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Si riprende la discussione.
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 915 ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Capotosti. Ne ha facoltà.
GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, in questa sede non posso che riassumere brevemente le considerazioni già svolte nell'ambito della discussione sulle linee generali. Oggi, finalmente, introduciamo nell'ordinamento italiano una nuova fattispecie di reato. Si tratta, in realtà, di una fattispecie di reato antica, che aspettavamo da molti anni, che mancava vistosamente nel nostro ordinamento giuridico e che avrebbe permesso già in passato di dare risposte più adeguate a fatti di sangue molto rilevanti.
Tale fattispecie ha indubbiamente anche un rilievo politico perché ci permette di reagire seriamente e con maggiore efficacia anche davanti a situazioni che inevitabilmente in momenti di grande confluenza di popoli, di genti, di razze e di culture diverse possono generarsi. Lo Stato di diritto è una conquista che appartiene alla nostra civiltà ed è tale, ormai, da più di qualche secolo, almeno in teoria; nella prassi è un fenomeno che va attuato quotidianamente. Introducendo tale fattispecie abbiamo voluto dire, anche a tutti coloro che vengono ospitati nel nostro paese, che condotte non contemplate nella nostra civiltà giuridica e nell'affermazione quotidiana dello Stato di diritto non saranno tollerate, ma saranno punite, anche con spirito di prevenzione, in quanto non armonizzabili con una cultura che segna un punto di eccellenza nell'ambito dell'intera civiltà umana.
Dunque, non mi soffermo particolarmente sulle considerazioni già svolte. Non posso che ribadire la nostra soddisfazione, la nostra adesione convinta ed il voto favorevole del gruppo Popolari-Udeur sul provvedimento in esame. Spero che questa fattispecie di reato possa servire in funzionePag. 12largamente preventiva più che repressiva, per scoraggiare condotte che, forse, nel passato sono sembrate percorribili per un vuoto normativo (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cirielli. Ne ha facoltà.
EDMONDO CIRIELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo un lungo lavoro svolto per tutta la scorsa legislatura e per quasi un anno di questa, la Commissione giustizia ha fatto finalmente una cosa importante, che anche dal punto di vista giuridico fa onore alla Commissione stessa: con questa norma adempiamo alla Convenzione di New York. In passato, il legislatore non era intervenuto perché aveva ritenuto i comportamenti rientranti nel concetto di tortura già puniti dall'attuale ordinamento giuridico.
Effettivamente, soprattutto con l'ultima formulazione, si è giunti ad un testo che introduce una reale novità giuridica che ha, quindi, non soltanto un importante valore dottrinale, ma anche una valenza concreta per punire effettivamente abusi gravi.
Certo, è singolare che la Casa delle libertà, negli scorsi cinque anni, non sia riuscita ad introdurre questa norma perché, nella scorsa legislatura, l'attuale maggioranza ragionava con spirito ideologico e pregiudiziale.
Chi, avendo lavorato negli scorsi anni, oggi guarderà l'attuale testo, si accorgerà che di fatto si tratta del medesimo testo approvato nella passata legislatura che fece insorgere l'Ulivo. Oggi, probabilmente anche perché sono cambiati i componenti della Commissione e si ragiona in maniera più serena, siamo riusciti a mettere da parte i pregiudizi ideologici e - anche con la previsione di una pena pesante - siamo riusciti ad intervenire in modo giusto rispetto ad un problema drammatico.
Aggiungo che, probabilmente, dal punto di vista della politica criminale, non ci sarebbe stato bisogno di intervenire, in quanto l'emergenza in Italia non dipende certamente dal fatto che si verificano episodi di tortura, ma dall'esigenza di introdurre pene più severe e strumenti certi di repressione.
Tuttavia, un ordinamento giuridico civile avanzato, come quello italiano, ha il dovere di prevedere che fatti ben qualificati - soprattutto grazie all'emendamento del collega Pecorella - quali episodi degradanti e disumani, che a volte non si riescono a tipizzare con una specifica condotta, ma che hanno nell'evento un comportamento assolutamente inaccettabile, debbano essere puniti in maniera severa.
D'altro canto, con questa formulazione evitiamo che vi possa essere la strumentalità di un reato da usare come clava politica nei confronti, magari, degli appartenenti alle forze dell'ordine o semplicemente nei confronti di qualche cittadino esasperato, che può lasciarsi andare a qualche atto di intemperanza di fronte alla commissione di gravi delitti.
Ritengo che il Parlamento, al di là degli schieramenti, abbia lavorato bene e che questa nuova norma rappresenti un elemento di cui andare fieri, sul quale il gruppo di Alleanza Nazionale esprime convintamente il proprio voto favorevole.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Crapolicchio. Ne ha facoltà.
SILVIO CRAPOLICCHIO. Signor Presidente, onorevoli deputati, preliminarmente intendo confermare le perplessità in ordine agli ultimi emendamenti approvati, a causa della loro intromissione nel diritto internazionale, che ha una finalità garantista.
Comunque, richiamando quanto già esposto in sede di discussione sulle linee generali, il sottoscritto, intervenendo in rappresentanza del gruppo dei Comunisti Italiani, non può che ribadire come debba considerarsi non solo opportuna, ma addirittura doverosa l'introduzione nel nostro ordinamento della fattispecie del reato di tortura.
Riteniamo infatti del tutto contrario anche ad elementari criteri di civiltà giuridicaPag. 13e sociale che, fino ad oggi, nel nostro ordinamento non fosse prevista una specifica fattispecie volta a colpire puntualmente fenomeni di dirompente disvalore sociale, quali quelli astrattamente riconducibili al concetto di tortura.
Del resto, pur dovendo auspicare che condotte del genere, tali da integrare la fattispecie in questione, non debbano mai verificarsi e, pertanto, non debbano divenire di effettiva attualità, rappresenta un dato di fatto - attestato altresì dalla giurisprudenza internazionale - che fattispecie penali quali le percosse, le lesioni, le minacce o la violenza privata non fossero in grado di cogliere appieno l'esatto disvalore penale e sociale riconducibile al concetto di tortura, di per sé idoneo a ricomprendere non soltanto condotte volte ad infliggere sofferenze fisiche, ma anche condotte implicanti un notevole - a volte predominante - fattore di vessazione psicologica.
Proprio perché si è avvertito chiaramente quanto sopra, deve essere condivisa l'iniziativa legislativa all'odierno esame della Camera dei deputati.
Ciò premesso e preso atto delle ovvie difficoltà di tipizzare con precisione una fattispecie integrata da condotte, per propria natura, disparate, avvertiamo come positiva, a livello sistematico, l'ubicazione della suddetta fattispecie di reato all'interno del codice penale nell'ambito dei diritti contro la libertà morale.
Infatti, se è vero che gli episodi riconducibili al concetto di tortura sono caratterizzati non soltanto da lesioni all'integrità fisica altrui, ma anche e soprattutto da una forte componente di vessazione psicologica, sotto la grave forma della sistematica umiliazione, dello svilimento dell'essere umano e dello sfinimento psicologico, è evidente come la relativa fattispecie penale non possa che essere inclusa nella categoria dei delitti contro la libertà morale, insieme, fra l'altro, ai reati di violenza privata e di minacce.
In tale contesto valutiamo, pertanto, positivamente che la fattispecie in questione punisca con estremo rigore chiunque infligga ad una persona dolore e sofferenze, fisiche e mentali, per ottenere informazioni o confessioni su un atto che la persona oggetto di tortura o una terza persona ha compiuto o è sospettata di aver compiuto ovvero allo scopo di punire una persona per un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto, ovvero, ancora, per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale.
