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DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE DEL DEPUTATO ALESSANDRO MARAN SUL DISEGNO DI LEGGE N. 1780.
ALESSANDRO MARAN. Nella stesura originaria il disegno di legge presentato al Senato si limitava a disporre la sospensione e non l'azzeramento di alcuni decreti attuativi della riforma dell'ordinamento giudiziario adottati nella precedente legislatura.
Il Governo aveva optato per la sospensione dell'efficacia delle disposizioni contenute in quei decreti legislativi, piuttosto che per la loro abrogazione o per eventuali modifiche di merito.
Ciò al fine di porre il Parlamento nelle condizioni di valutare - nei tempi opportuni - le soluzioni normative più idonee e più in grado di raccogliere il consenso di tutte le forze politiche.
Non mi soffermo sugli aspetti più controversi dei decreti legislativi di cui si è proposta la sospensione dell'efficacia che sono stati materia di un dibattito che è durato il tempo della scorsa legislatura.
Mi soffermo sui punti politici di questa scelta del Governo. Sulle intenzioni del Governo e della sua maggioranza.
Perché si è proposta la sospensione delle disposizioni in tema di ordinamento giudiziario?
In primo luogo, perché l'attuale maggioranza, com'è noto, ha avversato molto nettamente il disegno di legge proposto dal precedente Governo. Sarebbe stato perciò anomalo (e irrispettoso degli elettori a cui abbiamo presentato un preciso programma) se la coalizione di centrosinistra, una volta diventata maggioranza, non si fosse fatta carico di una scelta coerente con quella posizione.
Se c'è una cambiale che viene onorata è quella assunta con i cittadini in coerenza con il programma dell'Unione. Non è una cambiale sottobanco, non è un prezzo pagato alla magistratura, è l'impegno assunto davanti agli elettori.
Ma c'è un'altra ragione. Il Governo non ha proposto l'abrogazione perché, come ha detto il ministro della giustizia, riteniamo che non ci siano dei cambiamenti profondi da apportare all'ordinamento giuridico preesistente rispetto alla riforma Castelli.
Un cambiamento che riguarda le materie affrontate dai tre decreti in questione concernenti la formazione e la professionalità dei magistrati, la distinzione di funzioni tra pubblico ministero e giudice, l'esigenza di una tipizzazione dell'illecito disciplinare e le maggiori garanzie per il cittadino circa il fatto che di fronte agli illeciti dei magistrati ci sia giustizia, un sistema e un'organizzazione delle procure della Repubblica che - pur senza avere la rigida gerarchizzazione del sistema previsto dalla riforma - non comporti tuttavia un ritorno alla situazione preesistente, perché la diffusività della funzione del giudice non può essere riproposta negli stessi termini per quanto riguarda la funzione della pubblica accusa.
Tutte queste ragioni hanno indotto a proporre non già l'abrogazione, bensì la sospensione dell'efficacia di questi provvedimenti proprio per consentire al Parlamento, non di lasciare che nulla sia fatto, ma di intervenire nel periodo di tempo richiesto dal Governo - fino al luglio del prossimo anno - per introdurre una nuova normativa per ciascuno di questi punti.
Il ministro Mastella, intervenendo al Senato, ha manifestato del resto l'intenzione non di proporre una controriforma, ma di ricalibrare alcuni meccanismi, le previsioni normative imprecise, contraddittorie o pericolose per l'autonomia della magistratura e per l'efficienza della giurisdizione.
E l'atteggiamento del Governo e della maggioranza al Senato ha dimostrato che non c'era voglia di operare con una visione antagonistica, con uno sforzo pregiudiziale a tutti costi.
Ne è prova il fatto che oggi discutiamo di un testo che l'opposizione ha concorso in modo decisivo a modificare, come ha sottolineato il senatore D'Onofrio.
Un testo che è nato dall'incontro, dalla convergenza che si è stabilita al Senato tra maggioranza e opposizione (altro che dettaturaPag. 141da parte dell'associazione nazionale magistrati!), trovando sintesi e punti di equilibrio da una larghissima maggioranza ritenuti accettabili. Al punto che il senatore D'Onofrio ha sottolineato in dichiarazione di voto che il voto finale del suo gruppo è «contrario per ragioni formali e procedurali, ma è un voto politicamente favorevole», anche perché - sostiene D'Onofrio - non è più il voto per una sospensione geralizzata.
