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Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Mazzoni; Mascia ed altri; Boato: Istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (A.C. 626-1090-1441).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 626 ed abbinate)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Mascia, ha facoltà di svolgere la relazione.
GRAZIELLA MASCIA, Relatore. Signor Presidente, la proposta di legge relativa all'istituzione della figura del garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale nasce dall'esigenza di garantire forme di controllo della legalità nei luoghi di privazione della libertà personale, nonché di creare meccanismi di tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute, spesso, nei fatti, non sufficientemente tutelati, se non calpestati.
Numerose sono le sollecitazioni rivolte ai paesi europei, da parte del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene, dei trattamenti inumani e degradanti, affinché essi provvedano dell'istituzione di figure indipendenti ed autonome che garantiscano la legalità nei luoghi di privazione delle libertà personali.Pag. 2
Il nostro paese è da sempre in prima linea rispetto a temi così delicati e fondamentali ed ha sottoscritto fin dall'agosto 2003 il protocollo opzionale alla convenzione contro la tortura ed altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, adottato dall'ONU il 18 dicembre 2002 ed entrato in vigore il 22 giugno 2006, confermando così il proprio impegno sul tema dei diritti umani. Tale protocollo introduce un meccanismo ispettivo fondamentale per assicurare standard elevati di tutela dei diritti delle persone private della libertà personale e, oltre al previsto comitato internazionale di esperti indipendenti, con facoltà di verifiche ispettive e gli istituti di detenzione dei posti di polizia dei paesi membri, impone testualmente che ogni Stato debba istituire un sistema interno di controllo, affidato ad autorità indipendente che abbia accesso a qualsiasi luogo di privazione della libertà personale (carceri, commissariati, CPT, ospedali psichiatrici e via seguitando); tale sistema, laddove è stato istituito, ha dato e continua a dare risultati estremamente positivi.
La legislazione italiana, nonostante l'Italia abbia firmato il protocollo opzionale ONU da più di tre anni, si presenta sul punto doppiamente carente, in quanto il garante nazionale dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale non è stato ancora istituito nel nostro Paese (salvo esperienze ricollegabili a tale figura nate a livello locale, ma con dei poteri ed una autorevolezza certamente non corrispondenti a quelle che ci vengono indicati dalle esperienze europee) ed anche perché nell'ordinamento penitenziario non è previsto un organo, indipendente dall'amministrazione della giustizia, avente poteri ispettivi.
Il nostro ordinamento penitenziario, inoltre, a fronte di atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti delle persone private della libertà personale, non prevede per i detenuti ed internati meccanismi procedurali di garanzia, come evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 26 dell'11 febbraio del 1999.
In caso di violazione dei diritti, il procedimento instaurato tramite l'esercizio del diritto di reclamo stabilito dall'articolo 35 dell'ordinamento penitenziario, infatti, è privo di requisiti minimi necessari perché lo si possa ritenere sufficiente a fornire un mezzo di tutela qualificabile come giurisdizionale.
Tale circostanza, considerata nel testo dal nostro esame, rende evidente quanto un detenuto, comunque titolare di diritti e aspettative legittimi, possa trovarsi in difficoltà nel difendere i propri diritti e quanto forte, dunque, sia l'esigenza di far compiere al nostro paese un passo in avanti nella tutela dei diritti delle persone private o limitate nella libertà personale.
In Italia, fin dalla scorsa legislatura e, precisamente, in data 30 luglio 2003, la Commissione Affari costituzionali della Camera iniziava l'esame congiunto in sede referente di tre proposte di legge di iniziativa parlamentare. L'esame in Commissione si concludeva il 20 ottobre 2005 con il mandato al relatore, il collega Nitto Palma, a riferire favorevolmente in Assemblea. Quest'ultima, tuttavia, non andava oltre lo svolgimento della discussione sulle linee generali nella seduta del 27 ottobre 2005, ma è giusto evidenziare come all'esito di quel lavoro avevano concorso diversi soggetti competenti sulla materia. Si tratta di memorie, audizioni e appunti consegnati dalla Conferenza nazionale volontariato e giustizia, dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Giovanni Tinebra, dal capo del dipartimento della giustizia minorile, dottor Rosario Priore, dall'ispettore generale dei cappellani del DAP e del dipartimento della giustizia minorile, Monsignor Giorgio Cagnato.
Ho voluto richiamare i lavori della scorsa legislatura perché le proposte di legge prese in esame in questa legislatura (Mazzoni n. 626, Mascia ed altri n. 1090 e Boato n. 1441) si avvalgono, giustamente, del lavoro precedente.Pag. 3
Il testo unificato che proponiamo oggi è dunque il risultato del confronto iniziato dalla I Commissione nel luglio 2006 e concluso il 6 dicembre con il mandato al relatore a riferire favorevolmente in Assemblea.
Il provvedimento al nostro esame - giova ricordarlo -, teso all'istituzione di una figura sollecitata da tempo dagli organismi europei citati, ha sollevato dubbi, soprattutto in relazione al ruolo attribuito dall'ordinamento penitenziario al magistrato di sorveglianza, cui, in base alle norme attualmente vigenti, andrebbero rivolti i reclami dei detenuti. Vi è da dire, tuttavia, che l'eccessivo cumulo di funzioni poste a carico della magistratura di sorveglianza, sempre più giudice delle misure alternative, e, conseguentemente, sempre meno in grado di esercitare funzioni di controllo sull'esecuzione della custodia dei detenuti e degli internati, nonché dei soggetti sottoposti a misure cautelari in carcere, ed anche la carenza di organico della magistratura di sorveglianza rendono indispensabili nuove forme e strumenti di controllo della legalità nei luoghi di detenzione, senza ovviamente mettere in discussione quelli già esistenti.
Il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, all'istituzione del quale è teso il presente testo, risponde propriamente a questa esigenza. I compiti attribuiti a tale figura attengono, in particolare, al controllo delle condizioni di detenzione, all'allentamento delle tensioni e alla mediazione, nonché alla raccolta e all'elaborazione di un utile patrimonio informativo. Al Garante verrebbe attribuito un ruolo preventivo, mediatorio e propositivo rispetto alle legittime richieste dei detenuti. Il Garante avrebbe, inoltre, un'importante funzione di deterrenza rispetto al rischio di abusi, siano essi lievi o gravi, che, purtroppo, non sono infrequenti e che raramente vengono denunciati per motivi facilmente intuibili, tra cui il rischio di inammissibili ma possibili ritorsioni o, addirittura, di atti vendicativi.
Il testo che proponiamo all'esame dell'Assemblea ben definisce tale figura e tiene anche conto della citata sentenza della Corte costituzionale n. 26 dell'11 febbraio 1999, rimasta disattesa, che, come illustrato, ha rilevato che il nostro ordinamento penitenziario non presenta meccanismi procedurali di garanzia per le persone private della libertà personale di fronte ad atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei loro diritti. Tale testo tiene conto anche di quanto evidenziato dalla Commissione giustizia nei rilievi formulati nel parere espresso in sede consultiva.
Si propone perciò, attraverso questo provvedimento, di sanare quella lacuna evidenziata dalla sentenza della Corte, individuando, allo stesso tempo, una soluzione che consenta effettivamente di dare risposte in tempi brevi a tutti i reclami dei detenuti.
Oggi, in base all'articolo 69 della legge n. 354 del 1975, relativo alle funzioni e ai poteri conferiti al magistrato di sorveglianza, in quel contesto sono solo due i casi considerati, che consentono l'impugnazione davanti alla Corte di Cassazione; tutti gli altri reclami, invece, vengono disattesi o, comunque, non trovano un riscontro, né seguono questo percorso giurisdizionale.
Pertanto, oltre all'istituzione della figura del Garante - che svolgerebbe un ruolo di filtro, oltre che di mediazione, di intervento preventivo e di tentativo di soluzione dei problemi a monte - prevediamo che lo stesso possa introdurre un procedimento contenzioso con ricorso al magistrato di sorveglianza e che, avverso il provvedimento emesso con un'ordinanza, con tutte le garanzie previste in questi casi, sia possibile proporre ricorso in Cassazione, risolvendo così la limitazione casistica prevista all'articolo 69 della legge n. 354 del 1975.
Per quanto riguarda il contenuto del provvedimento, l'articolo 1 prevede che il Garante dei diritti è organo collegiale, composto dal presidente, nominato con determinazione adottata d'intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, e da quattro membri Pag. 4eletti con voto limitato in numero di due dal Senato e in numero di due dalla Camera.
Il comma 3 dello stesso articolo 1 dispone, inoltre, che il Garante dei diritti rimane in carica per quattro anni, rinnovabile per una sola volta.
L'articolo 2 dispone che i componenti del Garante dei diritti siano scelti tra persone che assicurino indipendenza e idoneità alla funzione, che abbiano esperienza pluriennale nel campo dei diritti umani delle persone detenute o private della libertà personale, ovvero che abbiano una riconosciuta competenza nelle materie giuridiche afferenti alla salvaguardia dei diritti.
Le questioni connesse all'incompatibilità sono affrontate dall'articolo 3, ai sensi del quale ognuno dei componenti del Garante dei diritti non può assumere cariche elettive, governative o istituzionali o ricoprire altri incarichi o uffici pubblici di qualsiasi natura, e non può svolgere attività lavorativa, subordinata o autonoma, imprenditoriale o libero-professionale, né attività inerenti ad associazioni o partiti politici.
L'articolo 4 elenca in modo tassativo i casi in cui occorre procedere all'immediata sostituzione di taluno dei componenti del Garante e precisa anche che tale adempimento si rende necessario nell'ipotesi di dimissioni, morte, incompatibilità sopravvenuta, accertato impedimento fisico o psichico, grave violazione dei doveri inerenti all'incarico affidato.
L'articolo 5 dispone che alle dipendenze del Garante dei diritti è istituito un ufficio composto da dipendenti dello Stato e altre amministrazioni pubbliche in numero non superiore a 50 collocati fuori ruolo.
Le norme concernenti l'organizzazione dell'ufficio, nonché quelle dirette a disciplinare la gestione delle spese, sono adottate con regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
L'articolo 6 prevede che il Garante possa avvalersi dell'opera di consulenti, remunerati in base alle vigenti tariffe professionali, nonché del contributo di organizzazioni non governative, di centri universitari di studio e di ricerca, nonché di associazioni che si occupano di diritti umani e di condizioni di detenzione.
L'articolo 7 disciplina la cooperazione tra il Garante dei diritti nazionali e le analoghe figure eventualmente istituite in ambito regionale, provinciale o comunale, precisando che, in nessun caso, il Garante dei diritti può delegare l'esercizio delle sue funzioni.
Ai fini del compimento delle predette funzioni, ai sensi dell'articolo 8, il Garante può visitare, senza necessità di autorizzazione o di preavviso, gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici e giudiziari, gli istituti penali, le comunità per minori e gli enti convenzionati con il Ministero della giustizia per l'esecuzione di misure privative della libertà personale che ospitano condannati che usufruiscono di misure alternative alla detenzione. Verifica, inoltre, il rispetto degli adempimenti e delle procedure eseguite nei confronti dei trattenuti e le condizioni di trattenimento nelle camere di sicurezza esistenti presso caserme dell'Arma dei carabinieri, del corpo della Guardia di finanza, dei commissariati di pubblica sicurezza, nonché presso i centri di permanenza temporanea e assistenza previsti dall'articolo 14 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 e successive modificazioni.
Sempre l'articolo 8 prevede la possibilità di prendere visione, previo consenso dell'interessato, degli atti e dei documenti contenuti nel fascicolo della persona privata della libertà personale, fatta eccezione per quelli coperti da segreto relativi alle indagini o al procedimento penale.
Il Garante può altresì richiedere alle amministrazioni responsabili degli istituti richiamati al punto a), del comma 2, le informazioni e i documenti che ritenga necessari, prevedendosi che, in caso di inottemperanza dell'amministrazione, nel termine di 30 giorni il garante informi il magistrato di sorveglianza territorialmente competente, al quale può richiedere di emettere ordine di esibizione dei documenti Pag. 5richiesti. Il Garante verifica, inoltre, che le strutture edilizie degli istituti di cui sopra, siano idonee a salvaguardare la dignità delle persone ivi ristrette con riguardo al rispetto dei diritti fondamentali.
L'articolo 9 riguarda il segreto d'ufficio cui sono tenuti i componenti del Garante dei diritti, il personale addetto all'ufficio nonché i consulenti.
L'articolo 10 prevede che tutti i detenuti e i soggetti comunque privati della libertà personale possano rivolgersi al Garante senza vincolo di forma.
L'articolo 11 dispone che, ove il Garante dei diritti verifichi che le amministrazioni responsabili delle strutture indicate all'articolo 8 tengano comportamenti non conformi, ovvero che le istanze e i reclami ad essi rivolti siano fondati, possa richiedere alle amministrazioni interessate di agire in conformità, anche formulando specifiche raccomandazioni. In proposito, si prevede un procedimento amministrativo in forza del quale, ove le amministrazioni direttamente interessate non si conformino, il Garante può rivolgersi anche agli uffici ad essi sovraordinati. Con particolare riferimento alle strutture indicate all'articolo 8, comma 2, lettera a), qualora si registrino ulteriori inerzie il Garante può ricorrere al magistrato di sorveglianza. Lo stesso articolo prevede inoltre la possibilità che l'internato, dopo il passaggio al magistrato di sorveglianza, attraverso il proprio difensore, può rivolgersi alla Cassazione, così come lo stesso Garante può provvedere un passaggio successivo.
L'articolo 13 pone in capo al Garante l'obbligo di denunciare all'autorità giudiziaria competente dei fatti di cui venga a conoscenza nell'esercizio delle sue funzioni; inoltre, è prevista una relazione annuale da trasmettere al Parlamento ed al Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene e dei trattamenti inumani e degradanti. Le Commissioni competenti hanno dato un parere favorevole al testo in esame.
