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Discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale Boato ed altri; D'Elia ed altri; Mascia ed altri; Piscitello: Modifica all'articolo 27 della Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte (A.C. 193-523-1175-1231) (ore 17,55).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 193 ed abbinate)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari L'Ulivo e Forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, deputato Boato.
MARCO BOATO, Relatore. Signor Presidente, desidero iniziare ringraziando non solo il presidente della Commissione affari costituzionali, Luciano Violante, ma anche tutti i gruppi rappresentati nella Commissione e in quest'Assemblea, per aver convenuto unanimemente sull'opportunità e sulla necessità di affrontare già all'inizio di questa legislatura l'esame parlamentare del testo unificato di quattro proposte di legge costituzionale, che in questa materia sono state presentate con testo identico. Ringrazio anche la stessa Conferenza dei rappresentanti di gruppo che ha ritenuto opportuno, sotto la Presidenza del Presidente Bertinotti, inserire tempestivamente questa materia all'esame dell'Assemblea.
Come ho appena accennato, si tratta di quattro proposte di legge costituzionale: la prima a firma Boato, Leoni, Zanella; la seconda a prima firma del collega D'Elia e sottoscritta da moltissimi deputati sia del centrosinistra sia del centrodestra; la terza a firma della collega Mascia, con tutti i colleghi del gruppo di Rifondazione Comunista; infine, la quarta, a firma del collega Piscitello. Peraltro, incidentalmente vorrei ricordare che anche nella scorsa legislatura erano state presentate cinque proposte di legge; anche in quel caso una a firma del sottoscritto, una anche a firma dell'attuale Presidente della Camera Bertinotti, una a firma del collega Pisapia, un'altra a firma del collega Zanettin di Forza Italia, ed altre che forse adesso non ricordo. Anche due legislature fa erano state presentate analoghe proposte di legge.
Queste quattro proposte di legge costituzionale, che ho appena citato, sono identiche e sono finalizzate ad escludere definitivamente qualsiasi riferimento alla pena di morte nella nostra Costituzione. Come forse non tutti ricordano - non dico in quest'aula ma forse al suo esterno -, nella nostra Costituzione è rimasto un riferimento alla pena di morte, contenuto nel quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione, che recita con forza «non è ammessa la pena di morte», ma aggiunge «se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra».
Tutta l'impronta dell'articolo 27, in realtà - cito anche il terzo comma - è assolutamente fondamentale e condivisibile. Il terzo comma recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tutto questo, tra l'altro, va letto opportunamente e necessariamente alla luce del secondo principio fondamentale della nostra Costituzione, il cui incipit recita: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo». Il primo inviolabile diritto dell'uomo è proprio il diritto alla vita. Tuttavia - lo ripeto -, sia pure in questa forma di eccezione, ossia solo per le leggi militari di guerra, tuttora la nostra Carta costituzionale fa riferimento alla pena di morte, che tutte le proposte di legge che ho citato e quelle identiche presentate nelle precedenti legislature mirano ad abolire definitivamente.
Per tre legislature, nella XIII, nella XIV e attualmente, nella XV, questa materia è stata affrontata nell'aula della Camera e ciò è stato fatto tempestivamente, all'inizio di ciascuna legislatura e con una convergenza pressoché unanime di tutti i gruppi, nessuno escluso.
Purtroppo, nella XIII e nella XIV legislatura l'iter di questa proposta di legge costituzionale non ha avuto il suo compimento nell'altro ramo del Parlamento. Per evitare riflessioni che assumerebbero qualche aspetto polemico con qualche componente dell'altro ramo del Parlamento nelle due legislature precedenti, non ne ricorderò le circostanze, anche perché sonoPag. 37profondamente convinto che, questa volta, sia la Camera, sia il Senato, arriveranno ad approvare - me lo auguro - all'unanimità o con un'amplissima convergenza, come già avvenuto in passato, questa proposta di legge.
Credo sia giusto far capire a tutti quanto l'Italia possa e debba essere caratterizzata dalla scelta di escludere totalmente la pena di morte dal proprio ordinamento costituzionale, anche nel caso ipotetico delle leggi militari di guerra. Non occorre soltanto ricordare la straordinaria lezione del giovanissimo Cesare Beccaria nel XVIII secolo, ma basti ricordare che il primo codice penale dello Stato unitario, il codice Zanardelli del 1889, entrato in vigore nel 1890, aveva già abolito la possibilità della pena di morte.
Quindi, l'Italia è stato uno dei primissimi paesi al mondo a non prevedere la pena di morte nel proprio codice penale, già nel primo codice unitario, nel 1889-1890.
Purtroppo, come tutti sanno, la pena di morte venne poi introdotta durante il regime fascista e qualche anno dopo inserita organicamente nel codice penale del guardasigilli Rocco nel 1930-31.
Ancora nel corso dell'ultima fase della guerra, la pena di morte fu soppressa dal decreto legislativo luogotenenziale n. 244 del 10 agosto 1944. Essa, per una situazione di emergenza, fu temporaneamente ripristinata per un breve periodo con il decreto legislativo luogotenenziale n. 234 del 10 maggio 1945 e, quindi, fu definitivamente abolita in tempo di pace con il decreto legislativo n. 21 del 22 gennaio 1948 - tale data dice tutto -, ossia subito dopo l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, vale a dire il 1o gennaio 1948, che, come ho già detto all'inizio di questa mia relazione, al quarto comma dell'articolo 27 prevede che non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.
Del resto, è significativo che l'ultima esecuzione capitale - almeno così raccontano le cronache - fosse effettuata in Italia il 4 marzo 1947, ossia poco meno di un anno prima dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana.
Il citato decreto legislativo n. 21 del 22 gennaio 1948, intitolato «Disposizioni di coordinamento in conseguenza della abolizione della pena di morte», dispose l'abolizione della pena di morte prevista da qualunque legge diversa da quelle militari di guerra, compreso il codice penale militare di pace.
Soltanto nella XII legislatura, dopo reiterati tentativi già effettuati nel corso della X e della XI legislatura, il Parlamento italiano, con l'approvazione della legge ordinaria n. 589 del 13 ottobre 1994, arrivò ad abolire qualunque ipotesi di pena di morte prevista nel codice penale militare di guerra e in qualunque altra legge militare di guerra. Mi fa piacere ricordare due aspetti di questa legge: il primo è che la presentatrice - anche se moltissimi furono i firmatari - fu la senatrice Ersilia Salvato; il secondo aspetto è che ci fu, anche in quel caso, una convergenza unanime di tutti i gruppi, sia del centrosinistra, sia del centro destra. Dalla data della legge ordinaria che ho testé citato, cioè dal 1994, la pena di morte è totalmente scomparsa dal nostro ordinamento ma, purtroppo, non è ancora completamente scomparsa dal nostro dettato costituzionale. Fortunatamente solo in via di ipotesi astratta (nessuno lo ha proposto mai), ciò consentirebbe ancora oggi la reintroduzione della pena di morte nelle leggi penali militari di guerra, anche se questo porterebbe l'Italia al di fuori del consesso europeo.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 18,05)
MARCO BOATO, Relatore. Con l'approvazione della presente proposta di legge costituzionale, che risulta dal testo unificato di quattro proposte di legge, il quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione reciterebbe, semplicemente e senza eccezioni: «Non è ammessa la pena di morte». Sarebbe soppressa, appunto, in forza diPag. 38questa proposta legislativa, l'eccezione che, come ho già detto più volte, recita: «se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra».
Negli ultimi decenni è fortemente maturata, non solo in Italia ma a livello europeo ed internazionale, una crescente e profonda avversione alla pena di morte. Basti ricordare che, oggi, secondo gli ultimi dati - spero di non sbagliare - ci sono nel mondo 84 Stati totalmente abolizionisti e 24 Stati che l'hanno abolita de facto. Purtroppo, si contano ancora 76 Stati che la mantengono in vigore e 12 Stati che la prevedono in casi assolutamente eccezionali; quindi, gli Stati nei quali la pena di morte è ancora in vigore sono complessivamente 88. Comunque, il numero degli Stati abolizionisti totali o semplicemente abolizionisti de facto è cresciuto sempre più negli ultimi decenni e, nello stesso periodo, come ho ricordato, è fortemente aumentata la avversione alla pena di morte. Basti ricordare che fino agli inizi degli anni Ottanta, cioè fino a meno di trent'anni fa, essa era ancora prevista, ad esempio, in Francia, nel Regno Unito e in altri paesi del continente europeo. In tali paesi essa è stata, però, progressivamente soppressa e abrogata sia nei testi costituzionali (laddove ci sono, ovviamente, dato che nel Regno Unito non c'è una Costituzione scritta), sia nella legislazione ordinaria. Ad oggi, fortunatamente, l'esclusione della pena di morte è una delle precondizioni per poter far parte dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa.
L'Italia ha avuto un ruolo importante, nel 2002, anche per promuovere - erano proprio le settimane in cui esaminavamo, nel corso della precedente legislatura, questo testo nell'Assemblea della Camera dei deputati - l'istituzione, presso la sede della FAO, del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità ed il genocidio. Ebbene, lo statuto del Tribunale penale internazionale istituito a Roma nel 2002 esclude esplicitamente la possibilità di comminare la pene di morte anche per reati così spaventosamente gravi quali sono i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità e il genocidio.
Nella relazione scritta all'esame dei colleghi e dell'Assemblea - alla quale rinvio integralmente per una trattazione più sistematica - vengono richiamate le molteplici, innumerevoli iniziative contro la pena di morte, sia sul piano comunitario sia sul piano internazionale. Mi riferisco all'Unione europea per quanto riguarda la Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo, il Consiglio d'Europa, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ma anche - sia pure con minor forza - alle Nazioni Unite. A quest'ultimo riguardo, cito soltanto il secondo Protocollo facoltativo del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, che è stato adottato dall'Assemblea generale dell'ONU il 15 dicembre 1989 e che, per quanto riguarda l'Italia, è stato ratificato e reso esecutivo con la legge n. 734 del 9 dicembre 1994. Certo, è un Protocollo facoltativo, aggiunto al Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, ma esso stabilisce che nessuno Stato aderente a questo protocollo possa giustiziare alcun individuo soggetto alla sua giurisdizione; anche in questo caso, però, con l'unica eccezione della pena capitale in tempo di guerra, sia pure soltanto per reati di gravità estrema.