Allo stesso modo, valutiamo positivamente che il progetto di legge in esame configuri il reato in questione come comune, ossia attuabile da chiunque, anche sprovvisto di determinate qualifiche, e non come un reato proprio. In tal modo, estendendo la soggettività attiva del reato si scongiura l'odiosa ed incomprensibile possibilità che gravi episodi di tortura restino al di fuori della sfera di applicazione del reato in oggetto solo perché commessi da cittadini non altrimenti qualificati. È infatti del tutto logico che l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma in questione derivi dalla commissione in sé del fatto illecito, a prescindere da chi ne sia l'autore materiale dello stesso.
Anche per tale motivo condividiamo, dunque, che la proposta di legge in questione preveda un'aggravante speciale per il caso che il fatto sia stato posto in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, così come per il caso che dal fatto derivino lesioni gravi o gravissime ovvero la morte del soggetto passivo del reato.
Per le suesposte ragioni, richiamando quanto già evidenziato in sede di discussione generale, sembra davvero che non si possa che condividere appieno l'innovazione legislativa di cui alla presente proposta di legge, vista la cessata necessità di dare conto a livello legislativo di un fenomeno, quale la tortura, dotato di dirompente disvalore, non solo sotto il profilo prettamente giuridico, ma anche sociale e meritevole di un'apposita disciplina normativa.
Pertanto, quale monito per il futuro ed anche in memoria dei fatti di Genova, relativi alla famigerata caserma Bolzaneto, il gruppo parlamentare dei Comunisti italianiPag. 14esprimerà un voto favorevole sulla presente proposta di legge e, nel contempo, chiede nuovamente la costituzione di una Commissione di inchiesta parlamentare che riferisca sui tristi avvenimenti di Genova (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole D'Elia. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, annuncio il voto favorevole del gruppo della Rosa nel Pugno sul provvedimento in esame, che ritengo molto importante, anche perché abbiamo accumulato un ritardo di quasi vent'anni nell'adempiere ad un preciso compito, un dovere che il nostro paese si era dato nel momento in cui, nel 1988, ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. In tale Convenzione è prescritto che gli Stati membri parte della Convenzione debbano recepire nel proprio ordinamento la fattispecie di reato di tortura, il che con enorme ritardo stiamo - spero - realizzando nella giornata odierna.
È tanto più importante il provvedimento in esame quanto più consideriamo che si è aperto, a livello internazionale, negli Stati Uniti certamente, ma anche nel nostro paese, un dibattito sull'opportunità di introdurre, nell'ordinamento, una forma di tortura legalizzata.
La domanda se la sono posta fior fiore di intellettuali. Nel nostro paese, Angelo Panebianco a più riprese sul Corriere della Sera si è chiesto se tramite tortura noi possiamo acquisire informazioni utili, che possano impedire attentati terroristici o comunque atti criminali che metterebbero in pericolo la vita di molte vittime innocenti. La risposta di Panebianco è stata positiva: sì, lo possiamo fare, possiamo esercitare una forma di forza fisica, violando la sfera di intangibilità della persona, la sua integrità fisica - aggiungerei anche la sua dignità -, quando in gioco c'è un bene superiore, la sicurezza della nostra società o addirittura della nostra civiltà.
La stessa domanda, con identica risposta, se l'è posta negli Stati Uniti un campione dei diritti umani e dei diritti civili, l'avvocato Alan Dershowitz, il quale ha proposto nella lotta al terrorismo l'introduzione di una forma di tortura legale, proporzionata - lui dice - alla gravità del pericolo, regolamentata e soggetta alla giurisdizione, con un magistrato quindi che decide il limite di questa forma di pressione e di violenza, in quali casi si potrebbe applicare, quali forme di pressione psicologica e sofferenza fisica si potrebbero effettuare. Immagino lui pensi a quante ore di insonnia forzata, a quante scosse elettriche e in quali parti del corpo, a quanti litri di acqua e sale da far ingoiare oppure a quanti secondi immergere nell'acqua fino al limite dell'annegamento. Queste sono evidentemente le forme di tortura che si possono esercitare nei confronti di una persona, per farla confessare, per scongiurare un pericolo.
A me ciò sembra davvero una follia. Credo sia un'illusione, ma anche una tragedia, che si possa pensare di rispondere alle emergenze del nostro tempo, della nostra società - la mafia, il terrorismo o quant'altro - con tutto l'armamentario militaresco delle emergenze: le leggi speciali, i tribunali speciali, le carceri speciali ed oggi magari anche forme di tortura legalizzata. Penso invece che bisogna provare a rispondere in modo diverso, cioè con mezzi che prefigurino il fine che ci proponiamo e non con mezzi o comportamenti, che quel fine rischiano di pregiudicare e di distruggere. Leonardo Sciascia ricordava che la mafia - ma può valere anche per il terrorismo di oggi - si può combattere efficacemente non con la terribilità, ma con il diritto. Perché se il fine è la democrazia, la civiltà, la libertà, la giustizia e il diritto, i mezzi adoperati per conseguire quel fine devono essere coerenti con il fine stesso e quindi democratici, civili, giusti, rispettosi del diritto e dei diritti umani. La libertà dalla paura e dal terrore non si conquista con la paura e con il terrore. La forza e la sicurezza di uno Stato, di una comunità, stanno innanzitutto nel diritto. Ma cos'è il diritto, sePag. 15non il limite, che noi decidiamo di porre - di imporre, direi - a noi stessi, al nostro sacrosanto senso di giustizia, di rivalsa ed anche di legittima difesa. E il limite è stabilito, a parer mio, proprio dalla inviolabilità, dall'intangibilità della sfera personale di una persona detenuta o comunque sottoposta a privazione della libertà.
Dall'introduzione di forme di tortura legale deriverebbero solo costi e nessun beneficio. Quale sarebbe l'immagine del nostro paese, o di un qualsiasi paese democratico, se appunto introducessimo forme di tortura legalizzata? Il danno per la civiltà giuridica di un paese sarebbe incalcolabile e l'effetto pratico poi assolutamente zero. Il terrorismo lo combattiamo con efficacia se lo Stato è forte, e lo Stato è tanto più forte se nel combatterlo non viene meno ai suoi principi fondamentali.
Per queste ragioni riteniamo di dover introdurre finalmente nel nostro paese la fattispecie del reato di tortura. La formulazione che oggi stiamo per approvare non è esattamente identica a quella che avremmo dovuto recepire, sancita dall'articolo relativo alla tortura presente nella Convenzione delle Nazioni Unite. A me sarebbe piaciuta più quella formulazione, perché non ricomprende soltanto i casi di tortura esercitati con forme di violenza o di pressione e minaccia fisica, ma anche quelle dettate dalle pressioni psicologiche e dalle condizioni in cui una persona detenuta è costretta a vivere.
Non si tratta di una discussione teorica: nel nostro paese esistono forme di carcerazione che vanno sotto il nome di «carcere duro»; in realtà, in base ad un articolo diventato legge ordinaria del nostro paese e del nostro ordinamento penitenziario, come il 41-bis, esistono sezioni in cui sono detenute persone che, per il solo fatto di essere, non dico condannate o rinviate a giudizio, ma anche solo indagate per reati di terrorismo o mafia, sono impedite nell'esercizio di diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti penitenziari. Nelle sezioni di cui al 41-bis si esercitano secondo il diritto internazionale, ma non secondo l'articolo sulla tortura che stiamo per approvare, forme di pressione psicologica, dettate dalle condizioni ambientali come la possibilità di avere solo un colloquio al mese, la presenza del vetro divisorio, la limitazione nella corrispondenza. Si tratta di forme per le quali - a parer mio - si esercita una pressione psicologica che rasenta la tortura.
Dal 41-bis si esce soltanto (e in questo caso interviene la letteralità dell'articolo sulla tortura sancito nel diritto internazionale) se si forniscono informazioni, se si collabora con la giustizia, se si decide di mandare in galera altre persone. Si tratta di una forma di tortura anche questa. Non stiamo discutendo di chi ha commesso reati (o magari di reati per cui si è solo indagati e non condannati), ma di che fine fa lo Stato di diritto quando tratta quelle persone come sta facendo.
