alla base della guerra in Iraq è oggi avvertita e riconosciuta anche negli Stati Uniti; non solo negli ambienti liberali e democratici, ma anche tra gli stessi responsabili di Governo, come emerge dai cambiamenti che stiamo registrando e che si sono registrati anche nei comportamenti e nelle scelte dei massimi vertici dell'amministrazione americana.
Naturalmente, la crisi della strategia neoconservativa sfida tutti i paesi e tutti noi a dimostrare la possibilità e la concretezza di un'altra via per combattere ePag. 45vincere il terrorismo internazionale e per espandere nel mondo la libertà, la democrazia e i diritti umani.
La mozione che la maggioranza di centrosinistra ha presentato esprime questa scelta, questa intenzione e questo indirizzo; essa, pur nella sua naturale sommarietà, delinea una politica estera dell'Italia che assume come propria base il multilateralismo, punta a fare crescere le forme delle organizzazioni internazionali come garanti del diritto e della legittimità e punta, altresì, ad impostare politiche di prevenzione dei conflitti e delle guerre restringendo, in tale quadro di necessità ultima, di legittimità e di giustizia, l'uso della forza militare. È per tale ragione che il centrosinistra distingue l'Iraq dalle altre missioni militari italiane.
Noi, nella mozione, affermiamo due principi. Il primo riguarda il contesto di istituzioni, di alleanze, di impegni internazionali dell'Italia, che costituisce, nel contempo, nel quadro della strategia politica alla quale pensiamo, una risorsa ed un vincolo.
Non si può contemporaneamente respingere un approccio unilaterale e poi sottrarsi agli obblighi di decisione collegiale che il contesto multilaterale comporta. Il fatto che anche forze le quali, fino a ieri, esprimevano posizioni diverse e contrarie, oggi accettino le alleanze internazionali dell'Italia e gli impegni che esse comportano, credo non sia trascurabile.
Naturalmente, stiamo parlando della politica estera di un grande paese che vuole partecipare in modo attivo alle istituzioni internazionali e al proprio sistema di alleanze, ma che al tempo stesso riconosce che vi è una relazione stretta tra la volontà di influire sulle decisioni nelle sedi internazionali e la capacità e disponibilità di assumersi le proprie responsabilità. Poiché la riforma che ipotizziamo delle istituzioni internazionali, a partire dalle Nazioni Unite, non è operante e sappiamo che dovremo incidere nel quadro delle istituzioni e nel sistema delle relazioni istituzionali esistenti, per spostare equilibri, per ottenere risultati e per contribuire alla pace, attraverso questa mozione - mi pare - si riesce, da un lato, a disegnare uno scenario generale e, dall'altro, ad individuare gli atti di realismo necessari.
Il secondo punto riguarda la politica ed il suo ruolo, partendo da una premessa che qui neppure discuto, poiché fa parte della fisionomia generale del nostro programma: assumere l'Europa come il soggetto di una nuova politica. Ciò vale in tanti campi e soprattutto in quello della politica estera e delle relazioni internazionali. Quando si fa riferimento al ruolo della politica, s'intende anche qualcosa di più: la presenza militare, nei casi estremi nei quali diventa necessaria, non può che essere un aspetto di un'azione politica e diplomatica complessa; deve essere legata ad obiettivi e risultati che la politica deve proporre e rendere espliciti, nonché verificare. Direi che l'azione militare accresce e non diminuisce le responsabilità della politica. Infine, è chiaro che vi è una dialettica ed un confronto nella nostra maggioranza, di carattere esplicito, aperto, trasparente e onesto. Penso che questo confronto faccia bene al paese, se è un confronto che unisce alla libertà della ricerca, la prudenza e la responsabilità. In nessun altro campo come nella politica estera è indispensabile alzare lo sguardo e collocare in un orizzonte di medio periodo azioni e strategie e, al tempo stesso, esercitare realisticamente le proprie funzioni nella situazione determinata. La mozione si muove correttamente tra questi due poli e non costituisce una banale mediazione, ma l'indicazione di un contesto nel quale la dialettica politica e la costruzione dell'unità del centrosinistra può dare dei risultati non solo per noi, ma per l'insieme del paese (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elia. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, rappresentanti del Governo e colleghi, la mozione di cui discutiamo è frutto - mi pare evidente - di un confronto all'interno dell'Unione che ha tenuto conto di sensibilità diverse. Il testo per me è buono,Pag. 46equilibrato e, in alcuni punti, anche più avanzato di quanto ci potessimo aspettare.