Sistematiche, invece, sono state negli ultimi decenni - in particolare, negli ultimi 15 anni circa - le iniziative, che sono tutte ricordate dettagliatamente nel testo scritto della mia relazione, contro la pena di morte da parte dell'Unione europea, nel quadro della promozione e protezione dei diritti umani, attraverso la comune politica estera e di sicurezza. Vorrei a questo proposito anche ricordare che già al Trattato di Amsterdam del 1998 venne allegata una dichiarazione relativa all'abolizione della pena di morte e che l'articolo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che è stata proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, stabilisce, al comma 2, che nessuno può essere condannato alla pena di morte né giustiziato. Come è a tutti noto, tale Carta è priva di unaPag. 39autonoma portata precettiva, anche se il suo contenuto è stato trasfuso integralmente nel Trattato che ha adottato una Costituzione per l'Europa, che dall'Italia è stato ratificato con la legge n. 57 del 7 aprile 2005, ma che, come sappiamo, non è ancora entrato in vigore a seguito dei referendum consultivi della Francia e dell'Olanda. Tuttavia, a livello europeo ormai questa posizione è totalmente consolidata.
Inoltre, di grande importanza sono stati - in questo caso, a livello del Consiglio d'Europa - dapprima il Protocollo aggiuntivo n. 6 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, concernente la pena di morte in tempo di pace (che è stato adottato nel 1983 e che dall'Italia è stato ratificato nel 1989), e successivamente il più recente Protocollo aggiuntivo n. 13 alla stessa Convenzione europea, concernente la totale abolizione della pena di morte in tutte le circostanze, ivi compreso il tempo di guerra. Il Protocollo aggiuntivo n. 13 è stato firmato da tutti gli Stati del Consiglio d'Europa a Vilnius il 3 maggio 2002. L'Italia, ovviamente, lo ha sottoscritto, ma allo stato attuale non lo può ancora ratificare finché non sarà soppresso definitivamente qualunque riferimento alla pena di morte, quale quello contenuto, sia pure in forma eccezionale, nel più volte citato quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione, che ci ripromettiamo di modificare. Anche nel quadro internazionale - forse è bene citare anche questo aspetto più drammatico -, così come si è modificato per la lotta contro il terrorismo, specialmente dopo le spaventose stragi dell'11 settembre 2001 a New York e a Washington, è continuata attivamente l'iniziativa europea, ancor più fortemente motivata dalle prese di posizione del Parlamento europeo, perché venisse comunque esclusa la pena di morte anche nel doveroso impegno internazionale della lotta contro il terrorismo.
Vorrei anche ricordare la meritoria azione nelle campagne internazionali per l'abolizione della pena di morte per arrivare, in via interlocutoria, ad una moratoria della pena di morte stessa. Su questo tema, pochi mesi fa, abbiamo approvato unanimemente una mozione in quest'aula. Vorrei ricordare, appunto, la meritoria azione di numerose associazioni internazionali e transnazionali. Sono molte, per fortuna, ma ne voglio citare emblematicamente due: a livello internazionale, Amnesty International; con sede in Italia, ma con attiva azione transnazionale, l'associazione Nessuno Tocchi Caino. Si tratta di un'azione finalizzata, nella prospettiva di una definitiva abolizione pena di morte, a realizzare quantomeno una moratoria delle esecuzioni capitali da parte degli Stati che prevedono ancora la pena di morte nel proprio ordinamento.
Tra gli innumerevoli documenti che sono citati nella relazione scritta, dell'Unione europea, del Parlamento europeo, del Consiglio d'Europa, dell'Assemblea parlamentare dello stesso Consiglio d'Europa, voglio citare, da ultimo, soltanto perché è molto recente, una raccomandazione, la n. 1760, adottata il 28 giugno di quest'anno, ossia pochi mesi fa. Con tale raccomandazione, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, nel confermare quanto già affermato in altri suoi documenti - sono numerosissimi -, raccomanda al Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa di invitare l'Albania e la Lettonia ad abolire la pena capitale per i crimini commessi in periodo bellico o durante gli stati di emergenza, di ribadire l'obbligo per la Federazione russa di ratificare il Protocollo n. 6 e di invitare gli Stati Uniti ed il Giappone a cancellare la pena capitale dai rispettivi ordinamenti. Questa raccomandazione chiede altresì al Comitato di sollecitare l'Unione europea ad affrontare la questione della pena capitale nel suo dialogo politico con la Cina (sappiamo che in quest'ultimo paese è enormemente alto, ogni anno, il numero delle esecuzioni capitali). L'Assemblea conferma, inoltre, il proprio impegno ad assistere gli Stati desiderosi di eliminare la pena di morte dal proprio ordinamento, con campagne di informazione e di sensibilizzazione. Nel 2001, del resto, il Consiglio d'Europa era stato promotore, insieme al Parlamento europeo, di unaPag. 40straordinaria riunione dei Presidenti di tutti i Parlamenti che sono a favore dell'abolizione della pena di morte e tale riunione si tenne a Strasburgo il 22 giugno 2001, presso il Parlamento europeo, sotto la Presidenza della Presidente Nicole Fontaine, e del Presidente dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, lord Russel-Johnston. Furono invitati tutti i Presidenti dei Parlamenti dell'Unione europea, nonché un gruppo di Presidenti rappresentativi delle diverse aree geografiche, selezionato sulla base del criterio della recente abolizione della pena di morte. Mi fa piacere ricordare che in tale solenne riunione, in nome del Parlamento italiano, partecipò Pier Ferdinando Casini, eletto da pochi giorni Presidente di questa Camera. Al termine della riunione, i Presidenti dei Parlamenti sottoscrissero un appello solenne sia per una moratoria universale della pena di morte, sia per l'abolizione totale della pena di morte nella legislazione interna di ciascun paese. Come ho già detto più volte, abbiamo abolito nella legislazione ordinaria anche l'ultimo residuo che vi era nel codice penale militare di guerra e nelle leggi di guerra, ma siamo ancora di fronte al compito, spero non più molto arduo, di abolire definitivamente tale riferimento per le leggi militari di guerra anche nella Carta costituzionale.
L'Italia, come ho detto all'inizio del mio intervento, la patria di Cesare Beccaria, lo Stato che fin dal codice Zanardelli del 1889-1890 aveva già abolito la pena di morte, l'Italia che nell'articolo 2 della Costituzione afferma che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo» - e quale tipo più inviolabile del diritto alla vita? - può finalmente abolire ogni riferimento alla pena di morte nella propria Costituzione, approvando le proposte di legge costituzionali al nostro esame in un testo unificato.
Considerazioni di ordine etico, giuridico e politico, nel senso più alto e nobile della parola «politico», inducono a ritenere inammissibile la pena di morte in uno Stato democratico, anche in ipotesi ormai veramente astratte. La pena di morte corrisponde ad una concezione della giustizia primitiva e vendicativa. La giustizia non può essere confusa con la vendetta e la pena non può avere uno scopo esclusivamente punitivo, ma deve tendere, come afferma lo stesso articolo 27 della nostra Costituzione, al comma 3, alla rieducazione ed a dare la possibilità ad ogni persona, che abbia subito e scontato una condanna, anche molto grave, di reinserirsi nella società e ciò, ovviamente, con la pena di morte non è mai possibile.
Per questo ritengo che approvare questa proposta di legge costituzionale significhi completare un cammino di civiltà politica e giuridica degno della miglior tradizione del nostro paese. Nessun ordinamento giuridico e nessun crimine, neppure il più efferato, anche in tempo di guerra, possono giustificare il fatto che lo Stato metta a morte un essere umano, dimostrando in tal modo di parlare lo stesso linguaggio dei criminali che ha condannato.
Con l'ingresso dell'Italia nel novero degli Stati totalmente abolizionisti, di fatto e di diritto, anche sotto il profilo costituzionale, il nostro paese potrà proseguire con ancora maggior forza la battaglia di civiltà che stiamo già conducendo da anni, affinché siano garantiti in tutto il mondo i diritti fondamentali dell'uomo, primo fra tutti il diritto alla vita (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Signor Presidente, signori deputati, ho poco da aggiungere alla dettagliata ricostruzione che l'onorevole Boato, nella sua qualità di relatore, ma anche di persona che ha seguito con passione l'evolversi di questo dibattito e di questa iniziativa, ha proposto alla nostra attenzione questa sera. La sua relazione è partita dalle tesi e dalle previsioni del codice Zanardelli, questo straordinario statista e giurista diPag. 41scuola liberal-giusnaturalista, molto attento alle questioni dei diritti fondamentali e, quindi, anticipatore di una visione che si è poi imposta a livello internazionale, tendente ad escludere il ricorso alla pena capitale, per giungere fino a noi, attraverso le iniziative assunte in sede nazionale prima, con un decreto luogotenenziale per porre rimedio alla reintroduzione, prevista con il codice Rocco, della pena di morte, con l'articolo 27 della Costituzione repubblicana, poi con gli organismi europei e internazionali, che, a partire dalla ripresa di iniziative in materia di diritti umani e di dichiarazione dei diritti dell'uomo, hanno costantemente indicato un percorso di superamento della pena di morte.
Il Governo intende esprimere un vivo apprezzamento ai presentatori e a tutti coloro che hanno consentito, mi pare con consenso unanime e convergente, il riavvio dell'iter presso la Commissione affari costituzionali del provvedimento in discussione, nella speranza di poter giungere rapidamente all'approvazione definitiva senza ripetere il cammino interrotto nella passata legislatura.
Il testo al nostro esame è di grande rilievo dal punto vista giuridico e culturale: esso rappresenta una di quelle attività non ordinarie di un Parlamento, non solo perché si cambia la Costituzione, ma perché la si modifica in un punto che, ancorché ormai superato dalla legislazione ordinaria, lasciava un residuo ipotetico, così come definito dal relatore, di possibile ricorso successivo alla pena di morte.
Sono particolarmente lieto che a questa seduta partecipi una delegazione di giovani visitatori della Camera, a cui credo vada rivolto il nostro saluto, perché assistono ad un momento particolarmente rilevante della nostra attività.
Per il Governo è particolarmente importante l'approvazione di questo provvedimento perché, come è stato ricordato dall'onorevole Boato, l'approvazione della modifica del quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione ci consente di ratificare il Protocollo n. 13 del Consiglio d'Europa sull'abolizione della pena di morte in tutte le circostanze, firmato a Vilnius il 3 maggio del 2002, che noi, pur avendo sottoscritto, non abbiamo - per la verità - sottoposto a ratifica. Sono otto i paesi che hanno firmato ma non ratificato il Protocollo; tra questi, oltre all'Italia, ci sono anche paesi importanti di medesima tradizione, come la Francia e la Spagna, che hanno preannunciato la ratifica imminente, anche loro previa modifica degli impedimenti costituzionali che sussistono.
