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Si riprende la discussione (ore 15,32).
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 1608)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato La Malfa. Ne ha facoltà.
Onorevoli colleghi, vi prego di consentire al deputato La Malfa di svolgere il suo intervento! Abbiamo appena salutato i ragazzi di un liceo: consentiamo anche a loro di vedere come si svolgono i dibattiti parlamentari.
Prego, deputato La Malfa.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, il ministro degli affari esteri ha concluso il suo intervento formulando due auspici ai quali non ho difficoltà ad associarmi.
L'augurio principale è che la missione, difficile e rischiosa, in cui il Governo ha impegnato le forze militari italiane, possa rappresentare un successo dal punto di vista della loro sicurezza, mentre il secondo auspicio, contenuto nel suo intervento, è che la missione, in quanto tale, non della sola Italia, ma dell'ONU, con il sostegno politico fornito dall'Unione europea, possa contribuire a ridurre la tensione, se non a risolvere i problemi del Medio Oriente.
Non abbiamo difficoltà, ovviamente, a fare nostri questi due auspici.
Aggiungo che, proprio perché il Governo italiano ha assunto la decisione di inviare un contingente di militari italiani in quell'area, noi repubblicani voteremo a favore della conversione in legge di questo decreto-legge. L'invio di soldati da parte del Governo dell'Italia in un teatro così difficile impone di per sé alle forze politiche di avere il senso degli obblighi nazionali, una solidarietà, la quale può essere rivolta al Governo, se si condivide l'operazione, mentre deve essere rivolta alle forze militari anche nell'ipotesi che si nutrano riserve e dubbi sui motivi, le ragioni e gli obiettivi di questa operazione.
Questa è la situazione che voglio sottolineare nella mia dichiarazione di voto: noi offriamo il sostegno necessario alle nostre Forze armate, ma nutriamo dubbi e perplessità, che abbiamo manifestato fin dall'inizio e manifestiamo ancora, sulle ragioni e le circostanze che hanno spinto il Governo in questa situazione, anche su una certa frettolosità - mi consentirà il ministro degli esteri - nell'impegnare l'Italia in questa operazione.
Non ci è sfuggito e non credo sia sfuggito ad alcun osservatore internazionale che il Governo ha deciso un impegno in quel teatro così rischioso all'indomani della scelta di ritirare i soldati militari dall'Iraq, mentre all'interno della sua maggioranza erano e sono molto forti (prevediamo che aumenteranno) le pressioni a ritirare il contingente italiano anche dall'Afghanistan.
Ci preoccupa, in tal senso, il «no» che il Governo ha pronunciato sull'ordine delPag. 54giorno predisposto dall'onorevole Cossiga che chiedeva al Governo una chiara dichiarazione di non volersi ritirare dall'Afghanistan.
In altre parole, abbiamo avuto l'impressione che il Governo, ritirandosi da tutti i fronti internazionali, in qualche modo, avesse fretta di non negare del tutto gli impegni internazionali del nostro paese. E ci ha molto preoccupato, onorevoli colleghi, soprattutto nelle parole del Presidente del Consiglio, ma, anche oggi, in qualcuna delle parole pronunciate dal ministro degli esteri, una certa insistenza sul prestigio internazionale dell'Italia che avremmo conquistato o riconquistato. Sui soldati italiani inviati in una missione internazionale non si possono fare discorsi di prestigio! Aver detto, come ha detto molte volte in queste settimane il Presidente del Consiglio, che questa missione era volta a ricostruire il prestigio significa - detto con grande chiarezza, come deve essere detto in Parlamento - che mettiamo a rischio la vita dei soldati italiani per un Governo che è alla ricerca di convalide internazionali che evidentemente sa di non meritare pienamente!
Noi consideriamo molto pericolosa questa missione, soprattutto perché c'è un quadro di ambiguità molto forte sulle ragioni della missione. La risoluzione dell'ONU n. 1701 non dice che le truppe sotto la bandiera dell'ONU debbano disarmare gli hezbollah, ma dice che esse devono collaborare al disarmo delle milizie libanesi.
La domanda che poniamo e alla quale non ci è stata data una risposta né in passato né in questa sede, ossia la Camera dei deputati, è la seguente: che avviene se, come ha detto Nasrallah, le milizie hezbollah non hanno alcuna intenzione di rinunciare a quei 20 mila missili che hanno puntato e hanno usato nei confronti delle città di Israele? Che succede se le milizie libanesi, contrariamente alle deliberazioni e alle risoluzioni dell'ONU, non intendono ridurre gli armamenti? Quel è il compito di queste truppe? Non si può rispondere, come risponde il ministro della difesa, sostenendo che le regole d'ingaggio sono chiare, perché, come ho già fatto osservare nelle Commissione riunite difesa e esteri, nella circostanza dolorosa di Srebrenica, anche le regole di ingaggio delle truppe dell'ONU erano molto chiare, ma non dicevano che tra gli obiettivi sostanziali dell'intervento vi era quello di impedire il massacro dei civili di Srebrenica! In quel caso l'ONU ha assistito a violenze inaudite senza far nulla. In questo caso potrebbe assistere al riarmo o all'uso delle armi degli hezbollah e a quel punto alla reazione di Israele!
E non basta dire che Israele considera questa missione con favore. È giusto che la consideri con favore, perché è chiaro che se le truppe internazionali cooperano alla sicurezza dei confini nord di Israele, è giusto che il Parlamento di Israele sia favorevole.
Ma la domanda che noi ci poniamo, signor ministro, è la seguente: voi avete qualche speranza, non dico garanzia, sarebbe troppo, che il Libano, che le truppe di hezbollah, non siano pedine di un gioco più ampio? È ovvio che esiste una questione israelo-palestinese ed è anche vero che se si risolvesse il problema israelo-palestinese, questo aiuterebbe la situazione del Medio Oriente. Ma c'è da preoccuparsi se, invece, la situazione in Medio Oriente non determini una condizione nel conflitto israelo-palestinese, in altre parole, se non vi sia interesse di paesi come l'Iran o come la Siria, per chiamare le cose con il loro nome, come deve essere fatto in Parlamento, a mantenere una situazione di tensione, se non di scontro militare, tra Israele e i suoi vicini o tra Israele e i palestinesi o tra Israele ed il Libano, proprio per distogliere l'attenzione della comunità internazionale da altre vicende?
Che garanzie abbiamo che una presenza militare italiana così pesante, così costosa, così pericolosa per i nostri soldati avvenga in un quadro in cui si dia un contributo alla soluzione di questi problemi? O invece rischiamo di mettere degli ostaggi, signor ministro, nelle mani del Medio Oriente?
Voi ci avete accusato di avere mandato soldati italiani in Iraq! In quel caso ilPag. 55Governo italiano decise di non mandarli in una zona di guerra, perché alla guerra non partecipavano i soldati italiani, ma nel quadro di un dopoguerra caratterizzato da risoluzioni delle Nazioni Unite. Qui noi siamo entrati in una vicenda avventurosa.
Esprimeremo un voto favorevole, perché si tratta di soldati italiani, a sostegno pieno della loro azione, sapendo quali rischi corrono, sapendo quello che è avvenuto oggi in Afghanistan, ma esprimiamo grande preoccupazione per un'azione politica che ci è apparsa frutto non di una riflessione profonda, ma di una condizione interna slabbrata e confusa, come confusa e slabbrata è la maggioranza che sostiene questo Governo.
Queste, signor Presidente, sono le nostre perplessità. Nell'esprimere un voto favorevole, nello sperare che gli auspici del ministro degli esteri si possano realizzare, noi abbiamo il dovere di dire con chiarezza al paese che forse questa non è la cosa migliore che l'Italia avrebbe potuto fare.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Rao. Ne ha facoltà.
PIETRO RAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, il Movimento per l'Autonomia, da me rappresentato in Commissione difesa, ha seguito con grande attenzione il dibattito politico che negli ultimi mesi si è sviluppato attorno alla partecipazione del nostro contingente militare in Libano. Abbiamo anche dichiarato, dopo i chiarimenti del Governo, la nostra disponibilità a votare favorevolmente alla missione, perché riteniamo che il paese abbia la necessità di presentarsi unito ed autorevole in ambito internazionale sui temi della politica estera, per senso di responsabilità e senso dello Stato e per dare serenità e pace a quella gente, che oggi vive nel terrore e nel dolore.
Sappiamo tutti che l'Italia, così come altri paesi, ha pagato e pagherà il prezzo delle missioni militari all'estero e abbiamo apprezzato l'intervento tempestivo del Presidente della Repubblica, che, pur consapevole dei rischi della missione, ha cercato di porre un argine alle tentazioni di una parte della sinistra di riaprire la questione Afghanistan per imporre una discontinuità nella politica estera del Governo Prodi rispetto a quella del Governo Berlusconi. Il tentativo è e rimane quello di far passare la tesi che la spedizione in Libano, sotto le bandiere dell'ONU, è certamente una spedizione di pace, dimenticando come l'ONU stessa benedisse la presenza delle truppe alleate, tra le quali quelle italiane, quando si portò l'Iraq alle libere elezioni democratiche.
Esiste quindi eterogeneità di fondo all'interno di questa maggioranza, che rischia di trasformarsi in ambiguità se non riconosce che la minaccia, dopo i fatti dell'11 settembre, viene da quell'area e che quindi tutte le missioni militari promosse dall'ONU o dalla NATO in quell'area sono missioni equivalenti; altrimenti, il rischio è quello di prendere la strada di una pericolosa neutralità che si muove tra democrazia e fondamentalismo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Nardi. Ne ha facoltà.
MASSIMO NARDI. Signor Presidente, quando mandiamo i nostri ragazzi in zone di guerra, siano essi militari di leva o soldati professionisti, credo che i dubbi che ci assalgono siano tanti, forse troppi. Sono dubbi che non ci assalgono come gruppi, come forze politiche, o se volete come coalizione, ma ci assalgono come singoli semplici deputati; ognuno di noi, nel momento in cui vota una missione come questa o come tante altre, si chiede se sia giusto mandare i nostri ragazzi in quelle condizioni e in quelle situazioni.
Quello che è successo oggi credo renda ancora più difficile determinate scelte, però sono convinto che a stabilire se una cosa sia giusta o sbagliata siano le finalità con le quali si fanno determinate scelte.
Noi abbiamo scelto di inviare i nostri militari prima in Afghanistan ed in Iraq ed oggi in Libano perché pensiamo che essi si rechino in quelle aree per operare treinterventi semplici a dirsi, ma difficili da realizzare. Infatti, vogliamo intervenire in tali situazioni per difendere le popolazioni che si trovano alla mercé di questo o di quel gruppo armato; vogliamo tentare, inoltre, di fare quanto è in nostro potere per combattere il terrorismo; vogliamo infine cercare, nei limiti della nostra capacità, della nostra disponibilità e delle nostre potenzialità, di tutelare il diritto internazionale.
Credo, allora, che tutto ciò sia giusto. Vorrei altresì dire, con molta franchezza, che sono convinto che la maggior parte di tutti voi che siete seduti su questi banchi sia d'accordo con me: è giusto mandare i nostri ragazzi a correre il rischio di perdere la loro vita. È giusto perché la finalità che ci prefiggiamo, e che ritengo debba guidarci in ogni nostra scelta odierna e futura, sia quella di creare, per quanto possibile, le condizioni affinché - in un panorama difficile, nel quale ci si trova di fronte a reali rischi di degenerazione dei conflitti - si stabilisca la pace. Occorre, in altri termini, aiutare i popoli a superare pacificamente le conflittualità che li vedono contrapporsi.
Se siete d'accordo, come credo, sul conseguimento di tali obiettivi, allora vorrei osservare che spesso ci dividiamo sulle parole, sul decidere chi deve intervenire e sulla base di quale logica. Ci dividiamo, infatti, su parole come «intervento unilaterale», «intervento multilaterale», «ONU» o «NATO». Vorrei tuttavia osservare che, per quanto siano importanti tali parole, e per quanto sia fondamentale ciò che esse rappresentano, non possiamo perdere di vista la finalità che ci deve contraddistinguere e che dobbiamo cercare di perseguire. Noi, infatti, ci rechiamo in tutti gli scenari di crisi per cercare di favorire il raggiungimento della pace.
In tale contesto, allora, la missione in Libano, quella in Afghanistan e quella in Iraq sono state e sono missioni di pace; si tratta, in altre parole, di missioni che possono rappresentare una prospettiva per il futuro di quelle popolazioni: è questo il motivo per cui, a nome della Democrazia Cristiana, annuncio che voteremo a favore della conversione in legge del decreto-legge in esame.
