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Si riprende la discussione (ore 15,45).
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1808)
PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare il deputato Fluvi. Ne ha facoltà.
ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il decreto-legge al nostro esame assume una grande importanza, in quanto si propone (come è già stato detto più volte questa mattina) di regolare il rapporto fra una serie di contribuenti, imprese, liberi professionisti e l'erario, a seguito della nota sentenza della Corte di giustizia europea in materia di detraibilità dell'IVA sulle autovetture. Userò anch'io, per convenzione, solo il termine «autovetture», pur nella consapevolezza che la norma riguarda, più in generale, i mezzi di trasporto.
Il relatore, questa mattina, ha illustrato ampiamente le ragioni che hanno portato il Governo ad approvare il decreto-legge in questione, che oggi siamo chiamati a convertire: il percorso del ricorso presentato dall'impresa italiana, la sentenza di primo grado e quella della Corte di giustizia europea.
Come è stato ricordato, il decreto-legge interviene a valle di un pronunciamento della Corte di giustizia, che ha contestato l'applicazione di una norma italiana in contrasto con la VI direttiva IVA. Va da sé che tutti gli Stati membri sono tenuti a conformarsi alle disposizioni della VI direttiva IVA.
La normativa prevede che, nel caso in cui una esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita conformemente alle procedure indicate all'articolo 17, n. 7, della direttiva medesima (cioè le procedure della consultazione), le autorità tributarie dei singoli Stati non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroghi dal principio del diritto alla detrazione dell'imposta. Per effetto della sentenza, l'IVA sostenuta per le spese di acquisto, funzionamento e manutenzione delle autovetture è detraibile.
Si apre quindi, come i colleghi possono ben immaginare, uno scenario impegnativo sia sotto il profilo qualitativo sia sotto quello quantitativo. Proprio per questo motivo, ritengo vada apprezzata innanzitutto la tempestività con la quale il Governo ha inteso regolare la materia.
Il decreto-legge riconosce i crediti dei contribuenti, fissa un termine per la presentazione delle domande (tra l'altro, posticipato al Senato rispetto al testo originario approvato dal Governo, anche suPag. 39richiesta dell'opposizione), vieta le compensazioni fra il credito pregresso e i debiti d'imposta correnti.
Sostanzialmente, si afferma un quadro di certezze per i diversi soggetti in gioco: le imprese, i liberi professionisti e l'amministrazione finanziaria. Il Governo risolve un problema di non poco conto.
Dico ciò perché non c'è dubbio che le pronunce interpretative di norme vigenti da parte della Corte di giustizia hanno efficacia erga omnes e sono, quindi, idonee a far sorgere diritti e, comunque, posizioni giuridiche qualificate. Ma è altrettanto vero che dette sentenze non attribuiscono ai contribuenti l'automatica possibilità di ritenersi titolari di un diritto certo e immediatamente esigibile, bensì legittimano gli stessi ad azionare la pretesa davanti al giudice italiano, che dovrà nel caso specifico anche procedere all'accertamento della situazione sostanziale.
Ecco, quindi, che l'aver disposto una procedura ricognitiva del diritto ha permesso e permetterà a numerosissimi contribuenti interessati di ottenere il rimborso senza essere costretti ad attivare una procedura giudiziaria.
Quindi, altro che complicazioni normative! Con il decreto-legge in discussione si è prodotto un giusto riconoscimento e non un restringimento degli interessi e dei diritti dei contribuenti, i quali potranno ottenere, in via amministrativa, senza dispendio di energie, di tempo e di denaro, il rimborso IVA dovuto.
Onorevoli colleghi, sono convinto che, se pure sospinto anche dalla necessità di evitare effetti dirompenti sulla finanza pubblica, l'intervento del Governo vada apprezzato, proprio perché definisce i rapporti sorti antecedentemente la sentenza e ne fissa i tempi e le procedure per il riconoscimento dei crediti.
Come potete immaginare, l'influenza potenziale di questa sentenza sulla finanza pubblica sarebbe stata di oltre un punto di PIL se non fosse intervenuto questo decreto-legge teso ad individuare un modo per risolvere, prima di tutto, i problemi del passato e, poi, naturalmente, gettare le basi per affrontare il tema del futuro.
Dal momento della sua emanazione ad oggi, autorevoli esponenti dell'opposizione hanno denunciato la carenza di copertura finanziaria del provvedimento. È stato sostenuto e contestato che il Governo avrebbe dovuto individuare immediatamente una fonte di copertura dell'onere finanziario, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione. Credo, invece, che Governo e Parlamento stiano compiendo un ottimo lavoro anche relativamente alla corretta postazione in bilancio dell'onere finanziario scaturito dalla sentenza della Corte di giustizia delle comunità europee.
Ipotesi come quelle che stiamo discutendo sono previste e disciplinate dalla legge di contabilità. La legge prevede infatti che, nel caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali suscettibili di determinare maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, il ministro dell'economia e delle finanze riferisce al Parlamento con una propria relazione ed assume le conseguenti iniziative legislative.
La ratio di tale norma di contabilità è evidente: Governo e Parlamento non possono rincorrere la giurisprudenza ogni volta che questa emana pronunce interpretative su norme generatrici di oneri a carico del bilancio dello Stato.
Allora, bene ha fatto il Governo a seguire la procedura indicata nel decreto, bene ha fatto a comunicare al Parlamento gli effetti finanziari della sentenza della Corte nelle sedi proprie, vale a dire nella nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria che quest'Assemblea ha approvato all'inizio di ottobre.
Con la nota di aggiornamento si è informato il Parlamento dell'impatto finanziario della vicenda di cui ci stiamo occupando; impatto stimato in 3,7 miliardi di euro per il 2006 e, in ragioni di competenza economica, in maggiori oneri stimati in 13,4 miliardi di euro per il pagamento degli arretrati relativi agli anni 2003-2005.
Tali ingenti oneri hanno effetti - e non potrebbe essere altrimenti - sull'indebitamento netto, che in tal modo si colloca alPag. 404,8 per cento del PIL, con un aggravio rispetto alla stima precedente di oltre un punto di prodotto interno lordo.
Gli oneri conseguenti ai rimborsi relativi agli anni 2003-2005 sono stati ricompresi tra le regolazioni debitorie, che pertanto troveranno adeguata collocazione nella Tabella A della legge finanziaria. Invece, gli oneri conseguenti al nuovo regime di detraibilità piena dell'IVA trovano copertura per l'anno 2006 nel miglioramento dei saldi a legislazione vigente mentre, a partire dal 2007, gli oneri sono considerati nel decreto fiscale che abbiamo appena approvato.
Questi sono i fatti, rispetto ai quali non comprendo l'atteggiamento dell'opposizione, le cui critiche appaiono francamente strumentali. E, se questi sono i fatti, diventa ancora più incomprensibile l'atteggiamento ostruzionistico che vi apprestate ad assumere nell'iter di conversione del presente decreto.
Il Governo ha agito doverosamente per uniformarsi pienamente a quanto previsto dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, ha agito tempestivamente per non lasciare spazi di incertezza interpretativa e per mettersi in condizione di governare le conseguenze derivanti dall'impatto della sentenza sui conti della finanza pubblica, che non sono certo poca cosa. Mi sembra, in sostanza, che il Governo abbia agito in nome del buonsenso e della prudente ed oculata amministrazione della cosa pubblica.
Fatte queste considerazioni, tuttavia, mi corre anche l'obbligo di entrare un po' più nel merito della sentenza della Corte europea e, leggendo il testo di tale sentenza, ho la sensazione che, dopo le modifiche introdotte nel 2001 - le detrazioni al 10 per cento -, il Governo sia stato sostanzialmente immobile. Nel mezzo - l'ho già ricordato all'inizio -, vi sono stati la contestazione dell'impresa, la sentenza del giudice tributario e poi l'appello alla Corte di giustizia e, oggi, la sentenza che conosciamo.
Non c'è dubbio, a mio avviso, che vi è stata una debolezza nell'affrontare, con provvedimenti seri ed adeguati, i problemi che questa sentenza avrebbe probabilmente posto, come di fatto sta ponendo, né è bastato portare nell'anno vigente dal 10 al 15 per cento la possibilità di detrazione. In sostanza, la sentenza dice ad ogni piè sospinto che il problema di fondo è la mancata consultazione, prevista dalla direttiva stessa, del comitato che deve autorizzare il legislatore nazionale in materia. Il fatto di non aver innovato dal punto di vista legislativo, limitandosi a ritocchi percentuali sulle detrazioni, ha creato le condizioni per l'esplosione del problema che oggi siamo chiamati ad affrontare e risolvere.
Colleghi del centrodestra, se non c'è ipocrisia anche nel vostro atteggiamento, andrebbe quanto meno riconosciuta l'esistenza di un corposo profilo di concorso di responsabilità riferibile al Governo della passata legislatura. Come si evince dalla lettura del paragrafo 66 della sentenza, la pronuncia della Corte discende dal mancato raggiungimento di un accordo fra il Governo italiano e l'apposito comitato consultivo previsto dalla direttiva comunitaria, al quale avrebbe dovuto essere comunicata l'intenzione, da parte dell'Esecutivo che era in carica a quella data, di adottare misure nazionali in deroga al regime generale delle detrazioni IVA, in linea, del resto, con quanto è avvenuto senza particolari problemi dal 1980 a pochi mesi fa.
Non so se ci sia stato un errore tecnico oppure una volontà politica; in ogni caso siamo in presenza di un evidente concorso di responsabilità su cui avete troppo disinvoltamente glissato.
Signor Presidente, il paragrafo 76 della sentenza della Corte reca, inoltre, che il Governo italiano non è riuscito a dimostrare l'affidabilità del calcolo in base al quale ha sostenuto dinanzi alla Corte che la presente sentenza rischierebbe, qualora i suoi effetti non fossero limitati nel tempo, di comportare conseguenze finanziarie rilevanti. Non voglio polemizzare né fare dietrologie; tuttavia, in questo paragrafo la Corte afferma che era pronta a limitare gli effetti temporali, ma, poiché il Governo italiano non è stato in grado diPag. 41dimostrare che le conseguenze della retroattività sarebbero state gravi, non ricorre a tale limitazione e consente, quindi, che la sentenza produca i suoi effetti anche con riferimento al passato.
Tuttavia, cari colleghi del centrodestra, il paragrafo 76 della sentenza della Corte di giustizia europea produce un danno per il contribuente italiano di circa 13,4 miliardi di euro. La Corte afferma, in sostanza, di non aver acconsentito alla richiesta di limitare gli effetti temporali perché il Governo italiano non ha prodotto informazioni tali da dimostrare la rilevanza di tali effetti. Ho detto che non intendevo fare dietrologie e non lo faccio, mi è sufficiente però evidenziare il dato di fatto; del resto, colleghi, non è la prima volta che dobbiamo rimettere a posto la finanza pubblica del nostro paese.
Anche in questo dibattito stiamo assistendo ad una situazione che rischia di apparire paradossale. Dai vostri interventi e dal dibattito svoltosi prima in Commissione e poi in aula al Senato, sembra quasi che negli ultimi cinque anni la responsabilità del Governo non sia stata vostra, ma sia ricaduta sulle spalle del centrosinistra.
I colleghi scuseranno un minimo di vena polemica, ma quando vi ergete a paladini del cosiddetto popolo delle partite IVA o di quelle microaziende, di quella miriade di piccole imprese, che, in qualche modo, sarebbero frenate dai provvedimenti di questo Governo, mi viene da chiedere: ma voi dove eravate fino ad oggi?
Avete consentito un peggioramento dello stato della finanza pubblica - basta prendere i dati che sono a disposizione di tutti -, del rapporto debito-PIL, che è cominciato a crescere dopo anni di continua discesa, del rapporto deficit-prodotto interno lordo, che ha sforato ampiamente i parametri di Maastricht, della spesa corrente, che è fuori controllo, dell'avanzo primario, che è stato pressoché azzerato. E non siete neppure riusciti, nonostante lo sfondamento della finanza pubblica, a stimolare l'economia del nostro paese, ad essere punto di riferimento autorevole per il sistema economico italiano.
Il 2005 ha segnato una crescita pari a zero; in cinque anni il prodotto interno lordo è cresciuto di poco più di due punti. Abbiamo assistito, cari colleghi, al più lungo periodo di stagnazione economica degli ultimi anni di vita della nostra Repubblica.
Le critiche ai provvedimenti del Governo, quindi, dal decreto Bersani al disegno di legge finanziaria, a quello che stiamo discutendo, appaiono, prima di tutto, fuori luogo. Tutt'al più, non fanno altro che registrare il fallimento di cinque anni del vostro Governo.
Con il decreto Bersani abbiamo cercato di dare una prima, forte spinta alle liberalizzazioni; con il disegno di legge finanziaria cercheremo di stimolare la crescita e di avviare il risanamento dei conti pubblici e di farlo con equità.
Vedete, quando criticate la nostra attenzione ai provvedimenti tesi a contrastare l'evasione fiscale, quando criticate la nostra attenzione allo stato dei conti pubblici, quando criticate la nostra attenzione verso l'equità, lo fate perché avete davanti il fallimento di cinque anni del vostro Governo e avete soprattutto ben chiara ormai - e dovrebbe esserlo - quella fotografia che dimostra come un sistema senza regole non funziona e la riprova sono i vostri cinque anni di crescita zero.
L'evasione fiscale è il maggior ostacolo alla concorrenza, è il maggiore ostacolo al rafforzamento di quel senso di appartenenza ad una comunità così prezioso quando è necessario uno sforzo collettivo per rimettere in moto il sistema economico nazionale.
Non vi rendete conto che i conti pubblici sotto controllo rappresentano la base sulla quale far poggiare una solida ripresa economica. Non vi rendete conto che il paese ha bisogno di tutte le sue forze per riprendere a crescere e a camminare verso il futuro. Per questo l'equità è così importante.
