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Allegato B
Seduta n. 157 del 15/5/2007
SVILUPPO ECONOMICO
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere - premesso che:
nel 2007 è entrata in vigore la nuova disciplina della Commissione europea a favore delle regioni svantaggiate, con l'adozione dei nuovi orientamenti 2007-2013 per gli aiuti di Stato a finalità regionale;
l'Unione europea definisce le Zone Franche Urbane come «territori nei quali applicare un azzeramento provvisorio o una riduzione temporanea delle aliquote fiscali e contributive fino al momento della riqualificazione della zona in questione»;
è errato definire la ZFU come «porto franco» o «zona economica speciale», o ancora come strumento per incentivare in generale lo sviluppo, tutte ipotesi di difficile sostenibilità in ambito comunitario;
mutuando l'esperienza francese delle ZFU, un ben riuscito esempio di fiscalità di vantaggio, si può prospettare un'ipotesi di agevolazione fiscale per l'insediamento di imprese in ambito urbano particolarmente adattabile alla realtà del nostro Mezzogiorno e in Campania in particolare;
solo in Francia esistono ben 90 città con zone franche, attuate tramite la promozione di investimenti privati, ossia aree create in quartieri con più di 10 mila abitanti, particolarmente svantaggiati in relazione a parametri come il tasso di disoccupazione, la proporzione dei giovani usciti dal sistema scolastico senza diploma, la proporzione dei giovani di età inferiore a 25 anni e il potenziale fiscale dei comuni interessati;
nell'ultima legge finanziaria 2007 il comma 340 dell'articolo 1 ha stabilito che: «per favorire lo sviluppo economico e sociale, anche tramite interventi di recupero urbano, di aree e quartieri degradati nelle città del Mezzogiorno, identificati quali zone franche urbane, con particolare riguardo al centro storico di Napoli, è istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico un apposito fondo con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Il fondo provvede al cofinanziamento di programmi regionali di intervento nelle predette aree.»;
le Municipalità del Comune di Napoli, I. II. III. IV in seduta comune, il giorno 5 marzo 2007 hanno assunto all'unanimità l'iniziativa di individuare come zona franca urbana del centro storico di Napoli, il perimetro riconosciuto dall'UNESCO nel 1995 come patrimonio dell'umanità;
le suddette Municipalità del Comune di Napoli, che rappresentano ben 400.000 cittadini del centro storico, hanno sollecitato inoltre il Sindaco di Napoli affinché con ogni urgenza indicasse al CIPE questa perimetrazione. Hanno altresì chiesto alla Regione Campania di inserire nel Programma regionale di interventi la ZFU del centro storico di Napoli come previsto dalla Finanziaria;
già nel febbraio dello scorso anno il Consiglio comunale di Napoli aveva votato all'unanimità un ordine del giorno nel quale si ribadiva l'importanza di un intervento di riqualificazione nel centro storico, di grande interesse ai fini della rinascita dell'intera città;
il giorno 11 aprile la Giunta comunale di Napoli ha indicato l'area orientale della città, dove giace l'ex complesso industriale, come quella in cui istituire una zona franca urbana;
la predetta area orientale avrà necessità di un apposito piano di insediamenti industriali per non vanificare gli sforzi finanziari per la riqualificazione delle predetta area;
