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CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1750
ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO. Come è noto, il provvedimento reca numerose disposizioni di inasprimento fiscale, tutte ampiamente dibattute ed analizzate -Pag. 102e per la verità nella gran parte dei casi criticate - sia sulla stampa che nel dibattito parlamentare. È il caso dell'inasprimento della tassazione sui fabbricati strumentali in leasing (articolo 3 comma l) dell'elevazione dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili (articolo 3 comma 4), delle nuove e più invasive regole in materia di aggiornamento dei catasti e dei terreni dei fabbricati rurali, della riproposizione di una tassazione sui beni in successione; e l'elenco potrebbe continuare a lungo.
Tuttavia non è su queste disposizioni che voglio soffermarmi, bensì su quella parte di tassazione aggiuntiva recata dal provvedimento che deriva non da modifiche alle esistenti regole ed istituti fiscali - modifiche che, come ora detto, sono ormai ampiamente note - ma dalla intensificazione del regime dei controlli e degli accertamenti fiscali prevista dall'articolo 1. Si tratta infatti di una quota di entrate su cui finora poco ci si è soffermati, anche in sede emendativa, perché non deriva da interventi sulle vigenti regole fiscali - interventi che avrebbero suscitato la dovuta attenzione nel dibattito parlamentare e su cui sarebbero stati puntati i riflettori dell' opinione pubblica - bensì da una accentuazione dell'azione degli uffici finanziari.
Si tratta tuttavia di una intensificazione di attività, in qualche modo favorita ed incentivata dalle norme dell'articolo 1, da cui non deriva, come avrebbe potuto ragionevolmente ritenersi (trattandosi di materia inerente all'ordinario esercizio dei compiti dell'amministrazione finanziaria) una quota marginale delle maggiori entrate ascritte al decreto, bensì la quasi totalità delle stesse: si tratta infatti di ben 4.360 milioni di euro (per il solo 2007), vale a dire poco meno del 70 per cento della complessiva «dote finanziaria» che il decreto porta a copertura della manovra di bilancio.
È appena il caso di rammentare che un'analoga strategia risulta presente anche nel disegno di legge finanziara, in cui al potenziamento degli studi di settore viene ascritta una maggiore entrata di circa 3.300 milioni (anche qui per il solo 2007).
Insomma, senza modificare in maniera sostanziale le norme che regolano il rapporto tra fisco e contribuente la manovra, ed in particolare il decreto al nostro esame, si prefigge di incrementare - per così dire in maniera silenziosa e poco trasparente - il gettito fiscale di circa 7.600 milioni di euro, vale a dire più o meno mezzo punto di PIL. Si tratta di un obiettivo piuttosto preoccupante, in misura prevalente affidato al decreto in esame, che non può che porre seri interrogativi sulle modalità con cui si riuscirà a conseguire - qualora lo si realizzerà - un così ingente ammontare di gettito aggiuntivo: si tratterà di un'intensificazione dell'ordinaria attività fiscale, o dobbiamo aspettarci in taluni casi azioni di «vessazione» fiscale?
È evidente che della realizzazione di un risultato così ambizioso c'è quantomeno da dubitare nonostante le rassicurazioni fornite nella seduta del 17 ottobre dal viceministro Visco. Assicurazioni cui affidabilità valuteremo a consuntivo.
Tenendo peraltro presente che occorrerà - sempre in sede consuntiva - tener conto anche degli ulteriori effetti di incremento di gettito affidate alle nuove regole sull'attività di riscossione (articolo 2 del decreto-legge): si tratta di 1200 milioni nel 2007 che, benché non portate a copertura della legge finanziaria (sono infatti iscritti nel saldo di fabbisogno ed in quello di indebitamento) costituiscono comunque somme che andranno versate dai cittadini il cui contenzioso è già iscritto a ruolo. Anche su tali effetti, peraltro, possono avanzarsi seri dubbi dovendosi considerare che la relazione tecnica basa gli effetti medesimi su una applicazione dell'istituto della compensazione fiscale: istituto che tuttavia, a fronte di un possibile incasso immediato, sembra dar luogo ad una rinuncia di un corrispondente gettito futuro.
In sintesi, gli obiettivi di gettito perseguiti dal decreto sembrano per la gran parte - affidata nell'ambito dell'articolo 1 all'attività accertatrice degli uffici - o pocoPag. 103credibili, ovvero tali da determinare una presenza ed un'attività invasiva dell'amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti.
Nel primo caso il mancato conseguimento del maggior gettito renderà difficile attuare compiutamente i cosiddetti «interventi per lo sviluppo» previsti per la manovra, oppure ne comporterà il finanziamento in deficit.
Nel secondo caso produrrà un inasprimento del rapporto tra fisco e contribuente: inasprimento del quale non si sente affatto bisogno, perché, nel medio periodo, ostacolerà lo sviluppo economico, venendo così a incidere negativamente su uno dei due obiettivi programmatici della manovra, cioè «risanamento e sviluppo»: forse si realizzerà il primo obiettivo ma difficilmente ciò - se ottenuto con una fiscalità eccessiva - consentirà la realizzazione del secondo. Una ultima considerazione. Il precedente Governo è stato aspramente criticato perché accusato, tra le molte cose, di non riuscire a controllare la spesa e, per conseguenza, di aver utilizzato condoni e misure una tantum. Senza entrare nel merito di tali valutazioni, che ovviamente non condivido, voglio rilevare che anche questo decreto-legge - come pure l'intera manovra - si tiene ben lontano da qualsiasi intervento di contenimento della spesa e, per il reperimento di risorse sostitutive, non riesce a proporre niente di meglio che un inasprimento fiscale, in tal modo precludendosi gli obiettivi di crescita che la manovra stessa dichiara di voler perseguire.