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Sul cinquantennale dell'insurrezione d'Ungheria (ore 11,15).
PRESIDENTE
(Si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea ed i membri del Governo). Celebriamo in questo Parlamento - in questa Camera dei deputati -, cinquant'anni dalla rivolta di Budapest, dalla rivolta del popolo ungherese e dalla drammatica repressione operata dall'Unione sovietica. Celebriamo un capitolo di una storia grande e terribile, un accadimento importante e tragico nella storia dell'Europa contemporanea.
In quest'aula siedono rappresentanti del popolo italiano: ci dividono analisi e giudizi politici sul Novecento, sui protagonisti politici e statuali della seconda guerra mondiale e della lotta contro il nazifascismo; ma tutto questo non deve impedirci di condividere la verità storica di quegli avvenimenti. Faremmo così un atto importante anche per noi e per le istituzioni della Repubblica. È importante perché una storia condivisa consolida le istituzioni democratiche; il ricavare dalla lezione della storia contemporanea principi comuni che vengono a costituire un patrimonio che irrobustisce la vitalità della Costituzione e della Repubblica, è un atto politicamente significativo. E tutto questo rende significativo l'omaggio alla memoria delle vittime della repressione.Pag. 15
Quando mi è toccato di depositare i fiori donatimi dal Presidente dell'assemblea del Parlamento ungherese sulla tomba di Imre Nagy, avevo la consapevolezza di poterlo fare a nome dell'intera Camera dei deputati. Gli insorti di Budapest e dell'Ungheria del 1956 sono stati vittime di una repressione ingiustificabile. In primo luogo, il nostro è dunque il ricordo di una immane sofferenza: le uccisioni sulle strade, i processi politici, le impiccagioni, ma anche la diaspora che ha colpito il popolo ungherese.
L'Istituto italiano di cultura a Budapest ha organizzato una mostra fotografica: spero di poterla portare qui alla Camera dei deputati, perché in molti possano vedere quei volti, di operai, di intellettuali, di donne e di giovani; i volti sui quali si legge ora la speranza, ora il dolore, ora l'indignazione per il tradimento subito. Si legge il dramma di un popolo.
Gli insorti del 1956 in Ungheria non sono solo vittime della storia, ma sono anche portatori di futuro della storia, quale che fosse la natura politica di quella rivolta. Si è detto - è una formula che è ritornata spesso -, che quella rivolta è stata per i liberali una rivolta socialista e per i socialisti una rivolta liberale. Io condivido la definizione di Imre Nagy: è stata una rivoluzione nazionale e democratica. Penso che potremmo accordarci su questa definizione.
In realtà, la definizione non è di Imre Nagy, ma di Geza Losoncsy e non lo cito per qualche inutile pignoleria storica, ma per ricordare uno dei tanti leader di quegli insorti, simbolo, attraverso la sua storia personale, di una tragedia che ci aiuta a ricordare che tempi terribili erano questi. Losoncsy entra in carcere sotto il regime reazionario succeduto al crollo della Repubblica del Consiglio; comunista combattente contro il nazismo, entra in carcere sotto il comunista Rakosi, vive l'esperienza del circolo Petofi, che alimenta le speranze che poi saranno raccolte dall'insurrezione; guida gli insorti, torna in carcere dopo la caduta legittima del Governo di Nagy e viene ucciso mentre, con un ultimo tentativo di sciopero della fame, manifesta la sua determinazione per le libertà e per la democrazia.
Non è stata quella solo la storia eccezionale di una persona o dei leader politici e intellettuali, è stata la storia che ha coinvolto un popolo; quel popolo che è diventato protagonista, nel 1956, di una rivoluzione nazionale e democratica a cui noi qui porgiamo l'omaggio più impegnato: una rivoluzione democratica e nazionale che così entra a costruire la storia dell'Europa contemporanea.
La repressione e l'occupazione da parte dell'Unione Sovietica, ordita con l'inganno nei confronti del legittimo rappresentante del popolo ungherese, si è macchiata di una grave ed indelebile colpa storica: ha distrutto la speranza di una riforma democratica, ha calpestato i diritti di un popolo ed i diritti della persona.
Ora, c'è una lezione che io credo valga per tutti, per oggi e per domani: il potere non può essere difeso, per nessuna ragione, senza e contro il consenso popolare. Nessuna civiltà, nessun ordinamento politico può essere esportato con le armi senza tradirne le sue stesse ragioni.
Noi qui celebriamo l'insurrezione del 1956 in Ungheria e credo che possiamo dire, a nome di tutti, che, così, stiamo facendo il migliore omaggio agli insorti e la più dura condanna ai repressori: i vinti di ieri sono i vincitori di oggi.
I vinti di ieri ed i vincitori di oggi sono entrati nella storia dell'Europa, e noi dovremmo prendere l'impegno, per esserne in qualche misura degni, di costruire un'Europa in cui viva il protagonismo dei popoli, la partecipazione e la democrazia, affinché sia sempre viva la lezione degli insorti di Budapest. Grazie (Applausi - Commenti del deputato Rampelli).
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. Il suo sarebbe stato un gestoPag. 16politicamente significativo se avesse detto che avevano ragione Craxi e Nenni! Fu Craxi che chiese la riabilitazione di Imre Nagy (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia) ed ancora oggi non siete capaci di dire chiaramente...
PRESIDENTE. Mi scusi, ma il suo intervento non è sull'ordine dei lavori...!
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. ... chi aveva ragione e chi aveva torto a quel tempo!
PRESIDENTE. Vorrei che avesse la cortesia di adeguarsi ad una seduta come questa! Non è un intervento sull'ordine dei lavori!
Ha chiesto di parlare il deputato Ranieri. Vorrei che tutta l'Assemblea dimostrasse un atteggiamento consono ad una celebrazione, grazie!
Prego, deputato Ranieri, ha facoltà di parlare (Commenti dei deputati del gruppo Forza Italia).
SERGIO PIZZOLANTE. L'avete ammazzato voi Nagy!
IGNAZIO LA RUSSA. Troppo tardiva questa indignazione! Troppo tardi!
PRESIDENTE. Il deputato Ranieri ha facoltà di parlare.
UMBERTO RANIERI. Signor Presidente, rendiamo oggi l'omaggio della Camera dei deputati ai caduti per la libertà del 1956 ungherese, ai combattenti e alle vittime di un moto generoso, condannato all'isolamento e alla sconfitta in un mondo percorso dalle tensioni e dalle logiche della guerra fredda.
La sollevazione ungherese contro lo stalinismo fu il segno più grande della resistenza opposta alla pressione del totalitarismo dalla sfera individuale, anche religiosa, e dall'autonomismo della società civile. Si trattò di una resistenza repressa brutalmente in quell'ottobre di cinquant'anni fa, ma che sarebbe riemersa, nel corso dei decenni successivi nella vita dei paesi sottoposti ai regimi dispotici del socialismo reale.
La rivoluzione ungherese rappresenterà il tentativo generoso di scardinare un ordine imposto dall'esterno per riappropriarsi della libertà di scegliere il proprio ordinamento e le proprie istituzioni. Nell'epoca della guerra fredda, per quella rivoluzione non c'era futuro: fu una rivoluzione calunniata e venne bollata come controrivoluzionaria, per più di tre decenni, dal regime imposto a Budapest dai sovietici.
Avrà ragione, invece, Hannah Arendt, quando, riferendosi ai rivoltosi, scriverà che il loro movente era la libertà. La nascita dei consigli, scriverà sempre la Arendt, fu il segno di un insorgere della democrazia contro la dittatura, della libertà contro la tirannide.
Non a caso, il primo obiettivo della sanguinosa repressione furono i consigli. In realtà, quando l'insurrezione, in pochi giorni, giungerà alla richiesta del ritiro delle truppe russe, alla fine del partito unico, e al ripristino del pluralismo, scatterà la repressione spietata e saranno i carri armati sovietici a soffocare, su richiesta di Kàdàr, la rivoluzione popolare.