Ma vorrei rilevare che sarebbe un errore profondo se lo facessimo a cuor leggero, vale a dire se non ci rendessimo conto del rischio che corrono i nostri ragazzi in Libano. Si tratta, infatti, non soltanto di militari che si vanno a frapporre tra belligeranti, ma anche di soldati che corrono pericoli determinati dal panorama internazionale: per assurdo, dal mio punto di vista, essi corrono più rischi in Libano che in Afghanistan e in Iraq. Ciò perché in Afghanistan e in Iraq devono confrontarsi con il terrorismo, vale a dire con milizie sì organizzate, ma non al punto tale (almeno così spero) da avere a disposizione arsenali militari particolarmente forniti. Viceversa, se è vero (come penso) che gli interessi internazionali che intervengono nella situazione libanese vedono il coinvolgimento di numerose potenze che possono, a vario titolo, prefissarsi l'obiettivo di far fallire la missione, o comunque di condizionarne l'esito ai propri fini, allora sono preoccupato se non ci rendiamo conto di ciò che può rappresentare, in quest'ottica, il Libano per l'Iran.
Credo infatti che l'Iran, esercitando la sua influenza nei confronti degli hezbollah, tenterà di promuovere, in quell'area territoriale, la conflittualità o la stabilità in funzione di un disegno complessivamente più importante: verificare se il suo progetto, concernente la prospettiva nucleare, nonché la necessità di ampliare la propria influenza in Iraq, verrà coronato. Se così non dovesse accadere, allora ritengo che la situazione di conflittualità e di scontro in Libano verrà sostenuta proprio dagli hezbollah.
La Siria ha dovuto rinunciare al proprio protettorato nei confronti del Libano e intende, nell'attuale situazione, giocare di nuovo un ruolo di prospettiva, di iniziativa politica, non avendo mai digerito quello che è successo in passato e avendo ancora - secondo la mia opinione - il dente avvelenato per gli accordi di pace che gli hanno portato via le alture delGolan. Vi è tendenzialmente un interesse specifico della Siria alla destabilizzazione del quadro.
Per quanto riguarda lo stesso Stato di Israele - non dobbiamo nascondercelo -, la guerra in Libano non è stata oggettivamente un grosso successo, anzi forse è andata un po' male. È evidente che Israele ha in questo momento l'interesse a guadagnare un po' di tempo e a creare una situazione per la quale sia sostanzialmente qualcun altro a disarmare gli hezbollah, cosa che agli israeliani non è riuscito di fare. Se questo è vero, come io immagino che sia, anche gli israeliani in questo contesto potrebbero non stare semplicemente a guardare la situazione ma cercherebbero di governarla per i propri fini.
Da ultimo, ma forse non proprio ultimo, anche gli Stati Uniti potrebbero avere non tanto un'interesse quanto una scarsa attenzione ai conflitti che potrebbero sorgere in quel contesto. Se è vero, infatti, ciò che sta accadendo in America con il duro confronto sui risultati della guerra in Iraq, e se è vero che a livello internazionale molte delle nazioni che hanno sostenuto la battaglia degli Stati Uniti contro il terrorismo iniziano ad assumere posizioni defilate, di disimpegno, un'eventuale conflittualità che dovesse svilupparsi in quel contesto e che coinvolgesse l'ONU e tutte le nazioni che in quella missione hanno dato il proprio appoggio farebbe diventare più facile pensare ad un coinvolgimento futuro di quelle nazioni, coinvolgimento che potrebbe essere finalizzato a colpire quelli che gli americani ritengono essere i veri fautori dell'instabilità in Medio Oriente - su questo credo che abbiano ragione -, e cioè quelli che essi definiscono paesi «canaglia».
È evidente che un'eventuale conflittualità che dovesse stabilirsi in quel contesto e che coinvolgesse i paesi europei, e anche quelli extraeuropei, potrebbe rappresentare un appoggio sia riguardo agli argomenti in discussione in casa americana, sia in termini di prospettiva futura sulla proliferazione nucleare, sia riguardo all'atteggiamento che i diversi paesi definiti dall'America Stati «canaglia» possono e debbono avere.
In conclusione, vorrei svolgere un'ultima considerazione. Ho tentato di compiere una valutazione che qualcuno potrà considerare «azzardata» e che invece sono convinto si ricolleghi ad un panorama che potrebbe concretizzarsi.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MASSIMO NARDI. Se ciò dovesse avvenire, è evidente che avremmo difficoltà a contenere una situazione che diventasse esplosiva.
Signor Presidente, credo che occorra far fare un passo indietro a tutti questi paesi e iniziare un'azione diplomatica, perché il rischio è la degenerazione dell'attuale stato di instabilità internazionale, degenerazione che oggi potrebbe riguardare noi, domani tutti, forse proprio tutti, addirittura l'intera umanità (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista e del deputato La Malfa).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, riteniamo che il decreto-legge che ci accingiamo a votare abbia un significato particolare rispetto alla conquista di una pace duratura in Medio Oriente e per la lotta al terrorismo.
Esso rappresenta il frutto di un grande lavoro, così come riconosciuto in ambito internazionale, svolto dal nostro paese - e a tale proposito ringraziamo il ministro D'Alema - non solo per la risoluzione della gravissima crisi israelo-palestinese, ma anche per contribuire a dare una svolta nella concezione di una politica estera basata non più sui rapporti bilaterali ma su quelli multilaterali.
È indubbio che ciò ha favorito il rilancio di un ruolo più significativo e più forte dell'Italia, dell'Europa unita e anche dell'ONU. Non si può in alcun modo negare che l'Italia abbia svolto un ruolo strategico nel difficile percorso politicoPag. 58che ha portato alla risoluzione n. 1701, nella convinzione che l'Europa non avrebbe dovuto in alcun caso sottrarsi all'impegno per favorire la pace in una regione come il Libano, così strategicamente cruciale nella vicenda mediorientale.
Le scelte operate dal nostro Governo e dal voto delle Commissioni riunite III e IV, sia della Camera sia del Senato - voglio qui sottolineare l'impegno del presidente Ranieri, della presidente Pinotti, del sottosegretario Intini e del sottosegretario Verzaschi -, hanno manifestato con chiarezza la priorità che l'Italia assegna da sempre alla ricerca della pace e alla soluzione dei conflitti, in questo caso mediorientali; fatto, questo, testimoniato anche dalla convocazione della conferenza sul Libano.
Vi è stata una grande capacità dell'Italia nel far comprendere che gli sforzi sul fronte libanese sarebbero riusciti anche ad innescare un processo positivo verso la pace in tutta la regione del Medio Oriente, evitando quindi allargamenti del conflitto. Bisogna sottolineare che l'Italia anche in ambito europeo è riuscita a dimostrare una grande centralità ed ha potuto anch'essa contribuire alla restituzione di un più significativo ruolo all'Europa unita e all'ONU, il cui ruolo per molti anni è stato appannato dal meccanismo dei veti incrociati.
Il voto dei Popolari-Udeur su questo decreto è espresso quindi con grande convinzione, perché riteniamo che un forte impegno per un esito positivo di tale operazione sarà, ripetiamo, decisivo per una svolta definitiva, per ottenere una duratura pace anche tra Israele e Palestina. Noi Popolari-Udeur siamo stati e saremo sempre in prima linea per la costruzione della pace e della democrazia, ed abbiamo in questi mesi sempre sostenuto con le nostre proposte, con grande convinzione, le scelte di politica estera del nostro Governo, fra cui quella di ritenere che l'Italia, se avesse offerto con tempestività la sua disponibilità a schierare un proprio contingente militare in Libano, avrebbe creato il clima giusto per consentire, come è avvenuto, all'Europa di schierare un cospicuo contingente in tale missione UNIFIL: missione che, visto lo slancio e la determinazione nuova, può costituire una strada maestra per conquistare una pace duratura.
Siamo inoltre particolarmente soddisfatti anche perché, a differenza della vecchia operazione UNIFIL, questa missione nasce con delle regole di ingaggio più chiare e con dei meccanismi relativi alla catena di comando che riescono a superare i problemi legati all'eccessiva burocratizzazione dell'ONU. Ne è la prova l'incarico conferito al generale Ridinò presso l'ONU, che potrà aiutare a superare tali difficoltà.
Ricordo, inoltre, che il decreto-legge che ci accingiamo a convertire in legge assicura anche un forte supporto per gli aiuti umanitari e per la ricostruzione. Tutto ciò, sempre in ottemperanza alla risoluzione n. 1701, dà il segno tangibile degli sforzi che il Governo ha intrapreso sin dai primi giorni del conflitto israelo-libanese non solo per il cessate il fuoco, ma anche per la ricerca di una soluzione pacifica e negoziata tra le parti coinvolte.
Il nostro paese, come già detto, ha svolto un ruolo da protagonista. Sarà di fondamentale importanza lavorare anche per la tenuta democratica del Libano. La tenuta democratica di questo paese è infatti, dopo anni di scontri tra milizie di diverse fazioni, ancora estremamente fragile e ciò si potrebbe ripercuotere nei difficili equilibri mediorientali. Sarà al tempo stesso necessario, anche attraverso tale missione, aiutare la popolazione sconvolta dalla guerra, impegnandosi fortemente nella ricostruzione sociale, morale e materiale del Libano. La società libanese ha fortemente bisogno di un appoggio in tal senso, per ridare fiducia alla popolazione, e non bisogna dimenticare che occorre anche puntare molto sui giovani: è lì che si ricostruisce il futuro. Solo occasioni diverse date ai giovani ed una diffusione della cultura della pace potranno aiutare a costruire una pace duratura in MedioPag. 59Oriente, fatta di rispetto reciproco anche delle diversità religiose, culturali e politiche.
La situazione è certamente complessa, ma affrontare nella maniera giusta e con il dovuto impegno anche tali problemi senz'altro contribuirà alla conquista di questa pace.
Non si può inoltre sottovalutare, per esempio, la questione palestinese e libanese, ossia l'esistenza in Libano di rifugiati palestinesi che non hanno alcun diritto civile o sociale per la legge libanese; costoro non possono votare, non possono esercitare una professione e neppure studiare. Questa massa di disperati, circa 800 mila persone, vive in una condizione indescrivibile e non può che rappresentare un fattore di instabilità devastante, se non vi sarà un adeguato impegno per risolvere tale problema. Sarà necessario tenere conto di questi e di tanti altri problemi dato che si opererà in un'area delicatissima i cui confini sono sempre, purtroppo, incandescenti e pieni di pericoli.
Siamo convinti che i nostri militari, a cui va sempre tutta la nostra considerazione e gratitudine, in nome della pace e della democrazia, affronteranno tale compito, come sempre, con grande professionalità e competenza, ma anche con coraggio ed umanità. Mai come oggi ne siamo convinti, dopo l'uccisione del nostro soldato Langella ed il ferimento dei nostri soldati in Afghanistan, tra cui, lo ricordo, vi è una donna.
È necessario, però, che la missione UNIFIL sia messa nelle condizioni di espletare in pieno i suoi compiti anche attraverso strumenti idonei e moderni dal punto di vista tecnologico. Si tratta di consolidare definitivamente una tregua che potrà consentire alla diplomazia e alla politica di rafforzare un percorso di pace che, partendo dalla crisi fra il Libano ed Israele, possa portare benefici anche ai fini della soluzione definitiva del conflitto israelo-palestinese.
Siamo d'accordo con il ministro D'Alema, il quale afferma che dobbiamo fare di più per risolvere la questione del conflitto in Palestina; non si può avviare alcun processo di pace se non viene risolta definitivamente tale questione. Dall'avvio di questa operazione UNIFIL in Libano si possono aprire anche nuove opportunità di dialogo per risolvere questo conflitto in Medio Oriente e conquistare la stabilità dell'intera regione.
Non si può non tenere conto della disponibilità di alcuni paesi arabi, da sempre impegnati nella pace, che ritengono urgente un impegno per risolvere questa antica questione. Ne è dimostrazione il ruolo che stanno svolgendo la Giordania e l'Egitto che, unitamente all'Arabia saudita ed anche al Qatar, stanno contribuendo notevolmente nei programmi di ricostruzione del Libano. Ma è anche estremamente significativo e da non sottovalutare l'atteggiamento che ha avuto la Siria in occasione dell'attentato all'ambasciata americana a Damasco. La speranza è che anche la Siria possa diventare un alleato in più nella lotta contro il terrorismo.
Questa missione rappresenta, in sostanza, una partenza importante e significativa per la costruzione della pace. I risultati sarà necessario verificarli via via sul campo. Non possiamo non apprezzare il ruolo che ha avuto il nostro Governo nell'intervenire tempestivamente per consentire alle nostre truppe militari di organizzarsi in tempi brevissimi, per consentire l'avvio della missione.
