Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
DICHIARAZIONI DI VOTO FINALE DEI DEPUTATI MASSIMO NARDI, DANTE D'ELPIDIO, LANFRANCO TURCI, DONATELLA MUNGO, MAURIZIO FUGATTI E FRANCO CECCUZZI SUL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1808
MASSIMO NARDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi preannuncio il voto contrario del gruppo DC-NPSI al decreto- legge 15 settembre 2006, n. 258, recante disposizioni urgenti di adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia di detraibilità dell'IVA
Questa contrarietà nasce dall'esigenza di fare chiarezza su un provvedimento che, sicuramente, nella sua essenza, presenta contraddizioni e ambiguità.
Il decreto-legge in esame infatti, se da un lato dà attuazione alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee che prevede la restituzione dell'IVA per l'acquisto di beni tra cui ciclomotori, motocicli, autovetture ed autoveicoli anche non riconducibili all'attività d'impresa, dall'altro lato tutto sembra studiato per creare notevole difficoltà per i cittadini che, non solo sono vessati dalle tasse e non hanno un'assistenza sociale proporzionale a ciò che pagano, ma si trovano quotidianamente costretti a seguire mutamenti di rotta del Governo sulle modalità applicative e a istruirsi su nuove procedure per pagare sempre più tributi.
L'abolizione, infatti, dell'invio delle istanze su supporto cartaceo a favore dell'invio telematico ha sicuramente prodotto disorientamento in quel contribuente che, non ancora in possesso dei processi informatizzati adeguati, dovrà fare salti mortali per acquisire tecnologie a lui fino ad ora sconosciute e ha sottratto tempo prezioso al suo lavoro. Faccio, in particolare, riferimento all'adempimento imposto ai sensi del decreto-legge Bersani-Visco dell'invio telematico dei modelli F24 imposto ai titolari di partita IVA.
Inoltre che dire dei continui cambi di date relative alle presentazioni delle domande di rimborso? Inizialmente si è posto come termine il 15 dicembre 2006; adesso invece si parla di uno slittamento al 15 aprile 2007. Tutto sembra organizzato per scoraggiarne la presentazione. I conPag. 122tribuenti, dopo aver superato l'empasse della modalità telematica come esclusivo strumento di presentazione di tale istanza, si scontrano con l'esclusione del ricorso alle ordinarie procedure di detrazione e di compensazione dell'IVA, e notevole è quindi l'incertezza sui tempi stessi del rimborso. Viene sancito un diritto nei confronti dei cittadini e non si stabilisce il modo in cui questo diritto può essere riconosciuto.
Tale provvedimento, a mio parere, pone dei limiti all'applicazione immediata della sentenza e, non rispettandone lo spirito, rischia di incorrere nella censura delle autorità comunitarie. L'aver imposto, infatti, esclusivamente il canale della domanda di rimborso, impedendo l'accesso ai normali istituti della detrazione e della compensazione, potrebbe provocare una contestazione da parte della Corte di giustizia che censura l'introduzione di misure meno favorevoli rispetto a quelle ordinarie quando gli Stati membri devono rendere somme a seguito di sentenze della stessa Corte in tema di compatibilità con il diritto comunitario.
I tempi consentiti ai contribuenti per presentare le domande di rimborso sono eccessivamente ristretti e non vengono specificati i termini entro cui verranno rimborsate le imposte indebitamente versate. Quindi, perché continuare a disorientare il contribuente in un regime fiscale che già giudica labile e approssimativo?
Si prende atto, quindi, della scarsissima chiarezza su questa confusa vicenda che vede ancora una volta gli onesti cittadini privati dei propri diritti e il contribuente privato di una qualsiasi certezza.
È di tutta evidenza, quindi, che il provvedimento viola il principio fondamentale dell'immediata applicabilità della sentenza della Corte di giustizia e che necessiterebbe di alcune modifiche la cui mancata approvazione, c'è da augurarsi, non crei molti più problemi di quanti se ne dovrebbero risolvere.