A questo punto, vorrei trattare, in pochissimo tempo, un tema che ci è stato sottoposto a proposito di una nostra inadempienza rispetto ad una convenzione dell'ONU: si tratta di una istituzione nazionale indipendente per i diritti umani secondo quanto previsto dalla risoluzione n. 48/134 delle Nazioni Unite del dicembre 1993 che, secondo i principi di Parigi, è stata votata dall'Italia, ma a tutt'oggi è rimasta inattuata. Vi è stata una sollecitazione in questo senso perché sono tredici anni che il nostro paese è inadempiente, anzi è uno dei pochissimi paesi europei ad essere inadempiente rispetto a questa direttiva. Si tratta di un'istituzione di garanzia volta a promuovere la cultura dei diritti umani, intervenendo nei campi della conoscenza e della pubblicizzazione per far crescere la consapevolezza nelle scuole, anziché attraverso altri strumenti. È importante lavorare con il Parlamento e con il Governo per far in modo che vi sia coerenza tra i provvedimenti legislativi e quanto previsto dalle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, intervenendo in tutti i posti in cui questi diritti umani vengono violati.
Sono state presentate proposte di legge sia al Senato sia alla Camera in questa direzione; però, ora per noi si pone un problema dovuto al fatto che da gennaio 2007 il nostro paese diventerà membro del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e intende candidarsi al nuovo Consiglio dei diritti umani dell'ONU. Questo deve avvenire entro il prossimo mese di maggio, ma si deve prioritariamente procedere all'istituzione del garante. La scadenza è molto ravvicinata e, in caso contrario, non avremo la possibilità di avanzare queste candidature. Da una discussione che si è svolta anche in Commissione, a noi pare importante porre la questione a tutti gli esponenti delle forze politiche che interverranno in quest'aula perché, come è facilmente rilevabile, questa autorità indipendente e garante della promozione e della protezione dei diritti umani avrebbe competenze compatibili con quelle del Garante per i diritti delle persone detenute o private della libertà personale su cui stiamo discutendo in questa sede.
Vale la pena...
PRESIDENTE. Grazie...
GRAZIELLA MASCIA, Relatore.. ..di ragionare e di capire se non sia il caso, naturalmente attraverso un passaggio in Comitato dei nove ed in Commissione, di tentare di dare risposta anche a questo problema. La ringrazio, signor Presidente (Applausi).
PRESIDENTE. Grazie.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
LUIGI MANCONI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. La ringrazio.
È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi (mi rivolgo ai colleghi in generale ma, in particolare, a quelli della Commissione affari costituzionali della Camera), la puntuale, approfondita e pregevole relazione della collega Mascia, la quale mi ha immediatamente preceduto in apertura del dibattito, mi esime dal ripercorrere puntualmente il testo unificato al nostro esame (ed i colleghi, eventualmente, dall'ascoltare).
Com'è stato ricordato - e, forse, è giusto sottolinearlo -, il provvedimento è il risultato, anzitutto, di un ampio ed approfondito lavoro che è già stato svolto, nella precedente legislatura, dalla Commissione affari costituzionali e dall'Assemblea della Camera (ovviamente i rapporti politici erano rovesciati rispetto a quelli attuali; ad ogni modo, vi fu, già allora, un approfondito tentativo di convergenza su un testo). Anche in questa legislatura, il testo unificato al nostro esame è il risultato di tre proposte di legge: una a prima firma della collega Mazzoni, una presentata dalla collega Mascia e da altri deputati del suo gruppo e, infine, una a firma del sottoscritto, a nome dei Verdi. Quindi, vi sono state, anche in questa legislatura, iniziative legislative bipartisan - come si usa dire -, cioè provenienti sia dallo schieramento di centrodestra sia da quello di centrosinistra.
Come la collega Mascia ha opportunamente ricordato, le tre proposte di legge, caratterizzate da differenze iniziali, sostanzialmente riproducevano, e riproducono tuttora, il risultato al quale si era giunti all'esito del comune lavoro svolto nella precedente legislatura. Che il lavoro sia stato comune non significa che si sia stati - né allora, né oggi - in totale accordo su tutti gli aspetti. Penso che il dibattito cui stiamo dando inizio, e che proseguirà con gli interventi dei colleghi dei vari gruppi, evidenzierà sia gli aspetti di convergenza sia quelli ancora aperti al confronto critico ma, sostanzialmente, credo sia giusto rivendicare e sottolineare lo sforzo comune che, compiuto già a partire dalla scorsa legislatura, è stato ripreso oggi, per arrivare anche nel nostro paese, finalmente, all'istituzione della figura del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
Debbo dare atto, d'altra parte, non soltanto del clima di collaborazione (anche quando si è trattato di collaborazione critica) che ha caratterizzato lo svolgimento dei lavori in Commissione affari costituzionali, ma anche del fatto che la Conferenza dei presidenti di gruppo della Camera ha tempestivamente calendarizzato il provvedimento per l'esame in Assemblea (non a caso, cominciamo oggi la discussione e mi auguro che possiamo concludere l'esame rapidamente).
Per una coincidenza non del tutto casuale (in parte casuale ma, in parte, significativa di un'attenzione di questo Parlamento verso problematiche siffatte), stanno convergendo all'esame dell'Assemblea della Camera il provvedimento proposto dalla Commissione giustizia in materia di reato di tortura, quello (anche in questo caso - a prima firma della collega Mazzoni, ma che abbiamo condiviso tutti) sul completamento della cosiddetta legge Nassiriya in materia di provvidenze a favore delle vittime e dei familiari delle vittime di atti terroristici compiuti alPag. 7l'estero e quello volto, appunto, all'istituzione del Garante delle persone detenute.
In questa fase della legislatura, siamo chiamati, in questo ramo del Parlamento (e mi auguro che possa aversi una rapida conclusione anche nell'altro ramo), ad affrontare una serie di tematiche: legislative, istituzionali e, in parte, anche costituzionali (ricordo, infatti, che, qualche mese fa, abbiamo approvato la modifica dell'articolo 27 della Costituzione, per la definitiva soppressione di qualunque ipotesi di pena di morte; anche in questo caso, mi auguro che l'altro ramo del Parlamento possa rapidamente affrontare la materia e definirla).
Siamo chiamati, in questa prima parte della legislatura, lo ripeto, ad affrontare una serie di tematiche istituzionali che hanno a che fare con la giustizia, con il sistema penitenziario, con la tutela delle vittime del reato - sotto quest'ultimo profilo si sta discutendo anche della modifica dell'articolo 111 della Costituzione -, con l'integrazione del nostro codice penale prevedendo l'inserimento del reato di tortura rispetto al quale il nostro paese è inadempiente. Si tratta, quindi, di tutta una serie di questioni rispetto alle quali il Parlamento di questa XV legislatura ha ripreso immediatamente il testimone dalla legislatura precedente e sta rapidamente intervenendo.
La collega relatrice ha fatto bene a ricordare puntualmente l'importanza che assume il provvedimento odierno in relazione al Protocollo opzionale dell'ONU. Condivido anch'io - del resto è stato richiamato opportunamente anche in un importante parere, reso alla nostra Commissione, della Commissione giustizia della Camera dei deputati - l'importanza del richiamo alla sentenza n. 26 del 1999 della Corte costituzionale. Si è trattato di una sentenza importante a cui però non ha fatto seguito un adempimento tempestivo, per la parte di sua competenza, del legislatore. Ad essa risponde positivamente, sebbene in parte, il provvedimento al nostro esame.
Personalmente non ho ritenuto, e questo è un atto di riconoscimento del buon lavoro svolto in Commissione, di presentare ulteriori emendamenti in Assemblea - cosa che invece hanno fatto del tutto legittimamente altri gruppi parlamentari -, che esamineremo con assoluto rigore ed equilibrio. In Commissione, sia io sia altri colleghi, abbiamo presentato alcuni emendamenti di perfezionamento del testo, che la relatrice aveva presentato come testo unificato.
Il lavoro positivo, dialogico e costruttivo svolto in Commissione ha permesso di consegnare all'Assemblea un testo non perfetto - nessun testo legislativo è perfetto - ma largamente soddisfacente con la possibilità ulteriore sollecitata, sia da noi sia da alcuni colleghi dell'opposizione, di integrarlo con il recepimento - in parte identico in parte inserendo alcune formulazioni più approfondite - di alcune osservazioni e di una condizione prospettate nel già citato parere della II Commissione.
Il fatto che anche il dialogo tra Commissioni possa avere in questa sede esito positivo rappresenta un segno importante perché ciò, come il Presidente e i colleghi sanno bene, non sempre avviene in Parlamento dove, a volte, si registra una certa sordità reciproca. La Commissione Affari costituzionali ha mostrato, sia da parte dei componenti della maggioranza sia da parte di quelli dell'opposizione, grande attenzione al parere espresso dalla II Commissione; altrettanta attenzione ha prestato la collega relatrice che già oggi, in sede di Comitato dei nove, ha prospettato degli emendamenti per consentire di recepire tale parere.
L'importanza dell'istituzione del garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale è sottolineata anche dal fatto che con tale previsione in questa materia non voglio dire che si colmi una lacuna (perché si tratterebbe di un'espressione un po' retorica che ha anche un po' del politichese), ma si attua finalmente un istituto a livello nazionale sollecitato, lo ripeto, anche da proposte di legge presentate nella scorsa legislatura. Non dimenticando, inoltre, che nel frattempo vi sono una serie di realtà Pag. 8positive, ovviamente con poteri molto limitati e parziali, in parte già realizzate, in varie realtà regionali e locali.
Vi è un pregevole dossier del servizio studi della Camera che fa una ricognizione al riguardo, dal quale si evince che già una serie di regioni, con coloritura politica differente l'una dall'altra, hanno istituito questa figura, sia pure con poteri e caratteristiche molto diversi da quelli che proponiamo all'Assemblea, avendo, logicamente, la possibilità di intervenire a livello statale. Le regioni che hanno già affrontato, con legge regionale, questa materia, sono la Lombardia, la Toscana, l'Umbria, il Lazio, la Campania, la Puglia e la Sicilia; si tratta, quindi, di regioni che coprono, più o meno, tutto l'arco geografico della penisola e che, come ho già detto, hanno diverse maggioranze politiche a livello di governo regionale. Ricordo che anche la provincia di Milano e, allo stato, i comuni di Torino, Biella, Brescia, Bologna, Firenze, Pesaro, Roma, Reggio Calabria e Nuoro hanno istituito la figura del garante. Nel dossier citato, inoltre, sono riportate sia le leggi regionali sia i provvedimenti amministrativi assunti dalle province e dai comuni citati.
Proprio questa realtà, che si sta dislocando sul territorio, un po' a macchia di leopardo, fa capire quanto sia importante che venga istituito un punto di riferimento sul piano nazionale, dotato di una organicità ordinamentale di poteri, sia pure nei termini in cui la collega Mascia ha illustrato, riguardo a procedure ed a personale, tali da costituire un fondamentale punto di riferimento anche per le realtà a livello locale.
Da ultimo, signor Presidente, colleghi, vorrei soffermarmi molto brevemente, ma con attenzione, sull'ipotesi che la collega Mascia ha prospettato nell'ultima parte della sua relazione e che non ha potuto approfondire, dato l'esaurimento del tempo a sua disposizione e nonostante la tolleranza manifestata dalla Presidenza. Si tratta di un'ipotesi, che sarà opportuno valutare serenamente in quest'aula, cercando di trovare un'ampia convergenza, volta ad arricchire questa importante proposta di legge di iniziativa parlamentare, nel senso di far confluire il garante dei diritti e delle persone detenute o private della libertà personale in un ambito più ampio, ovvero in una commissione nazionale per la promozione della tutela dei diritti umani, di cui il garante diventerebbe un'articolazione.
La collega Mascia ha già sottolineato quali sono le ragioni di carattere sostanziale ed istituzionale, in relazione alla tutela dei diritti umani, nell'attuale quadro internazionale: dal primo gennaio, l'Italia diventa membro, non permanente, ma per due anni, del Consiglio di sicurezza dell'ONU; la possibilità che il nostro paese abbia un ruolo importante in tale organismo, preposto alla tutela dei diritti umani; la necessità, perché questo avvenga, che tempestivamente, ossia nel giro di pochi mesi, venga istituita la commissione nazionale per la tutela di diritti umani anche nel nostro paese, come già è avvenuto in molti altri paesi; infine, l'opportunità - da valutare, vista, non la coincidenza, ma l'intersecazione delle materie, di cui stiamo trattando (in generale, la tutela dei diritti umani e, in particolare, il garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale) - di intervenire con lo strumento legislativo che abbiamo al nostro esame.
La collega Mascia, poco fa, opportunamente - io stesso non ha ancora avuto modo di approfondirne l'esame così penso nessuno di noi -, ha distribuito in Commissione una bozza, un'ipotesi, uno schema, evitando di depositare formalmente un testo. Ha preferito invece distribuire ai colleghi del Comitato dei nove una bozza, un'ipotesi concernente la possibilità di arricchire l'articolato, laddove si adottasse l'ipotesi di allargamento della materia di questa proposta di legge con l'istituzione della Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
Poiché ritengo doveroso onorare il dibattito che la relatrice ha avviato sia in Commissione, sia in sede di Comitato dei nove, sia ora in Assemblea, vorrei esprimere Pag. 9a nome del nostro gruppo un consenso a questa ipotesi, ovviamente nell'auspicio che possa essere da tutti i gruppi - o dalla maggior parte dei gruppi di maggioranza e opposizione - condivisa.