Quando il tentativo di riconquistare la libertà viene sconfitto, tutto sembra ripiombare nella cupa realtà di un regime dittatoriale, ma il dissenso che si è manifestato in modo così palese nel 1956 non scomparirà, ma tornerà a riproporsi nel 1968 a Praga e, poi, negli anni successivi nei cantieri di Danzica.
L'utopia di un socialismo riconciliato con la democrazia e con la nazione continuerà a tormentare i regimi dispotici fino al 1989, anno in cui crollerà il muro di Berlino, e saranno vere le parole di Francois Furet: « Il comunismo, che non ha mai concepito altro tribunale che la storia, si ritroverà condannato dalla storia alla scomparsa. Cadrà perché non è riuscito ad essere parte della storia democratica».
Non tutti compresero l'autentica natura e la portata della rivoluzione ungherese nel momento in cui veniva sopraffatta dalla violenza dell'intervento sovietico. ChiPag. 17governava l'Italia in quegli anni lo comprese e lo comprese una parte, solo una parte, della sinistra italiana, i socialisti. Un'altra parte, che pure aveva contribuito alla costruzione dello Stato democratico e repubblicano, si rifiutò di intendere, non fu in grado, non volle e giunse, in ritardo, alla revisione delle proprie posizioni e alla comprensione piena del valore di quello storico avvenimento. Pagò, col tempo, un prezzo enorme alla sua cecità.
La riflessione sulla rivoluzione ungherese di cinquant'anni fa ci porta a confermare due impegni solenni: i principi di libertà e giustizia sociale sono inscindibili l'uno dall'altro e l'Europa, l'Europa unita in un contesto democratico e pacifico, costituisce il nostro orizzonte ideale e, per esso, c'è da battersi senza risparmio di energia.
PRESIDENTE. Deputato Ranieri, la prego di concludere.
UMBERTO RANIERI. Questo ritengo sia il modo migliore per rendere onore a un movimento di popolo che anelava all'Europa e che vanamente, cinquant'anni or sono, le chiese aiuto; un movimento che costituisce, in ogni caso, un momento precursore della storica riunificazione del nostro continente, avvenuto cinquant'anni dopo, nello spazio unitario e di civiltà dell'Unione europea (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, l'invasione dell'Ungheria del 1956 non è solo una questione storica, ma rimane tutt'oggi, soprattutto in Italia, una questione politica. Per questo, signor Presidente, mi sarei aspettato che in questo Parlamento venisse riservata maggiore solennità e più tempo per questa, che non è una commemorazione, ma che deve essere una discussione politica (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
È un fatto che gli Accordi di Yalta e l'equilibrio del terrore segnarono il contesto in cui quella splendida rivoluzione democratica e popolare fu stroncata nel sangue, ma è un fatto, soprattutto, che vi furono responsabilità e colpe politiche terribili da parte di chi, nell'Occidente libero, scelse di stare dalla parte della repressione: le colpe e le responsabilità verso gli ungheresi e verso i democratici di tutto il mondo, che gli ungheresi difendevano e che, per questo, venivano denigrati e vilipesi; le colpe e le responsabilità della politica e dei politici per il ruolo che essi, responsabilmente, scelsero di giocare in quella vicenda, a favore o contro i carri armati sovietici, a favore o contro la libertà, a favore o contro la democrazia.
Quello era il momento di scegliere - ha perfettamente ragione Stefania Craxi! -, quello era il momento di scegliere tra chi nella sinistra comunista voleva il comunismo riformato di Nagy e chi invece voleva la repressione sovietica totalitaria e sanguinaria. Scegliere dopo il 1989 non era scegliere, dopo il 1989 era solo una presa d'atto della sconfitta tragica di una storia e di un'utopia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
Io credo, se non si vuole essere stancamente e inutilmente rituali anche in questa sede, che occorra avere il coraggio di guardare a quegli eventi con lo stesso senso della memoria che, giustamente, si esige venga riservato a tutti gli eventi del secolo passato che hanno insanguinato l'Europa; con lo stesso senso della memoria, per essere chiari, con cui guardiamo al nazismo e al fascismo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia). Con un senso della memoria che non può essere solo ricordo, ma che deve essere giudizio, che non guarda solo ai fatti, ma alle ragioni che li hanno prodotti, che valuta gli eventi come frutto delle responsabilità degli uomini e non come prodotto impersonale della storia, che fa carico di una ulteriore e particolare responsabilità politica ai figli e ai discendenti di quelle storie e famiglie politiche che si macchiarono di colpe terribili contro la vita e la libertà.Pag. 18
In Italia, e in gran parte dell'Occidente europeo, continuiamo a guardare al comunismo - perché, Presidente Bertinotti, è di repressione comunista che si trattò - come ad una pagina più o meno gloriosa per alcuni o più o meno vergognosa per altri, ma ormai passata, che sarebbe inutile interrogare e da cui sarebbe inutile essere interrogati: questo è un errore capitale!
So bene, signor Presidente, che rispetto ai fatti di Ungheria nel nostro paese vi è un comprensibile imbarazzo dovuto al fatto che, a parte alcune esemplari testimonianze individuali, la classe dirigente del PCI, compreso chi ora è stato scelto ai vertici della Repubblica, scelse di sostenere l'invasione sovietica e di etichettare i rivoltosi, i democratici popolari di cui ci ha parlato il Presidente Bertinotti, che cadevano sotto il fuoco sovietico come lacchè della rivoluzione borghese.
Ma la questione rimane viva, anzi, ancor più straziante proprio per il fatto che una parte della classe dirigente italiana ritiene di doverla tuttora rimuovere, magari sperando che venga consegnata all'oblio della storia senza un vero, e non reticente, confronto pubblico.
Il presidente dei Democratici di sinistra, Vicepresidente del Consiglio e ministro degli esteri della Repubblica italiana, partendo per l'Ungheria due giorni fa, diceva (cito da la Repubblica): «Vado a Budapest per ricordare i tragici fatti del 1956 e non per chiedere scusa, visto che allora ero bambino». Questo paese non sarà più diviso, ma più unito, più coeso e più pacificato, e meno ostaggio della dialettica delle propagande contrapposte, solo nel momento in cui questa rimozione sarà fatta cessare, solo nel momento in cui un rappresentante della storia comunista, che ancora oggi sentiamo orgogliosamente rivendicata, non importa se una persona di 30, 50 o 80 anni, avrà il coraggio e la dignità di andare a Budapest...
PRESIDENTE. La prego di concludere!
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ... - concludo, signor Presidente - non per fare autocritica o per riconsiderare le scelte allora compiute dai singoli e dal partito, ma, come giustamente ancora si aspettano...
PRESIDENTE. La prego di concludere!
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ... - e concludo - quelli che allora erano studenti e scamparono al massacro, per chiedere scusa e per pronunciare parole analoghe a quelle, certo dolorose ma necessarie, che il presidente Fini pronunciò a Gerusalemme sulle leggi razziali...
PRESIDENTE. La prego!
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ... imposte dal fascismo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni)
PRESIDENTE. Insisto: non è una perversione del Presidente quella di richiamare ai tempi regolamentari, ma lo richiede anche la solennità del momento. Mi dispiace di questo, mi dispiace perché, come loro sanno, ad esempio, il minuto di silenzio dura solo un minuto, ma è l'intensità che dà la solennità. Dunque, prego tutti di mantenere il rispetto dei tempi senza bisogno di essere richiamati. Vi ringrazio.
Ha chiesto di parlare il deputato La Russa. Ne ha facoltà.
IGNAZIO LA RUSSA. Presidente, voglio comunque ringraziarla per avere ricordato il cinquantesimo anniversario di quelli che passano con il nome di «fatti di Ungheria», ma che per noi sono qualcosa di più.
Si è trattato di un momento che, per quelli della mia generazione che militavano a destra (anche se all'epoca avevo solo nove anni vissi quei momenti molto intensamente), ha segnato la via alla stregua di un faro, che ci ha aiutato nel nostro impegno politico negli anni a venire, nella consapevolezza che, anche nelle condizioni più difficili, un popolo (uomini, donne, giovani, lavoratori artigiani, operai) può ribellarsi in difesa della libertà e combatterePag. 19una battaglia che ai più sembrava impossibile e che molti, volutamente, ignorarono.