Tutto ciò premesso, ancora una volta affermiamo che il gruppo Popolari-Udeur voterà a favore di questa missione UNIFIL, convinto che potrà rappresentare un'importante svolta nella risoluzione della crisi mediorientale (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bonelli. Ne ha facoltà.
ANGELO BONELLI. Signor Presidente, colleghi e colleghe, prima di entrare nel merito del dibattito colgo l'occasione per affermare che i deputati Verdi sono fortemente addolorati per i tragici avvenimenti di questa mattina ed esprimono,Pag. 60ovviamente, la solidarietà alla famiglia del caporalmaggiore Giorgio Langella ed augurano una pronta guarigione ai feriti nell'attentato di stamani.
Oggi siamo chiamati ad approvare il provvedimento sulla missione militare in Libano. Si è molto parlato, durante quest'estate, il giorno in cui il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto, dell'opportunità o meno della missione, delle regole d'ingaggio e del fatto che il centrodestra avrebbe votato questo provvedimento solo in presenza di un ordine del giorno che riconoscesse che le missioni militari promosse dal precedente Governo sono di pace.
Ebbene, vorrei anzitutto fare una breve ma spero esaustiva spiegazione, in quanto noi riteniamo, come Verdi, che vi siano sostanziali differenze fra questa missione e quelle precedentemente votate e volute dal Governo Berlusconi. Innanzitutto, la politica del Governo italiano negli affari esteri segna una netta discontinuità con il precedente Governo, a partire dalla decisione del ritiro delle nostre truppe in Iraq e - come dicevo prima - con la missione di cui oggi discutiamo, che segna la fine dell'unilateralismo ed il rafforzamento del multilateralismo e un ritorno ad un ruolo principale e strategico dell'ONU e del diritto internazionale.
Voglio ricordare che da dodici anni le Nazioni Unite non assumevano il comando diretto di una missione, e aggiungo anche che i nostri militari sono oggi in Libano per garantire la pace ed una tregua, con il consenso delle parti in causa, il Governo libanese e quello israeliano, su mandato e con un ruolo forte dell'ONU. Vi è una sostanziale differenza fra l'inviare truppe dopo che si sono bombardati villaggi e città e provocate morti di civili e, invece, inviarle per garantire una tregua, anche con il consenso delle popolazioni. Questa è una differenza sostanziale, che anche l'onorevole Fini dovrebbe considerare.
Ringrazio il Presidente Bertinotti, che ha avuto la sensibilità di consentire più interventi, a seguito di una dichiarazione di accoglimento di un ordine del giorno che era un vero e proprio intervento politico. Infatti, quella avanzata dall'onorevole Fini in quest'aula è una legittima provocazione, ma è pure legittimo da parte nostra definirla come tale, in quanto la sostanziale differenza delle valutazioni riguardo alle missioni sta nel punto che ho appena esposto. Lo ripeto, i nostri militari sono in Libano, oggi, per garantire la pace con il consenso delle parti in causa e con l'avvio di una politica del dialogo, con un ritorno del multilateralismo e non, invece, con una politica dell'unilateralismo che ha fatto parlare solo i bombardamenti e non altro.
Vorrei ricordare peraltro che il Governo italiano, sin dal mese di agosto e anche in questi giorni, attraverso il Ministero dell'ambiente, è impegnato in una grande azione di bonifica dall'inquinamento delle acque libanesi dopo il bombardamento di una centrale elettrica che ha portato tanto petrolio ad inquinare quelle coste. Questa è una politica di cooperazione forte che dà, anche in questo caso, un segnale forte di discontinuità.
Inoltre, vorrei aggiungere che la politica attuale del Governo italiano e le giuste iniziative del Presidente Prodi vanno nella direzione del recupero di uno storico ruolo diplomatico italiano nei rapporti con i paesi del Mediterraneo ed i Governi arabi. Alcuni giornali, nelle settimane scorse, prima dell'approvazione del decreto, hanno teorizzato un ritorno agli anni Ottanta della politica estera italiana. Usando un gioco di parole, il ministro degli esteri è stato chiamato non Massimo D'Alema, bensì Giulio D'Alema. Noi riteniamo, peraltro, che alcune questioni di quegli anni debbano essere recuperate con molta attenzione, perché il dialogo con quei paesi è necessario per rilanciare una vera politica di pace. Questa forza multinazionale di pace non vuole bombardare un paese, ma va in Libano per garantire una tregua e tentare di creare condizioni per una pace duratura. Questa è la sostanziale differenza tra la missione voluta dal Governo dell'Unione e le missioni militari in Iraq e in Afghanistan.
Vorrei soffermarmi, ancora, su un aspetto che è stato fortemente sottovalutatoPag. 61in questi giorni: ultimamente, il Congresso americano ha concluso l'inchiesta sul conflitto iracheno giungendo alla conclusione che nessuna arma di distruzione di massa era presente in Iraq prima del conflitto e che non vi era alcun legame tra Al Qaeda e Saddam Hussein, il quale rimane un dittatore ma senza legami con quell'organizzazione. Questo l'ha detto il Congresso degli Stati Uniti d'America.
Ebbene, una bugia è stata raccontata agli abitanti del pianeta in nome della lotta al terrorismo, e in nome della lotta al terrorismo sono stati uccisi 46 mila iracheni, 2543 americani e 226 cittadini di altri Stati, tra cui anche alcuni soldati e civili italiani. Una bugia sulla quale il precedente Governo ha una responsabilità, per aver fatto da notaio a decisioni unilaterali assunte al fine di bombardare quel paese. Vi sono stati quasi 50 mila morti in nome di una bugia per la quale nessuno dei ministri di allora, a partire dall'onorevole Fini, ha trovato il momento per dare una spiegazione, non solo al paese ma all'opinione pubblica internazionale. Perché tutto questo? Non si risponde, ma è un quesito al quale è bene dare una risposta.
Sempre tre giorni fa, il quotidiano Stampa Web ha pubblicato il rapporto delle agenzie di intelligence statunitensi, divulgato anche da alcuni giornali americani, tra i quali il New York Times. Il rapporto afferma che il conflitto iracheno è stato un errore e ha rafforzato il terrorismo. Questo lo affermano le agenzie di intelligence statunitensi e non i pacifisti o alcuni utopisti. Lo ripeto, quel conflitto ha rafforzato il terrorismo e, ancora oggi, non siamo in grado di aprire una sana riflessione per il bene non soltanto del paese, ma del pianeta. Quelle che poniamo alla riflessione del Parlamento, infatti, sono posizioni non oltranziste ma posizioni che qualunque cittadino ragionevole ed equilibrato di questo paese ogni giorno formula e che noi, in Parlamento, vogliamo sottoporre alla riflessione di tutti voi. Perché, quindi, di fronte a valutazioni e studi provenienti non da organizzazioni pacifiste, non vi è alcuna assunzione di responsabilità?
Voglio aggiungere ancora che, dal 4 aprile 2002, lo Stato italiano ha speso, solo per il conflitto afghano, 1,1 miliardi di euro. Si tratta di una cifra enorme, che deve farci riflettere non soltanto sui costi economici e sociali ma anche sui costi umani. Su quella missione noi riteniamo - non per speculazione ma perché, quest'oggi, il tema è stato affrontato anche nell'intervento dell'onorevole Fini - che debba essere avviata una riflessione, per realizzare una vera pianificazione della fuoriuscita delle nostre truppe da quel contesto. Riteniamo, inoltre, necessario dare seguito immediatamente alla mozione, approvata nel luglio scorso, che prevede l'istituzione dell'osservatorio - mai istituito - per il monitoraggio delle missioni militari all'estero.
Onorevoli colleghi, i Verdi ritengono che la missione militare in Libano sia l'occasione, per l'Europa, di realizzare una nuova politica, basata sul dialogo. Tuttavia, chiediamo che a quelli militari siano affiancati anche corpi civili, ovvero che sia affiancata anche una politica di cooperazione.
PRESIDENTE. Onorevole Bonelli...
ANGELO BONELLI. Sto per concludere, signor Presidente.
Tale politica di cooperazione deve essere volta al dialogo con le popolazioni, per ricostruire ciò che è stato bombardato. Proponiamo, quindi, un «piano Marshall» e che si avvii subito una iniziativa politica e diplomatica del Governo, che bene ha operato fino ad oggi.
Per questo motivo, esprimeremo voto favorevole su questo disegno di legge di conversione, chiedendo al Governo di affrontare con grande attenzione la questione israelo-palestinese, per avviare, insieme al rinnovato ruolo dell'ONU, una stagione che riporti il dialogo e la pace in quei territori (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi e dei Comunisti Italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Venier. Ne ha facoltà.
IACOPO VENIER. Signor Presidente, rivolgendomi ai componenti del Governo ed al ministro D'Alema, dico che cominceremo dalla fine. Infatti, il gruppo dei Comunisti Italiani non ha apprezzato, e considera un errore, il fatto che il Governo abbia accettato l'ordine del giorno presentato, tra gli altri, dall'onorevole Fini. Lo affermo, in considerazione non tanto del merito, del suo contenuto, ma perché la scelta di accettarlo consegna ad una destra in gravissima difficoltà la possibilità di un alibi, proprio di fronte a quella svolta radicale che questo Governo, e il suo ministro degli esteri, hanno impresso, finora, alla politica estera del nostro paese. Non abbiamo apprezzato. Se vale la massima di saggezza secondo la quale, al nemico che fugge, ponti d'oro, è certo che in questa Assemblea, in questi giorni, abbiamo ascoltato, da parte dei deputati del centrodestra, parole gravi, parole di una litania stanca ma ancora pericolosa, la litania della guerra preventiva e dello scontro di civiltà.
Il tentativo di questa destra è quello di cambiare le motivazioni e, soprattutto, gli obiettivi della nostra missione, che, invece, sono chiari. Questo Governo garantirà che la missione si svolgerà nel solco della risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite, a favore, prima di tutto, della popolazione libanese, devastata dai bombardamenti e dalle distruzioni. Ho già avuto modo di dire in quest'aula che il 99 per cento delle vittime dell'invasione israeliana è costituito da civili e che, tra questi, l'80 per cento sono bambini e che sono state distrutte sistematicamente le infrastrutture civili, consegnando quel paese alla rovina e alla crisi economica, dopo tanti sforzi per uscire dalla devastazione della guerra civile.
Noi riteniamo che questa missione sia chiara nei suoi obiettivi ed è stato spiegato bene dal ministro D'Alema e dal ministro Parisi che non sarà mai una missione di guerra, di combattimento, né, come è stato chiesto da alcuni deputati di centrodestra di quest'aula, una missione che apra un altro fronte di quella «macelleria» mediorientale dentro cui Bush e Berlusconi hanno portato anche il nostro paese.
Non si può consentire di trovare alcuna analogia tra questa missione - decisa dalle Nazioni Unite, e la funzione fondamentale dell'Unione europea, ma anche con la partecipazione di grandi paesi musulmani e, persino, della Cina - ed una missione, come quella irachena o afghana, che non è stata voluta e non è stata percepita come missione di pace, ma di combattimento, di occupazione, di morte e di distruzione. Oggi, infatti, i bambini afghani continuano a saltare per l'esplosione delle vecchie mine antiuomo, ma anche delle nuove cluster bomb, usate dalle truppe di occupazione e anche dalla NATO.
Il nostro giudizio su quelle due missioni non cambia, anzi, proprio la drammatica giornata odierna ripropone il fatto che l'Italia deve andare nella sede propria, come è stato deciso in quest'aula con l'approvazione del decreto per il rifinanziamento delle missioni, per chiedere alla NATO una rivisitazione dalle fondamenta della missione afghana, che è destinata ad essere sconfitta e che è già fallimentare, perché nessuno degli obiettivi proclamati è stato portato a compimento.
