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Allegato B
Seduta n. 107 del 12/2/2007
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
le cronache degli ultimi mesi del 2006 hanno registrato una crescita impressionante di reati gravissimi e violenze nei confronti delle donne che hanno fortemente impressionato e scioccato l'opinione pubblica, poiché la società italiana è stata sorpresa da una serie così lunga di reati estremamente efferati;
i dati del rapporto Eures-Ansa relativi al 2005 ci dicono che nel 70 per cento degli omicidi, che si verificano all'interno delle mura domestiche, la vittima è una donna e che in otto casi su dieci l'omicida è un uomo. Questo genere di delitti, con 174 omicidi nel 2005, supera il numero di vittime per reati di mafia, che hanno fatto registrare 146 omicidi. Nei delitti che avvengono in famiglia ed hanno come vittime le donne, nel 38,5 per cento dei casi l'omicida è il coniuge o il convivente, mentre nel 10,7 per cento dei casi è l'ex coniuge o ex partner;
occorre evidenziare che anche le comunità di immigrati presenti in Italia hanno conosciuto al loro interno fenomeni altrettanto gravi di violenza, seppur con motivazioni e approcci culturali di diversa matrice;
occorre citare, a tal proposito, il caso di Hina, uccisa dalla sua famiglia perché colpevole di vivere come una ragazza occidentale e di essere fidanzata con un italiano, e quello di Maha, ragazza tunisina, costretta a subire percosse perché usciva di casa senza il consenso dei familiari;
la violenza sulle donne, quindi, è un fenomeno trasversale che attraversa tutte le culture, senza risparmiare la nostra comunità nazionale;
la violenza sulle donne è ancora una delle forme di violazione dei diritti umani più diffusa nel mondo;
i diritti delle donne costituiscono parte integrante ed inalienabile di quel patrimonio di diritti universali in cui si riconoscono le moderne società democratiche;
la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1979, ratificata dall'Italia nel 1985, rappresenta uno degli strumenti di diritto internazionale più importanti in materia di tutela dei diritti umani delle donne. La Convenzione impegna gli Stati che l'hanno sottoscritta ad eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne, nell'esercizio dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, indicando una serie di misure cui gli Stati devono attenersi per il raggiungimento di una piena e sostanziale uguaglianza fra donne e uomini,
impegna il Governo:
a porre in essere provvedimenti e politiche volti all'effettiva eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, raggiungendo una piena e sostanziale uguaglianza fra donne e uomini, provvedendo a promuovere iniziative in tal senso anche da parte degli organi di rappresentanza dei cittadini immigrati nel nostro Paese;
a promuovere un programma di educazione e formazione ai diritti umani per tutti gli ordini di scuole;
a lanciare iniziative pubbliche di sensibilizzazione e ad istituire una rete di centri d'ascolto per le donne che vivono in realtà di sopraffazione e violenza.
(1-00095) «Mura, Donadi, Evangelisti».
La Camera,
premesso che:
il 2007 è l'anno europeo dedicato alle pari opportunità;
gli obiettivi che l'Unione europea si propone sono volti a garantire il diritto alla parità e alla non discriminazione indipendentemente dal sesso, dalla razza o dalle origini etniche, dalla religione o dalle convinzioni personali, da eventuali handicap, dall'età o dalle tendenze sessuali;
nel nostro Paese, come dimostrano i più recenti dati statistici, continuano a permanere ancora elementi di discriminazione legati all'appartenenza di genere, che si registrano nel mondo del lavoro, tanto nel settore pubblico che nel settore dell'impresa privata, ma anche in termini di rappresentanza nelle istituzioni pubbliche, così come nella vita politica e nei partiti;
ancora più allarmanti sono i dati relativi all'incremento del fenomeno della violenza sulle donne, che rappresenta una vera e propria emergenza sociale e che costituisce un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di uguaglianza, di sviluppo e di pace, nonché al godimento dei diritti fondamentali alla vita e all'integrità fisica e morale, alla sicurezza, alla non discriminazione, così come riconosciuti e tutelati dalla Costituzione;
inoltre, come testimoniato dai numerosi fatti di cronaca, non possono essere in alcun modo trascurate né le discriminazioni, né la violenza, che, sempre con maggiore frequenza, si trovano a subire le donne immigrate, categoria, questa, la tra le più vulnerabili, in quanto spesso oggetto di una doppia discriminazione, basata sia sull'origine etnica che sul sesso; questo tipo di sopraffazione si manifesta, spesso, sotto forma di matrimonio forzato, poligamia, delitti cosiddetti d'onore, mutilazioni genitali o altre manifestazioni di costrizione psicologica o fisica,
impegna il Governo:
nell'ambito dell'anno europeo delle pari opportunità, a porre in essere misure che abbiano come finalità il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e di partecipazione alla vita sociale delle donne, ivi incluse quelle immigrate;
a promuovere iniziative di sensibilizzazione e opportune campagne informative per il raggiungimento di una piena integrazione delle donne immigrate in Italia, al fine di garantire il superamento di ogni forma di discriminazione nel pieno esercizio dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali;
ad avviare un tavolo che veda coinvolti, oltre alla Consulta islamica e le associazioni di rappresentanza delle principali comunità presenti sul territorio nazionale, anche le associazioni femminili che ad esse si riferiscono.
