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Allegato B
Seduta n. 111 del 19/2/2007
ATTI DI INDIRIZZO
Mozione
(ex articolo 138, comma 2, del regolamento):
La Camera,
premesso che:
la legge finanziaria 2007, segnatamente la legge 27 dicembre 2006, n. 296 «disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» prevede espressamente che: «a decorrere dal 1o dicembre 2006 e fino al 31 dicembre 2007, in caso di acquisto di un motociclo nuovo di categoria EURO 3, con contestuale sostituzione di un motociclo appartenente alla categoria EURO 0, realizzata attraverso la demolizione... è concessa l'esenzione del pagamento delle tasse automobilistiche per cinque annualità»;
in forza di quanto previsto dalla legge finanziaria 2007 la rottamazione riguarderebbe solo i motocicli EURO 0 immatricolati, con conseguente impossibilità di rottamare i ciclomotori (50cc);
detta esclusione, probabilmente non voluta, non appare coerente con lo spirito della legge che intende favorire il ricambio del parco circolante, tanto più che oggi i veicoli più obsoleti appartengono proprio alla categoria dei ciclomotori;
si ritiene quanto mai necessario estendere la citata previsione normativa contenuta nella legge finanziaria 2007 anche ai ciclomotori appartenenti alla categoria EURO 0;
da tempo gli utenti delle due ruote a motore si stanno rivolgendo sempre più verso veicoli immatricolati, prevalentemente scooter dedicati alla mobilità urbana, sostituendo i vecchi ciclomotori;
i veicoli immatricolati sono per la quasi totalità con motorizzazione a 4 tempi, che consente minori emissioni e bassi consumi e, soprattutto, non comporta problemi in termini di particolato (PM 10).
al contrario pressoché tutti i ciclomotori obsoleti (EURO zero) dispongono di motori a 2 tempi che, al pari dei vecchi diesel, emettono quantità significative di PM10;
per tali ragioni in Lombardia, ma anche nel Comune di Roma, sono state deliberate restrizioni al traffico per lunghi periodi che di fatto rendono inutilizzabili tali veicoli per un uso quotidiano;
le preoccupazioni relative alla necessità di migliorare la qualità dell'aria e di rispettare i valori limite per le emissioni da traffico veicolare sono in aumento e tale obiettivo riguarda migliaia di Comuni, tra cui tutte le aree metropolitane, come definito dall'articolo 8 del decreto legislativo 4 agosto 1999 n. 351;
il territorio coperto da tali Comuni rappresenta il 75 per cento del totale mercato delle due ruote a motore;
per tali ragioni nasce l'esigenza di accelerare la sostituzione dei vecchi ciclomotori ancora in circolazione (circa 3.400.000) con veicoli omologati EURO 3, che possono usufruire dell'esenzione per 5 anni dalla tassa di proprietà. I vecchi motocicli immatricolati EURO zero con motori a 2 tempi sono circa 600.000 e rappresentano un problema meno prioritario;
il restante problema è rappresentato da motocicli con motori a 4 tempi, ai quali è comunque consentita la circolazione perché contribuiscono solo in modo marginale alle emissioni;
nelle ultime settimane molte associazioni di categoria hanno ricevuto numerose
telefonate di utenti pronti a «rottamare» il proprio vecchio ciclomotore con la speranza di ottenere l'esenzione del pagamento della tassa di proprietà sul nuovo veicolo EURO 3;
purtroppo, però, così come è formulato attualmente il comma 235 dell'articolo unico legge finanziaria, questa fattispecie non è praticabile;
le concessionarie distribuite sul territorio fanno presente che le richieste più rilevanti in termini di volumi provengono proprio da chi dispone di un vecchio ciclomotore e intende sostituirlo con un nuovo scooter immatricolato EURO 3;
consentire anche la demolizione dei ciclomotori EURO zero serve a rendere più efficace la misura introdotta nella legge finanziaria e a perseguire più rapidamente l'obiettivo di limitare le emissioni;
detta esigenza è stata altresì manifesta durante lo svolgimento della interpellanza urgente n. 2/00348 presentata dall'interpellanza in data 1o febbraio 2007 e svolta in assemblea in data 8 febbraio 2007;
purtuttavia, durante lo svolgimento della citata interpellanza l'interpellante non si è dichiarato assolutamente soddisfatto sulle spiegazioni date dal rappresentante del Governo,
impegna il Governo:
ad adottare iniziative normative tese a sanare il vuoto normativo descritto dalla presente mozione onde prevedere che l'esenzione del pagamento delle tasse automobilistiche per cinque annualità, in caso di acquisto di un motociclo nuovo di categoria EURO 3, possa avvenire non solo con la contestuale sostituzione di un motociclo, ma anche di un ciclomotore appartenente alla categoria EURO 0.
