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Allegato B
Seduta n. 148 del 23/4/2007
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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
ALESSANDRI e DOZZO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la produzione orticola della UE è determinata per circa il 24 per cento dall'Italia che, in tale settore, riveste il ruolo di principale Paese produttore, seguito da Spagna e Francia;
il pomodoro da industria è la principale coltivazione orticola italiana, occupando il 22,8 per cento delle superfici investite ad ortaggi ed incidendo per il 45,2 per cento sulla quantità e per il 16,6 per cento sul valore della produzione orticola nazionale;
i prodotti di trasformazione dei pomodori da industria e, in specie, le conserve rappresentano la terza voce dell'export agroalimentare italiano con una incidenza media, negli ultimi dieci anni, del 4,7 per cento sul valore totale delle esportazioni agroalimentari nazionali;
più del 42 per cento della produzione di pomodoro da destinare alla trasformazione industriale si concentra in tre regioni (Emilia-Romagna, Campania e Puglia), dove, di conseguenza, rappresenta un settore di particolare rilevanza ai fini delle dinamiche economiche ed occupazionali per numerose realtà locali;
tale concentrazione risulta ancora maggiore se riferita alle quantità di prodotto trasformato che, per oltre il 40 per cento della produzione nazionale è lavorato nella regione Emilia-Romagna che, pertanto, presenta sul proprio territorio le realtà socio-economica maggiormente interessate a tale produzione e, quindi, anche più esposti agli effetti conseguenti eventuali crisi produttive o commerciali di questo comparto;
per le fragilità di cui sopra, negli ultimi anni, a seguito, in primo luogo, della riduzione dei prezzi determinata dalla crescente concorrenza nelle Province dell'Emilia-Romagna maggiormente interessate alla produzione e trasformazione del pomodoro da industria e, in specie, nella Provincia di Parma si è assisto alla chiusura di diversi stabilimenti industriali con conseguenti gravi tensioni occupazionali e, quindi, forti disagi di natura sociale;
il processo di liberalizzazione degli scambi, da anni in atto a livello mondiale, ha pienamente coinvolto anche i prodotti agricoli ed agroalimentari che, al pari delle altre merci, sono soggette alle regole multilaterali sul commercio fissate in sede di WTO;
negli ultimi quindici anni le evoluzioni degli accordi multilaterali sul commercio hanno imposto tre successive riforme della politica agricola comunitaria (PAC) che ne hanno, di fatto, stravolto l'originaria impostazione, trasformandola da politica di sostegno alla produzione agricola, in politica di aiuto al reddito degli agricoltori;
a seguito dell'ultima riforma della PAC, realizzata nel 2003, gli agricoltori interessati alle principali produzioni agricole ricevono un aiuto indipendentemente dal fatto di svolgere l'attività produttività, nel rispetto del cosiddetto principio del disaccoppiamento che è, oramai, stato deciso di estendere anche alle principali organizzazioni comuni di mercato rimaste escluse dalla suddetta riforma, prima fra tutte quella dei prodotti ortofrutticoli;
in un futuro oramai imminente gli agricoltori interessati alla produzione di pomodoro da industria si troveranno, dunque, di fronte alla scelta - già affrontata dai produttori dei seminativi - di continuare la loro attività percependo un aiuto, da essa, totalmente scollegato, oppure limitarsi ad assolvere ai pochi compiti di manutenzione delle terre e ricevere lo stesso aiuto senza più produrre;
nell'ambito del nuovo contesto venutosi a creare a seguito della riforma della PAC, specie nei settori maggiormente esposti alla concorrenza estera, sono sempre più numerosi gli agricoltori che ritengono più conveniente abbandonare la produzione e ricevere l'aiuto al reddito previsto dalla stessa PAC;
alla luce della forte riduzione delle superfici registrata, per alcune produzioni, nei primi tre anni di applicazione della nuova PAC, vi è da ritenere che, anche per il pomodoro da industria, l'introduzione degli aiuti disaccoppiati, induca fenomeni di abbandono delle attività produttive;
l'apertura di nuovi mercati ha determinato, anche per il settore del pomodoro da industria, una situazione di crescente concorrenza da parte, non solo dei tradizionali Paesi produttori ma anche di nuove realtà produttive che, proprio grazie alla liberalizzazione in atto, riescono più facilmente che in passato a presentarsi in posizione fortemente competitiva, non solo sui mercati esteri, ma anche su quello interno;
nell'attuale fase di crescente apertura dei mercati, una larga parte dell'agricoltura italiana e, in specie quella interessata alla produzione di prodotti agricoli di base, tra i quali vi è anche il pomodoro da industria, accusa evidenti ed insormontabili difficoltà a misurarsi con la concorrenza unicamente sotto il profilo dei costi di produzione;
