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TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO GIUSEPPE CONSOLO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE COMUNICAZIONI DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SULL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA.
GIUSEPPE CONSOLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ma in particolare mi rivolgo a lei, signor ministro, rappresentante del Governo: proprio dopo il suo discorso ed a causa dello stesso devo iniziare questo mio intervento con una amara constatazione: in materia di giustizia proprio non ci siamo.
È con sincero dispiacere, anche a causa dei nostri rapporti personali, che devo constatare come già dopo otto mesi dall'insediamento del Guardasigilli il bilancio dell'attività del Governo in materia di giustizia è infatti già decisamente fallimentare.
Sappiamo bene che nessuno può rimproverarle di non aver ancora risolto la questione giustizia. Sarebbe sciocco da parte mia pretenderlo ed in così poco tempo. Lo stesso spazio di una legislatura non sarebbe sufficiente.
Noi le rimproveriamo, signor ministro, qualcosa di più grave: il Governo di centrosinistra in questi otto mesi non ha ancora prodotto nessuna proposta per tentare almeno di risolvere alcuni degli innumerevoli problemi che attanagliano la disastrata giustizia in Italia, primo tra tutti la lentezza dei processi.
D'altro canto sarebbe troppo pretendere riforme organiche da una maggioranza che non perde occasione per dividersi su temi che vanno dalla politica estera alla famiglia, passando per le pensioni; ma almeno tentativi diretti a risolvere particolari questioni, questi sì, li pretendiamo. E non li pretendiamo noi, sono i cittadini a chiederlo.
Da un lato, nel paese la giustizia affonda sotto montagne di fascicoli che per anni rimangono sulle scrivanie di giudici, dall'altro, il Governo rimane impassibile, mentre proprio alcuni giudici, e mi riferisco alla sua Campania, condannano il suo Ministero a risarcire 150 avvocati napoletani proprio perché vittime del disservizio giustizia!!
Ma forse mi sono sbagliato. A ben vedere, infatti, proprio impassibile il Governo non è rimasto: qualcosa purtroppo è stato fatto.
Mi riferisco a tre interventi legislativi, che vanno nel senso opposto a quello in cui dovrebbe andare una politica in materia di giustizia: l'indulto, il decreto Bersani e la sospensione (in vista, temo, dell'azzeramento) della riforma dell'ordinamento giudiziario.
Lei ha ricordato l'indulto. Partiamo dal primo. So bene che la legge sull'indulto non trae origine da un atto di iniziativa governativa, bensì da alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare, che, come richiede la Costituzione, tale legge è stata approvata da una maggioranza di due terzi, che va ben oltre la maggioranza di centrosinistra e che tali circostanze potrebbero far ritenere che attribuire responsabilità per l'indulto al ministro della giustizia significherebbe configurare una sorta di responsabilità per fatto altrui.
Tuttavia, sotto il profilo politico il ministro della giustizia ha una responsabilità diretta, anche se non certo unica (questo va riconosciuto), rispetto a tutta la vicenda dell'indulto. Una vicenda che nasce infatti al di fuori delle aule parlamentari e precisamente nel giugno del 2006 quando, in occasione della visita al carcere di Rebibbia, il ministro della giustizia si schierò manifestamente a favore dell'indulto innescando una pericolosissima aspettativa da parte dei detenuti; una aspettativa che, qualora delusa, avrebbe potuto portare anche a gravissime conseguenze nei penitenziari.
Ciò non scalfisce la grave responsabilità delle forze politiche che, in assoluta dissonanza con la società civile (si ricordi che solo il 14 per cento degli italiani si è dichiarato favorevole), hanno voluto l'indulto, ma certo ha rappresentato una forte spinta ad un'accelerazione dell'iter legislativo.
Ricordo ancora cosa mi si rispondeva in Commissione giustizia quando, nello Pag. 114scorso luglio, invitavo i colleghi a riflettere ulteriormente sull'opportunità di approvare la legge o, quanto meno, di accompagnarla con una serie di misure che avrebbero potuto attenuare il rischio (anzi, la certezza) di commissione di nuovi reati da parte dei beneficiari, una volta usciti dal carcere.
Mi si rispondeva che la legge doveva essere approvata urgentemente perché le carceri erano una polveriera che sarebbe esplosa ad agosto qualora non fosse stato concesso l'indulto, considerato che, dopo le dichiarazioni del ministro della giustizia di giugno a Rebibbia, l'indulto per i carcerati era diventato un diritto acquisito al quale non intendevano rinunciare.
Non si può, quindi, liquidare la questione dell'indulto come una vicenda parlamentare alla quale il Governo sia estraneo.