(1-00096) «Sereni, Bressa, Giachetti, Quartiani, Violante, Zaccaria, Allam, Amici, D'Antona, Dato, De Mita, Ferrari, Giovanelli, Gozi, Incostante, La Forgia, Marone, Naccarato, Nicchi».
La Camera,
premesso che:
secondo un sondaggio condotto da Al Maghrebiya, unico organo di informazione in lingua araba diffuso in tutto il territorio nazionale, l'85 per cento delle donne di fede musulmana, che vive in Italia, ritiene la situazione dei diritti e delle libertà individuali del tutto insoddisfacente, anche a causa di interpretazioni forzate dei precetti islamici, e che il velo sia uno strumento di sottomissione e di controllo da parte della comunità maschile, che viene indossato esclusivamente «per timore»;
nelle famiglie di immigrati di fede islamica emerge una profonda disparità di diritti tra uomo e donna e nell'educazione dei figli, nonché la mancanza di un'istruzione
adeguata; sono sempre più diffuse le denunce da parte di donne di fede islamica che lamentano una scarsa attenzione del nostro Paese ad episodi di maltrattamenti conseguenti ad unioni poligamiche;
è ancora vivo il ricordo delle vicende di Hina, la ragazza pakistana uccisa dal genitore che non accettava il modello di vita occidentale adottato dalla figlia, non conforme ai propri precetti religiosi, e quella di Khaur, che sì è tolta la vita pur di rifiutare un matrimonio combinato;
il maschilismo e la misoginia, mascherati da precetti religiosi, sono la causa di queste tragedie femminili legate a matrimoni combinati, a matrimoni poligamici e all'assoluto divieto della loro integrazione in seno alla società italiana;
sempre più nelle moschee d'Italia si celebrano matrimoni combinati e poligamici, relegando le donne, in genere molto giovani, a oggetto esclusivo per la riproduzione e merce di scambio al servizio di interessi familiari e di clan,
impegna il Governo:
ad adottare ogni utile iniziativa volta ad eliminare ogni ostacolo all'integrazione delle donne immigrate nella società italiana, a tutelarne i diritti umani e civili e a favorirne l'emancipazione;
ad adottare i necessari provvedimenti atti a tutelare le donne immigrate musulmane da ogni forma di violenza e discriminazione, sia in seno alla famiglia, sia all'interno delle loro comunità;
a monitorare l'attività delle associazioni di rappresentanza islamiche che pongano in essere comportamenti contrari ai principi dell'ordinamento giuridico italiano, in generale, e della condizione della donna extracomunitaria, in particolare.
(1-00097) «Mazzoni, Volontè, Formisano, Capitanio Santolini, D'Agrò, Ronconi, Drago, Compagnon, Peretti, Lucchese, Mereu».