Allora, se siete così interessati a difendere il popolo delle partite IVA o quella miriade di piccole e piccolissime imprese che rappresentano l'ossatura del nostro sistema produttivo, dovete sapere che, inPag. 42questi cinque anni, non siete riusciti a far crescere il PIL di questo paese, non siete riusciti a far crescere la ricchezza di questo paese. Allora, posizioni demagogiche e strumentali lasciano il tempo che trovano.
Abbiamo avuto l'esperienza di questi cinque anni. Il paese ha bisogno di provvedimenti che spingano la crescita economica. Ci stiamo provando, dal decreto Bersani al disegno di legge finanziaria che discuteremo nei prossimi giorni. Lo stiamo facendo anche con questo provvedimento, con il quale affermiamo, prima di tutto, un quadro di certezze, certezze per l'impresa, per il libero professionista, per tutti i soggetti in gioco; ed è anche per questo che sosteniamo con convinzione questo provvedimento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Filippi. Ne ha facoltà.
ALBERTO FILIPPI. Oggi, signor Presidente, per la prima volta dopo sei mesi di Governo Prodi i contribuenti avrebbero potuto sorridere, invece piangono ancora. E a piangere in questo paese sono coloro che lavorano, non i ricchi. Infatti, la sentenza della Corte di giustizia europea aveva dato a questo Governo l'occasione di fare chiarezza sulla detraibilità dell'IVA per gli autoveicoli, i servizi e i mezzi di consumo dei beni in questione; in ogni caso, ancora una volta l'Italia ha maltrattato i contribuenti ed è stata iniqua nei loro confronti, non permettendogli di detrarre l'IVA sugli autoveicoli. Quindi, artigiani, imprese e professionisti - fino ad oggi trattati violando i principi fiscali adottati dall'Europa - si vedono risarciti di questo sopruso: e qui, signor Presidente, casca l'asino, come si suol dire. Infatti, il Governo perde l'occasione e continua la battaglia, la convivenza dialettica, l'ostilità nei confronti del contribuente, anzi nei confronti di alcuni contribuenti: sempre quelli, sempre gli stessi, guarda caso sempre quei contribuenti che lavorano, che creano il PIL (artigiani, professionisti, piccole e medie imprese). Il Governo prima si vede costretto ad adeguarsi alla sentenza della Corte di giustizia europea poi, invece di sostanziare quanto imposto, si preoccupa solo delle proprie entrate ed inizia a scoraggiare gli aventi diritto introducendo mille complicazioni burocratiche, trasmettendo la solita incertezza sui rimborsi e la certezza del contrario. Il contribuente, infatti, saprà che fin da subito, anzi in modo retroattivo, dovrà pagare; coloro che dovrebbero avere diritto a ciò che era stato loro maltolto non potranno dedurre sulle auto ciò che deducevano in passato.
Per il contribuente vedere tutelati i propri diritti diviene un'utopia e ogni volta che si ritrova a dover avere giustizia, se l'altra parte è lo Stato diviene un dramma. Ogni volta inizia una corsa ad ostacoli dove i paletti, le regole vengono fissati dallo Stato, questo Stato: tutto ciò è assurdo. Coloro che ora avevano il diritto di vedersi riconosciuto il rimborso del denaro, non solo non lo avranno più, ma addirittura non sapranno quanto potranno riscuotere le somme a loro dovute. A chi poteva detrarre l'IVA sulle auto spettava una certa somma di denaro; ebbene, attraverso il fisco, con poca fantasia, si è pensato bene di non ammettere più tali beni in deduzione - come in passato - quanto alla competenza del costo, creando così una partita di giro che presenta pure dei vantaggi sotto il profilo della liquidità. Infatti, l'IVA sarà restituita non si sa quando, mentre i costi non dedotti, essendo di competenza del 2006, verranno incamerati dallo Stato già da quest'anno.
Non mi soffermerò a spiegare cosa prevede il provvedimento, considerato che la cosa è già stata chiarita in maniera sufficiente grazie ai precedenti interventi. Vorrei invece concentrare la mia attenzione sui punti principali del dissenso che la Lega Nord non può non manifestare nei confronti di questo atteggiamento governativo, sempre e solo ostile, ingiusto nei confronti di alcune categorie; ciò, anche quando i loro rappresentanti hanno ragione e la Comunità europea impone di fare giustizia. Ebbene, anche in questi casi - oggi ne abbiamo un esempio - ingiustizia è fatta.Pag. 43
Vorrei riassumere in pillole il nostro dissenso; in primo luogo, la norma dovrebbe prevedere tempi certi di rimborso a tutela del soggetto passivo, ma non è così!
In secondo luogo, sono escluse esplicitamente dal comma 2 dell'articolo 1 le normali procedure di detrazione e compensazione dell'IVA; ancora, le istanze di rimborso devono essere presentate in via telematica, aggiungendo burocrazia costosa per le strutture piccole; la disciplina dei rimborsi, poi, è affidata ad un decreto del direttore dell'Agenzia delle entrate, mentre sarebbe preferibile un decreto ministeriale; dovrebbe essere stabilita una soglia di detraibilità per il rimborso forfettario; infine, ancora una volta, si deroga in materia fiscale all'articolo 4 dello statuto del contribuente; infatti la non deducibilità dei costi parte già dall'inizio del 2006.
È ora di smetterla. È ora di smetterla, perché, in un mondo civile, legiferare in tal modo è incivile e non si può continuare a trattare così il contribuente, specialmente in considerazione del fatto che uno dei padri fondatori dello statuto del contribuente è proprio un membro di questo Governo, ed è il sottosegretario Visco.
Andiamo ad analizzare comunque alcuni di questi punti. La stessa sostanza della copertura per questa restituzione IVA lascia i brividi sulla schiena. Infatti, togliete agli stessi soggetti, ai quali, indebitamente, avete già tolto la detrazione IVA, la possibilità di scaricare i costi per gli stessi identici beni. Ma, a questo punto, viene proprio da dire che siete diabolici. L'Europa vi ha appena dettato le regole e vi ha appena spiegato cosa è giusto e cosa è ingiusto fare, cosa è tollerato e cosa non lo è. Vi ha appena spiegato che, in Europa, solo l'Italia non permetteva sull'argomento auto la detrazione dell'IVA. Bene, neanche dopo la lezione, si impara. Voi direte: vi ridò l'IVA e mi prendo la detrazione dei costi. Vi posso dire, a questo punto, che sbagliare è umano ma perseverare è diabolico, oppure che non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire. Il punto, però, è che l'Europa vi guarda e mi sembra che, nelle ultime settimane, di figuracce questo Governo ne abbia collezionate tante e troppe. Ma l'attuale Esecutivo persevera e insiste. Insiste pur di mandare avanti quella guerra sempre contro le stesse categorie. A questo punto, si potrebbe capire perché poi «le iene» facciano il tampone ai parlamentari. Qualche spiegazione deve ben esserci a scelte legislative di questo tipo. Nel leggere soluzioni come queste, è facile, anzi è facilissimo ed inevitabile che sorgano dubbi circa la lucidità di chi propone tali provvedimenti.
Un altro punto che vorrei focalizzare è il comma 2-bis dell'articolo 1, introdotto nel corso dell'esame al Senato, volto a ridefinire la disciplina complessiva della materia, intervenendo sull'articolo 19-bis1, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, concernente l'indetraibilità dell'IVA sui veicoli aziendali, oggetto di censura da parte della Corte di giustizia. In particolare, la disposizione prevede che l'IVA sia indetraibile nei limiti previsti dall'autorizzazione, che è stata richiesta in sede comunitaria, in data 6 ottobre 2006. Qualora la deroga richiesta dall'Italia venga autorizzata, l'indetraibilità risulterebbe parziale e la misura di essa sarebbe precisamente individuata nella decisione del Consiglio dell'Unione europea, cui fa rinvio la novellata lettera c). In base alla novella apportata dal comma 2-bis, infatti, la riduzione della detraibilità si applicherà nei termini ivi previsti e senza possibilità da parte del contribuente di fornire la prova contraria, a far data dalla pubblicazione dell'autorizzazione accordata dall'Italia nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea. L'abbattimento della detraibilità, qualora accordato, consentirebbe allo Stato italiano di ridurre la perdita del gettito IVA, stimata, al 2007, in 5,2 miliardi e coperta dal decreto-legge, collegato alla manovra finanziaria, con la modifica della deducibilità dei costi delle auto aziendali agli effetti dell'imposta sui redditi.
Quindi, il sottosegretario Alfiero Grandi si è preoccupato e si preoccupa di chiedere a Bruxelles se si potrà avere unaPag. 44detrazione parziale dell'IVA, così da risparmiare qualche «miliardino», alla faccia dei diritti del contribuente.
Signor sottosegretario, lei si chiama pure Alfiero, ma credo che se si continua così il soprannome più adatto a lei, mi consenta la battuta, potrà essere esclusivamente «Al», considerato che da essere «fieri», in questo Governo, ce ne rimane poco.
Mi chiedo: se un'imposta è ingiusta, se è scorretta, se è iniqua, se è dichiarata sbagliata, se non è etica per l'Europa stessa, perché insistere? Perché tanto accanimento? Ed allora, proviamo a pensarci un attimo: l'auto in questione non serve per andare in vacanza, non serve per andare al mare, al lago, in montagna, non serve per passeggiare sui colli o andare a fare lo shopping con la dolce metà. L'auto in questione serve per andare a lavorare, serve mentre si lavora, è uno strumento indispensabile per poter fare quanto si deve fare per svolgere il proprio lavoro, la propria professione. Serve per portare a casa la pagnotta, per creare il PIL a questo povero paese, quella ricchezza che poi, comunque, verrà in più modi tassata. L'attuale Governo, ancora una volta, dimostra con i fatti di accanirsi contro i padri di famiglia che lavorano, contro i cittadini onesti ed operosi, purché siano artigiani, piccoli imprenditori e professionisti. Dopo sei mesi di governo, oltre ad alzare le tasse a queste categorie, il Governo Prodi e questa maggioranza hanno regalato: 1) F24 on line; 2) tassa di successione anche per le aziende; 3) scontrini «killer»; 4) studi di settore; 5) invio elenchi clienti e fornitori; 6) controllo dei pagamenti bancari (quindi, ha creato il Grande Fratello fiscale); 7) controlli preventivi per aprire la partita IVA (manca solo che ti facciano l'esame del DNA per aprire la partita IVA!); 8) per pagare oltre 100 euro assegni e bonifici (anche perché mi sa che soldi in tasca ormai ne son rimasti pochi); 9) invio dei corrispettivi quotidiani all'Agenzia delle entrate (per far ciò, vorrei ricordare che bisogna acquistare i soliti strumenti che, all'incirca, costano 500 euro; quindi, per andare incontro alle esigenze del fisco, che aumenta le imposte e le tasse, bisogna anche pagare, non solo in termini di tempo, questa nuova burocrazia, ma anche in termini economici. Dunque, alle tasse si accumulano spese inutili). E si potrebbe andare avanti, ma lasciamo stare perché l'argomento oggi sono le auto e l'IVA sulle stesse.
Sono un imprenditore e so come la pensano i miei colleghi. Se ci si chiede un sacrificio, bene, lo facciamo, ne abbiamo fatti, però una volta per tutte, che dopo sia finita: lasciateci lavorare! Va bene, vi saranno anche procedure assurde, costose, ingiuste, ma se poi si risana il paese ci si porta pazienza, non è un problema, ma in queste ore si sta definendo anche il disegno di legge finanziaria per l'anno 2007 e si legge dove finiscono i soldi! Un esempio che è diventato ormai famoso, più che per l'entità, per il modo spudorato di gestire ad personam i soldi pubblici, è dato dall'emendamento Pallaro: quattordici milioni di euro, moltiplicati per tre, da destinarsi come Pallaro ha preteso! Quattordici milioni di euro, moltiplicati per tre, per pagare il suo voto al Senato! Quattordici milioni di euro, moltiplicati per tre, da destinare anche alle aziende estere che faranno concorrenza a quelle italiane, che pagano e continuano a pagare anche per sostenere i propri concorrenti: assurdo!
Parliamo, poi, di compensazione. Ditemi: perché non è prevista la compensazione? La compensazione, ossia lo strumento adottato, tra l'altro, nel regime IVA, dovrebbe far risparmiare a tutti tempo e denaro e dare - anzi, ridare - quanto ingiustamente tolto. Invece, la compensazione viene negata. Ed allora non vi è rapporto di equa reciprocità e quando manca la reciprocità siamo di fronte ad un'altra ingiustizia, ingiustizia dello Stato; la fame di soldi dello Stato viene prima dei diritti dei cittadini. Questo noi non lo possiamo accettare! Noi su questo sicuramente daremo battaglia. Noi continuiamo ad essere sempre più opposizione e sempre più opposizione faremo, anche perché, permettetemi, siamo opposizione e siamo sempre più opposizione forte, maPag. 45siamo anche sempre meno minoranza, considerato che nel paese il consenso ormai voi lo avete perso quasi tutto (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Berruti. Ne ha facoltà.
MASSIMO MARIA BERRUTI. Signor Presidente, colleghi, la Corte di giustizia delle Comunità europee, con sentenza del settembre 2006, ha finalmente posto fine all'annoso problema che si trascinava da 27 anni, da quando, nel 1979, venne introdotta nel nostro ordinamento l'indetraibilità dell'IVA sugli acquisti degli automezzi - li definisco anch'io automezzi, ma tutti sappiamo che non si tratta soltanto dei semplici veicoli ed autoveicoli che tutti i giorni vediamo sulle strade - di cui alla lettera c) del primo comma dell'articolo 19-bis1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. La decisione ha evidentemente travolto le disposizioni di cui alla successiva lettera d) del citato comma relative agli acquisti di carburante e di prestazioni di servizi connessi all'utilizzo degli automezzi in questione.
