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Allegato A
Seduta n. 184 del 5/7/2007
...
(Sezione 10 - Disposizioni legislative recanti nuove imposizioni fiscali approvate dal consiglio regionale della Sardegna)
L)
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri per gli affari regionali e le autonomie locali e dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
si fa riferimento ad alcune disposizioni legislative approvate dal consiglio regionale della Sardegna recanti nuove imposizioni fiscali e all'utilizzo di veri e propri artifici contabili, con i quali, in modo secondo gli interpellanti arbitrario, si utilizzano risorse degli esercizi futuri, senza che queste siano state né accertate, né risultino accertabili;
giovedì 7 giugno 2007 nella
seduta n. 166 il rappresentante del Governo, rispondendo all'interpellanza urgente sullo stesso argomento, relativamente alle reiterate disposizioni fiscali affermava: «Tali disposizioni sono state oggetto di impugnativa, ancora pendente, da parte del Governo dinanzi alla Corte costituzionale [...] In merito a tale interpellanza, il Governo non può che evidenziare che si tratta di una legge regionale pubblicata appena cinque o sei giorni fa, il 31 maggio 2007, e che il dipartimento per gli affari regionali provvederà tempestivamente, comunque nei termini fissati dalla normativa vigente - sessanta giorni - all'attività istruttoria della legge stessa, raccogliendo gli avvisi di tutte le amministrazioni statali competenti e, in particolare, del ministero dell'economia e delle finanze. Ciò consentirà, all'esito dell'attività istruttoria, la più approfondita valutazione collegiale da parte del Governo nella sede del Consiglio dei ministri, anche in un momento particolarmente rilevante, considerato che queste disposizioni interessano la problematica della Carta delle autonomie e del federalismo fiscale, su cui il Governo, in particolare il Consiglio dei ministri, sta portando avanti nuovi provvedimenti. In ogni caso, la documentata e circostanziata interpellanza fornisce elementi di importante valutazione, che il Ministero, l'intera Presidenza del Consiglio dei ministri e il Consiglio dei ministri valuteranno con grande attenzione»;
tali imposizioni fiscali stanno provocando una gravissima ripercussione sul sistema economico della Sardegna e, in particolare, su quello turistico;
il sistema turistico di un altro Paese, la Francia, starebbe traendo un conseguente beneficio legato alle presenze sempre maggiori che si starebbero registrando nella vicina Corsica;
appare agli interpellanti inopportuno e fuori luogo che il Governo nella sua risposta in assemblea abbia richiamato future normative che non possono in alcun modo incidere sulla valutazione di incostituzionalità delle norme fiscali richiamate, che vanno giudicate a legislazione vigente;
il Governo, nel precedente ricorso alla Corte costituzionale, ha sostanzialmente affermato l'incostituzionalità di qualsiasi nuova imposizione fiscale da parte delle regioni, comprese quelle a statuto speciale, richiamando decisioni assunte dalla stessa Corte costituzionale in materia di sistema tributario, con particolare riferimento alla mancata attuazione degli articoli 117 e 119 della Costituzione;
il Governo e la Corte costituzionale non hanno nel frattempo modificato, con nuove disposizioni e decisioni, le proprie autonome precedenti determinazioni;
numerose sono le recenti imposizioni fiscali della regione autonoma della Sardegna;
il consiglio regionale della Sardegna, con la legge regionale 11 maggio 2006, n. 4, recante «Disposizioni varie in materia di entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo», approvava norme per l'imposizione fiscale relativamente all'imposta regionale sulle plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case (articolo 2), all'imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico (articolo 3), all'imposta regionale su aeromobili ed unità da diporto (articolo 4);