(1-00105) «Fabris».
Mozione:
La Camera,
premesso che:
i recenti fatti di sangue, che hanno visto tre donne straniere residenti in Italia vittime di una violenza armata dalla sottomissione irragionevole a dettami fanatico-religiosi, meritano giustizia e attenzione: Hina, uccisa selvaggiamente dalla sua famiglia perché colpevole di essersi troppo «occidentalizzata», Maha, tunisina, picchiata a sangue perché osava uscire senza il consenso della famiglia, e Khaur, costretta al suicidio come unica via di fuga da un matrimonio combinato impostole dalla sua famiglia, sono soltanto gli ultimi tristi episodi di una diffusa e allarmante ferocia nei confronti di donne che osano ribellarsi al teodispotismo coranico;
secondo un sondaggio condotto da Al Maghrebiya, unico organo di informazione in lingua araba diffuso in tutto il territorio nazionale, l'85 per cento delle donne di fede musulmana, che vive in Italia, ritiene la situazione dei diritti e delle libertà individuali del tutto insoddisfacente, anche a causa di interpretazioni forzate dei precetti islamici, e che il velo sia uno strumento di sottomissione e di controllo da parte della comunità maschile, che viene indossato esclusivamente «per timore»;
i dati raccolti da associazioni di rappresentanza del mondo femminile islamico segnalano che l'86 per cento delle donne islamiche presenti in Italia sono analfabete e non conoscono il sistema alfanumerico; l'80 per cento non esce di casa se non accompagnata da figure maschili della famiglia di appartenenza; solo il 10 per cento delle 400.000 donne islamiche presenti in Italia conduce una vita che, secondo gli standard socio-statistici, potrebbe definirsi normale;
nelle famiglie di immigrati di fede islamica emerge una profonda disparità di diritti tra uomo e donna e nell'educazione
dei figli, nonché la mancanza di un'istruzione adeguata; sono sempre più diffuse le denunce da parte di donne di fede islamica che lamentano una scarsa attenzione del nostro Paese ad episodi di maltrattamenti conseguenti ad unioni poligamiche;
il maschilismo e la misoginia, mascherati da precetti religiosi, sono la causa di queste tragedie femminili legate a matrimoni combinati, a matrimoni poligamici e all'assoluto divieto dell'integrazione delle donne musulmane in seno alla società italiana;
tali atti si indirizzano, soprattutto, nei confronti delle donne e dei soggetti, che, in questi contesti, vivono in una condizione di debolezza e di minorità;
sul nostro territorio si moltiplicano le denunce di donne extracomunitarie di religione islamica vittime di matrimoni poligamici, celebrati in centri di preghiera autorizzati dallo Stato a svolgere una libera attività associativa, ma senza alcuna autorità giuridica che ponga in essere un'unione che possa essere considerata valida dallo Stato. Secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, questi matrimoni sostanziano non solo una grave violazione dell'ordinamento penale italiano, ma anche una grave lesione della dignità umana delle donne musulmane presenti in Italia, poiché spesso esse ignorano la «non validità» dell'unione ufficializzata in moschea, subendone comunque le conseguenze in caso di ripudio;
presso il ministero dell'interno è istituito, con funzioni meramente consultive, un organo composto da alcuni soggetti individuati dal ministero stesso tra i tanti in Italia che professano il credo islamico - in modi per natura diversi, poiché non esiste un organo normativo nell'islam, ma la pratica religiosa si basa soltanto sull'interpretazione del corano;
a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, è inaccettabile che la Consulta per l'islam italiano, istituita con decreto del Ministro dell'interno, che tanta influenza dovrebbe avere sulle comunità musulmane presenti nel nostro Paese nella ricerca della mediazione e del dialogo, non abbia ancora stigmatizzato l'accaduto e preso ufficialmente una posizione netta di condanna nei confronti di episodi di tale gravità;
la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1979, ratificata dall'Italia nel 1985, rappresenta uno degli strumenti di diritto internazionale più importanti in materia di tutela dei diritti umani delle donne. La convenzione impegna gli Stati che l'hanno sottoscritta ad eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne, nell'esercizio dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, indicando una serie di misure cui gli Stati devono attenersi per il raggiungimento di una piena e sostanziale uguaglianza fra donne e uomini;
la violenza sulle donne è purtroppo, ad oggi, ancora una delle forme di violazione dei diritti umani più diffusa ed occulta nel mondo;
siamo chiamati a rispondere a tutto ciò con la forza generata dalla nostra identità e dai valori di eguaglianza che nascono da tutta la nostra tradizione storica, con la consapevolezza che dignità e diritti sono elementi su cui non è possibile scendere a patti;