Prendo atto con soddisfazione della presenza nella mozione di passaggi importanti, per me irrinunciabili. Ne indico qualcuno: per prima cosa, nel dispositivo la mozione affida un compito al Governo italiano, cioè quello di promuovere in tutte le sedi internazionali e multilaterali non solo la pace e la sicurezza, ma anche la libertà e la democrazia. L'alternativa alla guerra non può essere una mera petizione di principio: «la pace nel mondo»; l'alternativa vera e duratura è che si stabiliscano ovunque istituzioni democratiche e si affermino diritti civili e politici, libertà individuali e pubbliche. È un dato di fatto che guerre tra Stati democratici sono rare, se non inesistenti.
Inoltre, il diritto alla democrazia non può essere un lusso che può permettersi soltanto chi vive nel mondo civilizzato, occidentale o nel nord del mondo, mentre viene negato a centinaia di milioni di cittadini che vivono sotto la schiavitù di regimi totalitari, autoritari e illiberali.
Si tratta di passare ora dalle parole della mozione ai fatti. Il Governo si deve impegnare in una regola molto semplice: nessun soldo ai dittatori. Non si tratta di esportare la democrazia, ma di negare aiuti a regimi dittatoriali e sostenere invece le aspirazioni democratiche di popoli, di persone e di gruppi, che pure esistono, di opposizione a tali regimi.
Un altro passaggio della mozione è l'impegno dell'Italia a mantenere alto il proprio ruolo e la propria iniziativa nella lotta per l'abolizione della pena di morte. Anche su questo bisogna passare dalle parole ai fatti e in tal senso annunciamo la presentazione nei prossimi giorni di una risoluzione che impegni il Governo italiano a portare all'ONU una proposta di moratoria universale delle esecuzioni capitali. Un altro passaggio della mozione, che è in parte legato a quello precedente, riguarda l'attività possibile di cooperazione giudiziaria dell'Italia in Iraq, quella in atto con l'Afghanistan e, più in generale, iniziative di institution building. Questo tipo di cooperazione prevede una linea di condotta che la mozione indica esplicitamente. Deve, cioè, tener conto dei più recenti sviluppi nel diritto penale internazionale, in particolare degli statuti dei tribunali ad hoc e della Corte penale permanente, oltre che delle Corti speciali internazionali, le quali, com'è noto, escludono il ricorso alla pena capitale.
Un altro passaggio della mozione altrettanto importante è quello che impegna il Governo a promuovere nelle sedi internazionali competenti l'elaborazione di un piano efficace di riconversione delle colture di oppio in Afghanistan, anche ai fini di una loro parziale utilizzazione per le terapie del dolore. L'attuale produzione legale di oppio per fini medici e scientifici non riesce a coprire la crescente richiesta nel campo della terapia del dolore. Il 79 per cento della produzione globale di morfina si consuma in sei paesi sviluppati, mentre i paesi in via di sviluppo, che rappresentano circa l'80 per cento della popolazione mondiale, ne consumano solo il 6 per cento. L'Italia è al centotreesimo posto per l'utilizzo della morfina contro il dolore. Potete immaginare cosa accade in Africa, dove l'AIDS sta distruggendo intere popolazioni e dove i malati terminali muoiono tra atroci sofferenze!