DANTE D'ELPIDIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi Popolari-Udeur esprimeremo, per le motivazioni che mi accingo ad illustrare, un convinto sostegno al provvedimento di conversione del decreto-legge emanato dal Governo per adeguare la disciplina nazionale alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee datata 14 settembre 2006. La sentenza della Corte nasce da una richiesta della Stradasfalti srl, società che opera nel settore delle costruzioni stradali, che ha richiesto all'Agenzia delle entrate, ufficio di Trento, un rimborso da 31.340 euro per l'IVA pagata dal 2000 al 2004 per i propri veicoli aziendali, che non formavano oggetto dell'attività propria dell'impresa e che non hanno potuto quindi beneficiare della detraibilità dell'IVA.
L'annosa questione della detraibilità dell'IVA sulle auto aziendali si trascina da almeno 25 anni. In sostanza, la normativa italiana impedisce la detraibilità dell'IVA, mentre negli altri paesi europei essa è detraibile in una quota intorno al 50 per cento. Poiché le direttive europee non ammettono l'indetraibilità totale, ed il Governo italiano aveva agito negli anni in regime di deroga, il Governo Amato nel 2000 si era impegnato a riesaminare la misura a partire dal 2001 e aveva deciso di ridurre gradualmente l'indetraibilità partendo dal 90 per cento per arrivare nel corso degli anni successivi ad uniformarsi alla media degli altri Paesi europei. Ma purtroppo, negli anni successivi, nulla è stato fatto. E ci duole rimarcare per l'ennesima volta che il Governo Berlusconi ha trascurato gli ammonimenti dell'Europa. Forse perché nell'immaginario di quel Governo l'Europa era spesso dipinta come nemica, patrigna, un inutile fardello burocratico da respingere in nome di un'alleanza - che spesso si è rivelata solo subalternità - con gli Stati Uniti.
Nel dispositivo della sentenza si legge infatti che, a fronte della richiesta del Governo italiano di limitare nel tempo gli effetti della sentenza, invocando il grave danno che deriverebbe per l'erario e facendo valere il legittimo affidamento che nutriva nella legittimità della norma nazionale, la Corte ha risposto che le autorità italiane non possono far valere l'esistenza di rapporti giuridici costituiti inPag. 123buona fede, proprio in ragione degli ammonimenti già espressi dalle direttive precedenti e dall'impegno di rientrare nelle regole preso nel 2000, e che perciò «non occorre limitare nel tempo gli effetti della sentenza» Ciò che chiediamo pacatamente ai nostri colleghi ora all'opposizione è di sapere le ragioni di questo disinteresse; ricordiamo infatti che il ricorso che ha portato alla sentenza in questione è stato innescato nel 2004 e quindi era possibile arginare i danni all'erario che avrebbe prodotto. Tutti sapevano infatti che la sentenza sarebbe stata negativa, avendo già il Comitato IVA della UE segnalato che il regime di deroga attuato dall'Italia era oramai insostenibile. Ciò che vorremmo capire allora è se si è trattato di imperizia, di incompetenza o irresponsabilità. Ma la risposta a questa domanda si può facilmente intuire, se andiamo a vedere come sono stati i rapporti tra l'Unione europea ed il Governo italiano nella passata legislatura. Basterà guardare l'incremento del contenzioso e le innumerevoli norme italiane, fiscali e non, finite sotto accusa per la violazione della legislatura comunitaria.
Ma per tornare al presente, noi Popolari-Udeur ci riteniamo soddisfatti di come il Governo attuale ha affrontato questa emergenza, sia nell'immediato con la questione dei rimborsi sia per ciò che accadrà in seguito quando la norma andrà a regime. Prima di tutto vorremmo sottolineare che la Corte di Strasburgo ha assolutamente ragione e che la sentenza va accettata: l'IVA è infatti un'imposta generale che ha senso se si applica a tutte le opzioni. È stato scelto il modo migliore per dare attuazione alla sentenza: si è proceduto in modo ordinato per avviare una procedura in cui i contribuenti abbiano la possibilità di comunicare l'ammontare dell'IVA e ne motivino l'uso. Da qui la necessità del decreto che ci accingiamo ad approvare, utilizzato per evitare che si andasse ad un disordinato meccanismo di autocompensazione che avrebbe ingenerato una gran confusione e forse danni ancora maggiori.