i diritti delle donne costituiscono parte integrante ed inalienabile di quel patrimonio di diritti universali in cui si riconoscono le moderne società democratiche,
impegna il Governo:
a promuovere iniziative, anche legislative, volte a tutelare ed a garantire sul territorio nazionale il rispetto dei diritti umani e civili delle donne extracomunitarie presenti in Italia, in particolar modo attraverso la promozione di un
programma di educazione e formazione ai diritti umani per tutti gli ordini di scuole;
a promuovere un miglioramento delle condizioni di vita delle donne extracomunitarie, attraverso specifici corsi di alfabetizzazione in italiano, programmi di inserimento nel mondo lavorativo ed imprenditoriale, oltre a specifiche campagne di sensibilizzazione che permettano alle donne interessate di conoscere i propri diritti e i possibili strumenti di autotutela;
ad istituire un telefono multilingue che renda più agevole alle donne extracomunitarie denunciare la propria condizione di disagio sociale, fisico, psichico;
a lanciare iniziative pubbliche di sensibilizzazione e ad istituire una rete di centri d'ascolto per le donne che vivono tali realtà di sopraffazione e violenza;
ad inserire nel prossimo ordine del giorno dedicato agli incontri con la Consulta islamica la discussione di questa importante problematica e, di conseguenza, a sollecitare la redazione di un documento ufficiale che condanni in modo inequivocabile la poligamia e tutte le violazioni della libertà individuale della donna in nome di precetti dogmatici religiosi;
ad escludere dalla Consulta islamica e a monitorare l'attività di tutte quelle associazioni di rappresentanza che pongano in essere comportamenti contrari ai principi dell'ordinamento giuridico italiano, in generale, e della condizione della donna extracomunitaria, in particolare.
(1-00104)
«Lussana, Bertolini, Garnero Santanchè, Mazzoni, Maroni».
Risoluzioni in Commissione:
La IV Commissione,
premesso che:
lo stabilimento CIMA Centro Interforze Munizionamento Avanzato di Aulla è una realtà molto complessa che opera efficacemente in varie e diverse direzioni avvalendosi di personale tecnico altamente specializzato ed in grado di intervenire autonomamente anche nelle situazioni più varie;
il CIMA è stato istituito con decreto interministeriale in data 13 luglio 1998, registrato il 14 ottobre 1998 n. 1336 con i compiti istituzionali di carattere tecnico-industriale mentre le attività di natura tecnico-operativa, nel transitorio affidati alla Divisione Operativa coesistente con il CIMA;
con l'emanazione del decreto interministeriale datato 20 ottobre 2004, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale serie generale n. 67 del 22 marzo 2005, viene soppresso lo stabilimento di munizionamento navale di Aulla (Marimuni-Aulla) e costituita la Direzione di Munizionamento della Marina Militare di Cà Moncelo (Diremuni-Cà Moncelo). L'Articolo 5 del suddetto decreto stabilisce un periodo transitorio di 24 mesi in cui i compiti istituzionali della succitata Diremuni verranno svolti dalla Divisione Munizionamento temporaneamente costituita alle dipendenze del CIMA Aulla;
il centro CIMA e la Direzione Munizionamento Cà Moncelo rappresentano le più grosse realtà industriali statali presenti nel territorio Lunigianese in tutta la provincia di Massa Carrara;
si tratta di una realtà lavorativa fortemente radicata nel territorio in quanto la maggior parte dei dipendenti civili proviene dai vari paesi limitrofi. Lo Stabilimento occupa 363 dipendenti civili di cui 223 uomini e 140 donne (pari al 37 per cento). A questi si aggiungono 329 militari tra Ufficiali, Sottufficiali e Militari per un totale di 692 addetti;
lo stabilimento sorge nel Comune di Aulla (Massa Carrara) al Km 1 della strada statale n. 63 del Cerreto e si estende lungo la valle del torrente Dorbola
per una lunghezza di 3.300 m circa occupando una superficie di circa 607.000 mq; è diviso in quattro zone collegate da una rete viaria interna costituita da strade, piazzali e ben 13 ponti in cemento (l'area coperta del CIMA comprende quasi 200 fabbricati dei quali 111 di uso generale - uffici, officine, magazzini, eccetera -, 77 adibiti a depositi munizioni e 10 a caserme, foresterie e palazzine logistiche, 4 mense);