Che la limitazione al diritto alla detrazione dell'imposta fosse notoriamente contraria alle disposizioni della VI direttiva CEE era arcinoto a tutti, tanto è vero che, con la legge 23 dicembre 2000 n. 388, si era tentato, con l'escamotage - che tutti ricordiamo - di una detrazione ridotta e parziale, in luogo di quella totale, di ammorbidire le censure che continuavano, periodicamente, ad essere riproposte dalle autorità europee.
Peraltro, l'andamento dell'istruttoria dibattimentale faceva largamente presagire che le posizioni italiane, su questa base, erano assolutamente perdenti. In sostanza, esisteva tutto il tempo necessario allora, e a maggior ragione ve ne sarebbe stato adesso, per apprestare un provvedimento più meditato, che comunque consentisse di affrontare la situazione avendo riguardo a molti altri aspetti. Aspetti che ora, proprio per questa mancata attenzione, si presentano come interrogativi ai quali non riusciamo a dare una risposta concreta.
Segnali inequivocabili dell'insufficiente preparazione della misura adottata sono non soltanto il fatto che si sta per approvare un testo stravolto nel passaggio al Senato - peraltro, si tratta di vicenda conosciuta - ma anche la circostanza che, formalmente, le norme contenute nell'articolo 19-bis1, allo stato, non sono ancora state abrogate.
Colleghi, ritengo, dunque, che il disorientamento dei nostri contribuenti, a tale punto, sia totale, anche perché, nell'ambito della manovra complessiva per il prossimo anno, vengono continuamente annunciate nuove disposizioni per far fronte all'emergenza con sicuri inasprimenti della indeducibilità dei costi aziendali.
Ci sembra, quindi, di capire che la mancanza di coordinamento imporrà presto l'adozione di nuovi provvedimenti di urgenza per correggere manchevolezze che a noi appaiono del tutto evidenti.
Tutto sommato, molte misure recate da questo decreto sono da noi condivisibili, ma dobbiamo entrare un po' più nel merito del provvedimento; quel merito cui nessuno della maggioranza ha osato guardare con attenzione con riferimento alla presentazione delle nostre proposte emendative, tese non tanto a modificare le disposizioni quanto ad addolcirle. Ebbene, il decreto prevede due vie per consentire ai contribuenti di recuperare la maggiore imposta della quale sono stati gravati per effetto delle limitazioni censurate dalla Corte di giustizia: in sostanza, si prevedono un sistema analitico ed un metodo forfettario.
Ora, se in linea di massima, come ho precedentemente affermato, si può anche convenire su tali impostazioni, vorrei tuttavia osservare che il punto debole del provvedimento (a parere non solo mio, ma anche di molti di noi e di numerosi contribuenti) è rappresentato dalla delega, conferita al direttore dell'Agenzia delle entrate, volta ad individuare gli altri tributi che, influenzati dall'esistenza di una minore base imponibile determinata dall'imposta non detratta, hanno dato luogo ad un minor carico fiscale.Pag. 46
Ritengo più significativa, in tal senso, la discrezionalità che viene lasciata al citato direttore nell'individuare le diverse percentuali di forfettizzazione per i distinti settori di attività. È vero che i contribuenti che dovessero rilevare un trattamento deteriore possono optare per il sistema analitico; tuttavia, essi - e credo che, in questo caso, si crei un vero e proprio paradosso - non devono soltanto neutralizzare l'eventuale arricchimento che conseguirebbe da un rimborso al lordo delle minori altre imposte pagate, ma devono anche provare la misura dell'effettivo utilizzo nell'esercizio dell'attività «in base a criteri di reale inerenza» (cito dal testo del provvedimento in esame). Affronterò comunque più avanti tale aspetto.
Facendo un passo indietro, credo che disposizioni di questo genere si prestino, in linea di massima, alla formulazione di due considerazioni. La prima riguarda la misura della restituzione (se vogliamo ragionare a contrario, la determinazione della base imponibile su cui, alla fine, verrà commisurata l'imposta reale), la quale è rimessa ad un provvedimento amministrativo. Tale atto, ovviamente, è totalmente sottratto al controllo parlamentare. Per chi nutre un minimo di attenzione e di sensibilità per la Costituzione «reale», l'imbarazzo è veramente forte!
In secondo luogo, dobbiamo domandarci quale sia quell'amministrazione che, sotto il controllo dell'Esecutivo, deciderà la misura della forfettizzazione e quindi, in ultima analisi, l'onere a carico del bilancio dello Stato. Posso fare una domanda, come diceva qualcuno? Ma chi è la persona, l'ente o l'organismo che assicurerà che il saldo tra gli inasprimenti in fase di definizione e le restituzioni derivanti dal decreto-legge in esame, sarà in pareggio? Chi potrà farlo? Quale ente o organismo potrà realizzare ciò?
È evidentemente una domanda retorica, poiché la risposta è: nessuno! Scusate, ma per caso non si è trattato di introdurre, ancora volta, una nuova imposta senza definirla tale? Non sarà l'ennesima tassazione? Non si tratterà dell'ulteriore tassa occulta decisa da questo Governo? Lascio a voi la risposta!
Sarebbe inutile, allora, sostenere che al contribuente è sempre lasciata la scelta di adottare il sistema analitico piuttosto che il metodo forfettario. Ciò perché, in caso di opzione per il metodo forfettario, le prove richieste appartengono alla categoria della cosiddetta probatio diabolica: di fronte a questa, non rimane che arrendersi tutti! In sostanza, si induce ad una scelta forfettaria di massa senza che il Parlamento sia stato messo in grado di valutarne gli effetti!
Vorrei adesso tornare ad affrontare il sistema analitico, che ho precedentemente accantonato. Credo che il cosiddetto sistema analitico sia afflitto, in realtà, da una incomprensibile «biforcazione»: la sua «messa in moto», infatti, è demandata a due apposite istanze.
La prima deve essere presentata entro il 15 aprile 2007 ed è «figlia» della sensibilità del direttore dell'Agenzia delle entrate, il quale deve identificare i vantaggi che sarebbero stati prodotti dalle mancate detrazioni dell'IVA. L'altra istanza, soggetta ai termini previsti dalle disposizioni in materia di contenzioso tributario, sembra, sì, sottratta agli «umori» del direttore dell'Agenzia delle entrate, tuttavia richiede quelle famose prove di cui ho precedentemente parlato e che, detto in breve, non si può ben sapere in cosa effettivamente consistano!
Se la biforcazione resta confinata nella irrazionalità - e forse ha solo una giustificazione in termini di demagogica ostentazione di senso di giustizia e di equilibrio! - non si può però comunque comprendere perché non sia stata prevista la revocabilità della liquidazione forfettaria; questo, qualora il contribuente dovesse accorgersi di aver intrapreso una strada troppo penalizzante e riuscisse successivamente a raccogliere le prove, che invece potrebbero portargli giovamento.
In definitiva, colleghi, si tratta di una materia che solo indirettamente ha natura tributaria. Così come ci si preoccupa, con il decreto, di prevenire indebiti arricchimentiPag. 47a danno dell'erario, l'amministrazione dovrebbe altrettanto preoccuparsi di tutelare i contribuenti dagli eventuali indebiti arricchimenti a favore dell'erario, cosa che invece non leggiamo in questo decreto. Sempre in tema di arricchimenti illeciti, c'è un aspetto che mi incuriosisce moltissimo. Tutti sappiamo che una parte del gettito dell'aliquota IVA - mi sembra il 10 per cento - è destinato all'Unione europea. Non vi è dubbio che i limiti della detraibilità dell'imposta afferente ai costi hanno sicuramente determinato un maggior gettito, del quale di conseguenza ha beneficiato l'Unione europea, perché se lo Stato membro deve dare il 10 per cento e noi abbiamo avuto un maggior gettito, allora noi, considerando il gettito effettivo, avremo dato un 10 per cento in più all'Unione europea.
Pertanto, la domanda che pongo al Governo è la seguente. Perché il Governo non affronta questo argomento in sede di Unione europea, fornendo poi i chiarimenti del caso? Non potrebbe in questa maniera risolvere qualche problema di copertura? Perché non utilizza questa strada, invece di continuare a spremere il contribuente? Stiamo parlando di miliardi di euro, stiamo parlando del 10 per cento del gettito IVA afferente in questo caso all'indetraibilità sugli automezzi!
Se non sono stato chiaro, vorrei esemplificare quello che sto dicendo. Secondo gli accordi in sede europea, il 28 febbraio di ogni anno lo Stato membro, e quindi l'Italia, deve versare all'Unione europea il 10 per cento del gettito IVA afferente al volume d'affari IVA del precedente anno. Nel 2007 faremo questo versamento con riferimento al gettito IVA del periodo 1o gennaio 2006 - 31 dicembre 2006. Siccome rileviamo che vi saranno delle nuove detrazioni IVA, noi andiamo a versare all'Unione europea una quantità di IVA maggiore rispetto a quella effettivamente spettante, e si tratta di euro. Allora perché non andiamo a recuperarli? Perché non pensiamo di giocare una compensazione su tale importo? Non risolveremmo così un po' del problema di copertura di questa manovra finanziaria?
Il comma 2 dell'articolo 1 del decreto, nel passaggio al Senato, non ha subito alcuna modificazione, sebbene tocchi argomenti che non sono assolutamente di poco conto. Esso infatti esclude le procedure di rettifica delle detrazioni previste dalla disciplina IVA - e su questo si può convenire -, ma elimina anche la possibilità di utilizzare i rimborsi a compensazione dei pagamenti di imposte dovute in futuro, e su questo invece non si può convenire. Atteso che il decreto non prevede alcun termine per l'effettuazione dei rimborsi e nulla dice sulle modalità con le quali saranno effettuati, la liquidazione, così com'è prevista, appare assolutamente vessatoria!
Era una questione da valutare; su questo argomento abbiamo presentato vari emendamenti (il primo firmatario è Alfano), ma in Commissione da parte della maggioranza non c'è stata assolutamente la volontà di ascoltare. In questo quadro sconfortante dal punto di vista del metodo, sono stati proposti emendamenti che tendevano a lenire questi effetti, ma abbiamo trovato un ambiente di assoluta negatività. Gli emendamenti miravano a rendere oggettiva, per esempio, l'individuazione delle parti rilevanti ai fini del rimborso, a semplificare e ad accelerare gli adempimenti a carico dei contribuenti, a spostare a livello politico la responsabilità dell'individuazione delle basi e della commisurazione delle restituzioni, a rendere più snello il processo di neutralizzazione dei vantaggi derivanti dal riconoscimento delle maggiori detrazioni, a delimitare la discrezionalità della normativa secondaria, a ricostituire il diritto alle compensazioni, a fissare un termine per i rimborsi, infine ad assicurare almeno il tetto minimo delle restituzioni.
Abbiamo chiesto solo questo; ma vi sembra così scandaloso? La nostra parte politica può condividere una serie di questioni importanti di questo decreto, ma non siamo riusciti a capire - lo spiegheremo bene fuori da quest'aula - perché è mancata la volontà di recepire emendamenti di principio e di buonsenso. Parliamo di trentaquattro emendamenti, sarebbePag. 48bastato recepirne quindici-venti per limitare i danni che verranno causati al contribuente italiano.
Devo concludere, ma, credetemi, provo un po' di dispiacere, perché condividevamo e condividiamo molto di questo provvedimento. Purtroppo, ancora una volta, non si è avvertita alcuna sensibilità per la certezza del diritto e per le esigenze dei contribuenti italiani (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Garavaglia. Ne ha facoltà.
MASSIMO GARAVAGLIA. Signor Presidente, ci troviamo oggi pomeriggio a discutere di questo importante provvedimento con qualche certezza e una montagna di dubbi. Sgombriamo subito il campo da un equivoco: per noi questo è un intervento assolutamente positivo, da valutare con favore; il problema - avremo modo di argomentarlo - è che si poteva fare di più e di meglio. Tanti sono gli aspetti non positivi di questo provvedimento.
Innanzitutto, notiamo come, forse per l'ennesima volta, l'Unione europea interviene nella legislazione dello Stato italiano (in questo caso in maniera positiva, tante altre volte lo ha fatto in modo negativo). Si assiste, di fatto - e questo è un problema più generale che meriterebbe qualche riflessione, che qui accenno soltanto per non occupare il tempo con questioni che non c'entrano -, ad una situazione paradossale: a fronte di uno scarico di competenze verso l'alto, verso l'Europa, e a uno verso il basso - solo teorico, purtroppo -, verso le regioni, la complessità dell'azione del Parlamento diventa oggettivamente sempre più grande.
In questo caso, l'intervento dell'Unione europea è positivo, perché risolve una questione che da trent'anni ingiustamente penalizza una fetta enorme di contribuenti (il cosiddetto popolo delle partite IVA).
Venendo alle ombre del disegno di legge, preferisco arrivare subito alla conclusione: il problema reale è che si è persa una grande occasione per far ripartire l'economia. Il provvedimento muove enormi risorse: 17,1 miliardi di euro rappresentano una cifra davvero importante, imponente. Attenzione, però: questi quattrini, questi 17,1 miliardi di euro sono non dello Stato, ma dei contribuenti! Spesso ci si dimentica dell'aspetto chiave di tutta la faccenda: l'IVA è stata incassata indebitamente dallo Stato; di conseguenza, si è avuto un arricchimento indebito dello Stato a danno dei cittadini. Questo è il punto chiave!