ad aggravare la crisi del settore, si registra il costante incremento delle importazioni di pomodoro dall'area mediorientale e nordafricana e, in specie, da Paesi come il Marocco dai quali la UE, come più volte denunciato dalla FEPEX (Federazione spagnola dei produttori di pomodoro) importa pomodori ad un prezzo sensibilmente inferiore (quasi il 40 per cento in meno) rispetto a quello fissato nell'accordo di associazione tra la UE e lo stesso Marocco;
secondo i dati pubblicati sul sito www.agroeuropa.com, anche nell'ultima campagna, nella gran parte dei casi, le importazioni UE di pomodori da Paesi terzi sono avvenute senza tenere in minimo conto il prezzo minimo di accesso di euro stabilito dalla commissione UE;
per effetto delle distorsioni di mercato imputabili alle importazioni di cui sopra, nell'ultima campagna, il prezzo del pomodoro pagato ai coltivatori italiani nell'ultima campagna è stato tale da non essere spesso neanche sufficiente a consentire la remunerazione dei costi di produzione -:
se quanto riferito in premessa riguardo al mancato rispetto dei prezzi fissati negli accordi di associazione con taluni Paesi terzi e dei prezzi minimi di accesso nelle importazioni di pomodoro da industria corrispondono a verità e, in caso affermativo, se non ritenga necessario adottare tutti i provvedimenti necessari al fine di sollecitare la commissione UE affinché sia assicurato il rispetto dei limiti di prezzo e, di conseguenza, siano scongiurate forme di concorrenza sleale a danno dei nostri produttori;
se e con quali proposte il Governo intenda intervenire nel merito dell'introduzione degli aiuti disaccoppiati per il pomodoro da industria già previsti nella bozza definitiva di riforma della OCM ortofrutta presentata lo scorso 24 gennaio dalla Commissione UE;
se e quali misure il Governo intenda prevedere al fine di sostenere la qualificazione del prodotto nazionale e, quindi, per fornire ai nostri produttori opportunità incentivanti per ridurre l'inevitabile spinta alla contrazione produttiva che si
avrebbe a seguito dell'introduzione degli aiuti disaccoppiati.
(5-00962)
LION e MELLANO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
dagli anni Sessanta fino almeno agli ultimi dieci anni la ricerca agraria italiana è stata uno dei supporti più efficaci e prestigiosi per lo sviluppo del sistema agroalimentare ed agroindustriale nazionale;
l'attività della ricerca agraria ha contribuito in modo decisivo a far compiere all'Italia quei progressi di competitività e produttività che l'hanno portata ai primi posti tra i paesi con più alto livello di produzione lorda vendibile, favorendo la nascita di una efficiente rete di piccole e medie imprese agromeccaniche e dei prodotti tecnici per l'agricoltura, fortemente attive sotto il profilo dell'innovazione tecnologica e della capacità di esportare;
da alcuni anni, tuttavia, gli enti e gli istituti incaricati di svolgere ricerca e sperimentazione agraria, che avevano raggiunto livelli di eccellenza, stanno attraversando una fase di gravi difficoltà, riconducibili principalmente all'inefficienza e alla poca duttilità delle strutture di gestione e di coordinamento centrali;
una particolare attenzione merita il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), istituito, sotto la vigilanza del Ministero delle politiche agricole e forestali, in base al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 454, nel quale sono confluiti 23 istituti di ricerca e sperimentazione in agricoltura (per un totale di 88 strutture, tenuto conto delle sedi centrali e periferiche) e altre quattro istituzioni di ricerca, con un personale scientifico e amministrativo che ammonta a circa 1.800 unità, rappresentate in misura significativa da precari;
fin dalla sua istituzione, l'attività del CRA è stata soggetta a numerose vicissitudini, che hanno interessato in particolare la disciplina organizzativa del Consiglio e la nomina dei vertici, per la quale non è stato adeguatamente considerato l'apporto che poteva provenire dai dirigenti degli istituti di ricerca e sperimentazione in agricoltura;
nel 2005 viene approvato un contestato «Piano di riorganizzazione e razionalizzazione della rete delle articolazioni territoriali», cui segue l'indizione di un concorso per 18 posti da ricercatore (il precedente risaliva al 1995), 4 posti per personale amministrativo e ben 7 posti per dirigenti da assegnare alla sede centrale. Il concorso, affidato ad una società esterna, comporta una spesa di 400.000 euro;
