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Si riprende la discussione.
(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1608)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la III Commissione, presidente Ranieri.
UMBERTO RANIERI, Relatore per la III Commissione. Signor Presidente, rinuncio alla replica.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la IV Commissione, presidente Pinotti.
Pag. 88ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, anch'io rinuncio alla replica.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli deputati, ringrazio il presidente della Commissione esteri e il presidente della Commissione difesa per i loro interventi ed i 23 deputati intervenuti per aver approfondito il tema della nostra missione in Libano: un approfondimento che ha dato spessore alla nostra politica estera.
Da sempre, dal 1947, in questo Parlamento abbiamo ascoltato interventi di chi era più vicino ad Israele e di chi era più vicino al mondo arabo. È naturale che sia così, è stato così anche oggi, ma in tutti questi decenni i Governi italiani, guidati da democristiani, da socialisti e con il consenso dell'opposizione comunista, hanno saputo costruire la credibilità dell'Italia in Medio Oriente, mantenendo un'immagine netta di chi comprende le ragioni degli uni e degli altri. Siamo tornati a questa tradizione.
Non sono un mistico della continuità o della discontinuità - come afferma l'onorevole Bianco -, tuttavia è certo che l'azione del Governo italiano in Libano si inserisce in una continuità storica di equidistanza o equivicinanza, che vi è sempre stata e che non è la parodia che qualche volta si è voluto fare. Non vi è equidistanza tra Israele e i terroristi, ma vi è equidistanza o equivicinanza tra le ragioni e i diritti di Israele e quelli del mondo arabo. Vi è equivicinanza tra due diritti: da una parte, il diritto degli israeliani a vivere in condizioni di sicurezza e, dall'altra, il diritto dei palestinesi ad avere uno Stato. Due diritti che sono causa ed effetto l'uno dell'altro, che si tengono a vicenda; infatti, non vi è sicurezza per Israele senza uno Stato palestinese guidato responsabilmente e non vi è uno Stato palestinese senza sicurezza per Israele.
Noi continueremo così, con una politica di equilibrio. I nostri soldati sono già sul terreno e non devono avere alle loro spalle opposte tifoserie: quella pro Israele e quella pro mondo arabo. Non hanno bisogno di polemiche, né contro gli uni né contro gli altri, che non aiuterebbero e che certo non favorirebbero la loro sicurezza.
Continuiamo così, in una posizione equilibrata e con il largo, quasi unanime, consenso di questo Parlamento. Un consenso del quale naturalmente ringrazio l'opposizione, anche se oggi sarebbe difficile per chiunque essere contrari a questa missione.
È una missione, d'altronde, che viene appoggiata da Teheran come da Washington, dagli hezbollah come dalla destra israeliana del Likud: tutti sono d'accordo. Le Nazioni Unite sono tornate protagoniste, hanno riconquistato il loro ruolo. È ritornata protagonista, e ciò ci sta particolarmente a cuore, l'Europa. In questa azione politica dell'Europa, concordano la destra e la sinistra europea - la Spagna guidata dalla sinistra, ad esempio, e la Francia guidata dalla destra -, ed è un particolare non di poco conto, che spiega anche la quasi unanimità di questo Parlamento. Concorrono all'azione in Libano paesi come il Qatar, sede di Al Jazeera, sensibile da sempre alle ragioni dei palestinesi forse più di altri, e Israele è d'accordo. Partecipa a questa missione la Cina con mille uomini, e ciò è importante. Si può darne tante chiavi di lettura: una è forse che la Cina comincia a giocare un ruolo globale, è affamata di petrolio come noi ed è interessata all'equilibrio ed alla pace in una regione strategica per il petrolio del quale, peraltro, è diminuito il prezzo dal momento in cui la situazione in Libano si è pacificata.
