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INTERVENTO DEL DEPUTATO GIAN LUIGI PEGOLO IN SEDE DI DISCUSSIONE CONGIUNTA SULLE LINEE GENERALI DEI DISEGNI DI LEGGE NN. 1746-bis-B E 1747-B
GIAN LUIGI PEGOLO. La legge finanziaria giunge finalmente al termine del suo percorso. Un percorso non facile, contrastato da una forte iniziativa dell'opposizione, ma anche da rilievi critici che sono venuti da alcune realtà sociali. Siamo quindi chiamati a tracciare un bilancio per esprimere, non solo, un giudizio, ma anche una valutazione di prospettiva. Nel passaggio fra Camera e Senato, come diversi colleghi hanno sottolineato, la manovra è stata modificata. Mi pare si possa sostenere che i cambiamenti nel complesso siano stati positivi. Si è rimesso mano alla disposizione relativa al concorso per l'immissione in ruolo dei docenti, si è costituito il fondo per il riassorbimento della precarietà nel settore pubblico, si è migliorata la normativa per ciò che riguarda scuola e università, si sono ridotti i tickets sanitari, si sono introdotte le norme per la rottamazione degli autoveicoli, e via dicendo. Si tratta di misure positive il cui limite, tuttavia, sta nell'essere ancora parziali, in quanto esse non correggono del tutto alcune decisioni discutibili: è il caso del mantenimento dei tickets sul pronto soccorso per i codici bianchi. O, ancora, nel valore eminentemente simbolico - benchè politicamente rilevante - di alcune scelte, come quelle relative al riassorbimento del lavoro precario, data l'estrema esiguità dei fondi stanziati.
Questa valutazione di merito sul passaggio al Senato implica a questo punto una considerazione generale sulla manovra finanziaria per come si è venuta - a conclusione del suo iter - configurando. Vorrei, innanzitutto, ritornare su alcuni rilevi critici che sono stati mossi dall'opposizone che mi paiono infondati. In primo luogo, non si può dire tout court che ci troviamo di fronte ad una finanziaria « tutta di tasse». Beninteso, vi è in questa finanziaria un intervento deciso nei confronti dell'elusione e della evasione fiscale, ma personalmente considero questo intervento apprezzabile. Anche perché a me non pare - pur con tutti i rilievi critici che sempre si possono esprimere a manovre di prelievo, che devono tener conto anche di una certa approssimazione negli strumenti utilizzati - che il mondo del lavoro autonomo non subisca eccessive penalizzazioni, come invece qualcuno ha sostenuto. Né condivido l'altro rilievo critico mosso, quello cioè secondo il quale non si sono operati adeguati tagli alla spesa pubblica, e non solo perché le risorse tolte sia alle strutture centrali, che - soprattutto - a quella periferiche, non sono state irrilevanti, ma anche perché una ulteriore riduzione della spesa avrebbe comportato un intervento nei confronti di settori decisivi dello Stato sociale.
Se devo cercare dei limiti in questa finanziaria, essi stanno - a mio parere - in altre scelte. Ne elenco brevemente tre. In primo luogo, l'utilizzo di risorse ingenti, erogate senza l'adozione di criteri adeguatamente selettivi, a sostegno delle imprese (attraverso il taglio del cuneo fiscale). In secondo luogo, un impegno insufficiente sul piano sociale (e non solo per i tagli a università, enti locali, eccetera, ma anche per l'inadeguato finanziamento di interventi essenziali nel campo della precarietà, incapienza, pensioni, disagio sociale). Ed infine, un eccessivo impegno finanziario per interventi socialmente inutili, o addiritturaPag. 69pericolosi. Penso ad alcune infrastrutture (non tutte le infrastrutture finanziate possono definirsi indipensabili), ma specialmente all'incredibile innalzamento della spesa militare. Devo riconoscere che nel corso di questi mesi vi è stato un maggiore ascolto su alcuni di questi temi da parte del Governo, anche in virtù di una iniziativa politica forte venuta da Rifondazione comunista e da altre forze politiche della maggioranza, ma anche di mobilitazioni sociali importanti, prima fra tutte quella dei precari. Personalmente ho sempre ritenuto indispendabile per chi governa porre grande attenzione alla protesta sociale e mi auguro che il nuovo Governo si differenzi da quello precedente anche per una maggiore capacità di ascolto. I fischi alla Fiat sono segnali di un malessere sociale vero che interroga le forze politiche e il governo sulla volontà di porre rimedio alle grandi iniquità prodottesi in questi anni. Ritengo, a tale proposito, che si sarebbe dovuto fare di più ed è questa la considerazione che mi induce a sviluppare alcune riflessioni sulla prospettiva. Abbiamo di fronte a noi uno scenario difficile, sia dal punto di vista sociale, che da quello economico, che infine da quello politico. Nonostante la ripresa dell'economia, le debolezze del nostro sistema produttivo permangono in tutta la loro evidenza e sono tali da non consentirci facili ottimismi sul necessario miglioramento delle performance della nostra economia. Nel contempo, a livello sociale permangono alcuni problemi giganteschi che bisogna affrontare. Si tratta del livello globalmente troppo basso dei redditi, dello stato di incapienza in cui versa una parte cospicua della popolazione e che si intreccia con la mancanza di lavoro in parti importanti del paese, dell'estesa condizione di precarietà in cui vengono a collocarsi in modo prevalente le giovani generazioni, dell'inadeguatezza dell'offerta dei servizi in alcuni campi quali la non autosufficienza e gli asili, dell'insufficienza degli ammortizzatori sociali. A livello politico, infine, le condizioni di precarietà della maggioranza al Senato, al di là di alchimie politiche, pongono l'esigenza di un consolidamento del Governo e del suo rafforzamento in termini di consensi.