Nel ringraziare l'Assemblea ribadisco che il gruppo della Rosa nel Pugno voterà a favore di questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Saluto gli insegnanti e gli alunni della Scuola media statale Ettore Pais di Olbia, dell'Istituto superiore Luigi Costanzo di Decollatura, Catanzaro, e dell'Istituto tecnico commerciale Nostra Signora del Sacro Cuore di Traversetolo (Parma) (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, parlo ad esclusivo titolo personale in quanto la mia dichiarazione di voto è coerente con il mio pensiero, non con quello del mio gruppo.
Credo che il primo compito del legislatore sia quello di predisporre una legge che produca effetti e che non appesantisca il già ponderoso insieme legislativo che grava su questo paese. Nelle fattispecie delineate da questo provvedimento non mi pare di intravedere qualche novità. Credo che qualsiasi comportamento contenuto o desumibile nel testo di questo provvedimento sia già sanzionato da altre normePag. 16del codice penale. In realtà le vere novità sono contenute negli emendamenti Pecorella 1.32 e 1.33, prima approvati. Forse sarebbe valsa la pena di introdurre un'innovazione legislativa limitata a tali norme.
Affermo questo perché, se pensiamo al caso in cui per ottenere una confessione alcuni imputati sono stati messi in celle insieme a malati di AIDS, giungendo infine al suicidio, si tratta di fatti che certamente possono essere ascritti alla fattispecie di tortura, ma che sono stati anche sanzionati.
Quindi, siamo di fronte sempre alla stessa situazione, vale a dire alla necessità di individuare i custodi dei custodi. Mi pare, infatti, che questa legge si rivolga essenzialmente ai soggetti che compiono le indagini e che, evidentemente, svolgono un lavoro coerente con l'amministrazione della giustizia.
Inoltre, la norma secondaria prevede una sanzione variabile tra uno e quindici anni. Non condivido questo principio perché il legislatore non può demandare ad altri la propria attività, in base alla vecchia teoria sostenuta da Magistratura democratica, la teoria della supplenza. Non possiamo affermare che non siamo in grado di individuare una pena definita, prevedendo che la sanzione possa variare da lieve a gravissima. Mi sembra che la pena di dodici anni sia la sanzione minima prevista in caso di omicidio; invece, chi subisce una condanna a tre anni, beneficiando delle attenuanti generiche, può addirittura ottenere la sospensione condizionale della pena e uscire di prigione.
Questa norma, inoltre, mi sembra incompleta perché si applica anche a chi abbia praticato la tortura per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale. Forse, la tortura è permessa in altri ambiti? Se un tifoso della Juventus intende torturare un tifoso del Torino - e questo caso, pacificamente, si colloca al di fuori della discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale - può farlo tranquillamente? A mio avviso, sarebbe stato opportuno riflettere, soprattutto, in un'ottica sistemica generale. Non possiamo pensare di appesantire il codice penale inserendovi fattispecie per le quali si discuterà fino in Cassazione, solo per stabilire se si tratti di violenza privata o di tortura. Infatti, il reato di tortura è una fattispecie sostanzialmente identica, per come è costruita, a quella della violenza privata, salvo che si tratta di una violenza privata specifica finalizzata alla confessione.
Vorrei poi rivolgere un interrogativo a questa Assemblea, che nasce da una mia profonda perplessità: che cos'è la tortura motivata da discriminazione sessuale? Sono distante, ovviamente, dall'idea di approvare o di ammettere una qualsiasi forma di tortura o anche di violenza. Tuttavia, la coerenza impone che le norme siano approvate non per inviare all'estero segnali rispetto a convenzioni che sono state firmate; per ottemperare alle convenzioni si deve legiferare solo quando è necessario, senza appesantire la situazione generale normativa quando non lo è. Credo sia questo il caso che ci occupa.
Per questo motivo, proprio come segnale che sono molto distante dalla tortura e dalla violenza e da ogni loro manifestazione, mi asterrò dal voto finale su questo provvedimento. Per un verso, infatti, desidero esprimere una reprimenda della tortura e, per altro verso, voglio esprimere la necessità di intervenire legislativamente nella misura minore possibile, per non complicare ulteriormente la situazione giudiziaria italiana.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Costa. Ne ha facoltà.
ENRICO COSTA. Signor Presidente, innanzitutto intendo evidenziare una profonda soddisfazione per il modo in cui si sono sviluppati i lavori in questa Assemblea, lavori che hanno consentito una significativa modifica del testo licenziato dalla Commissione. Pertanto, preannuncio il voto favorevole del gruppo di Forza Italia.
Inoltre, vorrei svolgere alcune considerazioni. È chiaro che, quando il legislatore si pone l'obiettivo di introdurre un nuovo reato nel codice penale, è necessario preliminarmente svolgere alcune riflessioni.Pag. 17
La prima riflessione fondamentale attiene alla valutazione di quali sono i beni e gli interessi giuridici che si intende tutelare attraverso la nuova figura delittuosa prevista. Chiaramente, in questa situazione, vi sono interessi e beni giuridici fondamentali, come la libertà psichica che si vuole tutelare contro influenze esterne istituzionali e non.
Ricordo che la Convenzione di New York del 1984 ha previsto, nell'ambito di tutti i codici penali dei paesi aderenti, l'inserimento del reato di tortura. Nel 1988, il legislatore italiano decise di non dare esecuzione alla Convenzione sotto questo profilo, ritenendo che vi fossero fattispecie penali, già attualmente esistenti, che coprissero tutte le varie ipotesi che il reato di tortura avrebbe potuto prevedere. Noi, invece, nel corso dell'esame del provvedimento, sia in Commissione sia in Assemblea, abbiamo ritenuto che vi fosse una zona grigia, nel senso che, in alcuni casi, vi fossero comportamenti disumani e degradanti della dignità umana, certamente non riconducibili alla nozione di violenza o di minaccia, elaborata dalla giurisprudenza e, proprio per andare a colmare questa lacuna, è stato previsto l'inserimento, nel codice penale, del reato di tortura.
Analizzando la costruzione della norma, siamo profondamente d'accordo sul fatto che sia stata mantenuta l'indicazione del reato di tortura come reato comune e non come reato proprio, come era stato formulato da alcuni gruppi. L'ipotesi di reato comune consente di andare a punire al di là del soggetto che si rende colpevole del reato; in caso di reato proprio, bisognava andare a punire soltanto i soggetti che fossero caratterizzati da una particolare veste istituzionale. Rispetto al testo iniziale presentato dal gruppo di Forza Italia in Commissione, si è trasformato l'illecito da reato a forma libera in reato a forma vincolata. In sostanza, prima, il reato si poteva concretizzare attraverso qualsiasi tipo di comportamento che sfociasse in un trattamento disumano, ora, invece, il reato si deve esplicitare attraverso le forme della violenza e della minaccia che, successivamente, sfocino in un trattamento disumano o in sofferenze gravi. Avevamo presentato un emendamento in relazione al termine «minacce» che abbiamo ritirato, perché riteniamo che, anche con una semplice minaccia, si possa concretizzare il reato di tortura e non è necessario che le minacce debbano essere reiterate. In molti ricorderanno il dibattito che, a tale proposito, si è svolto nella scorsa legislatura e, proprio su questo tema specifico, si arenò la discussione. Il nostro emendamento è stato ritirato anche perché vi è stata una profonda modifica della fattispecie normativa, che è andata ad enucleare e a specificare, in modo preciso e puntuale, la disumanità e la crudeltà dei comportamenti, al di là della semplice sofferenza grave. Ringrazio veramente la Commissione per aver aderito a questa impostazione da noi portata avanti con una certa forza. Faccio presente che, comunque, vi sono alcune ombre; per esempio, la norma esclude comportamenti omissivi, essendo il reato individuato come un reato a forma vincolata, che esclude tale tipo di comportamento. Sarà quindi molto difficile ipotizzare una tortura attraverso un'omissione.
