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Discussione congiunta del disegno di legge e del documento: Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2006 (A.C. 1042); Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Doc. LXXXVII, n. 1).
(Discussione congiunta sulle linee generali - A.C. 1042 e Doc. LXXXVII, n. 1)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare la relatrice sul disegno di legge comunitaria, onorevole Ottone.
ROSELLA OTTONE, Relatore sul disegno di legge n. 1042. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge comunitaria rappresenta il momento principale della partecipazione del nostro paese alla fase discendente del processo normativo comunitario. Si tratta di un provvedimento che ha permesso, dal 1989, anno in cui è stato introdotto questo strumento, ad oggi, di accelerare la fase di attuazione della normativa europea: l'Italia è passata da un tasso di recepimento delle direttive pari all'80 per cento nel 1990 ad una percentuale che si assesta attualmente attorno al 97 per cento.
Il disegno di legge in esame è il secondo dopo l'approvazione dalla legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari». Come è noto, la legge n. 11 citata ha modificato in modo sostanziale la legge n. 86 del 1989, nota come legge La Pergola, che aveva introdotto la legge comunitaria annuale, finalizzata a consentire un costante e pieno adeguamento dell'Italia agli obblighi comunitari. Peraltro, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione, realizzata nel 2001, è emersa la necessità di adeguare i contenuti della legge comunitaria alle nuove esigenze derivanti dal mutato assetto costituzionale. A tal fine, la legge n. 11 del 2005 ha provveduto ad ampliare i contenuti della legge comunitaria, ridefinendo altresì la disciplina relativa al recepimento delle direttive in via regolamentare nonché l'esercizio dei poteri statali sostitutivi in riferimento all'attuazione regionale degli obblighi comunitari.
Il provvedimento in esame, che dà seguito, in larga parte, alle innovazioni introdotte dalla legge n. 11 del 2005, contiene, all'articolo 1, la delega per l'attuazione delle direttive contenute negli allegati A e B: nel testo proposto dalla Commissione, una sola direttiva nell'allegato A, ventidue direttive nell'allegato B e una nell'allegato C. L'allegato B si differenzia dal primo in quanto sugli schemi dei decreti legislativi di recepimento è previstoPag. 110il parere dei competenti organi parlamentari. Il passaggio di numerose direttive dall'allegato A all'allegato B, risultante dall'approvazione di emendamenti proposti dalle Commissioni di merito o dal relatore, è volto, appunto, ad un rafforzamento delle prerogative parlamentari e ad un più forte coinvolgimento del Parlamento nel procedimento di emanazione dei decreti legislativi di attuazione; attuazione che segna, in Italia, gravi ritardi. Proprio per far fronte a tale problema, su proposta del Governo, oltre ad inserire nell'allegato B ulteriori direttive da recepire, sono stati ridotti i tempi di delega: il termine di diciotto mesi previsto nel testo del disegno di legge è stato portato a dodici mesi, che si riducono a sei nel caso che il termine di recepimento sia già scaduto o scada nei sei mesi successivi all'entrata in vigore della legge comunitaria in esame.
Il disegno di legge prevede, inoltre, il cosiddetto doppio parere parlamentare per due ipotesi specifiche, ossia allorché il Governo non intenda conformarsi alle condizioni relative all'osservanza dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione ovvero nel caso di norme concernenti sanzioni penali (comma 9). In tali casi, l'esecutivo è tenuto a trasmettere di nuovo i testi alle Camere, corredati dei necessari elementi integrativi, affinché le Commissioni competenti si esprimano, rispettivamente, entro venti e trenta giorni. In base ad un emendamento che recepisce il parere espresso dalla Commissione bilancio, tale procedura si applica in ogni caso ad una serie di direttive specificamente indicate, contenute nell'allegato B, per le quali la Commissione medesima ha rilevato profili finanziari particolarmente rilevanti.
Il comma 6 dell'articolo 1 reca una significativa novità rispetto ai contenuti consueti, autorizzando il Governo - entro tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi adottati per il recepimento di direttive per le quali la Commissione europea si sia riservata di adottare norme di attuazione - a recepire tali disposizioni attuative, allorché effettivamente adottate, con regolamenti governativi, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988. Al riguardo, si ricorda che il comma 6 dell'articolo 1 della legge comunitaria per il 2005 prevedeva la possibilità di adottare decreti legislativi integrativi e correttivi, al fine di tener conto delle eventuali disposizioni di attuazione di specifiche direttive, adottate dalla Commissione europea. La norma in esame, pertanto, risponde ad analoghe esigenze, fornendo però una risposta maggiormente completa, in quanto generalizza tale possibilità, svincolandola da riferimenti specifici a singole direttive, ed utilizza lo strumento del regolamento governativo al posto del decreto legislativo integrativo e correttivo.
Il comma 7 dell'articolo 1 richiama l'applicazione della consueta clausola di cedevolezza attraverso il rinvio alle disposizioni contenute nell'articolo 11, comma 8, della legge n. 11 del 2005, da applicare in relazione a quanto previsto dagli articoli 117, quinto comma, della Costituzione e 16, comma 3, della citata legge n. 11. Tale disposizione prevede, infatti, un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle regioni nell'attuazione delle direttive, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dei principi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato.
Il comma 8, introdotto durante l'esame in Commissione, ripropone due disposizioni, peraltro già presenti nelle ultime leggi europee, con cui si prevede la trasmissione, da parte del ministro per le politiche europee, di una relazione al Parlamento, qualora una o più deleghe conferite dalla legge comunitaria non risulti esercitata trascorsi quattro mesi dal termine previsto dalla direttiva per la sua attuazione, nonché un'informativa periodica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza. Anche in questo provvedimento, come nella legge comunitaria per il 2005, viene prevista l'attuazione di direttive attraverso lo strumento regolamentare. Infatti, il successivo articolo 6 autorizza ilPag. 111Governo a dare attuazione alle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato C con uno o più regolamenti di delegificazione, secondo quanto disposto dagli articoli 9 e 11 della legge 4 febbraio 2005, n. 11. Gli schemi di regolamento dovranno poi essere sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si esprimono entro quaranta giorni dall'assegnazione.
Si ricorda, infine, che nella relazione illustrativa del disegno di legge, come risulta dall'integrazione presentata dal ministro per le politiche europee durante l'esame in Commissione, sono indicate le direttive da recepire in via amministrativa.
L'articolo 2 del disegno di legge contiene, come di consueto, i principi e criteri direttivi delle deleghe, mentre l'articolo 3 reca la delega al Governo per la disciplina sanzionatoria della violazione di disposizioni comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa. L'articolo 4 riguarda gli oneri per prestazioni e controlli e l'articolo 5 dispone interventi di riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie.
Durante l'esame in Commissione, è stato introdotto il nuovo capo II, che introduce due articoli nella legge n. 11 del 2005. Sulla base del parere espresso dalla Commissione bilancio, sono state infatti introdotte due nuove previsioni dirette a garantire al Parlamento un'informativa completa e tempestiva, rispettivamente, sulle sentenze e sulle procedure di contenzioso riguardanti l'Italia e le relative conseguenze finanziarie, e sui flussi finanziari con l'Unione europea.
Nell'ambito del capo III, l'articolo 7 del disegno di legge (Individuazione di principi fondamentali in particolari materie di competenza concorrente) contiene un'ulteriore novità di indubbio rilievo. Esso, infatti, è volto ad individuare i principi fondamentali nel rispetto dei quali regioni e province autonome esercitano l'attività legislativa in talune materie di competenza concorrente (tutela e sicurezza del lavoro e tutela della salute), limitatamente al recepimento degli atti comunitari contemplati dal disegno di legge in esame.
Durante l'esame in Commissione, recependo così il parere formulato dalla Commissione giustizia, è stato soppresso il comma 3, concernente le professioni, in quanto la definizione dei principi fondamentali in tale materia sono già individuati dal decreto legislativo n. 30 del 2006.
Nonostante le novità introdotte dal provvedimento in esame, si osserva che al suo interno non vengono ancora utilizzati alcuni degli strumenti predisposti dall'articolo 9 della legge n. 11 del 2005. Infatti, nell'ambito del provvedimento non si rinvengono, tra l'altro, le disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea, nonché quelle dirette a dare attuazione a decisioni o decisioni quadro adottate in base all'articolo 34 del Trattato sull'Unione europea, nell'ambito del terzo pilastro. A quest'ultimo riguardo si segnala che risultano adottate dall'Unione europea alcune decisioni quadro rilevanti, quali ad esempio le decisioni quadro 2005/212/GAI, in materia di confisca dei proventi di reato, e 2005/214/GAI, concernente il principio del reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie.
Al capo IV, relativo a misure specifiche di adempimento, l'articolo 8 reca i principi e criteri direttivi specifici per il recepimento della direttiva 2005/14/CE, concernente l'assicurazione della responsabilità civile. Poiché, tuttavia, la delega per il recepimento, che scadrà il 23 agosto 2007, è stata già conferita con la legge comunitaria 2005, durante l'esame in Commissione la norma è stata riformulata nel senso di riferirla più correttamente alla legge n. 29 del 2006. Sempre durante l'esame in Commissione, sono stati introdotti due nuovi articoli che, recependo il parere della I Commissione, dettano criteri e misure specifiche per il recepimento delle direttive 2005/71/CE e 2005/85/CE relative, rispettivamente, alla procedura per l'ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica (articolo 8-bis) prevedendo che la domanda di ammissione possa essere accettata anche quandoPag. 112il cittadino del paese terzo si trovi già in Italia, e alle procedure ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (articolo 8-ter).
È stato viceversa soppresso, con l'accoglimento di un emendamento del Governo, l'articolo 9 in tema di disciplina della titolarità delle farmacie. Oltre a destare alcune perplessità circa l'effettiva rispondenza della norma alle direttive comunitarie, l'articolo in esame insisteva infatti sulla medesima disciplina già oggetto dell'articolo 5 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, in corso di conversione.
Il capo reca, altresì, diverse disposizioni di attuazione diretta di direttive comunitarie, tra i quali l'articolo 10 in materia di diritti acquisiti per l'esercizio della professione di odontoiatra e l'articolo 13, comma 1, lettera a), in materia di prodotti fitosanitari; nonché vari articoli volti a dare esecuzione, ovvero a consentire l'effettiva attuazione nel nostro ordinamento di alcune disposizioni di regolamenti comunitari. In particolare, si ricorda l'articolo 14, modificato per recepire il parere della XIII Commissione, che contiene criteri direttivi per le modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, in materia di immissione in commercio e vendita di prodotti fitosanitari; l'articolo 16, che reca disposizioni per la tutela dei consumatori, e l'articolo 17, anch'esso modificato per recepire il parere della XIII Commissione, che interviene nel settore delle comunicazioni periodiche all'AGEA in materia di produzione di olio di oliva.
È stata inoltre aggiunta la disposizione di cui al nuovo articolo 15-bis che, in applicazione della direttiva 2001/77/CE, relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, è diretta a risolvere una situazione che vede l'Italia colpita da una procedura di infrazione, anche se è emersa la necessità di un approfondimento sulle modalità del ripristino della norma comunitaria.