È stata anche una data importante perché segnò la fine di un'illusione, quella secondo cui il comunismo, il marxismo realizzato, reale potesse essere un paradiso: si frantuma, in quell'evento, il mito delle buone coscienze, di un'utopia che si pensava realizzabile.
Un minuto vorrei dedicarlo ai tanti comunisti che in quel giorno soffrirono la fine di una loro visione della vita, che compresero come non era possibile l'edificazione di un paradiso se erano proprio gli operai, gli artigiani e non i borghesi, i preti e i reazionari - così come voleva la vulgata imperante a sinistra - a combattere un regime che, per loro, doveva costituire una svolta, un nuovo inizio.
Oggi, nutro molto rispetto per la sua visita, per le parole del Presidente Napolitano, per la visita del ministro degli esteri e, ancora con maggiore rispetto - se possibile -, accolgo le parole di Pietro Ingrao il quale affermò che si trattò «dell'errore più grande della mia vita» e che ricorda come, andato a trovare Togliatti a casa ed espressogli subito «il mio sgomento per l'invasione dell'Ungheria, Togliatti mi rispose asciuttamente: oggi io, invece, ho bevuto un bicchiere di vino in più». Su L'Unità, Togliatti, scrisse: «si tratta di una controrivoluzione bianca. Militanti non lasciatevi sorprendere né ingannare e sopraffare dall'ondata reazionaria, anticomunista e antisocialista. Siamo di fronte ad una sommossa armata manovrata dai reazionari e dai fascisti». Oggi, grazie a Dio, c'è una diversa consapevolezza e tutta l'Assemblea ha ascoltato in piedi le sue parole, per le quali la ringrazio.
Bisogna avere rispetto per la storia di ciascuno. Certo, se le sue parole, anziché da lei, nel ricordare il comunista che si convinse, fossero state pronunziate da Pansa, probabilmente, avrebbero fatto riferimento ad un revisionismo e qualcuno gli avrebbe anche impedito di parlare. La sua storia le ha consentito di dire ciò che ha detto con l'applauso di tutto il Parlamento: questa è una differenza che a me piace molto sottolineare.
Sarebbe tuttavia troppo comodo, signor Presidente, rifugiarsi nell'accusa di ciò che fecero i comunisti e di ciò che il Partito comunista impose laddove affermava che quando si spara i comunisti stanno da una parte: dalla parte sbagliata!
Accanto all'errore dei comunisti ci fu quello dell'Occidente. Francia e Inghilterra ne approfittarono per fare il loro intervento a Suez, l'America fece finta di non guardare, Yalta imperava e solo migliaia e migliaia di italiani, fra i quali ricordo Mirko Tremaglia, che andò in Ungheria a portare la man forte di tanti giovani che volevano partecipare a quella battaglia di libertà, sfilarono in Italia per testimoniare che c'era qualcuno che non si arrendeva di fronte a quello che chiamavamo il brutale «orso rosso».
Se così è stato, dico che la coerenza di quella battaglia oggi ci fa onore. Nella nostra valutazione di quegli anni abbiamo la soddisfazione - se ce la volete consentire - di non dovere, in questo caso, avere alcun ripensamento. Le sue parole, signor Presidente, sono oggi esattamente le mie.
In questo caso, i vinti di ieri sono i vincitori di oggi. È un segnale importante che mi ripaga di molte e tante amarezze (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e Misto-Movimento per l'Autonomia).
PRESIDENTE. La ringrazio, anche per il rispetto dei tempi. Ha chiesto di parlare il deputato Giordano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, stiamo ricordando una tragedia, una repressione sanguinosa e terribile che ha sbarrato la strada ad una possibile innovazione democratica. Nessun giustificazionismo storicista può cancellare questa cruda realtà. Quando lavoratrici e lavoratori scendono in piazza e danno vita ad un movimento di massa per chiedere riforme, giustizia sociale e spazi di democrazia, una forza che si richiama agli ideali del socialismo non può non starePag. 20con loro. Lo comprese bene, allora, un sindacalista come Giuseppe Di Vittorio ma sbagliarono, comunisti italiani compresi, tutti coloro che approvarono o, semplicemente, giustificarono quella repressione. Essa ci parla della costruzione di un modello di socialismo che nel suo inveramento statuale si separa e si contrappone ai soggetti che sono stati protagonisti della rivoluzione, soggetti resi muti e deprivati di ogni strumento di partecipazione. Il fine non giustifica mai i mezzi, signor Presidente; anzi, quei mezzi interrogano i fini e ne rovesciano il senso. Quella forma di socialismo reale ci parla di una occupazione del potere che si separa dalla trasformazione sociale e diventa dominio burocratico. Ci siamo costituiti e ci nominiamo comunisti a partire dalla critica di quelle forme di oppressione prive di vitalità democratica con cui si è caratterizzata l'evoluzione nei paesi dell'est. La centralità esponenziale del primato del politico, il partito, la macchina dello Stato, fino al partito-Stato, sono lo snodo teorico e pratico di una parabola di una parte della storia del Novecento: la conquista dell'uguaglianza si è infranta ed è rovinosamente crollata in una drammatica sconfitta, nel suo rovescio. Oggi, sappiamo che il termine «uguaglianza», pur messo a dura prova dalle profonde trasformazioni sociali, mantiene intatta la sua attualità ma non può essere mai disgiunto dalla parola «libertà». Uguaglianza e libertà sono per noi una coppa indissolubile. Libertà intesa come superamento di ogni forma di alienazione, di ogni modalità di asservimento psicofisico delle lavoratrici e dei lavoratori e come pieno dispiegamento e crescita della soggettività; libertà intesa come critica di ogni logica produttivistica e di potenza, come valorizzazione pratica delle differenze. Dopo Budapest, Praga. È paradossale che le celebrazioni di un grande evento di popolo avvengano oggi, a Budapest, senza popolo e con le violenze che sono oggi per le strade della stessa città. La nostra scelta culturale e politica per la non violenza critica esattamente il concentrato autoritario e violento delle forme prevaricanti del potere, cerca di disvelare le forme del dominio e dello sfruttamento attuale della natura dei corpi e delle menti. La tragedia di Budapest e, dopo, quella di Praga, oggi, parlano di noi, signor Presidente, di una idea della trasformazione che è non solo inconciliabile ma nemica di quella come di ogni altra forma di autoritarismo, di dittatura e di repressione. Non si può mai esportare con le armi un modello di società, non c'è mai alternativa alla partecipazione e alla democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, anch'io vorrei associarmi all'apprezzamento dei colleghi per le parole da lei pronunciate e per la celebrazione che si svolge in questa Assemblea. Anch'io intendo sottolineare, inoltre, come si sia trattato di una grande tragedia del Novecento, una di quelle tragedie che, comunque, dobbiamo ricordarlo, ha avuto, come fenomeno scatenante e responsabile, l'ideologia comunista e ciò che è stata la sua traduzione negli ordinamenti statuali in Europa e in tante parti del mondo.
Nel pieno della guerra fredda e della divisione in due blocchi, l'aspirazione alla libertà e ad ordinamenti più rispettosi della dignità dell'uomo e dei diritti dell'uomo prevalse sulle convenzioni internazionali imposte dalla storia e dagli sconvolgimenti mondiali del mondo diviso in due blocchi. Si trattò di un tentativo di liberalizzazione che coinvolgeva vasti strati popolari, come è stato giustamente ricordato, e rappresentanze della stessa classe dirigente ungherese (l'eroe di quella fase fu Imre Nagy), ispirati tutti da valori che prevalsero in quel momento su considerazioni individualistiche legate ai gravi rischi personali che una simile iniziativa allora comportava. Era una grande sfida, la sfida ad un gigante politico-ideologico come l'Unione Sovietica, alla logica della sovranità limitata e dei paesi satellite. Proprio nello stesso anno in cui KruscëvPag. 21denunciava i crimini staliniani al XX congresso del Partito comunista sovietico, quindi in quella fase che sembrava prefigurare un nuovo corso, si consumò questa sanguinosa repressione che rimane una macchia sulla figura del leader politico Nikita Kruscëv e sul suo periodo di potere in Unione Sovietica.