lo stabilimento trova la sua ragione d'essere nel munizionamento e nelle attività ad esso connesse come emanazione di capitolati d'appalto, la compilazione di tutte le norme tecniche e disegni d'uso nella Marina militare, i collaudi d'officina ed al tiro (anche per conto di Marine Estere), le verifiche chimiche delle polveri di lancio, i riordinamenti, i confezionamenti, studi sperimentazioni e realizzazione di eventuali prototipi, le manutenzioni, il mantenimento in efficienza del munizionamento avanzato, il supporto logistico/operativo alle unità Navali e a Comandi/Enti, cercando anche di affiancare, a quelle tradizionali, nuove attività come, ad esempio, le attività relative alle mine ed al controminamento o la demilitarizzazione ed eliminazione del munizionamento dichiarato fuori uso od obsoleto. Di recente si sono riorganizzati i settori di lavoro deputati al confezionamento ed al caricamento delle cartucce e dei proiettili;
sono stati ridisegnati i cicli e i flussi di lavorazione per rendere la produzione lineare e funzionale, coinvolgendo pienamente il personale nell'attività produttiva, e sono stati introdotti piani di campionamento statistici e una prima sperimentazione dei criteri di qualità;
il Centro Interforze può rappresentare una risorsa per tutte le Forze Armate; la potenzialità ed il mantenimento della professionalità storicamente acquisita del Centro è tale che, quotidianamente, sono espletati compiti e quantità di lavoro che possono essere indirizzati anche presso altri Enti o in Agenzia Industria Difesa, così come sarebbe possibile, da parte del Centro, esperire compiti ed attività a favore delle componenti militari della NATO;
affinché la capacità produttiva del Centro Interforze risulti al massimo funzionale e ottimamente impiegata debbono essere attuate procedure e relazioni che permettano a tutte le Forze Armate l'utilizzo di questa struttura/strumento ed è pertanto necessario che al più presto siano definiti i regolamenti applicativi dei decreti istitutivi CIMA e Diremuni;
la ristrutturazione delle officine in area pirica del Centro permetterà inoltre a questo di affrontare, in maggiore sicurezza, le lavorazioni sulle componenti del munizionamento avanzato. L'area pirica del Centro, che risulta essere una delle poche ancora attiva in ambito Forze Armate, non deve essere sottostimata, mantenendo l'attenzione necessaria affinché anche le opere e le strutture garantiscano il massimo della protezione e della sicurezza nelle lavorazioni;
nel programma delle infrastrutture da finalizzare o avviare, rientra il collegamento della rete fognaria Cà Moncelo, la sostituzione delle coperture dei tetti, l'impianto di riscaldamento ad acqua calda nella I zona, il LAN per la II zona/Distaccamenti, l'adeguamento delle infrastrutture esistenti a Cà Moncelo Est per trasferimento direzione futura Diremuni, l'adeguamento/riconversione dell'officina MK 46 di Vallegrande per consentire attività di riordino munizionamento;
le risorse destinate a queste opere hanno prodotto un risultato che va ulteriormente ottimizzato; sono necessari nuovi finanziamenti destinati a sviluppare l'assetto delle officine e soprattutto ad incrementare attraverso la formazione la capacità di intervento del personale qualificato e riconvertito alle nuove professioni/impieghi;
pur in conclusione delle azioni di riconversione e riqualificazione professionale che hanno interessato il CIMA, permangono le carenze organiche delle qualifiche
professionali dell'Area C (quadri tecnici e amministrativi) che permettono il mantenimento e lo sviluppo dei compiti preordinati dai Decreti Istitutivi, mentre si assiste all'occupazione dei ruoli destinati al personale civile da parte di quello militare (moltiplicazione e/o sdoppiamenti di incarichi) e i recenti pensionamenti determinano un forte ridimensionamento della capacità operativa e produttiva di entrambi gli Enti. Inoltre si è di fronte ad un costante «dimagrimento» soprattutto nelle qualifiche funzionali di Area B, in professionalità che operano su materiali e manufatti di munizionamento, perdendo costantemente in professionalità e potenzialità operativa;
la gestione di questi strumenti operativi ed industriali che garantiscono l'efficienza e l'efficacia dello strumento militare e delle Forze Armate non può essere devoluta a soggetti che perseguono unicamente la logica del profitto e le regole del mercato; la gestione pubblica garantisce e contemporaneamente è fonte di regolamentazione di questo settore del mercato del lavoro;
l'economicità delle strutture CIMA e la Diremuni risiede nella corretta organizzazione e gestione delle risorse umane e dei materiali a disposizione; forme di gestione private o semiprivate si sono rivelate infatti, nel medio periodo, meno vantaggiose di una diretta e continua gestione da parte del Ministero della Difesa;
impegna il Governo:
a definire i regolamenti applicativi dei decreti istitutivi CIMA e Diremuni;
a predisporre idonei finanziamenti per completare e definire gli interventi strutturali;
a predisporre idonei concorsi per le assunzioni a completamento delle dotazioni organiche del personale civile previste dai decreti istitutivi CIMA e Diremuni.