Ma le responsabilità del Governo non si limitano alla fase iniziale. Ricordo che nel corso dell'iter parlamentare il Governo ha trasmesso al Parlamento dei dati, che poi si sono dimostrati del tutto errati (in difetto), circa il numero dei soggetti che avrebbero potuto beneficiare dell'indulto. Questi non erano 12.000, come sosteneva il Governo, bensì circa il doppio.
Il Parlamento ha quindi lavorato sulla base di dati sbagliati, che non hanno consentito alle forze politiche ed ai cittadini, che preoccupati seguivano i lavori parlamentari, di comprendere nei termini esatti la reale drammatica portata della concessione dell'indulto.
Il Governo è poi responsabile anche perché non ha fornito un'adeguata copertura finanziaria al provvedimento. È vero che dalla scarcerazione di migliaia di detenuti deriva un risparmio per l'amministrazione penitenziaria, considerato 1'altissimo costo giornaliero di un detenuto, ma è pur vero che svuotare le carceri e riversare nella società migliaia di persone che non hanno un lavoro ha un rilevante costo sociale; costo sociale del quale il Governo non ha saputo - o non ha voluto - farsi carico, scaricandolo sulla società.
Il Governo è responsabile perché non ha preventivamente tenuto conto, nonostante Alleanza Nazionale non perdesse occasione per sottolinearlo, che con l'indulto migliaia di detenuti sarebbero usciti dalle carceri italiane e fra questi la gran parte sarebbero tornati in libertà senza un lavoro, una casa e l'assistenza medica.
Tutto ciò ha portato ad una situazione di emergenza per gli enti locali, dovuta alla massiccia richiesta di lavoro e reinserimento sociale che queste persone hanno rivolto alle strutture assistenziali. Un Governo responsabile avrebbe dovuto fornire prima i fondi necessari per il reinserimento degli ex detenuti. Fondi necessari per un'opportuna formazione per l'inserimento lavorativo di questi ultimi, per la ricerca di alloggi per ospitare gli ex detenuti senza casa e un'adeguata assistenza sanitaria soprattutto per quelli malati o in cattive condizioni di salute. Questi fondi non sono stati previsti, per cui il costo dell'indulto è stato pagato dai cittadini sempre più vittime di ex detenuti, che una volta scarcerati, hanno continuato a commettere delitti. Anche per questo motivo Alleanza Nazionale ha votato contro 1' approvazione della legge sull'indulto.
Ha votato contro non perché vi fosse una cieca e precostituita contrarietà all'istituto, ma perché si era contrari a quell'indulto. Alleanza Nazionale aveva posto infatti delle condizioni per votare a favore; condizioni che il Governo non ha accettato e che, quindi, sono state respinte dalla maggioranza.
Chiedevamo ad esempio - lo ricordo ai più distratti - di tenere in debito conto anche le vittime dei reati. A fronte dell'incontestabile sovraffollamento delle carceri, avevamo chiesto che lo Stato rispondesse con l'impegno per nuove carceri; avevamo chiesto che venissero esclusi dal beneficio di clemenza coloro che avessero nuovamente posto in essere attività delittuose; avevamo chiesto che venisse previsto un fondo per le forze dell'ordine, estendendo i benefici alle vittime dei reati terroristici e mafiosi, cioè a quanti fossero morti nell'adempimento del proprio dovere in occasione di reati terroristici o mafiosi.Pag. 115
Con le nostre richieste avevamo detto - ma vi sembra una richiesta scandalosa? - di porre almeno sullo stesso piano autore e vittima del reato, quella vittima di un reato che non può certo essere collocata in posizione inferiore rispetto all'autore del reato stesso: niente!
Avevamo chiesto come condizione per la concessione dell' indulto l'avvenuto risarcimento del danno: niente!
Oggi, con la coscienza a posto, posso quindi chiederle, signor ministro, che senso abbia avuto appoggiare un indulto per liberare le carceri, come le precedenti esperienze ci hanno insegnato, esclusivamente per pochi mesi.
È una grave responsabilità politica non dare una risposta a questa domanda. Ma Alleanza Nazionale le darà a breve la possibilità di riscattarsi, anche se solo in parte. Su richiesta del mio gruppo, nella prossima settimana sarà infatti inserita all'ordine del giorno della Commissione giustizia una proposta di legge, presentata dal collega Cirielli e sottoscritta da tutto il gruppo di Alleanza Nazionale, diretta a prevedere che la vittima del reato sia risarcita dallo Stato quando il fatto sia stato commesso da persona che sia stata liberata non perché abbia espiato in toto la pena comminata con la sentenza, ma a seguito di un provvedimento dello Stato che ha «accorciato» la pena (amnistia, indulto, grazia). Lo Stato potrà poi rivalersi dell'onere sull'autore del reato.