In Italia i partiti di centro, i partiti all'epoca al Governo, difesero gli insorti, difesero quella rivoluzione. Anche nel Partito comunista italiano vi furono rilevanti eccezioni: voglio ricordare Eugenio Reale e Antonio Giolitti, che furono espulsi dal partito, e le critiche dello stesso Di Vittorio. Non per niente proprio quest'anno il Presidente della Repubblica, appena eletto, è andato a rendere omaggio ad Antonio Giolitti. Ricordo anche un altro italiano, Indro Montanelli, che con l'unico film di cui è stato regista documentò i diversi punti di vista con cui venne valutata quella drammatica vicenda in quel periodo.
Oltre dieci anni dopo, la cosiddetta primavera di Praga è un altro episodio che segna in modo rilevante il tentativo delle popolazioni sottomesse di ribellarsi al sistema oppressivo. Questi due episodi - con l'avvento, poi, del Papa polacco e delle sue lotte a sostegno degli aneliti di libertà nella sua patria d'origine ed in tutto l'est europeo - hanno preparato il terreno ai fenomeni di fine anni Ottanta che hanno modificato il mondo e fatto cadere la divisione in due blocchi ed il comunismo europeo.
Allora si sono aperte nuove speranze, nuovi orizzonti. Purtroppo oggi, a distanza di diversi anni, abbiamo ancora di fronte a noi la sfida dell'oppressione e dell'intolleranza in tanta parte del mondo, la volontà da parte di nuovi regimi di minacciare la sicurezza ed i diritti dei popoli e delle etnie. A volte, addirittura, si evidenzia la volontà di cancellare i popoli e le etnie. La stessa Ungheria vive in queste ore momenti drammatici. Credo che rispetto a tali temi la lezione di Budapest del 1956 costituisca ancora per tutti noi un grande richiamo per affrontare le nuove sfide (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, i fatti della rivolta di Ungheria avvenivano quando in Russia governava Kruscëv. In quel periodo vi fu l'illusione nei paesi satellite di poter arrivare ad avere più libertà. In Ungheria vi fu una rivolta antisovietica ad opera di intellettuali, di studenti e di operai. Si formò un Governo di unità nazionale che poi venne sopraffatto dai carri armati sovietici chiamati dai comunisti di quel paese per ripristinare l'ordine prestabilito.
Furono 2.800 i morti assassinati, impiccati e fucilati dai comunisti: donne, uomini, bambini e studenti.
L'Europa in quel periodo - lo ricordava anche il collega La Russa - non mosse un dito. Solo la Chiesa, con Papa Pio XII, prese una posizione chiara. Ricordiamo tutti che le parrocchie del nostro paese e anche quelle austriache accolsero chi fuggiva dal terrore comunista in Ungheria.
A distanza di cinquant'anni, oggi in Ungheria sono al potere gli ex comunisti, che hanno ammesso di aver mentito sullo stato dell'economia per vincere le elezioni in primavera. Ieri il premier ungherese ha annunciato di aver dato alla polizia il permesso di sparare con proiettili di gomma e lacrimogeni sui manifestanti che criticano il Governo ungherese.
La connivenza del Partito comunista sulla repressione in Ungheria è verità storica. La storiografia più recente tende a ribaltare la visione tradizionale imposta dagli storici di centrosinistra, secondo cui Togliatti fu costretto ad adeguarsi alle decisioni di Kruscëv. Si afferma invece, sempre più netto, un ruolo decisivo di Togliatti e di Kruscëv, nonché di Tito su Kruscëv. Esistono telegrammi di Togliatti che esercitano pressioni sul partito comunista russo. Togliatti fu anche complice dell'esecuzione di Nagy. Quando, due anniPag. 22dopo, Kàdàr, che era diventato Presidente dell'Ungheria, lo avvertì della condanna, Togliatti si limitò a chiedere che l'annuncio fosse dato dopo le elezioni in Italia, e gli fu ubbidito.
L'Unità, oggi giornale dei DS, al tempo titolava a favore della repressione sovietica: stava dalla parte dei carnefici contro chi, comunque, manifestava per avere più libertà nel proprio paese. L'Unità bollò la rivolta ungherese come terrore nazista. Tutti ricordano - lo ha rammentato prima anche il collega di Alleanza Nazionale - che Togliatti fece un brindisi, quando arrivarono i carri armati: «vorrà dire che berrò un bicchiere di vino in più» disse.
Tutti noi, oggi, dobbiamo ricordare che molte sezioni di partiti presenti anche in Parlamento sono ancora intitolate al nome di Togliatti. Ed oggi i leader della sinistra del nostro paese riescono a contraddirsi, affermando che ci sono stati errori ma ha ancora un senso dirsi comunisti.
Noi pensiamo che l'ideologia marxista e comunista fu la più nefasta che la storia della nostra Europa ricordi. Ispirata dall'egualitarismo dogmatico teorizzato dalla rivoluzione francese, fu il pretesto per seminare morte nel mondo. Milioni furono i morti trucidati e assassinati dai comunisti in nome del comunismo: in Europa, in Asia, in Africa, in Sudamerica, in tutto il mondo. Ancora oggi, vi sono partiti e movimenti politici che vergognosamente si ispirano e si richiamano a quegli ideali antidemocratici di ingiustizia, di sopraffazione e di morte, anche a casa nostra.
L'unica cosa che possiamo dire oggi a Rifondazione comunista, ai Comunisti italiani, ai DS che si richiamano ancora, in molti casi, a quegli ideali è: vergognatevi, vergognatevi della vostra storia (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia - Commenti dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)!
FRANCESCO GIORDANO. Vergognati tu!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.
DONATELLA DURANTI. Vergognati (Commenti dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)!
MAURIZIO FUGATTI. Nazista sarai tu!
PRESIDENTE. Il deputato Leoluca Orlando ha la parola, e vi prego di consentirgli di svolgere il suo intervento. Prego, deputato Orlando.
LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, lei ha espresso sentimenti e valori al più alto livello possibile e con doveroso rispetto per gli insorti di Budapest. Lei, signor Presidente, ha usato parole che si iscrivono alla storia e al futuro, e tentano di liberare il ricordo da vergogne di ieri e polemiche provinciali di oggi.
Cinquant'anni fa il popolo ungherese ha tentato di rivendicare il diritto di un popolo di costruire la propria strada verso la propria democrazia. La feroce repressione peserà nella storia su quanti la ordinarono con spietatezza. A noi tocca condannare quella repressione ed esprimere il rifiuto del sequestro dei sogni, delle speranze, dei diritti democratici dei popoli.
In Europa, a Budapest e Praga, come in America, in Cile e in Salvador, in Asia, in Vietnam o in Corea, come in Africa, tanti, troppi popoli sono stati sequestrati. Era la logica spietata della divisione in due blocchi. Yalta ha pesato sulle vite, sul diritto al sorriso, sulle speranze dei popoli sino al novembre 1989.
Il peso di Yalta è stato ulteriormente aggravato dalla ferocia dei dirigenti sovietici e dei loro esecutori materiali, ma quel peso, oggi, è dovere di tutti non più riprodurre. È il rifiuto di quel peso e di quel sequestro di popolo il processo d'integrazione europea. È il rifiuto di quel peso e di quel sequestro di popolo la valorizzazione delle istituzioni internazionali dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. È il rifiuto di quel peso e di quel sequestro di popolo il rifiuto della tentazione di perfezione, di quella tentazione di imporre con la forza, come perfetto, il proprio modello di democrazia, come perfettoPag. 23il proprio modello di economia, come perfetto il proprio modello di fede religiosa. È il rifiuto di quel peso e di quel sequestro di popolo l'attivazione di processi di cooperazione allo sviluppo, che aiutino i popoli ad essere liberi e che non vengano utilizzati per mortificare ulteriormente la libertà dei popoli stessi.