Questa modifica, che diventa quindi particolarmente opportuna, è stata richiesta più volte anche dal comitato interministeriale dei diritti umani, anche in relazione ad una possibile candidatura italiana al Consiglio dei diritti umani per il triennio 2007-2010, che naturalmente può essere supportata adeguatamente, come è negli auspici del Governo e dell'intero paese (vista la posizione convergente, che peraltro registriamo ancora una volta in quest'aula su questi temi) solo con atti concreti che ricollochino - lo dico con riferimento a Zanardelli - l'Italia in prima fila in questo campo.
A questo punto, non ci rimane altro che sollecitare l'iter parlamentare di questo provvedimento e augurarci che sia il più celere possibile, nell'auspicio che la realizzata convergenza parlamentare, peraltro anche coerente con le posizioni assunte dall'Italia, per la verità da Governi di diverso schieramento, in materia di moratoria internazionale generale per la pena di morte - che mi sembra abbiamo rilanciato proprio qualche settimana fa con l'approvazione di una mozione - possa consentire, ripeto, il più celermente possibile, l'approvazione definitiva di questo provvedimento di modifica della Costituzione, secondo l'iter previsto. In questo modo porremo il nostro paese nelle condizioni di esprimere al massimo anche questa sua iniziativa internazionale in questo campo, eliminando dalla Costituzione il retaggio di una concezione che abbiamo superato nella legislazione ordinaria (l'abbiamo espressamente abrogata), ma che permane in un riferimento, sia pure indiretto (talvolta addirittura contraddittorioPag. 42rispetto alla filosofia generale della Costituzione), nel testo costituzionale.
Con questo auspicio, rinnovo il mio apprezzamento, a nome del Governo, al relatore, ai presentatori della proposta di legge di modifica costituzionale e a tutti coloro che hanno sostenuto nell'avvio dell'iter parlamentare presso la Commissione affari costituzionali questo provvedimento, di cui sollecito l'approvazione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'abrogazione dell'ultimo inciso dell'articolo 27, quarto comma, della Costituzione italiana - abrogazione contenuta nel progetto di legge costituzionale oggi al nostro esame - non avrà, sottolineo non avrà, effetti rilevanti, effetti pratici nel nostro paese.
Del resto, come correttamente ha evidenziato il relatore, già con legge n. 589 del 1994, la riserva di previsione della pena di morte per i codici penali di guerra è stata eliminata.
Inoltre, sappiamo che da decenni l'Italia non applica la pena di morte sul proprio territorio e che nel 1996, di fronte al noto caso «Pietro Venezia», la Corte costituzionale ha stabilito il principio per cui il nostro paese non può estradare imputati verso paesi che infliggerebbero loro la pena di morte.
L'auspicata approvazione del progetto di legge costituzionale in esame avrà, invece, un rilevante effetto culturale e politico. Avrà un effetto culturale perché, in primo luogo, sancisce il principio per cui la morte non è una pena che lo Stato può infliggere ai suoi cittadini. Con più coerenza di quanta ne mostrano taluni settori dell'integralismo religioso nel mondo, tale principio afferma il diritto alla vita nel suo senso vero: nessuna persona si può arrogare il diritto di sopprimere la vita di un altro essere umano.
Bandire dall'ordinamento civico la pena di morte significa, dunque, riconoscere il pieno diritto all'insopprimibile autodeterminazione umana ed alla contemplazione della finitezza del creato. Non vi è infatti concezione ideologica, millenaristica o mistica che possa giustificare l'imposizione di una redenzione sacrificale dal peccato. Ma, da noi, queste conclusioni le aveva già raggiunte Beccaria: solo l'oscura parentesi fascista, nel secolo scorso, aveva temporaneamente restaurato, in Italia, la barbarie della pena di morte.
Purtroppo, però, sappiamo che non è così in tutte le parti del mondo. Spiace, ad esempio, constatare che negli Stati Uniti, considerati giustamente la più grande democrazia del mondo, vi sia un giudice che abbia apertamente sostenuto che l'assassino non merita sorte migliore della sua vittima: di fatto, è la predicazione della legge del taglione!
Per la verità, si deve osservare che, negli Stati Uniti, il movimento abolizionista sta compiendo passi avanti notevoli: alcuni Stati, infatti, hanno già abolito la pena di morte, mentre altri che l'avevano restaurata, come lo Stato di New York, hanno tuttavia recentemente deliberato una moratoria. Vorrei ricordare, infine, che la Corte suprema, negli anni più recenti, ha successivamente dichiarato illegittima la pena capitale nei confronti sia dei disabili (la sentenza Atkins del 2002), sia dei minori di 18 anni (la sentenza Roper del 2005).
La modifica soppressiva che si propone all'articolo 27 della Costituzione, tuttavia, produrrà effetti rilevanti anche sotto l'aspetto politico, innanzitutto nel campo della politica estera. Essa, infatti, vincolerà la nostra diplomazia a confrontarsi con paesi che ancora contemplano la pena di morte, tenendo conto che quegli Stati non hanno ancora compiuto questo passo decisivo.
Penso, in primo luogo, alla Cina, oggetto di un recente viaggio guidato dal Presidente del Consiglio Prodi. Lo sviluppo economico, come sappiamo, è essenziale per il benessere dell'uomo, tuttavia esso è inutile, ai fini di una vera emancipazione, se non procede di pari passo con una sicura evoluzione democratica delle istituzioni politiche e giuridiche. I nostri rapPag. 43porti commerciali con la Cina, pertanto, devono rappresentare il veicolo per operare una graduale, ma costante pressione politica verso l'abbandono di forme medievali e barbariche dell'esercizio del potere sovrano.
I nostri interlocutori, infatti, dovranno capire che sia l'Italia, sia l'Europa (come nel corso dello svolgimento della relazione è stato giustamente ricordato) sono la culla di un umanesimo a tutto tondo per il quale la persona possiede una sfera inviolabile, che parte dalla vita stessa e si estende alle libertà di espressione, di culto, di associazione politica e di privacy.
Mi auguro tuttavia, signor Presidente ed onorevoli colleghi, che vi sia anche un effetto politico interno. Vorrei, infatti, che questa fosse l'occasione per avviare un serio confronto sul tema delle vittime dei reati. Disfarsi in toto della pena di morte è un passo necessario, ma ciò non deve assumere il senso di un garantismo a senso unico, che guarda sempre al disagio del delinquente e mai ai danni subiti dalla vittima.
Ciò anche perché, visto il generale consenso registrato in passato in quest'aula - e che, sono certo, vi sarà anche oggi e domani -, vorrei approfittare dell'occasione per operare un riferimento a quelle realtà del nostro paese dove la pena di morte è tuttora in vigore; anzi, ove vi è un doppio tipo di pena di morte.
Vi è quella eseguita, ad esempio, in Calabria negli ultimi due anni, dove si sono registrate ventotto vittime di agguati consumati nella sola Locride e vi è anche un'altra forma di pena capitale, che vorrei definire la pena di morte «civile», sempre comminata da organismi criminali che, in certe aree del nostro paese, si fanno Stato.
Vorrei approfittare del tempo che ho a disposizione per leggere un estratto da La stampa di ieri: «Ho sfidato la 'ndrangheta e ora vivo da appestato». È un ex sindaco che parla e che denuncia che anche lo Stato lo ha abbandonato. Leggo: «Il deserto degli infami e il luogo delle battaglie perse. L'infame Domenico Luppino, neanche un anno fa era un sindaco modello. Aspromonte: Sinopoli, paesino franoso di tremila abitanti. La lotta alla 'ndrangheta gli costa nove attentati in quattro anni e mezzo. Gli fanno esplodere la tomba del padre, gli ammazzano il cane, gli distruggono i campi di olivi, gli incendiano il furgone, lo obbligano a girare scortato, è costretto a trasferire la famiglia a Reggio Emilia. Il suo ultimo atto pubblico è l'adesione alla marcia di Locri. Il 5 novembre 2005 sfila con il gonfalone del comune contro la 'ndrangheta che ha appena ucciso Franco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale. Poi, a Sinopoli, tutto finisce improvvisamente. Tre settimane dopo si dimettono sette consiglieri. C'è chi ha problemi di salute, chi di lavoro, chi di famiglia. Il consiglio comunale si scioglie. Mi hanno dimissionato, dice Domenico, ho perso la mia battaglia. Eppure, egli non era cresciuto con la vocazione dell'eroismo, anzi, dice, sono cresciuto in un clima di minacce. La mia famiglia subiva attentati quando avevo soltanto dieci anni; solo per un caso fortuito, una volta, sventarono il mio sequestro. Abbiamo sempre cercato di mediare, come fanno in tanti, tentando di arrivare ad un compromesso. L'ho fatto anch'io, poi, a quarant'anni, mi sono stancato. Il punto è che la testa, Domenico, non l'aveva mai alzata. Quando mi hanno eletto pensavano che l'avrei tenuta bassa, come sempre. Perché sono stato eletto con i voti buoni e con i voti mafiosi. Bisogna capire: chi fa il sindaco qui ha sempre un conto da saldare. Io non l'ho mai saldato. Questo vuol dire alzare la testa, anche perché non ero andato in giro a chiedere voti, così il meccanismo si è inceppato. La 'ndrangheta pensa che la cosa pubblica sia un bene da razziare, ma di razzie, finché ero sindaco, non se ne facevano. Sciolto il consiglio comunale, terminata la stagione degli attentati, inizia quella della solitudine, quella che io chiamo appunto della morte civile. Il sindaco non è più sindaco, non conta più niente, è meno di un uomo, è un infame. La sua pena è l'isolamento totale, e rappresenta il massimo disvalore di un individuo: ogni cosa ti è preclusa, perdi qualsiasi dignità, e qualunque cosa ti accada, anche la peggiore, è legittima, te la seiPag. 44meritata: la scorta revocata due mesi fa, il resto della famiglia a Reggio Calabria, la sensazione di essere abbandonati persino dall'istituzione.