Mi avvio alle conclusioni con un giudizio sulle due missioni in Iraq e in Afghanistan, che so non essere pienamente condiviso all'interno della maggioranza. Com'è noto, sull'Iraq, i Radicali e Marco Pannella avevano lottato per un'alternativa alla guerra, per l'esilio di Saddam e per l'amministrazione controllata dell'ONU per un periodo di transizione. Ad un passo ormai dal ritiro della missione militare in Iraq, io credo che noi tutti, maggioranza e opposizione, possiamo concordare su un giudizio, che poi è quello che è stato espresso con parole nette e chiare dal Presidente della Repubblica, Napolitano. La missione italiana in Iraq, seppure partita da un errore che non abbiamo condiviso, è stata una missione di pace e non di guerra. È giusto ribadirlo, soprattutto per rispetto dei nostri soldati, i quali, dopo aver contribuito in Iraq anche ad aprire asili, scuole, ospedali ed a garantire un po'Pag. 47di sicurezza in più e a far tenere le prime elezioni democratiche in un paese che per mezzo secolo non le ha mai tenute, non possono ora tornare in Italia con il capo cosparso di cenere, con il senso di colpa di aver partecipato ad una guerra alla quale non sono stati mai chiamati. Non sarebbe giusto innanzitutto nei confronti di quelli fra loro che in Iraq sono stati aggrediti, uccisi o feriti.
Io non so se il ritiro dall'Iraq nei tempi stabiliti sia una scelta giusta o sbagliata. Quello che so è che una scelta politicamente obbligata, perché un Governo serio che si è presentato agli elettori promettendo, vinte le elezioni, il ritiro dall'Iraq, quella promessa poi la deve mantenere, perché ciò costituisce un dato di onestà intellettuale e di serietà politica, la stessa che ha dimostrato di avere il leader spagnolo Zapatero. A chi poi nella maggioranza dice apertamente (in realtà, sono pochi) o nasconde il retropensiero (questi, forse, non sono pochi) che al ritiro dall'Iraq non può che seguire il ritiro anche dall'Afghanistan non rispondo io, ma fa fede il testo di questa mozione, che non solo non prevede una exit strategy dall'Afghanistan ma, se possibile, prevede anche il contrario, cioè un rafforzamento della presenza militare. La mozione infatti impegna il Governo a promuovere nelle sedi internazionali competenti una verifica sull'impegno e la presenza internazionale in Afghanistan, valutando risultati ed efficacia delle missioni e delineando un percorso chiaro di rafforzamento delle istituzioni, di ricostruzione economica e civile e di garanzia della sicurezza per la popolazione (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, signori del Governo, colleghe e colleghi, stiamo discutendo di una mozione sulla quale, forse, sarebbe stato meglio discutere e votare quindici o venti giorni fa. Forse, tutto il dibattito che si è sviluppato, in queste settimane, sulla questione dell'Afghanistan avrebbe avuto altri esiti, forse sarebbe stato svolto più seriamente, almeno da parte di una certa stampa. Quella che stiamo discutendo è una mozione di indirizzo sulla politica estera riguardante, in particolare, la questione delle missioni militari. Abbraccia questo campo della politica estera e, giustamente, non è incentrata solamente sulle missioni in corso ma effettua previsioni per il futuro, sulla politica che il Governo italiano attuerà riguardo a questo importante problema. È nell'ambito di tale quadro che meglio si possono giudicare le missioni in corso, ivi comprese quelle sulle quali, nella maggioranza, come è noto ed evidente, ci sono opinioni diverse se non, addirittura, diametralmente opposte. La mozione presenta il vantaggio di consentire di discutere di una questione così complessa in modo più articolato di quanto non sia possibile fare esaminando un disegno di legge che proroghi le missioni. Il disegno di legge, infatti, è tecnico e constateremo questo nel corso della discussione che svolgeremo immediatamente dopo il voto sulla mozione, cioè quando affronteremo, in questa Assemblea, la discussione su quel disegno di legge e le relative votazioni, missione per missione.