Da non comunista mi sento accanto e rispetto chi è stato comunista ma comprende, coglie e denuncia gli errori e le violenze consumate in nome di un'identità, poi degenerata in odiosa e violenta appartenenza. Con la caduta del muro di Berlino può finire il tempo della contrapposizione tra libertà ed uguaglianza, di una libertà a scapito dell'uguaglianza o di un'uguaglianza a scapito della libertà.
Oggi, dopo la contrapposizione in nome di una libertà che mortifica l'uguaglianza o di un'uguaglianza che mortifica la libertà, è giunto il tempo di liberare il valore della fraternità e della politica, di rendere la fraternità azione concreta e non cifra culturale di favola per bambini. È compito della politica, è compito di tutti noi dimostrare che è possibile e doveroso condannare i crimini dell'appartenenza, che è possibile e doveroso rispettare l'identità, che è possibile e doveroso coniugare libertà, uguaglianza e fraternità. Così, solo così, renderemo omaggio agli insorti di Budapest (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Villetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, è molto importante che il Parlamento italiano si ritrovi unito nelle sue parole. Duemila fucilati, ventimila imprigionati, quindicimila condannati ai lavori forzati, diecimila condannati al confino, dodicimila deportati in Unione sovietica. Imre Nagy, Pal Maleter vennero processati e giustizia, in gran segreto, dal Governo di Kàdàr.
Ho apprezzato molto le parole del Presidente della Repubblica, Napolitano, il quale ha riconosciuto apertamente che, allora, avevano avuto ragione Antonio Giolitti, Pietro Nenni e gran parte del PSI. Ricordo che, prima di Pietro Nenni, aveva avuto ragione Giuseppe Saragat.
Gran parte dell'intellettualità liberale s'impegnò con molta forza, per scuotere l'opinione pubblica del paese. Coloro che oggi vanno ricordati, Arrigo Benedetti, Walter Binni, Norberto Bobbio, Federico Chabod, Vittorio De Caprariis, Ennio Flaiano, Enzo Forcella, Jemolo, La Malfa, Montale, Olivetti, Pampaloni, Pannunzio, Romeo, Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, cioè la migliore tradizione del liberalismo riformatore e del socialismo democratico, si mobilitarono tutti per scuotere l'opinione pubblica.
Lombardi, in un intervento pronunciato il 26 ottobre 1956 alla Camera, disse in maniera chiara che non vi era socialismo senza democrazia e libertà. Gaetano Arfè, in una recente intervista per un opuscolo, ha detto che fu l'inizio della fine dello stalinismo. È questa la riflessione che svolgiamo in Assemblea, una riflessione pacata, serena.
Guardi - mi rivolgo all'onorevole La Russa - non si possono fare i conti della storia soltanto a metà. In un articolo su Il Giornale, quindi non su l'Unità, Massimo Teodori ricostruisce le vicende di quell'epoca e ricorda che vi fu un deputato del Movimento sociale, Filippo Anfuso, che gridò: «Viva l'Ungheria libera!».
Qual è il commento di Teodori che ricorda Il Mondo di Pannunzio? Il commento la dovrebbe far riflettere, onorevole La Russa, e anche lei dovrebbe fare i conti con la storia. Gli ungheresi trasecolano al postumo omaggio di chi assolse alle funzioni di ambasciatore fascista sotto il giogo del nazismo. Tutti dobbiamo fare i conti con la storia, con il comunismo, ma anche con il fascismo, con il nazismo e con i regimi di carattere totalitario che si sono avvicendati in Ungheria.
Oggi, però - e lo dico con un sentimento di profondo apprezzamento - abbiamo superato queste frontiere e, quindi, non dobbiamo farne un elemento di speculazione politica. Sono stato ai funerali di Imre Nagy il 16 giugno 1989, ero in una delegazione del PSI guidata da BettinoPag. 24Craxi. Lo voglio dire a Stefania, perché ero testimone e c'era anche Achille Occhetto. In quell'occasione ci fu un colloquio tra Achille Occhetto e Bettino Craxi, che ebbe parole di apprezzamento per il riconoscimento, critico e autocritico, da parte di Occhetto su quella tragica storia. In quel funerale c'era tanto dolore, signor Presidente, ma anche tanta speranza.
Dobbiamo raccogliere e sostenere quella speranza dell'Ungheria, scossa ancora oggi da fatti di sangue, perché possa finalmente avere una democrazia ed una libertà. Quei giovani caduti, i cui nomi furono ripetuti in quel funerale, nei cimiteri e nei vari riti che si alternarono (cristiani, ebraici e civili), non sono morti invano, ma per creare un'Ungheria libera e democratica. Oggi è molto importante che, da destra fino a sinistra, ci sia un Parlamento italiano unito intorno ai valori della libertà. Non accadeva nel 1956, accade oggi e, signor Presidente, questo è un fatto di grande importanza per l'Italia e per il nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno, L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Sgobio. Ne ha facoltà.
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, lascerei alla storia il giudizio sui drammatici fatti di Ungheria. Non li richiamerei in un'aula della politica come questa, dove ricordi anche recenti e posizioni che ancora vivono all'interno di noi stessi ci portano, purtroppo, a parlare in maniera astorica e impropria di quegli avvenimenti.
ELISABETTA GARDINI. La storia dell'ANPI!
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. I drammatici fatti di Ungheria, i morti che vi furono in quella occasione, tutti i morti di Ungheria, ci vedono profondamente uniti e solidali con loro, addolorati per quello che è avvenuto. Presidente, esprimere qui un giudizio sulla storia, senza tener conto che il 1956 fu l'anno del XX Congresso, dell'aggressione colonialista e imperialista a Suez, non è un guardare con occhi limpidi alla storia. Discuterla in un'aula della politica come questa, fa sì che ci tocca sentire, dagli eredi di coloro i quali il sangue l'hanno versato, qui, nel nostro paese...
PAOLA GOISIS. Foibe! Foibe!
IGNAZIO LA RUSSA. Certo che l'hanno versato!
PRESIDENTE. Colleghi, vi prego...
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. ...qui, nel nostro paese, lezioni di democrazia, di libertà e di umanità.
GUGLIELMO ROSITANI. Populista!
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. Ci porta a sentire da quanti affondano le loro radici in quell'ideale che va sotto il nome di fascismo che ha visto morire...
GUGLIELMO ROSITANI. Comunista!
ENZO RAISI. Sei vecchio!
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. ...ha visto morire in questo paese migliaia e migliaia dei difensori della libertà (Commenti del deputato Gardini)...
ENZO RAISI. Presidente!
PRESIDENTE. No, l'interruzione non è ammissibile per nessuno! Qui precedentemente sono stati usati, come avete sentito, giudizi pesantissimi nei confronti di qualcuno; è stato consentito di esprimerli: adesso, per favore, ascoltiamo chi la pensa diversamente! Prego...
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. Dicevo che ci tocca di sentire da coloro i quali affondano le loro radici in quell'idea che è passata sotto il nome di fascismo che ha causato in questo paese, nel nostro paese,Pag. 25migliaia e migliaia di morti (Commenti dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale) tra i quali...
ELISABETTA GARDINI. Pensa al triangolo rosso (Commenti dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)!
ENZO RAISI. Vecchio!
Una voce: Buffone!
PRESIDENTE. Non costringetemi a sospendere la seduta. Finora vi è sempre stato un comportamento corretto. Vi ricordo che in ogni caso stiamo facendo una celebrazione. Vorrei che non arrivassimo ad una conclusione che farebbe disonore a quest'aula e francamente, visto i toni che sono stati usati, chiedo a tutti una autoregolamentazione del proprio comportamento.
IGNAZIO LA RUSSA. Vai avanti, Presidente; non tornare indietro!
PRESIDENTE. In caso contrario, sospenderei la seduta. Prego, collega Sgobio (Scambio di apostrofi tra il deputato Boato e il deputato Barani)... Vogliono prendere posto e sedersi? O devo richiamarli? Vorrei evitare richiami in questa seduta. Per favore, rivolgo un invito a tutti in nome dei temi di cui stiamo parlando. Prego, lei prosegua nel suo intervento; prego tutti di non interrompere: ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione!
