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Allegato B
Seduta n. 126 del 14/3/2007
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SALUTE
Interrogazione a risposta orale:
VOLONTÈ. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano Il Corriere della Sera del giorno 9 marzo 2007 ha pubblicato, a pagina 19, un articolo intitolato «Una firma per non curare il feto nato vivo», in cui si afferma che la responsabile del centro per le interruzioni volontarie della gravidanza presso l'Ospedale San Camillo di Roma, dottoressa Giovanna Scassellati, avrebbe utilizzato un modulo destinato ad acquisire, da «chi chiede un aborto terapeutico tardivo...il consenso informato per rinunciare alle cure intensive nel caso in cui il piccolo sopravviva al parto», assicurando, in tal modo, al nato «solo le cure cosiddette compassionevoli», quando invece «la tecnologia oggi consente di rianimare feti molto prematuri»;
il quotidiano La Repubblica del giorno 10 marzo 2007, a pagina 19, afferma che, rispetto al modulo suddetto, «anche la direzione dell'ospedale romano ha preso le distanze» affermando che si tratta di «un'iniziativa autonoma di particolare gravità»;
la legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria della gravidanza stabilisce che, «quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto», l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso in cui «la gravidanza o il parto comportino
un grave pericolo per la vita della donna» e, comunque, «il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto»;
il ricorso al modulo utilizzato presso l'Ospedale San Camillo è in contrasto con le previsioni sopra riportate della legge n. 194 del 1978, dal momento che priva il bimbo nato delle cure necessarie per assicurargli la sopravvivenza;
se dall'applicazione delle procedure previste nel modulo suddetto è derivato il decesso di esseri umani nati vivi, deve trovare applicazione la relativa normativa penale a tutela della vita delle persone -:
quali iniziative intenda adottare in relazione alle violazioni della legge n. 194 del 1978 che le procedure previste nel modulo suddetto possono aver determinato.
(3-00736)
Interrogazioni a risposta scritta:
FUGATTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la legge 25 febbraio 1992, n. 210, stabilisce, all'articolo 1, che chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla legge;
nello specifico, l'articolo 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992 precisa che i soggetti interessati ad ottenere l'indennizzo devono presentare all'ASL competente le relative domande, entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di epatiti post-trasfusionali o di dieci anni nei casi di infezioni da HIV;
con sentenza 23-26 febbraio 1998, n. 27, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui non prevede il diritto all'indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica nel periodo di vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695;
in risposta alla sollecitazione della Corte costituzionale di cui sopra, l'articolo 3, comma 3, della legge 14 ottobre 1999, n. 362, ha stabilito che l'indennizzo di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210, spetta, alle condizioni ivi stabilite, anche a coloro che si siano sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria nel periodo di vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695; i soggetti danneggiati devono presentare la domanda all'azienda unità sanitaria locale competente entro il termine perentorio di quattro anni dalla data di entrata in vigore della medesima legge n. 362 del 1999;
i richiamati termini perentori per la presentazione delle domande di indennizzo rischiano di compromettere l'integrale tutela del diritto all'indennizzo riconosciuto in via generale dalla legge n. 210 del 1992 ai soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di emoderivati;
non si può, infatti, omettere di ricordare che il diritto all'indennizzo ha trovato esplicito riconoscimento nella sentenza della Corte costituzionale n. 307 del giugno 1990, con la quale si è dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge 4 febbraio 1996, n. 51, sull'obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica nella parte in cui non prevedeva, a carico dello Stato, un'equa indennità per il caso di danno derivante, al di fuori dell'ipotesi di cui all'articolo 2043 del codice civile, da contagio e da altra apprezzabile malattia casualmente riconducibile alla vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica;
se, infatti, ignorantia legis non excusat, sia la legge n. 210 del 1992 che, ancora di più, la legge n. 362 del 1999 sono state accompagnate da una scarsa pubblicizzazione, favorendo così tra i cittadini una diffusa inerzia nella possibilità di fare valere i propri diritti nei confronti dello Stato;