il Centro storico di Napoli ha, rispetto agli altri quartieri, una grande potenzialità che deve essere valorizzata: quella di fungere da volano per la ripresa socio-economica dell'intera città. È una area che presenta una indubbia necessità di un profondo recupero urbano, in coerenza con la lettera del comma 340 dell'articolo 1 della Legge finanziaria, essendo un quartiere notevolmente degradato, ma è altresì caratterizzata da un'indiscutibile forza di attrattiva che ne fa uno dei luoghi più importanti al mondo. Il suo rilancio coinciderebbe con la possibilità di arricchire l'intera città, contribuendo alla ripresa delle altre zone disagiate;
bisogna pensare Napoli come città sistema, il cui centro storico non a caso è stato riconosciuto patrimonio dell'Umanità dall'Unesco, nel 1995. Questa la motivazione scritta che l'agenzia delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura ha addotto per la sua scelta: «Napoli è una delle più antiche città d'Europa di cui l'attuale conformazione urbanistica conserva gli elementi di tutto il suo straordinario percorso ricco di eventi»;
quello di Napoli è forse il centro storico più grande del mondo, nonché il museo a cielo aperto più grande d'Europa. Si estende infatti su una superficie di circa 720 ettari: ma, la sua unicità sta nella conservazione quasi totale e nell'uso dell'antico tracciato viario greco;
tuttavia non si tratta soltanto di valorizzare un innegabile luogo di culto tra i tesori storici ed architettonici del Sud d'Italia, quanto piuttosto di render merito al tessuto produttivo del centro storico di Napoli, basti pensare alle centinaia di micro-attività produttive già presenti dei quartieri centrali della città il cui rilancio coincide con l'obiettivo indicato nelle disposizioni comunitarie;
non potrà esservi prospettiva europea di sviluppo e di riqualificazione urbana per la città, se non partendo dal presupposto che il capoluogo campano presenta due emergenze: da un lato ha necessità di un risanamento urbanistico del centro storico, dall'altro ha urgenza di riqualificare l'ex complesso industriale, sito nella zona est di Napoli;
Napoli merita dunque l'attenzione dovuta da parte del Governo, e se la zona est, come ha dichiarato di recente al quotidiano Il Mattino, il viceministro per lo sviluppo economico Sergio D'Antoni, «ha i requisiti richiesti» per diventare zona franca urbana, il Centro storico appare ancora più qualificato, determinandosi in esso quelle condizioni di densità abitativa, degrado fisico strutturale e depressione economica che sono indicate espressamente dall'Unione europea quali motivazioni elettive per le provvidenze previste;
dall'altra parte, come ha bene evidenziato l'onorevole Nicola Rossi, nell'intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno le zone franche urbane sul modello francese non devono e non possono essere concepite per quello che non sono, non si tratta cioè di uno strumento per incentivare generalmente lo sviluppo al sud, ma, soprattutto prendendo a modello l'esempio francese, è evidente che si tratta di uno strumento specifico di intervento sulla «marginalità urbana»;
peraltro, non si può disattendere quanto stabilito nella Legge Finanziaria del 2007, secondo cui l'identificazione di una zona franca urbana nella città di Napoli coincide con quella del suo centro storico, eventualità che - a parere degli interpellanti - tra le altre cose aprirebbe un pericoloso precedente nei confronti del carattere vincolante della norma di legge -:
quali interventi intenda mettere in campo il Governo per dotare Napoli di una Zona Franca Urbana al centro storico così come espressamente previsto nella legge Finanziaria per il 2007 dal comma 340.
(2-00533)«Ossorio, Donadi».