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. Non vorrei che i vinti fossero esattamente coloro i quali hanno in spregio la democrazia ed impediscono un dibattito che finora è stato tranquillo e democratico. Dicevo: quell'idea che ha provocato tantissimi morti nel nostro paese, migliaia e migliaia di persone che volevano riconquistare la libertà e che sono state trucidate, sui monti e sulle piazze, tra le quali si annoverano Matteotti e Gramsci, del quale ricorrerà, esattamente l'anno prossimo, il settantesimo anniversario della morte, del suo assassinio e chiederei alla Presidenza della Camera per il 2007 di ricordarlo a memoria di tutti martiri del fascismo che il nostro paese ha dovuto subire...
GUGLIELMO ROSITANI. È fuori tema!
ENZO RAISI. Mettici anche Che Guevara!
Una voce: Basta!
PRESIDENTE. La prego di proseguire; continuo ad invitare sommessamente ad evitare una gazzarra in un momento come questo. Prego, vada avanti.
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. Presidente, non ho molto da aggiungere. Il giudizio definitivo sia la storia a darlo, non i complici, non coloro i quali si rifanno ad idee che hanno funestato l'Italia ed il mondo intero perché, se dovessimo fare distinzioni (Commenti del deputato Raisi)...
PRESIDENTE. Vi prego...
FABIO RAMPELLI. Parla dell'Ungheria!
PRESIDENTE. Colleghi, voi però non potete interrompere, non avete il diritto di intervenire se non chiedete la parola!
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. ...su comunismo o su altro, sarebbero altre le sedi, non certamente la Camera dei deputati e dei rappresentanti del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, i Verdi sono pienamente solidali con questa positiva iniziativa che lei ha assunto. Purtroppo, mi sembra che qualcuno non abbia capito tale iniziativa e abbia anche tentato di strumentalizzarla. Tuttavia, il gruppo dei Verdi si associa totalmente allePag. 26sue parole, in nome dei valori di libertà e democrazia e del giusto diritto a ribellarsi contro il totalitarismo. Così è stato contro il comunismo staliniano e totalitario in Ungheria, ma poi anche in Cecoslovacchia e in Polonia, così com'era stato contro il nazismo e il fascismo in Italia e in Europa e contro i regimi golpisti e militari in America latina e quelli coloniali nel terzo mondo. Ringrazio il mio gruppo per avermi dato l'opportunità di dare personalmente questa testimonianza, se non altro per ragioni di età.
Ho infatti memoria vivissima degli avvenimenti ungheresi del 1956. Allora avevo 12 anni ed ero figlio di genitori antifascisti, appartenuti a Giustizia e Libertà ed al Partito d'Azione. Nel 1956 mio padre militava nel PSDI, proprio perché contrario sia al fascismo che al comunismo sovietico, cui purtroppo fino al 1956 anche il PSI di allora rimase subalterno. Proprio da lì nacque la rottura tra Nenni e Togliatti, giustamente rievocata in questi giorni. Ricordo le drammatiche ed imponenti radiocronache di quella rivolta popolare; ricordo un libro pubblicato con la trascrizione dei documenti, degli eventi ungheresi, dei drammatici ed inutili appelli radiofonici alla libertà ed alla solidarietà; una solidarietà che non venne a causa degli accordi di Yalta, della cinica spartizione dell'Europa e della conseguente guerra fredda. Ricordo, da ragazzo dodicenne, l'incontro con i profughi ungheresi accolti in inverno nelle colonie estive di Iesolo, vicino alla mia Venezia, dove andai a conoscerli.
Non ho più dimenticato quegli eventi e non abbiamo mai dimenticato la straordinaria figura di Imre Nagy e di tutte le altre vittime della rivolta ungherese. Per questo non abbiamo avuto dubbi nel 1968 a solidarizzare non solo con il Vietnam contro i bombardamenti americani, ma anche con Dubcek e con la Primavera di Praga contro l'invasione sovietica. Ricordo, in proposito, la figura di Jan Palach, che sacrificò la propria vita nel gennaio 1969. Per questo non abbiamo avuto dubbi negli anni Ottanta a sostenere non solo quanti lottavano contro i regimi fascisti e golpisti in America latina, ma anche il movimento di Solidarnosc in Polonia e a solidarizzare con tutti coloro che lottarono per la libertà e la giustizia nell'Europa centro-orientale, ben prima della caduta del muro di Berlino del 1989.
Nel 1990, con grande emozione, visitai da parlamentare dei Verdi, allora senatore della Repubblica, Budapest e il suo rinato Parlamento democratico. Un ciclo storico si era chiuso e quella rinata ed ancor oggi difficile democrazia, quella riconquistata libertà, erano anche frutto della rivoluzione democratica e nazionale del 1956, a cui a cinquant'anni di distanza rendiamo omaggio, non solo per celebrare gli eventi e le vittime ungheresi, ma anche per testimoniare quegli stessi valori di giustizia e libertà in Europa e in tutto il mondo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Satta. Ne ha facoltà.
ANTONIO SATTA. Signor Presidente, chi come me è cattolico e democratico ed ispira la sua azione ai valori del cristianesimo, al pari dei miei colleghi, ricorda i tragici fatti di Ungheria con grande angoscia e sgomento, ma è comunque confortato dal fatto che nel 1956 è avvenuta una svolta storica. Tale svolta ha segnato la fine di un comunismo che imponeva la sua ideologia con la forza ed esercitava il suo potere con un sistema dittatoriale che affogava nel sangue ogni anelito di libertà.
Il martirio del 1956 in Ungheria segna un momento indimenticabile della storia d'Europa. Come bene ha detto lei, signor Presidente, i vinti di allora sono i vincitori di oggi. La libertà e la democrazia sono valori inalienabili dell'uomo, che vanno fortificati ogni giorno con il nostro modo di essere nella vita quotidiana e nell'impegno che ciascuno di noi è chiamato a svolgere a seconda del proprio ruolo nella società.
La condanna da parte nostra non è tardiva, ma è stata puntuale e costante nel tempo con una forte difesa e con un convinto sostegno degli insorti. Non ciPag. 27addentriamo oggi nelle diatribe che segnarono l'interno dei partiti comunisti presenti in Europa; abbiamo solo registrato prese di distanza di alcuni e dichiarazioni tiepide da parte di altri.
Presidente, un fatto deve essere chiaro: in questa situazione c'è chi ha torto e chi ha ragione, non esiste certamente una posizione di mezzo. I sistemi dittatoriali, di sinistra e di destra, vanno fermamente condannati senza «se» e senza «ma», per questo ho apprezzato il suo intervento, segno della sua intelligenza politica, che non indulge a violenze di alcun genere. La libertà, Presidente, è invincibile e l'umanità è nata per essere libera, come proclama la solenne Dichiarazione della libertà del 1956 in Ungheria. Lo stesso Pontefice, nel messaggio inviato ieri al Presidente dell'Ungheria, ha ricordato l'impegno forte e fermo di Pio XII che ha sostenuto apertamente gli insorti ungheresi.
Oggi l'Ungheria è un pezzo importante della nostra Europa, quel sangue versato ha aperto una vera speranza per milioni di cittadini, così come la caduta del muro di Berlino ha portato a termine la maturazione delle coscienze libere dell'Europa dell'est.
Presidente, il valore della libertà è sempre stato per noi cattolici democratici il vero scudo del nostro impegno. Liberi e forti, come diceva don Sturzo, è sempre stato il nostro modo di essere. Liberi per essere forti e forti per essere liberi, perché, come bene ha detto il Presidente della Commissione europea Barroso, essere liberi è una fortuna e mantenere la libertà è un fatto grande responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-UDEUR).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, se tutte le storie, come ha detto l'onorevole La Russa, sono rispettabili, la storia del socialismo democratico non è solo rispettabile, è limpida ed apprezzabile, al contrario di altre. Io sono qui per far sentire, alla pari dell'onorevole Villetti, il valore di questa storia, anche perché la tragedia, come certo lei sa, è la fonte della politica autonomista di Pietro Nenni e della maggioranza del PSI, che dopo aver criticato i risultati del XX Congresso del PCUS (che si svolse nel gennaio di quell'anno e che innestò la denuncia dei crimini di Stalin nell'ambito della cosiddetta teoria del culto della personalità) si spinse a manifestare una posizione politica a favore degli insorti ungheresi, mentre Togliatti ed il PCI furono purtroppo dalla parte degli aggressori. Con Togliatti furono anche Ingrao e Napolitano, che hanno riconosciuto il grave errore.