È stato, invece, soppresso l'articolo 15 del disegno di legge, recante disposizioni in materia di alimenti per animali, recependo il parere della Commissione giustizia, che ha rilevato l'assenza dei principi e criteri direttivi prescritti dall'articolo 76, comma 2, della Costituzione, essendo espressa in tale articolo una mera finalità.
Nell'ambito del capo in esame, peraltro, vi sono alcune norme che non sembrano direttamente finalizzate a dare attuazione ad atti ovvero ad obblighi comunitari. Tra questi, si segnalano l'articolo 11, finalizzato ad introdurre sanzioni per la violazione delle disposizioni in materia di tecniche di classificazione, e l'articolo 13, comma 1, lettera b), volto ad aumentare il numero degli esperti di cui può avvalersi la commissione consultiva di controllo per l'immissione in commercio di prodotti fitosanitari, disciplinata dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 194 del 1995. Tale disposizione non è stata peraltro modificata durante l'esame in Commissione. Desta, inoltre, qualche perplessità circa l'effettiva rispondenza alle direttive comunitarie la previsione di cui all'articolo 12, peraltro non modificato in Commissione, che modifica l'articolo 7 del decreto legislativo n. 174 del 2000, riguardante il rilascio dell'autorizzazione all'immissione sul mercato e l'utilizzazione dei biocidi. È pertanto opportuno un ulteriore approfondimento al riguardo.
È stato invece soppresso, durante l'esame in Commissione, accogliendo una proposta emendativa del Governo, l'articolo 18, riguardante la trasformazione del Centro nazionale di informazione e documentazione europea (CIDE)...
PRESIDENTE. Dovrebbe concludere...
ROSELLA OTTONE, Relatore sul disegno di legge n. 1042. Concludo, Presidente, chiedendo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative della mia relazione.
PRESIDENTE. Onorevole relatore, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il relatore sul Doc. LXXXVII, n. 1, onorevole Gozi.
SANDRO GOZI, Relatore sul Doc. LXXXVII, n. 1. Signor Presidente, onorevole ministro e onorevoli colleghi, l'esame della Relazione annuale costituisce uno dei principali strumenti a disposizione del Parlamento per avere un confronto ad ampio raggio di politica europea con il Governo e soprattutto per affrontare le grandi priorità di politica europea nell'anno in corso e a venire.
Ritengo che sia proprio sulle priorità da affrontare nei prossimi mesi che dobbiamo questa sera concentrarci, anche in vista della bozza di risoluzione che abbiamo predisposto a grande maggioranza. Un confronto infatti appare quanto mai necessario in questo momento in cui l'Europa sta attraversando un periodo di grandissime difficoltà. Stiamo infatti sperimentando una vera e propria crisi di coerenza del progetto europeo e ritengo che l'Italia, riprendendo la sua tradizionale politica europeista e forte della grande esperienza e credibilità europea di molti membri dell'attuale Governo, debba attivarsi per rafforzare la democrazia europea e promuovere iniziative ed alleanze con tutti i paesi più favorevoli ad un approfondimento dell'integrazione politica, a cominciare dalla Germania.
Quindi, nell'immediato, è chiaro che è l'adozione di una dichiarazione politica del Consiglio europeo, prevista per il 25 marzo 2007 a Berlino, che dovrà rappresentare l'avvio di una nuova fase di riforma costituzionale da concludersi prima delle elezioni europee del 2009; elezioni che dovranno essere l'occasione per sottoporre la nuova soluzione istituzionale al giudizio dei cittadini europei.
A mio avviso, occorre mantenere una dinamica positiva al fine di verificare la possibilità di salvare il progetto di Trattato costituzionale oppure, se venisse constatata l'impossibilità di procedere in tal senso, di utilizzare le parti più innovative del Trattato come base di partenza e punto di riferimento per i futuri negoziati. Non possiamo certo limitarci nei mesi a venire ad aspettare la futura riforma istituzionale; dobbiamo favorire tutte le iniziative volte a realizzare solidarietà concrete in settori strategici come la sicurezza, la politica energetica o la ricerca. Dobbiamo poi rafforzare la governance economica e sociale della zona euro: è attorno all'eurogruppo che possiamo già oggi approfondire l'integrazione politica.
L'unione economica va però rafforzata; la scarsità di posizioni comuni della zona euro e la mancanza di obiettivi chiari sui problemi strategici mettono in difficoltà l'Europa nel mostrare la sua globale leadership economica.
Nell'immediato, l'Italia dovrebbe dunque adoperarsi per sviluppare il coordinamento delle politiche economiche e finanziarie, lanciare nuove iniziative in campo sociale, fiscale e societario, anche attraverso cooperazioni rafforzate, proporre una rappresentanza unitaria della zona euro a livello internazionale. In parallelo, la strategia di Lisbona deve progressivamente diventare il vero quadro strategico entro cui realizzare - è già stato iniziato - il programma di modernizzazione del nostro paese.
A tal fine, è fondamentale verificare se il piano per l'innovazione, la crescita e l'occupazione, il cosiddetto PICO, adottato dal Governo precedente, richieda interventi di adeguamento o di aggiornamento. In vista della presentazione da parte del Governo del primo rapporto sull'attuazione del piano alla Commissione europea, previsto per il 15 ottobre, credo che sarà importante un dialogo tra Parlamento e Governo.
Per quanto riguarda la dimensione esterna, dobbiamo certamente procedere con convinzione sulla via dell'unificazione continentale, sostenendo l'ingresso della Bulgaria e della Romania a partire dal 1o gennaio 2007 e insistendo per una progressiva adesione all'Unione di tutti i paesi dei Balcani. Più in generale, per quanto riguarda la politica estera e di sicurezza comune, è chiaro che ogni giorno paghiamo un costo sempre più elevato a causa della «non Europa» a livello internazionale. Bisogna attivarsi subito, innanzitutto, in attesa di una riforma più profonda delle istituzioni, per migliorare la coerenza tra i vari strumenti di politicaPag. 114esterna dell'Unione, anche tra Unione e Stati membri, e per sfruttare pienamente tutto il potenziale della dimensione esterna delle varie politiche comuni (mercato interno, trasporti, ambiente, eccetera). Ciò vale in particolare nella politica di vicinato, che riveste una grandissima importanza per l'Italia, soprattutto nel Mediterraneo.
Nell'immediato, occorre sostenere gli sforzi del Governo volti a creare una Banca euromediterranea. Più in generale, dobbiamo avviare nuove politiche di sviluppo condivise anche attraverso istituzioni comuni, in cui i paesi mediterranei possano lavorare con pari dignità e responsabilità. Per quanto concerne invece lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, è opportuno nell'immediato concentrarsi sul cosiddetto «pacchetto Frattini» e in particolare su priorità come l'approccio comune all'immigrazione, la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata.
Va poi sostenuta la proposta di passare al voto a maggioranza per la cooperazione di polizia giudiziaria penale e l'immigrazione legale. Mantenere il diritto di veto, infatti, significa condannare l'Unione allargata alla paralisi e in definitiva negarne l'esistenza. Vi sono poi altre priorità settoriali, su cui non mi soffermo in questa sede, rinviando alla relazione.
Vorrei invece concludere sottolineando la necessità sempre più pressante di assicurare una partecipazione più efficace del nostro paese ai processi decisionali europei. Il miglioramento di tale partecipazione deve infatti costituire una delle questioni prioritarie da affrontare in questa legislatura, per tutelare meglio i nostri interessi nazionali e per assicurare un più alto grado di conformità dell'ordinamento nazionale a quello europeo. Le indicazioni che il ministro Bonino ha dato in occasione della sua audizione in Commissione vanno decisamente nella buona direzione. Credo che la credibilità e l'influenza dell'Italia in Europa dipendano anche dalla nostra capacità di dare un seguito tempestivo agli impegni assunti a livello comunitario.
L'attività di recepimento della normativa comunitaria è stata notevolmente influenzata dalle importanti innovazioni legislative apportate nel 2005. Tuttavia, il numero delle procedure di infrazione pendenti nei confronti dell'Italia rimane elevatissimo sia in valori assoluti sia in comparazione ad altri Stati membri. A tal fine, il Governo e il Parlamento dovrebbero valutare alcune nuove piste per migliorare il grado di adempimento, ad esempio riducendo i tempi previsti per la preparazione e l'approvazione della legge comunitaria ed organizzando una sessione comunitaria dei lavori parlamentari. È fondamentale compiere ulteriori passi in avanti in questa materia. Essere a favore della «massima Europa possibile», infatti, significa senza dubbio riportare l'Italia sul solco della sua tradizione europeista e riprendere un ruolo politico propositivo per la realizzazione dell'unione politica. Ma significa anche portare più Europa in Italia, dando così una spinta decisiva ad un ampio processo di riforma e innovazione, sempre più urgente innanzi alle sfide che l'Italia deve affrontare in questa legislatura.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
EMMA BONINO, Ministro delle politiche europee e del commercio internazionale. Mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Li Causi. Ne ha facoltà.
VITO LI CAUSI. Onorevole ministro, onorevoli colleghi, siamo questa sera a discutere di legge comunitaria; norma importante contenente le classiche disposizioni per gli adempimenti degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunità europea.
La legge comunitaria per il 2006 è la seconda dopo l'intervenuta riforma della cosiddetta legge La Pergola del 2005, che ha molto ampliato i contenuti della legge comunitaria in modo da adeguarla allePag. 115esigenze emerse soprattutto in seguito alle modifiche del Titolo V della Carta costituzionale. La legge in questione per il 2006 è complessa; tuttavia, desidero in questo mio intervento passare in rassegna in maniera sintetica alcuni punti salienti della stessa.
Dopo l'indicazione, come di consueto prevista all'articolo 1, della delega per l'attuazione delle direttive comunitarie (contenute negli allegati A e B), nei commi successivi sono indicate rilevanti disposizioni relative a particolari innovazioni introdotte già con le due ultime leggi comunitarie, ovvero quelle per il 2004 e per il 2005. In particolare, è dato obbligo di redigere la relazione tecnica sugli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione di determinate direttive che comportino conseguenze finanziarie, con il particolare pregio di non indicare specifiche direttive come avveniva nelle precedenti leggi comunitarie, ma estendendo l'obbligo a tutte. Inoltre, è previsto, al comma 4 dell'articolo 1 di tale disegno di legge, un doppio parere parlamentare a carico delle Commissioni nel caso in cui il Governo non si conformi all'obbligo, previsto dall'articolo 81 della Costituzione, di indicare, nell'ipotesi di introduzione di nuove spese, i mezzi con cui farvi fronte. Noi parlamentari dobbiamo essere soddisfatti di ciò. Infatti, rammento che il doppio parere è stato introdotto per contenere - mi si passi questa espressione - il Governo quando lo stesso non intende conformarsi ai pareri parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi dei decreti legislativi, cui ho accennato prima. In questi casi, il Governo è tenuto a ritrasmettere tutto alle Camere per il parere definitivo.