la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 118 del 15-18 aprile 1996, ha riconosciuto, riferendosi alla legge n. 210 del 1992, che la limitazione temporale prevista dall'articolo 2, comma 2, in connessione con l'articolo 3, comma 7, «ha stabilito una limitazione temporale, che equivale ad una riduzione parziale del danno indennizzabile: limitazione che risulta inammissibile alla stregua della natura del diritto che deve essere riconosciuto ai danneggiati, un diritto - come si è visto - che il legislatore può modellare equitativamente soltanto circa la misura»; a detta della Corte, in sostanza, la limitazione temporale del diritto all'indennizzo «non soltanto si è posta contro il diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione, ma ha altresì contraddetto la sentenza n. 307 del 1990 di questa Corte, nella quale il riconoscimento dell'obbligo di assicurare protezione alle vittime della vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica non trovava particolari limitazioni di carattere temporale»;
tale limitazione temporale nel diritto a richiedere il riconoscimento ad un indennizzo per il danno subìto appare tanto più grave per quei soggetti che siano stati danneggiati da trattamenti (come le vaccinazioni) qualificati come obbligatori dalla legge: come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella già citata sentenza n. 118 del 1996 in relazione alla vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, «per la collettività è in questione non soltanto il dovere di aiutare chi si trova in difficoltà per una causa qualunque, ma l'obbligo di ripagare il sacrificio che taluno si trova a subire per un beneficio atteso dall'intera collettività. Sarebbe contrario al principio di giustizia, come risultante dall'articolo 32 della Costituzione, alla luce del dovere di solidarietà stabilito dall'articolo 2, che il soggetto colpito venisse abbandonato alla sua sorte e alle sue sole risorse o che il danno in questione venisse considerato come un qualsiasi evento imprevisto al quale si sopperisce con i generali strumenti della pubblica assistenza, ovvero ancora si subordinasse la soddisfazione delle pretese risarcitorie del danneggiato all'esistenza di un comportamento negligente altrui, comportamento che potrebbe mancare»;
sulla base di tali premesse, nella passata legislatura la XII Commissione della Camera aveva approvato una proposta di legge, l'A.C. 1145, finalizzata esplicitamente ad eliminare il vincolo temporale di tre anni per la presentazione delle domande di indennizzo; nel passaggio al Senato, il provvedimento è stato assorbito in altre iniziative vertenti su analoga materia, senza tuttavia trovare definitivo riconoscimento in un testo di legge -:
quali siano gli orientamenti del Ministro della salute sul tema affrontato nelle premesse, specificando in particolare se non si ritenga prioritaria l'approvazione di una norma di legge finalizzata a sopprimere i citati vincoli temporali alla presentazione delle domande di indennizzo di cui all'articolo 3, comma 1 della legge n. 210 del 1992 e all'articolo 3, comma 1 della legge n. 362 del 1999.
(4-02907)
BERTOLINI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 12 marzo 2007 i quotidiani italiani hanno riportato la notizia della pericolosa diffusione sul nostro territorio di una particolare forma di tubercolosi, denominata XDR, estremamente resistente ai farmaci;
i casi di XDR, certificati in Italia negli ultimi anni, da parte di uno studio italo-tedesco dal quale è scaturito l'allarme del Dipartimento STOP TB dell'Organizzazione mondiale della sanità, sarebbero 8 di cui 4 hanno avuto esito mortale;
il direttore del Dipartimento malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità, dottor Antonio Cassone, ha dichiarato come sia: «...necessaria una stretta sorveglianza perché i casi di tubercolosi vengano curati in modo ottimale per evitare la comparsa di forme multiresistenti della malattia (che non rispondono più ai due
principali farmaci di prima linea, rifampicina e isoniazide) e, soprattutto delle forme super-resistenti, quelle cioè che non reagiscono nemmeno ai farmaci di seconda linea e ad alto rischio di mortalità»;
secondo il dottor Cassone: «l'assistenza deve essere ottimale soprattutto nei confronti delle persone extracomunitarie, che spesso provengono da Paesi nei quali le forme super-resistenti di tubercolosi sono molto diffuse, come i Paesi dell'ex Unione Sovietica»;
secondo il dottor Giuseppe Alma, capo del reparto di pneumologia respiratoria dell'Ospedale San Camillo-Forlanini di Roma, i nuovi casi italiani di tubercolosi sono circa 8.000 l'anno e la malattia risulterebbe più difficile da stanare a causa dell'assenza di sintomi, oppure perché questi ultimi sono difficilmente riconducibili a quelli solitamente riscontrati;
secondo gli studiosi la diffusione della Tubercolosi, soprattutto nella sua forma più estrema, è strettamente collegata ai fenomeni immigratori;
oltre alla forma più pericolosa nel mondo si diffonde sempre di più una variante intermedia, denominata Mdr, difficile da curare, rispetto alla quale l'Organizzazione mondiale della sanità valuta che ogni paziente possa potenzialmente trasmetterla ad altre 20 persone attraverso tosse, starnuto e respiro -:
se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti come sopra esposti;
se siano informati di ulteriori circostanze di cui vogliano mettere al corrente la Camera dei deputati;
se sia ravvisabile un grave pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza del Paese, derivante da una potenziale diffusione di una forma particolarmente resistente di Tubercolosi, la quale potrebbe tramutarsi in un'epidemia dalle indecifrabili dimensioni e conseguenze per la salute dei cittadini italiani, e cosa in concreto abbiano o intendano porre in essere per risolvere la situazione.