(7-00128) «Papini, Cordoni».
La VII Commissione,
premesso che:
risulta che sia in via di definizione un'intesa istituzionale di programma tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la Regione Campania, avente ad oggetto il trasferimento dallo Stato alla Regione Campania di alcuni siti archeologici e altri beni culturali di proprietà statale e insistenti nell'area regionale campana, finalizzato alla gestione dei medesimi siti;
l'indicato trasferimento di siti troverebbe fondamento sul discutibile presupposto che i soprintendenti di settore nel 2001 avrebbero dichiarato la propria incapacità alla gestione e valorizzazione dei siti loro assegnati;
l'eventuale richiamo all'accordo del 2001 apparirebbe deviante perché in quella data la valorizzazione dei beni culturali di proprietà dello Stato era affidata unicamente al Ministero ed alle sue articolazioni periferiche;
il ricorso alla intesa con la Regione Campania per accedere ai fondi comunitari era dettato unicamente dalla insufficienza dei fondi ministeriali dal momento che l'intervento previsto nell'accordo del 2001 è stato adottato sotto forma di un cofinanziamento tra Stato e Regione;
l'ipotesi di valorizzazione è solo quella prevista dal vigente Codice dei beni culturali approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42;
nessun adempimento volto alla gestione dei beni culturali è stato adottato in Campania con formale aderenza applicativa del codice vigente, come ampiamente già illustrato nella interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00547 svolta nella seduta del 25 gennaio 2007;
senza l'applicazione corretta del codice n. 42 del 2004 si corre il serio rischio di un massiccio trasferimento di beni del patrimonio culturale nazionale alle singole regioni, acriticamente ed in assenza di precisi criteri di valutazione;
la paventata ipotesi tradirebbe lo spirito e la portata della modifica costituzionale che si è arrestata di fronte alla eventualità del trasferimento delle funzioni del Ministero per i beni culturali alle regioni;
nel caso di specie, trattandosi di beni di proprietà dello Stato, il procedimento per la scelta della forma di gestione è disciplinato dal già citato decreto legislativo n. 42 del 2004, articolo 114, comma 2, in base al quale il Ministero adotta un proprio decreto per fissare i livelli di qualità della valorizzazione secondo le procedure di cui al comma 1 del medesimo articolo 114;
tale decreto è fondamentale per individuare gli standards qualitativi e confrontarli con quelli raggiunti, nei singoli monumenti, con l'attuale gestione fidata allo Stato;
il risultato così verificato può determinare lo Stato a proseguire la gestione diretta secondo le previsioni dell'articolo 115, comma 2, del medesimo Codice, o a prevedere la gestione in forma indiretta, ai sensi del comma 3, mentre nel caso di specie non risulta sia stata presa in considerazione l'ipotesi gestionale dell'affidamento diretto a istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali o altri soggetti, costituiti o partecipati, in misura prevalente, dall'amministrazione pubblica cui i beni pertengono;
nel prevedere l'eventuale gestione in forma diretta, il direttore regionale della Campania avrebbe dovuto accertare previamente il grado di insufficienza del livello di qualità di valorizzazione raggiunto dall'attuale gestione dei siti interessati, anche in considerazione del fatto che lo stesso direttore regionale, professor De Caro, è stato, per lunghi anni, responsabile della gestione di quei siti;
nell'intesa istituzionale in questione, la gestione dei siti archeologici e di altri beni culturali individuati, tra l'altro senza l'osservanza di quanto previsto dall'articolo 112 del Codice dei beni culturali, verrebbe affidata, di fatto, ad una società mista Regione Campania-privati denominata SCABEC, piuttosto che alla Regione Campania, configurando in tal modo una modalità di affidamento non prevista dall'articolo 115;
impegna il Governo:
a) ad adottare tutte le iniziative idonee a verificare che la Regione Campania ponga in essere preventivamente tutte le forme di gestione diretta o indiretta che garantiscano comunque, quale ineludibile riferimento, la presenza istituzionale del Ministero dei beni e delle attività culturali, anche attraverso una società partecipata pubblica;
b) a non dare esecuzione ad ipotesi di convenzione con la Regione Campania non rispettose delle procedure e della istruttoria previste dal vigente Codice dei beni culturali.
(7-00127)«Villari, Folena, Colasio».