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DICHIARAZIONI DI VOTO FINALE DEI DEPUTATI SILVIO CRAPOLICCHIO, GIULIA BONGIORNO, FEDERICO PALOMBA E LUCIO BARANI SUL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1838
SILVIO CRAPOLICCHIO. Onorevole Presidente, onorevoli deputati, richiamando quanto già esposto in sede di discussione generale, il sottoscritto, intervenendo in rappresentanza del gruppo parlamentare dei Comunisti Italiani, non può che ribadire come detto gruppo ritenga opportuno che sulla complessa e assai delicata materia in questione si intervenga in modo sistematico, regolamentando tutti gli aspetti, sostanziali e processuali, della stessa e prescindendo, nella iniziativa parlamentare e nella successiva disciplina giuridica, dalla considerazione di casi concreti e specifici, per fornire finalmente il paese di una normazione organica sul punto.
Continuiamo a ritenere dunque che il disegno di legge oggi in votazione rappresenti al più un punto di partenza per un più attento, ponderato ed approfondito intervento legislativo sulla materia delle intercettazioni telefoniche, divenuta nell'ultimo periodo questione di assoluta attualità e, pertanto, di prioritario interesse per il Parlamento italiano.
Ciò considerato, tuttavia, condividendo l'impianto di massima del disegno di legge, riteniamo valida la finalità ispiratrice dello stesso, consistente cioè nella adeguata tutela di valori costituzionalmente garantiti alla persona in quanto tale, quale il diritto alla riservatezza, alla dignità ed al decoro che deve essere riconosciuto ad ogni individuo, nonché il diritto ad una effettiva presunzione di innocenza del soggetto Pag. 86eventualmente coinvolto in indagini derivanti da un procedimento penale.
Ed ancorché, di fatto, il pieno rispetto di tali diritti possa in qualche caso potenzialmente confliggere con altri diritti di rilievo costituzionale, quale il diritto di cronaca con qualsiasi mezzo all'uopo disponibile, è tuttavia indubbio che i diritti fondamentali della persona debbano essere preminenti nella disciplina che il legislatore si accinge a fornire alla complessa materia delle intercettazioni telefoniche.
Ed allora non possiamo che condividere l'astratta finalità perseguita dal legislatore di impedire che documenti anonimi ed atti relativi ad intercettazioni illegali possano essere acquisiti od utilizzati nel contesto di un procedimento penale o comunque arbitrariamente diffusi da organi di stampa, radio-televisivi e telematici.
Tra l'altro, al di là delle finalità di ordine generale, valutiamo come opportuna l'innovazione apportata dal Senato della Repubblica rispetto all'originario disegno di legge presentato dal Governo nella parte in cui è stato previsto che il procedimento di distruzione dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico o telematico illegalmente formati o acquisiti si sostanzi di una fase giurisdizionale che preveda l'intervento, su sollecitazione del pubblico ministero, del giudice per le indagini preliminari e dì tutte le parti interessate, eventualmente assistite da un proprio difensore di fiducia.
Detta innovazione appare senza dubbio positiva proprio perché idonea a vincolare il procedimento di distruzione di atti illeciti ad un controllo giurisdizionale, caratterizzato dalla sussistenza di tutte le garanzie all'uopo previste dall'ordinamento e da svolgersi, comunque, nel pieno contraddittorio delle parti.
Invece, riteniamo siano da rivedere sia le fattispecie di reato introdotte dal disegno di legge in questione, che si appalesano come assai rilevanti, sia la previsione di un sistema di quantificazione della riparazione pecuniaria spettante al danneggiato, eventualmente in concorso con l'azione risarcitoria, in caso di illecita pubblicazione, con il mezzo della stampa, della radio, della televisione o con il mezzo telematico, degli atti o dei documenti illegalmente acquisiti o utilizzati.
Per tali motivi, pur con le riserve fin qui mosse, ritenendo che il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 259 del 2006, nella propria rilevante finalità generale, consistente cioè nella necessità di arginare un fenomeno illecito, disdicevole e gravemente lesivo della complessiva civiltà giuridica espressa dal nostro ordinamento giuridico, possa essere condiviso, pur in attesa di una riforma organica e ponderata della materia, esprimiamo il voto favorevole del gruppo dei Comunisti Italiani rispetto alla approvazione dello stesso.