Tuttavia, se la revisione politica è apprezzabile, signor Presidente e colleghi deputati, la coerenza di avere avuto ragione prima credo lo sia ben di più. Da un certo punto di vista, non mi stupisce che in questa Aula riecheggino antiche teorie di giustificazionismo storico da parte del Partito dei Comunisti Italiani, che ci fa intravedere la presenza di una forza politica che non condanna l'aggressione sanguinosa all'Ungheria, di una componente del Governo dell'Italia di oggi e questo credo sia politicamente discutibile se non inaccettabile.
Perché non riconoscere il furore dell'ideologia che si scatenò contro gli eretici e contro gli intellettuali alla Giolitti nel 1956, contro i socialisti nenniani e autonomisti che si staccarono allora dal comunismo e dal PCI rompendo il patto di unità d'azione e di consultazione col congresso di Venezia del gennaio 1957?
Perché non ricordare questo furore ideologico contro i revisionisti di allora ed i revisionisti di poi, contro coloro i quali fecero dell'occasione dell'Ungheria la fonte di una politica protesa al dialogo con i socialdemocratici, per l'unità socialista, e con i cattolici, per la costituzione dei primi Governi di centrosinistra?
Bisogna ricordare che abbiamo dovuto aspettare il 1969 e l'invasione della Cecoslovacchia, per udire i primi, timidi elementi di critica contro il regime sovietico, pronunciati dal Partito Comunista, segretario del quale era, allora, Longo. Lo stesso 1989 ha segnato il superamentoPag. 28dell'identità comunista, da parte del PCI, soltanto dopo che il comunismo era uscito di scena per conto suo.
Penso che avere discusso anche oggi, in quest'aula, di problemi di storia ed anche di identità - e la ringrazio di questo, signor Presidente -, con il contributo di formazioni politiche che, generalmente, o non hanno un passato, perché sono nate ieri o l'altro ieri, o hanno un passato da farsi perdonare, da dimenticare, sia stato un atto di estrema correttezza. La riflessione sul passato della politica italiana è un'occasione per riflettere anche sull'identità delle varie formazioni politiche. Ed io ritengo che, se davvero - è solo una speranza - vuole portare nel proprio cuore e nella propria mente la tradizione del socialismo democratico...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MAURO DEL BUE. ...del socialismo liberale, la sinistra italiana debba cominciare ad intestare le proprie sezioni, i propri simboli, i propri circoli a Imre Nagy, a Pietro Nenni, a Giuseppe Saragat, e non...
PRESIDENTE. Deve concludere.
MAURO DEL BUE. ...agli eredi di quella tradizione che, in buona sostanza, essa stessa ha condannato anche quest'oggi (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Reina, al quale ricordo che dispone di tre minuti. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, anch'io esprimo, sia pure nel brevissimo tempo che mi è stato concesso, il mio compiacimento per la commemorazione che ella ha fatto stamani, in quest'aula, dei fatti di Budapest del 1956.
Tuttavia, nel furore con il quale alcuni degli intervenuti hanno ritenuto, ancora una volta, di far prevalere talune tesi contro altre tesi, ognuno di noi ha dimenticato che Budapest è, innanzitutto, figlia di Yalta, di Atene, di Malta, delle circostanze, cioè, nelle quali i grandi paesi che si apprestavano a vincere il tragico conflitto mondiale avevano pensato di suddividere il mondo in due grandi blocchi. Non possiamo dimenticare che l'Occidente, nel suo complesso, volse lo sguardo dall'altra parte e che soltanto poche persone, pochi illuminati riuscirono ad esprimere fino in fondo un sentimento di avversione per ciò che stava accadendo.
Ma c'è una circostanza che voglio sottolineare: a Praga, così come a Budapest, così come in Polonia, prima ancora di tutte le altre classi sociali, in piazza sono scesi gli studenti: per loro, era molto più importante ristabilire una condizione di libertà rispetto a qualunque altra rivendicazione, anche materiale. Allora, se è vero che i vinti di ieri sono i vincitori di oggi, dobbiamo anche ammettere, carissimi colleghi, caro Presidente, che deve prevalere, dentro di noi, la consapevolezza che gli interessi dell'animo umano prevalgono rispetto ai beni materiali che la persona può ricercare.
Questo è il più grande, decoroso insegnamento storico che dobbiamo preservare dentro noi stessi rispetto all'immane tragedia. Non è stato, infatti, un dramma di poco conto: più di 20 mila persone sono state trucidate o, comunque, costrette ad un silenzio barbaro, e molte di più sono seguite poi, nelle vicende di Praga e, successivamente ancora, in quelle della Polonia. È bene, quindi, che ricordiamo tutto questo con un silenzio attento, ma con diversa consapevolezza rispetto anche ai fatti che ancora oggi - e concludo, signor Presidente - sono frutto di quegli schemi, di cui non ci si riesce a liberare, che a Yalta vennero adottati...
PRESIDENTE. La prego, per favore...
GIUSEPPE MARIA REINA. Grazie, signor Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia).
PRESIDENTE. Grazie a lei.
Ha chiesto di parlare il ministro Santagata. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. E la cravatta, ministro?
GIULIO SANTAGATA, Ministro per l'attuazione del programma di Governo. Ho il busto e non posso portarla; chiedo scusa per il mio abbigliamento, ma non sono in condizione di vestirmi in maniera diversa.
Intervengo brevemente, signor Presidente, solo per dire che il Governo condivide ed apprezza l'iniziativa che lei ha assunto di ricordare le vittime della repressione di Ungheria. Condivide anche la lettura e la valutazione di quel tragico episodio. L'Ungheria rappresentò davvero la rivolta di un popolo e di un'intera nazione. Condivido particolarmente l'invito a leggere quei fatti con la lente del futuro, non per tacere le responsabilità, ma per rendere un vero omaggio a chi allora fu sconfitto, ma cui la storia ha reso giustamente la vittoria.
È per i valori della libertà e della democrazia che gli ungheresi si sono battuti nel 1956. È su quegli stessi valori che si fondano la nostra Repubblica e la nostra Europa. Attorno a quei valori dobbiamo rafforzare le motivazioni di un paese più coeso, in un'Europa di nuovo unita. Credo che questo sia il messaggio che dobbiamo consegnare oggi ai molti giovani che ci chiedono di sapere e di capire e ritengo che, nonostante alcune asprezze, questo dibattito e la sua iniziativa non siano stati inutili, da questo punto di vista (Applausi).
PRESIDENTE. Alcuni deputati hanno chiesto di parlare a titolo personale. Do la parola alla deputata Gardini, per un minuto...
GIORGIO LA MALFA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, non comprendo per quale ragione il dibattito venga organizzato in questa maniera: intervengono prima i gruppi, poi il Governo, poi i deputati a titolo personale. Il Governo dovrebbe intervenire alla fine o all'inizio. Non capisco per quale ragione il Parlamento debba stabilire un'assurda regola in base alla quale alcuni deputati - io intervengo a titolo di rappresentante del partito repubblicano - debbano parlare dopo che il Governo ha svolto le sue considerazioni. Questa è una regola completamente priva di senso e che, secondo me, limita la democrazia di queste dichiarazioni di voto.
PRESIDENTE. Poiché non si tratta di dichiarazioni di voto, non c'è alcuna ragione per la quale il Governo debba parlare prima, dopo o durante. Viene scelto un ordine che mi pare razionale, essendo gli altri interventi a titolo personale.
Ribadisco: può ora intervenire la deputata Gardini, a titolo personale, per un minuto.