nel 2006 si procede ad un ulteriore cambiamento dei vertici del CRA (presidente e direttore generale). In questa occasione, per la prima volta, è redatto un bilancio unico del CRA, dal quale risulta che, per sopraggiunte difficoltà, non è stato possibile assumere impegni di spesa per i primi tre mesi dell'anno; nelle more dell'approvazione del bilancio da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il CRA opera, a tutt'oggi, in esercizio provvisorio. Ciò comporta, di fatto, che l'attività di ricerca è bloccata;
nel corso dei primi mesi del 2007 si dimette il direttore generale, con contestuale riinsediamento pro-tempore di quello precedente. In queste circostanze la riforma del CRA rimane inattuata;
sulla base di dati e informazioni provenienti da strutture dell'ente, il CRA sembra attualmente versare in una situazione di emergenza;
secondo gli interroganti in particolare, mancherebbe una visione strategica dell'ente; il Piano di riorganizzazione appare costruito più con logiche politiche e di spartizione tra le Regioni che di reale valorizzazione e razionalizzazione delle risorse umane e materiali, in un'ottica di rilancio;
la ricerca non sembrerebbe essere la priorità della dirigenza del CRA e risulterebbe fortemente penalizzata da un sistema
di gestione molto burocratizzato e centralizzato, che favorisce la crescita ipertrofica, in termini di personale e di risorse sottratte alla ricerca, della sede centrale, e che premia, piuttosto che le posizioni del personale effettivamente impegnato in attività di ricerca e di sperimentazione, gli incarichi burocratici della sede centrale;
non sembra esistere una programmazione strategica della ricerca; il programma di ricerca del CRA, infatti, sembrerebbe costituito soltanto dalla somma di singole schede di ricerca, senza una visione di insieme;
si registrerebbe l'impiego di notevoli risorse per finalità diverse dalla ricerca come ad esempio le spese per la locazione della sede centrale di Roma, tanto più grave in una situazione di carenza dei finanziamenti;
secondo gli interroganti mancherebbe il coinvolgimento del personale nelle scelte sul futuro dell'ente. In particolare, contrariamente a quanto è accaduto finora, occorrerebbe valorizzare il personale interno con riferimento ai criteri di scelta dei vertici dell'ente;
il problema del precariato è particolarmente grave. Il Consiglio annovera 964 precari tra ricercatori, tecnici e amministrativi rispetto a 1859 posti in organico; metà del personale risulta pertanto in condizioni di precarietà;
la possibilità di utilizzare contratti atipici ha completamente deresponsabilizzato i vari istituti; di fatto i precari passano da un tipo di contratto ad un altro, pur continuando a svolgere le medesime mansioni;
i concorsi svolti sono stati molto contestati per la scelta delle classi di concorso, delle lauree da ammettere, per le modalità di svolgimento e per i costi eccessivi; ferma restando la validità delle prove concorsuali, sussiste il timore che si possano ripetere situazioni analoghe;
non è chiaro che cosa l'ente abbia fatto e intenda fare per la stabilizzazione dei precari, quali criteri intenda adottare e come voglia evidenziare la particolare gravità della propria situazione. Nonostante i 7 anni intercorsi dall'istituzione dell'Ente, non risulterebbero ancora attivati i contratti a tempo determinato del comparto della ricerca, e quindi, al momento, sembrerebbe che nessuno dei precari rientri nelle tipologie previste, ai fini della stabilizzazione, dalla legge finanziaria per il 2007;
la situazione del personale sta portando ad un rapido degrado dell'attività degli istituti, perché manca il ricambio generazionale e le competenze, acquisite con notevoli costi, si disperdono in altri enti o in altri Paesi, oppure si esauriscono per mancanza di prospettive -:
se sia puntualmente informato della grave situazione in cui risulterebbe versare il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), con particolare riferimento alle diverse problematiche descritte in premessa;
quali iniziative urgenti intenda intraprendere per risolvere la situazione del personale precario degli istituti che costituiscono il CRA, e, più in generale, le altre problematiche che si sono manifestate in relazione alla gestione e all'organizzazione dell'ente, alla mancata programmazione e valorizzazione delle attività di ricerca, ai criteri di nomina dei vertici;
se non ritenga opportuno elaborare un nuovo, coerente ed efficace, progetto di riforma della ricerca in agricoltura, in tal senso prevedendo una revisione del «Piano di riorganizzazione e razionalizzazione della rete delle articolazioni territoriali» che risponda all'esigenza di rafforzare e sostenere la ricerca pubblica in agricoltura, di valorizzare, anziché penalizzare, le competenze e le strutture preesistenti e di promuovere il coinvolgimento del personale dell'ente e, in particolare, dei dirigenti degli istituti di ricerca e sperimentazione che sono confluiti nel CRA.
(5-00963)