Vorrei ora svolgere alcune considerazioni sugli emendamenti che sono stati approvati. Sono emendamenti importanti dal punto di vista politico e della civiltà giuridica, al di là delle considerazioni tecniche di diritto internazionale (l'esclusione dell'immunità e l'extraterritorialità del reato di tortura).
Si tratta di due emendamenti che hanno preso le mosse dalla proposta di legge dell'onorevole Pecorella e che sono stati mantenuti e motivati con forza anche attraverso valutazioni articolate.
Ci fa piacere che l'Assemblea si sia convinta del segnale politico che si intende dare non soltanto ai nostri cittadini, ma al mondo intero come nazione civile che accetta di introdurre norme che la responsabilizzano di fronte al panorama mondiale.
Pertanto, esprimo una forte soddisfazione per il risultato normativo, giuridicoPag. 18e politico che si riesce ad ottenere attraverso questa norma di civiltà; una norma che va veramente a colmare delle aree grigie, delle zone di confine tra il lecito e l'illecito, tra le norme esistenti nell'ambito dell'attuale codice penale e quelle aree che costituivano una sorta di lacuna normativa e legislativa.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Farina. Ne ha facoltà.
DANIELE FARINA. Signor Presidente, colleghi deputati, sono state già espresse in sede di discussione sulle linee generali del provvedimento le argomentazioni del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea sul provvedimento in esame e quindi sarò molto breve.
È ovvio, come ricordato da molti colleghi, che ciò è l'esito naturale - seppure tardivo - della ratifica, operata quasi vent'anni fa dal nostro paese, della Convenzione delle Nazioni Unite, ma è anche, come ricordato sempre nella discussione sulle linee generali, un segnale a contrasto di quanti hanno legittimato la tortura in nome di un presunto conflitto di civiltà e della guerra preventiva, quasi che gli errori di Abu Grahib fossero un prezzo necessario o quanto accade nelle celle di Guantanamo fosse il male minore. Ciò si pone anche in opposizione a quanti non hanno ravvisato nei giorni drammatici di Genova, nel 2001, la creazione di una voragine, di un vulnus grave nei diritti fondamentali e nelle libertà costituzionalmente garantite.
Avremmo voluto - il nostro progetto di legge lo prevedeva - che il reato si qualificasse come proprio piuttosto che comune ovvero qualificato in quanto reato commesso in via esclusiva dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio. Avremmo voluto per le ragioni esposte che si fosse equiparato l'autore materiale del reato con colui che lo istiga o vi acconsente tacitamente, perché sono queste le circostanze reali cui spesso abbiamo assistito e non vorremmo assistere in futuro.
Il problema dell'introduzione di questa fattispecie di reato nel codice penale non è legato al singolo caso di tortura, se pur grave, commesso dal cittadino della Repubblica. Il problema sta nella banalità del male, nella sistematicità, nella macchina della tortura, nella normalità della tortura, e ciò accade in particolari contesti (raramente nella vita quotidiana) della storia passata e recente!
Sarebbe stato opportuno - lo avremmo voluto - introdurre anche un fondo, se pur piccolo, per la riabilitazione delle vittime di tortura. Non è stato possibile, perché la Commissione bilancio ha indicato la sua contrarietà tecnica in ordine alla copertura; penso sia un tema che l'anno prossimo riaffronteremo.
Ci rendiamo conto, infine, che introdurre nella previsione l'impossibilità per il Governo italiano di assicurare l'immunità diplomatica ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in altro paese, come abbiamo fatto accettando, pur astenendoci, l'emendamento presentato dall'onorevole Pecorella, è un elemento che produrrà un iter più tortuoso di questo provvedimento. Ciò che dalla Commissione e dal relatore, svolgendo un ottimo lavoro, è stato segnalato adducendo dei motivi tecnici è verissimo e certo, e ci troveremo forse nella necessità di apportare modifiche al provvedimento. Ma che segnale avremmo lanciato al paese se almeno da questa Camera, all'inizio dell'iter di un importante provvedimento legislativo, non avessimo rimarcato la prevalenza dei contenuti di carattere politico, etico e sociale che tentiamo di affrontare e di disciplinare?
Credo, in tal senso, che aver «piegato» un po' la tecnica verso «altro» ed aver corso il rischio di seguire un percorso più tortuoso sia qualcosa che non faccia male né al Parlamento, né al paese in una fase in cui basta aprire le pagine dei giornali per riscontrare un imbarbarimento costante della convivenza civile (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lussana. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, desidero intervenire brevemente per annunciare il voto favorevole del gruppo Lega Nord Padania al provvedimento in esame, il quale, dopo vent'anni di ritardo, introduce finalmente all'interno del nostro codice penale il reato di tortura.
Vorrei richiamare anch'io, come peraltro è stato già fatto da altri colleghi, l'ampia discussione che si è tenuta, nel corso dell'attuale legislatura, in sede di Commissione giustizia. Desidero ringraziare, pertanto, tutti i componenti della stessa, poiché mi sembra che abbiamo lavorato senza pregiudizi, perseguendo l'obiettivo di consegnare comunque al paese un provvedimento «buono» anche sotto il profilo normativo. Si tratta, tra l'altro, dello stesso impegno che, su tale argomento, è stato profuso anche nella passata legislatura.
Ritengo che, dopo avere discusso molto ed in modo sereno, siamo riusciti ad addivenire ad un testo equilibrato, il quale punisce severamente la fattispecie della tortura, peraltro connotandola in maniera puntuale. Infatti, sono stati espressamente richiamati sia la condotta, sia quello che può essere il reato di evento.
Si è trattato di un risultato importante conseguito dalla II Commissione, come risulta anche dal testo dell'emendamento che il Comitato dei nove ha presentato questa mattina. Pertanto, abbiamo raggiunto una connotazione specifica e maggiormente puntuale della fattispecie criminosa, garantendo, al contempo, un equilibrio delle diverse esigenze che devono essere contemperate.
Vorrei osservare che, introducendo il reato di tortura, aggiungiamo al nostro codice penale alcuni elementi innovativi rispetto ad altre fattispecie già conosciute; quindi, ritengo che ciò testimoni l'importanza del risultato che siamo riusciti a conseguire.
Ribadisco, dunque, che si tratta di un testo equilibrato. Tale considerazione è dettata anche dalla circostanza per cui, in questo caso, non mi trovo assolutamente d'accordo con le motivazioni testé addotte dall'onorevole Daniele Farina circa il fatto che questo non è più un delitto «proprio», poiché è diventato un reato comune. Onorevole Daniele Farina, vorrei dirle che noi della Lega non la pensiamo come lei, poiché riteniamo che il torturatore non abbia una sola faccia e che non sia solamente il poliziotto, vale a dire colui che svolge le indagini, a poter torturare! Infatti sappiamo, purtroppo, che il torturatore tante volte è il brigatista rosso, il quale magari ha torturato barbaramente Moro, tanto per riaprire una pagina dolorosa della nostra storia! Il torturatore può essere il mafioso che scioglie il bambino nell'acido, dopo averlo sottoposto a grandi patimenti! La tortura, allora, deve essere universalmente colpita, a prescindere da chi possa averla commessa!
Esprimo, quindi, la mia soddisfazione per il testo normativo risultante dai lavori dell'Assemblea, il quale non si presta neanche a strumentalizzazioni di tipo politico. Noi, infatti, non vogliamo criminalizzare nessuno, come ad esempio gli atteggiamenti delle forze dell'ordine. La violenza, infatti, è bandita non solo da questa norma penale e da altre disposizioni contenute nel nostro codice penale, ma anche dalla nostra Costituzione. Si tratta, pertanto, di un principio giuridico e di civiltà ampiamente acquisito, che noi dobbiamo continuare a salvaguardare.