La Camera,
premesso che:
gli episodi di cronaca nera e di violenza che hanno coinvolto diverse donne immigrate nel nostro Paese non possono non provocare un moto di indignazione e, quindi, non ci si può non associare alla condanna ed insieme alla richiesta di misure che adeguatamente puniscano forme criminali di soppressione dell'autonomia individuale così aberranti;
occorre stare attenti a rappresentare la comunità islamica associandola naturaliter a tali episodi di intolleranza, poiché si rischia di precipitare lungo una china pericolosa;
il dialogo e la comprensione sono e rimangono strumenti essenziali per la costruzione di una società aperta, plurale, capace di convivenza civile;
tali valori appartengono, con sfumature diverse, alla cultura laica, alla cultura di derivazione cristiana ed islamica, all'ebraismo;
il confronto con le comunità musulmane deve essere ispirato all'attenzione, al rispetto, alla comprensione, chiedendo ovviamente piena reciprocità;
molte ed assai significative sono state le voci di singole personalità e di associazioni e movimenti della comunità islamica che hanno dato prova di maturità;
dobbiamo sforzarci perché si creino le condizioni per una società effettivamente multiculturale, in cui i diritti di tutte e di tutti diventino bene intangibile;
occorre rimarcare la necessità di adottare ed assumere finalmente, anche nel nostro Paese, il principio di laicità quale caposaldo dell'attività statuale e legislativa, in particolare. Il principio di laicità consente, infatti, di tutelare tutte le espressioni di libertà, a cominciare da quella religiosa, ma impone, al contempo, il rispetto dinanzi all'ordinamento di fondamentali diritti e libertà individuali;
bisogna ricordare all'Assemblea che in queste settimane si discute se e come applicare in Italia una normativa che tuteli e riconosca posizioni che la quasi totalità dei Paesi dell'Unione europea identifica quali diritti umani insopprimibili (così definiti ripetutamente in atti legislativi del Parlamento europeo e della Commissione europea). Ci si riferisce chiaramente alla normativa in tema di unioni civili e diritti dei conviventi, o meglio del diritto di cittadine e cittadini che consapevolmente decidono di costruire un proprio modello convivenziale;
l'applicazione del principio di laicità consentirebbe, anche con riferimento al tema sottoposto alla nostra attenzione dalle mozioni in esame, di costruire un modello incentrato sul rispetto invalicabile di diritti e libertà individuali, a cominciare da quelli legati alla condizione femminile, ed insieme di tutelare la scelta religiosa che liberamente viene assunta,
impegna il Governo:
ad adottare tutte le necessarie iniziative per assicurare il pieno rispetto della libertà religiosa di tutte le confessioni presenti sul territorio italiano;
a promuovere e ad elevare, attraverso apposite politiche informative e concrete politiche di sostegno, la condizione delle donne immigrate in Italia, in modo da garantire loro una effettiva integrazione nel tessuto economico e sociale del Paese;
ad avviare urgentemente un tavolo di consultazione che veda il coinvolgimento della Consulta islamica e delle associazioni rappresentative delle più importanti comunità presenti in Italia, affinché si possano promuovere iniziative finalizzate all'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e volte a soddisfare il pieno esercizio dei diritti civili, politici, socio-culturali ed economici.
(1-00098) «Balducci, Bonelli, Boato, De Zulueta, Francescato, Zanella, Cassola, Fundarò, Lion, Pellegrino, Camillo Piazza, Poletti, Trepiccione».
