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Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Mazzoni; Mascia ed altri; Boato: Istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (A.C. 626-1090-1441).
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 626 ed abbinate)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Mascia, alla quale ricordo, tuttavia, che ha già esaurito il tempo a sua disposizione.
GRAZIELLA MASCIA, Relatore. Signor Presidente, sapendo di avere esaurito il tempo a mia disposizione, mi limito a ringraziare tutti coloro che sono intervenuti e che mi sembra abbiano a loro volta interloquito e si siano dati reciprocamente risposte anche attraverso il dibattito. Ciò testimonia il lavoro rigoroso svolto in sede di Commissione.Pag. 31
Ribadisco soltanto che lo sforzo che abbiamo compiuto è stato esattamente quello non di costruire una figura simbolica, per quanto questa sollecitazione ci arrivasse dal resto d'Europa, ma di adeguare tale figura alla peculiarità della situazione italiana. In particolare, grande attenzione è stata prestata a non costruire sovrapposizione con la figura del magistrato di sorveglianza.
Nello stesso tempo sono stati previsti poteri di intervento concreti per la risoluzione preventiva di eventuali problemi del Garante, come è stato sottolineato (non è un caso), anche dotandolo di risorse economiche e dello staff necessario, affinché possa concretamente svolgere un lavoro che corrisponda alle aspettative che probabilmente abbiamo noi stessi determinato.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
LUIGI MANCONI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, onorevoli deputati, onorevole relatrice, inizierò il mio intervento in maniera, forse, non convenzionale e non per formale ossequio o per cortesia istituzionale, ma per convinzione. Vorrei cioè ringraziare l'onorevole Boscetto per un passaggio del suo intervento, pur così diffusamente critico, laddove ha affermato che il miglioramento della situazione delle nostre carceri interessa tutti, l'intera società; rappresenta un contributo alla sicurezza collettiva.
Credo che questo sia il motivo ispiratore di fondo che ha determinato questo dibattito e di ciò voglio ringraziare tutti i partecipanti.
Tuttavia, desidero anche dire che questa proposta di legge è stata in realtà lungamente attesa, ma anche lungamente preparata. Nell'elaborazione delle proposte di legge, così come nella definizione del testo alla nostra attenzione e nelle sperimentazioni in corso a livello regionale e locale, si è partiti dalla constatazione che, nel nostro ordinamento, la persona privata delle libertà è titolare di un ampio sistema di prerogative, diritti e garanzie e che il punto dolente, il nodo più aggrovigliato è la loro effettività e cioè la loro reale esigibilità all'interno dei luoghi della detenzione.
La creazione di un garante per le persone private della libertà risponde ad un'esigenza, dunque, a ben vedere elementare: quella di avere un organo esterno ed indipendente rispetto all'amministrazione competente incaricato di vigilare, affinché la privazione della libertà sia conforme nella sostanza al dettato costituzionale e risulti, quindi, depurata da ogni afflittività aggiuntiva rispetto a quella che le è strettamente connaturata.
La questione è particolarmente rilevante per gli ambiti (le camere di sicurezza nei commissariati e nelle caserme dei carabinieri, i centri di permanenza temporanea per immigrati e altri luoghi di illegittima privazione della libertà o limitazione della stessa) che sono totalmente privi di una previsione normativa di tutela della persona.
Per questo motivo, è importante che il testo alla nostra attenzione, anche rispondendo alle sollecitazioni ed ai vincoli degli organismi, dei protocolli internazionali (tra essi il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, il protocollo addizionale della Convenzione ONU contro la tortura), preveda prime forme di apertura di tali spazi per il controllo da parte di un'autorità indipendente. Vorrei, però, ricordare che questa previsione, ovvero forme di vigilanza e di controllo anche in questi ambiti, è stata regolata nei primi testi in materia ed anche nella prima proposta di legge Mazzoni, ma la questione non è risolta, come sappiamo e come il dibattito ha ripetutamente sottolineato, neppure laddove esiste un apparato normativo, un lavoro giurisprudenziale e vi sono prassi operative attente alla garanzia dei diritti delle persone private della libertà, come nel caso dei nostri penitenziari. Ciò nonostante il fatto che - è stato ricordato pressoché da tutti gli oratori, per una ragione fondamentale, ossia per la qualità e la crucialità di quelle sentenze - la sentenza n. 114 del 1979 e, Pag. 32successivamente, la n. 26 del 1999 siano sul tema assolutamente inequivocabili.
La prima ha affermato che la restrizione della libertà personale non comporta affatto una condizione di minorità di fronte alla discrezionalità dell'autorità preposta alla sua esecuzione. La seconda, oggi ripetutamente evocata, ha affermato che, nel concreto operare dell'ordinamento, la duplice statuizione contenuta nell'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, si traduce non soltanto in norme direttive obbligatorie rivolte all'organizzazione e all'azione delle istituzioni penitenziarie, ma anche in diritti di quanti si trovino in esse ristretti.
Non ci sono dubbi, pertanto, sul fatto che la privazione della libertà, pur comprendendo la libertà di circolazione ed altri diritti, tra cui quelli all'alimentazione e ai movimenti, che sono strettamente collegati, lascia sussistere in capo al soggetto detenuto una molteplicità di situazioni soggettive attive, che possono essere raggruppate in due sottoinsiemi: il primo è costituito da quei diritti di cui il medesimo è titolare come essere umano e che non sono intaccati in alcun modo dalla condizione di detenzione (basterà citare, per tutti, il diritto alla salute); il secondo sottoinsieme è costituito da quegli interessi e quei diritti soggettivi ricollegabili alla specificità del suo status.