Diventerebbe difficile un'iniziativa di legislativa di questo genere, un arricchimento e un allargamento della nostra iniziativa legislativa nella dimensione qui ricordata, laddove non vi fosse una larga condivisione. Poiché, però, già in relazione al parere espresso dalla II Commissione si è visto che il dialogo parlamentare ha dato buoni frutti, ritengo che si possa esprimere una fiducia nel confronto parlamentare anche su questo argomento per poi, una volta terminato il dibattito generale in quest'aula, quando verrà riunito nuovamente il Comitato dei nove (mi pare che sia convocato poco dopo la fine dei lavori d'Assemblea di questa mattina), tutti noi (mi riferisco a tutti i rappresentanti dei gruppi, di maggioranza e di opposizione) tornare a riunirci e valutare se questa ipotesi di ampio emendamento e arricchimento del testo al nostro esame possa essere largamente condivisa - quindi praticabile - o se, invece, dovremmo sul punto ipotizzare soluzioni alternative.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boscetto. Ne ha facoltà.
GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, colleghi senatori, signor rappresentante del Governo...
MARCO BOATO. Ex senatori siamo solo noi due!
GABRIELE BOSCETTO. Mi correggo: colleghi deputati. Talvolta ci si porta dietro la casa di provenienza e, nei primi tempi soprattutto, questi lapsus sono comprensibili.
MARCO BOATO. Sono anche belli...
GABRIELE BOSCETTO. Parlando a nome di Forza Italia, vorrei percorrere le logiche che ci hanno portato a non essere d'accordo su questo provvedimento. Si tratta di logiche riguardanti non tanto la sostanza del provvedimento, quanto piuttosto il modo nel quale esso si è allargato - soprattutto rispetto alla proposta Mazzoni - con una serie di «incrostazioni» ed aggiunte che, a nostro avviso, lo hanno reso estremamente pesante sul piano degli interventi, rendendo, sul piano della struttura, questa nuova autorità un carrozzone.
Già sul piano concettuale bisogna essere estremamente attenti a non esagerare nella proliferazione di continue, nuove autorità, perché si rischia di esagerare con centri di verifiche varie che non sempre sono utili - talvolta sono addirittura inutili - andando ad interferire con situazioni giuridiche esistenti.
Noi abbiamo sempre pensato che la legge sull'ordinamento penitenziario, con la possibilità dei detenuti e degli internati di rivolgersi al magistrato di sorveglianza, avesse una propria dignità e una propria sufficienza.
Ci è stato detto che i magistrati di sorveglianza sono subissati da istanze e richieste e possono esservi falle in questo sistema; aggiungere un'autorità di garanzia come questa non guasta, va certamente nell'interesse dei detenuti. Qualcuno ha obiettato che è sufficiente ciò che c'è, che dobbiamo preoccuparci delle vittime del reato ed invece continuiamo a preoccuparci dei detenuti. Io sostengo che è giusto preoccuparsi degli uni e degli altri e che il miglioramento delle condizioni nelle carceri rappresenta qualcosa di civile, ma anche di utile, per il regolamento della giustizia a tutti i livelli e per una corretta espiazione della pena che porti alla rieducazione scritta nella nostra Costituzione.
La proposta di legge Mazzoni era quella che, a grandi linee, incontrava il nostro favore, ad eccezione di due punti sui quali abbiamo alcune riserve: si tratta dell'operatività del nuovo garante in relazione ai CPT ed in relazione alle camere di sicurezza della polizia e degli altri organismi di ordine pubblico. Infatti, mentre l'inserimento di questa figura nell'ordinamento penitenziario fa sì che vi sia una normativa ampia e stabilizzata che Pag. 10consenta di incanalare la novità costituita dal garante, quando parliamo di CPT ci riferiamo ad istituti tipici di una legge, il testo unico sull'immigrazione Turco-Napolitano integrato dalla legge Bossi-Fini, che ha già una serie di tutele e dovrebbe, eventualmente, trovare ulteriori tutele nel suo ambito. Abbiamo sempre sostenuto che coloro che sono trattenuti nei CPT a fini di identificazione o di espulsione, dopo l'identificazione non sono privati della libertà personale, non sono detenuti, e non sono internati. Correttamente, si è detto di provvedere anche nei confronti di persone limitate nella libertà personale e, certo, si può sostenere che costoro un limite alla libertà personale ce l'abbiano.
Per quanto riguarda le camere di sicurezza, sappiamo come esse vengano usate in via del tutto temporanea in momenti delicatissimi delle indagini di polizia o delle indagini giudiziarie: prevedere la possibilità per il garante di intervenire in quei luoghi ed in quei momenti così delicati ci pare un non senso. Dunque, abbiamo presentato alcuni emendamenti tesi ad eliminare dalle competenze del garante coloro che sono nei CPT e coloro che si trovano, per brevissimi periodi di tempo, nelle camere di sicurezza in corso d'inchiesta della magistratura. Ripeto: per quanto riguarda tutele e verifiche sui CPT il testo unico, con i connessi regolamenti, già permette un pregnante controllo.
Se si vuole potenziare tale controllo, al fine di garantire meglio coloro che si trovano in queste situazioni, allora occorre introdurre modifiche serie alla cosiddetta legge Bossi-Fini o al suo regolamento di attuazione.
Affermo ciò per chiarire la nostra posizione. Infatti, non intendiamo neanche restringere le garanzie per coloro che si trovano nei CPT, tuttavia chiediamo che si segua una logica sistematica diversa. I due poli orientativi di tale ambito, a nostro avviso, devono essere costituiti da una parte dalla legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario e, dall'altra, dal testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, nonché dalle correlate norme regolamentari.
Ricordo che, in sede referente, abbiamo rivolto anche altre critiche al provvedimento in esame. In questa fase, signor Presidente, intendo soffermarmi sul testo al momento all'attenzione dell'Assemblea, riservandomi di intervenire successivamente sulle proposte emendative che saranno presentate in tale sede.
Procederò rapidamente, articolo per articolo, e senza neanche trattarli tutti. Vorrei soffermarmi, ad esempio, sui requisiti che, ai sensi dell'articolo 2 del provvedimento, devono essere posseduti dai componenti del Garante. Tale articolo, infatti, prevede che essi debbano possedere, anche disgiuntamente: un'esperienza pluriennale nel campo dei diritti umani delle persone detenute o private della libertà personale; una riconosciuta competenza nelle materie giuridiche afferenti alla salvaguardia dei diritti umani.
Ebbene, riteniamo che tali requisiti siano eccessivamente generici e che non soddisfino congruamente le esigenze di una authority di garanzia che deve essere di altissimo livello (anche perché è previsto che il suo organico non superi le 50 unità di personale).
D'altro canto, ricordo che il comma 4 dell'articolo 1 del testo unificato delle proposte di legge in esame prevede che se i componenti del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale sono magistrati in attività di servizio, debbano essere collocati fuori ruolo, mentre se sono professori universitari di ruolo, debbano essere messi in aspettativa. Ciò vuol dire che la logica alla base del provvedimento vuole che si faccia ricorso a figure in possesso di un'alta professionalità: pertanto, bisogna adeguare anche i requisiti di cui all'articolo 2 del suddetto testo unificato.
Per quanto riguarda l'articolo 6, riteniamo che le consulenze di cui possa avvalersi il Garante dei diritti (il cui impegno di spesa, peraltro, è contenuto in 300 mila euro annui) dovrebbero essere soppresse. Ciò perché pensiamo che una struttura come quella che auspichiamo - vale a dire, molto qualificata e dotata di un nucleo di personale altamente professionale, Pag. 11composto da un massimo di 50 persone - debba fare a meno di consulenti, poiché sappiamo che essi, talvolta, tendono ad assumere ruoli impropri.
Vorrei segnalare l'articolo 7, concernente i rapporti con i difensori civici ed i garanti dei diritti delle persone private della libertà personale, istituiti in ambito regionale o locale, definito nel corso dell'attività della Commissione. Come abbiamo già detto in tale sede, riteniamo che si tratti di una disposizione estremamente pericolosa.
Infatti, se ci fossimo limitati a stabilire un rapporto tra il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale nazionale ed i garanti dei diritti istituiti in ambito regionale, probabilmente avremo costruito una «rete» sicuramente congrua e seria.
Vorrei osservare, tuttavia, che qualora estendessimo tale istituto anche alle province ed ai comuni, non sapremmo più cosa accadrebbe, poiché non avremmo garanzie circa la serietà di questi uffici. Come abbiamo già sostenuto, ne soffriranno soprattutto la segretezza ed il rispetto della persona, che debbono essere correlati agli interventi del Garante.
Non solo. Questa norma può avere un effetto rebound, nel senso che molti comuni finiranno per istituire un ufficio del garante comunale per i detenuti al fine di sistemare qualche «amico» politico a capo di tale organismo locale, che si andrà a mettere in rapporto di cooperazione con il Garante dei diritti nazionale, creando quindi una rete artificiosa che non sappiamo dove potrà arrivare, ma che finirà per creare un «carrozzone» globale in tutto il paese, dove le falle ai diversi livelli e sotto i diversi profili si apriranno con facilità, a nostro avviso.
Ho già parlato delle camere di sicurezza e dei CPT. Ciò che ancora vorrei dire è che noi siamo critici sulla parte giurisdizionale che è stata introdotta rispetto alla proposta di legge Mazzoni A.C. 626. La proposta Mazzoni prevedeva l'intervento del Garante soltanto nell'ambito amministrativo: il Garante riceveva istanze, verificava, faceva i doverosi appunti alle autorità amministrative ed, eventualmente, alle autorità amministrative superiori, creandosi una serie di interventi che rimanevano limitati all'apparato amministrativo per le diverse gerarchie. Non credo che un sistema di tal genere fosse di difficile realizzazione, perché di fronte all'intervento del Garante si deve pensare quantomeno che le autorità gerarchicamente sovraordinate sarebbero intervenute. Nel testo unificato licenziato dalla Commissione, invece, si stabilisce che se gli uffici sovraordinati decidono di non accogliere la richiesta, il Garante dei diritti può richiedere al tribunale di sorveglianza territorialmente competente di annullare l'atto che reputa illegittimo ovvero di ordinare all'amministrazione di tenere il comportamento dovuto. Nel testo in esame si attribuiscono nuove competenze al tribunale di sorveglianza, tra le quali quella di annullamento di un atto amministrativo, che ci sembrano del tutto fuori luogo.
Per quanto riguarda...
PRESIDENTE. Onorevole Boscetto, se lei continua ancora, è evidente che il tempo viene sottratto al collega del suo gruppo che dovrà intervenire successivamente.
GABRIELE BOSCETTO. Ho proprio concluso, signor Presidente.
Per quanto riguarda l'articolo 11 è prevista la richiesta del Garante all'autorità giudiziaria competente - che, in questo caso, non è il tribunale di sorveglianza - di annullare l'atto; anche in proposito si crea una nuova logica di annullamento che, a nostro parere, non è positiva. Quindi, tale fase giurisdizionale è fortemente criticata da noi ed è una tra le ragioni per le quali, fermo restando il giudizio complessivamente positivo su questo provvedimento, la nostra posizione è diventata negativa per tutte le ricordate vicende che hanno portato ad aumentare la sfera di intervento del provvedimento medesimo, a nostro avviso, come dicevo all'inizio del mio intervento, in modo improprio. La ringrazio, signor Presidente Pag. 12(Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Cota, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Daniele Farina. Ne ha facoltà.
DANIELE FARINA. Signor Presidente, colleghi deputati, siccome spesso lamentiamo il distacco della politica dal paese reale, nell'esaminare questo provvedimento ritengo utile iniziare ricordando un fatto concreto. Si tratta di un suicidio, avvenuto il 17 ottobre scorso in un carcere romano. Voglio ricordare il cittadino Mauro Bronchi - così si chiamava - non perché ne abbia avuto una conoscenza diretta, né perché i reati dei quali era accusato avessero un che di politico, anzi sono quella tipologia di reati che forse si potrebbero definire, o vengono comunemente definiti, odiosi.
Rispetto alle decine di altri episodi che si verificano nelle carceri della Repubblica, il cittadino Bronchi ha avuto la ventura di incontrare ex post, purtroppo dopo, Gianfranco Spadaccia, garante (come tutti voi sapete) delle persone private della libertà personale per il comune di Roma. Egli ha segnalato il caso e le carenze che hanno, verosimilmente, facilitato il suo accadere: ovviamente, è in corso anche un'inchiesta della magistratura.
In Italia sono stati istituiti - lo ricordava la relatrice assieme ad altri colleghi -, da comuni, province e regioni, almeno una ventina di garanti. Si tratta però di figure con funzioni chiaramente limitate, con poteri che potremmo definire interstiziali: utili ma non sufficienti. Proprio il caso che citavo, indirettamente e drammaticamente, ce lo conferma.
L'obiettivo di questo provvedimento è dunque di istituire una figura operante su tutto il territorio nazionale, dotata di funzioni e delle risorse per esercitarle, capace di intervenire ex ante, di prevenire tutelando situazioni come questa e le cento meno drammatiche che quotidianamente tutti noi sappiamo verificarsi nei luoghi dell'internamento e della privazione della libertà personale.
Non dobbiamo pensare che questo provvedimento abbia un che di particolarmente radicale, poiché è un'esigenza, com'è stato ricordato, che ha trovato risposta con modalità differenti in molti paesi europei.
Nessuna esagerazione dunque, onorevole Boscetto; colmiamo in realtà - io lo dico, l'onorevole Boato magari no poiché lo ascriveva al politichese - un ritardo, tanto più grave se pensiamo alle condizioni del nostro circuito penitenziario rispetto a quelle di altri paesi europei.
Inoltre, non è così peregrino pensare che esiste una relazione tra la presenza di una figura di garanzia e questo differenziale di condizioni. Sono funzioni di osservazione e vigilanza, ma anche di verifica circa le procedure e le condizioni poste in essere nelle carceri, nelle camere di sicurezza, nei centri di permanenza temporanea. Sono funzioni che, in parte, coincidono con quelle attribuite alla magistratura di sorveglianza dal secondo comma dell'articolo 69 della legge n. 354 del 1975, come ricordava la relatrice, approvata a riforma dell'ordinamento penitenziario. Esse rimangono, per questa parte dell'articolo 69, giustamente immutate configurando, al massimo, un doppio e virtuoso meccanismo che, limitatamente alle carceri, sarebbe strumentale, come è stato fatto, agitare come conflittuale.