La Camera,
premesso che:
l'abbandono totale dell'opzione nucleare per la produzione di energia elettrica attuato dal nostro Paese sull'onda emotiva del grave incidente di Cernobyl ha rappresentato una scelta che si è rivelata particolarmente onerosa sotto il profilo economico e finanziario e fortemente penalizzante per la competitività e quindi per lo sviluppo del nostro sistema produttivo;
l'abbandono del nucleare non era «obbligatorio» a seguito dello svolgimento del referendum popolare del 1987 in quanto da questo non discendevano obblighi tassativi in tal senso;
il nostro Paese è oggi quasi totalmente dipendente dalle importazioni per la copertura del proprio fabbisogno energetico in quanto non ci sono in Italia giacimenti significativi di idrocarburi e di carbone e possiamo solo disporre di limitate risorse idroelettriche e di quantità marginali di altre risorse rinnovabili il cui sviluppo presenta tutt'ora, se si prescinde da affermazioni puramente ideologiche, limiti tecnologici evidenti di sviluppo e di costo;
la copertura pressoché totale del fabbisogno di energia elettrica con centrali termiche comporta una grande quantità di emissioni nocive di gas serra, il che rappresenta un fattore estremamente negativo per l'ambiente mentre al contrario le centrali elettronucleari sono prive di qualsiasi emissione nociva per l'atmosfera;
a causa dell'abbandono totale della fonte nucleare per la produzione di energia elettrica il nostro Paese è gravato da costi energetici particolarmente elevati che penalizzano fortemente la competitività delle nostre industrie che si devono confrontare con le imprese estere, che hanno tutte costi dell'energia elettrica molto inferiori a quelli italiani, in quanto tutti i paesi industrializzati e molti paesi emergenti
hanno conservato una quota significativa di nucleare per la produzione di energia elettrica;
la fonte nucleare è molto più conveniente sotto il profilo economico della fonte termica per la produzione di energia elettrica, gli approvvigionamenti di petrolio e di gas provengono in prevalenza da paesi politicamente instabili, il che rende incerte le forniture e comunque anche a causa del forte incremento dei consumi da parte delle nuove grandi potenze industriali: Cina e India, i prezzi del petrolio e del metano tenderanno inevitabilmente a crescere, specie nel medio e lungo periodo, penalizzando così ulteriormente il nostro Paese che dipende per oltre l'80 per cento dei propri approvvigionamenti dal petrolio e dal gas naturale;
appare quanto meno singolare che solo l'Italia, fra i grandi paesi industriali, abbia rinunciato totalmente all'opzione nucleare disperdendo un grande patrimonio di capacità industriali, competenze tecnologiche e di risorse umane altamente qualificate nel settore e abbia affrontato costi ciclopici per l'abbandono o la riconversione delle centrali nucleari in esercizio quale Caorso o in avanzato stato di costruzione quale Montalto di Castro, costi che si sono riversati pesantemente ed a lungo sul nostro sistema Paese;
lo sviluppo tecnologico consente oggi di realizzare reattori nucleari con grandi livelli di sicurezza e che producono una quantità ridotta di scorie radioattive;
impegna il Governo:
a ricostruire rapidamente le competenze scientifiche e tecnologiche e le capacità industriali nel campo nucleare al fine di mettere in grado il nostro paese di poter avviare la realizzazione di un programma di nuove centrali elettronucleari;
a valutare in termini realistici le prospettive future dell'approvvigionamento energetico ed loro costi per il nostro paese ed a considerare in tale quadro la possibilità e la convenienza economica della riattivazione delle centrali nucleari dismesse e del varo di un programma di centrali nucleari di nuova generazione al fine di ridurre l'attuale eccessiva dipendenza del nostro paese dai sempre più costosi ed insicuri approvvigionamenti di petrolio e gas naturale e per ridurre significativamente le emissioni di gas serra;
a realizzare in tempi brevi uno o più siti nazionali per lo stoccaggio delle scorie nucleari ed a considerare, in via transitoria, la possibilità già offerta dal mercato di utilizzare imprese in grado di smaltire all'estero le scorie nucleari.
(1-00099) «Stradella, Lazzari, Bernardo, Di Cagno Abbrescia, Di Centa, Fasolino, Fedele, Franzoso, Fratta Pasini, Germanà, Lupi, Milanato, Mondello, Osvaldo Napoli, Paroli, Luciano Rossi, Simeoni, Tortoli, Valducci, Alfredo Vito».