Interrogazioni a risposta immediata:
ZELLER, BRUGGER, WIDMANN, NICCO e BEZZI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
durante la seconda guerra mondiale è stata iniziata la costruzione di una conduttura elettrica che da Fortezza doveva arrivare ad Innsbruck, chiamata Wiltener, che collegasse l'Italia all'Austria passando per il Brennero, ma che si è poi interrotta al Brennero;
attualmente esistono anche altre condutture elettriche di media tensione; quella gestita da Enel spa collega il Brennero e Prati in Val di Vizze, che potrebbe essere trasformata in una linea elettrica ad alta tensione, quella già esistente che va da Prati in Val di Vizze a Fortezza, gestita da Terna, una società del gruppo Enel Spa, ed esistono poi altre reti elettriche con le quali è possibile creare l'interconnessione attraverso il Passo della Resia e attraverso la Val Pusteria;
le prime due linee elettriche distano l'una dall'altra solo 400 metri e l'unione delle due comporterebbe un potenziamento della corrente elettrica e ridurrebbe anche il rischio di black out in quelle zone, problema per il quale è notizia di questi giorni che Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare già ha chiesto lo stato di emergenza in Consiglio dei ministri;
la Sel Ag, società elettrica della provincia autonoma di Bolzano e dei comuni dell'Alto Adige, ha sviluppato tre progetti per la costruzione degli elettrodotti di interconnessione con il sistema elettrico austriaco, volti all'ampliamento del mercato elettrico in chiave concorrenziale e all'aumento della fornitura elettrica a costi più bassi e a totale copertura delle zone interessate, sia per le imprese di distribuzione, sia per gli utenti, senza, peraltro, comportare maggiori oneri a carico dello Stato, dato che tali iniziative avvengono attraverso un'intesa tra Stato e regione interessata, che prevede la realizzazione a totale carico della società privata che ne fa richiesta;
l'accordo tra Enel spa e la società austriaca di elettricità, la Tiwag-Netz-Ag, è già stato concluso e da tempo la società austriaca reclama il collegamento delle linee elettriche, ma il progetto sul versante italiano è fermo in attesa delle opportune autorizzazioni del ministero dello sviluppo economico per la realizzazione delle linee ad alta tensione, poiché la decisione continua ad essere rimandata come riferiscono fonti dello stesso ministero -:
se il Ministro interrogato possa fornire gli opportuni chiarimenti in merito ai motivi per cui le richieste di autorizzazione per la realizzazione dell'interconnessione elettrica con l'Austria sono ferme, posto che sarebbero opere infrastrutturali che creano un collegamento completo a nord, est ed ovest del confine italiano in regime di collaborazione con la società Ternaspa, facendo venire meno il regime monopolistico, e considerato che l'ufficio elettrificazione della provincia di Bolzano ha chiarito che non sussistono impedimenti tecnici a livello locale per la realizzazione dell'opera infrastrutturale.
(3-00890)
ROCCHI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
Cesi ricerca spa è stata costituita alla fine del 2005 e ha iniziato ad operare il 1 gennaio 2006, con l'obiettivo di sviluppare attività di ricerca finanziata a livello nazionale e internazionale nel settore elettro-energetico. Conta 400 dipendenti ad alto livello professionale, avendo ereditato buona parte delle strutture, delle risorse e delle esperienze di ricerca provenienti dai centri di ricerca interni ed esterni all'Enel;
la storia e le vicende che hanno portato alla costituzione della suddetta società sono note e sono legate al processo di riassetto della ricerca elettrica di
interesse strategico nazionale, che fino all'emanazione del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, erano in capo all'Enel; sono, altresì, note le vicende che hanno portato la Commissione europea a muovere un'accusa di infrazione per illecito aiuto di stato a società privata, con conseguente sentenza CE del 20 dicembre 2006;
per superare le obiezioni dell'Unione europea, il decreto ministeriale dell'8 marzo 2006 ha stabilito nuove modalità di gestione del fondo per la ricerca sul sistema elettrico e, in attuazione del suddetto decreto ministeriale dell'8 marzo 2006, un ulteriore decreto del ministero delle attività produttive del 23 marzo 2006, ha identificato Cesi ricerca spa tra i soggetti affidatari, tramite accordi di programma con il ministero per l'effettuazione di ricerche sul sistema elettrico. Sono così state definite le tematiche di attività 2006/2008 e le risorse finanziarie pari a 35 milioni di euro per il 2006;