Eppure non possiamo nasconderci che un quarto e più di secolo di applicazione della legge n. 354 ne ha evidenziato anche le non poche fragilità. Dunque, non casualmente, il provvedimento interessa anche l'articolo 35, che pur prevedendo una molteplicità di figure (dal direttore dell'istituto al Capo dello Stato, dal magistrato di sorveglianza al presidente della giunta regionale) quali potenziali destinatari di istanze e reclami da parte del cittadino detenuto, non appare oggi adeguato nella sua applicazione e nella sua formulazione; in proposito, i colleghi hanno citato le sentenze, i provvedimenti della Corte costituzionale.Pag. 13
Ecco perché con questo provvedimento si propone di mettere in capo proprio al Garante dei diritti la possibilità di procedere a proprie determinazioni, in ordine a istanze e reclami. Proprio per questo il procedimento, lasciando intatta la potestà giurisdizionale del magistrato di sorveglianza, configura però un più adeguato livello di attenzione ed intervento; procedimento conciliativo, ma anche procedimento contenzioso, per il quale è prevista, infatti, la possibilità di un ricorso in Cassazione, oggi non esistente. Non potrebbe essere altrimenti, se non vogliamo istituire una figura di carattere meramente simbolico, inadeguata ai compiti e agli obiettivi che oggi si rendono con evidenza necessari.
Nel dibattito svoltosi in sede consultiva presso la Commissione giustizia di questa Camera, proprio questi ultimi punti hanno suscitato talune perplessità, tali da esplicitarsi anche nel parere e negli atti.
L'impressione è però che alla radice di quel parere, di quel dibattito vi sia ancora il prevalere di una convinzione circa il carattere retributivo, ovvero afflittivo della pena rispetto a quello rieducativo reso prevalente dalla nostra Costituzione. È un'ipotesi che pochi sarebbero disposti ad ammettere, perché ci porterebbe lungo quel dirupo che dalla legge del taglione risale fino al codice Rocco.
Molti dunque sono i motivi per sospingere questo provvedimento oltre le comprensibili obiezioni. Ogni testo di legge è ovviamente perfettibile, ma forse mai come in questo caso è opportuno che la norma viva affinché si verifichi nella sua concreta attuazione la sua efficacia. In conclusione, ciò è maggiormente vero se questa figura verrà articolata nelle funzioni che la relatrice ricordava in ordine al contenuto del protocollo dell'ONU cui siamo da troppi anni chiamati a dare seguito (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche in questa circostanza (o forse soprattutto in questa circostanza) non parleremo in «politichese». Pertanto, intendo iniziare il mio intervento dalla fine.
Questo provvedimento, così come configurato, è difficilmente emendabile perché possa essere recuperato a logiche di utilità. Se tuttavia esso è destinato a confluire in un provvedimento a più largo spettro di competenza, in vista dell'istituzione di altro organismo prospettato come adempiente alle sollecitazioni di carattere internazionale rivolte alle nazioni, tra cui l'Italia, il gruppo di Alleanza Nazionale si riserva ogni valutazione a questo riguardo. Infatti, il mio gruppo è da sempre fortemente sensibile all'intera problematica dei diritti umani, provenienti dal diritto naturale e dalle sue articolazioni e traduzioni negli ordinamenti nazionali ed internazionali. I diritti umani, infatti, si fondano su una base, se non ideologica, di principio, relativa alla centralità del diritto della persona. Pertanto, siamo aperti a confrontarci con ogni forza politica e culturale su tali tematiche.
Per la verità sta circolando un testo che ho avuto materialmente in mano da pochi minuti. Per tale motivo non mi sembra il caso di anticipare giudizi su questioni di tale delicatezza, in quanto si rischia che siano superficiali e affrettati. Ribadisco che, in linea di principio, il mio gruppo non è contrario ad affrontare in modo organico e serio l'intera tutela, verifica e promozione dei diritti umani. Vedremo con quali strumenti e quali modalità ciò sarà fatto.
Se invece dobbiamo restare al tema sottoposto alla nostra attenzione, ripeto che non giova parlare in «politichese». Non giova ai nostri reciproci rapporti e al rispetto che ci dobbiamo culturalmente, né nei confronti dell'opinione pubblica, sensibile nella sua stragrande maggioranza alla civiltà dei trattamenti ad ogni livello e in ogni ambiente, ivi compreso quello della detenzione. Al tempo stesso, tuttavia, essa chiede soglie di garanzia in merito alla sicurezza dei cittadini prioritarie rispetto Pag. 14ad ogni altra tematica. Inoltre, sul piano politico dobbiamo dire che si tratta di provvedimenti troppo chiaramente partoriti da un incontro non positivo e non fecondo tra un «buonismo» di immagine, che non fa il bene delle persone, ed un ideologismo, che principalmente da sinistra viene agitato senza curarsi - voglio esser benevolo - degli effetti e delle ricadute, spesso devastanti, per i settori in cui si interviene.
Per quanto ci riguarda, abbiamo espresso subito un giudizio tendenzialmente negativo sul contenuto di questo testo unificato al nostro esame. Tale giudizio è motivato dal fatto che principalmente si determinano una sovrapposizione e un'interferenza di competenze con la magistratura di sorveglianza che anche il profano - il tecnico neppure a parlarne! - individua prima facie.
Mi sarebbe troppo facile dire - e su questo potrei intrattenervi a lungo e consumare il tempo a mia disposizione - che basta leggere l'articolo 69 della legge n. 354 del 1975, laddove al comma 1 si dice che «il magistrato di sorveglianza vigila sull'organizzazione degli istituti di prevenzione e pena e prospetta al ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo all'attuazione dei trattamento rieducativi», mentre al comma 2 si prevede, testualmente: «esercita altresì la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti» e, inoltre, al comma 3: «sovrintende alla esecuzione delle misure di sicurezza personale» e via dicendo.
Nel testo sottoposto al nostro esame, all'articolo 8, comma 1, si individuano, o si cercano di individuare, funzioni e poteri del Garante dei diritti; alla lettera a), si dispone che egli «esercita la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati e dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme (...) sia attuata in conformità alle norme e ai principi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall'Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti». Già è confessato, per enunciazione degli estensori dei testi, che si tratta di due organismi che - quali che siano le più o meno buone intenzioni dei proponenti - sono assolutamente sovrapponibili, «intrusi» l'uno nell'altro e, dunque, potenzialmente confliggenti.
In ogni caso, la norma raddoppia gli organismi, creando una confusione istituzionale e funzionale assolutamente esecrabile ed evitabile. Colui il quale non cercasse di evitarla, potrebbe esser additato come un irresponsabile. Infatti, queste vicende poi si scaricano su singole persone o su comunità di persone che vivono in una determinata condizione, con stati già di tensione e difficoltà ben note a tutti. Pertanto, creare confusione, interazioni, sovrapposizioni o conflitti in questa materia è assolutamente da irresponsabili.
Si è detto che la magistratura di sorveglianza non ha raggiunto tutti i suoi obiettivi e non sembra disporre di tutti gli strumenti idonei e sufficienti. Inoltre, si è detto - e questo è un giudizio - che il bilancio della sua azione non sarebbe positivo. Noi non siamo così devastanti. Ci sono magistrati di sorveglianza e loro collaboratori che fanno il possibile e l'impossibile per fronteggiare i loro delicatissimi compiti e che svolgono una preziosa opera nell'adempimento del proprio dovere, con risultati assai importanti. Tuttavia, sono innegabili le carenze, le insufficienze e le intempestività, in quanto ciascuno può verificarle nell'esercizio quotidiano della propria professione, del proprio potere di visita, delle proprie esperienze di ogni genere.
Quando un organismo che si riconosce di per sé idoneo ed appropriato, conforme ai nostri principi costituzionali, ai nostri ordinamenti ed indicazioni di valore dimostra insufficienze, inadeguatezze, qual è la cosa giusta da fare? Potenziarlo, renderlo adeguato, migliorarne la potenzialità operativa ma non di certo smantellarlo, svuotarlo di competenze e andare a creare un altro organismo parallelo, dalla natura difficilmente configurabile e mal conciliabile anche sul piano giuridico.Pag. 15
Infatti, quando si parla dei diritti della persona, questi non sono rappresentati soltanto da pezzi di carta, ma sono qualcosa di vivo e di palpitante. Non si devono raddoppiare queste funzioni, volte a creare ulteriore confusione, quanto piuttosto potenziare gli strumenti a disposizione.
La magistratura di sorveglianza è nata da una doppia esigenza. La prima è quella di affidare tutte le controversie ed anche, vorrei dire, i passaggi quotidiani della vita e della vicenda del condannato o del soggetto la cui libertà personale, comunque, è ristretta, ad un magistrato, a colui, cioè, che si trova in posizione di terzietà e che teoricamente offre la massima garanzia ai singoli e alle comunità. Infatti, tale organo è nelle condizioni di assicurare al meglio e con la massima attendibilità possibile, senza essere prono o connivente con altri poteri, anche con il potere esecutivo dello Stato, le garanzie che tutti noi ci aspettiamo quanto al rispetto dei diritti giuridici diffusi. Mi riferisco a noi quali cittadini, ma anche ai detenuti che, come tali, soffrono la restrizione della libertà personale in ragione dei delitti commessi e delle pene irrogate, sempre con le garanzie e le procedure assicurate dal sistema giudiziario. Questa è la massima garanzia che il legislatore ha individuato, a suo tempo, nei confronti dei soggetti coinvolti.
La seconda esigenza è quella di ramificare la presenza di questa magistratura la quale, non a caso, nella quasi totalità dei casi - lo sa chi conosca un po' la «geografia giudiziaria» italiana - è insediata presso le sedi circondariali di tribunale presso le quali si trovano i principali istituti di pena e di restrizione. In tal modo, sono assicurate la prossimità, la reperibilità e la prontezza della risposta del magistrato dinanzi alle istanze, ai reclami e alle altre situazioni che gli sono prospettate.
Da queste esigenze è nata la magistratura di sorveglianza. Perciò, ripetendo ancora una volta una considerazione che attiene ad punto centralissimo, affermo che raddoppiare tali funzioni e creare questo intreccio di poteri e di interventi è francamente sbagliato - per usare un termine banale ma significativo - incongruente e mal attuabile. Ciò è dimostrato dal fatto che anche in base alle previsioni contenute nel testo, di fronte all'esigenza evidente di rendere in qualche modo esigibili e potenzialmente cogenti ed efficaci gli interventi dell'istituto che si sta prospettando, alla fine si arriva ad un collo di bottiglia. In determinate situazioni, infatti, quando si crea un contrasto, un contraddittorio tra le inadempienze rispetto agli interventi dell'ipotizzato garante, si deve ricorrere sempre alla procedura giurisdizionale, si deve versare il contenzioso nella sede magistratuale, l'unica competente. Ecco, dunque, che si crea qualcosa di spurio, che non è affidato alla giurisdizione, in una prima serie di segmenti comportamentali e di competenze, e che finisce sempre all'esame del magistrato ma senza il rispetto, a monte, delle garanzie del contradditorio giudiziario.
Non siamo dunque favorevoli a questo provvedimento, mentre siamo assai favorevoli a tutto ciò che possa migliorare seriamente la condizione e le garanzie per il detenuto, usando questo termine nella sua accezione generica perché all'interno di questa genericità si ricomprende una serie di fattispecie. Un collega ha giustamente affermato che non siamo d'accordo nell'equiparare i poteri di ingerenza e di verifica riguardo agli istituti di pena tradizionali con quelli concernenti i centri di accoglienza o di permanenza temporanea, di identificazione o le camere di sicurezza. Questo è doppiamente sbagliato e tende a creare confusione ideologica con l'esigenza di trattenere persone che sono allo sbando e in situazioni la cui illegittimità è frequente ma ancora da verificare. Insomma, questi centri rispondono ad una diversa esigenza. Qualche nostro collega che, nelle scorse ore, si è esibito in maniera indecorosa può pensarla non allo stesso modo, ma le persone che abbiano un minimo di equilibrio logico e istituzionale non devono essere fuorviate.
Non siamo favorevoli, quindi, a questa istituzione. Se entreremo nell'esame dell'articolato, naturalmente spiegheremo, in Pag. 16sede di illustrazione degli emendamenti, quali passaggi non ci trovano d'accordo. Mi sembra di poter dire, in termini politici, che già nella maggioranza stessa non vi è ampio consenso o coincidenza di vedute, se è vero, per esempio, che un emendamento presentato dal collega Palomba riconfigura completamente l'istituto, in modo certamente diverso da quello che emerge dalla proposta sottoposta al nostro esame.
Con riferimento al parere della II Commissione, in cui si registra la stessa maggioranza politica riscontrata nella I Commissione, in particolare alla lunga premessa che è parte integrante del parere stesso, è una formula di stile dire che si tratta di un parere favorevole: in realtà, è un parere sostanzialmente ed in maniera molto penetrante contrario e non sono certo i blandi emendamenti della collega relatrice che possono rimediare alla sostanza di quel parere contrario!
Non siamo, altresì, d'accordo sui criteri di individuazione dei requisiti per la nomina dell'organismo, per la sua costituzione, per l'apparato che gli si dovrebbe costruire intorno, per le consulenze. È troppo facile prevedere che - i membri del Governo attuale sono soliti adottare questo atteggiamento - venga nominato qualche ex brigatista come esperto consulente nelle materie dei diritti umani e quant'altro!