Da ultimo, per ciò che consiste la forma, devo segnalare, così come convenuto dagli uffici della Camera in sede di istruttoria legislativa, una novità e due lacune. La novità, introdotta al comma 6 dell'articolo 1, a mio modesto parere, è particolarmente rilevante ed è data dalla possibilità per il Governo di recepire entro tre anni le disposizioni attuative, eventualmente adottate dalla Commissione europea, relative alle direttive di cui sopra tramite l'uso dei regolamenti governativi ai sensi della ben nota legge n. 400 del 1988. Ciò è particolarmente importante perché ritengo che solo il Governo, e in particolare il ministro delle politiche europee, può avere il polso della situazione, monitorando il lavoro della Commissione europea, ed essere, grazie a questa previsione, organo agile e pronto al recepimento di tali norme di attuazione. Tutto ciò avviene sicuramente in modo più celere e qualitativamente più elevato di quanto non possa fare un intero ramo del Parlamento, se non proprio tutti e due i rami. Tra l'altro, la possibilità di procedere al recepimento degli atti comunitari anche attraverso regolamenti governativi era già prevista da ben 17 anni, ma non aveva mai trovato attuazione, soprattutto in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, che aveva generato non pochi problemi applicativi in merito ai limiti da porre alle singole potestà legislative.
Sempre molto importanti appaiono i procedimenti di semplificazione previsti dall'articolo 6. Procedimenti, questi, in materia di regolamenti governativi, di delegificazione e conseguenti pareri delle Commissioni competenti delle Camere, che risultano essere reintrodotti dopo lungo tempo solo dalla legge comunitaria per il 2005.
Per quanto attiene alle lacune, non posso non segnalare che nella legge comunitaria in questione non sono previste né la relazione al Parlamento sull'omissione di esercizio delle deleghe conferite, né l'informativa periodica a carico del Ministero delle politiche europee sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome.
Un'altra grave lacuna - e concludo - pare rinvenirsi all'articolo 7 del disegno di legge in questione, volto ad individuare i principi fondamentali nel rispetto dei quali regioni e province autonome possono attuare il diritto comunitario relativamente ai settori della sicurezza sul lavoro, della tutela della salute ed, infine, in materia di professioni. Nonostante le numerose novità testè ricordate, infatti, il contenuto del disegno di legge in esamePag. 116non sembra ancora rispondere a quanto stabilito dall'articolo 9 della cosiddetta legge La Pergola.
Sempre come segnalato dagli attenti uffici della Camera, all'interno del provvedimento non sono contenute le disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo delle regioni, previsto al quinto comma dell'articolo 117 della Costituzione.
Vorrei richiamare l'attenzione del Governo sempre sull'articolo 7 del disegno di legge comunitaria in esame, con particolare riferimento al comma 3, riguardante i principi fondamentali nel rispetto dei quali regioni e province autonome possono attuare il diritto comunitario in materia di professioni. Ebbene, colleghi, signor ministro, i Popolari-Udeur hanno già presentato un emendamento soppressivo di tale comma 3, perché esso non precisa, come invece viene fatto negli altri due commi, che i principi fondamentali enunciati sono volti a garantire l'attuazione degli atti comunitari, di cui agli allegati alla legge comunitaria in materia di professioni. Inoltre, vengono in esso richiamati principi già contenuti nel decreto legislativo n. 30 del 2006.
Conseguentemente, con tale tipo di disposto, così come sottolineato dagli uffici del Servizio studi della Camera, la portata della norma stessa risulta essere molto ampia, di dubbia utilità, in quanto già prevista dal decreto legislativo appena citato. Peraltro, all'interno degli allegati alla legge comunitaria pare non siano previste direttive relative alla materia delle professioni, non comprendendo quindi il principio ispiratore della volontà di inserire tale previsione all'interno di detto articolo.
Per quanto attiene alle direttive previste negli allegati, i Popolari-Udeur sono favorevoli al recepimento della direttiva 2003/71 della Comunità europea, che disciplina il progetto da pubblicare per l'offerta pubblica e gli strumenti finanziari, il cui termine di recepimento era previsto per il 1o luglio 2005 e il cui dettato normativo, nonostante una legge apposita sulla tutela del risparmio (legge n. 262 del 2005), non si è ancora provveduto a recepire.
Concludo, Presidente, ministro, dichiarando che i Popolari-Udeur voteranno a favore del suddetto disegno di legge.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, signor ministro, anche noi intendiamo dare un contributo a questa discussione, anche se la legge comunitaria che viene sottoposta al nostro esame doveva e poteva essere migliore. Se dovessimo esprimere un punteggio su di essa, dovremmo darle un cinque o un sei, con una votazione ai limiti della sufficienza.
Non dimentichiamo che il presente disegno di legge comunitaria va a cozzare subito con uno dei limiti delle leggi nazionali. Il peccato originale va ricercato nella modifica del Titolo V della parte seconda della Costituzione che prevede, la clausola di cedevolezza, con la quale molte competenze sono state assegnate alle regioni medesime. Essendo venti le regioni, difficilmente riusciremo a far loro comprendere cosa debbono fare e dove sbagliano, andando a cozzare contro le leggi comunitarie.
Quell'errore si manifesta soprattutto in fase di applicazione della legge comunitaria.
Data l'ora tarda, affronterò rapidamente alcune questioni, al fine di fornire al signor ministro alcuni spunti utili. Vorrei infatti ricevere, nella sua replica, alcune risposte proprio rispetto alle osservazioni puntuali che cercherò di formulare.
Vorrei ricordare che, in campo energetico, una disposizione del provvedimento in esame sopprime la concessione dei cosiddetti certificati verdi relativi all'energia ricavata dalla frazione non biodegradabile dei rifiuti. Ciò ai fini di una corretta applicazione della direttiva 2001/77/CE, recepita con il decreto legislativo n. 387 del 2003, a sua volta oggetto di una prima attuazione ad opera del decreto ministerialePag. 1175 maggio 2006. Ciò comporterebbe due gravi problemi. Il primo è costituito dalla soppressione dei rifiuti non biodegradabili dalle fonti energetiche rinnovabili, che invece era la condizione appositamente prevista, per l'Italia, proprio dalla direttiva testè menzionata.
Il secondo problema riguarderebbe la disincentivazione dell'utilizzo dei rifiuti non biodegradabili quali fonti energetiche rinnovabili, i quali, al contrario, consentirebbero di soddisfare gli impegni assunti con la ratifica del Protocollo di Kyoto.
Nell'allegato contenuto nella direttiva 2001/77/CE, infatti, era stata inserita una nota che rendeva esplicita, per l'Italia, la necessità di considerare anche la quota non biodegradabile dei rifiuti al fine di raggiungere l'obiettivo nazionale di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili, fissato al 25 per cento nel 2010.
Credo fortemente, inoltre, che la legge n. 409 del 1985 non possa avere efficacia retroattiva: pertanto, il cittadino iscritto ad una facoltà precedentemente all'entrata in vigore di un provvedimento che riordina la materia odontoiatrica dovrebbe poter svolgere tutte le attività consentite da tale diploma o laurea prima dell'introduzione di tali modifiche legislative. Mi domando, inoltre, chi sia l'autorità competente in grado di attestare il compimento dei cicli di studio di almeno tre anni.
Per quanto riguarda i prodotti fitosanitari, sono favorevole a norme maggiormente restrittive.
Nel campo delle trasfusioni, invece, bisognerebbe disciplinare anche quelle a domicilio, poiché non sono contemplate e, a mio avviso, si tratta di una lacuna notevole. Per quanto concerne il budget, sarebbe meglio essere più prudenti fino ad eventuali eccedenze negative definitive; riguardo al mercurio ed al fluoro, invece, vorrei osservare che dovrebbero essere contenuti a bassi livelli nei mangimi per gli animali, anche se il mercurio è presente in forma inorganica.
Se dovesse essere convertito in legge il cosiddetto decreto Bersani, ritengo che la nostra competitività, nonché soprattutto la reciprocità, verrebbero meno per numerose nostre imprese. Inoltre, ragionando a voce alta, vorrei osservare che, se si volesse individuare un caso splendido di bisogno dei cittadini che matura in anticipo rispetto sia a quanto il legislatore riesca a regolare, sia a quanto le opportunità tecnologiche maggiormente di moda intendano offrire, troveremmo nella rintracciabilità dei prodotti il nostro esempio.
A tale riguardo, con il regolamento della Comunità europea n. 178 del 2002, il cosiddetto «pacchetto igiene» ed una miriade di normative sugli OGM, sull'agricoltura biologica, sulle frodi alimentari, sulle acque minerali, sull'etichettatura e sulla rintracciabilità dei prodotti, la Commissione europea ed il legislatore italiano cercano di dare risposta al bisogno di sicurezza alimentare espresso dai consumatori.
Si tratta, infatti, di una sicurezza che è oggettivamente messa a rischio da due macrodinamiche. La prima è costituita dalla sempre più pressante spinta all'industrializzazione della produzione di beni alimentari e delle loro materie prime, mentre la seconda è rappresentata dalla distribuzione sull'intera superficie terrestre delle filiere attraverso le quali si passa dalla produzione primaria alla tavola dei cittadini. Il settore automobilistico e quello aerospaziale militare hanno ormai esperienza consolidata nella registrazione dei dati riguardanti ogni singolo pezzo, ogni singola attività, per rendere possibile il richiamo di numeri di serie con componenti difettose, il monitoraggio sull'idoneità degli operatori che lavorano sui singoli pezzi o la localizzazione in tempo reale di uomini, materiali e mezzi.
Nella produzione primaria vegetale e animale tutto è ancora molto incerto e sicuramente meno controllato, soprattutto a causa della dispersione e frammentazione territoriale delle produzioni. Anche la trasformazione alimentare, farmaceutica, cosmetica e la distribuzione dei relativi semilavorati e prodotti finiti non ha ancora raggiunto il grado di documentazione ormai consolidato nel settore meccanico o elettronico.Pag. 118
L'Europa è ad oggi l'area economica più attrezzata dal punto di vista legislativo in relazione alla sicurezza alimentare, avendo introdotto standard elevati sulle produzioni. Tuttavia, l'economia di mercato - quindi la concorrenza con altri blocchi economici e la progressiva trasformazione verso la comunità dei consumatori e meno dei produttori - innesca processi di decentramento produttivo e di dismissione che spingono l'import a gravare sempre di più sulla bilancia commerciale dei paesi membri.
In tale quadro di riferimento, è necessario perseguire sia una politica di elevati standard qualitativi e di sicurezza, sia una politica di controlli stringenti sui prodotti e semilavorati che provengono dai paesi membri con normative diverse e da aree extracomunitarie meno soggette a restrizioni.
Contestualmente alla complessa discussione in corso in diversi ambiti politico-istituzionali sui regolamenti da adottare per l'uso e per il commercio di prodotti considerati a rischio (biocidi, fitosanitari, confezionamento, coloranti per cosmetici), risulta opportuno introdurre un dispositivo di registrazione dei dati relativi a: chi usa i prodotti regolamentati e da regolamentare; quali prodotti, ingredienti e materie prime vengono usate; dove vengono usati, in quali prodotti e in che quantità; da dove proviene il prodotto, l'ingrediente o la materia prima utilizzata; dov'è destinato il prodotto finale.