il Governo, con decisione del Consiglio dei ministri depositata in cancelleria il 14 luglio 2006, ha disposto il ricorso per questione di legittimità costituzionale relativamente alle predette norme, deducendo la carenza di base costituzionale nello statuto regionale per inconferenza con la materia «turismo», nonché l'inammissibilità di una piena esplicazione della potestà normativa tributaria delle regioni in carenza della legge statale contenente i principi fondamentali sul coordinamento del sistema tributario;
con la successiva approvazione, intervenuta il 23 maggio 2007, della legge finanziaria regionale per il 2007, che ad oggi deve ancora essere pubblicata sul Bollettino ufficiale, il consiglio regionale, su proposta della giunta regionale, ha introdotto delle modifiche alla sopra citata legge regionale 11 maggio 2006, n. 4, in particolare agli articoli 2, 3 e 4, per i quali - come già detto - è già stata sollevata questione di legittimità costituzionale;
in particolare, l'articolo 2, comma 1, citato, è così sostituito: «È istituita l'imposta regionale sulle plusvalenze realizzate dalla cessione a titolo oneroso delle unità immobiliari adibite ad uso abitativo, diverse dall'abitazione principale, cosi come definita dall'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, da parte del proprietario o del titolare di altro diritto reale sulle stesse, acquisite o costruite da più di cinque anni»; l'articolo 3, comma 1, è cosi sostituito: «È istituita l'imposta regionale sulle unità immobiliari destinate ad uso abitativo, non adibite ad abitazione principale, così come definita dall'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo n. 504 del 1992, da parte del proprietario o del titolare di altro diritto reale sulle stesse, ubicate nel territorio regionale ad una distanza inferiore ai tre chilometri dalla linea di battigia marina»; l'articolo 4, comma 1, è così sostituito: «A decorrere dall'anno 2006 è istituita l'imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto»;
con la legge di approvazione dell'esercizio provvisorio e la legge finanziaria regionale per il 2007, la regione Sardegna ha altresì posto in essere un meccanismo finanziario, che, a giudizio degli interpellanti, rischia di generare un grave dissesto finanziario ai danni della stessa regione, introducendo una disposizione di anticipazione di presunti crediti degli anni 2010-2013-2014-2015;
con la legge regionale 28 dicembre 2006, n. 21, recante «Autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio della regione per l'anno 2007 e disposizioni per la chiusura dell'esercizio 2006», all'articolo 2, comma 7, si è disposto quanto segue: «Lo stanziamento iscritto in conto del capitolo 12106-01 (UPB E03.034) del bilancio per l'anno 2006 costituisce accertamento d'entrata a valere su quota parte del gettito delle compartecipazioni tributarie spettanti alla regione in ragione di euro 500.000.000 per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015»;
in data 18 gennaio 2007 veniva presentata alla Camera dei deputati un'interrogazione a risposta scritta al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, con la quale gli interroganti hanno dichiarato che la disposizione suddetta «risulta in netto contrasto con il principio di annualità del bilancio, sancito dall'articolo 81 della Costituzione, in quanto si provvede alla copertura della illegittima iscrizione di un residuo attivo con quote di competenza di futuri bilanci»;
sempre secondo la suddetta interrogazione, risultava confermata la violazione
del principio di veridicità del bilancio, già riscontrabile in sede di approvazione del bilancio di previsione 2006, in quanto l'iscrizione delle somme non era supportata da alcun titolo ed ancor più l'assenza di tale titolo era evidente in chiusura dell'esercizio;
nessuna risposta è stata fornita dal Governo a tale interrogazione;
lo stesso Governo non ha impugnato la disposizione in esame, invocando una fantomatica straordinarietà dell'operazione, riconoscendone sostanzialmente l'insostenibilità, ma lasciandola passare a seguito di un accordo politico;