Non c'è trionfalismo nella posizione del Governo, c'è preoccupazione. Non occorre un'operazione verità, come qualcuno ha chiesto oggi. Ci rendiamo conto benissimo dei pericoli enormi che sono sotto gli occhi di tutti. Anzi, la totalità dei consensi sul piano internazionale a questa operazione nasce dal compromesso, come è naturale, e spesso i compromessi celano una certa dose di ambiguità. Vediamo pericoli enormi, ma sappiamo che il pericolo piùPag. 89grande sarebbe stato lasciar procedere l'incendio. L'onorevole Forlani ha osservato che se avessimo lasciato procedere l'incendio senza intervenire, avremmo contraddetto il meglio della nostra storia e della storia dell'Europa, e l'ha detto con un discorso nel quale non saprei trovare un punto di dissenso: questo ha il suo significato, dal momento che è il discorso di un rappresentante dell'opposizione.
Sino a poco tempo fa si è parlato del timore che si potesse andare ad una libanizzazione dell'Iraq: purtroppo, in parte è avvenuto. Oggi in Iraq ci sono milizie simili a quelle degli hezbollah, sciite e sunnite, che nessuno disarma. Purtroppo, oggi possiamo dire che c'è il rischio di una «irachizzazione» del Libano. Non ce lo possiamo consentire, perché sarebbe una «irachizzazione» ai confini con Israele e metterebbe fuoco accanto alla benzina.
L'esperienza ci dice come si possa precipitare rapidamente in Medio Oriente verso il peggio. Soltanto a giugno, all'hotel Hilton, a Roma, si è svolta un'intera giornata di incontri tra il meglio dei banchieri arabi, i banchieri italiani, i banchieri europei e il primo ministro libanese Siniora. Tutti hanno applaudito alla democrazia ritrovata del Libano, al ritiro della Siria; si è parlato della prospettiva di un Libano che diventasse nuovamente, come è stato storicamente, la Svizzera del Medio Oriente. Dopo pochi mesi ci ritroviamo, invece, di fronte al Libano distrutto.
Per il momento, le truppe internazionali delle Nazioni Unite hanno posto fine a questa distruzione, hanno spento l'incendio. Adesso, dobbiamo sperare che il Libano diventi l'epicentro di un circuito virtuoso, come diceva l'onorevole Khalil, che può cambiare la storia di tutto il Medio Oriente. Dobbiamo cominciare con la pacificazione del Libano, che è un punto non di arrivo ma di partenza. Dobbiamo affrontare la madre di tutte le crisi, cioè quella palestinese. Il Governo di unità nazionale in Palestina aiuta in questa direzione, perché dà finalmente un interlocutore a Israele. Il rilascio dei soldati israeliani può facilitare un percorso di trattativa. Si può magari arrivare ad una forza internazionale di interposizione anche in Palestina. Bisogna poi affrontare la crisi del Medio Oriente nella sua totalità, in modo globale, coinvolgendo Siria e Iran, due attori senza i quali la vicenda non si concluderà positivamente.
L'ex segretario di Stato americano Brezinski ha scritto recentemente che la diplomazia significa innanzitutto parlare con chi non è d'accordo con noi; parlare con chi è d'accordo è troppo facile! Lo ha detto l'onorevole Bianco dalla maggioranza, lo ha detto l'onorevole Forlani dall'opposizione, l'onorevole Giuditta non ha citato Breznev ma ha citato Moro per giungere alla stessa conclusione, cui non ci si può che associare.
L'Europa avrà un grande ruolo: pacificazione, stabilizzazione, soluzione globale richiedono di guardare lontano, di guardare con schemi nuovi, e l'Europa forse può farlo con vision; e ha avuto vision l'onorevole D'Elia, quando ha proposto che il federalismo europeo si estenda in futuro anche a Israele e ai paesi arabi del Medio Oriente, secondo l'intuizione pacifista di Colorni e del Manifesto di Ventotene.