Avevo chiesto di lavorare in un qualunque organismo istituzionale, per contribuire alla crescita del senso civico, senza incarichi politici, senza compensi. Non ho avuto riscontri: anche le istituzioni mi hanno abbandonato. Quali? Guardi, se mi chiedesse il nome del mafioso, glielo farei, ma l'istituzione no, mi fa molto più paura, in molti hanno una mentalità mafiosa alla quale aggiungono i poteri dello Stato. Sono ancora più forti sia nell'isolarmi sia nel controllarmi». «E l'antimafia?» - è la domanda del giornalista - «Questi professionisti dell'antimafia la situazione la conoscono, non devono mica fare un favore a me, o c'è bisogno del morto ammazzato? Dopo nove attentati, anche in paese qualcuno si aspettava la reazione dello Stato. La sto aspettando anch'io. Nell'attesa, egli è rimasto completamente solo: incontra il postino, i dipendenti dell'azienda, qualche vecchio amico, tutto qui. L'isolamento al quale mi hanno ridotto, e la tranquillità che ormai dura da parecchio, rappresentano un messaggio chiaro: mi lasciano una possibilità. Una via d'uscita paradossale: conquistare il reinserimento sociale. Ho difeso la legalità e ora devo espiare la mia colpa con l'isolamento. Ho quarantadue anni, sono un imprenditore agricolo che porta avanti la sua impresa, sono fuori e vivo fuori dal contesto sociale, e non per mia volontà. Quasi nessuno mi saluta, è come se non esistessi. In questo messaggio c'è un solo spiraglio: adeguati e torneremo ad accontentarti.
Ma del mio passato non rinnego nulla, sento un grande vuoto, che mi spinge a mollare, a cercare altrove, perché io questo vuoto non riesco proprio a riempirlo, in nessuna maniera, salvo in qualche giornata di sole, quando la vista dei paesi dell'Aspromonte ti riempie l'anima. Di andare via, Domenico non ha nessuna voglia, sarebbe la sconfitta definitiva: significherebbe firmare la disfatta, invece resto qui, perdo con l'onore delle armi. E la 'ndrangheta me lo concede.
Non ho più incarichi, sono tagliato fuori da qualsiasi implicazione sociale. Capisce? Sono la rappresentazione vivente della loro forza; mi sono dovuto piegare al loro volere: non importa con quale mezzo, l'importante è che ci siano riusciti e senza reazione da parte dello Stato. Mi è rimasta solo una risposta: esco per strada, più di prima, più di quando ero sindaco e fisso la gente negli occhi. Fate finta di non vedermi? Fingete che io sia un fantasma? E sia: ma guardatemi bene, non ho abbassato la testa».
Ecco, nel momento in cui affrontiamo un tema così importante quale l'abrogazione di una norma fortunatamente desueta nel nostro paese, non possiamo non fare riferimento alla vita reale di intere aree del nostro paese, in questi anni in cui le iniziative sulla giustizia sono state quasi un disegno avverso alla prevenzione e alla repressione dei reati: paletti, pali, zeppe, ostacoli all'esercizio dell'azione penale e alla capacità investigativa delle Forze dell'ordine, riti premiali, preclusioni probatorie e, da ultimo, l'indulto.
In tutto questo, la vittima, la sua solitudine e la sua impotenza non trovano il conforto dello Stato, vince la sfiducia e sale la voglia di farsi giustizia da sé. In questo senso, non posso evitare di sottolineare la insanabile e odiosa contraddizione che passa nella posizione di quanti prima hanno votato per la modifica della legittima difesa, consentendo al proprietario, con il nuovo articolo 52 del codice penale, di sparare a vista a chi gli entra in casa e, poi, hanno votato per l'indulto che, probabilmente, riporterà - o ha già riportato - in libertà quelli che torneranno a fare le rapine in villa per esporsi, paradossalmente, alle reazioni armate dei proprietari.
In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi - che ringrazio per avermi ascoltato -, voglio dire soltanto che l'Italia dei Valori appoggerà convintamente questa proposta di legge costituzionale, auspicando, però, che si avvii veramente unaPag. 45riflessione sulle vittime dei reati, che guardano ancora allo Stato, alla magistratura e alle Forze dell'ordine per sentirsi persone sicure e libere.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elia. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Presidente, colleghe e colleghi, con l'approvazione di questo testo unificato di proposte di legge di modifica costituzionale noi cancelliamo, finalmente, dal nostro ordinamento un retaggio della pena di morte ancora presente e con esso anche la possibilità, seppure teorica, di una sua reintroduzione. Una possibilità teorica perché i colleghi sanno che dal 1984, con l'approvazione della legge che abolisce la pena di morte dai codici militari, il riferimento alla pena di morte che è ancora presente nella Costituzione, ammessa nei casi previsti dalle leggi militari di guerra, non potrebbe trovare applicazione pratica nel nostro paese.
Dunque, questa contraddizione e questa discrepanza tra Costituzione e codice militare attende di essere superata fin dal 1984. In ventidue anni il Parlamento non ha mai trovato il tempo di approvare proposte di legge presentate nelle ultime tre legislature da tutti i gruppi e volte a cancellare dalla Costituzione le ultime vestigia di un passato che io ritengo non abbia un futuro nella coscienza politica e civile del nostro paese.
È un passaggio simbolico - certo -, ma anche di coerenza interna al nostro ordinamento e, credo, anche (e forse ancora di più) di coerenza e credibilità internazionale del nostro paese. Nel 1984, proprio un mese dopo l'abolizione della pena di morte dai codici militari, l'Italia ha iniziato un cammino importante che l'ha portata ad essere il paese più attivo e più impegnato a livello internazionale contro la pena di morte per fermare le esecuzioni capitali.
Su impulso dell'associazione «Nessuno tocchi Caino», della quale sono segretario, e del partito radicale - ma, devo aggiungere, grazie soprattutto ad una convergenza straordinaria registratasi nel nostro Parlamento tra maggioranza ed opposizione, caso raro nella nostra vita politica e parlamentare -, il nostro paese ha avuto quanto meno il merito, per così dire, di smuovere le acque a livello internazionale; non si è accontentato dell'abolizione della pena di morte nel proprio ordinamento interno, ma ha inteso proiettare questa sua posizione abolizionista anche nei confronti dei paesi che ancora praticano la pena di morte. In tal modo, nella sua lotta contro la pena capitale e a favore della moratoria, ha incontrato - e forse è davvero un caso più unico che raro - il sostegno crescente ed il riconoscimento di paesi di tutti i continenti.
Ricordo che nel 1994 il Governo Berlusconi ha portato per la prima volta all'attenzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite una risoluzione per la moratoria delle esecuzioni che fu respinta per pochi voti, solo otto. Nel 1995 - lo ricordava il collega Evangelisti -, la Corte costituzionale italiana ha emesso una sentenza sul caso di Pietro Venezia che impedisce al nostro paese di estradare in luoghi dove rischino la pena di morte non solo i cittadini italiani, ma anche quelli di altri Stati i quali vivano sul nostro territorio. Si è così posta davvero una riserva assoluta, superando il sistema in vigore fino al 1995, ovvero quello secondo il quale si poteva estradare a condizione che i paesi richiedenti l'imputato di un reato «capitale» fornissero assicurazioni sufficienti che non sarebbe stata applicata la pena di morte né, tanto meno, sarebbe stata eseguita. No, la Corte costituzionale ha dichiarato che non era sufficiente il sistema delle garanzie sufficienti ma occorreva una riserva assoluta, un divieto assoluto; è stata una sentenza che ha fatto storia, non soltanto nel nostro paese. Dopo quella decisione, infatti, molti paesi dell'Unione europea hanno accettato il principio secondo il quale chi rischi la pena di morte in qualche parte del mondo non debba in qualche modo riceverla attraverso la complicità o la collaborazione di paesi che l'hanno abolita, i quali invece devono proiettare questa loro posizione ovunque nel mondo. È un modo anchePag. 46concreto per giungere, poi, a porre la questione laddove il problema esiste e spingere quei paesi a compiere il passo verso l'abolizione.
Successivamente, nel 1997, fu proprio il Governo Prodi a ripresentare una proposta di risoluzione per la moratoria delle esecuzioni dinanzi alla Commissione dei diritti umani di Ginevra; allora erano contrari tutti i partner europei, ma il Governo Prodi decise ugualmente di andare avanti. La circostanza va sottolineata perché si tratta di una vicenda utile, oggi, per comprendere gli attuali sviluppi dell'iniziativa parlamentare di circa due mesi e mezzo fa quando, con una mozione votata all'unanimità, il Parlamento italiano ha chiesto al proprio Governo di portare all'attenzione dell'ONU la proposta di risoluzione per la moratoria. È bene, infatti, che il Parlamento conosca quanto sta accadendo in queste ore, perché si tratta di sviluppi contrari a quel mandato parlamentare rivolto al Governo; ma ne parlerò tra breve.
Ebbene, nel 1997 il Governo Prodi ottenne dalla Commissione dei diritti umani l'approvazione di una risoluzione - votata a maggioranza assoluta - che chiedeva la moratoria delle esecuzioni capitali. Per la prima volta, un organismo dell'ONU stabiliva che la pena di morte è questione che attiene non alla giustizia penale o alla politica criminale di un paese ma, e pienamente, alla sfera dei diritti umani. La Commissione ONU affermava che l'abolizione significa un rafforzamento della dignità umana e un progresso nel sistema dei diritti umani.
Da allora, ogni anno e per nove anni consecutivi, la Commissione di Ginevra ha adottato la risoluzione ed è stata tale continuità nell'iniziativa a produrre un effetto molto tangibile: i paesi che nel 1994 erano maggioranza nel mondo - stragrande maggioranza - sul fronte del mantenimento della pena di morte, oggi sono diventati minoranza.
Pertanto, dal 1997 ad oggi, sono stati 45 i paesi che hanno deciso di rinunciare alla pratica della pena di morte, o abolendola totalmente oppure introducendo alcune moratorie. Non si è trattato dunque di una evoluzione naturale e scontata di un processo storico, ma del risultato di una campagna politica - promossa da «Nessuno tocchi Caino» e dal partito radicale - fatta propria dal Parlamento e credo che di questo il nostro paese debba andar fiero.
In questo caso l'Italia ha mostrato al mondo forza e autorevolezza; ma perché ciò guadagni maggiore coerenza interna e prestigio internazionale occorre compiere ancora due passaggi. In primo luogo, quello che stiamo già affrontando attraverso l'abolizione dei riferimenti alla pena di morte ancora contenuti nella nostra Costituzione e, in secondo luogo, quello relativo alla moratoria universale delle esecuzioni capitali.
Questo passaggio, colleghe e colleghi, è ancora ad una fase critica. Ritengo che il Governo sia sul punto di riuscire ad impedire, con atti omissivi e dilatori, la conquista di un risultato storico quale sarebbe quello di un pronunciamento dell'Assemblea generale a favore di una moratoria universale delle esecuzioni capitali come strumento, pragmatico ma politico, per giungere all'abolizione della pena di morte. Tutti i paesi che, negli ultimi 10-15 anni, hanno abolito la pena di morte sono passati sempre attraverso la via non proibizionistica tout court della pena di morte, ma pragmatica della moratoria delle esecuzioni capitali.