Mi consenta, signor Presidente, di fare un'ultima battuta sull'intervento pronunciato dall'onorevole D'Elia. Ebbene, vorrei dire che sono ancora più convinta che sia stato doveroso specificare, lasciandone traccia negli atti preparatori relativi al progetto di legge in esame, quanto da noi affermato. A nostro avviso, infatti, non si può parlare di una «sofferenza» nella quale si possa ravvisare una tortura quando tale sofferenza derivi dall'applicazione di una sanzione legittima!
Constato che l'onorevole D'Elia ha fatto ancora riferimento all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario. Tale articolo, relativo al cosiddetto carcere duro - ePag. 20ricordo che il Governo della Casa delle libertà ha stabilito che fosse «a regime», superando il suo precedente carattere transitorio -, è una misura necessaria per combattere un fenomeno pericoloso, dannoso e gravissimo, che presenta seri rischi per la sicurezza della nostra collettività e dei cittadini, come la mafia. In quel caso, allora, il regime del carcere duro è pienamente giustificato, e ritengo vergognoso che si possa pensare ad ipotesi di tortura!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, colleghi, preannuncio con convinzione il voto favorevole dei Verdi sul provvedimento in esame. Quest'ultimo, come tutti i progetti di legge, è perfettibile e, con riferimento ad esso, sono stati sollevati anche rilievi critici da parte di attenti osservatori sotto il profilo della dottrina.
Tuttavia, consideriamo comunque un evento storico (permettetemi di usare questa espressione) il fatto che, finalmente, questo ramo del Parlamento (mi auguro che anche il Senato lo faccia tempestivamente) giunga ad approvare l'introduzione del delitto di tortura all'interno del nostro codice penale.
Credo che, opportunamente, sia stato richiamato il modo in cui la Commissione ha lavorato, anche insieme alla nostra collega Paola Balducci, elaborando il testo, che poi è stato perfezionato e migliorato in Assemblea attraverso alcune votazioni «trasversali», che credo non debbano scandalizzare nessuno. Infatti, è giusto che, rispetto a queste materie, vi sia la più ampia convergenza parlamentare.
Vorrei ringraziare, in modo particolare, il presidente e relatore della Commissione, onorevole Pino Pisicchio, non solo per aver condotto con grande rigore ed equilibrio i lavori preparatori in sede referente e in Assemblea, ma anche per aver voluto improntare la discussione sulle linee generali - che si è svolta lo scorso 4 dicembre - ad una dimensione di carattere storico, politico e culturale, sotto il profilo interno e internazionale.
Personalmente, non posso fare altrettanto, perché ho pochi minuti a disposizione per svolgere la mia dichiarazione di voto. Ma vorrei ricordare in quest'aula, come ha fatto il collega presidente Pisicchio, i nomi di Cesare Beccaria, autore di Dei delitti e delle pene del 1764, e di Pietro Verri, autore di Osservazioni sulla tortura, del 1804. Non è un vezzo di carattere dottrinale, ma un modo per far comprendere in quale solco si inserisca l'iniziativa legislativa di oggi.
È una prospettiva storica che riguarda anche la dimensione internazionale in cui si colloca il nostro paese. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, alla quale l'Italia aderì, all'articolo 5 prevede specificatamente il reato di tortura. La stessa previsione è contenuta nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950 e nel Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966.
Purtroppo, nonostante i richiami a Pietro Verri e a Cesare Beccarla, oggi, stiamo tardivamente, ma giustamente, adempiendo a un obbligo che abbiamo assunto sottoscrivendo la Convenzione contro la tortura e le altre pene o trattamenti inumani o degradanti, firmata a New York il 10 dicembre del 1984, che venne ratificata dall'Italia con la legge 3 novembre 1988, n. 498. Purtroppo, a quella ratifica non era seguito nulla.
Con eleganza il presidente e relatore Pisicchio, nella discussione sulle linee generali, ha affermato che il legislatore del 1988 non ritenne necessaria l'introduzione nel nostro ordinamento di una specifica fattispecie penale. Dico «con eleganza», perché io sarei stato anche più «brutale» nella critica e nella autocritica nei confronti del Parlamento della Repubblica italiana.
Vorrei leggere anche un passo ulteriore. Giustamente, si aggiunge da parte del relatore che, a distanza di circa diciotto anni (in realtà, sono passati 22 anni dalla firma e 18 dalla ratifica), si è avvertita l'esigenza di rivedere quella scelta, considerato che la legislazione vigente non sembra punire in maniera adeguata tutte le condotte riconducibili alla nozione diPag. 21tortura, così come intesa non soltanto dalla Convenzione di New York, ma anche dal comune sentire.
Giustamente è stata utilizzata dal collega Pisicchio l'espressione «zona grigia» per individuare quell'area che rimaneva scoperta tra le ipotesi di reato già contenute nel nostro codice penale che, se non ricordo male, nel dibattito il collega Daniele Farina ha indicato anche puntualmente - ossia quelle previste e punite dagli articoli 606, 608, 609, 581, 582 ed altri del codice penale - e la nozione di tortura contenuta nella Convenzione di New York, rispetto alla quale il testo che stiamo per votare in quest'aula è anche più ampio e di portata più generale. Pertanto, è opportuno che noi, anche se tardivamente, siamo giunti a fare questa scelta. Non so se sia stato opportuno il riferimento fatto dal collega Cirielli, in polemica con il centrosinistra, rispetto a ciò che è avvenuto nella scorsa legislatura. Nella scorsa legislatura è avvenuto qualcosa di gravissimo da parte, purtroppo, del centrodestra di allora - do atto che il comportamento oggi è diverso -, se si arrivò ad approvare in aula un testo assolutamente inaccettabile, in contrasto con la Convenzione di New York e starei per dire di carattere criminogeno! Per tale motivo il ricordato provvedimento legislativo, nella scorsa legislatura, si è bloccato. Devo dare atto che in questa legislatura il lavoro svolto, prima dalla Commissione giustizia, ed ora in aula, ha riscontrato un'amplissima convergenza. Ho ascoltato preannunziare solo un voto di astensione, da parte del collega Brigandì della Lega Nord Padania, a titolo personale. Mi auguro che si registri, salvo tale astensione, l'unanimità dell'Assemblea rispetto ad un testo che, ripeto, anche con gli emendamenti che sono stati approvati questa mattina, è largamente condivisibile, anche se, ovviamente, come tutti i testi legislativi, è ulteriormente perfezionabile. Credo, tuttavia, che su tale aspetto possa e debba prevalere l'esigenza di una rapida approvazione anche da parte dell'altro ramo del Parlamento.
Nel confermare, quindi, il voto favorevole del gruppo dei Verdi, mi associo anch'io all'auspicio che è stato fatto nella discussione sulle linee generali dalla collega Suppa del gruppo L'Ulivo, quando la medesima ha auspicato che quanto prima possa essere ratificato dall'Italia anche il Protocollo addizionale aggiuntivo sulla tortura che l'Italia stessa ha firmato ad agosto del 2003. Questo è un invito che rivolgo ai rappresentanti del Governo presenti in quest'aula. Si tratta, infatti, di un'iniziativa che è opportuno assuma tempestivamente il Governo, per presentare un disegno di legge di ratifica al Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
PRESIDENTE. Saluto i docenti e gli studenti del Liceo Scientifico Brunelleschi di Afragola, in provincia di Napoli, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, l'Italia dei Valori preannunzia il proprio voto favorevole su questo provvedimento, che qualifica in termini di maggiore civiltà il nostro ordinamento giuridico con la punizione del delitto di tortura. L'anticultura della tortura come strumento di affermazione e di perpetuazione del potere, comunque ottenuto e consolidato, circola tuttora, partendo dagli angoli più bui del mondo. Professionisti torturatori vagano ovunque, inviati da Stati spesso antidemocratici ed autoritari e, purtroppo, non solo autoritari, ed i teatri di guerra non agevolano certamente la legalità ed il rispetto dei diritti umani. L'Italia è un paese democratico, di solida cultura giuridica, che sa non confondere, e noi con esso, la tortura con la giusta difesa dell'ordinamento democratico, che si esprime con forme doverose di tutela, compreso l'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario. Noi speriamo che nel nostro paese non si debba mai perseguire alcuno per simili delitti commessi in Italia e, soprattutto, da esponenti istituzionali.Pag. 22Vorrebbe dire che il nostro livello di civiltà avrebbe raggiunto altissimi valori anche di autocontrollo nell'applicazione della legge. Comunque, anche in quest'auspicato caso, l'inserimento di questo delitto nel nostro ordinamento giuridico avrà raggiunto il suo scopo, ossia quello di qualificare l'ordinamento giuridico italiano per l'elevato livello di civiltà della nostra società.