Signor ministro, la invito sin da oggi nella sua replica a dichiarare formalmente di sostenere questa proposta di legge che tutela gli interessi delle vittime di reati che sono stati commessi perché da parte dello Stato vi è stata una valutazione sbagliata che ha portato alla scarcerazione di un soggetto che, secondo la pena comminata, avrebbe dovuto ancora espiare la sua pena.
Si tratta di una proposta di legge che può essere considerata come forma di attuazione di un principio particolarmente caro ad Alleanza Nazionale, ma non anche a voi: la certezza della pena.
Ma, tornando alle responsabilità del Governo, occorre rilevare come ancora più gravi, considerato che si tratta di un provvedimento di iniziativa governativa, siano le responsabilità del Governo stesso per i danni recati dal decreto Bersani al settore della giustizia.
Come ben ricorderà, signor ministro, il decreto ha introdotto norme destinate ad incidere pesantemente sulla disciplina della professione forense (in particolare: l'abrogazione delle tariffe fisse o minime e del divieto del cosiddetto patto di quota lite, nonché l'eliminazione dei limiti alla pubblicità), insieme a disposizioni destinate a pregiudicare gravemente il già carente funzionamento del servizio giustizia (in particolare una cospicua riduzione degli stanziamenti per le spese di giustizia).
Anche in questo caso, come per l'indulto, il Guardasigilli non è stato l'artefice diretto del provvedimento. Anzi, ricordiamo che una delle tante polemiche tra ministri che ha scandito la vita di questo Governo ha visto come protagonista proprio il ministro Mastella nei confronti del ministro Bersani, colpevole di aver inserito nel decreto-legge disposizioni significative in materia di giustizia senza averle prima concordate con il ministro della giustizia. Ma politicamente è lei, signor ministro, che deve risponderne, se non altro per continuare a far parte di un Esecutivo che, in materia di giustizia, neppure la interpella.
A parte queste polemiche, che rendono sempre più evidente la debolezza di un Esecutivo spaccato, rimane un dato: dopo il decreto-legge Bersani la giustizia è ancora di più in crisi. Non sono solo i professionisti ad essere stati danneggiati dal provvedimento, ma i cittadini-utenti del servizio giustizia.
L'abolizione dei minimi tariffari ha aperto la strada ad una incontrollabile corsa al ribasso nell'offerta delle prestazioni professionali, inevitabilmente destinata a tradursi in uno scadimento del livello delle stesse, quanto meno a seguito della conseguente riduzione delle risorse da destinarsi alla ricerca della qualità.
La rimozione del divieto di pubblicità, in assenza di una disciplina di titoli e specializzazioni (da tempo attesa nel più Pag. 116vasto ambito della riforma dell'ordinamento professionale), ha aperto la strada ai più gravi abusi informativi nei riguardi dell'utenza, provocando così un risultato esattamente opposto a quello auspicato.
La rimozione del divieto del cosiddetto patto di quota lite è portatrice di gravi ed imprevedibili conseguenze sul piano del rischio di compromissione della terzietà dell'avvocato rispetto all'oggetto della lite terzietà che rappresenta la garanzia della sua oggettività e della sua serenità nella gestione degli interessi del cliente ed a salvaguardia della sua stessa dignità, autonomia ed indipendenza.
Ma i danni più gravi li ha prodotti il taglio drastico alle spese di giustizia che di fatto ha azzerato la possibilità di ricorrere al gratuito patrocino da parte delle fasce più deboli della popolazione.
Fino all'inizio di luglio 2006 il pagamento da parte dello Stato avveniva, infatti, col sistema delle anticipazioni da parte delle Poste italiane. Il decreto Bersani, invece, ha stabilito che «si provvederà», se e fino a quando ci saranno i soldi, esattamente come per i risarcimenti previsti dalla cosiddetta «legge Pinto» in caso di ritardi giudiziari. Questi fondi, signor ministro, non ci sono, né è possibile ricorrere al sistema delle anticipazioni, per cui in questo momento in Italia chi non ha a disposizione i mezzi finanziari necessari non può accedere alla giustizia. Ciò, signor ministro, è gravissimo. Le chiedo come sia possibile che il ministro della giustizia non abbia preteso che la legge finanziaria appena approvata rimediasse a tale grave situazione.
Solo questo dato sarebbe sufficiente per giudicare fallimentare la politica del Governo di sinistra in materia di giustizia: chi non ha i soldi non può chiedere giustizia allo Stato. Una giustizia denegata alle classi meno abbienti. D'altro canto, anche chi si trova nelle condizioni economiche di potersi permettere un difensore difficilmente riuscirà ad ottenere giustizia, considerato che un processo può durare anche decenni prima di arrivare a conclusione.