dal 3 agosto 2006 Cesi ricerca spa è diventata una società a maggioranza pubblica: Enea ha acquisito il 51 per cento del capitale sociale, mentre Cesispa ne mantiene il 49 per cento. La partecipazione a maggioranza pubblica garantisce la conformità di Cesi ricerca spa ai requisiti richiesti nel decreto del ministero delle attività produttive del 23 marzo 2006;
contestualmente al percorso di riorganizzazione attuato dal ministero delle attività produttive, con i decreti dell'8 e del 23 marzo 2006, Cesi ricerca spa ha operato per tutto l'anno 2006 in coerenza del piano di attività puntualmente presentato al ministero;
il 28 marzo 2007, con apposito comunicato interno, il consiglio di amministrazione di Cesi ricerca spa ha segnalato che «l'accordo di programma con il ministero dello sviluppo economico, che definisce le modalità operative per lo svolgimento e per l'integrale finanziamento pubblico delle attività di ricerca e di sviluppo di interesse generale per il sistema elettrico nazionale assegnate a Cesi ricerca spa, sulla base dei decreti ministeriali dell'8 e del 23 marzo 2006, non è stato ancora stipulato per motivi non dipendenti dalla volontà della società»; ha segnalato, inoltre, che «il progetto di bilancio approvato dal consiglio non ha potuto, quindi, contabilizzare nei ricavi i contributi relativi alla ricerca di sistema e registra una rilevante perdita d'esercizio, che obbliga, ai sensi dell'articolo 2447 del codice civile, gli amministratori a convocare senza indugio l'assemblea dei soci per gli opportuni provvedimenti»;
la situazione di criticità segnalata ha comprensibilmente determinato la reazione di tutti i dipendenti, con visibilità sui mezzi di informazione, sollecitando così il ministero interessato a produrre il 18 aprile 2007 un apposito comunicato stampa, in cui ha dichiarato che «la sopravvivenza di Cesi ricerca spa non è in discussione»;
il 19 aprile 2007 si è aperta, conseguentemente, l'assemblea dei soci di Cesi ricerca spa, la quale non ha assunto e non assumerà alcuna determinazione fino al 21 maggio 2007, evidentemente in attesa di vedere attuate le intenzioni del ministero dello sviluppo economico, di cui al citato comunicato stampa;
la mancata stipula in tempi utili dell'accordo di programma tra il ministero dello sviluppo economico e la Cesi ricerca spa, determinerà giocoforza la messa in liquidazione della società, con depauperamento delle preziose competenze nel settore e con deterioramento del presidio scientifico della nazione nel settore elettro-energetico, tanto caro, soprattutto, a fronte delle recenti crisi di approvvigionamento energetico e della crisi idrica ed energetica prospettata per i prossimi mesi estivi e non da meno sarebbero in difficoltà le famiglie dei 400 dipendenti di tale società;
tutto questo accade dopo anni che la questione è sul tappeto e all'attenzione dei vari Governi che nel frattempo si
sono succeduti, in un contesto in cui tutti lamentano che il nostro Paese rischia un serio arretramento sul piano della ricerca scientifico-industriale. Il mancato sollecito intervento del ministero in questa situazione determinerà, dunque, la scomparsa di una società valida e consolidata nel campo della ricerca, malgrado vi siano le risorse economiche per farla funzionare già prelevate dalle bollette elettriche degli italiani e già stanziate con apposito decreto-legge, che, a tutt'oggi, restano inutilizzate in un apposito fondo in attesa che venga firmato il cosiddetto «accordo di programma»;
garantire continuità e certezza dei finanziamenti è la condizione primaria affinché la Cesi ricerca spa possa non solo sopravvivere, ma dispiegare appieno il suo potenziale, valorizzando le competenze e le risorse di cui dispone e garantendo sia la propria attività di ricerca che la stabilità di un posto di lavoro e di reddito ai suoi 400 dipendenti -:
quali siano le ragioni che hanno finora ostacolato la stipula dell'accordo di programma tra il ministero dello sviluppo economico e il Cesi ricerca spa ed entro quale data il ministero preveda di firmare il suddetto accordo di programma.