Italia dei Valori, che della legalità e della civiltà fa la propria bandiera, esprime grande soddisfazione per l'approvazione di quella che sarà legge dello Stato; nello stesso tempo conferma che la cultura della legalità non significa affatto lassismo o abbassare la guardia nei confronti delle aggressioni alle nostre regole. Legalità significa non solo rispettare le leggi, comprese quelle che contrastino e deprimano la criminalità; significa anche civiltà e garanzia del giudizio, insieme alla certezza della pena. Legalità significa che l'esecuzione della pena e la coercizione in genere non debbono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbono tendere alla rieducazione del condannato. Nessuno è però autorizzato a dire che il nostro ordinamento giuridico pratica o consente forme di tortura.
L'esplicita previsione del delitto di tortura consolida dunque il principio di legalità nel nostro paese, proprio perché generalmente le nostre istituzioni ad essa si ispirano. Bisogna lasciare che la magistratura svolga ordinariamente il proprio ruolo, senza superfetazioni e senza spargere allusioni o ingenerose accuse.
In questo spirito voteremo a favore del provvedimento in esame, augurandoci che tutta l'Assemblea lo approvi, pur nella trepidazione per possibili obiezioni all'introduzione nel codice penale di norme che modificano l'ordinamento internazionale, introdotte con l'emendamento Pecorella 1.32, e che comunque dovranno passare al vaglio del Senato.
Nel concludere, Presidente, desidero esprimere a nome dell'Italia dei Valori apprezzamento e gratitudine per l'essenziale ruolo svolto dal presidente Pisicchio nel portare a compimento l'iter di questo importante provvedimento, con la collaborazione di tutta la Commissione e del Comitato dei nove, anche in aula; evento tanto più importante, se si pensa che nell'intera precedente legislatura il centrodestra non riuscì a condurlo in porto, nonostante disponesse di una solida maggioranza: ciò rende ancora più apprezzabile tale risultato (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Presidente, intervengo per annunciare il voto favorevole del gruppo dell'UDC sul provvedimento in esame, in coerenza con posizioni già da me sostenute in questa legislatura presso la Commissione esteri, interpellata per il parere di competenza. Come sottolineai in quella circostanza, e come è stato rilevato da altri colleghi, esistono già nel nostro ordinamento varie fattispecie comportamentali, previste come reati e in quanto tali sanzionate, che si esplicano in comportamenti che potrebbero essere ricondotti alla tipologia delittuosa oggi all'esame.
Sicuramente le minacce, le violenze, le lesioni vengono a vario titolo sanzionate, ma ho sempre ritenuto - ed è stato anche oggetto di ampio dibattito nella scorsa legislatura, quando vennero presentate proposte di legge in materia - che una fattispecie di reato autonoma dovesse essere inserita nel nostro ordinamento giuridico e nel nostro codice penale, per consolidare nella coscienza sociale del nostro paese, come deve esserlo nel modo intero, la consapevolezza della gravità di tali comportamenti e l'esigenza di prevenirli, combatterli e sanzionarli in forme adeguate.
La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, la Convenzione europea sui diritti umani, la Convenzione delle Nazioni Unite del 1984 contro la tortura e altri atti di carattere internazionale statuiscono l'illiceità di comportamenti inumani, degradanti o violenti. Sembrano concetti ormaiPag. 23acquisiti, soprattutto nella cultura dei paesi democratici, di quei paesi che evidenzino una cultura ormai consolidata delle libertà individuali. In molti paesi del mondo, invece, questi comportamenti inumani, violenti e crudeli sono praticati legalmente ed illegalmente, secondo gli ordinamenti dei paesi stessi.
Amnesty International, nei suoi rapporti annuali, denuncia casi che si avvicinano a questa fattispecie comportamentale e che si sarebbero verificati anche in paesi democratici. La stessa lotta al terrorismo di questi anni, in alcuni momenti, sembrava evidenziare, nelle sue metodologie e nella sua prassi, comportamenti che si avvicinavano a questa fattispecie o, comunque, nella concezione della lotta al terrorismo sembrava quasi che emergesse un atteggiamento che, alla luce della gravità della minaccia terroristica, tendeva a minimizzare o a trascurare la gravità di questi atti e, quindi, ad adoperarsi per evitarli in qualunque circostanza.
Si tratta, invece, di comportamenti gravi, inammissibili, inaccettabili, qualunque sia lo scopo che si intenda raggiungere, qualunque sia il fine di giustizia, qualunque sia il pericolo che si intenda scongiurare. Si tratta di comportamenti gravi se messi in atto da parte di gruppi criminali o che operino nell'illegalità, forse ancora più gravi, come sottolinea lo stesso breve articolato di questo provvedimento, se vengono posti in essere da rappresentanti dell'ordinamento, da agenti delle forze dell'ordine, da funzionari dello Stato o degli Stati o, comunque, se sono espressione della pubblica autorità.
Occorre stabilire una preclusione assoluta rispetto a questo tipo di comportamenti, che una scelta democratica e moderna deve considerare inammissibili.
In questo spirito, annuncio il voto favorevole del mio gruppo (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gambescia. Ne ha facoltà.
PAOLO GAMBESCIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la normativa che ci accingiamo a votare è importante per una serie di motivi. Qualcuno l'ha definita un passaggio storico, non solo perché da 22 anni aspettavamo che questo Parlamento ne discutesse in aula e l'approvasse, ma anche perché tale norma può essere presa ad esempio (questa è la convinzione di tutta la Commissione) anche da altri paesi.
Infatti (questo è il punto sul quale credo che l'aula debba riflettere) non ci siamo limitati ad accogliere le indicazioni della Convenzione, non ci siamo limitati a formulare un articolato che, in qualche modo, desse una risposta alle preoccupazioni espresse nella Convenzione di New York e, più volte, all'ONU. Siamo andati oltre e lo abbiamo fatto - mi piace sottolinearlo - con l'accordo di tutti i gruppi.
Ognuno era portatore di una sua visione, di sue preoccupazioni, ma, alla fine, abbiamo trovato una sintesi; e mi fa piacere rilevare che l'indirizzo che abbiamo dato alla norma è anche il risultato di una proposta di legge nata all'interno dell'Ulivo, che rifiutando l'impostazione iniziale, che attribuiva il reato di tortura, come possibile, solo a chi fosse incaricato di pubblico servizio o pubblico ufficiale, ha, invece, identificato un reato comune che prevede aggravanti, ovviamente quando a commetterlo è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio.