È mai possibile che in otto mesi il Governo non sia stato in grado di elaborare proposte dirette ad attuare il principio costituzionale della ragionevole durata del processo? Una giustizia lenta, lei dovrebbe saperlo, è la negazione della giustizia. Non servono nuovi magistrati per accelerare la giustizia, ma occorre modificare il processo civile, come quello penale, attraverso riforme legislative ed occorre soprattutto l'organizzazione. Che fine ha fatto, ad esempio, il processo civile telematico? Il Governo, questo Governo, non solo non promuove alcuna riforma, ma azzera quelle che sono state da poco varate. Mi riferisco in particolare all'ordinamento giudiziario, una vicenda emblematica dell'approccio della maggioranza di centrosinistra ai problemi della giustizia, sia sotto il profilo metodologico che di contenuto: altro che appello bipartisan del Capo dello Stato!
Il primo atto significativo compiuto dal Governo in materia di giustizia non è stato quello di proporre innovazioni legislative volte a guarire la giustizia italiana, ma di annullare la prima riforma dell'ordinamento giudiziario che si era riusciti a realizzare in circa sessant'anni. Il 14 giugno 2006, infatti, appena avviata la legislatura, lei ha presentato al Senato un disegno di legge volto a non far acquistare efficacia agli ultimi tre decreti legislativi emanati in attuazione della delega in materia di riforma dell'ordinamento giudiziario varata dal Governo di centrodestra nella scorsa legislatura, dopo ben tre anni di esame parlamentare. Di questi, al termine di un serrato confronto, specialmente al Senato, siete riusciti a bloccarne soltanto uno, che però costituisce il cuore dell'intera riforma, in quanto si tratta proprio di quello volto ad introdurre i principi della separazione delle funzioni e della meritocrazia nella progressione in carriera dei magistrati.
Un Governo responsabile e non fazioso avrebbe tenuto una diversa condotta, invece si è affidato ad una strategia del differimento diretta a rinviare sine die i problemi, anziché ad affrontarli per risolverli. La riforma Castelli proponeva una Pag. 117soluzione che avrebbe ottenuto un risultato minimo, ma essenziale per procedere nella direzione di una vera riforma della giustizia: la separazione delle funzioni. Nonostante si tratti di un risultato - ripeto, minimo - rispetto alla separazione delle carriere sancita dal principio costituzionale del giusto processo, si è preferito azzerarlo non facendolo neanche entrare in vigore.
La separazione delle funzioni rappresenta il presupposto minimo per giungere ad un processo accusatorio in cui le parti hanno uguali poteri e garanzie rispetto ad un giudice terzo. La stretta commistione tra magistrati requirenti e giudicanti è a tutto discapito del cittadino, che finisce per trovarsi stritolato dalle maglie della giustizia. Un processo come quello vigente non è certo un processo ad armi pari, come invece vuole la Costituzione e, forse, anche lei stesso, signor ministro, considerato che è noto il suo favore, anche per motivi familiari e di cultura, per il mondo americano. Ma, purtroppo, il processo ad armi pari non piace ai magistrati - o, per meglio dire, ad alcuni magistrati - per cui non si può fare!
Un esempio emblematico di come la cultura del processo accusatorio non appartenga per niente al suo Governo, signor ministro, lo abbiamo in Commissione giustizia, dove è in corso di esame, insieme a proposte d'iniziativa parlamentare, il disegno di legge del Governo in materia di intercettazioni telefoniche, che contiene una disposizione che, in apparenza, potrebbe essere considerata secondaria e modificabile senza difficoltà in via emendativa, ma che invece è solamente la punta di un iceberg. Secondo il Governo, il fascicolo in cui sono conservate le intercettazioni telefoniche non deve essere tenuto e conservato dal giudice terzo, bensì dal pubblico ministero, che altro non è che una parte processuale, come lo è la parte privata. Credo che ogni ulteriore commento su come il Governo, in materia di parità delle parti processuali, sia del tutto parziale, appaia del tutto superfluo.
Signor ministro, all'inizio della legislatura, nonostante la sua appartenenza ad un Governo palesemente sbilanciato a sinistra, nutrivo qualche speranza in lei, come uomo e come politico moderato. Oggi ho iniziato il mio intervento lamentandomi di come il Governo di centrosinistra non abbia fatto nulla per sanare la disastrata giustizia italiana. Se, però, faccio un bilancio di quelle poche cosa fatte, mi rendo conto che anche all'inizio del mio intervento mi sbagliavo; a questo punto la speranza non può che essere quella che non facciate più nulla, che non facciate nuovi danni, nel breve tempo che passerà prima che gli italiani rimandino a casa questo Governo.
Le riforme, in materia di giustizia, quelle vere, toccherà a noi ricominciare a farle!