Ora il nostro impegno sarà quello di cercare di cambiare rotta rispetto al passato. Non c'è un accanimento particolare da parte di Bruxelles nei nostri riguardi: il fatto è che ogni Paese si porta dietro la sua storia. E la nostra storia, specie negli ultimi anni, è tornata a parlare soprattutto di instabilità economica e di bilancio e di un forte debito pubblico che opera come una pesante zavorra nei nostri confronti. Anche in questa direzione va il nostro impegno a risanare i conti pubblici e il grande lavoro che stiamo svolgendo con la legge finanziaria.
Prima di tutto bisognerà tenere bene a mente che la normativa europea è frutto delle decisioni dei paesi membri, e quindi anche dell'Italia, e che perciò le direttive devono essere applicate. Altrimenti continueremo a pagare un prezzo altissimo, sia in termini di danni per l'erario, sia per quanto riguarda la nostra credibilità in Europa. Dobbiamo quindi impegnarci ad una inversione di tendenza, anche in questo campo, rispetto al Governo che ci ha preceduto, ponendo maggiore attenzione alla fase negoziale della normativa comunitaria, velocizzando la trasposizione delle direttive europee nel nostro ordinamento e così recuperare il ritardo accumulato negli anni e che ora ci pone all'ultimo posto in Europa per quanto riguarda l'adeguamento della nostra legislatura al diritto europeo.
Questi impegni sono determinanti per evitare nuovi danni per il nostro bilancio e tutelare tutti i contribuenti.
Riteniamo pertanto una posizione davvero poco comprensibile, se non per sterile contrapposizione, il voto contrario dell'opposizione che, in ultima analisi, si pone come un ostacolo agli interessi di cittadini e contribuenti, che a parole, ma davvero solo a parole, millanta di voler tutelare.
I Popolari-Udeur, signor Presidente, voteranno pertanto convintamente a favore del provvedimento.
LANFRANCO TURCI. Signor Presidente, intendo dichiarare il voto favorevole del gruppo della Rosa nel Pugno a questo decreto-legge necessitato dalla nota sentenza della Corte di giustizia europea in materia di Iva.Pag. 124
Non posso tuttavia sottacere le gravi responsabilità del Governo della scorsa legislatura per i pesanti effetti di questa sentenza.
Stiamo parlando di 13,4 miliardi di tasse da rimborsare e di nuove entrate alternative da reperire per alleggerire il peso aggiuntivo sul nostro debito pubblico.
Si poteva evitare questo esito? Sì.
Nel 2000 l'Unione Europea ha autorizzato retrospettivamente per l'ultima volta la nostra normativa in materia di detraibilità dell'Iva, per quanto fosse in contrasto con la direttiva europea del 1977.
In sostanza, considerando che la legge ora censurata dalla Corte di giustizia risale al 1980, abbiamo ottenuto in due momenti successivi (1990 e 2000) una sanatoria su venti anni di normativa pur in contrasto con la direttiva comunitaria.
L'ultima autorizzazione del 2000 ci imponeva di concordare, a partire dal gennaio 2001, con il Comitato Iva dell'UE una nuova normativa nazionale più in sintonia con la direttiva comunitaria.
Ebbene, dal 2001 si è continuato imperterriti sulla vecchia strada, creando le premesse della condanna intervenuta il 14 settembre ultimo scorso.
Ma questa non è l'unica responsabilità. C'è qualcosa di anche più grave. Com'è noto, la Corte di giustizia europea in caso di sentenze con gravi effetti finanziari sugli Stati membri, si riserva la possibilità di imporne l'applicazione solo per il futuro, senza produrre effetti - come pure sarebbe normale - anche per il presente.
Ebbene, al punto 76 della sentenza si afferma che «il Governo italiano non è riuscito a dimostrare l'affidabilità del calcolo, in base al quale esso ha sostenuto dinanzi alla Corte che la presente sentenza rischierebbe, qualora i suoi effetti non fossero limitati nel tempo, di comportare conseguenze rilevanti».
C'è veramente da restare scioccati di fronte questa considerazione della Corte! Come è possibile che il Governo non sia riuscito a dimostrare che 13.4 miliardi di euro (26.000 miliardi di vecchie lire) avrebbero avuto un effetto più che rilevante sulle finanze pubbliche? Teniamo presente che questa è una delle sentenze che producono effetti finanziari maggiori nella storia della Corte di giustizia.