In questo dibattito si sono sentiti i ragionamenti giusti su Israele. È vero, onorevole Ranieri, in quel paese per la prima volta dopo molto tempo si affaccia il timore che il mondo arabo voglia liquidare l'esperienza dello Stato israeliano. E, per la prima volta, l'opinione pubblica israeliana accetta di essere garantita da una forza internazionale: ce lo ha detto con forza la signora Livni, ministro degli esteri israeliano, quando è venuta a Roma. Può Israele per sempre affidare alla forza militare la sua sicurezza? La risposta che lei ha dato è «no», ed è una risposta evidentemente condivisa dal Governo. Israele paga un prezzo sempre più alto ad ogni azione militare e nell'opinione pubblica israeliana tale consapevolezza si fa strada: ci vuole la comunità internazionale. E andiamo finalmente in questa direzione, verso la giusta direzione!
L'onorevole Pinotti ha svolto delle osservazioni giuste e commosse sul ruolo deiPag. 90nostri soldati. È vero, vi è stato un momento in cui si è temuto che l'intervento della comunità internazionale in Libano venisse meno. Grazie alla coerenza, o alla «testardaggine» italiana, non è stato così: l'intervento è riuscito e il Presidente Chirac, incontrandosi con il Presidente Napolitano - ne sono stato testimone - ha dato atto di questo all'Italia, proprio mentre arrivavano i soldati italiani in Libano.
Le Nazioni Unite mettono alla prova sé stesse. Certo, erano dodici anni - lei ce lo ha ricordato, onorevole Pinotti - che l'ONU non assumeva più il comando diretto di una operazione di peace keeping. Finalmente è tornata a farlo ed è una grande responsabilità sulle spalle di tutti noi!
I soldati italiani vanno come forza di pace, con lo spirito di una forza di pace e li aiuterà anche un corso di lingua (quella non la impareranno!) ma anche di cultura araba. Tutto questo servirà ad allontanare i pregiudizi che purtroppo vengono alimentati da una parte dei nostri mass media, e non solo: i soldati italiani vanno con spirito di tolleranza, con il rispetto per culture diverse, e non, come dice l'onorevole Orlando, ad imporre la perfezione, il che è sempre fonte di grandi mali.
La sinistra della coalizione, nei suoi interventi, ha anche posto il problema dell'Afghanistan. Non vi è connessione tra Libano e Afghanistan, ma una riflessione di politica estera è sempre globale. Certo, ci si deve preoccupare che l'Afghanistan, in presenza di un così grande corpo di forze internazionali, diventi una «narcorepubblica». Anche su questo si può e si deve avere una posizione innovativa e creativa: perché non immaginare, almeno in modo sperimentale, l'acquisto legale della produzione di oppio da parte della comunità internazionale? Vi è bisogno di morfina per gli usi medici in tutti i continenti. Qualcuno dice che la domanda non è sufficientemente alta: non è vero. La terapia del dolore, persino in Italia, manca di mezzi, è inefficiente ed è totalmente assente nel terzo mondo. Una ragione di umanità elementare ci suggerisce che non si capisce per quale motivo un ammalato di cancro debba morire in condizioni umane a Zurigo e in condizioni disumane in Nigeria.
La sinistra della nostra coalizione, in parte, insiste per la prospettiva di un ritiro dall'Afghanistan. Non voglio entrare nel merito della questione - il Governo è contrario: si sa -, ma intendo soltanto sottolineare un aspetto formale, non di merito.
In Iraq eravamo in una coalizione di willings, di volenterosi: chiunque può recedere da una coalizione di volenterosi, quando viene meno la sua volontà. In Afghanistan siamo con la NATO, siamo in un'alleanza militare. E in un'alleanza militare non si fa quello che si vuole: si decide insieme agli altri alleati. Certo, alleati leali possono criticare con maggiore autorevolezza le tattiche che ritengono sbagliate, quando c'è da criticare (come, forse, c'è da criticare nel caso dell'Afghanistan).
Nella maggioranza si è insistito sulla discontinuità rispetto alla guerra in Iraq. È inutile tornare su questo argomento: si è detto tutto ciò che si doveva. Si può aggiungere soltanto un elemento pratico e semplice di discontinuità. In Libano, dopo la decisione di mandare truppe internazionali e il loro arrivo, non si muore più. In Iraq, invece, dalla fine della guerra e con la presenza di truppe internazionali, si è ripreso a morire sempre di più e, oggi, i morti innocenti sono 3 mila al mese.