(4-02924)
MANCUSO. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
da qualche tempo nei quartieri centrali della Capitale si nota uno strano fenomeno che coinvolge gli animali domestici: pare, infatti, che spariscano senza lasciare traccia;
ormai sono decine e decine i casi di sparizioni, soprattutto di cani, che coinvolgono singoli cittadini ed il timore espresso dalle associazioni animaliste é che si aggirino loschi figuri per rapire le povere bestiole;
le ipotesi sono le più svariate, dal rapimento a scopo estorsivo per le razze più pregiate, al traffico di animali per criminali che li utilizzerebbero per esperimenti;
sembrerebbe che un furgoncino senza insegne si aggiri nei pressi dei luoghi di sparizione dei poveri animali -:
se il Governo sia a conoscenza di questi fatti di cronaca e quali siano le intenzioni per arginare questo deplorevole fenomeno che potrebbe nascondere dei risvolti molto preoccupanti di criminalità sotterranea, ma diffusa.
(4-02925)
FABRIS, AFFRONTI, ROCCO PIGNATARO, ADENTI, CAPOTOSTI, CIOFFI, DEL MESE, D'ELPIDIO, GIUDITTA, LI CAUSI, MORRONE, PICANO, PISACANE, ROSSI GASPARRINI e SATTA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la legge n. 194 del 22 maggio 1978, recante «norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», prevede che l'interruzione della gravidanza possa essere praticata entro i primi 90 giorni;
in particolare ai sensi della predetta legge dopo 90 giorni è, possibile determinare l'interruzione della gravidanza in caso di rischio di salute per la donna o in caso di una malformazione del feto che metta a rischio l'incolumità della gestante;
detti processi patologici devono essere «accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico della struttura ospedaliera in cui deve praticarsi l'intervento, che ne certifica l'esistenza»;
per la precisione, ai sensi della legge n. 194, «l'interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna o quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna»;
occorre evidenziare, ancora, che secondo l'ultimo comma dell'articolo 7 della legge n. 194 decorsi i 90 giorni se «sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso in cui la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna»;
secondo quanto appreso dalla stampa nazionale, la madre del piccolo nato in data 2 marzo e morto in data 9 marzo 2007 all'ospedale fiorentino di Careggi aveva deciso intraprendere un aborto terapeutico dopo che dagli accertamenti ecografici il nascituro era risultato affetto da «atresia dell'esofago»;
al momento dell'aborto, il feto è sopravvissuto e, come prevede la legge, è stato rianimato e trasportato all'ospedale Meyer dove i medici hanno rilevato l'errore diagnostico commesso in precedenza e la relativa assenza di qualsiasi forma di atresia dell'esofago;
il tragico caso descritto dalla presente interrogazione appare non essere isolato dal momento che un precedente molto simile è avvenuto tre mesi fa presso l'Ospedale San Camillo-Forlanini di Roma dove è stato praticato un aborto terapeutico a seguito di un accertamento erroneo relativo alla presenza di due gravi malformazioni cardiache che, secondo il medico che le aveva diagnosticate durante la gravidanza, erano del tutto incompatibili con la vita del nascituro e si sono, invece, rivelate poi inesistenti;
appare, da una prima ricostruzione dell'intera vicenda, che la struttura ospedaliera non abbia preso in considerazione l'accertamento della possibilità della sopravvivenza del feto, prima di procedere con l'aborto terapeutico, così come previsto dall'articolo 7, ultimo comma, della legge n. 194 -:
quali iniziative urgenti, il Ministro interrogato intenda porre in essere alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione, al fine di aprire, fatta salva la competenza della magistratura, una indagine ministeriale diretta ad acclarare eventuali responsabilità imputabili direttamente o indirettamente al corretto funzionamento della struttura ospedaliera di Careggi ed evitare al contempo il ripetersi in futuro di simili ed inaccettabili tragedie;
se sia a conoscenza di dati e/o fatti e/o rilievi di carattere tecnico che possano mettere in discussione l'attuale impianto della legge n. 194 del 22 maggio 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza» e nel caso, quali iniziative, anche normative, intenda assumere al fine di asseverare che tale legge possa essere rigorosamente applicata nel rispetto della dignità e della vita del nascituro e della madre dello stesso.
(4-02927)