Non siamo d'accordo nell'attribuzione di certe funzioni e poteri per le ragioni che ho affermato. Ciò anche in riferimento ai rapporti tra il difensore civico nazionale e l'articolazione, l'arcipelago di analoghe figure che più o meno velleitariamente regioni e comuni vanno istituendo: si tratta, infatti, di un argomento insidiosissimo, perché il testo prevede una sorta di cooperazione, ma tale formula, proprio per la sua indeterminatezza, si presta ad intrusioni, esorbitanze di competenze ed iniziative che è troppo facile presagire.
Addirittura, è prevista la possibilità da parte del Garante nazionale di avvalersi delle strutture periferiche analoghe o assimilabili che dovrebbero essere istituite con la garanzia della riservatezza, dell'affidabilità in una materia in cui la sicurezza dovrebbe essere particolarmente pregnante (lascio intendere alla vostra esperienza e al vostro buon senso!).
Vi sono questioni relative al procedimento, del quale parleremo quando si passerà all'esame delle proposte emendative, al carico economico che, naturalmente, prevede un'ipertrofia dell'organismo, oltre alle consulenze, con le relative spese che anche negli emendamenti vorremmo vedere contenute. Si tratta di una serie di argomenti che ci fanno ritenere che o si pensa che questo organismo, istituito a livello centrale nazionale, sia in grado di rispondere agli obiettivi che verrebbero prefissati, oppure no; se si pensa che questo organismo possa fare appello, avvalersi della collaborazione e della strumentazione di quelli periferici, stiamo già dichiarando fallimento!
In buona sostanza, mentre diciamo che lo stesso non può delegare le funzioni, stiamo già prevedendo che, sul piano pratico dell'istruttoria, dell'acquisizione dei dati, la delega sarà la regola e non l'eccezione!
Tutto questo creerà ulteriore turbamento, nonché grandi preoccupazioni, specie in talune regioni italiane, ma non solo. Vi sono quindi ragioni anche funzionali, tecniche, di sistema che motivano fortemente la nostra contrarietà. Non si tratta, comunque, di una contrarietà a tutto ciò che promuova e garantisca, pur nel contesto della certezza e dell'effettività della pena, principio al quale la gente, non la destra politica, ma i cittadini di ogni pensiero e cultura richiamano la classe politica. Nel contesto della certezza ed effettività della pena, la civiltà della pena medesima è un principio guida, al quale anche e soprattutto il mio gruppo si è sempre ispirato nelle sue determinazioni. Tuttavia, lo si fa strutturando adeguatamente i luoghi, disciplinando le procedure, potenziando il personale, affidandosi con forza e promuovendo la sua professionalità, la sua dotazione, la sua sensibilità culturale a questi temi, con una magistratura che, con tutte le sue garanzie, intervenga con prontezza ed efficacia, al meglio Pag. 17delle sue possibilità, sulle situazioni individuali e collettive di eventuali illegittimità o infrazioni dei principi di umanità che regolano il nostro ordinamento. Tutto ciò, senza stravolgerlo, senza creare un disastro di competenze tra magistratura e questi nuovi carrozzoni da istituire, senza mortificare la professionalità degli operatori che hanno vita altrettanto difficile, quanto le creature a loro affidate, senza dilapidare risorse o creare interferenze di competenza ai vari livelli.
Mi riservo, dunque, sulla base di questo giudizio negativo di carattere generale, di intervenire in sede di esame dei singoli emendamenti, ammesso che non si acceda a quella visione di più larga prospettazione tematica, sulla quale ribadisco che siamo disposti ad un confronto scevro da ogni pregiudizio.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, vorrei innanzitutto premettere che un intento costruttivo, anche se con qualche accento critico, è contenuto nella nostra volontà di collaborare a migliorare questo testo. Se ciò non significa totale condivisione del testo, tuttavia significa volontà di cooperare affinché alcuni aspetti, che per noi sono più critici, vengano ricondotti all'interno di un più corretto rapporto tra organi istituzionali.
Un dibattito che si fondi su una volontà costruttiva, anche facendo rilevare aspetti critici, sfugge a qualunque logica di contrapposizione tra maggioranza e minoranza. Sappiamo che il testo unificato, infatti, è il risultato di proposte di legge di deputati della maggioranza e dell'opposizione e che posizioni non convergenti si sono registrate sia nella maggioranza, sia nell'opposizione, tanto nella Commissione affari costituzionali, quanto nella Commissione giustizia, in cui sono stati espressi accenti critici da parte di illustri componenti della stessa maggioranza. Ricordo, ad esempio, l'intervento del collega Gambescia, oggi presente, ma anche quello, ad esempio, del collega Belisario nella I Commissione.
L'Italia dei Valori ha alcune proposte che possono servire a superare eventuali obiezioni di fondo a questo testo, così come è stato trasmesso all'aula. Esso è stato trasmesso forse troppo precipitosamente, considerato che un maggiore approfondimento e un maggiore tempo a disposizione per la I Commissione, dopo la formulazione del parere da parte delle altre Commissioni, avrebbe forse consentito di trovare un equilibrio più condiviso su un testo che rispettasse maggiormente le diverse opinioni pervenute alla I Commissione medesima.
La fissazione un po' accelerata della discussione sul provvedimento in aula verosimilmente ha impedito che si completasse quella operazione di affinamento e di riequilibrio complessivo del testo che, probabilmente, sarebbe stata nei desideri degli stessi componenti della I Commissione, i quali si sono dovuti limitare a prendere atto dei pareri pervenuti e, subito dopo, licenziare il testo così com'era, proprio per l'urgenza dei tempi, che è andata oltre le volontà.
Vi sono due questioni di fondo che vogliamo rappresentare nei confronti del testo, così come trasmesso all'aula: una riguarda la natura giuridica dell'organo, che, per il momento, non definiamo; l'altra riguarda la sua composizione, in senso soggettivo, ed i meccanismi per la sua determinazione.
Il tema fondamentale riguarda la natura giuridica dell'organo. Si poteva oscillare tra due soluzioni: la prima è quella di scegliere un organo decisorio; la seconda è quella di istituire un organo verificatore, propulsore ed istruttore, che non intervenisse nella fase della decisione e, quindi, che non si intersecasse in nessun modo rispetto ai compiti e alle funzioni della magistratura di sorveglianza.
A noi pare che l'organo decisore debba essere uno solo, ossia il magistrato di sorveglianza, al quale l'ordinamento penitenziario affida due funzioni essenziali. La prima è quella di vigilare sull'organizzazione dell'amministrazione penitenziaria e sulla conformità dell'esecuzione penitenziaria alle leggi e ai regolamenti, come Pag. 18stabilisce con chiarezza il comma 2 dell'articolo 69 della legge n. 354 del 1975. E mi sembra giusto che sia così, perché la vigilanza spetta a chi ha, poi, il potere di decidere.
L'altra funzione precipua affidata alla magistratura di sorveglianza è quella di decidere sui reclami.
Se è così, a questo ulteriore organo che, nel pianeta penitenziario, va ad affiancarsi alla magistratura di sorveglianza dovrebbe competere una funzione più di verifica che non di decisione.
Se un organo di sicura natura amministrativa, quale il garante o il difensore civico, dovesse essere gravato di compiti di decisione anche sui conflitti, vi sarebbero dei seri dubbi di costituzionalità. Infatti, l'esecuzione della pena riguarda strettamente i diritti soggettivi delle persone e, in presenza di questi ultimi, la decisione sui conflitti spetta esclusivamente all'ordine giudiziario, proprio perché si tratta di diritti soggettivi.
Dico ciò indipendentemente dal fatto che il procedimento di istruzione, di decisione sui reclami possa essere configurato come un procedimento giurisdizionale ordinario o come un procedimento amministrativo: ciò non interessa in questa sede. Fatto sta che il compito di decidere sui reclami, in quanto essi attengono potenzialmente ai diritti soggettivi, non può essere espropriato alla magistratura di sorveglianza.
Questo è un primo serio punto di perplessità sul testo sottoposto all'esame dell'Assemblea: mi riferisco all'attribuzione a tale organo di garanzia di compiti quali la vigilanza e la decisione sui reclami, che sono attribuibili esclusivamente alla magistratura di sorveglianza.
Questo dubbio di costituzionalità ci porta ad essere particolarmente incisivi nel prospettare le perplessità esistenti. Dobbiamo fare in modo che il testo regga anche ad un successivo e rigoroso vaglio della Corte costituzionale, che già più volte è stata molto attenta a questi aspetti, nel momento in cui ha giurisdizionalizzato il procedimento di sorveglianza, per trarne conseguenze in ordine alla possibilità di sollevare all'interno di esso questioni di costituzionalità, anche se di tipo incidentale.
Al riguardo, credo che dobbiamo essere estremamente attenti. Ritengo che la Commissione e il Comitato dei nove, all'esito del dibattito, avranno la possibilità di raccogliere le perplessità sollevate e, sulla base di queste, di completare quella azione che, per ragioni di tempo, è stato difficile espletare in precedenza.
Il garante o il difensore civico, comunque, sono organi che vanno circoscritti (ma questo termine non deve essere in nessuna maniera svalutante) in un ambito molto preciso, all'interno del quale possono espletare una funzione importante, di sostegno dell'azione della magistratura di sorveglianza: sostegno, ma non sostituzione. Può esercitare una funzione importante, anche se noi riteniamo non conferente l'argomento che induce ad istituire un nuovo organismo per le debolezze attuative della funzione di sorveglianza in capo al magistrato di sorveglianza. Non crediamo che se una funzione, per come viene esercitata, si presenta debole, debba essere rafforzata e sostituita con altre funzioni che possono rischiare di creare confusione e dubbi molto seri. Ci rifiutiamo anche di pensare che una qualunque motivazione all'istituzione di un ulteriore organo possa essere rappresentata dalla sfiducia che si nutre nei confronti della magistratura di sorveglianza.
Vorrei fare un accenno, anche se fugace, ad uno spunto drammatico prospettato dal collega Farina riguardante i suicidi che, credo, purtroppo sfuggano alle possibilità di controllo e di vigilanza, sia pure somma, che possa essere esercitata; quindi, mai Dio voglia che un suicidio accada dopo l'istituzione di questo organo, perché si direbbe che non serve a niente. Quando argomenti contano o provano troppo, forse è meglio essere più prudenti.
Credo che questo nuovo organo possa esercitare una funzione importante sulla celerità della decisione in ordine ai reclami, che oggi è abbastanza rallentata, ma non sull'aspetto decisionale. Può esercitare una funzione di affiancamento e sveltimento, Pag. 19attraverso un'azione di istruttoria completa e celere e anche di proposizione motivata al magistrato di sorveglianza, che sarebbe, in questo modo, sollevato da tutta una serie di incombenze istruttorie e ciò faciliterebbe il suo compito, dovendo intervenire solo nel momento della decisione, che è poi quello più congeniale all'ordine giudiziario.
A questo punto avremmo la magistratura, che è il garante al massimo livello ipotizzabile per le sue funzioni di indipendenza configurate nella Costituzione, e avremmo invece un altro organo che affianca, propone, verifica, dà impulso e, tutto sommato, è presente all'interno della vita penitenziaria allo scopo di agevolare e facilitare le funzione del magistrato di sorveglianza. Ecco perché in un emendamento abbiamo proposto il cambio di denominazione da «Garante dei diritti» a «Difensore civico»; infatti, «Garante dei diritti» farebbe piuttosto pensare ad un'autorità che abbia un effettivo potere decisionale, mentre il suo difensore civico avvicina l'organo ombudsman, cioè a quella funzione di affiancamento del cittadino e di interposizione anche tra i diritti, le aspettative, le attese, le istanze del cittadino ed il potere pubblico che è competente a decidere sulle istanze stesse.
Questo non significa minimamente svalutare i compiti di tale organo, ma significa dargli una configurazione costituzionalmente corretta, riconoscendo che esso può svolgere funzioni davvero importanti all'interno del mondo carcerario. D'altra parte, il fatto che in altri ordinamenti sia stato istituito primo che da noi non è un argomento decisivo, perché in alcuni ordinamenti non è conosciuta la figura del vero garante dei diritti dei detenuti che è proprio il magistrato di sorveglianza. Da noi la giurisdizionalizzazione della sorveglianza penitenziaria è una conquista ormai risalente nel tempo; infatti siamo stati tra i primi legislatori a metterla in campo.
Così si motiva il nostro primo emendamento, relativo alla denominazione: ci pare che quella di «difensore civico» corrisponda meglio alle funzioni che il nuovo organo dovrà svolgere.
La seconda questione riguarda la composizione. Per accentuarne l'indipendenza, ci sembra giusto che sia emanazione delle Camere; tuttavia, cinque componenti ci sembrano francamente troppi: i cittadini sono molto attenti a che non siano creati organismi pletorici (o che possano essere percepiti come tali), comportanti spese rilevanti, in un momento in cui tutta la nazione è giustamente chiamata a sopportare sacrifici a favore di tutta la collettività.
Comprendiamo le ragioni per le quali si è pensato a cinque componenti: se si fosse pensato a tre - uno nominato d'intesa tra i Presidenti della Camera e del Senato e gli altri due nominati uno dalla Camera ed uno dal Senato -, i membri elettivi sarebbero stati soltanto della maggioranza, mentre la previsione dell'elezione di quattro componenti, con voto limitato ad uno, può soddisfare l'esigenza di nominare persone che siano espressione anche dell'opposizione. Pertanto, noi riteniamo che, essendo cinque componenti troppi e tre inopportuni (per le ragioni che ho ora indicato), si possa pensare ad un organo monocratico, nominato d'intesa tra i Presidenti delle Camere, ma affiancato da una struttura (quale quella che è già prevista dal testo) che gli consenta di svolgere adeguatamente le sue funzioni. Quindi, pensiamo ad un «difensore civico», organo monocratico nominato dai Presidenti della Camera e del Senato.