Ecco perché, invece, noi siamo d'accordo ad approvare questo decreto e a mandare le nostre truppe in Libano. Ci andiamo sotto l'egida delle Nazioni Unite, come afferma l'articolo 11 della nostra Costituzione, secondo cui possiamo mandare le nostre truppe quando a chiedercelo sono i Governi o i rappresentanti dei popoli che hanno bisogno di sostegno per la garanzia del cessate il fuoco, per la ricostruzione o per la sicurezza. Questo è scritto nella Costituzione italiana. Questo è scritto nel programma dell'Unione. A questo facciamo riferimento e su questo noi ci baseremo per giudicare il successo o meno di questa missione, che ha come scopo quello di contribuire alla stabilità e alla sicurezza regionale, che non può che derivare dall'applicazione, senza un doppio standard, del diritto internazionale e dellePag. 63risoluzioni delle Nazioni Unite, di tutte le risoluzioni, colleghi della destra, anche di quelle che chiedono la nascita dello Stato di Palestina, il ritiro delle truppe israeliane dai territori illegittimamente occupati della Cisgiordania, la fine del massacro a Gaza, la liberazione dei rappresentanti del popolo palestinese e dei combattenti di quel popolo. Quel popolo lotta, come ha detto il ministro D'Alema incontrando le massime autorità palestinesi, per la legittima aspirazione ad avere uno Stato vero dentro una regione pacificata, in cui la sicurezza di Israele non venga dalla distruzione dei suoi vicini, ma dalla nascita dello Stato di Palestina e dalla legalità internazionale, che metta tutti sullo stesso piano e dia a tutti la certezza della sicurezza.
Noi vogliamo una conferenza internazionale.
Chiediamo al Governo di usare questa missione per impedire l'esplodere di una guerra in tutta la regione mediorientale, affrontando il dossier Iran con saggezza, riportando la discussione sulla denuclearizzazione e sulla sicurezza in un contesto regionale dove si affronti la presenza di tutte le armi nucleari non solo in una circoscritta area mediorientale, ma anche nell'area del grande Medio Oriente. Chiediamo di organizzare una conferenza che risolva tutti i problemi, perché senza affrontare la questione del Golan, degli insediamenti israeliani, del ritorno dei profughi palestinesi, non si può trovare una sicurezza regionale. Vogliamo quindi contribuire al sorgere di una nuova fase della comunità internazionale.
Colleghi della destra, voi siete dei nostalgici di una fase che è finita. Il nostro Governo ha interpretato al meglio la nuova fase. L'amministrazione Bush è sulla via del tramonto e con essa un'idea di governo del mondo basata solo sulla guerra, sulla distruzione, sul dominio di uno contro tutti. Ecco che nasce l'esigenza di un nuovo multipolarismo e di un protagonismo delle Nazioni Unite, basate su un nuovo rapporto di forza, ed è quindi importantissimo che questa missione veda la presenza dell'Europa come soggetto propulsivo, nel quadro della missione in Libano.
Tante parole sono state spese per descrivere le distruzioni che ci troveremo di fronte in Libano. Crediamo che, accanto alla missione militare, indispensabile in questo momento, ci sia però una grande operazione civile di relazione con la comunità libanese, una comunità articolata, pluralista, che ha tante espressioni, anche quella di Hezbollah, un partito di cui tanto si è discusso, che ha comunque una sua grandissima presa nell'opinione pubblica libanese, con cui dovremo fare i conti e confrontarci, sicuramente non con le armi ma con la costruzione della sovranità libanese su tutto il territorio libanese.
Questa è la nostra missione, contribuire alla sicurezza di tutti, portare soccorso e aiuto alle popolazioni di fronte alla distruzione e alla morte che sono state causate da una invasione, l'ennesima invasione del Libano, che non ha risolto nessun problema e a cui cercheremo di ovviare, perché almeno le sofferenze siano alleviate.
Per queste ragioni, certo voteremo a favore del provvedimento d'urgenza e, per queste ragioni, confermeremo la fiducia a questo Governo, nel nuovo indirizzo della politica estera italiana, nella svolta che abbiamo realizzato e che nessun alibi, nessuna piccola e provinciale questione parlamentare potrà cancellare (Applausi dei deputati dei gruppi dei Comunisti Italiani e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Villetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, la missione in Libano rappresenta indubbiamente un risultato positivo, a cui ha concorso una intensa attività politica e diplomatica del Governo italiano. È assai rilevante che a questa missione abbia partecipato l'Europa, che veniva considerata la grande assente in uno degli scacchieri più difficili della politica internazionale.Pag. 64
Il ministro degli esteri, poco fa, ha messo in rilievo questo aspetto, ma soprattutto ha dato al Parlamento italiano l'impronta che questa missione ha. L'onorevole D'Alema ha detto che non c'è l'Occidente contro l'Islam, ma una grande forza internazionale nella quale europei ed islamici sono insieme per assicurare la sicurezza e la stabilità in un'area tormentata, ed ha fatto notare la partecipazione di paesi musulmani, come la Turchia, il Qatar, per chiarire quale sia la novità che ha messo in campo con questa missione. La composizione è una risposta assolutamente chiara a chi vorrebbe alimentare una grande guerra di religione, un grande conflitto tra Occidente e Islam.
Certo, siamo assolutamente consapevoli dei rischi che corrono le nostre Forze armate in quella regione così travagliata. Sappiamo bene che in questa missione, come nelle altre, non mettiamo sullo scacchiere esseri inanimati; infatti, costantemente devono essere affrontati notevoli rischi e, talvolta, tali rischi possono arrivare fino al sacrificio della vita.
Nel manifestare e rendere omaggio al nostro soldato caduto in Afghanistan e agli altri soldati feriti, tengo a precisare che condivido quanto affermato dal Presidente della Repubblica Napolitano, il quale, esprimendo dolore per la morte del soldato ucciso in mattinata in Afghanistan e per gli altri militari feriti, ha comunque ribadito che il nostro impegno in missioni internazionali - in particolare, in Libano e in Afghanistan - costituisce uno sforzo indispensabile.
Non mi ha sorpreso il fatto che da parte di gruppi parlamentari dell'estrema sinistra e dei Verdi sia stata ripetuta, anche in quest'aula, la richiesta di un ritiro dall'Afghanistan. Sulle agenzie ho anche visto una dichiarazione del ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, nella quale il ritiro delle truppe si pone come una questione sempre più all'ordine del giorno. Mi dispiace che la divisione esistente all'interno dei gruppi parlamentari del centrosinistra si specchi nella disunione all'interno del Governo. Eppure la questione delle missioni di pace dovrebbe essere vista nel quadro di una nuova politica estera, che sicuramente ha profonde diversità da quella sostenuta dal Governo Berlusconi.
L'onorevole Fini ha affermato che tutti siamo solidali con le Forze armate e con il comportamento delle stesse e tutto il Parlamento è d'accordo. Tuttavia, non è cambiata la nostra valutazione sull'intervento militare in Iraq da parte degli Stati Uniti. Ci sono state valutazioni diverse, eppure in questo Parlamento - come accaduto anche nella scorsa legislatura - siamo riusciti a trovare punti di convergenza assai importanti.
La soluzione della situazione in Medio Oriente - e credo che per il Governo ciò sia assolutamente chiaro - non può certo essere ottenuta attraverso un'azione militare. Anzi, i rischi delle nostre Forze armate dipendono più dalla politica che dal territorio sul quale operano. Questo è l'aspetto più rilevante: se non vi sarà un'iniziativa da parte dell'Europa e degli Stati Uniti, un dialogo con i protagonisti della scena mediorientale, la nostra missione incontrerà gravi difficoltà.
Le nostre preoccupazioni sono accresciute - e in ciò vi è anche una divisione sulla valutazione dell'intervento in Iraq - dal fatto che si è creata una continuità territoriale tra Iran, Iraq, Siria, Libano e Palestina che pone in reale discussione il diritto all'esistenza di Israele. Infatti, attraverso quella continuità territoriale passa una catena di comando agitata da un fondamentalismo che a noi crea grandi timori e preoccupazioni, ma che in settori del mondo islamico costituisce una forza.
Dobbiamo saperlo, e questo può essere assolutamente rischioso e pericoloso per il diritto all'esistenza dello Stato di Israele. Dobbiamo saperlo noi che abbiamo sempre considerato che lì vi sono due popoli che hanno ragione, che devono esservi due Stati e due democrazie. Abbiamo espresso una gravissima preoccupazione dopo il successo elettorale di Hamas, che ha riaperto una questione che pensavamo definitivamente risolta: quella del riconoscimento da parte dei palestinesi dello Stato di Israele.Pag. 65
Quindi, la situazione è difficilissima, complicatissima, rischiosissima. Non sottovaluto assolutamente tali aspetti della missione: sarebbe un elemento di irresponsabilità che non ritrovo nel Governo. Nelle parole del ministro degli esteri ho sentito una certa cautela quando ha detto: ha avuto successo sinora. Quindi, vi è attenzione ai movimenti della politica ed a quelli in campo militare.
Sono convinto che la convergenza che vi è stata in Parlamento sia di grandissimo rilievo. Da tempo penso che il bipolarismo non vada interpretato come una spaccatura radicale tra due schieramenti. Bisogna confrontarsi duramente ed aspramente, ma ritrovarsi intorno a valori comuni: uno dei valori comuni è l'unità del nostro paese. Quando c'è una missione così importante come quella in Libano, credo che non solo i nostri soldati sul terreno, ma anche i nostri interlocutori internazionali sappiano che una politica estera sostenuta da una larga convergenza parlamentare ha una capacità maggiore di imporsi e di non essere solo la politica di un Governo e di una maggioranza di una legislatura, ma anche la politica di un paese.
Dobbiamo lavorare per costruire la politica estera di un paese. È per questo che voteremo a favore del decreto-legge sulla missione in Libano (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, il primo pensiero non può che essere per Giorgio Langella, per i suoi cari, per i suoi commilitoni feriti a Kabul. Era impegnato in una missione di pace, ma questo non è bastato a salvargli la vita, così come non basterà il casco blu ai nostri ragazzi in Libano per metterli al riparo da bombe, razzi, attentati ed incidenti fortuiti. Qui sta tutta la nostra responsabilità di uomini politici che si apprestano ad autorizzare una nuova spedizione di pace. Ogni incidente, infatti, ogni nuova vittima finirà per pesare dolorosamente sulle nostre coscienze. Tuttavia, non possiamo esimerci perché anche giovani libanesi, giovani palestinesi, giovani israeliani sono figli che meritano di crescere e di sperare in un mondo migliore, in un mondo di pace.
A tempo debito torneremo a parlare della nostra missione a Herat, e lo dovremo fare con lucida ed attenta passione e ragione. Intanto, però, mi tornano alla mente le frasi di un articolo di qualche settimana fa che, riprendendo un titolo del Financial Times, recitava: Le guerre del papavero e l'impopolarità; perché l'Afghanistan è sulla via del fallimento. Ovvero, guadagni stratosferici per i mercanti d'oppio, perdite insostenibili della NATO, crollo del tanto mitizzato Amid Karzai: ecco gli ingredienti dell'insuccesso afghano. Concludeva amaro: ci manca solo di veder rispuntare il mullah Omar, compagno di merende di Osama.
In verità, signor Presidente, speravo di esordire diversamente in questa mia dichiarazione di voto. Speravo di non dover pronunciare da subito espressioni di cordoglio e, soprattutto, di poter guardare in avanti, invece. Speravo di poter iniziare dicendo: se non ci fossero state le strumentali reazioni alla lezione di Papa Ratzinger a Ratisbona, se non fosse morta Oriana Fallaci, se non fosse scoppiato il caso Telecom. Se, se, se... Se non ci fosse stato - e non ci fosse tuttora - l'assordante bombardamento mediatico che ogni giorno condiziona la nostra agenda e la nostra vita politica, forse saremmo in quest'aula, oggi, in condizioni migliori per valutare lo sforzo prodotto dal Parlamento e dal Governo italiano, per contribuire a spegnere la fiammata che questa estate ha incendiato il Libano, provocato migliaia di vittime, distrutto case, ponti, strade e drammaticamente inquinato le splendide coste di quella porzione di Mediterraneo su cui si affaccia il paese dei cedri. E, con noi, avrebbero potuto meglio valutare il senso delle nostre riflessioni anche gli ascoltatori ed i telespettatori che stanno seguendo i nostri lavori.Pag. 66
Anche per tale motivo, dico subito che quello dell'Italia dei Valori sarà un voto a favore della missione di pace sotto l'egida dell'ONU che ci vede impegnati, al pari di migliaia di soldati e mezzi inviati dai nostri partner europei e insieme a truppe inviate dalla Cina ed anche da qualche paese a prevalenza musulmana, in quel difficilissimo angolo dello scacchiere mediorientale per dare corso alla risoluzione n. 1701 del Palazzo di Vetro.
Ma sbaglierebbe chi ritenesse la nostra una posizione ovvia e scontata, stante la nostra presenza quale movimento politico rappresentato al massimo livello nel Governo del paese. No, la nostra non è una posizione scontata. La nostra è, più semplicemente, una posizione consapevole, consapevole delle difficoltà cui andiamo incontro, consapevole dei problemi che si porterà dietro, consapevole dell'altezza della sfida e, tuttavia, consapevole anche della necessità di sostenere e far sostenere al nostro paese ed all'Unione europea lo sforzo economico, sociale e culturale necessario, nel tentativo di rilanciare il processo di pace in quell'area.