Il tema delle posizioni soggettive della persona detenuta e della loro tutela è rimasto in ombra anche nel non breve periodo successivo al varo della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario. Negli anni l'attenzione del legislatore è stata prevalentemente rivolta alle misure alternative alla detenzione e alle condizioni per l'accesso ad esse, senza che fosse dedicata la necessaria attenzione al regime intramurario. Questo deficit di attenzione si vorrebbe contribuire a colmare proprio con la proposta di legge in esame.
Dunque, affronterò da subito, rispondendo ad una pluralità di obiezioni, la prima di tali perplessità. La prima obiezione, sulla quale ha particolarmente insistito l'onorevole Benedetti Valentini, è sostanzialmente la seguente: c'è bisogno di una nuova figura di tutela dei diritti dei detenuti? Correlata a questa domanda, evidentemente, ve n'è un'altra: perché non può essere la magistratura di sorveglianza quella figura di cui parliamo?
La mia risposta si articola in tre ordini di ragioni e solo la prima di queste ragioni è già stata, in qualche modo, trattata. La prima, ovvero quella di carattere strettamente funzionale, è che ci riferiamo ad una magistratura di sorveglianza il cui organico è palesemente e dichiaratamente limitato e il cui carico di lavoro nel corso degli anni è cresciuto in maniera significativa, fino a raggiungere, in tempi recenti, una dimensione che non è enfatico definire abnorme.
Ritengo che la seconda ragione sia altrettanto importante e ha a che vedere con la funzione, l'identità e il fondamento istituzionale della magistratura di sorveglianza stessa, ossia il fatto che si tratti di una funzione giudicante. Dunque, essa aspira e persegue - giustamente, potrei dire -, una identità di ruolo separato e di netta autonomia nei confronti della popolazione detenuta, rispetto alla quale esercita anche funzioni strettamente giudicanti.
Ciò introduce il terzo ordine di ragioni. Sempre più la magistratura di sorveglianza si vede attribuire compiti di giudice monocratico nel settore delle misure alternative e di altri provvedimenti, ad esempio i permessi. Il che immediatamente conferisce alla magistratura di sorveglianza una funzione e un potere sul «corpo» del detenuto, per così dire, sulla sua fisicità, la sua esistenza reale e quotidiana, la sua organizzazione della vita, il suo tempo e, vorrei aggiungere, il suo destino. Tale funzione fa sì che il detenuto dipenda dalla magistratura di sorveglianza per un'ampia serie di facoltà e possibilità. Ciò rende problematica l'attribuzione a tale magistratura e, dunque, alla stessa autorità, di quel ruolo di garante dei diritti.
Anche muovendo da queste considerazioni è maturata la proposta di una figura istituzionale diversa dal giudice, che avesse competenze ispettive e di tutela dei diritti Pag. 33delle persone private della libertà anche in ambito penitenziario, pure laddove l'ordinamento prevede una funzione ispettiva e una competenza giurisdizionale del magistrato di sorveglianza. Tale figura potrebbe operare per la prevenzione e la risoluzione dei conflitti, ispirandosi alla logica e ai canoni della mediazione, oltre che a quelli della decisione. In altre parole, il magistrato di sorveglianza e il Garante delle persone detenute operano su piani nettamente distinti.
Di conseguenza, la Commissione affari costituzionali, sin dalla passata legislatura, ha inteso disciplinare in maniera attenta e dettagliata i rapporti tra Garante e giudice di sorveglianza, assegnando al primo anche quel compito fondamentale che è rappresentato da una sorta di tentativo obbligatorio di conciliazione prima che sia attivata la risorsa della giurisdizione. Tanto più che se la citata sentenza della Corte costituzionale del 1999 fosse presa sul serio, di tale filtro, innanzitutto, potrebbe beneficiare la stessa magistratura di sorveglianza, che sarebbe chiamata a decidere sui reclami dei detenuti solo laddove quei reclami non avessero trovato forma di composizione attraverso l'attività mediatoria del Garante.
In sede di dibattito generale, prima che vengano prese in esame le specifiche proposte emendative, il Governo ritiene di dover lasciare evidentemente al libero dibattito parlamentare l'orientamento da assumere su alcune soluzioni organizzative. Ciò che ci preme è che alle domande che hanno sollecitato la proposta alla nostra attenzione siano date efficaci risposte.
Il Governo tiene a ribadire, in questa sede, che risposte efficaci alla domanda di tutela dei diritti di chi è privato della libertà sono attese dai diretti interessati, ma anche - e non certo in misura minore - dal personale che opera negli istituti di pena e negli altri luoghi di privazione della libertà, la cui professionalità non può che essere valorizzata dalla trasparenza e dall'efficienza dell'amministrazione cui appartiene.
Infine, senza ricorrere alla lezione del pensiero democratico a proposito dei rapporti tra carcere e civiltà, occorre ricordare che nella minuziosa e scrupolosa attenzione ai diritti di chi è recluso - esattamente lì - si legittima quel grande e terribile potere che consiste nella privazione della libertà.
Una società civile e uno Stato democratico quel potere devono saperlo esercitare con scrupolo assoluto, sapendo che la rieducazione alla legalità, cui tutti noi vorremmo richiamare gli autori dei reati, passa, innanzitutto, attraverso la capacità di mostrare loro che il diritto non è vuota retorica (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Verdi e Popolari-Udeur).