nella già citata legge finanziaria regionale per il 2007, approvata il 23 maggio 2007, con quasi cinque mesi di ritardo rispetto ai termini di legge, unico caso nella storia autonomistica della regione Sardegna, si reitera tale disposizione, che diventa a questo punto «ordinaria», all'articolo 1, commi 1 e 2: «1. L'Amministrazione regionale è autorizzata ad iscrivere nel proprio bilancio per l'anno 2007 lo stanziamento di curo 500.000.000, quale anticipazione di somme alla stessa assegnate ai termini dell'articolo 1, commi 834 e seguenti della legge 24 febbraio 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), provvedendo a compensare tale stanziamento con una minore iscrizione, di pari importo, nel bilancio per l'anno 2010. La citata somma è correlata alle iscrizioni di spesa, destinate a investimenti, elencate nella tabella E, allegata alla presente legge, ed è rideterminata, in sede di consuntivo, sulla base degli impegni assunti o delle conservazioni di spesa effettuate ai termini di legge e come tale costituisce residuo attivo. La quota non utilizzata costituisce minore entrata ed è portata ad incremento delle iscrizioni residue delle assegnazioni spettanti per l'anno 2010. Restano confermate le regole recate dalla normativa che disciplina il Patto di stabilità interno. 2. Il disposto di cui all'articolo 2 della legge regionale 28 dicembre 2006, n. 21, deve intendersi quale operazione finanziaria straordinaria finalizzata alla copertura di una quota parte, pari a euro 1.500.000.000 del disavanzo di amministrazione di cui all'articolo 1, comma 4, della legge regionale 24 febbraio 2006 n. 1 (legge finanziaria 2006), conseguente alla modifica dell'articolo 8 dello Statuto speciale introdotta dall'articolo 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296»;
al fine di conoscere la determinazione del Governo relativamente alle imposizioni fiscali (tasse) introdotte reiteratamente da parte del consiglio regionale della Sardegna, si ritiene opportuno riproporre le seguenti argomentazioni che lo stesso Governo ha esplicitato nel ricorso alla Corte costituzionale: «Della legge regionale non è indicata la base costituzionale. Si prenderanno, pertanto, in esame le possibili basi costituzionali, per poi verificare se la potestà legislativa, nella ipotesi della sua sussistenza, sia stata esercitata correttamente. Si dovrà, naturalmente, partire dallo Statuto regionale, precisamente dall'articolo 8, lettera i). Vi sono disciplinate le entrate della regione. Le prime sette, tra quelle elencate, sono derivate. Dopo i canoni per le concessioni idroelettriche, nella lettera i), sono indicate le «imposte e tasse sul turismo e gli altri tributi propri che la regione ha facoltà di istituire con legge in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato». L'attribuzione, dunque, è duplice: diretta, per le imposte e tasse sul turismo; indiretta per gli altri tributi, in quanto presuppone che la regione abbia la facoltà di istituirli, facoltà che non viene attribuita direttamente dalla norma statutaria, ma che deve trovare la sua fonte in norme apposite. Se poi nell'articolo 8, lettera i), si dovesse vedere l'attribuzione diretta di potestà amministrativa anche per altre imposte, sarebbero violati i principi del sistema tributario dello Stato, come si vedrà in seguito. Sono richiamate anche le tasse sul turismo, insieme alle imposte. Dalla formulazione si ricava che il potere impositivo della regione investe i servizi turistici, vale a dire quelle prestazioni in favore del turista durante la sua permanenza nella regione. Se ne ha una conferma nelle norme corrispondenti di altri
Statuti speciali, quale, ad esempio, quello della regione Trentino-Alto Adige, nel quale (articolo 72) l'imposta analoga è indicata come «di soggiorno, cura e turismo». A questa imposta, in linea di principio, sono soggetti anche i residenti in regione quando assumono la veste di turisti, quando, ad esempio, passano le loro vacanze in una struttura turistica fuori del comune di residenza. L'articolo 8 dello Statuto non può, pertanto, rappresentare la base costituzionale di nessuna delle norme impugnate perché nessuna di esse, come si vedrà in seguito, è riconducibile al turismo, secondo la nozione tradizionale in campo tributario. Per comodità espositiva gli articoli 2 e 3 saranno esaminati separatamente dall'articolo 4;