I colleghi sanno che il 27 luglio scorso quest'Assemblea ha approvato all'unanimità una mozione il cui dispositivo, chiaro e stringente, impegnava il Governo a presentare quest'anno una proposta di risoluzione al Palazzo di vetro consultando i partner europei, ma senza vincolarsi ad un consenso unanime dell'Unione europea. La Camera impegnava il Governo anche ad operare in modo tale da assicurare alla risoluzione ONU la copromozione di paesi membri dell'Unione europea, e non necessariamente di tutti i paesi dell'Unione europea, nonché il sostegno di paesi rappresentativi di tutti i continenti, mettendo in atto da subito tutte le iniziative necessarie a livello bilaterale per ottenere ilPag. 47massimo sostegno, cosponsorizzazioni o, quanto meno, voti favorevoli o astensioni nel caso in cui qualcuno fosse indeciso a sostenere la risoluzione pro moratorie.
Ebbene, in due mesi e mezzo, il Governo è riuscito soltanto a consultare l'Unione europea, non dando seguito ad un dispositivo che lo impegnava a fare altro. Certo, l'Esecutivo ha consultato l'Unione europea e ha anche operato al fine di assicurare alla risoluzione ONU la copromozione dell'Unione europea in quanto tale; una cosa che il dispositivo non richiedeva, ritenendo sufficiente il sostegno di alcuni paesi dell'Unione europea.
Dopo due mesi e mezzo non ha fatto la cosa fondamentale, che avrebbe rappresentato l'alternativa al veto che noi, di Nessuno tocchi Caino, già sapevamo sarebbe giunto dall'Unione europea. Dal 1999 ad oggi, l'Unione europea in almeno tre occasioni ha preso in giro il nostro paese e il nostro Governo chiedendo di discutere e di trovare sulla proposta un consenso unanime, guadagnando così tempo e, quindi, vanificando l'iniziativa del Governo e, soprattutto, il mandato del Parlamento. Ora sta accadendo la stessa cosa: il Governo italiano si sta impegnando non sui punti chiari e precisi della mozione, ma in un'opera di consultazione per giungere ad un consenso unanime dell'Unione europea che non arriverà mai perché in Europa ci sono i duri e puri dell'abolizione della pena di morte, che la vogliono abolire tutta e subito e che non concepiscono le moratorie.
Tutto ciò dobbiamo dire chiaramente ed il Governo deve correggere - si è ancora in tempo per farlo - questo comportamento: l'ultima data possibile per presentare una risoluzione all'Assemblea generale dell'ONU è il prossimo 2 novembre. Abbiamo, quindi, il tempo per rimediare, a voler essere buoni, ad un errore, ad un comportamento complice di coloro i quali nell'Unione europea non vogliono che si passi attraverso la moratoria, per giungere all'abolizione della pena di morte. I paesi della ex Unione Sovietica, il Sudafrica e molti paesi che hanno abolito la pena di morte negli ultimi anni sono passati attraverso una moratoria delle esecuzioni. Evidentemente, si accetta che nel mondo vi sia la pena di morte, perché le organizzazioni abolizioniste abbiano una mission da compiere per i prossimi dieci, venti o trenta anni. Noi vogliamo che il processo storico dell'abolizione della pena di morte, che comunque è in atto, registri un'accelerazione per il tramite della via politica, dell'impegno coerente di paesi che decidono di fare a livello internazionale quello che il proprio Parlamento decide debba essere fatto.
Quello che è più grave - mi rivolgo al rappresentante del Governo qui presente, che non fa parte del Ministero competente, tuttavia, nei prossimi giorni avremo altre occasioni, anche con iniziative parlamentari, per far sì che il Primo ministro e il ministro degli affari esteri di questo siano investiti - è che il 6 ottobre scorso il Governo italiano ha deciso di sostenere, in una riunione svoltasi al Palazzo di vetro a New York, dove i rappresentanti dell'Unione europea erano chiamati ad esprimere un parere sulla proposta italiana di risoluzione a favore della moratoria, una controproposta spacciata come proposta di mediazione, di compromesso, avanzata dal rappresentante francese. In alternativa ad una risoluzione, ha proposto una semplice dichiarazione di intenti (tecnicamente si definisce una dichiarazione di associazione), quale avvio della campagna per presentare poi una risoluzione in una prossima Assemblea generale dell'ONU tutta da stabilire e da definire. Non era questo il mandato del Parlamento al Governo! Una tale dichiarazione di intenti, infatti, non sarebbe sottoposta al voto, non avrebbe cioè il valore politico e formale di una risoluzione che, invece, sarebbe sottoposta al voto dell'Assemblea generale. La stima fondata, paese per paese, sui risultati di quel voto è chiarissima. A scanso di qualsiasi rischio, la stragrande maggioranza dei paesi voterebbe a favore di una risoluzione per la moratoria, mentre i contrari sarebbero dai 60 ai 65 (questo noi stimiamo). Si sta, quindi, cercando di impedire una vittoria.Pag. 48
Questa dichiarazione serve a prendere tempo. Sappiamo già quale sarà lo scenario dei prossimi giorni. Domani 10 ottobre, a Bruxelles è prevista una riunione degli esperti dell'Unione europea nella quale si porrà sul tavolo la proposta francese. È probabile che si trovi un accordo, ma non è certo, perché l'Inghilterra mantiene ancora una contrarietà assoluta non soltanto sulla risoluzione, ma anche sulla dichiarazione di intenti. Il risultato probabile sarà un ulteriore rinvio in sede politica, al prossimo Consiglio degli affari generali, con i ministri degli esteri dell'Unione europea, con un ulteriore grave pregiudizio rispetto ai tempi tecnici (sappiamo che la data ultima per la presentazione della risoluzione è il prossimo 2 novembre).
Chiedo al Governo, che è sostenuto dalla Rosa nel pugno, alla maggioranza di cui faccio parte, al Presidente Prodi (che, intervenendo alcuni mesi fa nel dibattito sulla fiducia, ha espresso una posizione netta e un impegno preciso volto a portare quest'anno la risoluzione in Assemblea generale - lo ha fatto proprio su richiesta della Rosa nel pugno e questo è stato un punto che abbiamo condiviso e per cui lo abbiamo applaudito) di portare a compimento il suo impegno. Non posso accettare che il Governo di cui faccio parte, di cui la Rosa nel pugno fa parte, che la maggioranza di cui faccio parte tradisca questo impegno.
È inaccettabile, e non voglio che avvenga qualcosa di peggio rispetto alla scorsa legislatura, quando il Governo Berlusconi non fece ciò che aveva promesso; ma non aveva nemmeno lo strumento parlamentare per farlo. Ricordo infatti che il dispositivo fu cambiato da un voto parlamentare: quello strumento non era sicuramente stringente, puntuale ed impegnativo come quello che abbiamo approvato all'unanimità in quest'aula.
Non possiamo non abolire ogni riferimento alla pena di morte nella nostra Costituzione. Il Governo non può venire in aula a dire che si impegna a portare una risoluzione in Assemblea generale delle Nazioni Unite e poi cambiare nella prassi, con atti omissivi e dilatori, il contenuto puntuale di quella mozione e di quel dispositivo! È un problema non solo di coerenza, ma anche di credibilità internazionale del nostro paese che esercita un mandato e poi accetta che tale mandato sia tradito in maniera così plateale. Grazie (Applausi di deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.
JOLE SANTELLI. Grazie, Presidente. Credo che l'approccio a questa proposta di legge possa avere due posizioni diverse. La prima è quella più riduzionistica, per cui rendiamo la Costituzione italiana conforme alla prassi nel nostro paese, facendo con ritardo qualcosa che già nei fatti esiste. La seconda comporta un approccio politico più problematico, da cui trarre alcune lezioni, innanzitutto proprio sul lavoro del Parlamento. L'onorevole Boato, in una chiacchierata tra di noi, ha osservato che per tre volte la Camera dei deputati ha approvato questa proposta di legge e che il ritardo non è addebitabile a questo ramo del Parlamento. È un dato di fatto però che da tre legislature, ossia dal 1994, persistono dei principi che sono previsti in leggi ordinarie e collidono o comunque sono in contrasto con la Carta fondamentale del paese. Vi è un ritardo enorme anche in termini di principi generali del nostro Stato, e da questo tutto il Parlamento dovrebbe trarre una lezione.
L'adeguamento della Carta costituzionale ha un valore diverso, perché l'identità di un paese non può che essere rintracciata nella Carta costituzionale, al di là delle legislazioni collegate. Molti colleghi che mi hanno preceduto hanno parlato in termini costituzionalistici, ma mi riferisco più a teorie di diritto penalistico.
Sostanzialmente il diritto penale discute di pena di morte sulla base di tre impostazioni, abbastanza definite. La prima è di tipo possibilista e considera la pena di morte una delle sanzioni che uno Stato può prevedere all'interno del suo ordinamento. La seconda è invece più fortemente abolizionista e risponde ad unPag. 49diverso principio costituzionale secondo cui la pena di morte incide sul diritto fondamentale alla vita, che lo Stato invece deve tutelare; pertanto, non si può trasformare lo Stato in un assassino. Esiste poi un'impostazione intermedia secondo la quale si abolisce la pena di morte, ma con determinate eccezioni. Di fatto la nostra Costituzione, nonostante una netta affermazione di principio in favore dell'abolizione tout court, nel momento in cui limita questa formula assoluta con un vulnus all'interno del codice penale militare in caso di guerra, si pone in una posizione intermedia rispetto a quella dell'abolizionismo totale. In questa Camera stiamo tentando di mettere rimedio proprio a ciò e porre con forza tale tema in un'altra dimensione.
Ricordavo, sulla base dell'intervento svolto dall'onorevole D'Elia, che non è di poco la posizione assunta da questo paese. Se, infatti, nella nostra Costituzione è presente un'impostazione intermedia, secondo cui la condanna a morte è una pena come le altre e rappresenta come tale una riserva statale di ordinamento giuridico, allora lo strumento internazionale a disposizione di ogni paese è meno definito e meno forte. Si tratta di uno strumento di trattativa internazionale per rivolgersi ad un altro Stato con maggiore circospezione, magari cercando altre alleanze.
Se, invece, non si tratta - come è ovvio, e su questo siamo tutti d'accordo - semplicemente di una delle pene possibili, bensì di un principio generale ed assoluto, la situazione cambia totalmente. Uno Stato, dinanzi ad un principio generale ed assoluto, utilizza tutti gli strumenti a disposizione e valuta ogni possibilità affinché questo principio generale di democrazia venga realizzato ovunque.