ELISABETTA GARDINI. Signor Presidente, vorrei precisare che ciò che divide il Parlamento non è il giudizio diverso sulla lotta al nazi-comunismo. Su ciò, fortunatamente, siamo tutti d'accordo. Credo che ciò che divide il Parlamento è il giudizio sulla lotta all'anticomunismo e, al riguardo, vi sono ancora moltissimi passi da fare, tant'è che sui nostri libri di storia pochissime righe si dedicano al patto Molotov-Von Ribbentrop, che ha visto, per quasi due anni, nazismo e comunismo alleati, e sappiamo come è iniziata la storia, proprio dall'invasione della Polonia.
Avrei voluto sentire parlare in quest'aula anche del ruolo attivo che hanno avuto i partiti occidentali comunisti. La lettera di Togliatti forse dovrebbe essere esposta nella mostra fotografica in arrivo dall'Ungheria, per capire bene i fatti.
Vorrei ricordare che un testimone dell'epoca come Zagrebelsky ci dice che il comportamento dei partiti comunisti occidentali segnò una generazione, tanto che questa è chiamata la generazione del '56, perché speravano fino a quel momento di avere un aiuto dai fratelli comunisti...
PRESIDENTE. Mi scusi, deve concludere.
Pag. 30ELISABETTA GARDINI. ...e poi invece si resero conto che i partiti comunisti occidentali erano complici della loro tragedia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, a titolo personale, il deputato Pedrizzi. Ne ha facoltà.
RICCARDO PEDRIZZI. La ringrazio, signor Presidente, non solamente per il minuto che mi ha accordato, ma anche per le parole che lei ha pronunciato in quest'aula a nome di tutti noi. Tuttavia, mi lasci dire che il ricordo di questa ricorrenza e di questo anniversario meritava di più e di meglio, quanto meno più tempo in quest'aula perché potesse diventare per le giovani generazioni un insegnamento vero ed un ammonimento.
Avremmo voluto indicare chi sbagliò allora per cecità ideologica (i comunisti) e chi sbagliò per viltà (l'Occidente e l'Europa). Oggi sappiamo che solo la consapevolezza di quell'eredità che ci ha lasciato la rivolta d'Ungheria ci consente di riconoscere chi furono e chi sono i nemici della libertà e permette di fronteggiarli. Abbiamo visto che, ancora oggi e in quest'aula, ci sono dei nemici della libertà.
PRESIDENTE. La prego, deve concludere.
RICCARDO PEDRIZZI. Allora stemmo dalla parte del popolo di Ungheria; anche oggi siamo dalla parte dei popoli e dalla parte della libertà.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare, a titolo personale, il deputato La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, il problema politico posto dal giusto ricordo dei fatti di Ungheria del 1956 a cui, ovviamente, ho solo il tempo di accennare - e che questo dibattito non ha toccato -, non è tanto l'autocritica per l'errore commesso, come lei ha fatto con parole che, se mi consente la franchezza, mi sono apparse molto circospette, o come hanno fatto l'onorevole Fassino e lo stesso Presidente della Repubblica. Il problema non è ammettere o meno l'errore di un tempo, ma sviluppare una riflessione, che qui possiamo solo iniziare, su quali conseguenze abbia avuto per la storia d'Italia e per gli sviluppi della vita e della lotta politica in Italia il fatto che un grande partito e molti uomini politici importanti abbiano commesso quell'errore.
L'eredità di quell'errore e non l'errore commesso: è questo il tema su cui interrogo la sinistra italiana. Nel 1957 essa votò contro il Mercato comune europeo, nel 1978 votò contro il Sistema monetario europeo, nel 1989 votò contro i missili europei, trent'anni sono seguiti a quell'errore (Applausi del deputato Landolfi)!
Ecco la questione che lei non mi consente di sviluppare...
PRESIDENTE. È il regolamento che non glielo consente. Comunque lei ha molti altri luoghi per sviluppare la questione.
Ha chiesto di parlare, a titolo personale, il deputato Spini. Ne ha facoltà.
VALDO SPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho chiesto di parlare perché sono in quest'aula ininterrottamente dal 1979 e vorrei esprimerle il consenso per aver voluto una celebrazione, che è altra cosa dal dibattito, che ha tutte le sue modalità per svilupparsi.
Ella, signor Presidente, ha avuto parole inequivocabili e credo che, da questo punto di vista, ella abbiamo anche voluto dare un contributo al rafforzamento in Italia di una democrazia compiuta. Mi dispiace che non tutti gli intervenuti abbiano capito questo fatto.
Ma oltre che essere in questo Parlamento dal 1979, nel 1962 ho preso la tessera della federazione giovanile socialistaPag. 31ed ho militato allora con Nenni e Lombardi nella componente autonomista. Dunque, credo che sia giusto che quest'Assemblea sottolinei particolarmente che non era facile nella sinistra italiana, per un partito che era nelle giunte di sinistra, nei sindacati di sinistra e in tutte le organizzazioni, assumere la posizione che Nenni allora prese, in quanto essa fu una posizione coerente con l'analisi che aveva fatto del XX Congresso del PCUS e con l'analisi dello stalinismo.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, se democrazia compiuta vogliamo e ha da essere, questo grande filone della storia politica vi è a pieno diritto e con tutta la sua dignità (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, titolo personale il deputato Tondo. Ne ha facoltà.
RENZO TONDO. Signor Presidente, sarò breve, perché desidero solamente che in quest'aula e in questo momento suoni alto e forte il nome ed il ricordo del socialista Loris Fortuna. Si è trattato di un uomo libero, che ha dato un grande contributo in questo Parlamento. È stato un uomo coraggioso, poiché nel 1956, vale a dire cinquant'anni fa, non esitò ad abbandonare il Partito comunista italiano (di cui fino ad allora aveva fatto parte) per condannare, con il suo abbandono e con il suo ingresso nel Partito socialista italiano (un partito di uomini liberi), un intervento armato, autoritario ed assassino.
Loris Fortuna, signor Presidente, ha dimostrato il coraggio che tanti, all'epoca, non hanno avuto, ed ha avuto, altresì, la forza morale che troppi, ancora oggi, non possiedono.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, a titolo personale, per un minuto, il deputato Garagnani. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, dal momento che sono stati citati diversi protagonisti della rivoluzione ungherese, intervengo semplicemente per ricordare in questa sede, oltre a Pio XII - il quale, come rammentato da alcuni colleghi, impegnò la Chiesa cattolica a difesa degli ideali della rivoluzione d'Ungheria -, quella figura luminosa, che è stata trascurata e vilipesa, rappresentata dal cardinale Mindszenty. Primate d'Ungheria, condannato all'ergastolo e torturato, egli è stato artefice degli ideali che hanno poi coinvolto tutto il popolo ungherese.
Mi si consenta in una sede come questa, avendolo conosciuto personalmente a metà degli anni Settanta, di testimoniare la fede indiscussa e l'aspirazione agli ideali di libertà che tale intrepido cardinale significò per il suo popolo. Una celebrazione dei fatti d'Ungheria, infatti, non può prescindere dal ruolo svolto da questa figura...
PRESIDENTE. La prego di concludere...
FABIO GARAGNANI. Basti ricordare le foto degli insorti armati che sono a fianco del cardinale liberato dalla prigione!
PRESIDENTE. Grazie...
FABIO GARAGNANI. Desidero, pertanto, dare atto a questa figura luminosa del suo impegno a favore degli ideali di libertà e di giustizia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, a titolo personale, per un minuto, il deputato Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ella, nel suo intervento, ha fatto riferimento a quanto sia sbagliato esportare con le armi un modello politico; tuttavia, è chiaro che esiste una differenza sostanziale tra chi con le armi (e, certamente, senza grande piacere nell'utilizzarle) esporta libertà e democrazia contro l'oppressione ed il terrore e chi con le armi, invece, diffonde il terrore ed un'utopia che porta nel mondo fame, morte e povertà.
Nell'ambito di questo dibattito, mi premeva ricordare a chi, di fronte a fatti delPag. 32genere, sostiene che ad esprimere il giudizio finale sarà la storia, come il collega Sgobio, che sui fatti di Ungheria - così come, per altro verso, sul nazifascismo - la storia ha già emesso la propria condanna inappellabile.
PRESIDENTE. È così concluso il dibattito sul cinquantennale dell'insurrezione in Ungheria.