Articolo 2. - Sono colpite le plusvalenze dei fabbricati adibiti a seconde case. La plusvalenza (articolo 2.5) è costituita dalla differenza tra il prezzo o il corrispettivo di cessione ed il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, con le altre detrazioni che vi sono indicate. L'imposta è dovuta solo per i fabbricati situati entro tre chilometri dalla linea di battigia, destinati ad abitazione. Soggetto passivo è l'alienante a titolo oneroso avente domicilio fiscale fuori dal territorio regionale o avente domicilio fiscale in Sardegna da meno di ventiquattro mesi. Sono previste alcune esclusioni (non si tratta di esenzioni, ma di esclusioni, nel senso che si è fuori dalla sfera impositiva per l'assenza del presupposto), sia di natura oggettiva (fondata sulla ubicazione dei fabbricati oltre i tre chilometri dalla costa o per la loro utilizzazione, in quanto adibiti ad uso diverso dall'abitazione o ad abitazione del cedente o del coniuge per la maggiore parte del periodo intercorso tra l'acquisto, o la costruzione, e la cessione), sia di natura soggettiva, per la qualità del cedente (i nati in Sardegna e i rispettivi coniugi). Come si vede, non c'è nessun rapporto con il turismo. L'imposta colpisce quelle che sono indicate come seconde case, anche se non sono state mai utilizzate e se il proprietario non ha mai passato le sue vacanze in Sardegna. La mancanza di rapporto con il turismo non potrebbe essere più evidente. L'imposta, secondo le distinzioni tradizionali, è diretta perché colpisce un valore capitale e non un consumo. È anche reale, perché colpisce la cosa, senza dare rilievo alla posizione personale del contribuente. È bene prevenire un possibile equivoco. La condizione personale del soggetto è rilevante solo per l'individuazione delle sfera impositive, vale a dire per accertare quando l'imposta è applicabile. Una volta individuata questa sfera, la posizione personale non ha nessun rilievo nella liquidazione dell'imposta. Da qui la sua realtà. Per questi suoi caratteri l'imposta non può sicuramente essere considerata sul turismo. Si è presa in considerazione solo l'ipotesi prevista nella lettera a) del comma. Per quella sotto la lettera b) le questioni si propongono in termini analoghi. Dalla lettera b) si desume che soggetti all'imposta sono i titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale sui fabbricati (si deve intendere, di godimento) non, dunque, chi ne ha solo il possesso (se ne trova la conferma nel comma 8, secondo il quale il debito sorge alla data dell'atto di cessione);
Articolo 3. - L'imposta è sulle seconde case ad uso turistico. I fabbricati ai quali l'imposta si riferisce ed i soggetti sono gli stessi dell'articolo 2. Sul presupposto la legge è un po' equivoca: al comma 2 indica il possesso dei fabbricati; al comma 3 indica come soggetti il proprietario o il titolare di diritto reale sugli stessi di usufrutto, uso abitazione. Non è chiaro chi dovrebbe pagare l'imposta nel caso in cui possessore sia chi non è titolare del diritto corrispondente. La questione, peraltro, può essere trascurata. L'imposta è annuale, commisurata alle dimensioni del fabbricato; colpisce, dunque, il valore di godimento dell'immobile. L'imposta ha, pertanto, dal punto di vista che ora interessa, caratteri analoghi a quella sulle plusvalenze. Anche essa non può essere ricondotta tra le imposte sul turismo. Per entrambe la base costituzionale non può essere trovata nell'articolo 8, lettera i), dello Statuto regionale. La base costituzionale non può, peraltro, essere trovata