Sembra strano parlare di pena di morte nel 2006, ma forse può sembrarlo meno se si pensa che la prima disputa sulla possibilità di applicazione della pena capitale non risale a Beccaria, ma addirittura all'antica Grecia. Infatti, fu proprio nell'antica Grecia che per la prima volta si pose il problema se uno Stato possa o meno prevedere la pena di morte nell'ambito delle sue «competenze». Se usciamo dai confini del nostro paese e guardiamo ad un mondo diverso, comprendiamo l'attualità dell'argomento di cui stiamo trattando, forse non più stringente in Italia che altrove. Tuttavia, rimane attuale in Italia visto che - come prima i colleghi hanno ricordato - abbiamo dovuto aspettare il 1996 per dare alle nostre autorità un riferimento preciso nei confronti di paesi stranieri. Mi riferisco alla sentenza cui hanno fatto riferimento gli onorevoli Boato e D'Elia.
Tale sentenza rappresenta una pietra miliare ed un riferimento importante sulla strada di questa emancipazione. Essa si basa sulla prevalenza dell'articolo 2 della Costituzione rispetto alle altre norme dell'ordinamento, articolo che fornisce un'indicazione precisa alle autorità italiane quando si confrontano con gli altri Stati per la richiesta di estradizione in occasione della pena di morte. In quel caso, abbiamo un ulteriore passaggio in avanti. Quelle che prima erano considerate garanzie di tipo internazionale, diventano garanzie assolute. Non basta la verifica discrezionale di un'autorità politica, che decide attraverso trattati internazionali o attraverso rapporti internazionali di concedere l'estradizione per un reato in cui è prevista in un altro paese la pena di morte, ma serve qualcosa di più.
Per rendere attuale tutto ciò - ricollegandomi a quanto detto dall'onorevole D'Elia -, oltre ad approvare una modifica costituzionale, questo paese ha un dovere in più. Anche perché - lo abbiamo detto con un deciso orgoglio - è il paese di Beccaria, è il paese che per primo, con il codice toscano, ha vietato la pena di morte...
MARCO BOATO. Nel 1787!
JOLE SANTELLI. ...è il paese che nel primo codice unitario cancella la pena di morte. È però anche il paese, come correttamente ricordato dall'onorevole Boato, che nel 1945 condanna a morte 88 persone. Dunque, è un paese con una storia che, purtroppo, presenta anche sprazzi diPag. 50follia, sebbene eccezionali. Evidentemente, il legislatore italiano è stato schizofrenico. Penso che il decreto luogotenenziale, di cui spesso abbiamo parlato, sia il massimo dell'incoerenza: l'abolizione della pena di morte ed al tempo stesso la sua previsione in casi eccezionali, per garantire l'ordine pubblico. Si tratta di due principi totalmente incoerenti. Tralasciando quegli sprazzi di follia, sicuramente il nostro è un paese che ha una tradizione ed una storia in questa materia. Ed è un paese che riconosce come interlocutori quei paesi che hanno lo stesso livello di civiltà e di democrazia, e in questo concetto di civiltà e democrazia rientra ovviamente il riconoscimento di principi basilari, come quello della tutela della vita.
Tutto ciò comporta che questo paese recuperi fortemente un'iniziativa a livello internazionale, che abbia una sua consistenza, in quanto convinta dei propri principi, al di là degli accordi diplomatici. Sembra spaventoso dirlo in questa sede, perché si viene sempre tacciati di essere antieuropeisti, ma il problema che si è posto prima l'onorevole D'Elia, e che è giusto porre al Governo è questo: dinanzi ad un principio che riteniamo fondamentale, sul quale l'intero Parlamento ha dato un mandato pieno al Governo, è più importante la lotta per questo principio (che può anche essere una lotta che fallisce), oppure la necessità di discutere a livello europeo per evitare di toccare la suscettibilità di altri paesi?
Siamo chiamati, il Governo lo è ovviamente in primo luogo, a rispettare l'indirizzo politico espresso dal Parlamento in una materia del genere a dare un criterio di priorità alla sua stessa identità. Si può sacrificare la lotta per un principio che viene ritenuto fondamentale al fatto di mantenere buoni rapporti per evitare attriti o perché si vuole mantenere una posizione di basso profilo su questo punto? Si tratta di una scelta da fare. Peraltro, mi auguro che questa discussione possa proseguire presto anche al Senato; al riguardo, collega Boato, credo che dovremmo stare bene attenti, vigilando affinché l'altro ramo del Parlamento sia assiduo e segua i lavori di questa Camera, sperando che in questa legislatura almeno questo obbrobrio possa essere cancellato.
Anche questi lavori serviranno e spero possano essere utili per farci comprendere quale sia realmente la posizione del Governo sul punto, assumendo proprio dal Parlamento la forza che gli deriva da un indirizzo politico ben definito, anche per azioni che - lo ribadisco - forse potrebbero non avere soluzioni favorevoli. Infatti, non è detto che una risoluzione venga accolta dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, ma le battaglie si devono combattere indipendentemente dalla loro vittoria. Le battaglie sono giuste di per sé ed è difficile altrimenti comprendere il giusto se, come risvolto, si deve contemplare esclusivamente una vittoria da portare a casa come pennacchio (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, oggi affrontiamo la discussione generale di questo provvedimento recante la modifica dell'articolo 27 della Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte.
È un provvedimento assai breve, malgrado le sette pagine di relazione, illustrate con competenza dal collega Boato, e consta di un solo articolo, di quattro righe. Mi si permetta la battuta: guardando, invece, il testo della legge finanziaria presentato dal Governo, con oltre 200 articoli, verrebbe da immaginare che esista una legge non scritta che stabilisce che la qualità di un testo legislativo è inversamente proporzionale alle dimensioni del testo stesso. In realtà, sappiamo che non sempre è così. Comunque questo testo, nella sua brevità, ha un significato politico molto importante per il nostro ordinamento, per il Parlamento che lo discute e per le conseguenze che esso comporta.
La storia della pena di morte nel nostro ordinamento, dal ventennio in poi, ripercorsa Pag. 51anch'essa con grande lucidità e nelle sue tappe salienti dal relatore, Boato, con questo provvedimento raggiunge una fase terminale, con la soppressione del riferimento contenuto nella Carta costituzionale.
Si tratta di un percorso che si accompagna ad una serie di iniziative intraprese anche a livello internazionale. Abbiamo ricordato il secondo Protocollo facoltativo sui diritti civili dell'Assemblea generale dell'ONU, il Protocollo n. 6 del 1983, il Protocollo n. 13 del 2002. Abbiamo ricordato tutte le iniziative intraprese dalle istituzioni comunitarie (dal Parlamento europeo, dal Consiglio d'Europa e dalla Commissione europea) sia per quanto attiene la necessità da parte degli Stati membri o degli Stati osservatori e del Consiglio d'Europa di non avere all'interno dei propri ordinamenti la pena di morte, sia con riferimento a tutti quegli atti di indirizzo e di persuasione rispetto agli Stati terzi volti a sospendere le esecuzioni e ad indurli a modificare la contemplazione della pena di morte nel loro ordinamento.
Si tratta quindi di un impegno delle istituzioni comunitarie che si mantiene costante nel tempo e che segue la linea di questa proposta di legge costituzionale, facendone un termine ultimo di adeguamento non solo ad una giurisprudenza, ma anche ad un indirizzo politico dell'Unione europea.
È evidente che, per chi ha una formazione liberale e una certa idea del rispetto della vita, la pena di morte sia inaccettabile. È evidente che il liberale non può riconoscere ad uno Stato di diritto la possibilità di togliere la vita ad alcuno.
È altrettanto evidente che questo è un dibattito di antica memoria che ha fatto dividere l'opinione pubblica su tanti aspetti e che spesso è stato utilizzato in qualche modo anche - mi auguro che non siano né questa né altre le occasioni - per puntare il dito contro gli Stati Uniti. Certamente, gli USA non possono essere equiparati ad altri paesi che ugualmente contemplano tale istituto nel loro ordinamento, dal momento che sono una nazione democratica nella quale vige un sistema giuridico di un certo tipo; quindi, la pena di morte negli Stati Uniti chiaramente non è paragonabile a quella della Cina. In questo senso e con questo distinguo, condivido e sposo la battaglia per l'abolizione della pena di morte, sulla quale Forza Italia si è dimostrata sensibile, anche in relazione al provvedimento in esame.
Come il relatore Boato ricordava con grande onestà intellettuale, un'analoga proposta di legge era stata presentata nella precedente legislatura dall'onorevole Zanettin di Forza Italia e da altri colleghi della Casa delle libertà. Si tratta di un provvedimento sul quale siamo unanimemente concordi. Evidentemente, lo stesso provvedimento non è fine a se stesso. Come ricordava il collega D'Elia, infatti, a fronte di una mozione approvata all'unanimità da questa Camera il 27 luglio di quest'anno è necessario che il Governo dia seguito agli indirizzi politici che il Parlamento ha assunto.
Inoltre, c'è la necessità di continuare a battersi non soltanto sul filone, sia pure importantissimo, della pena di morte ma anche nel settore più ampio dei diritti civili, rispetto al quale la pena di morte costituisce un rivolo di un più grande fiume. In questo senso, delude un po' il ritorno a mani vuote dalla recente missione in Cina del Governo. Tale missione, probabilmente, è stata funestata, come dire, da accidenti di natura diversa e più nostrani: penso al caso Telecom. Credo tuttavia che l'impegno a 360 gradi sui diritti civili debba essere mantenuto e rinvigorito dall'approvazione di questa proposta di legge costituzionale che ci auguriamo sarà unanime, come lo è stato il voto della Commissione affari costituzionali dopo i pareri favorevoli delle Commissioni giustizia e difesa.
Ci auguriamo, quindi, che si giunga ad un risultato definitivo, che metterà una pietra tombale su questo argomento per quanto concerne l'ordinamento italiano e la modifica alla nostra Costituzione, e crediamo che questo debba essere ancora di più motivo propulsivo per l'impegno, sia Pag. 52a livello parlamentare, sia a livello governativo, in favore dei diritti civili in Italia e nel mondo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Adenti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in riferimento alla proposta di legge costituzionale oggi in esame, relativa alla modifica dell'articolo 27, quarto comma, della Costituzione, voglio esprimere il pieno consenso da parte mia e del gruppo dei Popolari-Udeur, che rappresento. La pena di morte per i reati comuni militari in tempo di pace fu abolita in base alla nostra Carta costituzionale, mentre con la promulgazione della legge n. 589 del 13 ottobre 1994 è stata abolita la stessa pena prevista nel codice penale militare di guerra ed è stata sostituita con la massima pena prevista dal codice penale.