La questione delle missioni, per noi, ha sempre avuto una fondamentale importanza. Negli ultimi 15 anni, dopo la caduta del muro di Berlino, soprattutto nei paesi occidentali si è diffusa l'idea secondo la quale una leva fondamentale della politica estera è costituita dalla partecipazione a missioni militari, per dare ad ogni paese l'importanza che merita nello scenario internazionale. Alcune sono state missione di pace mentre altre, almeno dal nostro punto di vista, sono state guerre, senza ombra di dubbio.
Allora, dopo 15 o 16 anni, è necessario cominciare ad affrontare in modo diverso questo problema. Con tale mozione, noi lo facciamo. Questa mozione della maggioranza cambia l'impostazione che il nostro paese - non soltanto il Governo Berlusconi - ha seguito negli ultimi 15 anni sulla questione. Quando si afferma che siPag. 48valorizzano prioritariamente, nell'azione di politica estera, gli strumenti di prevenzione dei conflitti, di mediazione e di accompagnamento dei processi di pace, si afferma qualcosa di preciso. La mozione è impegnativa e vincolante per il Governo, il quale, nella propria azione, è impegnato a valorizzare, prioritariamente, questi aspetti e non la partecipazione acritica a qualsiasi missione militare sia autorizzata dalle Nazioni Unite o promossa da una potenza come gli Stati Uniti d'America. Quando si afferma che il Governo è impegnato - attenzione alle parole, perché hanno un significato importante - a promuovere, anche in qualità di membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dal gennaio 2007, le iniziative volte a costituire un contingente militare di pronto intervento per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, alle dirette dipendenze della Segreteria generale delle Nazioni Unite, si afferma qualcosa di preciso. Infatti, la scelta di costituire una forza militare permanente alle dipendenze della Segreteria generale delle Nazioni Unite è stata sempre avversata, ad esempio, dal Governo degli Stati Uniti d'America. Questo è notorio.
Non intendiamo chiedere, in questa sede, lo scioglimento della NATO, che critichiamo molto decisamente e alla quale siamo avversi. Tuttavia, vorrei ricordare che la nuova funzione di questa organizzazione internazionale si fonda esattamente sul presupposto che le Nazioni Unite, in proprio, non sono in grado di svolgere una funzione di polizia internazionale.
La NATO si candida ad essere la forza militare che, su mandato o su richiesta delle Nazioni Unite, svolge questa funzione. Il che vuol dire che la NATO ha il diritto di veto su decisioni delle Nazioni Unite e sulla formazione di missioni militari che altrimenti, senza l'assenso e la disponibilità della NATO, non potrebbero mai vedere la luce.
Si tratta di due aspetti fondamentali all'interno dei quali si può ben collocare anche la questione del compromesso, della mediazione esplicita e chiara che abbiamo raggiunto in ordine alla problematica riguardante le due missioni presenti in Afghanistan.
Alcuni colleghi della destra prima hanno svolto dichiarazioni un po' avventate su tale questione. Infatti, la destra ha presentato una mozione nella quale si chiede al Governo di accettare le richieste del Segretario generale della NATO, che prevedono un incremento della nostra forza militare e la fornitura di altri sistemi d'arma adatti a regole di ingaggio atte alla conquista del territorio e così via.
Noi non prevediamo ciò né nel disegno di legge né in questa mozione. Abbiamo trovato un compromesso, consistente nel congelamento del numero delle forze e delle regole di ingaggio delle stesse. A noi sarebbe piaciuto che il Governo italiano proponesse una fuoriuscita da queste missioni, alle quali siamo stati avversi - approfondiremo tale aspetto in sede di discussione del disegno di legge - fin dalla loro messa in campo. Tuttavia - proprio per i motivi testè enunciati dal collega D'Elia -, noi ci riconosciamo nel fatto che il Governo è impegnato a promuovere in quelle sedi valutazioni e verifiche su tali missioni. Infatti, siamo sicuri che, dall'organismo al quale darà vita il Parlamento per monitorare permanentemente le missioni militari, non potrà che scaturire un giudizio critico sulla funzione di tali missioni. Ciò in quanto il terrorismo non è stato sconfitto, il paese non presenta una situazione di pace, la popolazione civile subisce gravi conseguenze dalle azioni militari e belliche, il problema dei diritti umani è tutt'altro che risolto come la questione dei diritti civili e religiosi.