Ma questo è un reato, così come previsto dal provvedimento che ci accingiamo a votare, che può essere, purtroppo, commesso da tutti. Da tutti che cosa significa? Significa che noi, dal punto di vista legislativo, abbiamo tradotto punizioni che si riferiscono a comportamenti purtroppo usuali. Non si tratta, quindi, della sola zona grigia di cui ha parlato il relatore, onorevole Pisicchio, che ringrazio per il lavoro svolto in Commissione. Zona grigia non è, ad esempio, il comportamento degli schiavisti che portano sulle nostre strade decine di migliaia di donne e di bambini costretti con le violenze a prostituirsi o a chiedere l'elemosina.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 11,23)
PAOLO GAMBESCIA. Si dirà: ma quelli erano comportamenti. Non sono d'accordo, onorevole Brigandì, con la sua tesi. Si dirà: ma ciò era già previsto nel nostro codice penale con reati specifici. Ma proprio questa è la novità delle disposizioni che ci accingiamo a votare: non ci siamo accontentati di potere utilizzare le norme già contenute nel nostro codice penale, ma abbiamo pensato che, a comportamenti che ripugnano alla coscienza, occorresse dare delle risposte forti. La pena che va da tre a dodici anni, aumentata se il reato è commesso da un pubblico ufficiale, ci dice quanto forte sia stata l'esigenza che ci ha condotto ad elaborare questo testo legislativo. Noi volevamo dare - almeno questa è stata in Commissione la spinta che ci ha mosso - una risposta forte a fenomeni che, lo ripeto, ripugnano alla coscienza e alla civiltà di questo paese. A questo fine, abbiamo, pertanto, fatto riferimento non solo ai comportamenti.
Ritengo, quindi, che abbia ragione chi sostiene che quella in esame sarà una norma che con riguardo ai pubblici ufficiali non troverà applicazione. Io me lo auguro, anzi sarei felicissimo, come tutti noi, che non si applicasse mai nei riguardi di comportamenti tenuti da chi è incaricato di svolgere un pubblico servizio e, come tale, rappresenta lo Stato.
Se approvata, tale norma rappresenterà sicuramente un'arma, uno strumento in più per colpire coloro i quali usano metodi infami per fare violenza nei confronti di altri cittadini o non cittadini italiani che vivono nel nostro territorio, comunque indifesi. Questo è, secondo me, il passaggio che si potrà definire storico nel momento in cui approveremo il provvedimento in esame.
Ci siamo guardati con occhi limpidi e non abbiamo subito il velo delle ideologie ma, tutti insieme, abbiamo ritenuto che bisognasse dare risposte a comportamenti che purtroppo sono diffusi e che si diffondono sempre di più. I magistrati e le Forze di polizia avranno, quindi, uno strumento in più, che da una parte identifica nuovi comportamenti e nuove possibilità delittuose, dall'altra assicura che questo paese è ben attento a che la legalità non sia violata e che fenomeni di degenerazione del tessuto sociale siano individuati e colpiti con uno strumento nuovo che risponde ad una filosofia «diversa», ad una potenzialità criminale diversa.
È una legge che ha nel suo animo una preoccupazione: dotare lo Stato degli strumenti più efficaci per evitare che, non solo chi detiene l'autorità, ma anche chi ha il potere criminale faccia soggiacere alle proprie volontà chi è indifeso e non ha tutela.
Se approveremo, come mi auguro, questo provvedimento - sul quale annuncio il voto favorevole del gruppo dell'Ulivo -, avremo fatto un passo che non è semplicemente l'adeguamento ad una fattispecie che, purtroppo, è presente sul nostro territorio; infatti, avremo anche dato l'indicazione di dove vuole andare, in termini di difesa della legalità e di civiltà giuridica, questo paese.
Speriamo che questa normativa diventi comune ad altri paesi europei, perché sarebbe certamente limitativo, rispetto all'obiettivo che vogliamo raggiungere, se rimanesse una nostra, sola ed esclusiva visione del problema della tortura. Se l'Europa accetterà la nostra impostazione e andrà oltre la Convenzione di New York del 1984, credo che l'Europa tutta, la civiltà europea avrà fatto un passo in avanti sicuramente nella direzione giusta (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Frigato. Ne ha facoltà.
GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, a titolo personale, voglio esprimere soddisfazione e dichiaro che voterò favorevolmente con assoluta convinzione, su un provvedimento che ritengo giusto, contro ogni tortura. Tuttavia, per quanto mi riguarda, il significato della mia posizione non si ferma qui. Il mio voto favorevole esprime anche una chiara e precisa condannaPag. 25di quanto successo nei mesi scorsi - e Dio non voglia che succeda ancora - a Guantanamo. Si dirà che questo è un ambito particolare, la cui normativa è di tipo diverso e militare. Penso che anche a Guantanamo fossero in gioco i valori dell'uomo, il rispetto della persona e la dignità umana, valori che, purtroppo, sono stati brutalmente calpestati. Il mio voto favorevole ad una norma certamente di civiltà è dunque anche una condanna precisa e forte a quei fatti perché Guantanamo sia l'ultima volta (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PINO PISICCHIO. Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, nella vita parlamentare ci sono dei momenti in cui la solennità dei gesti che compiamo assume un significato più forte e più avvertito. Se questo fosse vero, nel momento in cui ci apprestiamo ad approvare tale provvedimento - per le dichiarazioni che quest'aula ha potuto ascoltare quest'oggi ma, permettetemi, per quello che è stato compiuto in Commissione -, dovrei ringraziare tutti i miei colleghi. Devo ringraziare quelli di maggioranza, che con grande disponibilità hanno rinunciato al significato della forza dei numeri per accettare quello che è giusto debba accadere in una dimensione parlamentare, cioè la dialettica parlamentare. Devo altresì ringraziare gli amici dell'opposizione che, con animo sgombro da ogni pregiudizio ideologico o di posizione politica, hanno percorso con sincero desiderio di realizzazione questo itinerario non facile, ma che compiamo nel giro di pochi mesi. Si può dire che questo non sia il primo, ma uno dei primissimi gesti che la Commissione compie su impulso di un'iniziativa squisitamente parlamentare: questo è importante.
Non devo tornare sul merito: è stato detto tutto e tutto è condiviso. Ringrazio ancora coloro che sono intervenuti per le loro importanti affermazioni. Oggi andiamo a colmare un vuoto di civiltà, realizzando due obiettivi importanti. Un primo obiettivo è quello dell'ingresso, finalmente, all'interno del nostro ordinamento, di un reato per il quale ci eravamo obbligati, avendo sottoscritto una Convenzione. Abbiamo fatto ciò, peraltro, offrendo una prospettiva - in questo ha ragione l'onorevole Gambescia -, una modellistica che può essere utilizzata anche dall'Europa per il significato alto ed ampio che questa nostra scelta va a realizzare.
Il secondo momento importante concerne l'esaltazione del rapporto che si è sviluppato oggi in quest'aula. Oggi abbiamo assistito ad un esempio splendido, alto, importante di dialettica parlamentare che giunge a costruire una norma. Ritengo che questo - lo ricordava prima il collega Gambescia - possa rappresentare la falsariga rispetto alla quale la Commissione ha inteso muovere i suoi passi.
Infine, permettetemi di formulare un auspicio prima di concludere il mio intervento. Non avremmo avuto neanche quel momento dialettico, che pure si è svolto questa mattina, in ordine ad alcuni emendamenti, se l'Italia non avesse ancora mancato di introdurre le norme di attuazione del Tribunale penale internazionale, nella cui giurisdizione ricade il reato di tortura.
Ciò non è avvenuto nella passata legislatura, non è avvenuto nel tempo che ci ha preceduto: faremo in modo che avvenga oggi. Questo è l'impegno che assumiamo: faremo in modo che la Commissione e l'Assemblea tutta arrivino a sviluppare un percorso che giunga a questo obiettivo. Il risultato di vedere su quei tabelloni un'ondata di consenso per questa legge è un fatto così importante e bello che vogliamo celebrarlo con il nostro totale ringraziamento a tutta l'Assemblea.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Vorrei annunciare anche il nostro voto favorevole nell'ondata diPag. 26consenso che ci accomuna oggi. Permettetemi, però, una riflessione a voce alta. Mi riferisco ai colleghi che hanno considerato la giornata di oggi come storica. Quella di oggi è una giornata importante: poteva essere storica, se solo avessimo avuto un po' più di coraggio, perché gli interventi di D'Elia e dello stesso Brigandì, che era proprio qui, sotto di me, con i suoi conterranei - o conterronei, come ama citare lui - hanno evidenziato considerazioni importanti che ci dovrebbero fare riflettere.