Lo spirito del provvedimento che stiamo esaminando ci spinge, quindi, oltre la semplice abolizione della pena di morte e, attraverso l'intervento sulla Costituzione e, quindi, sulla legislazione di rango primario, intende renderne impossibile la reintroduzione. Su questa proposta di legge di revisione costituzionale si è registrata, già nella scorsa legislatura, una convergenza di intenti da parte tutti gli schieramenti politici: una amplissima maggioranza approvò un testo unificato identico a quello su cui, oggi, ci troviamo a discutere. Anche nella presente legislatura, infatti, nel corso dell'esame in sede di Commissione affari costituzionali si è registrata l'unanimità dei consensi. Anche i celerissimi pareri favorevoli delle Commissioni giustizia e difesa dimostrano che si tratta di una scelta di valore condivisa dalle forze politiche presenti in Parlamento, senza ragioni di schieramento, che non può non far parte del patrimonio dei valori della stragrande maggioranza degli italiani.
Il nostro giudizio favorevole deriva senza dubbio da importanti principi che ispirano la nostra azione politica - ovvero il rispetto dei diritti dell'uomo, delle libertà fondamentali e l'affermazione del valore della vita -, principi che ci vedono accogliere favorevolmente un progetto di modifica costituzionale teso a bandire dal nostro ordinamento ogni possibilità di affermazione di una cultura della vendetta e della morte, ovvero una pena che costituisce la sintesi di tutte le violazioni strutturate della vita umana.
Questo provvedimento - che si rifà, come è stato ricordato, alla più alta tradizione giuridica del nostro paese - contribuisce indubbiamente a riaffermare la nostra piena adesione al processo politico, in atto a livello internazionale, di affermazione della democrazia dei diritti dell'uomo. Senza dubbio, tale processo passa anche per l'abolizione della pena capitale ed è una tappa fondamentale segnata dalla firma da parte dell'Italia e di altri 30 Stati membri dell'Unione europea, nell'ambito del Consiglio d'Europa, del Protocollo n. 13 della Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali, che proibisce la pena di morte in ogni circostanza - compresi i crimini commessi in tempo di guerra o di imminente pericolo di guerra -, colmando la lacuna del precedente Protocollo n. 6, che proibiva la pena di morte ad eccezione degli atti commessi in tempo di guerra o di imminente pericolo di guerra.
Credo soprattutto che il valore di tale scelta risieda principalmente nel fatto che un paese che intende tutelare i diritti dell'uomo affermi con vigore che nessuno può arrogarsi arbitrariamente il diritto di decidere della vita e della morte di un altro essere umano in quanto costitutivo della sua libertà. La difesa della vita, tema caro al nostro gruppo politico, potrà essere certamente più forte dopo questo provvedimento che bandisce anche l'ultima eccezione: si tratta di difendere il diritto da cui tutti gli altri diritti derivano, cioè la vita.
La modifica costituzionale che ci accingiamo a votare è, come sostiene anche il collega Boato, il punto di partenza di un comune percorso culturale e politico che i parlamentari di quest'aula non possono esimersi dal compiere. Tale percorso,Pag. 53senza dubbio, contribuisce a chiarire l'assunto dell'articolo 2 della nostra Costituzione, escludendo ogni possibile relativizzazione della libertà di vivere, diritto inalienabile, ad una scelta arbitraria del singolo, intento quest'ultimo che sono convinto sia ampiamente condiviso dai cittadini del nostro paese al di là di ogni differenza culturale, politica, religiosa e sociale, in quanto massima espressione del patrimonio valoriale su cui si fonda la nostra Repubblica. Sono altresì convinto che il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali costituisca uno degli obiettivi generali della politica, che noi, parlamentari della Repubblica, dobbiamo perseguire con grande convinzione e determinazione.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, anch'io voglio esprimere apprezzamento per la relazione del collega Boato, un apprezzamento per l'excursus, per la storia che ha voluto sottolineare ed anche per la determinazione con cui ha sempre tentato questa modifica costituzionale. La sottolineatura del fatto che da ben tre legislature si tenta di introdurre questa modifica senza successo ci fa riflettere non solo sulle ragioni - che poi hanno fatto registrare, di fatto, una condivisione unanime ogni volta che ne abbiamo discusso in quest'aula -, ma anche sulla responsabilità che ancora una volta ci assumiamo, affinché finalmente questa modifica possa arrivare a compimento in modo positivo. Questa responsabilità che avverto rende ancora più importante la nostra discussione, per il merito naturalmente, ma anche per quello che può determinare dal punto di vista simbolico sul piano più generale, sul piano europeo ma soprattutto internazionale.
Come è stato detto, questa modifica eliminerebbe in modo definitivo, ed io spero irreversibile, la pena capitale nel nostro ordinamento e porrebbe finalmente fine ad una contraddizione presente nell'articolo 27 della Costituzione laddove, da una parte, si proclama il principio della finalità rieducativa della pena e di come essa non possa consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e, dall'altra, si prevede, sia pure nella sola ipotesi dei casi previsti dal codice penale militare in tempo di guerra, la possibilità della pena capitale.
Abbiamo più volte rilevato come considerazioni di carattere etico, morale, giuridico e pratico conducano a ritenere inammissibile la pena di morte in uno Stato democratico. Tale pena corrisponde ad una concezione della giustizia primitiva e vendicativa. La giustizia non può mai essere confusa con la vendetta e la pena non può avere uno scopo esclusivamente punitivo, ma deve tendere alla rieducazione, come dice la nostra Costituzione, e dare, quindi, la possibilità ad ogni persona che abbia subito una condanna di reinserirsi nella società.
Non è, del resto, un caso che il nostro paese si sia battuto con successo affinché lo statuto istitutivo del Tribunale penale internazionale escludesse esplicitamente la possibilità di comminare la pena di morte. Ciò è particolarmente significativo se si considera che tale tribunale sarà chiamato, quando finalmente entrerà in vigore, a giudicare proprio dei crimini più gravi, quali quelli contro l'umanità. L'intendimento di espungere definitivamente la pena di morte dall'articolo 27 della Costituzione - è stato sottolineato - è di tutte le forze politiche presenti in quest'aula e fa riferimento - molti colleghi lo hanno richiamato - ad una civiltà giuridica che già fin dalla fine del XIX secolo, riprendendo l'insegnamento di Cesare Beccaria, ha negato il diritto dello Stato di condannare i cittadini alla pena capitale.
Il collega Boato ed altri hanno richiamato la storia della pena capitale anche rispetto ai decenni più recenti, con la sua reintroduzione nel periodo del fascismo e, poi, con l'abolizione definitiva, così com'è prevista oggi dall'articolo 27 della Costituzione, pur con i limiti e le contraddizioni di cui parlavamo in precedenza.
Questa scelta contro la pena di morte, come è stato giustamente detto, accomunaPag. 54molti paesi e molte organizzazioni a livello internazionale. In questo senso si muovono le politiche delle Nazioni Unite e dell'Unione europea. Infatti, il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali costituisce uno tra gli obiettivi generali della politica estera e della sicurezza comune e, quindi, anche gli accordi stipulati con i paesi terzi vanno nella direzione dell'abolizione della pena di morte. Si è parlato della dichiarazione allegata al Trattato di Amsterdam, della Carta di Nizza in cui si prevede che nessuno possa essere estradato verso uno Stato in cui esiste il rischio di condanna a morte o di tortura o di altre pene o di trattamenti inumani o degradanti; tuttavia, come altri colleghi hanno sottolineato, vi sono ancora moltissimi - troppi - paesi del mondo in cui viene comminata la pena di morte (mi pare ottantasei). Penso che, a questo proposito, si possano esprimere due considerazioni.
La prima è quella che richiamava il collega D'Elia, ossia la responsabilità del nostro Governo per una moratoria internazionale sull'esecuzione della pena capitale. I paesi che hanno abolito dai propri ordinamenti la pena capitale sono passati, infatti, proprio attraverso una moratoria. A noi interessa che si vada in questa direzione concretamente e, dunque, il richiamo al Governo è obbligatorio, sia per la serietà e la credibilità delle istituzioni e del Parlamento, che ha votato questo impegno stringente per il nostro Governo, sia per gli effetti pratici che ciò può avere e deve avere.
Vi è anche un'altra ragione, e più di un collega richiamava il fatto che, dal punto di vista concreto, nel nostro paese non avrebbe conseguenza questa modifica della nostra Carta costituzionale. Non l'avrebbe dal punto di vista concreto, ma penso che sotto il profilo simbolico e culturale ciò mantenga un proprio valore, in quanto vi è l'esigenza di introdurre una moratoria delle esecuzioni capitali, per spingere verso l'abolizione totale della pena di morte, presente ancora in troppi paesi del mondo, soprattutto in questo momento in cui, ad esempio, la tortura è stata posta quale tema all'ordine del giorno sul piano internazionale di fronte all'emergenza del terrorismo.
Io penso che non vi sia emergenza alcuna che giustifichi la violazione dei diritti umani e, quindi, discutere oggi di una moratoria nelle Nazioni Unite significa affrontare anche questi temi. Questa modifica, di valore giuridico per un problema che noi non avvertiamo come concreto, per quanto di valore simbolico, può avere sia rispetto alla cultura generale nel nostro paese sia rispetto al dibattito internazionale una enorme importanza. Penso che a volte nel nostro paese si debba assolvere al compito di andare controcorrente, specie quando siamo chiamati a discutere di questioni come queste. È capitato che a volte, in presenza di reati tra i più efferati, la popolazione di fronte alle paure ricorra a invocazioni di luoghi comuni come soluzione di problemi complessi; la pena di morte o l'aggravamento delle pene spesso sono tra questi, come se essi potessero ridurre o risolvere i problemi della sicurezza. Penso che le istituzioni abbiano anche il dovere di informare e dire la verità facendo ragionare sulla concezione della pena. Tutti i dati e le statistiche del mondo mostrano che le strategie a tolleranza zero sono fallite e che, al contrario, sono proprie quelle politiche che tendono al reinserimento - vi sono esempi molto significativi e interessanti nel Nord Europa - e che considerano il carcere l'ultima ratio per situazioni di estrema pericolosità sociale a dare i risultati più positivi e importanti per la sicurezza di tutti.