Com'è stato risolto il problema dell'indebito arricchimento? Facendo un pasticcio! Era un'occasione storica per dare un'iniezione di liquidità, per far ripartire gli investimenti e per far crescere il PIL. Invece, cosa si è fatto? Si è ragionato in maniera distorta. Lo Stato ha deciso considerando i 17,1 miliardi di euro come se fossero soldi dello Stato e non dei legittimi proprietari, cioè dei contribuenti: c'è un «buco»? Tappiamolo! La cosa è ancora più paradossale perché il «buco» è stato tappato a danno dei contribuenti: poiché c'era un'uscita da coprire, è stata dimezzata la percentuale di detraibilità per i contribuenti. Questo non è sbagliato: è sbagliatissimo, perché i contribuenti hanno fatto i loro conti!
Prendiamo il caso di un professionista che abbia acquistato un'auto aziendale tenendo conto della detraibilità al 50 per cento. Ebbene, lo Stato, con una decisione improvvida e, per di più, retroattiva (ormai, è un'abitudine inveterata di questo Governo quella di non tenere conto dell'articolo 4 dello Statuto del contribuente), dice al contribuente: hai sbagliato i conti, perché la detrazione deve essere del 25 per cento. Ma non è vero: quel professionista i conti li aveva fatti bene e, magari, fino all'ultimo euro, per non rischiare di avere uno scoperto in banca. Invece, no! Poiché c'è da tappare un «buco» per l'interesse generale dello Stato, chi se ne frega del singolo contribuente!
Un altro esempio concreto: chissà quante schede per l'acquisto di carburanti non avrà compilato il professionista in questione. Poiché l'IVA si poteva detrarrePag. 49parzialmente, il contribuente non stava lì a diventar matto: compilava le schede che poteva portare in detrazione, e basta. Moltissime schede non sono state compilate per questo motivo. Chissà, poi, quante fatture per l'acquisto di pneumatici o per manutenzioni sono state buttate via o sono andate perdute: era inutile conservarle tutte, perché l'IVA era detraibile fino ad una determinata soglia.
Il problema è sempre lo stesso: lo Stato ha sempre ragione ed il cittadino-suddito ha sempre torto. Si tratta di un'impostazione mentale distorta che caratterizza questa maggioranza.
Poiché ci stiamo occupando, in questo periodo, del disegno di legge finanziaria e sentiamo parlare tanto di sviluppo, spesso a sproposito - si tratterebbe, invece, di uno dei pilastri della finanziaria -, apro una parentesi per fare opera di comunicazione. In questi giorni, si sente dire, infatti, che il problema della maggioranza di sinistra è la poca comunicazione relativamente al contenuto del disegno di legge finanziaria. Il problema è che c'è poca comunicazione? Quando vi sarà una comunicazione completa, allora sì che saranno dolori per il centrosinistra!
Vediamo qualche esempio. Quella del cuneo fiscale è una operazione fantastica con un impatto assolutamente minimale, limitato rispetto alla stragrande maggioranza delle imprese italiane. Il 25 per cento di tutto il beneficio derivante dall'operazione del cuneo fiscale andrà nelle casse di sole 700 aziende: solo 700 aziende incasseranno un quarto di tutta l'operazione relativa al cuneo fiscale! Per di più, il cuneo fiscale andrà a beneficio solo di quella parte di lavoratori assunti a tempo indeterminato. Vengono perciò ad essere penalizzate tutte le piccole e medie imprese che, necessariamente e prioritariamente, per ragioni di flessibilità, procedono ad assunzioni a tempo determinato di dipendenti che solo successivamente vengono regolarizzati. Il risultato di questa operazione sarà una ulteriore complicazione per queste aziende.
Occorre, inoltre, tenere conto del fatto che il beneficio in quanto tale, pari a 30 euro per dipendente, costituisce una misura ridicola per le aziende con pochi dipendenti. La cosa peggiore, che va vista in stretto collegamento con la pazzesca ipotesi di copertura del buco creato dalla sentenza CEE, è che si è voluto penalizzare in maniera molto forte le imprese più piccole, gli artigiani, i commercianti, le piccole e medie imprese.
L'effetto combinato del cuneo fiscale, che offre qualche beneficio ma a partire da un certo numero di dipendenti, e dell'aumento delle aliquote contributive, comporta che fino a nove dipendenti il costo del lavoro aumenti incredibilmente dello 0,9 per cento! Allora, fate una bella opera di comunicazione: andate a comunicare che per le aziende fino a nove dipendenti il costo del lavoro aumenta quasi dell'1 per cento! Questa sì che è una bella opera di giustizia e di verità.
Poi, ad onor del vero, l'incremento del costo del lavoro diminuisce, poiché fino a 49 dipendenti è solo dello 0,2 per cento, fino a sparire per le aziende che hanno più di 50 dipendenti, ma per le quali interviene l'altra «genialata» dello scippo del TFR e siamo punto e daccapo. Per le aziende che hanno più di 50 dipendenti, l'altra fascia di aziende che costituiscono il tessuto portante del nostro sistema paese (cioè quelle fino a 250 dipendenti che realizzano praticamente la totalità del PIL di questo sciagurato paese), avviene lo scippo del TFR con effetti nefasti sostanzialmente per la tenuta della liquidità d'impresa e soprattutto per la funzione di volano che questo TFR ha sempre svolto, per il modo in cui è strutturato il nostro sistema imprenditoriale, sugli investimenti. Chiudo con questo una parentesi che era importante, perché si parla di sviluppo e di una occasione che è stata bellamente persa.
Dicevamo prima del ruolo dell'Unione europea che, da mostro burocratico con un ruolo ancora imprecisato, se non per aspetti incidentali come quelli di cui ho parlato poco fa, assume decisioni una volta a favore e una volta contro. Ora ad esempio - ed è un dubbio che nessuno riesce ancora a sciogliere - non abbiamoPag. 50ancora capito come mai sia stata ritrattata la posizione sull'IRAP. Noi tutti ci aspettavamo dall'Unione europea, così come per l'IVA - e alla fine ci siamo arrivati -, anche per l'IRAP la dichiarazione giusta, e cioè che si tratta di una tassa, anche quella, sostanzialmente illegittima. Invece no: abbiamo fondati sospetti che purtroppo si sia trattato di una decisione sostanzialmente politica. Non si poteva dare un'altra mazzata ai conti pubblici italiani e politicamente si è deciso, con una sentenza di poche righe, che l'IRAP va bene così com'è, tanto è vero che il cosiddetto beneficio del cuneo fiscale andrà in conto IRAP, contribuendo a ridare alle imprese ciò che nella realtà era già loro.
Torniamo al merito del provvedimento.
Il provvedimento in esame contiene solo due articoli, ma ciò che conta è la parte economica. Dal punto di vista della copertura - oggi è stato chiarito molto bene in sede di Commissione -, l'emendamento 1.4 del Governo al disegno di legge finanziaria garantisce la copertura massima per tutto il periodo. Vi è, quindi, un costo (ribadisco il concetto che, piuttosto che un costo, si tratta di una restituzione del «maltolto») di 17,1 miliardi: per la precisione, 3,7 per quanto riguarda il 2006 e la rimanenza, 13,4, concernente il periodo 2003-2005.
Ciò che non va di questo provvedimento è molto ben evidenziato negli emendamenti proposti nelle varie Commissioni. Mi riferisco, in primo luogo, ad un emendamento che va ad ampliare il numero del periodo di imposta; quindi, si ritiene opportuno fare riferimento a ciò che prevede il codice civile. Ciò, secondo noi, è importante e bisognerà tenerne conto in sede di votazione dell'emendamento che dovrebbe essere approvato.
Inoltre, vi sono emendamenti che vanno a sostituire il comma 2, consentendo l'immediata compensazione e detrazione delle imposte. Ciò, a nostro avviso, rappresenta un punto fondamentale, perché non è possibile pensare che lo Stato abbia sempre ragione ed il contribuente sempre e solo torto. Infatti, nel caso di un contenzioso tra lo Stato ed i contribuenti, il contribuente deve immediatamente dimostrare e pagare; qualora dovesse risultare che il contribuente ha ragione, non gli è dovuto il rimborso delle spese, ma egli deve comunque effettuare il pagamento. Quindi, il contribuente paga sempre e comunque, tant'è che, spesso e volentieri, i commercialisti consigliano a noi poveri e autonomi professionisti, che non abbiamo altra idea che frodare il fisco, di lasciare perdere, poiché costa più la pratica che effettuare il pagamento richiesto. Quante volte il lavoratore autonomo si è sentito dire dal commercialista: lascia perdere e paga, perché ti costa meno? Sarebbe bello fare una stima di una situazione simile (nel tempo approfondiremo la questione).
L'altra cosa che non quadra è il cambio delle regole in corso d'opera (è una prassi consolidata dello Stato). Non sollevo una polemica con questo o quel Governo: purtroppo, tutti i Governi si comportano sempre male nello stesso modo. Devo dire onestamente che i Governi di sinistra sono ideologicamente impostati in modo da far peggio dei Governi di centrodestra, ma, in generale, vi è sempre questa mentalità di fondo distorta. Ciò avviene perché, spesso, si fanno scrivere le norme dai burocrati, da gente che non è sul campo. Perché non far esaminare la norma al commercialista prima di redigerla? Vi sono alcuni aspetti che non quadrano e sono di tutta evidenza!
La questione dell'invio telematico va bene. Tuttavia, non è così vero che tutti dispongano di Internet. Trattandosi di un provvedimento una tantum, perché non si può inviare una raccomandata? Stiamo parlando di un provvedimento una tantum, non di un'operazione da compiere tutti gli anni.
Inoltre, è demandato al direttore, al solito burocrate di turno, l'emanazione del modello dei dati e quant'altro da dichiarare. Al riguardo, sappiamo già come andrà a finire: verrà fuori il solito modello con mille dati da restituire per la centesima volta, dati che il fisco ha già in mano.Pag. 51Nonostante ciò, bisognerà dichiarare nuovamente il codice fiscale, l'abitazione ed altre informazioni.
Purtroppo, è una brutta abitudine di questo Stato complicare volutamente le cose, sempre nell'ottica, da un lato, di disincentivare le richieste di rimborso e, dall'altro, di una pura distorsione e di una mentalità burocratica che non tiene conto di come si lavora.
Spesso, da noi, quando abbiamo incontri pubblici sul territorio e parliamo di fisco e di fiscalità, la lamentela che riceviamo dai nostri imprenditori non riguarda tanto il fatto che si paghino tante tasse (si è anche contenti di pagare le tasse, perché vuol dire che si sta guadagnando bene) quanto come si paghino, quanto tempo bisogna perdere e quanta carta bisogna tenere in casa. Siamo davvero alla follia.
Altra cosa che non quadra è la tempistica. Mi risulta che i rimborsi fiscali siano arrivati agli anni 1997, 1998. Oggi, il fisco sta ridando ai contribuenti il maltolto del 1997-1998. Il maltolto del 2006, forse, i contribuenti lo riavranno tra almeno cinque, se non sette, anni. Questo è ciò che non quadra. Sapendo che vi è un simile arretrato, è profondamente ingiusto non consentire la compensazione e la detrazione diretta di tali imposte dovute in restituzione. In questo modo, si scatena un effetto perverso per cui, a fronte di una restituzione di IVA, che sono soldi che devono essere ridati ai proprietari, che forse avverrà tra qualche anno, si obbliga a pagare da subito, perché si dimezza la possibilità di dedurre i costi. È ovvio che quando andate nelle piazze, gli artigiani, i commercianti, i professionisti ce l'abbiano a morte con voi. È scontato. Basterebbe fare un minimo di ragionamento.
Un'altra considerazione è legata ad un'impostazione che sta prendendo piede con il provvedimento in esame e con la manovra finanziaria, cioè colpire ciò che è più facile. Fino a qualche anno fa, le manovre finanziarie si realizzavano aumentando il prezzo della benzina e delle sigarette. Ora, vi è stata un'innovazione. Poiché la gente sta fumando meno, le sigarette sono aumentate poco e si tocca ciò che è più semplice colpire: le automobili. Non si aumenta la benzina perché vi sono più macchine a gasolio e così nel disegno di legge finanziaria avete inserito l'incremento dell'1 per cento del gasolio. È ovvio e scontato.
Certo, non è una grande azione di equità e solidarietà sociale, ma sono considerazioni che lascio a voi.
Il problema è quanto e come si colpiscono le automobili e le moto. Farò alcuni esempi. Vi è stata la modifica delle tasse di successione, introdotta sciaguratamente da questo Governo, in un primo momento, in una versione completamente folle, perché prevedeva l'imposizione a partire da 250 mila euro, limite al quale con un paio di appartamenti tutti arrivano, ancora di più con un negozio o una piccola impresa. Avete pensato di «mettere una toppa» a ciò, ma il rimedio non sta in piedi, perché portando la soglia da 250 mila ad un milione di euro, si è creato un buco. Ciò è scontato perché la manovra finanziaria che state mettendo in piedi non ha né capo né coda. Essendo composta tutta da entrate e da una piccola parte, alquanto dubbia, di tagli alla spesa, modificare un'entrata comporta necessariamente trovare una copertura con un'altra entrata.
Ecco, quindi, la fregatura che è emersa con la tassa di successione: l'introito previsto nella folle versione originale è di circa 240 milioni; aumentando di un milione di euro l'importo, vengono a mancare circa 140 milioni di euro. La soluzione che viene trovata è la più semplice: l'aumento dei bolli per gli autocarri (quindi, si colpisce ancora il settore produttivo: gli autonomi, gli artigiani e quant'altro) e - questa è la cosa più assurda di tutte - per i vecchi motorini immatricolati «euro 0» o «euro 1» (in pratica, i Ciao, i Garelli, i motorini di vent'anni fa). Si pensa di recuperare 60 milioni di euro tassando i vecchi motorini!
Ma a qualcuno di voi non è venuto in mente che, magari, a usare il Ciao per andare a lavorare non sono i grandi imprenditori, gli impiegati, i quadri diPag. 52un'azienda o di una pubblica amministrazione, ma chi ha talmente poche disponibilità che non riesce neanche a cambiare il motorino?