Lo stesso Castelli si è detto rammaricato di non poter votare sì a questo provvedimento. E si è parlato addirittura di «vittoria del Parlamento». Che «può consentirci» - ha detto D'Onofrio - «di passare da quella contrapposizione violenta che dal 1993 in poi ha caratterizzato i rapporti tra magistratura e potere politico» ad un'altra fase.
Per non parlare del senatore Caruso - che ha proposto l'emendamento che ha sostituito integralmente l'articolo 2 - che ha rivendicato «l'articolo 1 è mio, è nostro, è del gruppo di Alleanza Nazionale e dell'opposizione di quest'Aula».
Insomma: altro che dettatura da parte dei magistrati! Dove si poteva trovare l'accordo lo si è trovato. E allora vi chiedo: cos'è successo, al Senato vi siete sbagliati?
Perché più che sulla sospensione del decreto legislativo n. 160 del 2006 è sulle modifiche che abbiamo condiviso al Senato che si sono appuntate le vostre critiche. E allora qual è l'obiettivo delle vostre critiche? È l'intesa che è avvenuta al Senato?
Quel che più colpisce infatti è il ribaltamento delle posizioni assunte al Senato. Un ribaltamento che spiega l'enfasi eccessiva posta sulla questione relativa all'interpretazione che viene data al codice da applicare in caso di impugnazione, presso le sezioni unite civili della Corte di cassazione, delle decisioni della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.
Anche perché, come ha chiarito il rappresentante del Governo, non c'è nessuno sgorbio processuale, nessuna anomalia e la discrasia eventuale non ricade né in danno dell'incolpato, né in danno del diritto dello Stato.
Un ribaltamento che spiega le illazioni circa la fretta di approvare il disegno di legge; il sospetto che ci sia dietro qualche «operazione di bassa cucina»; che, in altre parole, dietro tanta fretta ci sia qualche magistrato che teme per la sua carriera.
È appena il caso di sottolineare che le leggi ad personam hanno rappresentato una delle più umilianti stagioni politiche del Parlamento italiano. E occuparsi di tanti senza nome e senza tutela e non dei pochi, rappresenta la vera discontinuità rispetto al quinquennio trascorso.
Intesa c'è stata dove poteva esserci, poiché, tra noi e il centrodestra, sulla tematica dell'ordinamento giudiziario e sul punto specifico del passaggio dalla requirente alla giudicante, rimane una vasta area di dissenso.
Restano opinioni alternative, una visione dei problemi della giustizia che ci allontana dalle posizioni espresse dal centrodestra e che allontana il centrodestra dalle nostre posizioni.
Nel corso della discussione al Senato come alla Camera non sono cambiate l'impostazione generale e le premesse culturali proprie del centrodestra e del centrosinistra in ordine ai problemi della giustizia.
E proprio per questo, tenendo conto delle differenze, è ancor più rilevante il lavoro compiuto al Senato. Specie se si considera, tanto per fare chiarezza, che abbiamo conservato il principio della distinzione delle funzioni affermato dalla riforma Castelli, consentendo al Parlamento di intervenire sugli aspetti connessi nel periodo di tempo richiesto dal Governo che ha già anticipato, attraverso il sottosegretario Scotti, le linee generali del provvedimento, posto che in tale campo è più difficile superare le divergenze.
Anche su questo terreno si potrebbe trovare, nei tempi opportuni, un punto di incontro, perché non ci sono crociati da arruolare e crociate da mettere in moto rispetto ad altri poteri.Pag. 142
Tutti siamo d'accordo che l'ordinamento vada riformato. Non è un caso che l'ordinamento Grandi ha continuato ad applicarsi nonostante le previsioni costituzionali e che i tentativi di una riforma organica sono rimasti senza esito per cinquant'anni.
Il ministro Castelli vi ha posto mano a colpi di spada e per certi aspetti ha inciso su quella autonomia e quell'indipendenza volute dalla Costituzione. Aspetti che, come ricorderete, hanno determinato i messaggi correttivi del Presidente della Repubblica. La riforma Castelli invece di riportare serenità e ordine ha accentuato conflitti e lacerazioni.
Per queste ragioni sosteniamo lo sforzo del Governo e per queste ragioni raccomando l'approvazione del provvedimento.