Questi dati non sono semplicemente quelli già registrati per obbligo di legge e relativi alla tracciabilità interna, ma collegano automaticamente i vari attori della filiera, a partire dal produttore di agrofarmaci fino al punto di immissione di un prodotto sul mercato.
L'approccio preventivo e il dispositivo di tracciabilità automatica aggiungono la capacità di intervenire, mettendo gli organi preposti in grado di attivare la reazione: ritiri, richiami, controlli di filiera.
Alcuni enti si sono già mossi - ad esempio, le province autonome di Trento e Bolzano e la Lombardia - nella direzione di coordinare la gestione operativa del sistema di allerta, ma la mancanza di armonizzazione rende tali proposte efficaci solo in ambiti locali e non risponde alla realtà globalizzata e più a rischio. Questo è il peccato originale che, come vi dicevo, deriva dalla modifica del Titolo V della Costituzione!
Se lo Stato, attraverso i ministeri, vuole rendersi responsabile della sicurezza alimentare dei suoi cittadini, deve proseguire nel percorso intrapreso negli ultimi anni, con l'obiettivo del riordino e della semplificazione della normativa, non fermandosi alla definizione degli standard, ma costruendo un dispositivo informativo armonizzato e condiviso con il decentramento amministrativo, che ponga gli organismi competenti in grado di sapere dove o con chi intervenire.
La piattaforma di interscambio dei dati di rintracciabilità - il Global traceability data exchange - sarà quindi il momento saliente del quale dovrà occuparsi questa legge comunitaria.
Il divieto di immissione sul mercato di prodotti nocivi per l'uomo e l'obbligo dell'autocontrollo sono da affiancare ad un sistema informativo che minimizzi i costi economici e sociali di eventi avversi, così da trasmettere al cittadino la realtà di una amministrazione pubblica consapevole, presente, organizzata ed efficace sul fronte della sicurezza alimentare dei propri cittadini.
Per concludere, vorrei svolgere altre due riflessioni. La prima riguarda la discussione che abbiamo già svolto sull'indulto: la Corte di Strasburgo ha risparmiato all'Italia, per un solo voto di scarto (9 a 8), l'onta della condanna per tortura, proprio perché non applichiamo nessuna delle leggi che l'Europa indica.
L'ultima considerazione riguarda le direttive 75/862/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, che prevedevano che le attività di formazione dei medici specialisti, a tempo pieno o ridotto, dovessero essere adeguatamente remunerate. Tutti gli Stati membri dovevano adeguarsi a tale disposizione entro il termine ultimo del 31 dicembre 1982. La nostra legislazione lo ha fattoPag. 119soltanto dall'anno accademico 1991-1992, lasciando fuori tutto il periodo dal 1981-1982.
Questo buco normativo, che riguarda il riconoscimento dell'equipollenza del titolo di specializzazione per l'assegnazione di borse di studio ai medici specializzandi ammessi alle scuole di specializzazione dal 1982 al 1991 deve essere per forza colmato, perché, altrimenti, è inutile che parliamo di Europa e di integrazione in Europa. Qualcuno dice che bisognerebbe estendere l'Europa anche ai paesi balcanici, quali la Bulgaria e la Romania. Non ci siamo ancora integrati ai primi 15 e poi 25 paesi, faremo ancora più fatica ad andare oltre! Mi sembra che il locomotore stia perdendo molti vagoni, se non cerchiamo di rendere concreta la nostra azione e se lasciamo che le leggi comunitarie non siano applicate.
Con queste considerazioni, che ho svolto in modo abbastanza disordinato, stringendo i tempi e saltando molte pagine del mio intervento, ho cercato di esprimere il concetto del gruppo che rappresento. Aspettiamo le considerazioni del ministro per decidere se votare a favore o contro o se ci asterremo rispetto a questa legge comunitaria. Ci auguriamo che le assicurazioni che ci fornirà il ministro saranno tali e tante da poterci permettere di votare favorevolmente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gianni Farina. Ne ha facoltà.
GIANNI FARINA. Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, il disegno di legge del Governo che fissa gli adempimenti e gli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunità europea mi sembra, come efficacemente affermato, d'altronde, dalla relatrice, onorevole Rosella Ottone, il momento principale della partecipazione dell'Italia alla fase attuativa della normativa europea.
Il recepimento delle direttive comunitarie, non solo per il nostro paese, è stato e rimane, in parte, una pagina dolorosa e incompiuta del lungo processo di crescita di un nuovo concetto di cittadinanza in cui si riconosce l'insieme dei cittadini dell'Unione, responsabilmente coscienti di dover porre in atto e rispettare regole condivise e comuni.
Va pure detto che, come è stato affermato dalla relatrice, l'Italia è passata da un recepimento dell'80 per cento nel 1990 all'attuale 97 per cento. Mi sembra un risultato che va sottolineato e che ci pone, se non in prima fila, fra i grandi paesi europei, ove non sono mancate, in settori importanti della vita sociale e politica, inadempienze anche gravi, che hanno penalizzato spesso drammaticamente milioni di nostri connazionali che vivono e operano nell'Unione europea. Sono infrazioni e inadempienze nel campo della tutela e dell'assistenza, dei diritti previdenziali e pensionistici, del libero esercizio delle professioni, del riconoscimento della pari dignità culturale e della libera circolazione degli uomini e delle idee. Infrazioni e inadempienze per cui è stato spesso necessario il ricorso - e non solo da parte dell'Italia - alla Corte di giustizia della Comunità europea del Lussemburgo.
Credo che la Carta dei diritti fondamentali, che fu approvata dal Consiglio dei ministri a Nizza, inserita poi nel Trattato costituzionale dell'Unione europea, abbia rappresentato, a mio modo di vedere, a suo tempo, un ulteriore passo in avanti nell'accidentato percorso di armonizzazione di leggi e normative comunitarie.
Alla luce di tali considerazioni e tenendo presente le enormi difficoltà che i cittadini comunitari incontrano nel loro vivere quotidiano, nell'interpretare norme, regolamenti e direttive dalla cui applicazione o meno dipendono spesso progetti e realizzazioni di vitale importanza per tanti cittadini comunitari, mi appare di straordinaria importanza l'articolo 18 del disegno di legge in discussione riguardante le forme giuridiche e le nuove modalità operative del Centro nazionale di informazione e documentazione europea (CIDE).
Il CIDE fu istituito con legge 23 giugno 2000, n. 178 e ad esso furono affidati compiti di peculiare importanza per tutti i cittadini europei: la realizzazione di programmi di diffusione dell'informazionePag. 120e della documentazione europea, anche attraverso sportelli decentrati per cittadini e per determinate categorie di utenti (come stabilisce l'articolato); la formazione del personale addetto; il coordinamento delle attività, anche stipulando convenzioni specifiche con altri centri nell'insieme dei paesi europei; un contratto concluso tra la Repubblica italiana e la Comunità europea nella forma detta, a suo tempo, Gruppo europeo di interesse economico (GEIE).
Analogamente, è avvenuto con altri paesi europei dotati di centri funzionanti. Ciò è accaduto a Parigi, a Lisbona e altrove. Il regolamento CEE 2137/85 intese, in tal modo, adottare un particolare strumento giuridico volto a incoraggiare e promuovere la cooperazione transfrontaliera, che preferisco definire modernamente transnazionale.
Lo scopo del GEIE, come afferma il testo di legge attualmente in vigore, è quello di facilitare e sviluppare le attività economiche dei suoi membri: penso alle piccole e medie imprese, alle nuove macroeconomie (questo mi sembra molto interessante) andate formandosi in precise grandi regioni transnazionali. Per quanto riguarda l'Italia del nord, penso a regioni come il Piemonte, la Liguria; penso alla Provence-C|$$|Axote d'Azur, al Rh|$$|Axone-Alp, un insieme di regioni ove lavorano 20 milioni di cittadini che ormai vivono anche coscientemente un destino ritenuto comune.
Ecco spiegata la peculiare importanza dei gruppi europei di interesse economico fino alla naturale scadenza del contratto e, in seguito, delle forme giuridiche e delle modalità che il Governo vorrà stabilire in rapporto all'intesa da stipulare con la Commissione europea. Penso alle migliaia di imprese italiane in Europa ed al supporto informativo e formativo di cui esse hanno bisogno per vincere la sfida della modernità.
Alla luce di tali elementi, l'articolo 18 attribuisce al Governo una forte responsabilità: si tratta di stipulare una nuova intesa con la Commissione europea, di definire la nuova forma giuridica e le modalità operative del CIDE. Al riguardo, si rileva che l'articolo in esame non si coordina con la citata legge n. 178 del 2000, non indica con quale atto il Governo dovrà successivamente provvedere a definire forme giuridiche e modalità operative del CIDE né prevede criteri al riguardo. Io penso che - com'è scritto, d'altronde, nel testo - andrebbe valutata l'opportunità di riformulare la norma, eventualmente in un provvedimento a sé stante (una novella alla legge n. 178 del 2000), individuando in modo più preciso gli elementi indicati in precedenza. In definitiva, si tratta di dare concreta attuazione alle indicazioni dell'articolo 18.
Per questo motivo, nel sottolineare la straordinaria importanza del testo, credo che il mio voto sul provvedimento in esame sarà favorevole.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Castiello. Ne ha facoltà.
GIUSEPPINA CASTIELLO. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, l'esame del disegno di legge comunitaria rappresenta sicuramente il momento più alto della partecipazione del Parlamento alla fase discendente della formazione della normativa comunitaria, lo strumento privilegiato per il sistematico recepimento delle direttive in scadenza e di quelle scadute. Sottolineo che siamo di fronte ad un atto che, negli ultimi anni, ha permesso di snellire le procedure ed i tempi di attuazione delle norme europee. Esso ha consentito, altresì, di accelerare i tempi di modifica di norme interne in contrasto con le disposizioni comunitarie.
Come abbiamo ascoltato già dai relatori, la struttura ed i meccanismi della legge comunitaria, originariamente previsti dalla legge La Pergola del 1989, sono stati modificati e razionalizzati dalla legge n. 11 del 2005. Si è trattato di una legge a cui hanno lavorato congiuntamente tutte le forze politiche, arrivando alla stesura di una nuova disciplina organica della partecipazione dell'Italia al processo di formazione e di attuazione della normativa comunitaria.
La modifica dell'impianto di partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitarioPag. 121si era resa necessaria, d'altro canto, non soltanto per la dinamicità dei cambiamenti determinatisi nel contesto europeo (allargamento degli Stati membri e nuova Costituzione europea), ma anche per le modifiche introdotte nel Titolo V della nostra Costituzione. Queste ultime, in particolare, hanno imposto la necessità di assicurare al Parlamento ed alle regioni un'informazione più tempestiva e qualificata relativamente ai progetti degli atti dell'Unione europea, in modo da potere intervenire in maniera tempestiva nell'ambito del processo decisionale comunitario.
