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Allegato A
Seduta n. 23 dell'11/7/2006
DISEGNO DI LEGGE: S. 379 - CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 18 MAGGIO 2006, N. 181, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI RIORDINO DELLE ATTRIBUZIONI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI E DEI MINISTERI. DELEGA AL GOVERNO PER IL COORDINAMENTO DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI FUNZIONI E ORGANIZZAZIONE DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI E DEI MINISTERI (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 1287)
(A.C. 1287 - Sezione 1)
QUESTIONI PREGIUDIZIALI
La Camera,
premesso che:
il Parlamento si appresta a votare un decreto-legge che ridefinisce in maniera significativa l'organizzazione del Governo, attraverso la creazione di nuovi ministeri e la redistribuzione delle competenze dei ministeri e della stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri;
lo strumento del decreto-legge, prescelto per introdurre una profonda modifica dell'ordinamento del Governo, appare decisamente in contrasto con l'articolo 77 della Costituzione che pone a presupposto dell'adozione di decreti-legge «casi straordinari di necessità e d'urgenza». Non può ritenersi che la creazione di nuovi ministeri e la redistribuzione delle competenze tra quelli esistenti rappresenti una circostanza idonea al ricorso alla decretazione di urgenza. Tale violazione è tanto più grave se si considera che il decreto-legge è stato adottato da un Governo non ancora investito della fiducia delle Camere. Non può invocarsi a questo proposito il precedente costituito dal decreto-legge 12 giugno 2001, n. 217, che aveva contenuti più circoscritti e che venne adottato in diverse circostanze;
l'atto di urgenza in esame si pone in contrasto altresì con l'articolo 81 della Costituzione, secondo cui ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte: si afferma nella relazione tecnica che la creazione di nuovi ministeri e la redistribuzione delle competenze tra quelli esistenti deve avvenire senza nuovi oneri per il bilancio dello Stato, tuttavia appare poco verosimile che la creazione di nuovi apparati amministrativi possa realizzarsi senza oneri finanziari, e risulta perciò insufficiente la copertura apprestata che fa riferimento alle sole indennità corrisposte ai Ministri, vice Ministri e Sottosegretari di Stato;
la frammentazione delle competenze dei ministeri recata dal decreto-legge in esame va contro il principio dell'unitarietà delle strutture ministeriali sulla base dell'omogeneità delle funzioni, sancito dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, in ossequio ai principi della delega recata dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 (cosiddetta «legge Bassanini 1»). Ciò appare in contrasto con il valore costituzionalmente garantito del buon andamento della pubblica amministrazione (articolo 97 della
Costituzione). È particolarmente censurabile da questo punto di vista lo «spacchettamento» del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché la sottrazione al Ministero dell'interno di talune competenze sugli enti locali;
la ricomposizione delle competenze ministeriali recata dal decreto in esame determina infine una riassegnazione di funzioni allo Stato centrale che si pone in contrasto con l'articolo 117 della Costituzione, così come riformato dalla revisione del Titolo V recata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1287.
n. 1. Maroni.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181 costituisce una evidente e gravissima violazione dell'articolo 77 della Costituzione in quanto una riforma così ampia della configurazione del Governo e delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio non poteva e non doveva essere varata come provvedimento di urgenza, non ravvisandosi affatto i presupposti di straordinaria necessità e urgenza, tassativamente previsti dal secondo comma dell'articolo 77 della Costituzione;
il disegno di legge n. 1287 di conversione del decreto-legge in esame costituisce una palese violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione, nonché dell'articolo 15, comma 2, lettera a), della legge 23 agosto 1988, n. 400, in quanto contiene un'ampia delega al Governo per il riordino, entro ventiquattro mesi, dell'organizzazione e della funzione della Presidenza del Consiglio e dei singoli ministeri. Il combinato disposto delle norme costituzionali e legislative citate vieta espressamente che nei decreti legge e nei disegni di legge di conversione dei decreti possano confluire disposizioni che incidano, in via diretta o indiretta, sulle modalità di esercizio di delega legislativa. In particolare una delega con un termine massimo di esercizio di ben due anni rappresenta la chiara dimostrazione che non ci sono presupposti di urgenza;
questo provvedimento che costituisce il primo atto politico significativo del Governo Prodi II è chiaramente dettato solo dall'esigenza politica di accrescere a dismisura le cariche governative al fine di soddisfare le molte aspettative dei molteplici partiti che compongono l'attuale variegata maggioranza e non risponde a nessuna esigenza di miglioramento della funzionalità e dell'efficienza delle amministrazioni pubbliche;
le pasticciate e disorganiche norme contenute nel disegno di legge di conversione e nel decreto-legge n. 181 del 2006 rappresentano una controriforma rispetto alla cosiddetta legge Bassanini che aveva ridotto il numero dei ministeri, al fine di razionalizzare le funzioni amministrative, e ciò è paradossale in quanto tale riforma venne varata, a suo tempo, da una maggioranza di centro-sinistra;
anche per effetto del decreto-legge n. 181 del 2006 il numero dei componenti del Governo, fra ministri, viceministri e sottosegretari ha battuto ogni record precedente ed in particolare quello tanto criticato, a suo tempo, dalla sinistra dell'ultimo Governo Andreotti;
la proliferazione degli incarichi ministeriali comporta, necessariamente, un aumento della spesa pubblica malgrado le irrealistiche affermazioni in senso contrario contenute nel testo iniziale del provvedimento, nonché notevoli problemi funzionali ed organizzativi per le amministrazioni oggetto di riassetto,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1287.