Proprio oggi, vari giornali, a cominciare dal Corriere della Sera, ricordavano le difficoltà operative dei primi 5 mila uomini di UNIFIL ad entrare in sinergia con l'esercito libanese, per non parlare del leader del «partito di Dio», che ci tiene a ricordare che Hezbollah dispone ancora di 20 mila razzi e che non si lascerà disarmare perché ciò farebbe il gioco dei sionisti. Però, intanto, le armi tacciono e ciò è quel che è più importante al momento.
Comunque, non si può non rilevare con soddisfazione la larga convergenza che, alla fine, si è registrata in sede di Commissioni riunite esteri e difesa, in questa sede, fin quasi a sfiorare l'unanimità dei consensi, una convergenza che fa bene al paese e farà bene ai nostri militari inviati a fare da interposizione tra le parti in causa. Ma sarebbe ipocrita non ricordare che, prima di arrivare alla larghissima convergenza cui ho fatto riferimento, il dibattito politico italiano intorno alle vicende mediorientali ha assunto, talvolta, anche contorni paradossali, per non dire surreali.
Penso al provincialismo che spesso è trapelato in molti interventi, e forse anche nei nostri. Mi riferisco alla fase in cui al centro della discussione non vi era traccia della tragedia del popolo palestinese, al mare di dolore e di distruzione prodottisi a seguito dell'insensata e non ponderata - riassumo il senso delle prime parole dello sceicco Nasrallah, non quelle galvanizzate dell'altro giorno, di fronte a mezzo milione di seguaci festanti, che comunque hanno confermato che non soltanto di una massa di terroristi si tratta - azione di attacco di Hezbollah nei confronti di Israele. Nemmeno si è cercato, soprattutto in certi settori della sinistra, di capire nel profondo la portata della paura e dell'insicurezza che quei giorni si è tornata a vivere nello Stato di Israele, all'interno del quale anche le più autorevoli voci del pacifismo impegnato si sono schierate a sostegno del Governo Olmert, che poi è sì finito sotto accusa, ma per scarsa attitudine militare, non per la sproporzione della sua reazione.
Quasi mai, per completare il quadro, vi è stata nelle valutazioni della maggior parte di noi il dramma del popolo palestinese, costretto, anche nei territori non più occupati, a vivere in condizioni miserrime, in quelle condizioni di degrado che sono il vero brodo di coltura del fanatismo e di alimento del terrorismo.
Su un aspetto voglio insistere - e mi avvio a concludere -: ad un certo punto ci siamo tutti trovati quasi sospesi, lo dico volutamente in maniera grossolana, tra i tentennamenti del centrodestra e un certo qual trionfalismo del centrosinistra, al punto da perdere di vista la complessità e la delicatezza di una situazione rispetto alla quale, anche il riferimento al 1982, alla missione comandata dal generale Angioni, è quantomeno fuorviante, se non altro perché il quadro di riferimento internazionale è completamente modificato, e non soltanto per l'attentato alle Torri gemelle. All'epoca vi era ancora l'Unione Sovietica e doveva ancora arrivare Gorbaciov.Pag. 67Insomma, come ha giustamente ricordato ieri l'onorevole Leoluca Orlando, dobbiamo renderci conto che siamo in presenza, dopo la caduta del muro di Berlino, del primo grande tentativo di superamento della logica delle guerre preventive che hanno prodotto, come in Iraq, soltanto l'aggravamento di condizioni già gravissime.
Siamo in presenza del primo grande tentativo di costruire azioni di pace nel pieno rispetto della legalità internazionale.
Su un punto i colleghi del centrodestra hanno particolarmente insistito in queste settimane: su una presunta e pretesa continuità tra le diverse missioni che, a partire da dopo l'11 settembre, hanno portato le nostre truppe in Afghanistan, in Iraq e adesso, con l'intervento di cui stiamo discutendo oggi, in Libano; di fatto, anche l'ordine del giorno illustrato oggi dall'onorevole Fini aveva tale intenzione.
Se potessi permettermi di dare un suggerimento agli amici del centrodestra, direi loro di stendere un velo pietoso sulla vicenda irachena e sul loro atteggiamento, anche alla luce dei più recenti giudizi delle agenzie di intelligence americane che, come è stato ricordato, nei loro rapporti, dopo avere sbugiardato chi sosteneva che Saddam fosse in possesso di armi di distruzione di massa, hanno sostenuto che quella guerra ha accresciuto la sfida del terrorismo, diventandone la prima fonte di reclutamento, ha dato nuove motivazioni agli estremisti e creato una nuova generazione di jihadisti in grado di riprodursi così rapidamente da rendere inefficace la risposta occidentale.
Vi è di più, però; vi è una cifra di lettura tutta politica che, a mio avviso, chiarisce in maniera lampante la differenza tra gli interventi: l'impatto del tutto diverso sul mondo arabo e sull'arcipelago islamico di questa missione in Libano e, aspetto non secondario, le bandiere e le insegne dell'ONU che campeggiano sui mezzi e sulle divise degli uomini schierati in campo. Poi, si può e si deve aggiungere che questa non è un'azione armata contro qualcuno ma un'iniziativa di interposizione richiesta - e gradita, se si può usare tale termine - dalle diverse parti in causa.
Perciò, il problema non è stabilire se vi sia o meno continuità - esercizio alquanto spericolato - tra le missioni avviate durante il precedente Governo e questa nuova missione, che possiamo definire UNIFIL 2.
PRESIDENTE. Onorevole...
FABIO EVANGELISTI. Dobbiamo semmai chiederci se quest'ultima - e concludo, Presidente - sarà o meno in grado, considerati i lunghi e difficili precedenti, di favorire il raggiungimento del vero obiettivo finale, ristabilire un clima che possa far riprendere il cammino iniziato ad Oslo e che, anche tra le pecche e le contraddizioni della cosiddetta Road map, è necessario per ridare speranza al popolo palestinese e sicurezza al popolo di Israele (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, la Lega Nord Padania condivide totalmente il merito della decisione assunta in sede ONU, che ha portato alla firma di una risoluzione che ha catalizzato un consenso molto ampio da parte della comunità internazionale; di questi tempi, non è cosa di poco conto. Sappiamo tutti, però, che le risoluzioni dell'ONU nulla valgono e nulla realizzano se poi non intervengono i Governi a perseguire concretamente le finalità delle missioni decise.
Ebbene, noi, valutando le misure predisposte con il decreto in esame, abbiamo difficoltà a non evidenziarne le diverse incongruenze. Questo provvedimento rischia di essere un boomerang per le stesse finalità che l'ONU indica per la realizzazione della missione di pace in un territorio così complesso e difficile come quello libanese.
Vogliamo evidenziare tali incongruità: non si riesce proprio a capire perché nonPag. 68sia stato codificata, nel decreto, la catena di comando e di controllo dell'ONU nei confronti delle Forze armate presenti sul territorio. Infatti, il primo punto, forse, a destare maggiore preoccupazione concerne proprio la catena di comando e di controllo, la direzione politica e strategica delle missione internazionale.
Abbiamo preteso ed ottenuto la costituzione di una cellula strategica all'interno delle Nazioni Unite. Ma se, all'improvviso - ed una domanda che dobbiamo porci -, Hezbollah o Israele riprendono le ostilità, occorre una decisione politica, che non può assolutamente venire da un generale assegnato alle Nazioni Unite: chi si assume la responsabilità delle scelte? Ciò, nel decreto, non è indicato; abbiamo più volte chiesto al Governo chiarimenti al riguardo, che però non sono stati resi.
I precedenti disponibili in materia sono poco rassicuranti; ricordiamo tutti quando in Bosnia venivano massacrati i civili dinanzi ai cancelli delle strutture dei militari della missione di pace dell'ONU e questi non potevano intervenire perché non avevano avuto ordini dal Palazzo di vetro. Dunque, evidentemente, si tratta di un punto che per noi diventa discriminante per esprimere un voto favorevole sul provvedimento.
Le considerazioni precedenti ne suscitano un'altra ancora più importante, relativa all'oggetto della nostra missione in Libano.
Inviamo circa 3 mila uomini e un forte dispositivo navale, spendendo quasi 187 milioni di euro per quattro mesi. Ciò significa che in un anno (e questa è una missione destinata a durare diversi anni), solo in un anno, spenderemo più di mille miliardi di vecchie lire. Però, non è ancora chiaro, cosa andremo a fare. L'unica cosa chiara è che i nostri uomini non avranno il compito di disarmare Hezbollah.
Ciò pone un'altra domanda, che abbiamo più volte rivolto al Governo: chi avrà il compito di disarmare i terroristi di Hezbollah? Sono i primi, lo ricordo, ad aver introdotto nel mondo del terrorismo internazionale il suicidio come momento di azione terroristica. Sappiamo soltanto che i nostri uomini hanno il compito di segnalare all'esercito regolare libanese eventuali carichi d'armi che incontreranno nelle missioni di pattugliamento. Conosciamo, però, tutti la forza armata libanese, una forza armata modesta, di fatto al suo primo impiego al di fuori della regione di Beirut da oltre trent'anni e, quindi, sicuramente non in grado di contrastare le milizie di Hezbollah presenti sul territorio.
È, però, possibile che questo grande dispendio di risorse e questo rilevante impegno di uomini che stiamo portando in Libano, sia funzionale ad altri obiettivi, con cui la pacificazione del Medio Oriente ha poco a che fare. Tra questi vi è la volontà manifestata dal Presidente del Consiglio Prodi di rafforzare l'Europa sulla scena mondiale, il tutto con l'evidente scopo di ridurre il peso degli Stati Uniti, ai quali viene imputata una politica estera e di sicurezza unilaterale decisamente arrogante.
Si tratterebbe, tuttavia, di obiettivi molto discutibili. In primo luogo, è più che dubbia la capacità del nostro paese, che non è una grande potenza, di perseguire traguardi così ambiziosi. Poi, occorrerebbe chiedersi se, davvero, sia nei nostri interessi ridimensionare il peso degli Stati Uniti nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, magari facendo largo alla Cina ed alla Russia, che stanno entrando in forza in Libano, insieme a noi, in questo momento. Meglio sarebbe, invece, a nostro avviso, concentrarci sulla prosecuzione della lotta al terrorismo jihadista che, ormai, minaccia anche il Papa e il cuore dell'Europa.
Ci viene detto che questa è una missione europea. Quanto al carattere effettivamente europeo della missione, lo scetticismo sembra d'obbligo, specialmente se si confronta il numero dei paesi europei presenti in Afghanistan con quello degli Stati che hanno cercato di contribuire ad una nuova visione di pace in Libano. In Afghanistan siamo tutti presenti, con tedeschi e francesi che accettano, addirittura, anche missioni combat sotto il comando americano. In Libano, a parte iPag. 69francesi, che hanno accettato con titubanza di mantenere la loro presenza, gli spagnoli e noi italiani, non vi è alcun altro paese europeo. Dunque, questa non può essere considerata, in alcun modo (anche se il Governo Prodi intende portarla avanti come una bandiera), una missione europea. L'Europa c'entra poco con questa missione; c'entrano, evidentemente, altri interessi che contrastano con la politica, portata avanti e sostenuta anche dal nostro Governo, di una pace nel Mediterraneo, che avversasse quei paesi islamici integralisti che, di fatto, sappiamo sostenere il terrorismo internazionale.
Infine, nessuno (l'ho già detto in precedenza) ci ha detto cosa avverrà in caso di ripresa del conflitto. Se Israele domani attaccasse gli hezbollah, cosa dovranno fare i nostri soldati impegnati nella missione? E cosa faremo se a compiere una mossa offensiva fossero gli hezbollah? Ci rassegneremo sempre ad operare come ausiliari dell'impotente esercito libanese o cercheremo di assumere un'iniziativa per contrastarli? Non sarebbe facile contrastarli: implicherebbe l'accettazione di complesse operazioni di combattimento.
Non si può, tuttavia, inviare all'estero soldati sperando che, in cielo, qualcuno ci aiuti: anche quando le premesse sono ottime e le intenzioni alle spalle encomiabili, possono sorgere gravi problemi di sicurezza (basti pensare alla Somalia di tredici anni fa). È bene fin da ora avere le idee chiare e voi, a tutte le domande che abbiamo posto, non avete voluto rispondere. Evidentemente, non avete le idee chiare.
Oggi, abbiamo presentato anche alcuni ordini del giorno, respinti dall'Assemblea che, di fatto, chiedevano di non inviare armi, oltre che uomini, all'esercito libanese. Così ha fatto tutto il centrosinistra, tutti quelli che in campagna elettorale chiedevano i voti ai pacifisti, dicendo di essere contro l'uso delle armi! Andiamo a fare una missione militare, come affermato anche precedentemente!