Lo stesso onorevole Gambescia non ricordava nel suo intervento la legge di una socialista, la legge Merlin del 1958, che gli vorrei rileggere nell'articolo 3, dove si afferma che è punito con la reclusione da due a sei anni chiunque recluti una persona al fine di farle esercitare la prostituzione. La pena è raddoppiata se il fatto è commesso ai danni di persone minori di anni 21 (età ora portata a 18). Aveva, in questo caso, ragione l'onorevole Brigandì, perché la fattispecie esisteva già.
Potevamo avere più coraggio perché non dobbiamo dimenticare che con l'introduzione dell'articolo 613-bis non eliminiamo dalla nostra nazione tutti i reati di tortura. Non dimentichiamo che con il carcere preventivo indiscriminato si stanno continuando a perpetrare momenti di tortura importante. Non dimentichiamo che, meno di un decennio fa, alcuni magistrati hanno portato al suicidio diversi cittadini - risultati, col senno del poi, innocenti - e magari adesso fanno i ministri. Non dimentichiamolo, perché altrimenti non abbiamo ben presente cosa sia il reato di tortura.
Ovviamente, ringraziamo la Commissione per il lavoro svolto, ma riteniamo che il provvedimento sia solo sufficiente: perché la giornata fosse storica avremmo voluto dare un «10», ma non abbiamo potuto farlo. L'onorevole Brigandì ci ha letto le fattispecie di discriminazione razziale, politica, religiosa e sessuale. Onorevoli colleghi, poi verrà fuori che la pacca sulle natiche - per non usare altri termini - data in qualsiasi situazione è un reato di tortura. Non abbiamo avuto il coraggio di esplicitare il concetto e di assumerci la responsabilità di dire ai magistrati cosa intendevamo. In un certo senso, ci siamo un po' complicati la vita: avremmo potuto fare di più e meglio.
La giornata odierna è importantissima, ma noi socialisti non la definiamo storica: avrebbe potuto esserlo, se avessimo accolto quanto ci hanno detto gli onorevoli Brigandì, D'Elia ed altri. In ogni caso, è una giornata importante a cui noi contribuiremo con il nostro voto favorevole (Applausi dei deputati dei gruppi Democrazia Cristiana-Partito Socialista e Misto-Movimento per l'Autonomia e del deputato Brigandì).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Buontempo. Ne ha facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, credo che la legge italiana faccia bene non solo ad evidenziare la condanna morale, ma anche la condanna penale per chiunque, e da qualunque parte, compia violenza sull'uomo. L'indirizzo che ci stiamo dando è più severo e necessario. Però, quando si approvano le leggi queste devono anche essere applicabili, altrimenti si creano situazioni incredibili.
Dunque, dal punto di vista morale, politico, etico ritengo che chiunque, direttamente o indirettamente, procuri costrizione con violenza e con tortura non debba ricevere pietà da parte di nessuna comunità nazionale od internazionale. Però, signor Presidente, con l'introduzione dell'articolo 613-bis, nel testo modificato dagli emendamenti approvati, si creeranno situazioni incredibili. Tale articolo recita che: «È punito con la pena della reclusione da quattro a dodici anni chiunque, con violenza o minacce gravi, infligge ad una persona forti sofferenze fisiche o mentali, allo scopo di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni su un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero allo scopo di punire una persona per un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto oPag. 27è sospettata di avere compiuto ovvero per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale».
Presidente, ne sarei anche felice, ma quando si approva una legge occorre pensare innanzitutto alla sua applicabilità.
Non vi è dubbio che in Cina (abbiamo votato una risoluzione sottoscritta da colleghi del mio gruppo) vi è un sistema carcerario di costrizione, nel quale - come evidenziato anche in alcune conferenze - vi sono ancora detenuti sui quali vengono perpetrate violenze. La stessa cosa vale per Cuba: comunque la si voglia pensare su Fidel Castro (io ne penso male, lei, Presidente, magari ne pensa bene), nelle carceri non viene ancora garantito il rispetto della persona. Pensiamo inoltre alle carceri degli Stati Uniti, a quelle nelle quali sono reclusi soggetti di religione islamica, dove si sono registrate diverse violenze.
In base al presente provvedimento, qualsiasi capo di Stato o di Governo o qualsiasi persona che abbia una responsabilità in uno di questi Stati, venendo in Italia, può essere arrestata. Quindi, Condoleezza Rice, provenendo da un paese nel quale è stato provato che detenuti di religione islamica sono stati sottoposti a tortura, se verrà in Italia potrà essere arrestata.
Se domani dovesse venire in Italia un leader religioso - anche per incontrare il Sommo Pontefice - che nel suo paese limita la pratica di altre religioni, secondo quanto stabilito nel presente provvedimento, potrebbe essere arrestato.
Ci rendiamo conto di cosa ciò può provocare e in quale situazione ridicola può finire lo Stato italiano? Io sono per la pena severa, per il rispetto della persona, ma il mondo è fatto anche di altre comunità, pertanto occorre fare in modo che in tutte le comunità vi sia sempre e comunque il rispetto della persona.
Gli altri paesi, soprattutto quelli nei quali non vi è molto rispetto della persona, non comprendono la differenza esistente tra il potere politico e quello giudiziario. In tali paesi si pensa che chi può limitare la libertà della persona sia il detentore del potere politico; in Italia, fortunatamente, sussiste una netta separazione tra il potere giudiziario e il potere legislativo. Pertanto, ogni volta che un magistrato dovesse intervenire in applicazione della norma in esame, si creerebbe un contenzioso a livello internazionale, dal quale non si saprebbe come uscire.
La norma in esame, che è di sano principio, ha bisogno di un'articolazione legislativa, di altri articoli che definiscano bene, ed in maniera più puntuale possibile, quando e come si possa intervenire.
Esistono situazioni particolari. Pensiamo a quanto sta avvenendo, anche in queste ore, in Somalia. Se il Governo somalo volesse aprire una trattativa con il Governo italiano per rafforzare la libertà in quel paese, qualunque appartenente di quel Governo che venisse in Italia potrebbe essere arrestato, perché in Somalia vi sono persino soldati minorenni che indossano la divisa e combattono.
Considerare di punire una persona per un atto che essa stessa o una terza persona abbia compiuto o sia sospettata di aver compiuto, significa considerare corresponsabile qualunque persona sia a capo del Governo o dello Stato, se in quello Stato si compie tortura e questi non interviene a smantellare i centri di tortura. Il sospettare diventa anche un giudizio soggettivo politico. Io sospetto che a Cuba si compiano torture per documenti che ritengo di avere, mentre per un altro collega ciò potrebbe non essere vero. I sospetti potrebbero dipendere da quale alleanza politica regga le sorti del nostro paese.
Invito anche il Comitato dei nove ad una riflessione. Fermo restando il principio e l'obiettivo, non possiamo emanare una legge generica, per cui, in qualunque paese si compiano violenze o restrizioni carcerarie, anche se effettuate da terza persona, si possa essere arrestati e condannati in Italia.
Invito la Camera a riflettere. Si tratta di principi che tutti sentiamo profondamente e si potrebbe rischiare di «strafare»,Pag. 28realizzando una norma inapplicabile o che, se applicata, creerebbe contenziosi internazionali non di poco conto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Guadagno Luxuria. Ne ha facoltà.
WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Signor Presidente, quanto stiamo per realizzare è un grande atto di civiltà. Prevedere il reato di tortura punibile con la pena della reclusione da quattro a dodici anni ed inserire, tra le modalità di tortura, le sofferenze fisiche o mentali, quindi considerando anche le situazioni psicologiche, e, oltre alla discriminazione razziale, politica e religiosa, anche quella sessuale, è un grande passo avanti per un Parlamento inclusivo e rappresentativo di tutti. Sarò ben felice di votare a favore del provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.