n. 2. Elio Vito.
La Camera,
premesso che:
il contenuto del decreto-legge in esame rappresenta una palese violazione dell'articolo 77 della Costituzione, in quanto non si possono ritenere la creazione di nuovi ministeri e la ridistribuzione delle competenze tra quelli esistenti, presupposti idonei a giustificare la necessità e l'urgenza per l'adozione del decreto-legge;
il decreto-legge in esame è stato, inoltre, oggetto di un ulteriore stravolgimento per effetto dell'approvazione di un ampio emendamento che ne ha ampliato il contenuto, accentuato le difficoltà applicative, introdotto una delega al Governo per il coordinamento delle disposizioni in materia di funzioni e organizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei ministeri e limitato, con il ricorso alla fiducia, il dibattito parlamentare;
il decreto-legge è stato, altresì, adottato, durante il Consiglio dei ministri del 17 maggio scorso, da un Governo che non aveva ancora ottenuto la fiducia delle Camere, quindi privo della titolarità per varare un decreto di modifica della struttura del Governo stesso;
si ravvisa una violazione dell'articolo 81 della Costituzione, in quanto appare alquanto inverosimile che l'aumento di nuovi dicasteri possa avvenire senza nuovi oneri per il bilancio dello Stato, come si legge nel testo del decreto-legge in oggetto;
si registra, infine, un'ultima violazione della Costituzione relativa all'articolo 97, secondo cui «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione». Non si ritiene, infatti, che la frammentazione delle funzioni e competenze previste dal decreto-legge possa garantire il principio dell'unitarietà delle strutture ministeriali sulla base dell'omogeneità delle funzioni stabilite dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1287.
n. 3. D'Alia, Giovanardi, Riccardo Conti, Volontè.
La Camera,
premesso che:
il Consiglio dei Ministri, il 17 maggio 2006, ha approvato il decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri, il quale, in sede di conversione, durante l'esame al Senato, ha subito molteplici modificazioni, tra le quali l'attribuzione al Governo di un'ampia delega «per il coordinamento delle disposizioni in materia di funzioni e organizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri»;
la previsione della delega deve considerarsi costituzionalmente illegittima, per violazione indiretta della Costituzione, dal momento che si pone in aperto contrasto con quanto disposto dall'articolo 15, comma 2, lettera a), della legge 23 agosto 1988, n. 400, che, sia alla luce della migliore dottrina costituzionalistica, sia alla luce della costante giurisprudenza del Comitato per la legislazione, va interpretato nel senso che esso costituisce un invalicabile limite di contenuto, volto ad impedire che anche nel disegno di legge di conversione possano confluire disposizioni che incidano, in via diretta o indiretta, sulle modalità di esercizio di deleghe legislative;
il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, recante la riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, aveva introdotto, con riferimento alla organizzazione dei ministeri, il principio della unitarietà
delle strutture ministeriali sulla base della omogeneità delle funzioni, anche al fine di ottenere un contenimento della spesa;
il provvedimento in esame, invece, si pone in contrasto con tale principio, disarticolando i ministeri esistenti e frammentando competenze e funzioni tra i ministeri che lo stesso decreto istituisce;
il decreto-legge in oggetto è stato emanato in evidente contrasto con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'articolo 97 della Costituzione, nonché in contrasto con le disposizioni di cui all'articolo 81 della Costituzione;
il testo in esame desta, altresì, preoccupazione per l'incertezza che lo spostamento di strutture e risorse potrà determinare nell'ambito della pubblica amministrazione, ritenendosi che siffatti interventi sugli apparati amministrativi e sulle relative risorse di personale e di mezzi, recano, inevitabilmente, conseguenze funzionali dirompenti, in assenza di un disegno di legge coerente e razionale;
giova ricordare che la disciplina della organizzazione dei ministeri, come delineata dalla cosiddetta «riforma Bassanini», trova la sua fonte principale nei regolamenti governativi, adottati sulla base di atti normativi di rango primario;