L'onorevole De Zulueta ha giustamente ricordato l'impegno dell'Italia per intervenire sul disastro ambientale che si è determinato nelle acque di fronte al Libano. Questo impegno dell'Italia continuerà. È previsto un ordine del giorno per sottolinearlo e non un emendamento, che sarebbe stato tecnicamente meno opportuno.
È stato ricordato - e giustamente - dall'onorevole Cannavò, di Rifondazione Comunista, che la lotta alla povertà deve andare di pari passo con l'impegno militare, e devono procedere di pari passo gli stanziamenti per la ricostruzione del Libano. Ciò è ben chiaro e rientra in un concetto più generale, che riguarda la guerra contro il fondamentalismo islamico.Pag. 91Questa guerra - è ben chiaro al Governo, alla coalizione di maggioranza e, credo, a tutti noi - si vince o si perde, come tutte le guerre o quasi, innanzitutto sul piano economico e sociale. Ci sono molti paesi chiave filo occidentali e moderati nel mondo islamico. Essi sono guidati da élite: o queste élite trascinano verso il progresso le masse oppure rimarranno isolate, distaccate dal resto del paese, e verranno espunte. E vincerà, in definitiva, il fondamentalismo islamico.
Ho ascoltato con attenzione le ragioni dell'opposizione, in parte condivisibili e in parte meno. I deputati di Alleanza Nazionale Gasparri e Briguglio hanno insistito sulla necessità di difendere la nostra civiltà occidentale. Condividiamo come naturale questa necessità. Però, sappiamo che la civiltà occidentale non si difende utilmente con un uso eccessivo della forza militare, perché questa alimenta il terrorismo. Non si difende con l'imbarbarimento: intendo dire dimenticando le leggi, ad esempio, inducendo l'uso della tortura. Infatti, la violazione dei diritti umani non porta mai da nessuna parte e lo dice l'esperienza che, nel nostro piccolo, abbiamo maturato con le brigate rosse. Lo Stato italiano ha combattuto e vinto il terrorismo anche grazie al fatto che non si è messo sullo stesso piano e che si è attenuto sempre al rispetto della legge e dei diritti umani.
Alleanza Nazionale e larghe aree dell'opposizione insistono continuamente sul pericolo di Hezbollah e sulla necessità di disarmare le sue milizie. Certo, la risoluzione delle Nazioni Unite è chiara su questo punto; deve essere anche chiaro, tuttavia, che le Nazioni Unite non hanno chiesto di andare a fare la guerra ad Hezbollah, perché lo ha fatto Israele. Le Nazioni Unite e la comunità internazionale scommettono, invece, sull'avvio di un percorso che riporti completamente Hezbollah ed Hamas nel campo della politica. Soffiare sul fuoco per provocare una guerra civile in Libano non serve proprio a nessuno, e credo non rappresenti l'intenzione di alcuno.
D'altronde, la stessa esperienza del Medio Oriente ci induce a nutrire delle speranze. Facciamo un flash sugli anni Settanta: Arafat e l'OLP erano considerati terroristi; Simon Peres, il nostro amico oggi vice primo ministro di Israele, affermava che non si poteva, per nessuna ragione, trattare con l'OLP e con Arafat. Facciamo un flash sugli anni Novanta: Simon Peres ed Arafat ritirano, insieme, il premio Nobel per la pace, e ad Oslo, al congresso dell'Internazionale socialista, si abbracciano, essendo entrambi membri di tale organizzazione. Questa esperienza suggerisce che la situazione in Medio Oriente può scivolare non solo verso il peggio, rapidamente ed in modo catastrofico, ma anche verso il meglio.
In numerosi interventi dei deputati appartenenti al gruppo di Forza Italia (Paoletti Tangheroni, Brusco, Picchi, Gregorio Fontana, Cicu e Cossiga) ho sentito ritornare un argomento certamente solido: siamo nel mezzo della quarta guerra mondiale, dopo la terza tra est ed ovest. È vero: per decenni, abbiamo combattuto il pericolo «rosso» (se così si può dire); dobbiamo ora rassegnarci, per decenni, a combattere il pericolo «verde», vale a dire la rivoluzione islamica.