nemmeno negli articoli 117 e 119 della Costituzione, in relazione all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. In caso contrario, la potestà legislativa sarebbe riconosciuta a tutte le regioni a statuto ordinario, con incidenza corrispondente sul sistema tributario nazionale. La Corte costituzionale ha da tempo messo in evidenza, e in più di un'occasione, che per l'attuazione del disegno costituzionale delineato nell'articolo 119 è necessario l'intervento integrativo del legislatore statale, anche per la definizione di una disciplina transitoria, che consenta il passaggio ordinato dal sistema attuale al nuovo sistema (in particolare. sentenze n. 7 e n. 241 del 2004). La Corte costituzionale, in particolare, ha rilevato come, al contrario di quanto si verifica in altre sfere normative, i principi fondamentali per una legislazione tributaria regionale siano oggi assenti «perché incorporati» per così dire, in un sistema di tributi sostanzialmente governati dallo Stato» (sentenza n. 37 del 2004). In altre parole, non si possono desumere i principi fondamentali per un sistema tributario nuovo dalle leggi del sistema precedente, fondato su principi del tutto diversi. Da ciò consegue - sono sempre parole della Corte costituzionale - che «non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale»;
le norme impugnate sono costituzionalmente illegittime anche da altri punti di vista subordinati, vale a dire anche se si ritenesse che, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge n. 131 del 2003, si potessero desumere i principi fondamentali sul coordinamento del sistema tributario dalla legislazione tuttora in vigore. Andrebbero, pertanto, identificati questi principi per verificare se la normativa regionale vi si sia adeguata. Le plusvalenze immobiliari per la cessione di immobili a titolo oneroso sono già colpite dall'imposta statale (articolo 67, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986). In mancanza di una norma statale che lo consenta, la regione può colpire la stessa materia già tassata dallo Stato in base ad una sua legge? Sorge una questione di doppia imposizione, da risolversi ai sensi dell'articolo 53 della Costituzione;
come codesta Corte ha già chiarito da tempo, nell'articolo 53 della Costituzione trova applicazione nel settore tributario il principio di uguaglianza, sancito dall'articolo 3. La domanda da porsi è, pertanto, se, una volta individuata una certa situazione come indice ragionevole di capacità contributiva, siano applicabili contemporaneamente più imposte, introdotte da più enti impositori, tra quelli indicati nell'articolo 119 della Costituzione. In parole diverse: lo stesso indice di capacità contributiva può giustificare la sovrapposizione di più imposte? La risposta dovrebbe essere negativa. Nell'ordinamento statale, come è stato strutturato sino ad oggi, ogni imposta ha avuto un suo presupposto autonomo. Tra due o più presupposti possono essere riscontrabili connessioni o vicinanze più o meno accentuate, ma le imposte hanno sempre colpito materie tassabili diverse. Questa distinzione, pertanto, deve ritenersi, già di per sé, un principio generale, dal quale la legislazione regionale si è, invece, discostata. Nei casi che si stanno esaminando la questione assume aspetti ancora più preoccupanti. Sugli stessi fabbricati verrebbero ad incidere una serie di imposte: l'imposta statale, già richiamata, e quella regionale prevista nell'articolo 2 impugnato, che colpiscono entrambe lo stesso valore capitale; ma anche l'Ici comunale e l'imposta regionale introdotta con l'articolo 3 che colpiscono il valore di godimento. Quattro imposte finirebbero col gravare sullo stesso bene, anche se preso in considerazione da due diversi punti di vista economici. In caso di risposta affermativa, potrebbe prospettarsi la eventualità che intervenga successivamente anche un'imposta provinciale. Una situazione del genere finirebbe con il pregiudicare anche le possibilità di politica economica dello Stato, della quale uno degli strumenti principali è quello tributario. Se questo primo ostacolo costituzionale fosse ritenuto