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 17)
MASSIMO GARAVAGLIA. Oltretutto, alla demagogia si aggiunge anche uno scarso raziocinio. Mi rivolgo ai colleghi Verdi che, probabilmente, hanno sostenuto questa operazione. Si dice che un motorino di vecchia generazione a due tempi inquini di più rispetto a un motorino di nuova generazione. Sta bene: ma vi siete mai chiesti quanti chilometri deve fare un vecchio Ciao per inquinare tanto quanto inquina uno nuovo? È una cosa tremendamente banale, che però probabilmente nessuno considera. Se qualcuno usa il Ciao per andare a lavorare e percorre 10 chilometri al mese, non ha senso sostituire quel vecchio motorino con uno nuovo. Ma queste sono considerazioni che lascio al buonsenso.
L'altra grande operazione che viene effettuata con questa grande manovra finanziaria consiste nell'aumento dei bolli auto: anche in questo caso, si ricorre alla demagogia dell'inquinamento; in realtà, l'obiettivo è banalmente quello di fare cassa. Non so di preciso a quanto ammonti l'incasso previsto: nella versione precedente mi pare fosse di circa 300 milioni di euro; nella nuova versione lo vedremo. Si tratta anche di capire quali siano le versioni: infatti, sostanzialmente stiamo lavorando su un determinato testo, mentre sui giornali si parla di un testo di là da venire. Quando porterete in Assemblea qualcosa di concreto, ne riparleremo. Di sicuro, in Commissione non abbiamo visto un fico secco! Pare che il testo originario sia cambiato; o meglio, pare vi sia l'intenzione di cambiarlo. Poi, quando qualcuno di voi avrà la bontà di spiegarci le modalità, probabilmente sarà tardi.
Tuttavia, fingiamo che sia in vigore la nuova versione. Quest'ultima prevede per le auto immatricolate «euro 0» un incremento del 16,3 per cento del bollo per ogni kilowatt fino a 100 cavalli. Se la macchina ha più di 100 cavalli, la fregatura è tremenda, perché in questo caso l'incremento è del 74,4 per cento.
Per quanto riguarda i veicoli immatricolati «euro 1», si prevede un incremento del 68,6 per cento per i veicoli sopra i 100 kilowatt e, progressivamente, si scende; per un veicolo immatricolato «euro 3» l'incremento è del 57 per cento sopra i 100 kilowatt e del 4,7 per cento sotto i 100 kilowatt.
Vorrei fare due banali considerazioni, di cui una di carattere meramente tecnico. Spesso e volentieri si sente parlare di auto da 100 kilowatt come se fossero delle Formula uno. In realtà, già la Stilo 1.9 diesel, che non è una grande macchina (sebbene a qualcuno piaccia: per amor di Dio, non voglio offendere nessuno!), supera i 100 kilowatt. Quindi, non parliamo di macchine, per così dire, di lusso.
Oltretutto, in questo modo, si colpisce ben l'85 per cento del parco mezzi circolante. Inoltre, si colpiscono ancora i poveri diavoli che non hanno i quattrini per sostituire i veicoli immatricolati «euro 0» con i nuovi «euro 4», magari con una Punto dell'amica FIAT. Non si capisce, davvero, dove sia quell'equità tanto sbandierata in certe dichiarazioni del Governo!
Quindi, di equità se ne vede ben poca in questa manovra!
Oltre alla questione delle moto, dei motorini e delle auto tassate in modo così insensato e dell'aumento del gasolio per autotrazione, vi sono altri esempi che dimostrano l'assoluta mancanza di equità; laddove per equità si intendono tassazioni previste per agevolare le fasce più deboli.
È evidente che le tasse sulla casa - che aumenteranno - colpiscono penalizzando le fasce più deboli. Ad esempio, la tassa di scopo - fino a mezzo punto di ICI - viene pagata sia dalla vecchietta vedova sia dal miliardario e, anche per quanto riguarda l'aumento dei valori catastali, l'ICI è uguale per tutti indipendentemente dal reddito. Inoltre, la tassa sulle vacanze - 5 euro in più a notte per andare in albergoPag. 53- non tiene conto anch'essa del reddito, colpendo in maniera molto più pesante le famiglie con reddito basso.
L'investimento che una famiglia fa avendo un minimo di disponibilità è quello di acquistare i BOT; ebbene, avete previsto un incremento dei BOT dal 12,5 per cento al 20 per cento. Il problema è verificare se poi tali risorse vengono spese in maniera adeguata.
Il terzo pilastro della manovra è costituito dal rigore nella spesa, dalla tenuta dei conti pubblici per rientrare nei parametri di Maastricht. Si tratta di una bugia colossale, in quanto la manovra fa perdere mezzo punto di PIL nell'anno venturo; sarebbe bastato non fare nulla e si sarebbe rimasti all'interno di tali parametri.
Concludo con una perla sul rigore. Quando abbiamo visto un emendamento presentato dal relatore Ventura che prevede per il Belice ancora 760 milioni di euro, abbiamo capito che il rigore non esiste proprio! Io non ero ancora nato quando c'è stato il terremoto in Belice (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceroni. Ne ha facoltà.
REMIGIO CERONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, la Camera dei deputati è chiamata a convertire in legge il decreto-legge 15 settembre 2006, n. 258, recante disposizioni urgenti di adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee emessa in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia di detraibilità dell'IVA.
La Corte di giustizia europea, III sezione, ha emesso appunto una sentenza con la quale ha bocciato il regime italiano di detraibilità dell'IVA per le vetture aziendali. In particolare, la Corte ha dichiarato inammissibile la deroga al diritto di detrazione dell'imposta sul valore aggiunto sui veicoli aziendali concessa nel 1979 solo con carattere temporaneo e giustificata da motivi congiunturali e poi prorogata di anno in anno fino ai giorni nostri.
La pronuncia ha rivoluzionato il settore.
I soggetti passivi che hanno subito l'applicazione illegittima dell'articolo 17 della VI direttiva IVA 77/388/CEE hanno, quindi, pieno diritto a ricalcolare il proprio debito IVA nella misura in cui i beni e i servizi in questione sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta effettuate nell'esercizio dell'attività dell'impresa. Quindi, la detrazione comprende, ad esempio, il caso di veicoli utilizzati per il trasporto dei lavoratori, ma non quelli assegnati come benefit ad uso privato ai dipendenti aziendali. Il Governo è corso ai ripari approvando, per gli adempimenti conseguenti alla sentenza, il decreto-legge n. 258 del 15 settembre 2006 oggi in discussione. La domanda di pronuncia pregiudiziale ha avuto per oggetto l'interpretazione dell'articolo 17, paragrafo 7, della VI direttiva del Consiglio n. 388 del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazioni delle legislazioni degli Stati membri relativa alle imposte sulla cifra d'affari.
Tale domanda era stata presentata nell'ambito di una controversia tra la società a responsabilità limitata Stradasfalti e l'Agenzia delle entrate, ufficio di Trento, in merito al rimborso dell'imposta sul valore aggiunto che la Stradasfalti ha sostenuto di avere indebitamente versato negli anni dal 2000 al 2004 per l'acquisto, l'uso e la manutenzione di veicoli da turismo che non formavano però oggetto dell'attività propria di tale società. Per fare chiarezza, bisogna spiegare l'articolo 17 della VI direttiva, il quale è intitolato «Origine e portata del diritto a deduzione». Tale articolo dispone al paragrafo 2, lettera a), che nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall'imposta di cui è debitore l'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo. Sono, comunque, escluse dal diritto a deduzione le spese non aventi un carattere strettamente professionale, qualiPag. 54le spese suntuarie, di divertimento o di rappresentanza. La stessa direttiva, all'articolo 29, paragrafi 1 e 2, ha istituito per l'appunto un comitato consultivo dell'imposta sul valore aggiunto che può accordare eventuali deroghe al principio generale della detraibilità. Con la sentenza, la Corte di giustizia ha ribadito che la consultazione del comitato IVA, previsto all'articolo 29, costituisce un'imprescindibile condizione procedurale per l'esercizio delle deroghe congiunturali relative all'IVA. Tale consultazione permette alla Commissione e agli Stati membri di controllare l'uso da parte di uno Stato membro della possibilità di derogare al regime generale delle detrazioni dell'IVA, verificando in particolare se la misura nazionale di cui trattasi soddisfi la condizione di essere stata adottata per motivi congiunturali. L'articolo 17, paragrafo 7, della direttiva prevede, quindi, un obbligo procedurale che gli Stati membri devono rispettare per potersi avvalere della norma derogatoria da esso stabilita. Quindi, la consultazione del comitato IVA risulta essere un presupposto fondamentale per l'adozione di qualsiasi misura derogatoria.
La misura in questione è stata introdotta nella legislazione italiana nel 1979 come norma permanente. Tuttavia, a partire dal 1980 è stato fissato un limite temporale alla sua efficacia, limite che, come ho già detto, è stato sistematicamente prorogato. Il comitato IVA della Comunità europea fin dal 1980 ha costantemente segnalato al Governo italiano come la deroga in questione non potesse giustificarsi in base all'articolo 17, paragrafo 7. Il Governo italiano nelle riunioni del 1999 e del 2000, quando era Presidente del Consiglio l'onorevole D'Alema, aveva assunto l'impegno di riesaminare e modificare la misura a partire dal 1o gennaio 2001. Tuttavia, nulla è stato fatto in questo senso. Quindi, la decisione della Corte di giustizia europea appare del tutto giustificabile. Bene ha fatto a stroncare questa norma vessatoria nei confronti delle imprese e dei professionisti in italiani.
Di questa sentenza possiamo aver chiaro un aspetto, ossia che esiste l'obbligo procedurale di consultazione del comitato medesimo nel caso che i paesi membri intendano adottare una misura nazionale che deroghi al regime generale delle detrazioni di imposta sul valore aggiunto, come esiste l'obbligo di fornire a tale comitato informazioni sufficienti per consentire di esaminare la misura con cognizione di causa.
Non fa male ribadire tutto questo, perché mi pare che, ad oggi, il Governo non abbia capito questo aspetto. Con la sentenza la Corte ha ribadito che l'articolo 17, in prima fase, deve essere interpretato nel senso che nessuno Stato membro è autorizzato ad escludere alcuni beni dal regime delle detrazioni di imposta sul valore aggiunto senza aver prima consultato il comitato consultivo istituito dall'articolo 29 della direttiva stessa. Inoltre, nessuno Stato membro è autorizzato ad adottare provvedimenti in tal senso, neanche quando essi siano temporali e, o, facciano parte di provvedimenti mirati a ridurre il disavanzo di bilancio o a consentire il rimborso del debito pubblico.
Qualora una esclusione dal regime delle detrazioni non sia stata stabilita, conformemente all'articolo 17 della direttiva 77/388/CEE, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroga al principio del diritto alla detrazione di imposta. Nel qual caso, il soggetto passivo deve essere messo in condizione di ricalcolare il suo debito di imposta sul valore aggiunto conformemente alle disposizioni dell'articolo 17.
La pronuncia della Corte, quindi, è chiara ed inequivocabile, ma il Governo, ancora una volta, si è posto in posizione palesemente contraria alla direttiva europea e al mondo delle imprese e delle professioni.
La sentenza della Corte di giustizia europea ha sancito che alle imprese e ai professionisti italiani competono la detrazione dell'IVA sulle spese inerenti ad operazioni imponibili relative all'esercizio dell'attività dell'impresa. Imporre in Italia una norma contraria a questo principio significa violare la direttiva europea, lederePag. 55il principio della libera concorrenza, penalizzare le imprese italiane, perché non poter detrarre l'IVA per l'acquisto dei mezzi che servono all'attività significa infliggere un altro duro colpo alla competitività delle nostre imprese; infine, significa aprire un'altra serie imponente di contenziosi.
Non sfugge ad alcuno che le imprese italiane sono le più tartassate del continente per effetto di tante norme. Vorrei ricordare: l'IRAP, imposta di rapina, istituita due legislature or sono; il costo del lavoro, che, in Italia, è tra i più alti d'Europa; il costo dell'energia, che le imprese acquistano e che è tra i più alti in Europa; la carenza di infrastrutture, che fa aumentare i costi di produzione delle merci italiane di oltre il 5,10 per cento.
Allora, domando al Governo: come pensate di rendere competitive le imprese italiane sui mercati internazionali, se ogni occasione è buona per penalizzarle?
Il Governo doveva, quindi, con calma, con ponderazione, con buonsenso, adottare un provvedimento per stabilire le modalità e i termini con cui i soggetti interessati provvedono a ricalcolare il proprio credito d'imposta, prevedendo la possibilità di compensare il credito con eventuali debiti maturati.
Neanche in questa occasione, il Governo, che passerà alla storia del nostro paese per essere stato (il passato è d'obbligo) il Governo più «tassaiolo» della storia della Repubblica, ha voluto smentire se stesso. Infatti - diciamocelo -, questo Governo, fin dalla sua costituzione, malgrado il buon andamento delle entrate fiscali derivanti degli effetti positivi delle politiche economiche e finanziarie attuate dal precedente Governo Berlusconi per oltre 15 miliardi di euro, ha prodotto una serie di pesanti norme in materia fiscale, norme occhiute, sgradevoli, poliziesche e vessatorie nei confronti dei contribuenti, con particolare accanimento nei confronti di alcune categorie meno generose con il centrosinistra nelle passate elezioni politiche.
Il giorno dopo la pronuncia della Corte di giustizia europea, a tempo di record, il Governo ha adottato il provvedimento che stiamo discutendo in una versione che ci pare spicciativa, superficiale, confusa, poco chiara e con il preciso intento di vanificare e di aggirare, almeno parzialmente, la sentenza.