Inoltre, ma si tratta di una notazione molto parziale, riteniamo che non debbano far parte dell'organo «difensore civico» (o «Garante», se il nostro emendamento non dovesse essere approvato) i magistrati in servizio. Lo riteniamo inopportuno vuoi perché i magistrati in servizio sono pochi e devono svolgere le loro funzioni, vuoi perché prevedere la coesistenza di un magistrato garante o difensore civico e di un magistrato di sorveglianza potrebbe creare problemi di convivenza ulteriori rispetto a quelli che già potrebbero verificarsi.
Ecco perché, signor Presidente, abbiamo ritenuto nostro dovere rappresentare in questa sede le perplessità che Pag. 20molteplici esponenti di Italia dei Valori hanno già ritenuto di manifestare in varie sedi istituzionali. Lo facciamo affinché si possa pervenire ad un testo più condiviso, che elimini le maggiori perplessità, che sia più chiaro, che non lasci dubbi e che non crei confusioni tra livelli istituzionali e costituzionali.
In questo senso, il gruppo di Italia dei Valori verificherà nel prosieguo, anche in sede di esame degli emendamenti, l'andamento che assumerà il dibattito ed in relazione ad esso esprimerà il proprio responsabile voto (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Grazie.
È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà, per quindici minuti.
JOLE SANTELLI. Grazie, signor Presidente...
PRESIDENTE. Mi correggo, onorevole Santelli: lei dispone di diciassette minuti.
JOLE SANTELLI. Grazie. Cercherò di essere sintetica e di non utilizzarli tutti.
Credo che, nell'affrontare il tema al nostro esame, occorra rispondere preliminarmente ai seguenti quesiti: se, come legislatori, riteniamo soddisfacente l'attuale situazione penitenziaria e, inoltre, se la nuova figura possa essere di ausilio, possa assicurare un miglioramento della stessa.
Il primo quesito sembra quasi rituale. Nessuno di noi, che siamo legislatori e che conosciamo (vale per molti) il mondo carcerario, può ritenere che lo Stato assolva in maniera esaustiva, o in termini realmente democratici, la sua funzione di garante delle persone private della libertà personale.
Credo che uno dei limiti maggiori del sistema penitenziario - questo ce lo dobbiamo dire da legislatori - è la differenza esistente fra la lettera della legge e le condizioni reali. E la distanza fra la forma, con cui molto spesso il Parlamento italiano ha assolto la propria coscienza scrivendo delle bellissime leggi, e le condizioni reali, rinvenibili nelle situazioni in cui queste norme sono applicate, devono farci sentire un grave senso di colpa per quanto abbiamo scritto.
Il sottosegretario sa che alcuni, parlando dell'attuale regolamento penitenziario, lo definiscono una sorta di libro dei sogni. In quali strutture penitenziarie italiane si hanno celle per sole due persone con le docce? Questo è però quello che prescrive la legge italiana, ma ciò, come sappiamo, è molto lontano dalla realtà. Probabilmente, quel libro dei sogni è una rincorsa verso qualcosa che sarà difficilissimo da realizzare sia pure in un periodo temporale amplissimo e pur mettendo a disposizione impegno e tutte le possibili risorse. Ciò accade proprio perché siamo di fronte a situazioni reali difficili quali sono, ad esempio, le strutture penitenziarie fatiscenti. In tutto ciò c'è la nostra colpa perché, nel momento in cui prevediamo che ai detenuti siano riconosciuti certi diritti, non possiamo poi nasconderci dietro un dito e far sì che quei diritti, che riconosciamo sulla carta, non siano realmente riconosciuti nei fatti.
Ma questa figura di garante in che termini si inserisce nell'attuale situazione e può essere realmente di ausilio per superare le difficoltà attuali? Noi, in astratto, non siamo contrari alla previsione di una figura di garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale o difensore civico - diamogli il nome che vogliamo purché si consideri concretamente ciò che tale figura può fare -, lo siamo, invece, in concreto a causa dei limiti che rinveniamo nel testo al nostro esame.
In Commissione, sul provvedimento in esame, si è svolto un confronto aperto e chiaro - di questo voglio dare atto alla relatrice - che ha consentito di evidenziare, in maniera netta e senza demagogia, differenze di valutazione politica. Scrivendo questo testo e delineando questa figura di garante avevamo di fronte due strade possibili da percorrere. Mi soffermo, in un primo momento, sulla parte detentiva relativa agli istituti penitenziari, per poi affrontare, in un secondo momento, Pag. 21il tema dell'allargamento delle funzioni di questa figura. La prima strada, forse la meno ambiziosa, era quella di costruire una figura di garante che fosse realmente di interlocuzione con l'amministrazione. Da qui, derivava una verifica delle strutture esistenti, dei diritti collettivi e dei trattamenti. Questa strada, come è stato detto, era la meno ambiziosa, ma forse la più realistica. È una strada che esiste ed è rinvenibile ogni qualvolta l'amministrazione, al di là di quelli che sono i controlli parlamentari e di chi sia al Governo, fa una lista degli interventi da realizzare in termini di strutture carcerarie da potenziare e migliorare o da costruire. Ogni anno, tali interventi cambiano, molto spesso più per interessi peculiari di territorio che per reali esigenze di politica generale, e, di fatto, vi sono molte strutture carcerarie in costruzione da decenni che denotano difficoltà nel reperimento dei fondi necessari. Tale politica amministrativa comporterebbe, a mio avviso, la necessità di controlli e di aiuti tenuto conto che ogni qualvolta l'amministrazione opera su specifiche situazioni relative agli istituti penitenziari, ad esempio, la rimozione dei direttori, interviene la magistratura amministrativa e tutto viene ripristinato nella misura precedente.
Poteva, quindi, essere veramente un'authority dotata di una possibilità di interlocuzione seria ma non, come diceva il sottosegretario Manconi in Commissione, di moral suasion sull'amministrazione, con poteri reali di controllo sulla stessa con riferimento all'obbligo di conformarsi ad alcune regole.
Diversamente, potevamo scegliere un'altra strada, molto più ambiziosa, inserendoci in un contesto che, oggi, è una strada aperta. Sappiamo che, nella pratica e al di là della legislazione, la magistratura di sorveglianza, per difficoltà di organici e, forse, anche per l'impostazione della costruzione della sua funzione, si allontana moltissimo da quella che doveva essere, nella lettera e nello spirito delle previsioni. Colleghi, ricordiamo che, un tempo, il magistrato di sorveglianza doveva prendere i provvedimenti in istituto, dinanzi ai detenuti, mentre, oggi, essi sono portati in pullman in tribunale, dove si aspettano una reale interlocuzione con il giudice, ma, invece, le decisioni che li riguardano vengono inserite con un timbro dal cancelliere. Questa è la realtà dei fatti.
Allora, potevamo recuperare uno spazio reale alla magistratura di sorveglianza e, magari, immaginare altre strade. Questo era un percorso molto più ambizioso che, ovviamente, necessitava di una interlocuzione anche con i colleghi della Commissione giustizia, ponendosi di fondo alcune domande: cosa è, oggi, la magistratura di sorveglianza, quali sono le nuove funzioni che possiamo darle e, in termini pragmatici, cosa si può fare veramente a livello giurisdizionale in relazione a quelli che sulla carta sono diritti, ma che, nei fatti, al di là della volontà del legislatore, sono punizioni?
Nel testo del provvedimento, invece, viene percorsa una strada di mezzo. Certamente, facciamo i conti con le difficoltà di reperimento di risorse e con la necessità di non allargare il dibattito, perdendoci e non arrivandone a capo. Ma questa figura rimane un interlocutore fra la magistratura di sorveglianza, l'amministrazione e i detenuti, peraltro, con alcuni spiragli pericolosi; se, collega Mascia, facciamo intervenire il garante dei detenuti sui reclami, non possiamo immaginare che divenga una sorta di ufficio pubblico dei detenuti stessi, sottraendo anche delle funzioni a quella che, allo stato, è la giurisdizione vera e propria (si pensi alle funzioni degli avvocati). Questo è il dubbio più forte, tenendo certamente conto di quanto fosse stretto il binario entro il quale ci muovevamo. La mia risposta alla domanda sui termini entro i quali si inserisce questa figura nell'attuale dinamica carceraria è che, forse, rischiamo che si faccia ancora più confusione, invece di dare quell'ausilio che si auspicava.
Veniamo ora alla questione più propriamente politica, relativa a quali fossero gli spazi di intervento del garante. A nostro avviso, il garante doveva muoversi nell'ambito delle strutture penitenziarie Pag. 22(mi riferisco a quelle allargate, considerando le comunità minorili e via di seguito), ovvero in tutte quelle strutture, per le quali sono previsti specificamente un regolamento e una legge dello Stato, che individuano i termini entro i quali sia l'amministrazione sia la giurisdizione devono operare per regolare le strutture stesse.
Diversa è la situazione quando ci allarghiamo a strutture di tipo amministrativo come il CPT o le camere di sicurezza. In tali casi, non c'è una preclusione di fondo. Vogliamo parlare delle condizioni dei CPT? Discutiamone. Decidiamo che la gestione amministrativa di queste strutture è limitativa dei diritti personali? Discutiamone, ma facciamolo nella sede dovuta, scrivendo regole e modalità ben precise. Evitiamo, però, che questa figura, inserita come una sorta di guardiano, non delle strutture, ma delle condizioni generali delle strutture (ciò sarebbe stato possibile) ed anche dei trattamenti singoli, in realtà divenga semplicemente una nuova struttura politica. Sorge qui il dubbio - che soddisfa una legittima necessità politica da parte di alcuni partiti politici, come il suo, collega Mascia - di toccare il discorso relativo ai CPT. È, senza dubbio, legittimo, ma è questa la strada?
È questo il grimaldello con cui inserirsi in tale dinamica? Non dovremmo discutere in altra sede di una modifica possibile - che, pure, il Governo, da mesi, ci sta annunciando - della legge Bossi-Fini, per quanto riguarda il trattamento generale nei CPT (se il trattamento offerto in questi luoghi debba ritenersi una detenzione tout court, oppure debba essere diversamente inteso)?
Forse le domande sono un po' più pressanti di quanto si pensi e più difficile è trovare una risposta ad esse rispetto alla scorciatoia tracciata dalla proposta in discussione. Mi auguro che dalla discussione, oggi in aula, possa emergere un testo che, se non migliorato, abbia almeno un'anima ben definita per capire realmente qual è la traccia che questa figura dovrà seguire e quale sarà la sua funzione reale. In questo caso, ovviamente, saremo pronti a mutare il nostro giudizio che, allo stato, per le perplessità anzidette, rimane comunque contrario.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.
SESA AMICI. Il dibattito che si sta sviluppando in queste ore nell'ambito della discussione generale testimonia la complessità e la serietà delle posizioni politiche diverse che si confrontano (posizioni che abbiamo avuto già occasione di riscontare nell'ambito della discussione presso la I Commissione) e che mi sembrano, però, alla luce di alcuni interventi, meritevoli di alcune risposte già nella fase di discussione generale (e, soprattutto, nella fase successiva della discussione degli emendamenti).
Cari colleghi, la collega Mascia, con grande correttezza, ha ripercorso i tempi e i modi con cui siamo arrivati a questo testo unificato. La domanda che dovremmo porci tutti, per una sorta di onestà intellettuale, consiste nel chiederci come mai, durante i lavori della XIV legislatura, in un clima politico non semplice fra maggioranza e opposizione, di fronte a questioni così dirimenti, eravamo giunti ad un testo unificato condiviso dalla Commissione.
Non si tratta di una domanda retorica ma, fondamentalmente, di una domanda cui va data una risposta politica. La risposta politica è che si voleva evitare una discussione sul pianeta carceri e su quel mondo così fragile e complesso, che fosse, ancora una volta, emozionale e, soprattutto, emergenziale.
Troppe volte in quest'aula abbiamo affrontato il problema delle carceri, dei diritti e delle condizioni in cui si trovano le persone detenute nell'ambito di una logica che non ci ha mai fatto fare grandi passi in avanti, mentre ritengo che oggi a noi competa un punto politico di grande rilevanza: assumere una questione di tale complessità all'interno del profilo dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione, che sono a fondamento della base giuridica del giusto processo, della certezza della pena Pag. 23ma che, in nessun modo, mettono in discussione i diritti inviolabili delle persone, anche quando si trovano in un luoghi di detenzione. È un punto culturale, prima ancora che politico, che non dobbiamo in alcun modo dimenticare nell'affrontare questa discussione.
Dico ciò perché anche i rilievi fatti rispetto al parere della Commissione giustizia hanno un fondamento proprio nella sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato parzialmente illegittimi gli articoli 35 e 69 della legge sull'ordinamento penitenziario.
In quella sentenza, il richiamo ai principi costituzionali dell'articolo 2 e dell'articolo 3, che riguardano l'inviolabilità dei diritti, testimoniano che quelle norme della legge dell'ordinamento penitenziario, su questi aspetti, era lesivo di una serie di diritti sanciti dalla Costituzione.
Ho voluto fare questa lunga premessa di ordine culturale perché quando abbiamo deciso di cambiare anche il nome - non è solo una questione di nome - da difensore civico a Garante dei diritti, avevamo di fronte questa cornice di ordine politico e giuridico.
Dico ciò perché oggi, anche nel mondo istituzionale, sono emerse espressioni nuove con l'istituzione in molte regioni, province e comuni di garanti, a testimonianza della necessità di intervenire dentro quel microcosmo che è il luogo della detenzione, assumendone alcuni profili, dal semplice ascoltare alla possibilità di svolgere un'azione di mediazione e di filtro evitando, nell'esercizio funzionali dei poteri, di rendere inefficaci proprio tali azioni.