Sarebbe davvero il caso che si procedesse ad una verifica di come in sede politica e tecnica è stata gestita questa vicenda di fronte alla Corte europea. E sarebbe anche il caso che l'opposizione di centro-destra, che si è opposta così duramente a questo provvedimento, si assumesse le responsabilità politiche della condotta del Governo Berlusconi nella scorsa legislatura.
DONATELLA MUNGO. Presidente, colleghe e colleghi deputati, rappresentanti del Governo, il gruppo PRC-SE considera il provvedimento in esame un atto doveroso e inevitabile a fronte di una sentenza della Corte di giustizia che, se immediatamente eseguita, avrebbe determinato un effetto negativo sui conti pubblici e avrebbe vanificato in buona sostanza gli sforzi per la costruzione di una manovra economica orientata al risanamento, allo sviluppo, all'equità.
È innegabile che la sentenza debba essere applicata. Il nostro paese è oggettivamente in infrazione delle disposizioni della VI direttiva. È anche vero che colpevolmente il Governo precedente non ha fatto ciò che doveva e che l'Unione europea si aspettava. Ci auguriamo che sarà possibile ottenere dall'Unione europea l'accettazione del doppio criterio, proposto dal Governo, sulla inerenza aziendale da un lato e sul sistema forfetario dall'altro.
Nel frattempo, si rende necessario un intervento che dia certezza ai contribuenti e sia compatibile con le previsioni di spesa. A questa esigenza risponde il decreto-legge presentato dal Governo ed emendato dal Senato.
Per questi motivi, dichiaro il voto favorevole del gruppo Rifondazione Comunista - Sinistra Europea.
MAURIZIO FUGATTI. Le motivazioni della contrarietà della Lega Nord Padania sono dovute al fatto che il provvedimento d'urgenza in esame è poco chiaro e confuso. Infatti, non si danno certezze alPag. 125contribuente circa i tempi entro i quali realmente avrà la possibilità di ottenere il rimborso. Inoltre, non viene riconosciuta al contribuente la possibilità di portare in detrazione il rimborso ottenuto e nemmeno di compensarlo. Si critica inoltre il fatto che la dichiarazione di rimborso dovrà essere fatta telematicamente e non con il modello cartaceo.
FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il provvedimento, il decreto n. 258 del 2006 sulla detraibilità dell'Iva in esame deriva dalla necessità di dare esecuzione immediata ad una sentenza della Corte di giustizia dello scorso 14 settembre e che il Governo ha prontamente affrontato con una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri, che si è tenuto l'indomani, 15 settembre.
Un'assunzione di responsabilità che mette il Parlamento in condizione di varare una soluzione ordinata per gestire le domande di rimborso che verranno presentate dai contribuenti, in attesa di affrontare e risolvere il problema a regime.
Vorrei sottolineare che, pur trattandosi di gestire l'ennesima pillola avvelenata lasciata in eredità dal Governo precedente, il disegno di legge esaminato dall'Aula può, legittimamente, essere inserito in una nuova attenzione che il nostro paese sta mostrando, dopo il cambio di Governo, rispetto alla dimensione europea ed internazionale della politica fiscale.
Richiamo il quadro generale e gli obiettivi dell'attività di governo per sottolineare come il modo migliore per evitare in futuro tali incidenti, assai onerosi per le casse dello Stato, e forieri di disagi per i cittadini - che a me non piace chiamare contribuenti - sia quello di lavorare con maggiore convinzione di quanto non abbia fatto il Governo precedente sul tasto dell'integrazione delle politiche fiscali.
Lo scorso 12 ottobre il viceministro dell'economia e delle finanze, onorevole, professor Vincenzo Visco, nel corso dell'audizione presso le Commissioni finanze di Camera e Senato, ha infatti affermato che per il Governo italiano la regolazione sopranazionale delle relazioni fiscali è uno dei capitoli principali della sfida dell'integrazione europea. L'interpretazione errata delle norme comunitarie, peraltro, può costare molto cara, e soprattutto in campo fiscale dove si gioca una consistente fetta del livello di competitività di un paese.