Tornando al provvedimento in esame, le imprese ed i professionisti per effetto delle norme in questione hanno versato allo Stato, a partire dal 1979, una quantità di imposte non dovute. La maggior parte delle imposte versate per effetto di queste norme capestro non possono essere oggetto di una richiesta di rimborso poiché i termini si sono prescritti. Quindi, un governo dotato di buon senso e di maggiore rispetto per i diritti del contribuente e per il mondo delle imprese e delle professioni avrebbe adottato un provvedimento attraverso cui, in primo luogo, ribadire il termine ordinario decennale per dar corso alla prescrizione del diritto al rimborso, così come prescritto dall'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972; ciò, tra l'altro, è ribadito da tante sentenze, ma ne citerò solamente alcune.
La recente sentenza n. 87/36/05 della commissione tributaria regionale del Lazio afferma: «Premesso che l'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 prevede che, nel caso in cui dalla dichiarazione annuale IVA presentata dal contribuente risulti un importo di versamento dell'imposta in eccedenza rispetto a quanto sarebbe effettivamente dovuto, questi ha la facoltà di scegliere tra una detrazione di pari importo nella dichiarazione dell'anno successivo oppure il rimborso dell'intero credito o di una parte dello stesso». In questo senso, anche la Corte di cassazione si è pronunciata con la sentenza n. 19510 del 19 dicembre 2003 affermando espressamente: «Il termine di prescrizione decennale del diritto al rimborso decorre a partire da due anni e tre mesi dalla data di presentazione della dichiarazione annuale». Voi avete completamente ignorate queste sentenze, infatti la norma prevede che gli interessati possono avere diritto al rimborso solo a partire dal 2003; quindi, tutto quello che hanno versatoPag. 56dal 1979 in poi è andato completamente perso. Inoltre, nel decreto-legge avete fissato al 15 dicembre il termine per la presentazione della domanda di rimborso. Oggi non vi sono neanche i modelli, il decreto-legge non è ancora stato convertito, ma il termine di scadenza per presentare la domanda di rimborso era stato fissato al 15 dicembre. Solo grazie alla battaglia che l'opposizione ha sostenuto al Senato tale termine è stato poi spostato al 15 aprile, questa volta in maniera ragionevole senza dar corso ad alcuna prescrizione: cioè, se un soggetto non presenta la domanda, comunque al momento non perde il credito. Tra l'altro, non si capisce perché il termine non è stato fatto coincidere con quello relativo alla presentazione annuale della dichiarazione IVA: mi riferisco alla data del 30 marzo.
Successivamente, siete intervenuti per ridurre gli effetti della norma, perpetrando un autentico imbroglio attraverso i commi 25 e 26 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 262 del 3 ottobre 2006, con il quale avete introdotto un limite alla detraibilità.
Mi pare fin troppo ovvio che nel procedere a questa limitazione del diritto alla detrazione dell'IVA pagata per gli autoveicoli, per i servizi e per i mezzi di consumo relativi a questi strumenti il Governo doveva chiedere il parere della commissione di cui all'articolo 29, ma ciò neanche questa volta è stato fatto.
Voi rischiate di approvare una legge che sarà di nuovo impugnata dalle aziende e sconfessata dalla Unione europea.
È davvero incredibile, infatti, che il Governo, nel momento in cui è costretto a dare attuazione ad una sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea, alleggerisca le norme in materia di detraibilità dell'IVA per i lavoratori autonomi e le imprese, con un beneficio finanziario per i contribuenti di circa 5 miliardi di euro l'anno, e contestualmente, con il decreto-legge n. 262, disponga inasprimenti di pari importo in materia di detraibilità, ai fini delle imposte sul reddito, per l'acquisto e le spese di esercizio di autoveicoli. Il Governo, quindi, con una mano dà e con l'altra, immediatamente, il giorno dopo, toglie ciò che ha dato. Non ci sono davvero parole per giudicare il comportamento scorretto del Governo.
Avete fatto, poi, ancora di più: avete deciso di far operare queste norme recanti limiti alla detrazione con effetto a valere dal 1o gennaio 2006, quindi con effetto addirittura retroattivo, contravvenendo allo statuto del contribuente e calpestando i suoi più elementari diritti.
Desta sconcerto anche la scelta di escludere la possibilità di detrarre o compensare il credito IVA con le altre imposte dovute alla scadenza, cosa che, invece, come indicano alcune sentenze, doveva essere fatta. Ciò è palesemente in contrasto con le norme comunitarie e soprattutto con il buon senso. Escludendo la possibilità di compensare i tributi da versare con quelli già versati in eccedenza, si aprirà un nuovo contenzioso, che comincerà nelle commissioni tributarie, nei tribunali, per finire, ancora una volta, presso la Corte di giustizia europea.
Come sappiamo, ogni legge deve avere la copertura finanziaria. È dunque davvero clamoroso che questo decreto-legge non l'abbia. Come si fa a sostenere che, agli effetti contabili, il decreto non produce oneri a carico del bilancio dello Stato? Se è previsto che al contribuente vada rimborsato quello che è stato versato in eccedenza, come si può pensare che questo decreto non comporti oneri?
Quello, poi, che più mi meraviglia è che questo disegno di legge è presentato dal Vicepresidente del Consiglio dei ministri D'Alema, il quale dice proprio che il provvedimento non comporta nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Ma, rappresentante del Governo, quando è stato predisposto questo provvedimento, il Vicepresidente del Consiglio lo ha visto? Lo ha firmato veramente lui? Perché, se, come si dice in giro, sostituirà presto Prodi alla guida del paese essendo il nuovo Presidente del Consiglio designato, qui effettivamente si mette in discussione la sua capacità. Penso chePag. 57anche un bambino capisca che questo decreto-legge ha effetti economici sul bilancio dello Stato.
Nella nota di aggiornamento del DPEF, che è stata predisposta dopo la sentenza, in nessuna voce, sono stati inseriti i 17 miliardi di euro presunti, necessari per restituire al contribuente quanto dovuto, a meno che non pensate di far fare al contribuente le domande di rimborso, tenerle nel cassetto e lasciare a qualche Governo futuro di trovare le risorse necessarie per rimborsare i crediti che i contribuenti hanno maturato. Questa è un'ipotesi tanto plausibile che, nel decreto, non è stato previsto alcun termine entro il quale lo Stato deve provvedere al rimborso.
Non sono solo queste le osservazioni da fare al provvedimento. Queste erano le più importanti. Ci domandiamo, ad esempio, per quale motivo il contribuente sia obbligato ad inviare la domanda di rimborso solo per via telematica. Ci domandiamo perché debba essere il direttore dell'ufficio delle entrate a stabilire il modello e le differenti percentuali di detrazione dell'imposta.
Infine, francamente, non siamo riusciti ancora a capire quale sia il valore economico reale di questa sentenza, in altri termini - sarebbe opportuno che il rappresentante del Governo lo chiarisse - a quanto ammontano le minori entrate per effetto di questa sentenza e a quanto i rimborsi da effettuare. Sono andato a ricercare qualche indicazione nel disegno di legge finanziaria.
Nel documento predisposto dagli uffici, Dati sulla manovra 2007, n. 5, del 16 ottobre, viene detto che la manovra per 34,8 milioni di euro non comprende le risorse necessarie a rendere neutrali gli effetti della sentenza, che ammontano a 5,3 miliardi di euro. Inoltre, nel documento, sempre predisposto dagli uffici, Manovra di finanza pubblica per il 2007 e Bilancio 2007, Atto Camera 1746-bis e Atto Camera 1747, del 12 ottobre, si afferma che la sentenza ha comportato, o comporterà, un minor gettito tributario stimato in 3.700 milioni di euro per il 2006 e maggiori oneri, in termini di indebitamento netto, pari a 13.400 milioni di euro per il pagamento degli arretrati relativi agli anni 2003-2005. Insomma, stiamo proprio dando i numeri (mai come questa volta l'espressione è stata più esatta): peccato che non possano essere giocati su nessuna ruota!
Provengo da un'altra esperienza, quella del consiglio regionale, e mi domando: come si fa a discutere di un provvedimento senza avere l'esatta dimensione degli effetti economici che il medesimo determina? Io penso che voi facciate un uso troppo disinvolto e spregiudicato dei numeri. I numeri sono numeri, non sono opinioni, ed il tentativo di giustificare le vostre scelte, buttando là ogni volta numeri diversi è un errore. Non è certo questo il modo corretto di operare, perché voi, quando dovete dimostrare che la sentenza reca un grave colpo agli equilibri di bilancio, allora dite che la stessa ha un impatto economico incredibile e «pesa» 20 miliardi di euro; quando, invece, dovete minimizzare l'entità della manovra finanziaria, allora la sentenza stessa vale solo circa 5,3 miliardi di euro!
In conclusione, non si capisce l'ostinazione del Governo nel non voler accogliere le proposte di molti colleghi, che sono state avanzate in Commissione finanze. Sono suggerimenti necessari a dare a questo provvedimento una forma diversa ed una maggiore credibilità e sono dettati soprattutto dal buonsenso. Noi, purtroppo, di questo provvedimento possiamo condividere solo il titolo. Un collega in precedenza diceva: noi l'avremmo pure condiviso, ma così com'è non possiamo esprimere sullo stesso un voto favorevole. Allo stato delle cose, se verrà approvato così com'è, noi possiamo condividerne, come detto, solo il titolo. Quindi, se farete una votazione sul titolo, esprimeremo un voto favorevole, per il resto, il nostro voto non potrà che essere assolutamente contrario (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
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BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, oggi l'onorevole Visco ha rilasciato una dichiarazione segnalando la propria soddisfazione per il fatto che il gettito fiscale aumenta oltre l'aumento del PIL. Dico ciò perché il viceministro Visco non ha perso occasione, anche in relazione al provvedimento di cui stiamo discutendo, per polemizzare, oltre il ragionevole e contro la realtà, con il Governo precedente, dichiarando che la decisione della Corte di giustizia europea sulla detraibilità dell'IVA relativa alle autovetture aziendali è l'ennesima, pesante eredità lasciata dal Governo Berlusconi al centrosinistra. Sono parole che si commenterebbero da sole, considerato anche ciò che dicevo in precedenza, ossia che il viceministro Visco, prima o poi, dovrà arrendersi al fatto che, almeno per quanto di sua competenza specifica, l'eredità del Governo Berlusconi e del ministro Tremonti tutto è tranne che pesante.
L'aumento di gettito fiscale cui abbiamo assistito in questo 2006, infatti, non può essere attribuito sicuramente alla paura che, in qualche modo, si sarebbe impossessata dei contribuenti italiani al semplice arrivo del viceministro Visco; piuttosto, tale incremento si è determinato in conseguenza delle misure varate dal precedente Governo, in particolare con l'ultima legge finanziaria. Quindi, non è vero che l'eredità sia pesante e, particolarmente, non lo è in relazione al tema specifico della indetraibilità dell'IVA per i costi - sia di acquisto sia di uso e manutenzione - sostenuti per le autovetture aziendali. Come sappiamo benissimo - è stato asserito decine di volte e lo ribadisco anch'io in questa discussione -, si tratta di un tema che, per così dire, ci portiamo dietro fin dal 1980; soprattutto, si tratta di una questione che gli ultimi Governi di passate legislature (in particolare, l'ultimo Governo Amato) si erano impegnati ad affrontare - impegno assunto con l'Unione europea - già a partire dal 2001, quindi con la finanziaria scritta e votata dall'Ulivo nel 2000. Si tratta perciò di una questione che anche il centrosinistra, pur in presenza di un impegno assunto alla fine di quella legislatura, ha scaricato sul successivo Governo. Quindi, mi sembra che le parole del viceministro Visco siano frutto di polemica sterile; infatti, non si tratta, in tal caso, di capire se sia stato Amato che ha scaricato su Berlusconi una sorta di polpetta avvelenata o se ciò sia invece accaduto in seguito, da parte dell'ultimo Governo della passata legislatura. La verità è che si è trattato di una vicenda che nessun Governo ha voluto affrontare fino a quando è scattata la 'tagliola' della sentenza della Corte di giustizia. Caso mai, ci si potrebbe e ci si dovrebbe interrogare sul perché, in questo paese, tale tipo di provvedimenti giungono sempre quando proprio è inevitabile che vengano assunti perché scatta qualche tagliola, una procedura di infrazione o, come in questo caso, una sentenza della Corte di giustizia di Lussemburgo.
Ciò premesso, ritengo non sia possibile non inserire questa discussione - ed anche il voto contrario che il centrodestra si appresta ad esprimere sul provvedimento - nell'ambito più generale della questione fiscale così come affrontata dal disegno di legge finanziaria e dai decreti-legge collegati, provvedimenti sulla cui discussione e votazione il Parlamento - nello specifico, la Camera dei deputati - è attualmente impegnato.
Una questione fondamentale è relativa al rapporto tra fisco e contribuente. Infatti, come è stato sottolineato più volte nell'ambito di questa discussione - poi, brevemente, mi soffermerò su tale punto anch'io toccando alcuni dei temi centrali affrontati dai colleghi dell'opposizione -, vi è un problema complessivo di rapporto tra fisco e contribuente. Tale provvedimento, nel suo piccolo, poteva essere l'occasione per dare un segnale di chiarezza, di trasparenza e di immediatezza; infatti, nel momento in cui, per una volta, è il fisco dalla parte del torto, si poteva dare il segnale che il fisco reagisce con prontezza e con rispetto (in questo caso, in riferimento ad una sentenza della Corte di giustizia europea).