(3-00891)
TREPICCIONE, BONELLI, FRANCESCATO e CAMILLO PIAZZA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in data 23 aprile 2007, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inviato al Ministro interrogato una lettera concernente la centrale termoelettrica di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia e la sua trasformazione a carbone;
in detta lettera si evidenziano alcuni importanti aspetti, tra i quali:
a) il polo energetico dell'alto Lazio si presenta oggi come il più grande d'Europa e, secondo uno studio dell'osservatorio epidemiologico della regione Lazio, vi è «un eccesso di morbosità e di ricoveri ospedalieri nei residenti di Civitavecchia per diverse patologie tumorali (...) i risultati hanno, inoltre, rilevanza rispetto alle politiche di riconversione energetica e al potenziale inquinante di nuovi impianti per quanto riguarda la salute della popolazione locale. Le decisioni strategiche rispetto ai piani di riconversione energetica devono tener conto dello stato della salute della popolazione residente»;
b) iniziative della magistratura hanno messo a disposizione perizie tecniche d'ufficio che alimentano e giustificano i timori espressi dalle popolazioni interessate;
c) le conclusioni della Commissione nazionale per l'emergenza sull'inquinamento atmosferico (Cneia), alla fine del 2005, hanno evidenziato la necessità di ridurre dal 30 al 50 per cento le attuali emissioni inquinanti e tra queste anche gli ossidi di azoto, che, a causa dei fenomeni di chimica atmosferica, generano anche a lunga distanza polveri sottili;
d) la regione Lazio sta completando il proprio piano di qualità dell'aria, che, sulla base di precise disposizioni della normativa europea sulla qualità dell'aria, potrà imporre severissime limitazioni sulle emissioni in atmosfera sia degli esistenti, sia, a maggior ragione, dei nuovi impianti che ancora devono entrare in esercizio;
e) la necessità di verificare in quale misura siano state tenute presenti le emissioni delle navi carboniere che dovrebbero alimentare l'impianto, al fine di verificare se nelle valutazioni a suo tempo effettuate non vi sia qualche carenza che richieda una riapertura dell'istruttoria;
f) la necessità di adottare ulteriori atti e di verificare lo stato attuale dei livelli di inquinamento dell'area vasta, intendendosi per area vasta quella comprendente
anche parte del comune di Roma, che, alla luce delle più aggiornate conoscenze e valutazioni tecniche, è interessato dalle ricadute del particolato secondario che si origina dal polo energetico di Civitavecchia;
g) la legge n. 55 del 2002, al fine di garantire la sicurezza del sistema elettrico, ha riformato le procedure autorizzative, compresa quella della valutazione di impatto ambientale, che prevedeva nella sua versione originaria un più lungo periodo di istruttoria rispetto alle altre opere e la obbligatorietà della richiesta pubblica. La stessa legge ha previsto che, qualora il progetto e le opere avessero comportato variazioni degli strumenti urbanistici e/o di un piano regolatore portuale, il rilascio dell'autorizzazione previsto dalla legge n. 55 del 2002, abbia anche effetto di variante urbanistica e/o portuale;
h) nel merito dell'approvazione delle opere marittime necessarie alla centrale di Torrevaldaliga, si segnala che il servizio integrato infrastrutture e trasporti del ministero delle infrastrutture, solo nel 2005 ha avuto modo di valutare le opere proposte dall'Enel, a seguito dell'invio del progetto da parte dell'autorità portuale;
i) nel decreto di valutazione di impatto ambientale n. 6923 del 28 gennaio 2002, in ragione del fatto che l'Enel aveva anticipato la necessità di procedere alla conversione a carbone della centrale di Torrevaldaliga Nord, si richiedeva che «a causa dell'incertezza legata alla possibilità di incremento dei traffici a carbone (...) qualora i traffici supereranno quelli attuali e si rendessero necessarie modifiche delle opere così come proposte, si ricorrerà a quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 agosto 1988, n. 377»;
l) sempre nel citato decreto relativo alla valutazione di impatto ambientale, n. 6923, in ragione della destinazione d'uso industriale dell'area e delle possibili modifiche che potevano intervenire, si richiedeva che l'autorità portuale producesse il rapporto integrato di sicurezza. Tale rapporto non risulta sia stato ancora inviato né da parte dell'Enel, né dalla Compagnia porto, che realizzerà la darsena grandi masse -:
se non si intenda convocare in tempi rapidi una conferenza dei servizi anche per ottenere una nuova valutazione di impatto ambientale, prevedendo una moratoria circa l'utilizzo del carbone per la produzione di energia nel nostro Paese, in quanto antitetico al protocollo di Kyoto e alla lotta ai cambiamenti climatici, e rivedendo, in particolare, le decisioni assunte in merito alla riconversione a carbone della centrale di Civitavecchia.