Il dibattito che si sta sviluppando ai margini della finanziaria evidenza che nel paese vi sono due opzioni fondamentali, che a loro volta si articolano al loro interno. Le due opzioni fondamentali fanno riferimento, in un caso, alla necessità di una svolta in senso più decisamente liberista, nell'altro a un indirizzo alternativo. Gli echi di queste diverse impostazioni si ritrovano nelle dichiarazioni dei principali soggetti economici, nelle pulsioni che animano l'iniziativa dell'opposizione, ma anche nelle posizioni presenti nella stessa maggioranza. A tale riguardo è noto il dibattito che si è aperto sulla fase «due» con particolare riferimento ad alcune iniziative programmate per i prossimi mesi. Mi riferisco al confronto con le parti sociali sul sistema previndenziale, sulla produttività, sui servizi pubblici. Vi è nella maggioranza, - ma gli echi di queste posizioni si ritrovano anche in soggetti che si collocano all'esterno della stessa - chi ritiene che la fase «due» dovrebbe essere incardinata su un approccio più rigoroso, basato sull'avvio di riforme strutturali, tese in ultima analisi a comprimere la spesa pubblica. Si riparla di allungamento dell'età pensionabile, di ulteriore flessibilità del lavoro, di privatizzazioni nei servizi pubblici locali. Queste posizioni si ritrovano parzialmente anche nell'opposizione che, semmai, tende ad assumere talvolta orientamenti populisti.
La mia personale opinione è che la coalizione di governo se dovesse battere questa via commetterebbe un grave errore, accentuando le divisioni al suo interno, ma soprattutto logorando i suoi rapporti di massa. La via che va perseguita è un'altra, essa va cercata in una prospettiva più accentuatamente antiliberista. Esiste inanzitutto la necessità di operare una correzione nell'impostazione della politica macroeconomica. La finanziaria ha assunto una rilevanza in termini finanziari eccezionale. È irragionevole pensare che si possa continua su questa strada. Il problema non è solo che le prossime manovrePag. 70finanziarie dovranno essere di entità molto più contenuta, ma che alcuni assunti di fondo vanno cambiati. Mi riferisco in particolare a quello - contenuto nel DPEF - che presupponeva entro il 2011 l'eliminazione del deficit/PIL. Il che significherebbe scendere dal 2,8 per cento del 2007 allo 0 del 2011. Questa scelta, derivante da un piano di abbattimento del debito giustificato dall'esigenza di rispettare le norme contenute nei trattati di Maastricht, in realtà non solo non è obbligatoria, ma è anche densa di pericoli. Il mantenimento di questa impostazione implicherebbe, infatti, un tasso di crescita del PIL troppo modesto e serie limitazioni dal punto di vista della spesa sociale. L'abbattimento del debito va quindi rivisto nella prospettiva più avveduta di garantirne una sostanziale stabilizzazione. In questa prospettiva le risorse recuperate debbono andare a favore delle grandi emergenze sociali, mentre per ciò che riguarda lo sviluppo le risorse vanno riorientate in conformità a principi di selettività, mirati a sviluppare processi innovativi, premiando le imprese virtuose.
In questo quadro la fase «due» non può diventare la fase del rigore a danno delle fasce meno tutelate del paese, ma la fase in cui lotta alle inefficienze e dilatazione della spesa sociale vanno di pari passo. Per questo occorre dire qualcosa sugli appuntamenti dei prossimi mesi. Sulle pensioni, non solo è inacettabile che si pensi di elevare l'età pensionabile ricorrendo ai disincentivi, ma va detto che tutta la partita va affrontata partendo da due constatazioni. La prima è che le pensioni attualmente erogate sono troppo basse e che quindi, a prescindere dalla questione dell'età pensionabile, andrebbero elevate. La seconda è che la posticipazione dei termini dell'età pensionabile apre un problema sociale non indifferente a seguito delle difficoltà di riassorbimento dei lavoratori espulsi dal ciclo produttivo e in presenza di una disoccupazione o sottooccupazione giovanile di entità considerevole.
In tema di sviluppo economico, occorre ribadire che in una struttura produttiva così scarsamente innovativa e propensa a strategie di retroguardia, una ulteriore flessibilizzazione del lavoro - con tutto ciò che esso comporta - non è decisiva ai fini della crescita della competitività del sistema economico. È la lezione amara che si trae dalla vicenda del precariato.
Infine, nel campo dei servizi, non solo non è possibile imporre forzatamente agli enti locali l'alienazione della gestione dei servizi pubblici - che dovrebbe semmai avvenire solo in virtù di un'autonoma decisione degli stessi - ma va anche assunto un nuovo principio. Quello secondo il quale, in una logica di concorrenza, le gestioni pubbliche debbono potersi misurare sul mercato senza dover essere sottoposte a limitazioni che ne ridurrebbero non solo le capacità espansive, ma anche le possibilità di promuovere virtuosi processi di innovazione.