Quindi, senza alcun tipo di artificio e senza fare melina, si poteva giungere aPag. 59definire un provvedimento di rimborso effettivo, certo e rapido nei tempi e nelle modalità. Tale scelta non è stata perseguita e ritengo che ciò abbia costituito un grave errore, specie nel momento in cui si poteva, invece, dare un segnale diverso. Del resto, la via seguita è invece coerente con l'idea di uno Stato che opera con due pesi e due misure per cui, quando è in mora, il contribuente deve scattare sull'attenti mentre, quando in mora viene messo lo Stato, si fa in realtà melina e si cerca in ogni modo di diluire l'impegno nel tempo, e con modalità tutt'altro che semplici ed efficaci.
Ma da un Governo che ha intrapreso la via dell'adozione di misure vessatorie e «di polizia» per affrontare il problema dell'evasione fiscale, anziché fermarsi e riflettere un attimo, non ci si poteva attendere altro. Tra l'altro, vorrei osservare che esso non si è reso conto che, forse, sarebbe stato meglio cavalcare l'onda della crescita del gettito tributario e comprendere il motivo per cui ci troviamo di fronte a tale aumento: a mio avviso, infatti, siamo di fronte ad un paese che, anche sotto il profilo fiscale, sta reagendo alle storture del passato.
Questo Esecutivo, invece, ha voluto affrontare ideologicamente la questione, a partire dal cosiddetto decreto Bersani-Visco. Tale provvedimento, infatti, ha previsto una serie di misure vessatorie per i contribuenti e, come ho precedentemente affermato, «di polizia»; esso, inoltre, ha puntato alla creazione di un clima non di reciproca fiducia, ma di paura e di terrore.
In questo caso, ahimè, credo di essere facile profeta di sventura, poiché vorrei sottolineare che tale impostazione produrrà effetti controproducenti ed opposti a quelli desiderati dal viceministro Visco.
Oltre alle misure vessatorie di cui ho prima parlato, si è passati direttamente - e questa è la cifra, ormai nota agli italiani, della manovra di finanza pubblica che stiamo discutendo - all'inasprimento delle imposte, attraverso l'aumento sia delle aliquote IRPEF, sia dei contributi previdenziali. Credo si tratti della via peggiore che possa essere seguita, dal momento che è destinata soprattutto - ed è ciò che mi interessa maggiormente - a dare i peggiori risultati in termini di incremento del gettito tributario. Infatti, si vogliono aumentare le entrate attraverso non l'allargamento della base imponibile e l'erosione degli spazi di evasione fiscale, ma l'inasprimento delle aliquote.
Tutto ciò è stato già sostenuto, ed intendo ricordarlo brevemente, prima di formulare qualche puntualizzazione sul decreto-legge in esame, nonché sulle ragioni per cui esprimeremo un voto contrario alla sua conversione in legge: si trattava, infatti, di un provvedimento che aveva tutte le caratteristiche per essere «automatico», e quindi in grado di poter godere dell'appoggio tanto della maggioranza quanto dell'opposizione.
Vorrei rilevare che tutto questo inasprimento fiscale è volto non a correggere il deficit del bilancio statale (per tale scopo, infatti, sarebbero bastati 10 o 15 miliardi di euro al massimo), ma a finanziare una pletora di interventi che si afferma essere destinati allo sviluppo economico.
Anche in tal caso, saremo facili profeti, ancorché di sventura: tali misure, infatti, incideranno ben poco sullo sviluppo, poiché ritengo che le aspettative generate dall'impostazione di politica fiscale adottata da questo Governo, che molto incidono sulla crescita economica, in realtà deprimeranno la crescita in misura maggiore rispetto a quanto potranno fare le singole misure volte a stimolare il dinamismo dell'economia del paese.
Mi riferisco, ad esempio, alla riduzione del cuneo fiscale, di cui si è già parlato nel corso della nostra discussione. Ho ascoltato un economista membro di questo Parlamento, l'onorevole Nicola Rossi, affermare che tale riduzione potrà produrre effetti per un anno e mezzo o due (forse io sarei stato un po' più generoso), dopodiché essa verrà assorbita. Ricordo inoltre che è stato sostenuto, da parte di autorevoli analisti ed economisti, che la riduzione del cuneo funziona un po' come una svalutazione: si tratta di una piccola iniezionePag. 60di «droga» in una parte dell'economia che verrà successivamente riassorbita, fermi restando i problemi strutturali che minano la competitività delle aziende italiane, i quali non sono rappresentati dal costo del lavoro o dal citato cuneo fiscale.
A tale riguardo, desidero aprire una parentesi: se non avessimo il sistema previdenziale assurdamente più generoso del mondo, non avremmo tale problema. Ricordo, infatti, che in Italia il cosiddetto cuneo fiscale è rappresentato soprattutto da aliquote contributive obbligatorie pari al 32 o 33 per cento, il cui gettito finanzia il sistema previdenziale pubblico. Preannunzio che, successivamente, svolgerò una riflessione molto breve sul trattamento di fine rapporto (TFR).
Questa è l'impostazione sbagliata: si sceglie la polizia fiscale, si sceglie l'aumento delle aliquote per finanziare provvedimenti di sviluppo, senza considerare il fatto che questi aumenti e queste misure fiscali deprimeranno molto di più, rispetto a quanto può invece incentivare il provvedimento di riduzione del cuneo fiscale. Un provvedimento, quest'ultimo, che peraltro fotografa una situazione produttiva come quella italiana attuale, non incentivando i settori più innovativi perché agisce sul costo del lavoro e spesso le aziende che sono riuscite a ridurlo sono proprio le aziende più innovative, che dunque si trovano di fronte ad un incentivo che funziona in modo perverso, che cioè premia coloro che meno andrebbero premiati.
Parlavo prima della questione previdenziale. Uno dei capisaldi di questa manovra finanziaria è il trasferimento, di imperio, all'INPS del TFR inoptato, per una parte delle aziende, quelle che hanno più di 50 dipendenti. Credo che presto si rivelerà un grave errore pratico e concettuale. Intanto la follia di reintrodurre un'ulteriore soglia, nell'ambito delle tante soglie burocratico-normative esistenti nell'approccio normativo e fiscale dello Stato nei confronti delle aziende italiane. Ecco, credo che di tutto si sentisse il bisogno, tranne che di una nuova soglia fissata a 50 dipendenti, che produrrà effetti perversi: chi ha 51 dipendenti cercherà immediatamente di arrivare a 40, mentre chi ne ha 49 difficilmente salirà a 50 o 51, per evitare di sobbarcarsi ulteriori oneri finanziari derivanti dallo spostamento del finanziamento dal TFR, che sta dentro le aziende, a finanziamenti di natura bancaria, perché poi questa sarà la realtà.
Dietro la questione del TFR c'è anche una grande mistificazione, quella che il trasferimento delle quota di TFR ai fondi pensione funzionerà per consentire il decollo della previdenza integrativa. Questa è una grande mistificazione, sulla quale è necessario fare chiarezza, e credo che in sede di discussione sulla finanziaria bisognerà intervenire. A mio avviso, è una mistificazione sostenere che con il trasferimento della quota di TFR ai fondi pensione, anziché alla liquidazione aziendale, si creerà quella massa critica necessaria a far decollare i fondi pensione. Questo non è vero, perché chiunque conosca i mercati finanziari sa che non è assolutamente necessario raddoppiare o triplicare o decuplicare la quantità di risorse investite, per aumentare i rendimenti (che sono l'unico aspetto che dovrebbe preoccupare, in termini strettamente previdenziali, chi ha a cuore le sorti dei lavoratori italiani)!
È una mistificazione sostenere che avere più investitori istituzionali serve come volano per l'economia italiana. Stando così le cose, credo che le società di gestione del risparmio, ai cui fondi chiusi - peraltro, a mio avviso, è stato un errore del centrodestra aver previsto solo i fondi chiusi - devolveranno le risorse dei fondi pensione, si comporteranno come si comportano i gestori di fondi comuni di investimento italiani, cioè devolveranno le risorse dove i rendimenti sono maggiori e, stando così le cose, comunque non in Italia.
Terza mistificazione: si punta sul trasferimento del TFR alla previdenza integrativa, pensando che questo per i lavoratori sia un vantaggio. Questo ovviamente non è assolutamente vero, se non nella misura marginale dell'incremento di rendimento, che si presuppone i fondi pensione avranno rispetto al TFR; ma se un lavoratore alla fine della propria carrieraPag. 61lavorativa va con la propria liquidazione presso una società finanziaria o presso una grande assicurazione ottiene una rendita, che presumibilmente non si discosterà molto da quella garantita dal TFR.
Quindi, il conferimento del TFR ai fondi pensione, se non si incide sulla previdenza obbligatoria, non è un vantaggio per i lavoratori, se non in misura del tutto irrisoria. Quindi, il problema vero della previdenza italiana, che è la previdenza pubblica obbligatoria, resta tale e quale. Queste sono considerazioni di natura generale.
Il provvedimento, purtroppo, risponde alla filosofia complessiva del «tassa e spendi», senza attenzione ad un rapporto nuovo tra fisco e contribuente, filosofia che è propria di questa manovra finanziaria.
Volevo sottolineare - non utilizzerò tutto il tempo a disposizione - alcuni elementi che sono già stati affrontati in questo dibattito da diversi colleghi, come l'onorevole Alfano, l'onorevole Ceroni, l'onorevole Fugatti, che è intervenuto questa mattina.
C'è un primo elemento, sottolineato in particolare da Ceroni poco fa, che è relativo alla mancata previsione di una misura di compensazione, per cui si arriva al seguente paradosso: si riconosce giocoforza il diritto al rimborso delle cifre versate impropriamente dai contribuenti, ma questo diritto non viene certificato nei tempi e viene reso farraginoso nelle modalità; a fronte di questo diritto, il Governo si cautela inasprendo dal punto di vista fiscale l'utilizzo - non solo quello, naturalmente - degli autoveicoli. Con il decreto fiscale, da poco approvato dalla Camera, viene ridotta infatti la possibilità di detrazione retroattiva (al 1o gennaio 2006). A fronte di costi certi nell'utilizzo dei veicoli aziendali, in termini di minor detraibilità dei costi stessi, è da capire quando avverrà il rimborso delle cifre pagate - e non dovute - per l'IVA. Credo che questo sia un modo inaccettabile di procedere. Alla fine, la sentenza della Corte di giustizia europea viene utilizzata come alibi per far partire da subito - anzi, da prima ancora, dal 1o gennaio 2006 - un aumento del carico fiscale sulle aziende, sui liberi professionisti, mentre per i rimborsi, che sono dovuti, si vedrà in che tempi agire. Questo è un aspetto paradossale e grottesco della misura di cui stiamo discutendo.
Esiste poi un problema relativo al ruolo affidato al direttore generale dell'Agenzia delle entrate. Credo che si sarebbe dovuto scegliere quanto meno la via del decreto ministeriale, non sottraendo alla responsabilità politica un passaggio così delicato come quello della definizione delle modalità attraverso le quali i contribuenti debbano accedere a questo rimborso. Credo che si sarebbe dovuto scegliere la via costosa - «costosa» per il bilancio dello Stato - della compensazione, ma questo è il minimo di dignità di comportamento: nel momento in cui si riconosce un credito, si dà immediatamente la possibilità di defalcarlo dai debiti (sempre nell'ambito delle dichiarazioni IVA), a maggior ragione, lo ripeto per la terza volta, nel momento in cui si è già prevista, dal gennaio 2006, sulla stessa problematica della detraibilità dei costi dell'autovettura, la compensazione per i maggiori oneri.
C'è poi la questione, già sollevata, della necessità di una dichiarazione telematica per la richiesta dei rimborsi. Non ho nulla contro le dichiarazioni telematiche, ma credo che sia piuttosto singolare che l'obbligo venga previsto anche per questo tipo di richiesta di rimborso, peraltro retroattiva di tre anni.
Solo di tre anni perché, comprensibilmente, non si è voluto essere più generosi di quanto necessità imponesse a seguito della sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea . Questo è un altro elemento sul quale ci si poteva confrontare. In particolare, si potevano accettare gli emendamenti da noi presentati, allo scopo di giungere ad un voto condiviso anche dall'opposizione. E dire che c'era una disponibilità di fondo: si trattava, infatti, di un atto dovuto e, per quel che riguarda me ed i miei colleghi, di tasse da rimborsare ai contribuenti - per una volta! - anziché di tasse in più da versare.Pag. 62
Le poche considerazioni di merito che ho esposto - tanti altri aspetti sono stati approfonditi dai colleghi intervenuti in precedenza - servono a spiegare il motivo per il quale noi voteremo contro il provvedimento in esame.
Ovviamente, non siamo contrari al rimborso dell'IVA non dovuta: ci mancherebbe! Il fatto è che, anziché cogliere l'occasione per dare un segnale nuovo, per creare un diverso rapporto tra fisco e contribuente, basato sulla fiducia e sulla trasparenza invece che sul sospetto (come anticamera della verità: così verrebbe da aggiungere, parafrasando un motto che, per altre e, sotto alcuni profili, più gravi questioni, è tipico della sinistra giustizialista), da un lato, si è scelta la via burocratico-amministrativa, senza prevedere una responsabilità politica, per quanto riguarda la definizione del regolamento, dall'altro, non è stata scelta la via della compensazione, com'era nelle legittime aspettative dei contribuenti e, dall'altro ancora, è stata scelta (si tratta di aspetto minimale, ma non meno significativo) esclusivamente la via telematica (ed è piuttosto singolare che non possa accedere al rimborso il contribuente che spedisca istanza e modello con raccomandata).
Si consideri, inoltre, che si è scelto (e la scelta è stata compiuta con il decreto fiscale) di utilizzare un provvedimento imposto da una sentenza della Corte di giustizia europea come alibi per rendere ancora più pesanti, per imprese e liberi professionisti (mediante la previsione di minori detrazioni), le imposte collegate all'utilizzazione di autoveicoli.
Per queste ragioni, signor Presidente, e concludo, mi unisco alle considerazioni già svolte dai colleghi intervenuti prima di me, che sottoscrivo: esse spiegano il voto contrario mio e dei deputati del gruppo di Forza Italia al provvedimento in esame. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole D'Ippolito. Ne ha facoltà.