(3-00892)
Interrogazione a risposta scritta:
MARIO RICCI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'ACI è stato riconosciuto come Ente Pubblico non economico grazie al ruolo sociale svolto nel campo della mobilità e della tutela di interessi generali, nonché per lo svolgimento per conto dello Stato dei cosiddetti «servizi delegati»;
la sua attività si delinea lungo due direttrici fondamentali: quella della gestione del Pubblico Registro Automobilistico e le convenzioni Tasse automobilistiche, e quella più propriamente istituzionale legata alla mission statutaria (tutela degli interessi generali legati all'automobilismo, associazionismo, educazione stradale eccetera);
in relazione allo svolgimento delle funzioni delegate dallo Stato, il servizio, anche grazie alla professionalità dei lavoratori e delle lavoratrici del settore, si è sempre più adeguato alla esigenze del cittadino di avere una Pubblica Amministrazione capace di garantire un servizio di qualità, fornendo anche un valido apporto agli Enti Territoriali ed alle
Forze di Polizia. Fondamentale l'attività dell'Ente per quanto riguarda il controllo delle tasse automobilistiche, nelle gestione degli errori dovuti a disguidi dovuti all'attività di terzi (Poste, Lottomatica, utenti eccetera) e dei tentativi di elusione ed evasione fiscale garantendo alle Regioni il gettito relativo;
l'ente ha avuto un disavanzo di 30 milioni di euro nel bilancio dell'anno 2006, coperto intaccando fortemente l'avanzo di amministrazione;
da fonti sindacali si apprende che tale disavanzo sarebbe determinato da una gestione dispendiosa delle risorse (consulenze, stipendi a dirigenti esterni, ripianamento del bilancio di società collegate eccetera);
in particolare negli ultimi anni si sarebbero indirizzate ingenti risorse finanziarie verso le società controllate. Quasi 100 milioni di euro di ripianamenti e acquisizioni che, secondo tali fonti, non hanno portato nulla alle economie dell'Ente (si pensi all'AciGlobal e alla Ventura Spa);
dubbi sono stati avanzati dalle organizzazione sindacali sia sotto il profilo circa il ruolo di tali società, in virtù anche delle recenti sentenze della Corte di Giustizia europea in tema di affidamenti in House, sia rispetto alle modalità di nomina esterna di direttori generali (in particolare quella di direttore generale della istituenda Direzione Commerciale ACI) e dirigenti generali di persone a poche settimane dalla pensione;
il Tar del Lazio ha pubblicato lo scorso 23 ottobre la sentenza n. 10838/06, che ha condannato l'ACI a rivedere i suoi assetti di Federazione Sportiva Automobilistica, sottolineando l'imperfezione degli organi statutari dell'Ente in quanto non garantiscono la giusta partecipazione dei rappresentanti del mondo dello sport automobilistico;
su La Stampa del 31 ottobre 2006 si legge che l'Ente ha espresso, invece di uniformarsi alla norma la volontà di abbandonare la sua qualità di Federazione Sportiva, statutariamente prevista -:
se il Ministro sia conoscenza della situazione in cui versa l'Ente e che giudizio ne dia;
se, qualora accertasse la veridicità delle affermazioni in premessa, intenda intervenire per ripristinare una situazione di corretta gestione al fine di tutelare, oltre che i lavoratori e le lavoratrici, anche tutti i cittadini a cui va garantito non solo un servizio migliore, ma anche la certezza che l'ACI possa svolgere funzioni di tutela e rappresentanza nel campo della mobilità.
(4-03663)