Il provvedimento assume, dunque, grande rilievo poiché si propone, com'è noto, di regolare il rapporto tributario tra una moltitudine di contribuenti, esercenti attività di impresa e professionisti, e l'erario.
Infatti, il disegno di legge che siamo chiamati ad approvare si limita a regolare le modalità attraverso le quali rendere certi e liquidi i crediti dei contribuenti, a fissare un termine per la presentazione delle domande, a vietare compensazioni tra il credito pregresso e i debiti di imposta correnti, in tal modo affermando certezze a favore ed a carico delle imprese, dei professionisti e dello Stato.
In realtà, dietro il dato contenutistico del provvedimento, relativamente semplice, si nascondono le sopraindicate complesse problematiche, che sono state evidenziate in questo dibattito.
Innanzitutto, credo meriti apprezzamento la tempestività con la quale il Governo ha inteso regolare la vicenda che è venuta a determinarsi nel modo predetto. Seppure sospinto dall'esigenza di evitare effetti dirompenti sulla finanza pubblica e possibili abusi derivanti dalla teorica possibilità di compensazione da parte dei contribuenti, l'intervento del Governo va sottolineato proprio perché esso è idoneo a definire i rapporti sorti antecedentemente alla sentenza, fissando tempi e procedure di riconoscimento dei crediti.
È sì vero che le pronunce interpretative di norme vigenti della Corte di giustizia hanno efficacia erga omnes, e sono quindi idonee a far sorgere diritti e comunque posizioni giuridiche qualificate, ma è altrettanto vero che dette sentenze non attribuiscono al cittadino l'automatica possibilità di ritenersi titolare di un diritto certo ed immediatamente esigibile, bensì legittimano gli stessi ad azionare la pretesaPag. 126avanti al giudice italiano, che dovrà nel caso anche procedere all'accertamento della situazione sostanziale sottostante.
La conseguenza principale è che, a seconda dei casi, dopo la pronuncia della Corte può essere messa in dubbio la certezza del diritto. Il Governo ha voluto quindi tutelare il cittadino contribuente, dare immediata certezza al rapporto tra cittadino e fisco, cercando di evitare ogni sviante tentativo di interpretazione giuridica. Ecco quindi che l'aver disposto una procedura ricognitiva del diritto non soltanto ha evitato immediati e negativi effetti sul bilancio dello Stato, ma ha anche permesso e permetterà ai numerosissimi contribuenti interessati di ottenere il rimborso, in moneta o mediante futura compensazione, senza essere costretti ad attivare una procedura giudiziaria.
Ed anche la già citata proroga per la presentazione di istanza di rimborso spostata al 15 aprile 2007 ed introdotta da Senato rappresenta una scelta precisa per venire incontro alle esigenze del cittadino che avrà più tempo a disposizione per richiedere il rimborso del credito. Un provvedimento che introduce un periodo più lungo e che recepisce, tra l'altro, un suggerimento dalla stessa Commissione dell'Unione Europea.
Nonostante le finalità e l'urgenza del provvedimento lasciatemi sottolineare, anche in questa occasione, lo sconcertante comportamento delle forze di minoranza che hanno caratterizzato i lavori parlamentari con interventi demagogici e strumentali pretendendo di sostenere i diritti di quei cittadini a cui avevano precedentemente negato la detraibilità.
La ratio di tale norma di contabilità è evidente: il Governo e il Parlamento non possono rincorrere la giurisprudenza ogni volta che questa emana pronunce interpretative su norme generatrici di oneri a carico del bilancio dello Stato. Si determinerebbero, in tal caso, conseguenze aberranti e incidenti anche sull'autonomia costituzionale del Parlamento.
Si riconosce un diritto e i termini dei rimborsi non potranno che essere successivamente fissati, anche in ragione dell'esatta quantificazione dell'onere che scaturirà dalle domande che saranno presentate dai contribuenti; si disciplinano le modalità di presentazione delle istanze; si rileva l'impatto sul debito pubblico. Non si vede cos'altro il Governo avrebbe dovuto fare e non ha fatto.
Le attuali opposizioni dovrebbero invece spiegarci perché il Governo Berlusconi non ha inteso mantenere l'impegno, che fu assunto in sede comunitaria nel 2000, di riesaminare la misura limitativa di cui stiamo discutendo a partire dall'anno 2001, modificando il regime restrittivo del diritto alla detrazione dell'IVA, per troppo tempo prorogato.