Noi ci siamo posti, attraverso l'istituzione del garante nazionale, due ordini di problemi: dare poteri effettivi di fronte a questioni che riguardano gli aspetti amministrativi e, quindi, i reclami, e soprattutto vigilare, entrare dentro quelle carceri, ascoltare e proporre non solo attraverso forme di persuasione, ma anche attraverso la possibilità di incidere concretamente nella risoluzione di quei problemi. Mi pare che il testo giunto all'esame dell'Assemblea contenga una serie di elementi che ci permettono di svolgere una discussione nel merito.
Vorrei ricordare che siamo inottemperanti rispetto ad alcuni profili della legislazione europea. Ha fatto molto bene la collega Mascia a sottoporci una questione finale: siamo veramente disponibili ad entrare dentro la dinamica che riguarda i diritti umani e, dunque, ad un allargamento di queste funzioni? Se così fosse, con l'accordo di tutti i gruppi, potremmo tornare direttamente in Commissione. Credo anche che nell'articolato della proposta di legge abbiamo teso ad assumere due questioni: non solo una funzione di garanzia, ma anche la capacità di quell'organismo collegiale di avere funzioni e risorse proprie tali da renderlo efficace nella risposta concreta alle questioni poste.
Un tema è stato molto sottolineato nella discussione, in particolare da parte dei colleghi Benedetti Valentini e Palomba. Prima ancora di rispondere ai colleghi, vorrei dire alla collega Santelli che ho apprezzato molto il suo sforzo intellettuale, soprattutto nella premessa di quale finalità politica ci eravamo dati nella funzione del garante. Mi pare, però, che la conclusione della collega Santelli sia veramente spropositata rispetto alla premessa da lei fatta. La finalità del legislatore non è solo quella di cogliere il dato dell'emergenza, ma anche quella di dare una risposta alla stessa emergenza. E dare una risposta significa contribuire, già in questa sede, ad una discussione di merito di tipo costruttivo. Non si può assumere, nell'idea che il garante possa visitare anche i centri di permanenza o le camere di sicurezza, l'elemento per cui si determina un voto contrario: questo fa parte della battaglia politica di opposizione, ma non fa onore al ragionamento svolto nella premessa politica dalla collega Santelli. Lo dico per il rispetto reciproco che abbiamo anche nei ruoli di Commissione, ma credo che ciò non ci aiuterebbe nella discussione del provvedimento alla Camera e, successivamente, al Senato.Pag. 24
Ai colleghi Benedetti Valentini e Palomba vorrei dire, a nome dell'Ulivo, che non ci spaventa una discussione in cui possano emergere posizioni ed orientamenti completamente diversi. Debbo dire con altrettanta sicurezza e certezza che, sin dai lavori della XIV legislatura, a nessuno di noi è mai venuto in mente che la funzione del garante dei diritti fosse in contrapposizione a quella della magistratura di sorveglianza: sarebbe un errore ingenuo da parte nostra. Abbiamo sempre teso a dividere le competenze in questo settore perché dentro al pianeta carcerario, dove non vi sono solo i detenuti, ma anche la polizia penitenziaria e tutto un mondo che chiede alla politica interventi più cogenti, vi fosse un modo per cui tutti i reclami e le osservazioni non fossero sempre giurisdizionali. Gli emendamenti che la collega Mascia presenterà su tale aspetto testimoniano un punto: se il garante può svolgere una funzione positiva o, per usare l'espressione della collega Santelli, d'ausilio. L'ausilio è che la mediazione, il filtro, la possibilità di una risoluzione in termini amministrativi permetta di arrivare solo nell'ultima istanza al livello della giurisdizione. Altrimenti, anche in tema di diritti soggettivi dei detenuti corriamo il rischio di affidare al giudice l'unica vera risoluzione. Mi pare che il testo, da questo punto di vista, testimoni tale sforzo.
Vogliamo dare al Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, dunque, la possibilità concreta di essere una figura ausiliaria e di assolvere ad un compito che preveda funzioni certe. Occorre attribuire allo stesso Garante, inoltre, una terzietà che consenta, all'interno di queste dinamiche, di giungere all'intervento del magistrato solamente in ultima istanza.
In caso contrario, infatti, correremmo il rischio di introdurre, anche sotto il profilo della tutela sociale, elementi che non ci aiuteranno ad approvare un provvedimento che può essere sicuramente migliorato, ma soltanto all'interno di questa cornice giuridica, politica e culturale (Applausi - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Adenti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, il testo unificato delle proposte di legge in esame mira ad istituire un'autorità garante, autonoma ed indipendente, a tutela dei diritti delle persone detenute, trattenute o comunque private della loro libertà personale.
Vorrei segnalare che da tempo, ormai, a livello sia nazionale, sia internazionale assistiamo ad un aumento crescente e diffuso di sentimenti di paura e di insicurezza, legati da un lato all'emergenza terroristica e, dall'altro, all'imperversare della criminalità sia organizzata che comune.
Tali pur comprensibili sentimenti, tuttavia, non possono indurci a dimenticare i valori fondamentali su cui si fondano le società democratiche moderne, in particolare quella italiana. I principi costituzionali contenuti nella prima parte della nostra legge fondamentale, infatti, non lasciano spazio a dubbi su quale debba essere l'atteggiamento dello Stato e di tutti i cittadini rispetto alle garanzie da riconoscere a chiunque si trovi, per qualunque motivo, privato della propria libertà personale.
Basti per tutti l'articolo 2 della Costituzione, a norma del quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. In attuazione di tale principio, l'Italia ha anche assunto precisi impegni internazionali in ambito sia europeo, sia extraeuropeo.
È fondamentale, a tale proposito, ricordare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, il cui articolo 3 stabilisce che: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
Rammento, a tale riguardo, anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, contenuta nella Costituzione europea. Quest'ultima, infatti, si apre proprio con Pag. 25gli articoli dedicati al rispetto della dignità umana, tra cui l'articolo 61 - «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata» -, l'articolo 63 - «Ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica» -, l'articolo 64 - «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
Ricordo, inoltre, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, il quale, all'articolo 7, recita che: «Nessuno può essere sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, in particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico».
Vorrei segnalare, infine, la Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, il cui articolo 2 stabilisce che ogni Stato parte adotta misure legislative, amministrative, giudiziarie ed altre misure efficaci per impedire che atti di tortura siano commessi in qualsiasi territorio sottoposto alla sua giurisdizione.
L'articolo 11 della stessa Convenzione, invece, dispone che ogni Stato parte eserciti una sistematica sorveglianza su regolamenti, istruzioni, metodi e pratiche d'interrogatorio e sulle disposizioni relative alla custodia ed al trattamento delle persone arrestate, detenute o imprigionate in qualsiasi maniera su qualsiasi territorio sottoposto alla sua giurisdizione, al fine di evitare ogni caso di tortura.
Per rafforzare l'efficacia delle disposizioni in essa contenute, la Convenzione da ultimo citata istituisce altresì, all'articolo 17, un Comitato contro la tortura; a sua volta, ma limitatamente all'ambito europeo, la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti istituisce un apposito comitato ai fini di tale prevenzione.
È sulla scorta di tali organismi che si avverte l'esigenza di costituire anche in Italia una autorità indipendente, che vigili sul rispetto dei diritti delle persone sottoposte a misure privative della libertà personale. Infatti, anche se non sempre le su citate convenzioni internazionali fanno riferimento espresso a tali persone, è indubbio che sia proprio riguardo ad esse che si pone, in via principale, il problema del rispetto della dignità umana e dell'integrità psicofisica della persona. Ciò, a maggior ragione, se si considera che i due comitati internazionali cui si è accennato dispongono di poteri giuridicamente limitati, anche se moralmente penetranti. Il Comitato ONU contro la tortura, ad esempio, valuta ed esprime commenti in relazione alla credibilità delle comunicazioni che essa riceve sul comportamento degli Stati nella materia oggetto di sua competenza e svolge, sui risultati della sua attività, una relazione annuale davanti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Simili poteri, già di per sé circoscritti, sono ulteriormente limitati dal fatto che le comunicazioni acquistano rilevanza solo se la tortura denunciata è praticata sistematicamente nel territorio di uno Stato. Il Comitato europeo, dal canto suo, può esaminare mediante sopralluoghi il trattamento delle persone private della libertà da un'autorità pubblica, emettendo poi un rapporto e, se del caso, una dichiarazione pubblica qualora uno Stato non segua le sue raccomandazioni. In quest'ottica, il Garante dei diritti che si vuole istituire con questo provvedimento dispone di poteri certamente più pregnanti. In particolare, il medesimo esercita la vigilanza sull'esecuzione della custodia dei soggetti sottoposti a misure detentive, al fine di assicurare che sia attuata in conformità alle norme ed ai principi stabiliti dalle normative nazionali ed internazionali, riceve istanze e reclami da parte di internati e detenuti, su cui adotta le proprie determinazioni, verifica che gli edifici adibiti alla restrizione della libertà siano compatibili con la dignità umana, verifica le procedure e le condizioni di trattamento presso le camere di sicurezza di Carabinieri, Guardia di finanza e commissariati di pubblica sicurezza. Ai fini dell'espletamento delle sue funzioni, il Garante dei diritti può visitare, senza necessità di autorizzazione o permesso alcuni, gli istituti adibiti a misure restrittive della libertà Pag. 26personale. Qualora ritenga fondati i reclami che gli sono presentati o, comunque, verifichi la violazione della dignità o dei diritti del detenuto, il Garante può anche rivolgere specifica raccomandazione alle amministrazioni responsabili e, qualora esse non vi si conformino, ne riferisce agli uffici sovraordinati. In nessun modo, tuttavia, questo provvedimento deve gettare ombre sull'operato di chi quotidianamente già opera nelle strutture di detenzione. Al contrario, ai medesimi deve relazionarsi come uno strumento di supporto, come una figura che integra e completa l'attività di quelle esistenti.
Attualmente, come è già stato ricordato, le funzioni di garanzia delle condizioni di detenzione nelle carceri spettano al magistrato di sorveglianza, che non è una figura terza. I parlamentari, invece, dispongono solo di un potere di visita, senza la possibilità, se non attraverso gli strumenti del sindacato ispettivo, di intervenire su casi singoli. In Italia, cioè, non esiste un soggetto terzo, preposto a preservare ed a tutelare i delicati equilibri che si instaurano tra detenuto ed ambiente in cui vive, specie in relazione ai rapporti con i soggetti preposti alla custodia. Proprio in tal senso, la legislazione di molti paesi europei si è mossa nella direzione di istituire tale figura terza, che potesse, con imparzialità, svolgere un'importante e delicata opera di mediazione tra detenuti e struttura carceraria. L'istituzione del Garante, quindi, risponde, a nostro parere, alla primaria necessità di poter operare un ruolo di mediazione imparziale, onde evitare che i conflitti, inevitabili spesso in tali strutture, sfocino in atti di violenza. Tutto ciò anche alla luce dell'eccessivo cumulo di funzioni poste a carico dei magistrati di sorveglianza, della carenza di organico e della presenza massiccia negli istituti penali di soggetti socialmente deboli, quali tossicodipendenti od extracomunitari, ormai pari ad oltre il 50 per cento della popolazione detenuta.
Con questo provvedimento, quindi, si colmerebbe una grave lacuna del nostro ordinamento, assicurando alle persone private della libertà personale il pieno rispetto dei propri diritti, in conformità ai principi costituzionali ed alle norme internazionali in materia. Il provvedimento giunto all'esame dell'Assemblea, a nostro parere, è stato discusso in Commissione in un clima comunque positivo, al di là delle diverse valutazioni politiche che si ricordavano e, sempre a nostro parere, è una proposta equilibrata, di buonsenso e che riteniamo complessivamente efficace. È ovvio che circa la nuova proposta di istituzione della commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani occorre fare una valutazione diversa. Giudichiamo positiva l'idea dell'istituzione di tale commissione e di conglobare, quindi, il Difensore civico nel suo ambito di tale commissione, mentre siamo più prudenti rispetto ai contenuti, semplicemente perché dobbiamo ancora valutarli e dobbiamo approfondire tale proposta. Siamo, tuttavia, favorevoli all'idea, anche perché contrari alla proliferazione di commissioni o di autorità e perché obiettivamente tali due autorità o commissioni trattano materie attinenti.
Quindi, ci auguriamo che nell'ambito del Comitato dei nove si possa arrivare ad una soluzione che sia più largamente condivisa, anche perché riteniamo che questa sia una materia sulla quale non ha alcun senso arrivare a contrapposizioni o divisioni politiche (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.
MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, Alleanza Nazionale non si è sottratta al dibattito, al confronto, su questa proposta di legge. Abbiamo posto, però, delle questioni di principio e di merito alle quali va data sicuramente una risposta da parte del Governo. Infatti, non vi è un'assoluta mancanza di profondità e di diversità nelle proposte di legge presentate, e la scelta fatta nei confronti di alcuni contenuti ha un sapore squisitamente politico.
Non possiamo dimenticare che, mentre nella proposta Mazzoni - com'è stato ricordato - vi era un'istituzione del garante rivolta a contenuti d'intervento di un Pag. 27certo tipo, si è scelto invece un articolato diverso che ha delle controindicazioni, almeno a nostro giudizio.
Alcune di queste controindicazioni sono già state evidenziate dalla Commissione giustizia, ma quelle sulle quali, più propriamente in termini politici, è necessario soffermarsi sono relative alle funzioni. Debbo comunque fare una precisazione: i principi invocati nel corso di questo dibattito non risiedono soltanto nelle convenzioni internazionali o nelle dichiarazioni riferite anche ad organismi di carattere internazionale, ma fanno già parte - come ci ricorda la Corte costituzionale con la citata sentenza n. 26 del 1999 - del nostro patrimonio riferito alla Carta fondamentale.