Per fare ciò, tuttavia, dobbiamo tenere conto dell'esperienza e mantenere fermi alcuni punti. Non dobbiamo confondere, infatti, il conflitto arabo-israeliano e palestinese-israeliano con la guerra contro il fondamentalismo islamico, perché è esattamente questo l'obiettivo del fondamentalismo stesso: creare questa confusione. Dobbiamo capire, invece, che le ragioni del mondo arabo suggeriscono di tenere in considerazione le richieste palestinesi e le esigenze di equilibrio; altrimenti, proprio i regimi arabi moderati e filoccidentali finiranno per essere travolti.
L'esperienza dei lunghi decenni di lotta contro Mosca ci insegna qualcosa: abbiamo sempre combattuto Mosca ma, al contempo, abbiamo sempre dialogato con essa. L'esperienza ci dice qualcosa anche a proposito del terrorismo. I terroristi delle brigate rosse si definivano marxisti-leninisti. Ebbene, ricordo che non abbiamo maiPag. 92accusato di terrorismo tutti i marxisti-leninisti: altrimenti, da ragazzi avrei dovuto prendermela anche con Ranieri...!
UMBERTO RANIERI, Relatore per la III Commissione. Il terrorismo non era... Non ricorrevamo alle bombe!
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Non abbiamo visto in Mosca la capitale delle Brigate rosse. Non bisogna confondere, dunque, terrorismo e fondamentalismo islamico.
La confusione che qualche volta si vede tra Bin Laden, Hezbollah, Hamas e Teheran è un gravissimo errore, del tutto privo di fondamento. Tale confusione nei discorsi della destra c'è spesso, ma non sempre: l'onorevole Paoletti Tangheroni, ad esempio, mi è parsa avere ben chiara la situazione.
Ho ascoltato i deputati dell'opposizione avanzare numerose critiche alle Nazioni Unite, ed in modo particolarmente esteso nell'intervento pronunciato dall'onorevole Boniver. Certo, le Nazioni Unite funzionano male, anzi malissimo, ma si può dire di loro ciò che Churchill affermava della democrazia: la democrazia è il peggio, ma non si è mai trovato un sistema istituzionale che funzionasse meglio.
Si può certamente affermare che le Nazioni Unite hanno numerose carenze, tuttavia esse hanno un vantaggio politico straordinario: sono l'unica istituzione dotata della credibilità e dalla forza che derivano dalla neutralità.
Molte generazioni prima di noi, avendo vision, guardando lontano nel futuro, hanno sostenuto le ragioni degli Stati Uniti d'Europa. Penso che qualcuno dovrà cominciare a sostenere le ragioni degli Stati uniti del mondo.
Vorrei concludere con una riflessione più generale. Da De Gasperi a Fanfani, a Moro, da Nenni a Saragat, a Craxi, la politica estera italiana ha sempre avuti fermi tre pilastri: le Nazioni Unite, l'unità europea, l'Alleanza Atlantica. Sono tre pilastri che si tengono l'uno con l'altro, che sono la base del nostro interesse nazionale; e di interesse nazionale bisogna ogni tanto parlare. Negli ultimi anni, avevamo perso tutti e tre questi pilastri. L'Iraq era un caso emblematico: non c'era la guida delle Nazioni Unite; divideva (l'Iraq) l'Europa, il cuore continentale dell'Europa dalla Gran Bretagna; divideva l'Alleanza Atlantica, ad esempio in modo nettissimo la Francia da una parte e gli Stati Uniti dall'altra.
In Libano, ritornano i tre pilastri della politica estera italiana. C'è da sperare che si tratti di un ritorno stabile, perché quando questi pilastri si reggono tutti e tre insieme il mondo va verso l'ordine e la pace, altrimenti affonda nel caos e nella guerra (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Intini.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta fino alle 21,45.
La seduta, sospesa alle 21,15, è ripresa alle 21,45.