superabile, se ne presenterebbe un altro. Ai sensi dell'articolo 67, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, le plusvalenze immobiliari sono tassabili a condizione che la cessione intervenga a non più di cinque anni dall'acquisto o dalla costruzione, esclusi gli immobili acquistati per successione o donazione e gli altri casi che vi sono indicati. Considerazioni analoghe valgono per l'imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico (articolo 3 della legge regionale). L'imposta è determinata in base alla superficie del fabbricato, senza tenere conto del loro valore. Poiché l'imposta grava su tutti i fabbricati situati entro tre chilometri dalla linea di battigia marina, ad un immobile di pregio elevato, situato in zona amena in prima linea di fronte al mare, viene ad essere applicata la stessa imposta alla quale è soggetto un altro, di pari estensione, di qualità inferiore, situato in una zona non felice, privo della vista e di accesso agevole al mare, pur avendo valori di godimento non comparabili. La tassazione in base ai valori catastali, come avviene per l'imposta statale e per l'Ici, andrebbe comunque considerata come principio fondamentale, in quanto consente di colpire valori medi, determinati per zone omogenee in rapporto analogo con i valori di mercato e, in ogni caso, variabili a secondo del pregio degli immobili;
le due norme tributarie regionali non sono nemmeno in coerenza tra di loro. L'imposta sulle plusvalenze (articolo 2) è legata ai valori di mercato; quella sulle seconde case, ad un giudizio estimativo aprioristico e rigido della regione, del tutto svincolato dai valori correnti determinati in base al criterio catastale, che sembra condizionato solo dalle sue esigenze finanziarie. È un dato di esperienza ricorrente che mano a mano che ci si allontana dalla spiaggia i vincoli urbanistici diventano meno rigidi ed i fabbricati aumentano in altezza. Non è facile, pertanto, giustificare perché per una villa con vista ed accesso diretti sul mare, in mezzo al verde, in posizione sopraelevata, di 100 metri quadrati, sia dovuta un'imposta minore di quella per un appartamento di 105 metri quadrati, situato in un fabbricato a tre chilometri dalla spiaggia, al piano terra ed in una zona senza vista. Una imposta del genere, inoltre, legata come è al godimento dell'immobile, piuttosto che alla regione dovrebbe essere eventualmente lasciata all'ente locale che deve fornire i servizi;
sui profili di illegittimità costituzionale delle singole norme ci si è soffermati anche se si confida che non saranno rilevanti per la ragione che le regioni non possono assumere iniziative in materia tributaria prima che intervenga quella legislazione statale che codesta Corte ha già dichiarato indispensabile;
le norme impugnate risultano illegittime anche ai sensi dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione. Questo motivo di illegittimità costituzionale non è collegato alla base costituzionale che le norme hanno nel diritto interno. Andrebbe rilevato anche se codesta Corte ritenesse che trovino fondamento nello Statuto regionale;
Articolo 4. - L'imposta è definita come imposta regionale sugli aeromobili e le unità da diporto. Il presupposto non corrisponde alla definizione. È dovuta, infatti, per lo scalo negli aerodromi del territorio regionale e per lo scalo nei porti, negli approdi e nei punti di ormeggio ubicati nel territorio regionale delle unità da diporto. Ne sono soggetti la persona fisica o giuridica avente domicilio fiscale fuori del territorio regionale che assume l'esercizio dell'aeromobile o dell'unità da diporto. Che l'imposta non attenga al bene, ma all'operazione di scalo è confermato nel comma 4, ai sensi del quale per gli aeromobili l'imposta è dovuta per ogni scalo, mentre sulle imbarcazioni da diporto è dovuta annualmente. Anche questa imposta non può essere considerata sul turismo perché la ragione dello scalo è del tutto irrilevante cosicché sarà dovuta anche se il viaggio sia fatto per ragione di affari. La sua base costituzionale non può essere trovata, pertanto, nell'articolo 8 dello Statuto per le ragioni già esposte. Per