GIULIA BONGIORNO. Il 18 ottobre scorso è stato approvato dal Senato il disegno di legge n. 1013, contenente modifiche al decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259, recante disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche.
Il decreto-legge è stato emanato sull'onda emotiva dello «scandalo Telecom», relativo alle presunte intercettazioni abusive che l'autorità giudiziaria milanese ha poi specificato essere illecite acquisizioni di dati sensibili.
La vicenda Telecom è esplosa, peraltro, a seguito di una serie di situazioni che hanno sconcertato l'opinione pubblica per l'assunzione di una portata sempre più persecutoria e speculativa del fenomeno delle intercettazioni nei confronti di persone spesso assolutamente incolpevoli ed estranee alle indagini penali, che hanno visto sistematicamente e barbaramente vulnerata la sfera più intima della propria personalità, senza che tale pregiudizio risultasse adeguatamente giustificato da un effettivo interesse pubblico alla loro conoscenza.
Il fenomeno delle «intercettazioni» - per così dire - tout court illecite ha costituito il culmine di una escalationPag. 87incessante di pubblicazioni di stralci ed estratti di conversazioni telefoniche, coperti da segreto o comunque da vincolo di riservatezza.
L'ultimo ancor più grave episodio - finalizzato a costituire un vero e proprio dossieraggio sugli individui - ha dunque reso improrogabile una reazione volta a garantire la tutela di irrinunciabili diritti costituzionalmente rilevanti quali il diritto alla difesa, alla tutela della dignità della persona e alla riservatezza.
Tale esigenza traspare con evidenza meridiana dal testo del decreto-legge n. 259/2006, il cui nucleo fondamentale è quello di provvedere, nel più breve tempo possibile, alla distruzione di intercettazioni illegalmente formate o acquisite.
Le esigenze emergenziali sottese alla sua emanazione hanno suggerito, rectius imposto, la rinuncia a provvedere - in tempi così brevi - ad una risistemazione generale della disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, che contemplasse una seria rimeditazione della disciplina codicistica di cui agli articoli 266 e seguenti del codice di procedura penale.
L'ambito applicativo del decreto d'urgenza è circoscritto esclusivamente alle misure volte a contrastare la divulgazione dei contenuti delle «intercettazioni illecitamente effettuate» nonché dei «documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni». Prova ne è che l'articolo 1 del decreto-legge 259/2006 interviene non già sui menzionati articoli 266 e seguenti del codice di procedura penale, bensì sull'articolo 240 codice di procedura penale, all'interno del quale hanno trovato collocazione le nuove disposizioni.
Si tratta, dunque, di un primo, ma comunque significativo, passo nella direzione di un più globale riassetto della materia, scevro da pretese di esaustività e capillarità nella sistemazione della disciplina in questione.
In particolare, muovendo dal presupposto che, comunque, nessuna norma e nessuna forma preventiva di controllo potessero azzerare completamente il rischio più grave - costituito dalla possibilità che siano proprio gli addetti alla sicurezza dei dati a violarla - si è inteso con la decretazione d'urgenza, da un lato, irrobustire l'apparato sanzionatorio, dall'altro, assimilare al trattamento già previsto per i documenti anonimi, gli esiti delle intercettazioni illecitamente effettuate e dei dati relativi al traffico telefonico illecitamente acquisiti.
Di qui la decisione di procedere alla distruzione da parte dell'autorità giudiziaria di tutti gli atti e i dati acquisiti o anche solo illecitamente detenuti.
A fronte, dunque, dell'intervento legislativo in parola ci si potrebbe chiedere se si debba temere una compressione di altri diritti costituzionalmente garantiti ed, in particolare, del diritto di cronaca. Non può che rispondersi in senso negativo, in quanto le notizie illecitamente acquisite, come osservato anche da autorevole dottrina, rivelano non solo un'illiceità genetica (la captazione, appunto) e un'eventuale illiceità strumentale (la rivelazione), ma anche una illiceità intrinseca derivante dal pericolo di destabilizzazione conseguente alla stessa esistenza di una massa circolante di dati e notizie che non avrebbero dovuto esistere.