Desidero sottolineare che i problemi e le vicende che hanno contraddistinto l'approvazione delle ultime leggi comunitarie hanno da tempo evidenziato la necessità di un perfezionamento. Tale perfezionamento si è avuto per merito di un provvedimento del Governo precedente, il Governo Berlusconi, che ha provveduto ad introdurre i necessari aggiustamenti ai meccanismi di trasposizione del diritto comunitario ed a meglio regolamentare i rapporti tra i diversi soggetti che partecipano alla definizione e all'attuazione del diritto comunitario.
Le modifiche introdotte hanno permesso una maggiore partecipazione parlamentare degli altri soggetti interessati alla parte ascendente di formazione del diritto comunitario. L'intervento normativo, quindi, si è reso necessario ed è stato circoscritto specificando che la legge comunitaria annuale deve recare ora esclusivamente disposizioni modificative o abrogative di disposizioni vigenti in contrasto con gli obblighi comunitari, disposizioni modificative o abrogative di vigenti norme statali oggetto di procedure di infrazione che possono essere avviate dalla Commissione europea contro l'Italia, nonché disposizioni che autorizzano il Governo ad attuare in via regolamentare le direttive.
Per quanto riguarda il merito del nuovo disegno di legge che stiamo esaminando, voglio sottolineare che il provvedimento è stato costituito ed organizzato secondo le linee portanti già sperimentate nelle precedenti leggi comunitarie. Nella relazione che accompagna il provvedimento, il Governo ci ha riferito dello stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario ed anche dello stato di eventuali procedure d'infrazione. Come, difatti, è emerso ed emerge dalla relazione che accompagna il provvedimento, purtroppo, il nostro paese, nonostante si attesti su una media di attuazione delle direttive pari al 97,4 per cento, si colloca attualmente all'ultimo posto nelle graduatorie dei 25 Stati membri. Infatti, nella relazione che accompagna il provvedimento il Governo ci riferisce che risultano aperte contro l'Italia ben 247 procedure d'infrazione, di cui 190 per violazione del diritto comunitario; e la maggior parte di tali infrazioni sono atti che riguardano materie importanti di cui abbiamo discusso anche in Commissione, quali l'ambiente, i trasporti, l'economia, le finanze e la sanità. È importante ricordare, al riguardo, come la Commissione europea, nella strategia per il mercato interno 2003-2006, chiedesse ai vari Stati membri una riduzione del numero di infrazioni e, quindi, delle procedure d'infrazione per ciò che riguardava il mercato interno di almeno il 50 per cento entro il 2006. Ebbene, dai dati che abbiamo in esame risulta che soltanto cinque Stati membri, tra i quali la Francia, il Belgio, l'Austria, l'Irlanda e i Paesi Bassi, sono riusciti a ridurre, negli ultimi tre anni, il numero di infrazioni. Se si considera il numero complessivo degli Stati membri, ci si rende conto che comunque è sicuramente aumentato il numero di infrazioni e degli Stati che non riescono a raggiungere tale obiettivo.
Vorrei rilevare come nella relazione che accompagna il provvedimento in esame si evidenzino alcuni elementi che riguardano l'attuazione delle direttive da parte delle regioni, in linea con quanto previsto della legge n. 11 del 2005. Sono dati che vengono comunicati normalmente al dipartimento per le politiche comunitarie. Vorrei, per quanto concerne il lavoro svolto anche in Commissione, evidenziare in quest'aula, come da sempre accade in Parlamento, che abbiamo lavoratoPag. 122su tale provvedimento in un quadro di condivisione e di reciproco ascolto. Ho trovato, sia nelle parole dei relatori sia in quelle del ministro, in sede di discussione del provvedimento, un'onestà nel descrivere la situazione del nostro paese rispetto ad un quadro di attenzione e di adeguamento alla normativa europea che presenta alcuni ritardi. Alcuni ritardi possono sicuramente essere recuperati dalla legge comunitaria, ma sempre con alcuni limiti, in ragione del carattere di tale legge.
L'ultima preoccupazione che voglio evidenziare riguarda un aspetto che è stato già registrato nel corso delle fasi di approvazione delle precedenti leggi comunitarie. Mi riferisco al fatto che non sono ancora disponibili gli elenchi e i dati degli atti normativi delle regioni e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie. Riteniamo che il Governo potrebbe richiedere tali dati in sede di Conferenza Stato-regioni. Sono dati essenziali al fine di evitare un'imputazione di responsabilità che ricadrebbe, poi, in capo allo Stato italiano in sede di valutazione e di eventuale esercizio del potere sostitutivo.
Per quanto concerne l'aspetto politico di questa legge, approfittando della presenza in aula del ministro, voglio ricordare - credo che non sia sfuggito a nessuno, né a chi fa politica, né ai nostri concittadini - come l'Europa stia attraversando una situazione che definire di difficoltà ci sembra limitativo, perché non dà il senso del quadro complessivo; infatti, basti ricordare, ascoltare o leggere dichiarazioni e articoli sulla stampa italiana ed estera per capire che esiste un elemento di disagio e di difficoltà.
Noi abbiamo ascoltato, anche negli ultimi mesi, le dichiarazioni da parte di esponenti di questa maggioranza e del Governo; però, non abbiamo ancora capito, non ci è ancora chiaro quale sia la posizione del Governo su questo tema. Forse ciò interessa poco dal punto di vista del dibattito, però riteniamo che l'esecutivo debba pronunciare delle parole chiare per quanto riguarda il contesto dell'Italia in ambito europeo. Ci rendiamo conto che ci sono sicuramente delle difficoltà, ma queste non possono giustificare l'attribuzione della questione a dichiarazioni sparigliate, contraddittorie e molto spesso spontanee che giungono dai banchi della maggioranza. Quindi, riteniamo che su questo tema il Governo, nella sua complessità e unità, ma anche nella sua divisione, debba rendere note le iniziative che intende assumere nel contesto europeo.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
GIUSEPPINA CASTIELLO. Per quanto riguarda il quadro finanziario 2007-2013, emerge una situazione di maggior condivisione anche da parte dei nostri parlamentari europei. Anche in questo caso, sarebbe opportuno che l'esecutivo evidenziasse le linee lungo le quali intende muoversi, sapendo che quando si parla del quadro finanziario dell'Unione europea si parla di numeri, e questi sono sicuramente frutto ed espressione di politiche ben precise e di scelte chiare.
Per quanto riguarda le grandi scelte sulle quali si è costruita l'Europa anche dal punto di vista del quadro finanziario, ricordiamo quelle della solidarietà, del riequilibrio, della coesione e della sussidiarietà; quindi, vorremmo sapere se...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Castiello!
GIUSEPPINA CASTIELLO. Signor Presidente, prendo qualche minuto del tempo che spetta al collega Migliori, che potrebbe rinunciare...
PRESIDENTE. Conferma, collega Migliori?
RICCARDO MIGLIORI. Confermo!
GIUSEPPINA CASTIELLO. Vorremmo sapere, dunque, se nell'azione dell'Italia in ordine alla costruzione del quadro finanziario persistono ancora queste linee fondanti.
Sulla strategia di Lisbona, di cui abbiamo discusso ampiamente in Commissione,Pag. 123e che possiamo condividere, dobbiamo tener presente un dato dal quale non possiamo sfuggire, cioè che c'è un fortissimo ritardo nell'azione della stessa.
Vorrei concludere, ponendo l'attenzione su quello che sta avvenendo in Europa e che riteniamo debba sicuramente destare la nostra preoccupazione ed attenzione. Per questo, vorremmo sapere - rivolgo un invito al ministro affinché lo faccia anche attraverso il Governo - che cosa rappresenta oggi l'Europa per l'Italia; infatti, è necessario sapere se si tratta di un pericolo, di una disgrazia, di un problema oppure se si tratta di una scelta. Noi di Alleanza Nazionale siamo qui per contribuire a migliorarla; quindi, se si tratta di un'opportunità - come noi riteniamo debba essere l'Europa -, vogliamo realizzarla insieme.
Riteniamo che la discussione sul disegno di legge comunitaria non possa ridursi al conteggio degli adeguamenti realizzati nel corso del 2006, ma debba rappresentare l'occasione per poter operare un rilancio o, al limite, per realizzare talune verifiche che, però, debbono tendere a migliorare e ad aggiornare un percorso che deve sicuramente portare a più Europa e non a meno Europa (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Falomi. Ne ha facoltà.
ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, colleghi, i due documenti al nostro esame - la legge comunitaria 2006 e la Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione Europea per l'anno 2005 - avrebbero dovuto essere approvati a conclusione della precedente legislatura dal Governo che allora ne dispose la redazione. Le elezioni politiche generali per il rinnovo delle Camere hanno ulteriormente aggravato il ritardo.
La nascita del Governo Prodi e di una nuova maggioranza, che intende politicamente e programmaticamente caratterizzarsi con una chiara discontinuità rispetto agli indirizzi e alle scelte del Governo di centrodestra, impone che non ci si limiti ad una semplice presa d'atto tecnica dei provvedimenti alla nostra attenzione. Credo che al nuovo Parlamento spetti, pur negli spazi ristretti che gli sono concessi, di introdurre quei mutamenti che diano chiaro il senso di una modificazione della direzione di marcia che occorre realizzare sulle politiche europee. Ciò nell'immediato è possibile, per quanto riguarda la legge comunitaria, attraverso l'approvazione degli emendamenti che il Governo, le Commissioni di merito e la XIV Commissione propongono a questo ramo del Parlamento.
Molti degli emendamenti approvati dalla XIV Commissione evidenziano un tema di grande rilievo politico, ossia il ruolo del nostro Parlamento nel meccanismo di recepimento delle decisioni assunte in sede europea. La questione è stata affrontata implicitamente da alcuni emendamenti che propongono di spostare nell'allegato B alcune direttive riguardanti materie particolarmente significative, in modo che i decreti legislativi che il Governo dovrà adottare passino prima della loro definitiva approvazione al vaglio delle Commissioni parlamentari competenti.
Tuttavia, questa modalità di coinvolgimento del Parlamento non colma, a parere del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, quel gap di legittimazione democratica che caratterizza ancora il processo decisionale europeo.
La rilevanza crescente che le decisioni prese in sede europea assume per la vita degli uomini e delle donne che vivono in ognuno degli Stati membri impone di dare a queste decisioni una legittimità democratica che abbia perlomeno la stessa forza di quella conquistata nel secondo dopoguerra dagli Stati nazionali in Europa.
La sottrazione di competenze agli Stati nazionali senza che ad essa si accompagni un processo di democratizzazione crescente delle istituzioni europee può rischiare di dare al processo di costruzione dell'Europa una funzione di contenimento, o peggio di svuotamento di quella democrazia che ha consentito in molti Stati europei l'inclusione di grandi masse popolari,Pag. 124escluse non solo dai regimi autoritari della prima metà del Novecento, ma anche delle democrazie liberali di inizio secolo.