Anche questa, signori dell'opposizione, è dunque un'eredità del vostro Governo, che avrebbe potuto e dovuto attivarsi in sede comunitaria negli ultimi cinque anni, per modificare la norma in questione.
Per queste ragioni, come Ulivo, abbiamo sostenuto con convinzione questo decreto.
Oggi non possiamo che attenerci alla norma richiamata e alla prassi parlamentare in passato formatasi. Non possiamo che ribadire il nostro sostegno convinto a questa iniziativa legislativa, che introduce chiarezza e certezza nel rapporto tra contribuenti e amministrazione finanziaria, che recepisce una statuizione del massimo organo di giustizia comunitario e che registra l'impatto sull'indebitamento dello Stato, peggiorato non certo per responsabilità di questo Governo e di questa maggioranza che, anzi, si sono immediatamente attivati anche con la finanziaria e il decreto-legge in materia fiscale ad essa collegato per porre rimedio a tale pesante eredità.
Si tratta di una questione antica che si trascina da 27 anni ed è particolarmente grave che nei cinque anni trascorsi il Governo precedente non abbia fatto nulla per risolvere questo problema. Che si tratti di negligenza, di imperizia o di irresponsabilità poco importa. Quello che è innegabile è che siamo di fronte ad un'altra coda avvelenata del Governo Berlusconi. Tanto più che il ricorso e la causaPag. 127relativa, come già spiegato, sono stati innescati nel 2004 e dunque il problema si poteva tentare di risolvere.
Nel nostro paese la detraibilità dell'auto aziendale era impedita al 100 per cento, mentre nell'Unione Europea è ammessa una detrazione parziale anche per una questione di equità con chi non ha una partita Iva e dunque non può detrarre alcunché. L'Italia era chiamata a rientrare progressivamente dal 100 per cento di indetraibilità al 50 per cento. Il percorso lo aveva iniziato il Governo Amato già del 2001 scendendo al 90 per cento, e poi si sarebbe progressivamente scesi sino ad andare a regime.
Ancora una volta sono emerse le differenti visioni delle due coalizioni. Da un lato il centrodestra che con sotterfugi, condoni, promesse mancate di risanamento ha tentato inutilmente di rammendare i buchi di una fallimentare politica economica e sociale. A danno dei cittadini e soprattutto di quel popolo della partita Iva che il centrodestra ha contribuito a creare per nascondere il precariato.
Dall'altro il centrosinistra che si è posto l'obiettivo di dare stabilità e certezze ai cittadini assumendosi la responsabilità, come in questo caso, di interventi gravosi e pesanti per la finanza pubblica. Interventi comunque necessari per un paese moderno in linea con le regole dell'Unione Europea.
Nel concludere voglio quindi riaffermare la coerenza con la quale questo Governo ha affrontato il problema, dopo appena 24 ore che esso si è manifestato, incardinandolo all'interno dei tre principi basilari della sua politica economica che sono: risanamento, crescita, equità. Risanamento perché come nel bilancio di ogni famiglia anche lo Stato deve sapere con esattezza il debito che deve pagare, ed oggi, dopo i trucchi dell'ex ministro Tremonti, tutto ci è noto e trasparente; crescita perché senza di essa non esiste alcun presupposto per la redistribuzione del reddito e per l'estensione delle tutele; equità perché le ingiustizie oltre che intollerabili sul piano dei convincimenti etici, sono anche esse fonte di vincoli alla crescita economica, ma anche civile e sociale di un grande paese come l'Italia.
Approvando il decreto-legge n. 258 del 2006, oggi all'esame dell'Aula, facciamo un piccolo passo in avanti in questa direzione restituendo certezza del diritto, facendo fronte agli impegni assunti nei confronti dell'Unione Europea e trovando una appropriata copertura finanziaria. Quello che deve fare un Governo che abbia a cuore, come il nostro ha a cuore, le sorti del paese.
Pertanto, per i motivi sopra citati e coerentemente con quanto espresso nel dibattito parlamentare, annuncio il voto favorevole del gruppo de L'Ulivo.