La Camera,
premesso che:
al fine di predisporre strumenti giuridici idonei a garantire il risarcimento delle vittime dei reati violenti, il Consiglio d'Europa ha adottato nel 1983 uno strumento volto ad introdurre o a sviluppare, mediante disposizioni di minima, regimi di risarcimento da parte dello Stato sul cui territorio i reati violenti sono stati commessi;
la maggior parte degli Stati membri della Unione Europea ha adottato o è in procinto di adottare strumenti giuridici che istituiscano regimi del genere, quantunque alcuni di essi non abbiano ratificato e neppure firmato la Convenzione;
tra questi Paesi, l'Italia non ha ancora provveduto a ratificare né firmare la
Convenzione e nel nostro paese non esiste neppure un regime generale di risarcimento da parte dello Stato;
la Convenzione europea, peraltro ancora aperta alla firma degli Stati, obbliga le parti a prevedere nelle loro legislazioni o pratiche amministrative, un sistema di compensazione per risarcire, con fondi pubblici, le vittime di infrazioni violente, dolose che abbiano causato gravi lesioni corporali o la morte e, oltre ad individuare le previsioni minime che devono essere contenute in tale sistema, indica i danni che devono necessariamente essere risarciti, quali il mancato guadagno subito da una persona immobilizzata in seguito alla lesione, le spese mediche, le spese di ospedalizzazione, le spese funebri e, in caso di persone a carico, la perdita di alimenti;
la Convenzione si basa sul principio di giustizia sociale, che esige che lo Stato indennizzi non solo i propri cittadini, ma anche le vittime di altre nazionalità, compresi i lavoratori emigranti, i turisti, gli studenti; in aggiunta consente di fissare dei limiti maggiori e minori per il versamento di un indennizzo, oltre a statuire che una parte può rifiutare di versare un'indennità se la vittima appartiene ad una associazione criminale, a delle organizzazioni che commettono atti violenti o è egli stesso un noto criminale;
la presente mozione intende sollecitare la firma e la ratifica della Convenzione europea in oggetto che risponde all'esigenza di farsi carico dell'assistenza alle vittime dei reati da parte degli Stati, soprattutto ove si pensi alle numerose ipotesi di autori di reato che rimangono ignoti, scompaiono o che comunque sono insolvibili;
in ragione di questa esigenza, a partire dagli anni '60, a livello europeo, è andata diffondendosi l'esigenza di costituire fondi pubblici ai quali, occorrendo, di volta in volta attingere le risorse economiche per provvedere ai risarcimenti, o indennizzi, in mancanza o in carenza di iniziative utili intercorrenti a livello dei privati;
proseguendo su questa linea direttrice, nel 1970 il Consiglio d'Europa collocava il risarcimento delle vittime nel suo programma di lavoro, e dopo un lungo itinerario veniva aperta alla firma, il 24 novembre 1983, la Convenzione europea di cui si è detto. La ratifica a livello europeo è stata fatta da Paesi come la Francia, la Svizzera, la Germania, la Danimarca, il Lussemburgo, il Belgio;
il nostro Paese non ha ancora provveduto a ratificare la Convenzione, pur avendo dimostrato nel corso di questi ultimi decenni di non essere insensibile alla tematica del risarcimento del danno da reato, tanto che è venuto sempre più intensificando un sistema di misure concrete attuative di questa politica;
le numerose iniziative intraprese a livello di legislazione stanno a dimostrare la crescente sensibilità verso forme di assistenza e tutela a favore delle vittime di reato;
a tal proposito possono citarsi i numerosi fondi di solidarietà con finalità riparatorie, i vari interventi nei codici di procedura per garantire azioni per il risarcimento danni da reato ovvero per garantire l'accesso al patrocinio a spese dello Stato, tutte iniziative dirette a tutelare la vittima del reato, che dovrebbero necessariamente essere integrate dalla ratifica del nostro Paese alla Convenzione europea del 1983 relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti,
impegna il Governo
a firmare la Convenzione Europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti, del Consiglio d'Europa del 24 novembre 1983, e a richiederne la ratifica nel più breve tempo possibile, auspicando che ragioni di equità e solidarietà sociale rendano possibile la previsione di regimi di risarcimento in favore delle vittime di reati violenti nell'ambito della legislazione italiana.
(1-00100) «Maroni, Lussana».