Siamo convinti sia necessario mettere in campo un'altra strategia. Abbiamo raggiunto un compromesso. Le coalizioni funzionano attraverso discussioni e il raggiungimento di mediazioni e compromessi. A noi stava a cuore che si lavorasse in questo modo, stava a cuore che questa coalizione funzionasse con il metodo del consenso. Guai se in una coalizione qualcuno decide e gli altri devono adeguarsi!Pag. 49
Nella mozione sono contenuti aspetti molto importanti. Ad esempio, la distinzione, alla quale il Governo è impegnato da oggi, tra l'attività di cooperazione e le attività militari. Credo che anche in Afghanistan andrà svolta una precisa verifica della questione che riguarda il PRT di Herat, che non potrà più funzionare come funziona oggi, essendo stato affidato direttamente alle forze militari il compito di svolgere la funzione della cooperazione. Così come ci piace il fatto - e smentisco quanto affermato dal deputato Bricolo - che il Governo abbia annunciato che esprimerà un parere favorevole sull'emendamento, che sarà firmato dai capigruppo dell'Ulivo presenti nelle Commissioni esteri e difesa, che impegna i nostri soldati presenti in Afghanistan al rispetto dei codici militari di pace e non dei codici militari di guerra come avvenuto fino a questo momento.
Questi sono i motivi per i quali abbiamo lavorato a questa mozione e per i quali la sosteniamo (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Zulueta. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a prima vista, i drammatici eventi in corso in queste ore nel Libano e in Israele dovrebbero ridimensionare la portata della nostra discussione; ritengo, invece, che ne aumentino la valenza. I capigruppo dell'Unione che hanno firmato la mozione Sereni ed altri n. 1-00014 hanno voluto accompagnare il voto sul rifinanziamento delle missioni internazionali con un atto di indirizzo che potesse dare un'impostazione strategica a quello che è il primo atto parlamentare di politica estera del Governo Prodi.
Credo che questo documento ci aiuti ad orientarci nel momento in cui ci troviamo in grave pericolo per la pace e la sicurezza nel mondo e ci fornisca una prima cornice di interpretazione dei passi intrapresi dal Presidente del Consiglio e dalla diplomazia italiana nei giorni in cui la crisi si è estesa al Libano.
Il ministro degli affari esteri è atteso in Parlamento per le comunicazioni del caso. Già adesso possiamo dire, però, che l'iniziativa assunta dal Presidente Prodi nel contesto del G8 per favorire una tregua riflette un nuovo concetto di sicurezza, l'human security, che pone la tutela dei civili al primo posto della propria azione politica. In questo momento, come ha ripetuto Prodi, la nostra prima preoccupazione deve essere quella di fermare la spirale della violenza, che rischia di travolgere non solo la regione, ma il mondo intero, al di là delle intenzioni dei singoli attori: sono gli stessi principi che sorreggono la nostra mozione. Noi vediamo al centro dell'azione del Governo il rafforzamento delle istituzioni internazionali, le Nazioni Unite e l'Unione europea, e anzi deprechiamo un'assenza di protagonismo, in queste ore, dell'Unione europea medesima.
Per quanto riguarda la missione in Afghanistan e le preoccupazioni che essa ha sollevato, ma anche le contestazioni di cui è oggetto, riteniamo molto importanti gli impegni che nella mozione noi chiediamo al Governo: in primo luogo, quello di promuovere nelle sedi internazionali competenti una riflessione sulla strategia politica e militare in atto.