Sul punto, la Corte di cassazione (con sentenza n. 4011 del 2006, Ricci) ha recentemente statuito che l'esercizio del diritto di cui all'articolo 21 della Costituzione possa agire - scriminandolo - solo sul contenuto (diffamatorio) della comunicazione diffusa, ma che non possa rendere non punibile la precedente attività di acquisizione fraudolenta di comunicazione o di divulgazione illegittima.
Anche il Garante della privacy ha, più volte, sensibilizzato gli organi d'informazione sulla necessità di rispettare il divieto di pubblicare i contenuti dei dossier illegali.
In conclusione, auspicando, in ogni caso, di pervenire ad una riforma organica della materia - che non sia dettata dalla mera esigenza di fronteggiare, peraltro, in via postuma, uno specifico (e si spera isolato) episodio di illecite acquisizioni di dati - si deve riconoscere che il presente Pag. 88decreto-legge costituisce un primo importante tassello per debellare concretamente il dilagare del fenomeno delle captazioni abusive.
Per le ragioni esposte, Alleanza Nazionale voterà a favore della conversione in legge del decreto.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, di questo decreto si può dire, ed è stato detto, tutto il male possibile. Italia dei Valori lo ha detto già in Commissione, ove ha presentato 15 emendamenti profondamente modificativi del procedimento, della norma sanzionatoria e di quella relativa alla sanzione pecuniaria per chi diffonde le notizie illegalmente acquisite.
Esaminiamo brevemente la situazione a cominciare dalla cronistoria.
Sotto l'onda emotiva dello scandalo Telecom sui tabulati e gli spionaggi, il Governo ha adottato un decreto-legge, approvato con vistose modifiche al Senato. Raramente un provvedimento è stato, come questo, frutto di un accordo condiviso tra i poli, tanto all'atto della sua emanazione, quanto nel testo votato all'unanimità dai senatori con la sola eccezione della Lega.
Nell'intenzione dei proponenti, il provvedimento si prefiggeva di tutelare la privacy dei cittadini ingiustamente colpiti da intercettazioni illecite (cioè non autorizzate da chicchessia) o dall'uso di atti e documento, come tabulati e strumenti informatici, attinenti a forme di spionaggio illegale. L'intento è lodevole. Quanto è venuto fuori ed è oggi alla nostra attenzione, invece, è cosa diversa, se non divergente, da quell'obiettivo. Il testo licenziato dal Senato, infatti, non appaga la mia coscienza di giurista, di deputato, di cittadino, per le vistose incongruenze contenute nella formulazione arrivata alla conoscenza della Camera dei deputati.
Orbene, le prime riserve riguardano il procedimento. Ho profonde riserve nei confronti del procedimento delineato! Se è giusto che debba essere il giudice, e non il pubblico ministero da solo, a distruggere i documenti, tutto il resto, e cioè la concreta costruzione dell'iter procedimentale, non è altrettanto accettabile. Dirò qui alcune delle principali ragioni.
1o) Il procedimento è esso stesso potenzialmente moltiplicatore di violazioni della privacy e di diffusione di notizie che si volevano, invece, tenere segrete, attraverso la distruzione degli atti e la punizione della semplice detenzione dei documenti da distruggere. Infatti, l'avviso alle parti interessate a comparire all'udienza è evidentemente finalizzato a portarle a conoscenza dell'accaduto. Ma poiché la cognizione degli atti non è limitata espressamente soltanto agli aspetti che singolarmente concernono ciascuna persona interessata, si ha la conseguenza che ognuna di esse potrebbe potenzialmente venire a sapere ciò che riguarda tutti gli altri: se l'intercettazione è illegale, la conoscenza del fatto illegale è resa legale proprio dal processo che la vuole evitare.
2o) La distruzione del materiale non è subordinata al consenso della parte interessata cui esso fa riferimento. Ma questa potrebbe scegliere di esercitare un'azione civile risarcitoria contro l'autore delle intercettazioni illegittime. Nella situazione descritta, non avendo essa facoltà di opporsi, con la distruzione essa si vede eliminata la prova dell'illecito. Sarebbe stato giusto, invece, consentirle di opporsi e di estrarre copia autentica degli atti comprovanti l'illecito al fine di produrli nella causa civile.
3o) Non sono previste tante udienze separate (anche se in rapida successione) quante sono le parti interessate per quanto concerne ciascuna di esse, o anche un'unica udienza suddivisa per ogni parte singolarmente Si disegna, invece, un'unica udienza «monstrum» per il caso in cui vi sia un gran numero di persone interessate, ciascuna delle quali saprebbe tutto di tutti.