Risoluzione in Commissione:
La IX Commissione,
premesso che:
dal 1o gennaio 2007 è entrato in vigore l'obbligo per il parco circolante di evidenziare la sagoma del camion con strisce retroriflettenti;
il costo medio per la «bordatura» prevista è di circa 150/170 euro contro un costo sociale annuo dovuto agli incidenti stradali paragonabile all'ammontare complessivo di una Finanziaria (35 miliardi di euro);
l'obbligo è stato ritenuto necessario in considerazione dell'elevato numero di mezzi pesanti che circolano in Italia e che spesso sono causa di gravi incidenti, soprattutto in condizioni di scarsa visibilità o in condizioni atmosferiche avverse;
è ormai noto a tutti che l'incidentalità stradale rappresenta nel nostro Paese un fenomeno allarmante per l'alto numero di morti e feriti e che, purtroppo, la fascia più colpita dalle conseguenze degli incidenti stradali sia quella tra i 25 e i 29 anni;
secondo gli ultimi dati disponibili Istat/Aci sull'incidentalità stradale relativa all'anno 2005, emerge chiaramente che è la notte il momento in cui gli incidenti presentano il più elevato tasso di mortalità e che la maggior parte degli incidenti stradali è rappresentata da uno scontro, frontale o laterale, tra due o più veicoli (circa l'80 per cento);
secondo i dati forniti dall'ASAPS (Associazione Amici Polizia Stradale) sulla base degli incidenti rilevati dalla Polizia stradale nel 2005, nella sola rete autostradale sono stati rilevati quasi 26 mila incidenti dove sono stati coinvolti veicoli commerciali, di cui un numero consistente con conseguenze mortali;
sono ormai numerosi gli studi, anche a livello europeo (TUV ente di certificazioni tedesco, Università di Demstad) che dimostrano come, con l'utilizzo delle bande retroriflettenti, il risparmio in termini di incidentalità è tra il 21 per cento e il 44 per cento e che, considerando esclusivamente le ore notturne, supera il 95 per cento;
il recente Bilancio intermedio relativo al Programma d'azione della Commissione europea in materia di sicurezza stradale fa esplicito riferimento alle bande quale misura efficace, dai costi-benefici positivi, in grado quindi di contribuire al raggiungimento dell'obiettivo di dimezzare il numero delle vittime della strada entro il 2010;
il 18 gennaio 2007, il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione sul Programma d'azione per la sicurezza stradale con la quale esorta la Commissione ad accelerare la presentazione delle proposte annunciate e, tra queste, la sagomatura dei mezzi lunghi e pesanti con strisce catarifrangenti;
da quando è entrato in vigore l'obbligo in Italia, oltre il 15 per cento del parco circolante ha provveduto ad adeguarsi alla legge. Tale percentuale si va a sommare al 50 per cento dei mezzi che, a poche settimane dall'entrata in vigore dell'obbligo aveva già provveduto all'installazione delle strisce, ritenendo la maggior parte degli autotrasportatori italiani doveroso adeguarsi alla legge per garantire una maggiore sicurezza per sé e per gli altri utenti della strada;
a distanza di solo due settimane, è stata registrata una forte discrepanza tra l'intervento in Aula del Ministro Bianchi il 24 gennaio 2007 che ha escluso ogni ipotesi di proroga dell'obbligo già entrato in vigore e quello del Ministro Santagata che il 7 febbraio 2007, ha annunciato una proroga per un periodo massimo di tre mesi;
l'unica motivazione addotta per questo rinvio è un presunto problema di approvvigionamento da parte degli autotrasporti già smentito, del resto, dalla rete di distribuzione;
nel protocollo d'intesa siglato con le Associazioni di categoria degli autotrasportatori il 7 febbraio 2007, il Governo si impegna non solo a prorogare l'obbligo, ma ad estendere tale rinvio fino a un massimo di sei mesi,
impegna il Governo:
a mantenere in vigore l'obbligo di segnalare la sagoma dei camion con strisce retroriflettenti in nome di un interesse collettivo e per rispetto del diritto alla salute e alla incolumità fisica delle persone;
a tenere alta l'attenzione sulla sicurezza stradale anche di fronte alla difesa legittima degli interessi di categorie produttive di questo Paese;
a mettere in atto tutte le iniziative volte a ridurre il numero delle vittime sulle strade che ad oggi sono circa 60.000;
e conseguentemente ad intraprendere tutte le iniziative per ridurre l'incidenza della spesa sul Servizio Sanitario Nazionale pari alla cifra di 35 miliardi di euro.
(7-00121) «Pedrini».