Riguardo alle questioni politiche, se il Garante entra in rotta di collisione con la magistratura di sorveglianza, dobbiamo chiederci se questa sia una soluzione appropriata. Riteniamo che non lo sia, e non soltanto perché nel magistrato di sorveglianza è già identificata quella terzietà tipica della normativa di riferimento, ma soprattutto perché sarebbe a nostro giudizio paradossale sostituire, in tema di reclami e di istanze, il Garante al magistrato di sorveglianza.
Che senso ha, ad esempio, proibire di continuare a deliberare in materia d'istanze e di reclami? Sappiamo che, mentre l'istituzione del Garante vedrà la sua formazione a livello centrale, il magistrato di sorveglianza ha una presenza territoriale di riferimento negli istituti. Semmai, sarebbe interessante sapere quali verifiche si compiono circa il rapporto diretto che il magistrato di sorveglianza dovrebbe conseguire con la visita negli istituti penitenziari, che pure è prevista dalla normativa sull'ordinamento.
Quindi, noi di Alleanza Nazionale pensiamo che togliere di mezzo la figura del magistrato di sorveglianza, come destinatario del reclami e delle istanze, è un errore in termini di gestione del rapporto tra detenuto internato e sistema carcerario.
Le questioni riferite all'articolo 8 sono ben altre, una di queste è riferita alla verifica delle procedure seguite nei confronti dei trattenuti e le condizioni di trattenimento dei medesimi presso le camere di sicurezza, eventualmente esistenti nell'ambito delle caserme dell'Arma dei carabinieri, del Corpo della Guardia di finanza e presso i commissariati.
Anche in questo caso, la stesura della norma è abbastanza sibillina e noi, sperando di non sbagliare in questa interpretazione, siamo preoccupati. Ciò, non soltanto perché questa è una disposizione che vuole inserirsi prepotentemente nella gestione di quelle strutture che vengono utilizzate nel corso di indagini spesso complesse e delicate, ma perché la verifica del garante si sposerebbe addirittura con le procedure seguite nei confronti dei trattenuti. In ogni caso, queste procedure, demandate già al vaglio della magistratura per quanto riguarda il fermo, sono soggette a rimedi già previsti dall'ordinamento vigente.
Quindi, con questa iniziativa andremo a sovrapporre una verifica della procedure, già demandata al vaglio della magistratura e alla dialettica processuale, che, come sappiamo, è anticipata fin dai momenti relativi all'intervento delle forze di polizia.
Questa lettura di tipo - permettetemi - ideologico si rinviene non soltanto nella lettera d) dell'articolo 8, ma anche nella lettera e). Addirittura, in questo caso - e mi meraviglia che in sede di Commissione affari costituzionali il problema non sia stato dovutamente sottolineato - si amplia l'intervento del garante alla verifica del rispetto degli adempimenti e delle procedure previste dagli articoli 20, 21, 22 e 23 del regolamento, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, in relazione alla situazione dei cittadini extracomunitari che si trovano illegalmente sul territorio nazionale. Basta analizzare in proposito l'articolo 20 della normativa di riferimento, relativo al provvedimento con il quale il questore dispone il trattamento dello straniero presso il centro di permanenza temporanea ed assistenza più vicino.Pag. 28
Quella ricavata dalla lettura dell'articolo 8 è soltanto una formulazione erronea, oppure ha lo scopo, purtroppo ideologico e facilmente intuibile, di rimettere in discussione anche le modalità con cui si arriva alla decisione del trattenimento presso i centri appositamente previsti dalla normativa vigente? Una cosa è affidare al garante la sorveglianza e la tutela relative allo stato di trattenimento o di detenzione, altra cosa è spingersi più in là e addirittura, tramite il garante, intervenire per mettere in discussione i titoli legittimanti del fermo di polizia o, in questo caso, del trattenimento presso i centri di permanenza temporanea.
Signor Presidente, tale aspetto preoccupa ancora di più allorché, dalla lettura dell'articolo 8 prima citato, si passa direttamente al procedimento contemplato all'articolo 11. Esso è preoccupante perché questa procedura introduce - pensi lei! - ulteriori elementi relativamente alla possibilità di annullare l'atto illegittimo che ovviamente viene fatto oggetto di reclamo od istanza, innestando la procedura di intervento del garante. Anche in questo caso, la preoccupazione del gruppo di Alleanza Nazionale è estremamente chiara. Cosa si vuol fare con la lettura dell'articolo 8 e del procedimento speciale qui sostanzialmente introdotto? Si vuole arrivare ad una nuova giurisdizione di annullamento diversa da quella prevista ed esistente? Credo che anche sotto questo aspetto il gruppo di Alleanza Nazionale faccia bene a richiamare l'attenzione su un altro elemento estremamente delicato della proposta di legge in oggetto, ovvero l'ampliamento tramite la possibilità affidata - pensate voi! - al tribunale di sorveglianza di arrivare addirittura all'annullamento di atti illegittimi. Di quali atti si tratta? E qual è, oltre alla magistratura di sorveglianza indicata in uno dei passaggi, l'altra autorità giudiziaria competente, per quanto riguarda le procedure volte all'annullamento di atti illegittimi? Per questo crediamo che non vi sia stata sufficiente riflessione sulle conseguenze.
Avviandomi alla conclusione, ci auguriamo che in realtà questi passaggi, richiamati anche negli interventi di chi mi ha preceduto, siano dovuti forse ad una formulazione frettolosa e non nascondano invece, come sembrerebbe dalla lettura a fronte delle proposte di legge presentate, qualcos'altro, sostanzialmente ispirato ad altri elementi e ad altre riflessioni di carattere ideologico. Ci dispiacerebbe perché anche noi siamo intenzionati a sostenere una proposta che istituisca un nuovo luogo di confronto e discussione sulla situazione dei reclusi e dei trattenuti. Tuttavia, non vi si può arrivare tramite scorciatoie o - se permettete - generando una confusione che rischia di mettere in discussione e di rendere critici i rapporti già delineati all'interno dell'ordinamento penitenziario e del relativo regolamento. Se questo non va bene, si modifichi; se si vuol dare maggior forza alla magistratura di sorveglianza, lo si faccia intervenendo in quella sede; se si vuole attribuire al garante anche un potere di intervento - e siamo convinti che si tratti di una strada corretta - per evitare che si creino situazioni deprecabili, come accaduto purtroppo in molte occasioni negli istituti carcerari, lo si faccia, dando competenze precise in tale direzione.
Esse non devono andare ad intaccare altri elementi con il rischio - come ho detto -, di mettere in discussione un impianto che, sotto il profilo razionale e sistematico, ha ancora una sua giustificazione. Per questo motivo, chiediamo che, nel corso dell'esame degli emendamenti, si presti attenzione alle proposte di modifica che, avanzate da destra, vengono non per affossare una proposta che - come ho già affermato - ha una sua finalità, ma per fare in modo che la stessa sia ricondotta all'interno dei principi che fanno parte del dibattito politico.
Infatti, Alleanza Nazionale è pronta a discutere della condizione dei detenuti così come discute del risarcimento e della condizione delle vittime dei reati. Tuttavia, lo fa e intende farlo anche in questa occasione - da par suo -, con la dovuta attenzione, per evitare di trasformare provvedimenti in norme tese a mettere di fatto sotto processo alcune istituzioni. Pag. 29Queste ultime si richiamano all'applicazione - e non potrebbe essere diversamente -, prima ancora che delle convenzioni internazionali, dei principi della nostra Carta costituzionale, nell'ambito dei quali rientra anche il rispetto dei detenuti e di tutti coloro che si trovano ristretti sotto il profilo della libertà personale.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Inconstante. Ne ha facoltà.
MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei partire dalle considerazioni da ultimo svolte nell'intervento del collega che mi ha preceduto per fugare ogni dubbio sulla volontà e sull'impegno profusi nella I Commissione da parte della relatrice, ma anche di coloro che hanno partecipato ai lavori per una discussione vera sul punto.
È stata una discussione non ideologica e che dovrebbe partire, caro collega, anche da una considerazione: se è vero che dal punto di vista giuridico, formale e sostanziale, la magistratura di sorveglianza svolge alcuni compiti e non è nelle intenzioni di nessuno porre sotto attacco questa istituzione, è anche vero che nella pratica quotidiana questa funzione non viene esercitata nel migliore dei modi. Pertanto, non si tratta di una cattiva valutazione del tribunale o della magistratura di sorveglianza, ma piuttosto della constatazione di una situazione che tuttavia incide sulla condizione dei detenuti e delle persone private di libertà in modo sicuramente non positivo per quanto riguarda l'esigibilità dei loro diritti.
Allora, io credo che dovremmo sgombrare il campo da visioni pregiudiziali e ideologiche, ragionando nel merito, anche con gli emendamenti, e cercando di far sì che questo Parlamento possa pronunciarsi su una questione che appartiene - come lei diceva e come tutti quanti riteniamo - al DNA della nostra Costituzione e che riguarda per l'appunto la libertà personale, che è inviolabile, la violenza fisica e morale sulle persone ristrette, che è punibile, e il concetto fondamentale che la pena non deve essere contraria al senso di umanità, ma anzi deve rendere sempre più possibile la rieducazione delle persone detenute. Questi sono i principi fondamentali che devono essere inverati. È per questo che, rispetto sia alla normativa europea, sia a quella internazionale (e penso alla sottoscrizione del protocollo), sorge la necessità di una figura terza, di un garante per l'appunto, che sia attento ai diritti dei detenuti e delle persone private della loro libertà.
Non è un caso che in tutta Europa, anche con procedure, modalità e competenze diverse, queste figure sono state istituite. Dunque, mi interrogherei su questo punto.
È anche vero e indubbio che lo scenario della situazione carceraria è sempre più peggiorato in tutti questi anni, in Europa, ma in particolare in Italia. Vorrei fare riferimento anche ad elementi che spesso dimentichiamo: innanzi tutto, l'assottigliamento di figure come educatori, psicologi e personale medico; nonostante la professionalizzazione sempre maggiore del corpo di polizia penitenziaria, non vi è dubbio, infatti, che tutte queste altre figure si sono ridotte. Inoltre, penso all'esigibilità dei diritti rispetto alla salute dei detenuti che molto spesso sappiamo essere invece molto in difficoltà.
Il garante è sicuramente una figura che viene dalla cultura anglosassone, ma via via si afferma in tutti i paesi europei.
Per tale motivo, è necessario interrogarsi su questa figura, naturalmente alla luce della nostra Costituzione, sicuramente evitando che essa si sovrapponga in qualche modo ai poteri e alle specifiche competenze della magistratura di sorveglianza. Tuttavia, questa figura, a mio avviso, può agire in tale senso. Infatti, il Garante può avere una funzione integrativa e non sostitutiva di quella dell'autorità giudiziaria e può svolgere un compito di filtro attraverso forme di tutela conciliativa, non surrogandosi, quindi, alla magistratura, ma pervenendo a possibili conciliazioni che, se non soddisfatte, potranno dare seguito alla tutela giurisdizionale. Il Garante, quindi, potrà chiedere all'amministrazione competente di conformarsi ad Pag. 30alcune disposizioni e, allo stesso modo, potrà rivolgersi ad altre autorità, quali il questore e il prefetto del luogo in cui avviene una eventuale violazione, per quanto riguarda il problema delle camere di sicurezza.
Di questo tema, al pari di quello dei CPT, si comprende la delicatezza, ma ritengo si tratti di questioni che non possono essere escluse dalla nostra riflessione. Certamente, questo è l'elemento più delicato e più innovativo del provvedimento in esame. Tuttavia, non è nelle intenzioni di alcuno voler creare confusione e sovrapposizioni che, sicuramente, non aiuterebbero l'esercizio vero dei diritti da parte dei detenuti. Vorrei ricordare che la possibilità per il Garante di essere coadiuvato nelle sue funzioni, senza delegare il suo potere, da una serie di istituzioni regionali, provinciali e comunali, già presenti in molti di tali enti nel nostro paese, costituisce un allargamento della capacità e della possibilità di intervento per l'esercizio dei diritti delle persone sottoposte a restrizione della libertà personale.
Il problema si pone rispetto alle esigenze avvertite da alcune regioni. Vorrei ricordare all'onorevole Benedetti Valentini, che parla di improbabili figure istituite territorialmente, che la prima di esse è stata istituita presso la regione Lazio, in particolare dal presidente Storace. A questo hanno fatto seguito altri provvedimenti. Tutto ciò rivela come la questione sia avvertita anche a livello territoriale e come non sia più sufficiente l'azione del solo magistrato di sorveglianza il quale, particolarmente oberato e particolarmente versato a definire anche le misure alternative alla pena, non riesce ad essere sempre presente, in ogni condizione, per risolvere i problemi relativi ai diritti dei detenuti e alle condizioni delle carceri.
L'esigenza di una figura terza, che non appartenga all'ordinamento giudiziario, è questione che emerge anche nella normativa di molti paesi europei come la Spagna, il Portogallo, l'Austria, la Danimarca, la Finlandia, l'Olanda e la Norvegia. Bisogna dire, quindi, che l'esigenza è molto forte.
Spero e credo che attraverso le proposte emendative e il lavoro che l'onorevole Mascia, già relatore in sede di I Commissione, potrà svolgere, anche in raccordo con altre Commissioni, in particolare con la Commissione giustizia, si possa approvare un provvedimento che, a mio avviso, costituirà un segnale, se non sarà osteggiato, in chiave ideologica e in maniera pregiudiziale, dall'opposizione. Spero, al contrario, che si possa lavorare nel merito. Auspico che il Parlamento si renda conto che non basta soltanto adoperarsi per quanto riguarda l'esercizio della funzione del Garante, ma che è necessario adoperarsi anche per tutte le azioni che riguardano la condizione psicologica ed educativa dei detenuti e per il loro reinserimento sociale. Non basta intervenire prima, ma bisogna anche chiedersi quale sia il costo in termini sociali, per la collettività, ove non si intenda trattare, anche durante il periodo della pena e successivamente, il problema dei detenuti in modo adeguato e consono ad un paese civile (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.