A volte è difficile poter sostenere queste tesi, perché è più facile fare demagogia e annebbiare le paure dentro i luoghi comuni. Ritengo che questa occasione possa essere utile anche in questo senso. Veniamo da un dibattito acceso sulla questione dell'indulto, ci sono state polemiche e disinformazione. Anche in questo caso le statistiche dicono molto chiaramente che si torna a delinquere quattro volte in meno quando vi sono delle misure alternative. Sono proprio l'idea della concezione della pena, non solo il fatto che loPag. 55Stato possa togliere la vita, il valore della vita in sé e la giustizia intesa non come vendetta che possono essere posti all'ordine del giorno, anche attraverso la modifica dell'articolo 27 della Costituzione, per ribadire appunto che la sicurezza non dipende dall'aumento delle pene o da una maggiore penalizzazione carceraria, ma, al contrario, da politiche sociali che cercano di prevenire.
Arrivo a dire che se questa modifica, come tutti auspichiamo, giungerà finalmente a compimento con questa legislatura, in seguito dovremo avere il coraggio di affrontare il tema dell'ergastolo. Molti hanno scritto in questi anni: fine pena mai. Eppure, occorre lasciare sempre un margine, una speranza a chi ha commesso dei reati. Chi è stato condannato deve sempre avere la possibilità di reinserirsi nella società.
Credo che, coraggiosamente, il compito di coloro che siedono negli scranni più importanti delle istituzioni debba essere quello di introdurre delle modifiche legislative, ma, insieme a questo, anche quello di fare cultura politica e cultura civile.
Penso che un paese persino senza ergastolo - sicuramente senza la pena di morte, che non può esistere in uno Stato democratico -, sarebbe un paese più civile; non voglio dire più sicuro, ma sicuramente non meno sicuro.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Nicchi. Ne ha facoltà.
MARISA NICCHI. Signor Presidente, con questa proposta di legge di modifica costituzionale ci accingiamo a cancellare la pena capitale prevista nelle leggi militari di guerra.
Si è parlato in altri interventi di ultimo anacronistico riferimento alla pena capitale presente nella nostra legislazione. Infatti, la possibilità prevista all'articolo 27 della Costituzione di autorizzare l'uso della pena capitale nei casi previsti dalle leggi militari di guerra limita le parti dello stesso articolo in cui la si esclude esplicitamente (quando si afferma che non è ammessa la pena di morte). È già stata richiamata in altri interventi un'altra contraddizione con le parti in cui la Costituzione, sempre all'articolo 27, afferma che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, cioè devono essere umane ed avere finalità riabilitative.
Oggi, con questa discussione e con la conseguente approvazione, si rimedia a queste contraddizioni, a questi limiti, e si sancisce finalmente il carattere totalmente abolizionista del nostro paese.
Il Parlamento sceglie - ci auguriamo e auspichiamo fortemente all'unanimità - la strada del ripudio assoluto - questa è la nostra strada -, non ammette nessuna eventualità, neanche eccezionale, di ricorrere all'uccisione legale.
Senza questa modifica costituzionale ciò non si poteva affermare. La sentenza della Corte di Cassazione del 1977 infatti sancisce che la norma dell'articolo 2 della Costituzione - articolo fondamentale - sul riconoscimento dei diritti inviolabili dell'uomo non pone il divieto assoluto della pena di morte, che è ammessa all'articolo 27.
La contraddizione continua ad essere stridente anche con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, quando all'articolo 2, citato nella relazione dell'onorevole Boato, si afferma che nessuno può essere condannato alla pena di morte o giustiziato.
Questa riforma - anche questo è da ricordare - era attesa dal 1994 - molti anni -, quando, con l'approvazione della legge n. 589, furono abolite le norme che prevedevano la pena di morte nel codice penale militare di guerra. È giusto ricordare l'impegno dell'onorevole Ersilia Salvato, che si è distinta in questa battaglia. Ripeto: era il 1994 sono trascorsi molti anni da allora.
All'epoca fu un passo simbolico significativo e anche concreto, perché i nostri militari erano già allora coinvolti in molte missioni all'estero. Dobbiamo ricordare, infatti, che ancora nel 1993, come nel 1941 (molti anni prima, nel fuoco della seconda guerra mondiale), secondo norme fasciste,Pag. 56erano punibili con la morte 48 reati diversi, che potevano commettere i nostri soldati impegnati in spedizioni, anche in tempo di pace. Quel passo fu importante e deve essere oggi completato con questa modifica costituzionale.
La relazione dell'onorevole Boato ha richiamato l'attività dei diversi organismi europei internazionali - ad essa rimando - e giustamente ha citato l'appello per l'abolizione totale sottoscritto dai presidenti delle assemblee parlamentari europee, compresa la nostra.
Oggi la Camera dei deputati fa proprie tali iniziative istituzionali e, soprattutto, dà rappresentanza ad un'opinione democratica che è maturata nel paese grazie non solo all'insostituibile impegno di numerose associazioni, come Amnesty International o «Nessuno tocchi Caino», ma anche ad una larghissima iniziativa sociale diffusa.
L'opinione pubblica, infatti, è molto cambiata rispetto a questo tema, se pensiamo che solo pochi anni fa eravamo in presenza di campagne che volevano reintrodurre la pena di morte e che, come è stato ricordato, facevano leva su primordiali emozioni collettive di vendetta facili da evocare.
Pensiamo anche che gli stessi partiti, solo pochi anni fa, erano molto più divisi. Attualmente si registra - o almeno così auspichiamo - l'unanimità su tale questione, ma vorrei semplicemente ribadire che qualche anno fa non era così. Oggi la cancellazione definitiva della pena capitale rende sicuramente impossibile, e ci auguriamo irreversibile, la possibilità di reintrodurla.
Come ha già evidenziato il rappresentante del Governo, bisogna sottolineare anche un effetto importante prodotto dalla nostra riforma costituzionale. Approvandola, infatti, l'Italia si mette in condizione di aderire pienamente al nuovo Protocollo n. 13 allegato alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, il quale si propone l'abolizione, senza «se» e senza «ma», della pena capitale. Si tratta di una abolizione che non vuole né autorizzare deroghe, né ammettere riserve.
La modifica costituzionale proposta, dunque, aumenterà fortemente la credibilità, la legittimità e l'autorevolezza del nostro paese, il quale ha intrapreso numerose iniziative per la tutela dei diritti umani ed il rispetto della vita ovunque nel mondo. Vorrei rammentare - e mi riferisco al dibattito svolto in questa Assemblea - l'importanza dell'iniziativa che il Parlamento, nel luglio scorso, ha assunto al fine di impegnare il Governo a presentare, alla prossima Assemblea generale dell'ONU, la risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali. Si tratta, infatti, del primo passo per la messa al bando della pena di morte nel mondo.
È una decisione molto importante, e vorrei associarmi alle considerazioni anche critiche che sono state formulate in questa sede, ricordando che l'azione del Governo su tale materia deve essere coerente con quanto è stato scritto nel documento di indirizzo approvato dal Parlamento: si tratta, infatti, di un'iniziativa che deve essere assunta insieme ai paesi europei, ma senza essere ad essi vincolati.
Ricordo che l'Italia ha scelto, da tempo, la tutela dei diritti umani quale carattere fondante della propria politica nazionale ed estera ed ha ottenuto anche un successo fondamentale: mi riferisco all'approvazione della risoluzione della Commissione per i diritti umani dell'ONU nella quale, per la prima volta, la pena di morte viene riconosciuta, politicamente e giuridicamente, come pratica contraria ai diritti umani universalmente riconosciuti.
Dopo tale votazione, provocata anche dall'iniziativa portata a termine con successo dal nostro paese, l'abolizione della pena di morte è diventata un indirizzo della comunità internazionale. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, del quale, ricordo, fanno parte anche paesi che mantengono la pena di morte (come la Cina e gli USA), ha infatti escluso la pena di morte dallo statuto dei tribunali internazionali istituiti per giudicare i crimini commessi in Rwanda e nella ex Jugoslavia. Così, la Conferenza plenipotenziaria dell'ONU, riunita a Roma nel luglio del 1998, ha approvato lo statuto del TribunalePag. 57penale internazionale escludendo la comminazione della pena di morte anche per i crimini più indicibili (mi riferisco, ad esempio, al genocidio).
La pena di morte è stata espunta definitivamente dal diritto delle organizzazioni internazionali, anche se dobbiamo sapere che, purtroppo, le esecuzioni sono paradossalmente aumentate pur essendo diminuiti i paesi che ricorrono alla pena capitali.
È stato già ripetuto - ma dobbiamo ribadirlo ancora - che niente giustifica che lo Stato usi il proprio potere per stroncare una vita umana, neanche gli atti più abominevoli, ed io vorrei aggiungere che neanche il tempo di guerra legittima un tale potere dello Stato. Che la vita umana valga meno in guerra non è una implicazione necessaria della guerra, bensì è uno degli effetti più efferati e brutali di essa.
Un ordinamento giuridico civile non può usare gli stessi mezzi dei criminali che combatte e che condanna. È un tragico controsenso uccidere chi uccide per dimostrare che non è giusto uccidere. Ciò vale per la Nigeria, che lapida le donne addirittura per adulterio, ma anche per la democrazia degli Stati Uniti.
Altro che scontro di civiltà! Noi dobbiamo lavorare con tutta la nostra iniziativa e la nostra forza, piuttosto, per operare un cambiamento di civiltà, che metta ovunque in discussione il rapporto tra uso della violenza e giustizia, tra uso della tortura, o di mezzi degradanti, come veniva ricordato, e qualità della democrazia.
Uno Stato che mantiene la pena di morte per i suoi cittadini, con il macabro rito che la caratterizza, priva la vita umana di valore assoluto, assume un potere ingiustificabile, inconciliabile con il dubbio necessario, anche perché perfino il sistema di giustizia giuridica più avanzato ha sempre un margine di incertezza sulle responsabilità del condannato, non è infallibile, tanto più in tempo di guerra, quando è sicuramente più facile l'errore giudiziario.
L'Italia, anche con questo atto che stiamo compiendo, continua un cammino di civiltà, che ha iniziato per prima (vorrei ricordare anche il Granducato di Toscana, ancora prima dell'unità); continua questo cammino di civiltà perché la pena di morte viola il diritto alla vita, non serve a dissuadere e porta a commettere l'errore più inaccettabile, giacchè si tratta di un errore irreversibile.
A questi principi si ispira il nostro progetto di riforma. Dovremo vigilare - accolgo in questo la preoccupazione di tutti, a partire dall'onorevole Boato - affinché questa legislatura sia la legislatura del compimento dell'iter.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.