IDA D'IPPOLITO VITALE. Grazie, Presidente.
Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, nei numerosi interventi che ho ascoltato, i colleghi che mi hanno preceduto, con diverse sensibilità e da diverse angolature, hanno offerto innumerevoli spunti di riflessione e di approfondimento relativamente alla struttura, all'oggetto, ai limiti, alle finalità del decreto-legge oggi al nostro esame. Sicché, sforzandomi di non ripercorrere argomenti già affrontati, limiterò le mie osservazioni alle questioni di merito e di metodo che sono, a mio giudizio, più rilevanti.
Ben si comprendono le ragioni alla base del decreto-legge ove si consideri, all'indomani della nota sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in materia di detraibilità dell'IVA, la necessità e l'urgenza di adeguare al diritto comunitario la normativa nazionale, per l'asserita, evidente incompatibilità delle disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 con esso.
Questione nota... una soluzione diventata non più differibile. La condanna europea del nostro paese ad una profonda riconsiderazione di disposizioni limitative della possibilità della detrazione dell'IVA, relativa all'acquisto o all'importazione di ciclomotori e simili, non adibiti ad uso pubblico, o di ricambi e di componenti dei menzionati veicoli, oltreché di quelli non inerenti all'attività propria d'impresa, renderebbe comprensibile, anzi doverosa, l'iniziativa del Governo, volta a sanare, a beneficio dei contribuenti - così si immaginerebbe -, una disparità di trattamento tra paesi membri all'interno dell'Unione europea.
Del resto, è abbastanza evidente che il necessario adeguamento della legislazione nazionale a quella sentenza crea difficoltà al Governo per i maggiori oneri a carico dello Stato collegati proprio all'obbligo di rimborso dell'IVA indebitamente versata; un quantum peraltro ancora da definire nella sua consistenza effettiva, posto che incerto è il termine di decorrenza del diritto di rimborso. Sul punto sarebbe perciò utile un chiarimento per stabilire se debba intendersi l'anno 2000, come sembraPag. 63evincersi dalla citata sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, ovvero il triennio 2003-2005, cui fa riferimento il DPEF 2007-2011.
Tuttavia, appare singolare - lo voglio sottolineare - lo strumento utilizzato dal Governo per il recupero delle somme volte a garantire la copertura di quei maggiori oneri, vale a dire l'emanazione di misure restrittive (articolo 7, commi 25 e 26, del decreto-legge n. 262 del 2006) per un importo pressoché uguale al beneficio previsto dalle nuove norme, con una previsione di incasso maggiore però di circa 84 milioni di euro.
Certo, era prevedibile una compensazione degli effetti della sentenza della Corte, soprattutto a fronte degli attuali e gravi problemi di finanza pubblica, ma non si può giustificare in alcun modo lo stratagemma per quel maggior guadagno a danno dei lavoratori e delle imprese. Si vanifica, di fatto, un'importante sentenza della Corte europea; se ne violano lo spirito e le finalità; si manifesta un'evidente contraddizione con l'affermata volontà di non appesantire la politica fiscale nazionale, senza mancare di sottolineare, aldilà delle quotidiane professioni di fede europeistica, il ricorso ad una furbizia di ben troppo facile evidenza, che probabilmente non sfuggirà al severo giudizio dei partner europei.
Così, il divieto di utilizzare la compensazione per i versamenti futuri del credito maturato, in applicazione della pronuncia comunitaria, costituisce una scelta grave, non condivisibile e lesiva, dei diritti dei contribuenti italiani; una scelta diversa avrebbe invece potuto garantire ai beneficiari, con maggiore certezza, l'effettività del rimborso dovuto.
Non ha perso l'occasione - e me ne rammarico - questo Governo di ribadire una linea ed un'impostazione culturale che vede lo Stato lontano dal cittadino all'interno di una visione politica invasiva e penalizzante. Nella fattispecie, la forte contrazione delle detrazioni, ai fini IRES, IRAP e IRPEF, delle spese di acquisto e gestione dei veicoli in uso ad imprese e lavoratori autonomi, per di più con effetto retroattivo dal 1o gennaio 2006, risulta sicuramente dannosa per i conti economici di innumerevoli piccole e medie aziende abituate a programmare il proprio budget in base alle normative vigenti.
Siamo di fronte ad una palese violazione non solo dello statuto del contribuente, ma di consolidati principi giuridici, che sanciscono l'efficacia delle norme ex nunc, e che ordinariamente la escludono ex tunc, ancor più se sfavorevoli.
Rimane il rammarico per l'andamento del dibattito in Commissione che ha visto sacrificati tutti gli emendamenti proposti dall'opposizione, con evidente pregiudizio della possibilità di miglioramento del testo e di un diverso atteggiamento dell'opposizione nella fase finale che oggi stiamo vivendo.
Alle perplessità sulle rigidità introdotte dal decreto, con la previsione della modalità telematica quale strumento esclusivo di inoltro della richiesta di rimborso e con l'esclusione della procedura cartacea che rappresenta ancora per molti lo strumento più facile sul presupposto - ahimè - irrealistico di una già compiuta modernizzazione informatica della società, si aggiunge quella sulla compatibilità costituzionale della disciplina introdotta dallo stesso decreto. Si tratta, infatti, di una deroga alle disposizioni vigenti in materia di rimborsi dei crediti IVA derivanti da pagamenti indebitamente effettuati che rischia di delineare ingiustificate disparità di trattamento fra contribuenti, talché risulterebbe assai utile l'abrogazione delle norme incompatibili con il diritto comunitario, ancora non attuata, oltre che una più complessiva rivisitazione del regime di detrazione fiscale che auspichiamo venga presto realizzata.
Per concludere, assolutamente scontato e condivisibile è l'adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di detraibilità IVA, non solo per gli evidenti benefici derivanti ad aziende e lavoratori autonomi, altresì alla luce della nostra visione liberale dell'economia che mira ad incentivare la politica degli investimenti, a sostenere, non a deprimere, la ripresa economica già avviatasi nel nostro paese aPag. 64partire dal Governo Berlusconi, al di là delle polemiche e dei diversi punti di vista - lo dimostra tra l'altro l'aumento del gettito fiscale prima richiamato dal collega intervenuto precedentemente -, ad incoraggiare, non a vessare, le categorie produttive ed il ceto medio in generale.
Del pari, risulta assai difficile la condivisione della scelta di questo Governo di perdere una occasione di costruttivo confronto parlamentare per mettere il nostro paese in linea con l'Europa, per fare chiarezza in un settore delicato ed importante, nel rispetto dei diritti dei contribuenti, ma nell'interfaccia esigente rispetto a doveri ben definiti nella sostanza, nelle procedure, nei centri di responsabilità.
Questioni, dunque, di merito e di metodo che credo possano rendere sufficiente ragione della contrarietà personale e del partito che rappresento a questo provvedimento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccuzzi.
FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, dal momento che la discussione è stata approfondita ed esauriente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Ceccuzzi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Alessandri.
ANGELO ALESSANDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, nel merito i colleghi del mio gruppo che mi hanno preceduto hanno già spiegato nel dettaglio quali sono le storture che sono a monte di questo provvedimento. Vi sono state diverse interpretazioni al riguardo; vi è stata una bocciatura, cui è seguita una nuova disciplina del testo (al Senato è stato anche piuttosto contrastato). Oggi ci ritroviamo di fronte ad una versione che crea non pochi problemi all'interno di un quadro già di per sé problematico e di un maxiquadro - diventa quasi un quadro astratto -, nel quale i problemi sono ancora maggiori.
Devo rilevare, da artigiano, da lavoratore con partita IVA, da presunto evasore, alcuni aspetti e lo farò cercando di utilizzare poco tempo. Intendo rimarcare due o tre aspetti.
Questa mattina, ho letto, come il collega Della Vedova, le dichiarazioni di Visco, quasi contento ed esultante perché entravano soldi, soldi sempre soldi. Sembra come quei re arroccati nel proprio castello che vedono arrivare le derrate, i risparmi dei contadini dalla campagna e, di fronte ai lai di qualche povero contadino che protesta perché gli è stato portato via tutto, dicono di fregarsene perché sono re e tutto devono avere e prendere.
Non si può essere felici perché vi è gente in difficoltà che paga. Stiamo facendo una finanziaria, o meglio la state facendo voi, tutta tasse, bastonate, lacci e priva di speranza, che porta il paese con la fiducia ridotta al minimo. Poi, vi è il decreto-legge in esame che riguarderebbe l'IVA. Mi viene da dire che bisognerebbe ribattezzare questa imposta e chiamarla, in luogo di imposta sul valore aggiunto, «Immaginate Visco Allegro».
Immaginare Visco allegro mi rende enormemente triste. L'uomo che si trova a monte di Padoa Schioppa dice che la cura da dare al paese deve durare altri due anni e guai se Prodi si fermerà, e che bisogna continuare ad avere rigore ed a bastonare e colpire chi già paga. Mi stanno tremando le vene ed i polsi, direbbe Dante, che, però, di fronte ad una classe politica come questa, che pecca della capacità di saper interpretare le esigenze del proprio popolo, metterebbe, per legge di contrappasso, questi politici in un girone di ignavi, se non di lussuriosi politici, se mi consentite di crearlo all'interno dell'Inferno.
Siamo di fronte alle solite manovre. Molti economisti hanno detto che sarebbero stati sufficienti 12, 14 miliardi di euro per rimanere nel Patto di stabilità europeo. Ora, sono diventati, secondo l'ultimo conto fatto, 45, o persino 60, senzaPag. 65considerare gli aumenti derivanti dagli enti locali. I comuni aumenteranno le tasse comunali, le province e le regioni le proprie. L'ICI aumenterà, con le revisioni degli estimi catastali, aumenteranno le accise sul petrolio, sulla benzina e sul gasolio, aumenterà il bollo per le auto (l'85 per cento del parco auto subirà un aumento). Chissà cosa avrete il coraggio di raccontare, alla fine, a qualche cittadino, magari appartenente a quelle categorie meno abbienti, che sperava in una sinistra che difendesse il lavoratore e chi sta peggio. Avete creato negli ultimi tempi una sorta di dicotomia sociale tra il padrone ed il lavoratore, ma il lavoratore sta aprendo gli occhi e vede che il minimo di guadagno che potrebbe avere dalla manovra finanziaria tout court sarà mangiato e diventerà una sorta di enorme tassa.
L'ipocrisia deve finire. Bisogna stare vicino alla gente, quella gente che la mattina si vuole alzare presto per lavorare, intraprendere, investire, rischiare, che crede che la politica non debba sempre e solo essere un ostacolo, che la classe politica non debba sempre e solo essere una sorta di UFO, un oggetto non identificato che arriva sotto Natale con la legge finanziaria per prelevare nuovi soldi o creare nuova burocrazia e che, anche quando ammette di avere sbagliato, non dà subito indietro i soldi, ma inventa formule meccaniche, algebriche, algoritmiche, addirittura forfettarie ed analitiche, per dire che forse, non si sa quando, li darà indietro. Non fa nemmeno le cose più semplici. Se proprio si devono dare questi soldi indietro, permettete di compensare la detraibilità dell'IVA con l'IVA che si dovrà versare a dicembre o gennaio. No, non è possibile. Si toglie anche la soglia di detraibilità per le auto, per fare in modo che i soldi che dovrebbero essere obbligati a risarcire non siano più dovuti. È uno Stato che fa pietà.
Qualcuno ha detto che il Governo - diciamo così - era alla canna del gas. Penso che il Governo possa tirare avanti ancora un poco, comprandosi qualche voto al Senato come fa con Pallaro. Per rimanere vicino a casa vostra, non ha l'accento sulla «o» finale e non ha la «b» iniziale, non è Ballarò, ma qualcosa di più tremendo. Non è un film né una trasmissione televisiva.
È un parlamentare eletto all'estero, e non sappiamo se si trovi a Roma o in spiaggia all'estero. Ha chiesto 14 milioni di euro attraverso i giornali: voi lo avete accontentato e ciò vi darà un voto. Ma sta passando un principio pericoloso: se ogni senatore ve lo chiede, pagheremo 14 milioni di euro per ciascun voto? Ciò è molto pericoloso!
Nel contempo, chi lavora e vuole continuare a farlo viene controllato. L'ho scritto e lo ripeto: chi di controllo fiscale e tributario ferisce, poi di controllo tributario e fiscale perisce! Poi, non si lamenti, Prodi, se vi è qualche «groviera» all'interno del sistema tributario! Peraltro, il messaggio di Visco era questo: dobbiamo controllare tutti, dobbiamo fare in modo che chi lavora non abbia più risorse, dobbiamo ridurre a zero il credito bancario e stabilire nuove tasse per tutti. Alla fine, ritenete che chi lavora continui a fare il lavoratore autonomo?
Credo che, nei vostri onirici deliri politici, vi sia l'idea che tutti dobbiamo diventare soci lavoratori di un consorzio cooperativo, magari gestito dalla Legacoop e dai compagni. Se è così, credo sia giusto che i cittadini, a partire da oggi, comincino a svegliarsi ed a scendere in piazza per dimostrarvi che le cose non vanno bene; credo sia giusto che comincino a ribellarsi. Noi li inviteremo nei prossimi giorni a Bologna, sotto casa di Prodi; e daremo loro un bigliettino su cui scrivere cosa pensano di questa maggioranza, di questo Governo e di questo Presidente del Consiglio. Credo sia importante che voi leggiate quei messaggini di «C'è posta per Prodi», e che vi rendiate conto che la società civile, i lavoratori, la gente onesta non sta dalla vostra parte. Forse, sarebbe meglio che un passo indietro con un minimo di dignità - se ancora vi è rimasta - lo faceste!