Di fronte all'acuirsi della conflittualità, constatiamo con preoccupazione che le modalità di intervento in Afghanistan somigliano sempre più a quelle drammaticamente fallite in Iraq. L'uso quasi esclusivo della forza come risposta all'insurrezione in atto non è sufficiente (uso la parola «insurrezione» non a caso; lo stesso rappresentante delle Nazioni Unite, Koenigs, ha descritto una parte dei combattenti talebani come «insorti»). Sono, infatti, i problemi ancora aperti in Afghanistan a spingerci a ritenere di fondamentale importanza il meccanismo di monitoraggio parlamentare che la mozione giudica opportuno, e noi urgente.
La mozione contiene anche un importante riferimento all'inquinamento di guerra: gli impegni ad individuare i livelli di inquinamento bellico si riferiscono alle conseguenze dell'uso di armamenti all'uranioimpoverito (armamenti che sono stati usati anche in Afghanistan). Su questo problema e sulla possibilità che l'esposizione a questo tipo di armamenti sia all'origine di casi di morte di militari italiani ha lavorato una speciale Commissione d'inchiesta del Senato. Alle sue conclusioni, che indicano nel particolato prodotto da esplosioni all'uranio impoverito le possibili cause del tasso anomalo di patologie tumorali, noi vogliamo dare seguito. Da qui la richiesta di monitoraggio non solo dei soldati, ma anche del territorio e, magari, delle popolazioni che vi si trovano. Noi speriamo che da questo lavoro si possa arrivare, per tappe, alla messa al bando di questo tipo di armamenti, già vietati in Italia.
Tra le questioni che dovremo affrontare sempre attraverso il monitoraggio, c'è anche quella del trattamento dei prigionieri. A questo proposito, ricordo all'Assemblea che, proprio per via delle difficoltà che le autorità afghane incontrano nell'esercitare la piena giurisdizione sul proprio territorio, l'Afghanistan sembra essere stato coinvolto nel giro deprecabile delle prigioni segrete utilizzate dalla CIA per trattenere - e, secondo le denunce, torturare - i soggetti sequestrati da altri paesi.
Onorevoli colleghi, sono cinque anni che operiamo in Afghanistan insieme alla comunità internazionale, ma la situazione della sicurezza intesa nel senso pieno della parola, ma anche della condizione materiale di vita degli afghani, rimangono preoccupanti. Una valutazione delle modalità di intervento è, dunque, d'obbligo, in modo da arrivare, se necessario, a proporre alcuni correttivi e un ripensamento, se fosse necessario.
Chiediamo, proprio per andare al di là della soluzione militare, un maggiore impegno diplomatico per la soluzione del conflitto o, forse, dei conflitti ancora aperti in Afghanistan. La proposta di una Conferenza internazionale contenuta nella mozione è volta a favorire il dialogo a livello regionale. Joschka Fischer, già ministro degli esteri, ha detto che, per capire l'Afghanistan, occorre guardare al Pakistan; guardare, ma magari anche coinvolgere, in una prospettiva di soluzione regionale, così come per gli altri paesi confinanti: l'Iran, il Kirgistan, la stessa Cina.
In conclusione, signor Presidente, ci sono due parole che non sono presenti nella nostra mozione (ritengo, infatti, che sarebbero superflue). Queste due parole sono utilizzate, in generale, in inglese: exit strategy, che vuol dire «strategia di uscita»; secondo i manuali che si studiano nelle scuole di alta strategia militare, tutte le missioni internazionali dovrebbero essere corredate da un meccanismo di valutazione della propria efficacia e da un conseguente piano di uscita.
Una presenza straniera in armi che non garantisce né la sicurezza né condizioni materiali di vita migliore rischia di diventare un'insopportabile imposizione agli occhi della popolazione del paese dove si trova. Ne abbiamo avuto una minacciosa avvisaglia a maggio, con le violente manifestazioni esplose a Kabul. Non possiamo permetterci di dimenticarlo.