Oltre queste principali riserve, che definirei di sistema, ne ho di profonde - in questo caso, più tecniche - nei confronti degli aspetti incriminatori, sia per le imperfezioni dell'articolo 3, sia perché esso andrebbe integrato con altre fattispecie riflettenti altrettanti illeciti ivi non previsti, ma parimenti importanti. Così come è inaccettabile che la sanzione pecuniaria a Pag. 89titolo di riparazione nei confronti del giornale che ha pubblicato notizie destinate a rimanere riservate sia commisurata al numero delle copie stampate e non di quelle vendute (dalle quali emerge l'entità effettiva del danno). Ritengo, inoltre, fondate le osservazioni dell'Unione delle Camere Penali, che motivatamente ha espresso serie obiezioni alla conversione del decreto, invitando alla legiferazione in via ordinaria all'interno delle complessive disposizioni sulle intercettazioni all'esame della Commissione giustizia.
In questa situazione ho presentato 15 emendamenti alla stessa Commissione nell'intento di porre rimedio alle più vistose incongruenze presenti nel testo venuto all'esame.
Sono consapevole che quanto finora detto avrebbe rappresentato la motivazione di una decisione contraria alla conversione del decreto nella sua attuale formulazione. E, tuttavia, la determinazione di ritirare i propri emendamenti, espressa dagli altri gruppi della maggioranza, ha costretto a rivedere questa eventualità. Ne ho parlato nel gruppo, ove è emersa l'ineluttabilità di restare legati al vincolo di coalizione per esigenze superiori. Perciò ho deciso di ritirare gli emendamenti. Ma alcune considerazioni, d'accordo col gruppo di Italia dei Valori, debbo farle.
In primo luogo, non capiamo le ragioni del ricorso al vincolo di maggioranza. Infatti, il Governo è al di fuori della vicenda politica che riguarda questo decreto-legge, avendo ottenuto l'accordo dei gruppi di maggioranza e di opposizione. E se la situazione è cambiata, nel senso che il procuratore della repubblica di Milano ha dichiarato che non vi sono intercettazioni illegali nell'indagine che esso sta. Conducendo sul caso Telecom, l'eventuale non conversione per il venir meno dell'urgenza non potrebbe chiamarlo in causa in nessun modo.
Se poi, invece, vi fossero elementi attinenti ad illegali intercettazioni allocati in altri fascicoli o altre procure, di cui si è sentito parlare nei corridoi, si avrebbe il dovere politico di dire quanto si sa per evitare di affidare una situazione così delicata al chiacchiericcio. In caso contrario, potrebbe alimentarsi il dubbio che una decisione di convertire comunque il decreto-legge, assunta concordemente da maggioranza ed opposizione, consegua alla volontà di coprire estese situazioni che noi non conosciamo. E questo non sta bene.
In secondo luogo, c'è da tutelare la dignità della Camera dei deputati, tanto della Commissione giustizia quanto dell'aula. Noi non possiamo ancora a lungo continuare a rinunciare alla nostra funzione di legislatori, accettando passivamente quanto ci viene trasmesso dall'altro ramo del Parlamento. Non ne faccio una questione di sciocco corporativismo. La questione è assai più seria: è che ogni deputato ha prima il diritto, poi il dovere, di esercitare il ruolo per il quale è stato eletto, con tutta la serietà, la professionalità e l'onestà che tale delicato ruolo impone: altrimenti la frustrazione ci assalirà e ci sarà difficile guardare a noi stessi con un minimo di autoconsiderazione, se non di autostima. E la politica non può essere il luogo della non serietà.
L'ordine del giorno oggi presentato ed accolto dal Governo esprime il profondo malessere espresso da Italia dei Valori. Esso è stato l'ultimo dei partiti, dell'Unione e dell'opposizione, a scendere dalla barricata e ad arrendersi dinanzi alla ragione politica che è di altri, e non nostra. Noi siamo legalitari e vogliamo le cose fatte bene e sempre siamo stati del tutto contrari alla preminenza della politica sulla corretta applicazione della legge, come accade per indulti, condoni, perdonismi e salvataggi, anche di parlamentari inquisiti.