Il decreto-legge, così come recita il titolo, reca disposizioni concernenti l'intervento di cooperazione allo sviluppo in Libano, ma è stata scelta questa dicitura per accontentare ipocritamente le richieste della sinistra pseudopacifista. Noi inviamo uomini, navi da guerra, bombardieri, carri armati, uomini armati in una missione militare!
In un altro ordine del giorno abbiamo chiesto che dall'Assemblea, dal centrosinistra venisse detto a chiare lettere che tutte le missioni che in questo momento il nostro Governo sta sostenendo (i nostri uomini in questo momento sono in Iraq, in Afghanistan) fossero considerate uguali a quella libanese.
Vorrei ricordare, purtroppo, la morte di un nostro soldato in Afghanistan; in particolare, vorrei rappresentare la massima solidarietà e vicinanza del nostro gruppo, la Lega Nord, ai familiari del ragazzo caduto, nonché ai militari che sono stati feriti in questo attentato. Mentre i nostri uomini rischiano la loro vita, noi, ipocritamente, in aula, ci dobbiamo confrontare con dispute sul linguaggio, vale a dire su come interpretare le missioni di pace nel mondo! È una cosa vergognosa!
Concludo, preannunziando l'espressione del voto contrario sulla conversione in legge del decreto-legge in esame.
Riteniamo valide le richieste che provengono dall'ONU, ma contestiamo un decreto che manda i nostri uomini allo sbaraglio, a rischio della loro vita.
Si tratta di un decreto-legge non chiaro nelle finalità dell'operazione dei nostri militari, che non spiega bene le regole di ingaggio, che non parla di catena di comando e che mette, soprattutto, a rischio la vita dei nostri uomini (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Volonté. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, il gruppo dell'UDC ha più volte espresso il proprio consenso all'approvazione delle missioni italiane in Libano. Essa rappresenta un elemento diPag. 70continuità con l'azione dei Governi precedenti: ne condividiamo le motivazioni e le finalità.
L'aggravarsi della crisi che ha investito il Medio Oriente a partire dal luglio scorso e quanto è seguito in termini di morte e di distruzione non poteva vedere il nostro paese insensibile ed inerte di fronte al grido di aiuto delle popolazioni martoriate e ci siamo subito dichiarati disponibili e favorevoli ad una missione nell'ambito della risoluzione n. 1701, perché ritenevamo e continuiamo a ritenere fondamentale che, quando sono in gioco i valori profondi della convivenza civile e pacifica, è nostro dovere intervenire, così come è già stato fatto in passato.
Il nostro paese, in virtù di circostanze storiche e geografiche, si è sempre collocato in una posizione di responsabilità rispetto ai drammatici scenari che si sono succeduti specialmente nel corso degli ultimi anni in Medio Oriente.
Le nostre scelte nascono dalla profonda convinzione, maturata soprattutto nel corso delle crisi balcaniche degli anni Novanta, della necessità di un impegno della comunità internazionale, a fronte delle crisi che pongono a rischio l'incolumità di civili, la stabilità delle regioni interessate e, a volte, la stessa sopravvivenza delle etnie e delle identità nazionali.
Ricordo solo per inciso il genocidio tuttora in atto nel Darfur che è all'ordine del giorno delle diplomazie, anche quella italiana ed internazionale [Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
Con questo spirito e con questa convinzione votammo le precedenti missioni, anche quella in Iraq, legittimata dalle Nazioni Unite, svoltasi dopo la conclusione del conflitto del 2003 per portare soccorso e garantire alle popolazioni quella sicurezza gravemente pregiudicata dal conflitto. La nuova missione UNIFIL rappresenta oggi una tappa importante nel cammino della pace in Medio Oriente e ci auguriamo che avvii una nuova stagione dell'impegno della comunità internazionale nella soluzione dei conflitti internazionali.
Le Nazioni Unite e l'Europa tornano ad assumere un ruolo di primo piano nella ricomposizione della crisi mediorientale e credo che anche molte aree del mondo oggi guardino a questa missione con occhi di speranza. Ma credo anche che si debba ancora lavorare molto, affinché l'Europa acquisti la nuova consapevolezza di cosa rappresenta la propria identità cristiana e di quale compito impegna tale coscienza, nel suo possibile ruolo nelle vicende che stanno interessando oggi il Medio Oriente, nei rapporti con il mondo islamico in generale.
Non siamo però altresì d'accordo quando si afferma - l'abbiamo sentito anche in questi interventi - che una missione è giusta e legittimata solo se l'intera Unione europea trova un consenso unanime. La legittimità di un intervento è conferita senza dubbio dall'ONU; tuttavia troppo spesso abbiamo assistito ad omissioni, cinismi e opportunismi da parte di alcune nazioni nel decidere o nel non decidere di intervenire.
Purtroppo, dobbiamo anche rilevare come un analogo cinismo si è registrato anche nel corso del dibattito della politica interna italiana. Si è purtroppo assistito ad una declinazione di alcune funamboliche affermazioni e posizioni che nascondono un opportunismo; non si può decidere sulla necessità dell'intervento in funzione di un populismo o di un possibile vantaggio che se ne può ricavare. Tirare fuori le bandiere della pace quando fa comodo oppure riporle perché si è al Governo non rende un buon servizio né alla pace né alla coscienza dei singoli e dei cittadini.
In passato noi abbiamo votato anche quando i calcoli di bieco opportunismo politico lo avrebbero sconsigliato, ma la nostra identità e la nostra storia, l'attaccamento ai valori fondamentali della solidarietà, del rispetto della legalità e delle persone, ce lo hanno impedito.
Queste sono le nostre motivazioni, le ragioni etiche che ci sostengono nelle nostre decisioni. La legittimità, cari colleghi,Pag. 71risiede soprattutto in quei valori ideali che hanno fatto grande il nostro paese e che i nostri militari hanno saputo bene interpretare ovunque siano stati chiamati ad intervenire.
Di questo dobbiamo essere orgogliosi; orgogliosi di quanto hanno fatto e faranno i nostri ragazzi in missioni di pace all'estero; uomini come il caporale maggiore degli alpini, Giorgio Langella, alla cui famiglia ci stringiamo nel dolore, che hanno saputo e che sanno tenere alta l'immagine del nostro paese e i valori che l'Italia voleva e continua a voler difendere.
Oggi siamo tra i paesi maggiormente impegnati nelle missioni all'estero, nonostante i limiti del nostro bilancio della difesa, ma sarebbe opportuno prevedere, proprio in virtù della logica bipartisan che anima questo provvedimento, nella prossima finanziaria, un aumento dei fondi da destinare alla difesa, perché siamo fortemente convinti che non esista una politica estera senza una adeguata politica della difesa e un'adeguata politica diplomatica di prevenzione dei conflitti.
In questo spirito, per le motivazioni che abbiamo ricordato, confermiamo il voto favorevole del gruppo dell'UDC alla conversione del decreto-legge, a conferma di una linea politica di continuità della politica estera del nostro partito, non senza nasconderci i rischi della missione, che le recenti dichiarazioni allucinanti di Nasrallah e il rifiuto di Hamas di riconoscere Israele non aiutano a smorzare [Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Migliore. Ne ha facoltà.
GENNARO MIGLIORE. Signor Presidente, signori del Governo, la tragica morte di Giorgio Langella, nostro soldato impegnato nella martoriata terra di Afghanistan, ci fa ripiombare nello sgomento e nel dolore. Dolore e sgomento per l'ennesima vittima di una guerra cruenta dalle evoluzioni ormai davvero imprevedibili.
È un dolore grande, perché siamo convinti che la guerra e la violenza siano nemici non solo di una parte, ma dell'umanità intera. Ogni vittima di attacchi terroristici, di azioni militari svolte contro i civili è una vittima nostra. Ripudiamo la guerra e il terrorismo, li contrastiamo attivamente, entriamo in sintonia con il rifiuto crescente nella società italiana ed internazionale verso il terrorismo e verso la guerra.
Tutte le vittime, civili e militari, le sentiamo come un lutto nostro, un lutto che non vogliamo né superare né elaborare.
Siamo vicini alle famiglie dei feriti e delle vittime, e siamo umanamente vicini anche ai militari impegnati in quelle missioni che non avremmo voluto si svolgessero.
Vorrei dire al collega Fini che non abbiamo atteso il suo richiamo tardivo ed autoassolutorio contenuto nella interpretazione presuntivamente autentica dell'ordine del giorno presentato dall'opposizione, che non avremmo condiviso, per chiarire quale era la nostra posizione. Le nostre missioni militari, svolte con apprezzata professionalità, riconosciuta competenza e grande capacità di relazioni umane dalle Forze armate, debbono essere finalizzate, dunque, al soddisfacimento delle esigenze di sicurezza, di controllo dei territori, di tutela dei diritti umani, di promozione della democrazia e via dicendo.
Non sono parole mie, colleghi dell'opposizione: si tratta di frasi contenute in una mozione approvata in questo Parlamento, ma non votata da voi. Ciò per motivazioni speculari a quelle che, talvolta, vengono espresse da altre parti, ma che riconoscono solo la strumentalità del dibattito politico e non la reale discontinuità di questa missione militare.
La situazione sul territorio afghano sta peggiorando visibilmente. Non rivendichiamo primogeniture, né diciamo, confermando nostre tesi, che «lo avevamo detto»; chiediamo al Governo, tuttavia, di completare l'impegno assunto con la mozione approvata solennemente in quest'aulaPag. 72del Parlamento. Invochiamo l'immediata istituzione della Commissione parlamentare di monitoraggio e richiediamo, altresì, di valutare l'evoluzione sul campo, in modo che sia in sede internazionale, sia all'interno della nostra coalizione si possa evitare di perseguire, ottusamente, una strategia rivelatasi inefficace e che produce ancora morti.
Questo è quanto dobbiamo valutare e questo è ciò che, responsabilmente, le forze appartenenti alla nostra coalizione devono chiedere: fuoriuscire da una strategia che, oggi, si rivela sempre più impossibile da sostenere. Bisogna proporre anche alla NATO, essendo noi parte di tale alleanza, un'interpretazione ed una gestione diversa e, probabilmente, di rimettere completamente in discussione la presenza della missione ISAF nel suo complesso, e non solo da parte nostra. Abbiamo fatto bene a non accedere alle richieste di profondere un maggiore impegno bellico provenienti proprio dal Segretario generale della NATO. Abbiamo inoltre constatato che, sulla questione libanese, il Governo si è mosso proprio nel solco della citata mozione e con un sovrappiù di cultura e di lungimiranza politica.
Devo riconoscere che i ministri competenti, Parisi e soprattutto D'Alema, hanno saputo rifuggire la logica subalterna di compiacere gli alleati internazionali, a partire dagli Stati Uniti, prima ancora che questi conoscessero quale fosse l'opinione del nostro Parlamento, e quindi del nostro organo supremo di rappresentanza. Noi, a differenza di voi, non abbiamo aspettato che qualcuno ci dicesse cosa fare o in quale missione unilaterale impegnarci. Abbiamo voluto segnalare, così, anche una ripresa della nostra presenza sullo scenario internazionale.
Voglio dirlo ai colleghi della destra, che lo hanno ripetuto come un disco rotto: non vi è continuità tra le precedenti missioni militari e questa! Questa, infatti, è la prima missione militare accettata da entrambe le parti belligeranti e si tratta anche della prima missione - come è stato rilevato nel corso del dibattito sia dai nostri colleghi di gruppo, sia dagli altri deputati appartenenti alla maggioranza - che prevede, con il suo impegno e con la sua presenza sul territorio, il fatto che vi sia una tregua, vale a dire che non si aumenti il rischio di causare vittime civili attraverso l'enfatizzazione di quei conflitti che proprio le invasioni dell'Iraq e dell'Afghanistan hanno provocato.
Penso ai discorsi del passato, compresi quelli pronunciati dal precedente Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Vorrei osservare che siamo qui a presidiare non la collocazione geopolitica dell'Italia, ma una politica di pace, e ritengo che i contenuti espressi con la nostra azione di Governo siano di per sé un valore sia per l'intera coalizione, sia per tutto il paese.
Sosteniamo con convinzione la presente missione perché è una presa di coscienza, essendo per noi la discontinuità un valore fondante anche della politica del nostro Governo. È un valore perché ciò è reso possibile attraverso una discussione, pur serrata, avvenuta per compattare l'azione di governo, ma lo è anche per la comunità internazionale. Quanto è cambiato il contesto internazionale in cui oggi ci muoviamo?