È per questo che lavoriamo oggi per un ripensamento ed una rimodulazione di quella missione, sicuramente nel contesto dei principi di multilateralità ribaditi nelle premesse della mozione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi e di Rifondazione Comunista-Sinistra europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, viceministro, amico Ugo Intini, credo che l'onorevole Mantovani, con la sua onestà intellettuale e la sua coerenza politica, abbia ben chiarito i termini del dissenso presente all'interno della maggioranza sui temi della politica estera, dissenso che un documento così vago, come quello proposto nella mozione presentata, certamente non risolve.
Ma che la politica estera fosse un tallone d'Achille di questa maggioranza era chiaro già al momento della pubblicazione del programma dell'Unione, quando si sviluppò una polemica sui temi delle opere pubbliche e delle missioni italiane all'estero.Pag. 51
Pareva che su quest'ultimo punto l'Unione nel suo programma avesse trovato un accordo siffatto: uscita dal teatro iracheno più o meno immediata, conferma delle altre missioni di pace nel mondo.
Evidentemente, questo accordo non era chiaro o non è stato sufficientemente chiarito. Così si sono sviluppate critiche, dissensi, annunci di voto favorevole obtorto collo. Ho sentito l'onorevole Diliberto dire addirittura che erano, sono e saranno contrari alla missione in Afghanistan ma voteranno «sì». Mi viene in mente la figura retorica dell'ossimoro che tenta di conciliare gli opposti e, così, l'onorevole Diliberto sostiene che, proprio perché è contrario, voterà a favore per - dice - non mettere in difficoltà il Governo, che si trova privo di un minimo comune denominatore sulla politica estera, proprio oggi che la politica estera è divenuta un'emergenza per tutti i paesi, anche alla luce delle tragiche vicende che hanno recentemente insanguinato la regione mediorientale.
Rispetto al Medio Oriente, chiedo al Governo, anche a nome del gruppo cui appartengo, di chiarire bene il senso della sua posizione, di distinguere tra un'aggressione e una reazione, tenendo presente, caro amico e compagno Ugo Intini, ciò che ci ha sempre insegnato Bettino Craxi e cioè che rispetto al dramma mediorientale dobbiamo tenere fermi due principi. Il primo è quello dell'esistenza e della sicurezza dello Stato d'Israele; il secondo è il diritto legittimo dei palestinesi ad avere una patria.
Chiedo al Governo, e lo ha giustamente sottolineato l'onorevole Marcenaro prima di me, se la nuova situazione mediorientale non sia divenuta così precaria a causa dell'insorgente estremismo, sia all'interno della Palestina con la vittoria elettorale di Hamas, sia all'esterno della stessa, in Iran ma anche in Libano, dove gli hezbollah possono tranquillamente sedere in parlamento, così da mettere in discussione il primo dei due principi, il diritto di Israele ad esistere.
Sulla questione dell'Afghanistan occorrono poche parole: noi eravamo, siamo e saremo (per usare le stesse parole di Diliberto) a favore di una missione che è stata inserita nell'ambito di deliberazioni dell'ONU, il cui comando è stato assunto dalla NATO due anni dopo questa assunzione di responsabilità che risale al 2001, cioè alle tragiche vicende che hanno martoriato le Torri gemelle di New York. Non sappiamo se la missione dovrà essere potenziata, come pure hanno sostenuto gli onorevoli Bonino e D'Alema. Certo, siamo favorevoli a che essa sia mantenuta ed il Parlamento della Repubblica italiana ha il dovere di dire con chiarezza che la sostiene, che sostiene i militari e tutti gli operatori che in essa sono impegnati.
Infine, aggiungo due parole, nei limiti di tempo concessimi, sulla mozione presentata dalla maggioranza. Si tratta di una mozione, come è chiaro alla luce degli interventi ascoltati in Assemblea, frutto di una faticosa mediazione, che parte dalla registrazione di posizioni assolutamente inconciliabili, quali quelle di Rifondazione Comunista, contraria alla NATO (non so se a favore di ciò che scandivano nei giorni scorsi i manifestanti cosiddetti pacifisti, che hanno inserito nel loro documento la necessità di smantellare le basi NATO dal nostro paese) o quelle del sottosegretario per gli affari esteri Vernetti, che è a favore della posizione assunta dal Governo israeliano, retto in questo momento da una coalizione di centrosinistra, fondata su un rapporto diretto tra l'erede di Sharon, Olmert, e Simon Peres, il leader storico del laburismo israeliano.