Non c'è dubbio che l'elezione diretta del Parlamento europeo ed il ruolo ad esso assegnato nel meccanismo di scelta del Presidente e dei singoli membri della Commissione europea costituiscono significativi passi in avanti verso l'Europa a forte legittimità democratica. Tuttavia, permangono nei meccanismi decisionali elementi di insufficienza democratica che, a nostro parere, debbono essere corretti.
Sotto questo profilo, la partecipazione di Parlamenti nazionali nella cosiddetta fase ascendente del processo decisionale comunitario costituisce una tappa importante della democratizzazione dell'Europa. Non si tratta di ratificare a livello nazionale decisioni prese a Bruxelles, ma di partecipare preventivamente alla definizione di quelle decisioni. Occorre, tuttavia, passare dal riconoscimento di un diritto, ormai sancito dalle normative comunitarie e italiane, all'esercizio di quel diritto. Il Parlamento italiano manca ancora di un'esperienza concreta su questo terreno.
Noi crediamo che, da parte del Governo, debba essere compiuto ogni sforzo perché il Parlamento sia messo nelle migliori condizioni per esercitare i suoi diritti. Ciò significa che deve essere garantita al Parlamento una costante e tempestiva informazione sulle iniziative adottate dal Governo nella fase a monte del processo decisionale, che il Parlamento deve poter intervenire in merito al programma legislativo della Commissione europea e agli strumenti di programmazione delle istituzioni europee, che deve essere sistematica l'informazione sulle procedure d'infrazione, sulle sentenze e sui precedenti giurisdizionali riguardanti l'Italia. Anche nella fase a valle, però, occorrono cambiamenti, almeno fino a che non andrà a regime la fase a monte del processo decisionale europeo.
Da questo punto di vista, la legge comunitaria in esame riproduce i limiti e l'inadeguatezza della riforma varata un anno e mezzo fa dal Governo di centrodestra. L'urgenza di recepire tempestivamente, attraverso leggi delega, le direttive europee nel nostro ordinamento non può farci ignorare che le materie da esse trattate hanno complessità politiche e tecniche molto diversificate.
Ci sono materie altamente tecniche che giustificano il recepimento nella legislazione italiana attraverso deleghe legislative, di attribuzione diretta al Governo o da attuare in via amministrativa, ma vi sono anche materie che, ferma restando la necessità di evitare ritardi che espongano il nostro paese a procedure di infrazione e alle relative sanzioni, hanno bisogno di un ruolo più forte e più stringente del Parlamento.
Su queste materie lo strumento della delega legislativa deve essere usato con parsimonia e, nel caso in cui lo si voglia usare, i criteri direttivi per l'esercizio della delega da parte del Governo non possono essere erga omnes, ma devono essere specificamente tarati sulla materia trattata, in modo da rendere più chiara la delega al Governo.
In questo senso, è del tutto condivisibile la decisione della XIV Commissione di accogliere e approvare l'emendamento proposto dalla Commissione affari costituzionali relativo alle procedure di richiesta del diritto d'asilo per i migranti. Ho seguito personalmente il caso dei profughi sbarcati in Italia dopo il respingimento illegale della nave tedesca Cap Anamur. Non so quanti di loro avessero formalmente il diritto di detenere dallo Stato italiano asilo politico e non so se il loro ricorso contro il decreto di espulsione fosse fondato. Quel che è certo è che si è impedito loro, in violazione della Costituzione e della normativa europea in materia, di poter esercitare quel diritto. Dal centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria, i migranti della Cap Anamur sono stati immediatamente buttati fuori dal nostro paese, prima ancora che i loro ricorsi potessero essere esaminati. Quando il magistrato ha riconosciuto fondate alcune delle loro richieste era ormai troppo tardi: un caso evidente di diritto negato.Pag. 125
Casi di questo genere si ripetono a migliaia e sono la manifestazione più clamorosa - io penso - di quella cultura dell'intolleranza, di quell'idea dell'Europa fortezza, di quella politica securitaria che ha dominato, nella legislatura trascorsa, la politica di immigrazione del centrodestra.
Credo che avere stabilito, con l'emendamento della XIV Commissione, tra i criteri direttivi per l'esercizio della delega relativa alle direttive europee in materia di rifugiati, che al richiedente asilo deve essere consentito di rimanere sul territorio nazionale in attesa di una decisione del giudice, costituisca un piccolo passo nella riconquista di quella civiltà giuridica che riconosce e tutela i diritti fondamentali di ogni essere umano. È del tutto evidente che un tale indirizzo politico non sopporta l'idea che rimanere sul territorio nazionale significhi richiedere i migranti nei CPT. Occorre separare le politiche dell'immigrazione e dell'asilo dalle questioni di sicurezza e giustizia penale. Nessuna persona può essere privata della libertà personale per fatti che costituiscono non reati penali ma, al massimo, violazioni amministrative.
Per quanto riguarda il secondo dei documenti all'esame di questa Assemblea, la Relazione annuale relativa alla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2005, l'intervento del Parlamento non può essere, ovviamente, di tipo emendativo. È vero che il Governo avrebbe potuto predisporre e presentare una nuova relazione. Tuttavia, ciò si sarebbe tradotto in un allungamento dei tempi ed in conseguenti ulteriori ritardi. Per questo, credo che si sia correttamente scelta la strada di una risoluzione parlamentare alla quale affidare il compito di fissare indirizzi e orientamenti su cui impegnare l'azione del Governo rispetto ai principali temi e alle proposte in discussione nelle sedi europee.
Il nuovo focolaio di guerra e la violenza accesasi lungo la frontiera tra Israele e Libano porta drammaticamente in primo piano il tema della politica estera e di sicurezza comune dell'Europa. È del tutto evidente che occorre uscire dalla inconsistenza dell'iniziativa europea sul conflitto israelo-palestinese lamentata dal Presidente della Repubblica, Napolitano, e dal Presidente della Camera, Bertinotti. La divisione prodottasi in Europa sull'appoggio politico e militare all'invasione americana dell'Iraq ha reso ancora più flebile di quanto già non fosse il ruolo europeo nel conflitto mediorientale. Per uscire da questa debolezza, occorre che l'Europa riconosca fino in fondo l'infondatezza di quella idea neoconservatrice che assegnava all'intervento in Iraq il ruolo di catalizzatore di un processo di pacificazione e democratizzazione di tutto il Medio Oriente.
I focolai di guerra si sono moltiplicati, la violenza del terrorismo fondamentalista ha trovato nuovi territori in cui manifestare la sua cupa politica di morte e cresce, ogni giorno che passa, il tragico elenco delle vittime civili, uomini, donne, anziani e bambini, che, a dispetto di quanto ci raccontano i grandi mezzi di informazione, l'intelligenza delle bombe non riesce a salvare.
L'Europa può e deve fermare quella strage, deve dire più alto e più forte quello che il Parlamento italiano ha già detto con la mozione parlamentare approvata, qualche giorno fa, dalla Camera dei deputati. L'Europa deve far vivere con più determinazione e con più iniziativa, anche mettendo in tensione le relazioni euroatlantiche, l'obiettivo dei due popoli-due Stati come fulcro fondamentale di una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese, sulla base di un rigoroso rispetto della legalità internazionale e di tutte le risoluzioni dell'ONU.
Perseguire seriamente questo obiettivo significa non dialogare con una sola parte. È del tutto evidente che, senza il contributo di tutte le parti coinvolte nel conflitto, non vi sarà soluzione alla crisi. Non può esistere un piano di pace imposto unilateralmente da una delle parti in causa. Per questo occorre, noi pensiamo, riconvocare una Conferenza internazionale sul Medio Oriente con tutte le parti coinvolte, in modo da evitare che si dia legittimità soltanto alle scelte unilaterali compiute attraverso la forza.Pag. 126
Il secondo grande tema su cui si occorre fissare l'attenzione del Governo e del Parlamento è quello del rilancio del processo costituzionale europeo, dopo la pesante battuta d'arresto provocata dalla vittoria del «no» nei referendum in Francia e in Olanda. Noi pensiamo che non si possa andare avanti facendo finta di niente. Occorre mettere in moto un vero processo di partecipazione popolare alla definizione del nuovo testo costituzionale. Non può bastare un «sì» distratto del Parlamento per risolvere il grave deficit di partecipazione, che ha contraddistinto il «sì» italiano e quello di altri Parlamenti europei. È necessario un nuovo spirito costituente. Le elezioni europee del 2009 possono costituire un'occasione importante per sottoporre a referendum popolare un nuovo testo di Costituzione europea, da costruire attraverso il coinvolgimento di tutte le istituzioni democratiche della società civile.
Quanto al processo di allargamento dell'Unione europea - il terzo grande tema in agenda - sosteniamo che esso debba avvenire in un quadro di garanzie e di standard sociali omogenei, di promozione dei diritti sociali, di lotta all'esclusione. Allargare l'Unione europea non può significare una concorrenza al ribasso che mette in discussione il livello dei diritti e delle tutele conquistate nel secondo dopoguerra. La vicenda della direttiva Bolkestein è al riguardo illuminante. All'interno di questo quadro l'ingresso di Romania e Bulgaria costituisce una tappa importante del processo di integrazione, che deve essere accelerato anche per quanto riguarda i Balcani occidentali, anche nella prospettiva di favorire processi che prevengano il risorgere di conflitti e rispondano all'esigenza ineludibile di pacificazione.
Anche l'adesione della Turchia, che noi sosteniamo, deve costituire l'occasione per affermare quelle riforme in campo politico, dei diritti umani e delle minoranze - di tutte le minoranze, compresa quella curda -, che rendano l'ingresso della Turchia nell'Unione europea pienamente coerente con i criteri di Copenaghen.
L'ultimo grande tema sul quale vorrei soffermarmi è quello del quadro finanziario europeo. Sappiamo tutti come si è conclusa l'ultima trattativa in materia. Si tratta di una conclusione insoddisfacente. La strategia di Lisbona come strategia della crescita e della coesione sociale in Europa non può essere affidata soltanto alle politiche nazionali o ad un loro semplice coordinamento. Un ruolo importante deve essere giocato dal bilancio europeo. La sua attuale configurazione è del tutto inadeguata, sia sotto il profilo quantitativo sia sotto il profilo della qualità nell'allocazione delle risorse finanziarie. Una politica economica su scala europea non può essere fatta soltanto di vincoli ai bilanci nazionali e di controllo della moneta in chiave antinflattiva.
Se si vuole sul serio sostenere un piano di investimenti pubblici e privati su scala europea, non ci si può affidare semplicemente al mercato o alle risorse scarse messe a disposizione dal bilancio europeo. Deve essere consentita su scala europea l'emissione di eurobond e si deve modificare profondamente l'assetto del bilancio europeo, incrementando significativamente i trasferimenti nazionali al bilancio europeo e ripartendo le risorse disponibili, in modo da renderle coerenti con le linee strategiche di Lisbona e con l'obiettivo di un'Europa sociale.
Sono convinto, e concludo Presidente, che se l'Assemblea coglierà l'occasione della discussione sulla legge comunitaria 2006 e sulla Relazione annuale per il 2005 per guardare in avanti secondo gli indirizzi che mi sono sforzato di illustrare, penso che questo ramo del Parlamento avrà dato un contributo importante ad una nuova idea dell'Europa (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pini. Ne ha facoltà.