Pensate, colleghi dell'opposizione, a quanti danni avete prodotto, per fortuna in maniera non irreversibile, all'interno di un Mediterraneo che è diventato un continuo divampare di fuoco e di guerre, che noi invece dobbiamo spegnere.
Noi riteniamo che la ripresa dell'iniziativa dell'Europa e delle Nazioni Unite debba essere confortata da una grande presenza anche della politica. È per questo che definiamo questa novità, come segnalavano i colleghi Deiana, Alì Rashid, Cacciari nel corso della discussione generale del disegno di legge in esame, come una premessa per la politica. Vi pare poco garantire la tregua? Vi pare poco affermare che il disarmo delle milizie è un affare interno del Libano, e proprio per consentire la ripresa di una convivenza civile nel paese più povero dell'area, in quello più tormentato, che ha vissuto insieme ai territori occupati della Palestina la peggiore invadenza dell'aggressività delPag. 73Governo e dell'esercito d'Israele? Vi pare poco pensare ad una ricostruzione nazionale?
Penso che si debba essere prudenti, non enfatici, né sottolineare vanterie militariste. Noi vogliamo dire che per una volta i militari con i caschi blu sono lì per impedire di sparare e non per sparare, e che sarebbe molto sbagliato non perseguire quella politica di equivicinanza che crediamo sinceramente essere stata felicemente interpretata da questo Governo. La tregua è una premessa.
A tale proposito, devo dire che anche il nostro impegno di militari, visto che se ne è parlato da novelli professatori di un pacifismo dell'ultima ora, rappresenta una espressione della responsabilità rispetto alla nostra iniziativa politica. Non vi è etica senza rischio e, se si rischia, si sceglie, e si sceglie il luogo in cui si sceglie e chi sceglie. Abbiamo ribadito che la scelta deve essere fatta nelle aule del Parlamento e che deve essere in linea con l'esistenza specifica e l'osservanza dell'articolo 11 della nostra Costituzione.
In conclusione, vorrei dedicare un pensiero, considerato che sosteniamo convintamente e con tanti argomenti la missione in Libano, a quei cooperanti di pace, come quel ragazzo di 24 anni, Angelo Frammartino, che era lì proprio per costruire quei ponti di pace che potrebbero essere la nostra vera risorsa: più soldi alla cooperazione internazionale, ma anche riapertura alla presenza di caschi bianchi, come precisato anche nel suo intervento dal nostro collega Cacciari e come è anche previsto nella Carta delle Nazioni Unite quale impegno fondamentale, non soltanto per impedire che si spari ma per costruire una pace duratura in quell'area così disastrata del mondo (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, de L'Ulivo e dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Briguglio. Ne ha facoltà.
CARMELO BRIGUGLIO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, non vi sono missioni militari di destra o di sinistra: vi sono soltanto missioni militari di pace dell'Italia. Questo è quello che, in sede di dichiarazione di voto - che sarà favorevole - del gruppo di Alleanza Nazionale, voglio dire forte e chiaro in quest'aula, anche in seguito all'ordine del giorno presentato dal presidente Fini e da altri autorevoli colleghi parlamentari del centrodestra, in cui si afferma in modo chiaro che le missioni militari di pace dell'Italia vanno al di là delle stagioni politiche, degli stessi Governi e degli schieramenti bipolari. Sono tutte missioni militari che rispettano l'articolo 11 della Costituzione, come peraltro hanno attestato i Presidenti della Repubblica, quello attuale e il suo predecessore, i quali hanno controfirmato i decreti che hanno autorizzato le missioni militari di pace. Non voglio fare finta che in questi ultimi minuti non sia accaduto nulla in questa aula. Non voglio enfatizzarlo, ma l'ordine del giorno presentato dal centrodestra, pur essendo di parte, non è tuttavia di parte, in quanto esso riconsegna a tutta l'Italia, e a tutto il Parlamento che la rappresenta, una missione militare che si cercava di interpretare a fini di parte, soprattutto di politica interna.
Nei giorni scorsi abbiamo dovuto registrare, e quasi subire, una sorta di doppiezza da parte di molte forze del centrosinistra: da un lato, si auspicava nelle sedi ufficiali, anche parlamentari, un sostegno bipartisan delle forze politiche tutte, quindi anche dei gruppi del centrodestra e dell'intero Parlamento, perché si diceva, in linea con quello che ha affermato correttamente il Capo dello Stato, che è necessario che dietro i nostri soldati ci sia l'intero Parlamento, ci sia l'intero popolo italiano che lo rappresenta; poi, in altre sedi, compresa questa fino a qualche minuto fa, vi erano e ci sono forze all'interno del centrosinistra che vogliono fortemente sottolineare una discontinuità, che noi invece non ravvisiamo, alla luce dell'ordine del giorno presentato dal centrodestra che ha come primo firmatario il presidente Fini, perché la politica estera di un paese non cambia dall'oggi al domani.Pag. 74
Forse la sinistra radicale e pacifista ha bisogno di questo alibi per sostenere il decreto, dicendo che è in rottura con altre missioni militari, ma in realtà noi questa discontinuità non la ravvisiamo affatto. Per noi questa missione militare è una missione militare di pace, in linea con l'articolo 11 della Costituzione, così come tutte le altre. Noi sosteniamo questa missione militare, perché crediamo che una grande forza politica, un grande schieramento politico come il centrodestra, in materia di politica estera debba gettare il cuore oltre l'ostacolo, debba cioè guardare al di là della stagione contingente. Lo abbiamo fatto quando abbiamo votato le missioni militari in Kosovo e in Bosnia. Poi lo abbiamo fatto dalle posizioni di Governo come protagonisti, sostenendo e mettendo in campo le missioni militari in Iraq e in Afghanistan. Ieri come oggi, in materia di politica estera credo che siamo stati caratterizzati da una posizione di grande apertura e di grande generosità, perché è nel DNA della destra politica italiana vedere le missioni militari non con una visione guerrafondaia. I nostri soldati, quelli che sono andati in Iraq, in Afghanistan, in Bosnia, in Kosovo e anche in Libano, vanno a mantenere la pace, vanno a svolgere operazioni umanitarie importanti, di assistenza e di difesa della popolazione e di ricostruzione civile. E non saranno interpretazioni faziose che ci faranno deviare da questa linea, che è una linea politica ma che forse va al di là della politica, perché è una linea della storia della destra politica italiana!
Credo che ciò debba essere apprezzato come apertura nei confronti del Governo, nonostante ci siano problemi e grandi perplessità, in relazione ai quali invitiamo fortemente il Governo a vigilare nei prossimi giorni. Ci sono state in questa settimana delle dichiarazioni veramente pesanti e preoccupanti nello scacchiere mediorientale, da parte intanto di Hezbollah, che si rifiuta di riconoscere Israele e che ci dice che ha ancora molte armi da mettere in campo; e non parliamo di armi della politica!
Concludendo, signor Presidente, onorevoli colleghi, quando il presidente Fini e gli altri leader del centrodestra hanno pensato all'ordine del giorno che abbiamo presentato, non sapevamo ancora che il caporalmaggiore Giorgio Langella ed altri militari italiani sarebbero rimasti il primo ucciso e gli altri feriti in un attentato.
PRESIDENTE. Mi scusi un attimo, deputato Briguglio.
Invito l'Assemblea a ridurre il brusio perché in queste condizioni è davvero difficile ascoltare gli interventi dei colleghi.
CARMELO BRIGUGLIO. Credo che l'ordine del giorno presentato rappresenti la migliore posizione politica per rendere onore a militari che servono la pace in tutte le missioni in cui sono impegnati.
I colleghi della sinistra non hanno nulla da dire rispetto a forze politiche - parlo di Hamas e di Hezbollah - terroristiche. Dove è finito il pacifismo?
I militari italiani hanno certamente in mano un fucile, poiché debbono difendere se stessi e le popolazioni loro affidate, ma si sono sempre recati all'estero avendo nell'altra mano cibo, omogeneizzati e medicine: è così che si serve concretamente la pace (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Cicchitto. Ne ha facoltà.
FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, fra poco voteremo tutti a favore della missione italiana in Libano e ciò avverrà grazie al nostro senso di responsabilità, in presenza di visioni assai diverse della politica estera del nostro paese e anche di valutazioni e giudizi differenti per ciò che riguarda i compiti e il funzionamento della missione.
In questo caso non vi è un confronto fra unilateralismo e multilateralismo, ma un confronto fra due diverse concezioni del multilateralismo. Il nostro multilateralismo si fonda sull'unità dell'Occidente, su uno stretto rapporto fra l'Europa, gliPag. 75Stati Uniti, Israele e su relazioni positive con i paesi arabi. Il vostro multilateralismo si fonda su una concezione concorrenziale dell'Europa con gli USA e sulla ricerca di un rapporto preferenziale con tutto il mondo arabo.
La vostra è una visione datata rispetto alle contraddizioni che attraversano il mondo, perché secondo il vostro parere tuttora la contraddizione israelo-palestinese è fondamentale, mentre invece, purtroppo, essa è sopravanzata da una contraddizione molto più profonda determinata dal fondamentalismo islamico, che rappresenta un'alternativa globale al mondo occidentale e ai paesi arabi moderati. Se non ci misuriamo con questa realtà, che richiede l'unità e non la disarticolazione dell'Occidente, noi lavoriamo a favore di un'azione del fondamentalismo islamico molto profonda e che non va sottovalutata. Si tratta, infatti, di una dimensione che si sviluppa lungo due direttrici: mi riferisco ad un nucleo eversivo terroristico che si dirama per franchising in tutto il mondo e ad uno Stato rivoluzionario, l'Iran, che non può certamente essere esorcizzato e calmato con qualche incontro. Infatti, il presidente Ahmadinejad è un rivoluzionario integralista che punta, da un lato, ad acquisire l'arma nucleare e, dall'altro, come ha ribadito pochi giorni fa, il suo disegno punta ad espellere gli ebrei da Israele e dalla Palestina poiché, secondo lui, sono senza radici.
Non serve ad esorcizzare queste contraddizioni lo storicismo giustificazionista del nostro ministro degli esteri; con quello storicismo giustificazionista anche il nazismo aveva una sua ragion d'essere, perché rispondeva al criterio del radicamento nel territorio e al fatto che poteva contare su una rappresentanza parlamentare che nel 1933 risultava addirittura maggioritaria. Infatti, i conti non tornano neanche all'intelligenza politica dell'onorevole D'Alema.
Oggi vediamo che la risposta, da un lato, dell'Iran e, dall'altro, degli hezbollah, con il ragionamento che ha fatto proprio pochi giorni fa in una manifestazione di massa il loro leader Nasrallah, è stata la rivendicazione del loro armamento e quindi il fatto che, opportunisticamente, essi giocano una partita rinviando ulteriormente i tempi fino ad un nuovo attacco militare.
Nel dibattito che abbiamo avuto l'altro ieri, l'onorevole Ranieri si è rivolto ad Israele perché appoggi Abu Mazen. Tuttavia, il problema di Abu Mazen, onorevole Ranieri, non dipende da Israele bensì da Hamas e dal fatto che questa organizzazione non sta concludendo un accordo di governo perché non vuole accertare il riconoscimento che l'OLP aveva fatto, a suo tempo, dello Stato di Israele. Questa è la contraddizione grave, anche rispetto ad alcune valutazioni che l'onorevole D'Alema ha fatto su Gaza, il cui dramma è lo scontro armato fra Hamas e l'OLP. Se osserviamo la politica israeliana, vediamo che essa, per avere la pace, ha sempre ceduto territori nel Libano e a Gaza. Questi territori non sono stati occupati da arabi moderati, ma purtroppo e tragicamente dall'estremismo fondamentalista che si è insediato nel Libano e adesso sta conducendo la sua battaglia a Gaza. Come voi sapete benissimo, infatti, la crisi dell'OLP e la vittoria di Hamas sono dipese anche dalla corruzione della prima e dal fatto che essa ha perso potere di convinzione sulla cittadinanza palestinese.