Anche per questo, rifugiarci nell'intento di modificare questa legge a poca distanza dalla sua approvazione, nell'ambito della legge generale sulle intercettazioni pure in corso di esame in Commissione, non appare certo molto serio. Io, comunque, almeno prendo sul serio questo proposito e ripresenterò tutti gli emendamenti che ho ritirato nel decreto-legge, avvertendo che, qualora non ravvisassi un'effettiva Pag. 90volontà in tal senso, tutto il provvedimento che andassimo a scrivere potrebbe non avere il mio voto.
Con queste precisazioni, svolte con la fermezza che si deve ad una situazione ultimativa dopo la quale non c'è appello, d'accordo con il mio gruppo, annuncio che il dispositivo della nostra decisione sarà in contrasto con la motivazione finora svolta: come nelle sentenze suicide. Perciò, a malincuore, ed ancora solo per questa volta, e per ragion politica, Italia dei Valori si adeguerà al resto della coalizione votando a favore del testo così com'è al solo scopo di consentirne la conversione nei termini di legge: ma sarà l'ultima volta.
LUCIO BARANI. Il dilagare incontrollato di intercettazioni telefoniche pubblicate dai mass media ha ormai raggiunto livelli tali da poter essere definito un «sistema» diffuso di illegalità istituzionale sostenuto dalla collusione tra «magistratura» e «giornalismo». Non si tratta quindi solo di ignoti contro persone note. Il problema più grave è costituito da poteri legali e illegali contro il diritto alla libertà del Popolo Italiano.
La recente e ridicola vicenda di «Calciopoli» con sentenze pubblicate in anteprima dalla Gazzetta dello Sport, le password degli uffici giudiziari in mano ai giornalisti, come denunciato dal Ministro dell'Interno, la vicenda dei guardoni «Telecom» di cui si discute, l'accesso ai dai sensibili degli Italiani attraverso i troppi pseudoperatori nelle Agenzie delle entrate, le telecamere per controllare prostitute e clienti, il continuo linciaggio pubblico di persone che spesso non sono nemmeno indagate, il costo allo Stato per spiare il Savoia, il fatto che venga pubblicato continuamente in modo arbitrario ciò che non può essere reso pubblico, lo stesso Governo che incentiva la delazione fiscale tra vicini di pianerottolo e contro il proprio droghiere, mette in dubbio il fondamento stesso della democrazia e della libertà in Italia.
Come afferma il Senatore Antonio Polito (che sarebbe stato un ottimo ministro della giustizia), siamo «al rischio più grave che corre l'Italia dai tempi delle leggi speciali sul fascismo», e quindi noi Socialisti condividiamo la proposta che il senatore ha fatto per mettere in piedi una Commissione parlamentare di inchiesta sulle violazioni di legge e delle libertà personali causate dall'abuso giuridico e dalla pubblicazione illegale delle intercettazioni.
Da troppo tempo ormai viene stravolto tutto il concetto stesso di «giustizia», con una magistratura che è in gran parte inserita in un sistema di illegalità costituito dall'abuso quantitativo e temporale di uno strumento investigativo «eccezionale», che permette e alimenta il linciaggio pubblico, che viola, nell'uso indiscriminato del «detto» rispetto al «fatto» e al «dichiarato», la libertà di tutti gli italiani e i fondamenti del diritto. Come lo spinello di Livia Turco non risolve il problema della droga, ma l'aggrava per superficialità, così il fatto stesso di non mettere mano al problema generale del diritto inalienabile alla privacy, limitandosi ad intervenire solo se c'è qualche politico nelle intercettazioni, aggrava un problema che è ormai ineludibile: non esistono italiani liberi, ma solo in attesa di essere spiati.
Lo Stato deve poter mettere in chiaro queste cose, deve trovare le parole per una riforma dei nuovi diritti di libertà che i tempi moderni richiedono e chiedersi se le nuove tecnologie possono, a seconda del loro uso, liberarci dalle catene dell' ignoranza o renderci schiavi di tanti guardoni interessati.
Al di là degli emendamenti in materia di intercettazioni telefoniche che approviamo, in realtà poco abbiamo fatto e facciamo, appunto solo piccoli emendamenti, ad un problema ben più grave che differenzia un popolo di cittadini da un popolo di «clonati di Stato».