GIANLUCA PINI. Presidente, signor ministro e colleghi, io sarò molto più breve dei collechi che mi hanno preceduto, perché non entrerò nel dettaglio tecnicoPag. 127dell'articolato della legge comunitaria, vista anche l'ora, riservandomi di farlo in sede di discussione degli emendamenti presentati. La stessa valutazione riguarda la Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Esprimerò quindi pochi concetti chiari, da rivolgere soprattutto al Governo.
Noi, come Lega Nord, esprimiamo apprezzamento in via generale nei confronti del disegno di legge comunitaria, anche perché, inizialmente, lo abbiamo redatto nel precedente Governo, dunque non potremmo fare altrimenti; ricordo che, nella struttura, il provvedimento deriva proprio dalla cosiddetta - chiamiamola col suo nome - legge Stucchi, la n. 11 del 2005, voluta d'allora presidente della XIV Commissione, nonché mio collega. Questa legge, come tutti hanno avuto modo di percepire direttamente in modo tangibile, ha permesso un recepimento molto più snello delle direttive, in modo da «limitare» - lo dico tra virgolette - i danni derivanti dalle infrazioni comunitarie. È anche vero, tuttavia, che necessita ancora di qualche aggiustamento, ma ricordiamoci che è la seconda volta che si applica questa legge e dunque, come tutte le cose nuove, va prima un po' rodata!
Il discorso del collega Falomi, incentrato sulla necessità di far fronte a determinate lacune, viene ben recepito dal mio gruppo, anche se - faccio notare onestamente - si è persa un'occasione nel momento in cui sono stati bocciati gli emendamenti presentati in Commissione riguardo alla riserva d'esame parlamentare su determinati temi ed anche alla possibilità di dare potestà al Parlamento, modificando la legge n. 11 del 2005, di chiedere la riserva d'esame parlamentare e al Governo di cedere questa prerogativa: sarebbe stato sicuramente un passo in avanti verso una maggiore democraticità nelle scelte nella fase ascendente delle leggi comunitarie.
Ho detto prima che non sarei entrato nel dettaglio tecnico, però una cosa vorrei farla notare: l'articolo 8-ter, se non sbaglio, nel testo definitivo introdotto dalla I Commissione, sul piano politico, non ci trova assolutamente d'accordo, tant'è che è stato decantato proprio dal collega Falomi, che è di tutt'altra idea politica rispetto alla questione dell'asilo politico dei rifugiati.
Tale articolo è stato redatto in maniera un po' fumosa, perché non viene posto alcun termine temporale e non si capisce quale riserva si vada ad adottare nel definire dove, come, quando e perchè una persona deve rimanere sul territorio in attesa non solo del giudizio, ma anche addirittura della sentenza definitiva. È stato lanciato un sasso, permettetemi di dire, di natura ideologica - lei stesso lo ha ammesso prima -, e tuttavia non avete fornito una normativa di riferimento chiara.
A prescindere da questa vostra politica, che cerca di aprire il più possibile le frontiere, inventando di tutto per far arrivare più immigrati possibili, vi faccio presente che, se il primo comma è di natura politica, il secondo comma dell'articolo in questione è palesemente in contrasto con la direttiva da recepire. Leggo testualmente il comma 4, lettera c), della direttiva 2005/85 CE, che recita: «La domanda di asilo è giudicata infondata, nel primo caso, poiché il richiedente proviene da un paese di origine sicuro (...) nel secondo caso, poiché il paese che non è uno Stato membro è considerato un paese terzo sicuro per il richiedente». Quindi; palesemente, forse per una svista o magari per rafforzare quelle stesse direttive, si rischia di andare contro la direttiva stessa.
Noi presenteremo, in sede di dibattito parlamentare, opportune proposte emendative - invero, già predisposte - volte ed a sopprimere non solo questo comma ma tutto l'articolo. Rendiamoci, tuttavia, conto che, certe volte, le «fughe in avanti» per cercare di sanare ferite di lontana memoria come quelle dianzi citate possono anche obiettivamente costituire delle forzature, in quanto si rischia di cadere nell'eccesso opposto di voler spingere troppo in direzione di una politica delle braccia aperte.
Ciò detto, considerata anche l'ora, rinvio alle fasi successive di discussione la valutazione sulla Relazione sulla partecipazionePag. 128italiana all'Unione europea nonché sulle questioni di carattere tecnico (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Intrieri. Ne ha facoltà.
MARILINA INTRIERI. Onorevole Presidente, onorevole ministro, onorevoli colleghi, la sensibilità europeista che fin dai primi giorni ha contraddistinto l'attività dell'attuale Governo, ed i cui segnali si colgono anche nelle modifiche migliorative apportate alla legge comunitaria ora in discussione, appare come un buon viatico per intraprendere in questo campo una decisa inversione di tendenza.
Per esempio, è da segnalare la norma che prevede, qualora la Commissione adotti norme di attuazione di una normativa comunitaria, la possibilità per il Governo di recepirle direttamente con proprio regolamento, anziché con l'adozione di un nuovo decreto legislativo, com'era previsto fino al 2005. Si tratta, ancora una volta su norme di attuazione e di dettaglio, di attribuire celerità ed efficacia all'attività del Governo nel recepimento del diritto comunitario.
Nonostante tutti i miglioramenti apportati dalla legge n. 11 del 2005, l'Italia, purtroppo, come rilevato di recente dal ministro Bonino, continua a registrare gravissimi ritardi nell'attuazione del diritto comunitario, con le conseguenti numerosissime procedure di infrazione avviate in sede europea. Potrebbe pertanto essere venuto il momento di valutare, se mai, per una fase transitoria, l'opportunità di adottare una legge comunitaria semestrale, al fine di tentare di recuperare almeno in parte il ritardo accumulatosi specie in coincidenza con il recente passaggio di legislatura.
Alcune tra le positive novità introdotte durante l'esame delle Commissioni meritano attenzione, come la riduzione dei tempi per l'esercizio da parte del Governo delle deleghe previste dalla legge comunitaria; l'articolo 1 del disegno di legge A.C. n. 1042 riduce infatti tale termine da 18 a 12 mesi, costringendo così il Governo a dare più rapida attuazione alle norme comunitarie. Il termine è ulteriormente ridotto a sei mesi nel caso in cui le direttive siano già scadute o stiano per scadere.
Il Capo II della legge si apre ora con un nuovo articolo 6-bis, che prevede l'obbligo, per il Governo, di informare il Parlamento ogni sei mesi circa le procedure di infrazione in corso a carico dell'Italia, valutando, altresì, il livello di esposizione finanziaria del paese in caso di eventuali sanzioni inflitte.
Meritevoli di rilievo sono anche gli emendamenti approvati in I Commissione, che hanno permesso anzitutto il passaggio dell'esame delle direttive 2005/85/CE (recante appunto norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) e 2005/71/CE (recante una procedura specificamente concepita per l'ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica) dall'allegato A all'allegato B, consentendo così un rafforzamento delle prerogative parlamentari nell'esame degli schemi di decreti legislativi relativi a materie così delicate.
Meritano altresì attenzione gli articoli aggiuntivi introdotti in questa materia finalizzati a prevedere specifici principi e criteri direttivi rivolti al Governo in sede di adozione del decreto legislativo di attuazione della direttive in materia di asilo. Del resto, vale la pena di notare che al termine dell'esame nelle varie Commissioni moltissime direttive sono state appunto spostate dall'allegato A all'allegato B, proprio a significare, come sottolineato dalla relatrice, onorevole Ottone, il ruolo sempre più determinante che il Parlamento italiano intende svolgere nella sensibile fase di attuazione del diritto comunitario.
Desidero pertanto sottolineare l'importanza di una rapida approvazione del provvedimento, essenziale per ridurre le procedure di infrazione pendenti e per prevenirne l'avvio di nuove.
Esprimo anche apprezzamento per l'iter in Commissione, che ha combinatoPag. 129celerità e approfondimento di questioni anche delicate, sia di natura ordinamentale che settoriale. Particolare apprezzamento va espresso anche per gli emendamenti alla legge n. 11 del 2005 relativi all'informazione al Parlamento sulle procedure di infrazione e sui flussi finanziari con l'Unione europea, e, sempre ai fini di un più rapido adeguamento all'ordinamento comunitario, per la previsione dei 12 mesi come termine generale per l'esercizio da parte del Governo della delega a recepire le direttive, invece dei 18 mesi previsti prima.
È opportuno richiamare una serie di ulteriori misure che potrebbero migliorare il grado e i tempi di adeguamento dell'ordinamento interno a quello europeo ed anticipare la preparazione dei decreti legislativi, iniziando il lavoro fin dal momento dell'inoltro del disegno di legge comunitaria alle Camere, senza aspettare, come avviene di regola, l'approvazione definitiva della legge. Sarebbe, in realtà, anche auspicabile che le prime attività di preparazione cominciassero dal momento successivo alla adozione dell'atto in sede comunitaria.
Sarebbe auspicabile arrivare ad una sessione comunitaria dei lavori parlamentari che garantisse tempi programmati e certi di approvazione della legge comunitaria, in vista anche di un eventuale futuro passaggio della stessa ad una periodicità semestrale nonché monitorare in modo costante e più attento l'attività di recepimento svolta dalle singole amministrazioni, in particolare con riferimento alle direttive da attuare in via amministrativa.
Per quanto riguarda le direttive, si potrebbe eventualmente in alcuni casi: legiferare direttamente e non con delega attraverso la legge comunitaria e poi valutare l'opportunità di avviare una sorte di due diligence da parte di ciascuna amministrazione sulle procedure di infrazione rientranti nella propria competenza, al fine di avere un quadro più chiaro sulle reali cause di difficoltà; individuare, come già richiesto dal ministro, un responsabile per gli affari europei in ciascun ministero; promuovere una attenta riflessione sull'opportunità di modifiche regolamentari intese a rafforzare il ruolo della XIV Commissione nell'esame del disegno di legge comunitaria, applicando le regole generali per l'esame in sede referente. Ciò renderebbe più chiara e celere la procedura.