Nella mozione della maggioranza si scrive di riflessioni, di verifiche, di valutazioni, ma non si afferma con chiarezza l'appoggio alla missione in Afghanistan, l'apprezzamento per i nostri militari ovunque siano nel mondo, il dolore per il sacrificio di sangue versato dall'Italia nelle missioni di pace nel mondo. Anche sull'Iraq non si sostiene la necessità di una fuoriuscita dal paese perché esaurito il compito della missione italiana, ma si sostiene la necessità di una fuoriuscita perché si ritiene illegittima la missione.
Mi pare sia chiaro che questa missione è avvenuta nell'ambito di una deliberazionePag. 52dell'ONU che l'ha pienamente legittimata e che ne ha definito concretamente i confini. E, purtuttavia, si continua a sostenere che tale missione è illegittima.
Infine - e concludo - vi è un passo nella mozione della maggioranza in cui si dice che devono essere autorizzate soltanto missioni di pace nell'ambito dell'ONU. A tale proposito, cito due precedenti.
Il primo - e l'onorevole Intini se lo ricorderà - riguarda la decisione di inviare un contingente italiano nel teatro della guerra nel Golfo del 1991. Si trattava di una decisione adottata in seguito ad una chiara assunzione di responsabilità da parte dell'ONU, che autorizzava l'uso della forza per la liberazione del Kuwait. Ebbene, in quella circostanza, nonostante il voto e la legittimazione dell'ONU, una parte consistente della sinistra - e cito l'allora PCI, non ancora PDS (in quel momento, per la verità, era in una fase di transizione e veniva definito «la Cosa») - preferì votare contro e cavalcare la tigre delle proteste dei movimenti.
Il secondo precedente opposto riguarda la guerra in Kosovo. I bombardamenti di Belgrado e della Serbia furono appoggiati dal Governo D'Alema senza l'autorizzazione dell'ONU e quel partito, che aveva votato contro una decisione assunta nell'ambito dell'ONU, votò a favore di una guerra decisa dalla NATO e non dall'ONU, anche se l'allora onorevole - e non ricordo se già o ancora ministro della giustizia - Diliberto, che faceva parte di quel Governo, andò poi a Belgrado, assieme all'onorevole Cossutta, a solidarizzare con coloro contro i quali il suo Governo lanciava bombe, che mi pare il massimo della contraddizione politica e, forse, prima ancora, logica, visto che non si può essere da una parte e dall'altra allo stesso tempo.
D'altronde, che vi sia oggi il gioco allo scavalco del PDS nei confronti di Rifondazione Comunista fa parte della cronaca quotidiana. Ho letto che l'onorevole Rizzo ha ritirato la «patente» di marxista al Presidente della Camera, onorevole Bertinotti: non sapevo che vi fossero nuovi teologi, nuovi sacerdoti dell'ortodossia marxista in quest'aula e che essi avessero anche la possibilità di revocare patenti ideologiche così luminose e storicamente significative!
Ebbene, in questo gioco allo «scavalco» intravedo pericoli per il Governo, per la sua stessa tenuta e per la politica estera dell'Italia. Penso che, quando si parla di politica estera, si debba fare riferimento ad un bene comune, che deve unire maggioranza e minoranza e che prescinde, altresì, dalle posizioni e dalle collocazioni di ciascuno di noi.
È questo il motivo per cui abbiamo valutato con favore le decisioni assunte, nell'ambito del G8, dal Presidente del Consiglio Prodi. Spero che egli possa davvero svolgere un ruolo di mediatore o, come è stato scritto, di «facilitatore»; ciò anche se la composizione della sua maggioranza non facilita certamente lo svolgimento di un ruolo adeguato al riguardo, ma rischia, purtroppo, di complicarlo (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.