il decreto-legge in oggetto non è coerente con tale scelta di delegificazione e non contiene disposizioni volte a prefigurare tali atti;
nelle repliche svolte durante l'esame nella Commissione Affari Costituzionali del Senato, né il relatore né il rappresentante del Governo hanno fornito adeguate motivazioni a sostegno della sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza del decreto-legge nel suo complesso e di alcune scelte organizzative, e ciò è tanto più grave stante la stretta connessione tra valutazione dei presupposti costituzionali e la discussione sul merito del provvedimento;
altrettanta perplessità destano le disposizioni relative al trasferimento delle funzioni di coordinamento e verifica degli interventi per lo sviluppo economico territoriale e settoriale e delle politiche di coesione, con particolare riferimento alle aree depresse - fatta eccezione per le funzioni di programmazione economico e finanziaria - al Ministro dello sviluppo economico, e il trasferimento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri della segreteria del Comitato interministeriale per la programmazione economica;
forti dubbi solleva anche la scissione in due distinti dicasteri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - soprattutto perché non è chiaro a chi spetti la vigilanza sui trasporti e sull'ANAS - nonché del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che perde le competenze in materia di università e ricerca;
quanto previsto dall'articolo 1, comma 19, lettera c), del decreto-legge, con la quale è attribuita al Presidente del Consiglio «l'iniziativa legislativa in materia di individuazione e di allocazione delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane», contrasta palesemente con quanto disposto dall'articolo 71 della Costituzione, nella parte in cui prevede che «l'iniziativa delle leggi appartiene al Governo»;
quanto previsto dal comma 23 dell'articolo 1 del decreto-legge - che demanda a regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, la definizione degli assetti organizzativi delle amministrazioni interessate dal riordino - determina, rinviando a normative future le regole di funzionamento di apparati statali che svolgono funzioni essenziali, il disarticolamento di dette amministrazioni. Si tratta di un comportamento che viola, anche per questo aspetto, il primo comma dell'articolo 97 della Costituzione, che impone la regola del «buon andamento» come principale cardine del funzionamento dei pubblici uffici. È da evidenziare, al riguardo, il costante orientamento giurisprudenziale
della Corte costituzionale che ha sempre sottolineato (in occasione dei referendum abrogativi, dato che mai, fino ad ora, si era assistito a decreti legge che disarticolassero strutture amministrative che svolgono funzioni necessarie senza dettare la concreta disciplina per la loro contestuale riorganizzazione) che nei casi in cui si voglia incidere su norme che disciplinano settori necessari per il corretto funzionamento della vita istituzionale o amministrativa, occorre che la nuova normativa sia immediatamente applicabile;
giova, inoltre, evidenziare l'ambiguità del comma 24 dell'articolo 1 del decreto-legge nella parte in cui - novellando l'articolo 13, comma 1, del decreto-legge 12 giugno 2001, n. 217, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2001, n. 317 - estende ai Ministri senza portafoglio la possibilità di attribuire incarichi ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni e il cui contenuto innovativo non emerge neppure dalla relazione che accompagna il disegno di legge di conversione;
non è chiara a quale logica risponda l'impianto dell'intero provvedimento che innalza a diciotto il numero dei ministeri,
in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri sono trasferiti rilevanti compiti e funzioni, la cui titolarità appartiene attualmente ad alcune amministrazioni centrali dello Stato, in conseguenza di un accentramento dei poteri di natura amministrativa che fa sì che la Presidenza del Consiglio, invece di costituire un organo chiamato a svolgere mere funzioni di coordinamento relative all'attuazione dell'indirizzo politico amministrativo, si trova a dover svolgere compiti di natura gestionale,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1287.
n. 4. Bocchino, Migliori.