In conclusione, nel 2007 saranno cinquant'anni dalla conclusione del Trattato di Roma, istitutivo della prima Comunità economica europea. Proprio il nostro paese ospiterà le celebrazioni per questa importante ricorrenza; appare pertanto indispensabile attrezzarci per presentare un'Italia non solo in prima linea nel rilancio del processo di integrazione europea, fermo a seguito del referendum francese e olandese sul nuovo progetto di Costituzione, ma con le credenziali a posto sia sul piano finanziario del rispetto dei parametri europei e di Maastricht, sia sul piano del tempestivo recepimento delle novità del diritto comunitario.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Migliori, iscritto a parlare; s'intende vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l'onorevole Franco Russo. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor presidente, non solo per l'ora ma soprattutto perché l'onorevole Falomi ha esposto molto ampiamente la posizione del mio gruppo sulla legge comunitaria e sulla Relazione del 2005 dell'attività svolta dal nostro paese in sede comunitaria, mi limiterò, onorevole ministro Bonino, semplicemente a due considerazioni. La prima è la seguente. Sappiamo, anche se la quantificazione non è sempre esatta, che ormai la maggior parte delle leggi o delle normative in generale è decisa a livello comunitario. In tale ambito le decisioni legislative che vanno sotto il nome di regolamenti sono norme immediatamente applicabili senza la mediazione dello Stato e senza la mediazione quindi di una recezione all'interno dell'ordinamento nazionale. Questo significa che quello comunitario è un ordinamento particolare, che ormai è sottratto alla disciplina del diritto internazionalistico.Pag. 130Esso è diventato un ordinamento che ha, per un verso, caratteristiche di un ordinamento costituzionale e, per l'altro, continua ad avere una delimitazione, in quanto ordinamento costituzionale, perché può agire semplicemente in determinati campi e con competenze determinate, le quali sono stabilite dai trattati. Come ha detto Sabino Cassese, si tratta di un imperium mistum, un qualcosa di misto che fa di quello europeo un ordinamento innovativo e particolare.
Onorevole ministro, conoscendo la sua sensibilità europeista e democratica, sottopongo alla sua attenzione alcune problematiche. Innanzitutto, noi non possiamo continuare ad avere un atteggiamento passivo e supino rispetto all'espropriazione subita dagli organi rappresentativi nazionali - ma sappiamo anche dei limiti in cui vive il Parlamento europeo - ad opera degli Esecutivi che a livello europeo stabiliscono fondamentalmente le leggi. Le stabiliscono perché in sede di Consiglio dei ministri sono gli Esecutivi, come sa benissimo il ministro, a definire i contenuti delle leggi. Inoltre, non possiamo continuare ad avere un atteggiamento supino rispetto al fatto che quando si tratta di applicare le direttive, come avviene in questo caso con la legge comunitaria, il Parlamento si limita fondamentalmente a concedere delle deleghe al Governo per stabilire, attraverso decreti legislativi, le norme di attuazione delle stesse.
In questa legge comunitaria noi siamo intervenuti con degli emendamenti, proposti dalle diverse Commissioni che hanno esaminato il provvedimento esprimendo sullo stesso un parere, che sono stati accolti dalla XIV Commissione. In particolare, si è operato uno spostamento dalla tabella A alla tabella B; quest'ultima tabella prevede che il Governo sottoponga i decreti legislativi alla discussione delle Commissioni competenti. In tal modo, si è recuperata in questo campo una capacità di intervento del Parlamento nazionale. La XIV Commissione ha, inoltre, accolto due emendamenti della I Commissione, proposti dal relatore Roberto Zaccaria, relativi ai problemi dei ricercatori già presenti sul territorio nazionale, e per la definizione dello status di rifugiato.
Onorevole ministro, non possiamo sfuggire dalla constatazione che ormai abbiamo una normativa che sfugge alle decisioni della rappresentanza politica e democratica sia dei Parlamenti nazionali sia del Parlamento europeo. Questo è il mio giudizio: poi, il ministro, in sede di replica, mi dirà se questa mia valutazione eventualmente non la convince.
Il Parlamento europeo, attraverso la procedura di codecisione in 53 campi, non ha un potere di iniziativa, ma ha semplicemente un potere di proposta alla Commissione. Insomma, io vedo un meccanismo in cui fondamentalmente sono gli Esecutivi a decidere le normative. Questo è, a mio avviso, un vulnus per la democrazia non più tollerabile. L'onorevole ministro è sicuramente consapevole di ciò. Questo problema era tanto sentito dai Governi che qualora il Consiglio dei ministri dovesse agire nella formazione deliberativa-legislativa, è previsto dal Trattato che dovrebbe farlo in maniera aperta. Pertanto, l'aspetto che io rilevo, cioè la sottrazione ai Parlamenti, alle rappresentanze, del potere di determinare i contenuti legislativi a livello europeo e, quindi, a livello nazionale, ormai è pressante. Credo che le iniziative intraprese attraverso la legge comunitaria, che però razionalizzano semplicemente il processo di accoglimento e di traduzione all'interno dell'ordinamento nazionale delle direttive europee, siano giunte ormai ad un punto di svolta.
Tale punto di svolta, onorevole Bonino, è sentito così tanto che il Governo ha costituito nel suo seno il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), al fine di preparare la posizione del Governo italiano nelle decisioni da assumere in sede comunitaria. Ciò non avviene a livello parlamentare, ove non è previsto un meccanismo che, nella fase cosiddetta ascendente, consenta al Parlamento italiano - mi augurerei anchePag. 131gli altri 24 Parlamenti europei - di intervenire nella determinazione delle decisioni a livello europeo.
Si tratta di un punto fondamentale da affrontare per consentire l'intervento nella fase ascendente attraverso le deliberazioni parlamentari, non solo per sanare il deficit di legittimità democratica ma per riportare soprattutto il potere decisionale all'interno della rappresentanza democratica, ovverosia nei Parlamenti.
La seconda questione - e mi avvio alla conclusione -, onorevole Bonino, è la seguente. Non possiamo accettare che siano i Governi a stabilire la Carta costituzionale fondamentale dell'Europa. La Corte di giustizia ha definito i trattati la «Costituzione europea». Siamo tutti consapevoli, però, che i trattati vengono definiti dai Governi, anche se ratificati dai Parlamenti, e non possiamo accettare che siano i Governi, attraverso le Conferenze intergovernative (sia pure preparate, come nelle due esperienze fatte, dalle Convenzioni), a stabilire i fondamenti della Costituzione europea. Ciò non solo per una mancanza di legittimità democratica, ma perché l'elaborazione di una Costituzione europea - lo diceva molto giustamente il mio collega Falomi - ha bisogno di una partecipazione quanto più larga possibile: senza popoli né partecipazione popolare non vi può essere Costituzione e non possono essere gli Esecutivi - per il meccanismo che prima descrivevo nelle procedure legislative - a determinare una Costituzione, rinnovando quella che sarebbe, secondo me, una tradizione poco democratica delle Carte octroyée.
Quali possono essere le vie da seguire? Ho letto - anche il relatore lo rilevava nella sua relazione - che nell'ultimo Consiglio europeo si è ridefinito un percorso finalizzato a rimettere in movimento il Trattato costituzionale. A tale proposito vorrei ricordarle, onorevole Bonino - ed ho concluso - che tutti noi, con il contributo anche della sua parte politica, nel 1989 votammo una proposta di referendum di indirizzo che sottoponemmo, insieme all'elezione dei membri italiani al Parlamento europeo del 1989, al popolo italiano, in cui si proponeva di affidare al Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione.
Non so se questa sia la vita giusta e più produttiva. Ritengo però che forse (e non solo per il vecchio mandato comunque ricevuto nel 1989), considerando la sperimentazione avvenuta in questi anni, come diceva l'onorevole Falomi, volta a coinvolgere - e ciò è previsto anche nel piano D della Commissione europea - la società civile nella discussione dei contenuti costituzionali della nuova Europa, effettivamente basata su una Carta costituzionale, potremmo sperimentare una procedura di coinvolgimento (che gli uffici della Commissione peraltro stanno tentando di fare anche nel nostro paese) al fine di proporre che il prossimo Parlamento europeo del 2009 diventi la sede per l'elaborazione di una Carta costituzionale da sottoporre successivamente ad un referendum popolare.
Eviteremo, in questo modo, sia le strane costruzioni delle Convenzioni, sia che i Governi decidano il contenuto della Carta costituzionale europea attraverso le Conferenze intergovernative. Sarà, invece, l'unico organo veramente rappresentativo a livello di Unione europea, vale a dire il Parlamento europeo, la sede in cui elaborare la futura Carta costituzionale.
Vorrei ricordarle, ministro Bonino, che sono stati già compiuti due tentativi in tal senso, poiché il Parlamento europeo approvò, nel 1994 e nel 1999, delle Carte costituzionali. Ritengo che potremmo esperire tale via anche per rispondere ai «no» francese ed olandese, nonché per sanare il tradizionale deficit democratico a livello europeo.
Non siamo ostili, ovviamente, nei confronti di altre proposte; tuttavia, riteniamo che, per rispondere a quella che ritengo essere una crisi di crescita dell'Unione europea, dobbiamo tentare di investire il Parlamento di Strasburgo di questo grande compito (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Buemi, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Cassola. Ne ha facoltà.
ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signor ministro, vorrei innanzitutto affermare che concordo pienamente con i colleghi che hanno affermato che il Parlamento italiano deve avere più voce nella cosiddetta fase ascendente della produzione normativa comunitaria. Ritengo, infatti, che si tratti di una lacuna molto grave da colmare.
Detto ciò, vorrei soffermarmi brevemente su tre punti, collegati alla risoluzione che dovremo votare in un'altra seduta. Il primo riguarda una tematica che è stata già sollevata da diversi colleghi intervenuti, vale a dire l'immigrazione irregolare. Ritengo molto importante, infatti, che l'Italia si attivi per l'adozione di una politica dell'immigrazione comune, attraverso il coinvolgimento di tutti i paesi aderenti all'Unione europea.
Tale politica, contrariamente a quanto affermato dal collega del gruppo della Lega Nord Padania, deve avere un approccio «umanitario» al problema, secondo il motto europeo «uniti nella diversità», e dunque deve essere condotta nel rispetto della diversità. D'altro canto, tuttavia, la politica dell'immigrazione dell'Unione europea deve essere spietata nei confronti delle varie mafie che organizzano la tratta degli immigrati.
Il secondo punto che intendo affrontare riguarda la politica estera e di sicurezza comune. Anche per prevenire proprio l'immigrazione clandestina, infatti, dobbiamo contribuire a creare possibilità di lavoro per queste persone nei loro paesi d'origine. Ritengo importante, inoltre, adoperarsi maggiormente per coinvolgere le organizzazioni non governative e la società civile in progetti people to people di cooperazione internazionale.
Far lavorare insieme gente di origine diversa, infatti, costituisce un ottimo strumento per creare fiducia reciproca (a confidence building), ed anche in questo modo si può giungere alla prevenzione civile dei conflitti. L'Italia fa bene ad assumere, come sta facendo, l'iniziativa per una politica estera comune europea che lavori per la pace, in particolare in ambito euromediterraneo.
Il terzo punto che intendo affrontare riguarda l'ambiente. La politica energetica italiana, infatti, deve essere centrata sulla promozione del risparmio, dell'efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e dell'innovazione tecnologica in tale settore. Solo così, infatti, potremmo attenerci agli obblighi stabiliti dal Protocollo di Kyoto.
Per quanto concerne la politica dei trasporti, infine, diventa fondamentale tenere sempre presente l'esigenza di tutelare il patrimonio ambientale del paese. Bene fa l'Italia e bene fa il Governo attuale, al contrario di quello precedente, a dare una forte impronta alla politica europea. Un'Italia senza una forte vocazione europea, infatti, non solo indebolisce il proprio ruolo in Europa, ma contribuisce anche ad indebolire il ruolo dell'Unione europea nel mondo.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.