come è strutturata, la definizione come imposta viene ad essere impropria. Ammesso che possa rientrare tra le prestazioni imposte, previste nell'articolo 24 della Costituzione, si presenterebbe piuttosto come tassa. Per i soggetti non sembra necessario integrare quanto si è già detto: decisivo è il domicilio fiscale. Le società che hanno la loro sede in Sardegna e coloro che vi risiedono sono esclusi. Il fatto che non siano presi in considerazione i nati in Sardegna dipende, presumibilmente, dalle difficoltà applicative che ne sarebbero derivate. Per rendere più agevole l'esposizione, degli aeromobili e delle unità da diporto si tratterà separatamente. Gli aeromobili, come noto, costituiscono uno degli indici, e tra i più significativi, del reddito dei soggetti che ne giustificano l'accertamento (articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973). Il loro possesso, pertanto, è indice di reddito. Per diventare materia tassabile dovrebbero esser presi in considerazione in quanto tali. L'imposta regionale si applica, invece, solo per il loro scalo all'interno del territorio sardo quindi, si deve presumere, per il fatto che vengono utilizzati gli impianti degli aerodromi. Se ne ha una conferma nel fatto che se l'aeromobile non atterra negli aeroporti sardi nessuna imposta è dovuta e che, ai sensi del comma 4, l'imposta va commisurata alle capacità di trasporto ed è dovuta per ogni scalo. Un'imposta (o, meglio, tassa) di questo genere dovrebbe essere in favore di chi ha a carico l'onere di manutenzione e gestione degli impianti aeroportuali, che vengono utilizzati nello scalo. Questi soggetti, peraltro, hanno già la possibilità di rifarsi su chi esercita l'aeromobile attraverso il pagamento dei diritti aeroportuali, o diritto per l'uso degli aeroporti (legge n. 324 del 1976). Anche in questo caso si è di fronte ad una duplicazione di imposta di tutta evidenza. In pratica la regione, non potendo tassare direttamente il bene, si è voluta riservare un'imposta prendendo come presupposto un'operazione per la quale l'operatore già deve effettuare un pagamento remunerativo dei servizi che utilizza servizi che, e utile richiamarlo, vengono resi secondo criteri imprenditoriali di mercato, quindi con margine di utile. Una volta che anche per questa imposta fossero superate le difficoltà costituzionali che derivano dalla mancata attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, ci si dovrebbe domandare se, cosi come è concepita, sia conforme ai principi fondamentali del sistema tributario, ammesso che questi siano effettivamente rilevabili. Presupposto di imposta non è la proprietà o il possesso del bene, ma solo l'utilizzo di impianti situati all'interno della regione, utilizzazione per la quale il soggetto già paga un corrispettivo che ne copre integralmente il costo. La domanda da porsi sarebbe questa: se costituisca capacità contributiva, ai sensi dell'articolo 53 della Costituzione, lo svolgimento di un'operazione per la quale, comunque lo si voglia definire, si paga un prezzo che copre il costo del servizio reso, con margine di utile. La risposta non potrà essere che negativa. Oggetto possibile di imposta potrebbe essere, a tutto concedere, il bene di per sé, in quanto, ad esempio, considerato di lusso, ma in questo caso l'imposta dovrebbe essere a carico di tutti, anche di quelli che hanno il domicilio fiscale nella regione, perché quel carattere non ha nessun condizionamento territoriale. L'utilizzazione del mezzo non può costituire indice di capacità contributiva aggiuntiva perché è contro ogni principio di ragionevolezza l'ipotesi che venga acquistato un aeromobile per non utilizzarlo. Se nella utilizzazione si usufruisce di servizi, o si applica una tassa o si prevedono dei prezzi determinati con criteri di mercato. È contro ogni principio che possano essere previsti entrambi. Argomenti analoghi valgono per le imbarcazioni da diporto. Per esse l'imposta è dovuta annualmente (comma 4). Questo significa che basta fare scalo in Sardegna una sola volta per pagare l'intera imposta, valida si per tutto l'anno, ma dovuta per l'intero anche se lo scalo dura una sola notte. L'effetto è che, più si utilizzano le strutture portuali, minore, proporzionalmente è l'onere dell'imposta che, in questo modo, viene ad avere carattere regressivo.