Allora, onorevoli colleghi, la missione va inquadrata in questo contesto e non dobbiamo dimenticare due dati: il primo, paradossale, secondo il quale senza la risposta israeliana all'attacco armato che le è stato rivolto noi non avremmo avuto una situazione nella quale l'esercito libanese ricominciasse a prendere il controllo sul suo territorio (infatti, a tale esercito, nel combinato disposto tra Hezbollah e la Siria, era impedito di arrivare al confine con il Libano); in secondo luogo, ricordiamo che l'ONU era già presente in Libano. La missione UNIFIL dura già da molti anni, ha avuto 258 morti e ha voltato gli occhi dall'altra parte, consentendo all'Iran e alla Siria di armare, come se fosse uno Stato, una componente terroristica qual è Hezbollah.Pag. 76
Abbiamo fatto i conti per superare la questione in positivo, con un deliberato dell'ONU, il n. 1559 che, in una frase assai precisa, diceva che dovevano essere disarmate le milizie al confine. Invece, oggi, il testo della risoluzione n. 1701 non fa altro che assegnare due compiti fondamentali alla missione: l'appoggio della missione all'esercito libanese perché disarmi le milizie sciite e, in secondo luogo, il blocco della frontiera per evitare che continui il riarmo di tali milizie. Questa riflessione è condensata anche in un ordine del giorno presentato dagli onorevoli Cossiga, La Malfa e Martino, che mettono a fuoco l'esistenza di questo problema. Se invece, in corso d'opera, la missione diventa pura e semplice interposizione, noi rischiamo di trovarci in una situazione nella quale stiamo fermi, non blocchiamo le frontiere e non disarmiamo Hezbollah.
A quel punto, il problema sarebbe costituito dal rischio gravissimo, che la nostra missione corre, di consentire agli hezbollah di guadagnare tempo affinché, essendo stati smantellati alcuni armamenti, possano ricostituirli.
Quindi, il nostro voto favorevole è anche un voto a termine, nel senso che sottoporremo questa missione ad una verifica. Infatti, sappiamo benissimo che, in una parte di questo Parlamento, tale missione è invece concepita come una interposizione dell'ONU che consenta agli hezbollah di guadagnare tempo.
Esprimeremo un voto favorevole per due ragioni di solidarietà. Innanzitutto, in ragione di una solidarietà internazionale nei confronti degli Stati Uniti, di Israele e dei paesi arabi moderati che possono trarre giovamento da questa missione. In secondo luogo, per un senso di solidarietà nazionale verso i nostri compatrioti, verso i nostri soldati, che non riceveranno mai dal centrodestra una pugnalata nella schiena che li privi di stabilità, che tolga loro la copertura. Del resto, anche quanto è avvenuto quest'oggi in Afghanistan dimostra che quando si pone in discussione la nostra presenza in quell'area si determina una situazione per la quale siamo ritenuti deboli.
PRESIDENTE. Deputato Cicchitto...
FABRIZIO CICCHITTO. Voglio concludere, signor Presidente, dicendo che noi rivendichiamo - come hanno affermato altri colleghi - con quell'ordine del giorno il fatto che noi siamo intervenuti in Iraq non durante la guerra ma successivamente.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
FABRIZIO CICCHITTO. Concludo, signor Presidente.
Siamo intervenuti successivamente, nell'ambito di una missione di pace riconosciuta dall'ONU, riconosciuta da Kofi Annan. Ebbene, rivendichiamo questa funzione di pace e respingiamo le insultanti affermazioni ...
PRESIDENTE. Deputato Cicchitto, la prego di concludere.
FABRIZIO CICCHITTO. ...che ci attribuiscono un ruolo «di guerra» che non abbiamo svolto. Noi siamo entrati in pace in Iraq...
PRESIDENTE. Non è possibile...
FABRIZIO CICCHITTO. ...così come in Libano. Allo stesso modo, svolgiamo...
PRESIDENTE. Deputato Cicchitto, la prego di concludere!
FABRIZIO CICCHITTO. ... un ruolo in Afghanistan [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)]!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Sereni. Ne ha facoltà.
MARINA SERENI. Signor Presidente, colleghi, signori rappresentanti del Governo, anch'io vorrei innanzitutto esprimere il cordoglio, mio personale e di tutto il gruppo dell'Ulivo, per la morte delPag. 77caporalmaggiore Langella e dei civili afghani, colpiti nell'attentato che si è verificato a sud di Kabul questa mattina. In questo momento di grande dolore, siamo vicini ai familiari delle vittime e seguiamo con attenzione e partecipazione l'evolversi delle condizioni di salute degli altri militari italiani e dei civili afghani rimasti feriti.
Proprio di fronte ad attacchi di questo tipo, crediamo sia semplicemente doveroso fare arrivare a tutti militari italiani impegnati in missioni all'estero un messaggio di ringraziamento e di sostegno a nome di tutto il paese. D'altro canto, le criticità della situazione afghana erano state già oggetto di confronto in questa Assemblea pochi mesi fa, quando, confermando il nostro impegno in quel difficile teatro, abbiamo ritenuto fosse opportuno aprire nelle sedi internazionali competenti - la NATO e le Nazioni Unite - una riflessione sui caratteri e le finalità della presenza internazionale in Afghanistan. L'attentato di questa mattina ci ricorda drammaticamente come i nostri militari operino in contesti complessi, attraversati da tensioni reali e caratterizzati da livelli di conflittualità, a tratti seri. D'altronde, il motivo della nostra presenza in tali scenari è proprio quello di contribuire a sciogliere quelle tensioni, abbassare il livello dello scontro e rendere la vita quotidiana delle popolazioni meno drammatica, più accettabile.
In Libano, l'iniziativa politica e diplomatica del Governo italiano ha contribuito, in modo inequivocabile e decisivo, fin dalla convocazione della Conferenza di Roma, alla cessazione delle ostilità. Una tregua sembrava allora urgente, per salvare vite umane travolte dal conflitto, indispensabile, per aprire uno spazio per il dialogo, ed, al tempo stesso, improbabile. Il cessate il fuoco è apparso improbabile, prima della risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite, e fragile, subito dopo. Bisogna riconoscere a chi ha creduto nella possibilità di affermare questa soluzione il merito di aver reso possibile ciò che era necessario.
L'iniziativa del Governo italiano si è giustamente incentrata su diverse linee di attività, diplomatiche e politiche. Innanzitutto, quella delle Nazioni Unite, investendo in modo coerente ed efficace sull'unico strumento di politica multilaterale di cui, al momento, la comunità internazionale dispone. Siamo e restiamo consapevoli di tutti i limiti dell'ONU in termini di efficacia, efficienza e trasparenza e della necessità che una profonda riforma riesca a colmarli. Crediamo, anzi, che questo debba e possa essere un obiettivo vitale dell'Italia nei due anni in cui sarà membro del Consiglio di sicurezza, a partire dal gennaio prossimo.
Al di là dei propri limiti strutturali, le Nazioni Unite hanno sofferto tremendamente in questi anni una crisi di legittimità e di consenso, figlia, in primo luogo, della convinzione che il mondo non avesse più bisogno, dopo la fine della guerra fredda e con il delinearsi su scala globale di una geometria di poteri asimmetrica, di un luogo di governo multilaterale.
Invece, proprio l'emergere di nuove sfide per la pace e la sicurezza mondiale, dal terrorismo internazionale alle gravi catastrofi ambientali, all'insostenibile piaga della povertà, avrebbe dovuto convincere della necessità assoluta di potenziare quell'imperfetto ma prezioso strumento di governo plurale delle tensioni del mondo che le Nazioni Unite possono costituire. Oggi, dopo la grave battuta di arresto irachena, anche l'amministrazione statunitense dà segnali di aggiustamento di rotta tornando al multilateralismo.
La seconda linea fondamentale di attività del Governo italiano è stata la costante tensione a costruire una soggettività e, anzi, un protagonismo dell'Europa, che si riteneva non fosse in grado di assumere posizioni ed azioni comuni, soprattutto in politica estera. L'Europa spaccata a metà sulla guerra in Iraq, bloccata nel suo percorso costituzionale, impotente e ferma davanti alle grandi sfide del nostro tempo: l'Europa, che sembrava fosse destinata all'irrilevanza e all'impotenza, invece ha conosciuto, in occasione della crisi libanese, una sorta di riscatto, di assunzionePag. 78di responsabilità e di ruolo. Fondamentali sono stati per questo passaggio le sollecitazioni del Governo italiano, che ha preso l'iniziativa di chiedere la convocazione dei quel Consiglio dei ministri degli esteri che, alla presenza di Kofi Annan, ha discusso della crisi libanese e ha assunto la decisione di dare corpo alla risoluzione ONU con un proprio consistente impegno diretto.
Altrettanto fondamentale, però, è stato il riconoscimento esplicito, da parte degli Stati Uniti, della necessità di lavorare insieme nello scenario mediorientale e, anzi, l'esplicita ammissione del fatto che l'Europa, dopo la guerra in Iraq, ha strumenti e capacità potenzialmente molto più efficaci in quell'area. La terza linea di azione politico-diplomatica...
PRESIDENTE. Colleghi...
MARINA SERENI. Si fa un po' fatica, Presidente... C'è un gran rumore.
PRESIDENTE. Per favore, più volte ho richiamato l'Assemblea a un comportamento che consenta di ascoltare chi interviene. Lo faccio di nuovo. Se anche mentre faccio un richiamo continuano i rumori in aula, mi pare chiaro che si determina una condizione di difficile convivenza. Per favore, vi invito a consentirci di ascoltare tutti gli interventi.
ANTONIO LEONE. Non lo ha fatto prima!
PRESIDENTE. L'ho fatto anche prima! Lei ha sentito. Per due volte! Prego, deputata Sereni.
MARINA SERENI. Grazie, signor Presidente.
Dicevo che la terza linea di azione politico-diplomatica che l'Italia ha molto efficacemente perseguito è stata quella di ritessere con convinzione le fila del dialogo con tutti i soggetti politici e istituzionali rilevanti nel Medio Oriente.
La capacità del nostro paese di porsi come interlocutore credibile ed affidabile di tutte le parti in causa è un patrimonio che ha radici profonde nella storia della Repubblica e che oggi esprime nuove potenzialità di cruciale importanza non solo per contribuire al riaprirsi di un processo di pace in Medio Oriente, ma anche per riannodare i fili e ricostruire i ponti da una sponda all'altra del Mediterraneo, in un'epoca di presunto conflitto di civiltà.
È proprio la complessità dello scenario politico internazionale, la minaccia del terrorismo, il sempre più pericoloso intreccio tra ideologie, fondamentalismi e tratti di semplici identità culturale a ricordare la necessità di lavorare per risolvere i conflitti aperti, attraverso alleanze internazionali ampie, trasversali e plurali dal punto di vista politico, culturale e religioso.
È per questa serie di ragioni che sosteniamo con convinzione la partecipazione italiana alla missione UNIFIL. Sappiamo che la missione non risolve di per sé i diversi conflitti che attraversano il crocevia del sud del Libano. In quello scenario, allo scontro tra Israele e Libano, o meglio tra Israele ed Hezbollah, si sovrappone una molteplicità quasi infinita di tensioni. È evidente che la missione riuscirà se saprà creare le condizioni per un rilancio dei processi di dialogo in tutta la regione, e quei processi sono e non possono che essere politici.
Quali sono queste condizioni? Innanzitutto, il rafforzamento reale dello Stato libanese, della sua sovranità e della sua autonomia. Ciò significa fornire ad esso tutto il sostegno che riterrà opportuno e necessario per porre fine al persistere di milizie armate al di fuori della propria autorità e del proprio controllo. Altrettanto importante sarà la ridefinizione del ruolo della Siria e dell'Iran nel contesto regionale, ridefinizione che non potrà che passare per le vie della politica, del dialogo e della diplomazia. Crediamo siano stati preziosi i segnali dati in tal senso sia dal Presidente Prodi che dal Presidente Casini, in occasione dei loro recenti incontri con il presidente Ahmadinejad.
In questo contesto più ampio, l'Italia ha continuato e deve continuare ad affermarePag. 79e a difendere il diritto dello Stato di Israele a vivere in sicurezza e in pace entro i propri confini, con i propri vicini; anzi, affrontare in modo aperto il problema degli equilibri della convivenza pacifica nell'insieme della regione significa porre su basi più solide e durature la garanzia dell'esistenza e della sicurezza dello Stato di Israele. Certo, quelle basi, per diventare davvero solide, dovranno poter contare, nel più breve tempo possibile, sul riavvio di un processo negoziale tra Governo israeliano e autorità palestinese.
Per questo, in fondo, è cruciale la nostra partecipazione alla missione UNIFIL, non solo e non tanto per l'interposizione materiale che i nostri soldati potranno e dovranno fare, con il sostegno di questo Parlamento, a garanzia del cessate il fuoco, in difesa di un confine e di popolazioni civili, ma anche e soprattutto per aprire la porta alla speranza, alla politica, al dialogo e alla pace in tutto il Medio Oriente (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dei Verdi e de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Brugger. Ne ha facoltà.
SIEGFRIED BRUGGER. Signor Presidente, dichiaro il voto favorevole della componente Minoranze linguistiche del gruppo Misto e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo della mia dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Onorevole Brugger, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.