La tariffa è poi articolata in modo tale che passando da una lunghezza di m. 19,99 a 20 l'imposta viene maggiorata di mille euro, da m. 23,99 a 24 di duemila, da 29,99 a 30 di cinquemila. Il carattere regressivo dell'imposta trova la sua migliore espressione nel comma 5 dell'articolo 4 per il quale non sono soggette all'imposta le unità da diporto che sostano tutto l'anno nelle strutture portuali regionali. In altre parole, l'imposta non è dovuta da chi utilizza al massimo le strutture portuali. L'imposta, più che a colpire una capacità contributiva, sembra rivolta a penalizzare chi utilizza i porti sardi solo saltuariamente;
la norma è, peraltro, illegittima anche da un diverso punto di vista. L'articolo 4, comma 2, lettera b), prende in considerazione lo scalo, oltre che nei porti, negli approdi e nei punti di ormeggio. Salvo che codesta Corte non ne fissi una interpretazione diversa, stando alla sua formulazione, e considerato imponibile lo scalo anche se effettuato in zona non attrezzata, in uno specchio di mare ridossato, dove l'ormeggio sia effettuato a terra, utilizzando la struttura naturale della spiaggia. Il mare non è bene della regione ed è soggetto solo al potere statale entro i limiti del mare territoriale. La regione, pertanto, avrebbe individuato come presupposto di imposta l'utilizzo di un bene naturale, sul quale non può esercitare poteri, che di per se non è indice di nessuna specifica capacità contributiva, senza che siano in qualsiasi modo interessate opere dell'uomo, tanto meno eseguite dalla regione stessa, il cui uso possa comportare il pagamento di una tassa. I criteri seguiti dalle nome regionali impugnate sono contrari ai principi ai quali si ispira il sistema tributario attuale. Di conseguenza verrebbero a risultare costituzionalmente illegittime anche se se ne volesse vedere la base nell'articolo 8, lettera i), dello Statuto, che impone il rispetto dei principi del sistema tributario dello Stato. Si è già visto, peraltro, come lo Statuto regionale non sia un valido supporto delle norme e come non possano esserlo gli articoli 117 e 119 della Costituzione, attraverso l'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001: perché la regione non poteva istituire imposte proprie prima che le leggi statali dessero attuazione all'articolo 119 e perché, in ogni caso, avrebbe dovuto rispettare i principi fondamentali desumibili dall'ordinamento tributario. Le norme impugnate, infine, anche a volerle esaminare di per sé, indipendentemente dalla base costituzionale, hanno dato all'imposta una struttura del tutto irragionevole» -:
se, considerate le questioni di carattere generale, vale a dire la costituzionalità delle norme in materia di regime fiscale e il rispetto del principio di veridicità del bilancio, il Governo non intenda ricorrere alla Corte costituzionale al fine di scongiurare ciò che gli interpellanti paventano, ovvero una palese violazione costituzionale in materia fiscale, un dissesto economico finanziario conseguente per la regione Sardegna, il rischio di una degenerazione di atti straordinari e discrezionali circa la veridicità del bilancio in tutte le regioni italiane, anche al fine di evitare che le procedure di impegno di risorse a valere su esercizi finanziari non programmati e non verificabili possa estendersi anche ad altre regioni, con grave nocumento delle regole costituzionali sulla veridicità e attendibilità dei bilanci pubblici;
quale sia l'orientamento del Governo relativamente alle imposizioni fiscali (tasse) introdotte reiteratamente da parte del consiglio regionale della Sardegna, anche alla luce delle argomentazioni che lo stesso Governo aveva esplicitato nel ricorso alla Corte costituzionale e che gli interpellanti richiamano, anche atteso che niente è stato sostanzialmente modificato ai fini della legittimità costituzionale nella reiterata imposizione fiscale della Regione autonoma della Sardegna approvata con la legge finanziaria del 18 maggio 2007;
se non ritenga di dover rivedere la propria posizione sulla «straordinarietà» di simili impegni di spesa che generano fittizie disponibilità di risorse a scapito degli esercizi finanziari futuri;
se, in particolare, il Governo non intenda evitare un ulteriore inutile perdita di tempo e anticipi i termini per il ricorso alla Corte costituzionale, al fine di evitare ulteriori danni derivanti dalla possibile attivazione di tali disposizioni di legge, onde non rendersi complice di un inammissibile danno ulteriore all'economia dell'isola.
(2-00626)
«Pili, Murgia, Oppi, Cossiga, Testoni, Porcu, Mereu, Licastro Scardino, Marinello, Palumbo, Carlucci, Osvaldo Napoli, Di Virgilio, Carfagna, Biancofiore, Bertolini, Santelli, Paoletti Tangheroni, Aprea, Mistrello Destro, Mazzaracchio, Bocciardo, Baiamonte, Romagnoli, Fedele, Caligiuri, Simeoni, Tortoli, Gardini, Pini, Adolfo, Fava, Lenna, Dionisi, Barbieri, Iannarilli, Tondo, Aracu, Giuseppe Fini, Misuraca, Pelino, Casero, Gregorio Fontana, Picchi, Cesaro, Angelino Alfano, Minardo, Boniver, Zorzato, Crosetto, Lupi, Paolo Russo».