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Allegato A
Seduta n. 234 del 30/10/2007
MOZIONI VOLONTÈ E D'AGRÒ N. 1-00174, RAMPELLI ED ALTRI N. 1-00173, PAOLETTI TANGHERONI ED ALTRI N. 1-00235, MARONI ED ALTRI N. 1-00236 E SERENI ED ALTRI N. 1-00238 SULLE INIZIATIVE IN MATERIA DI DIVIETO DI IMPORTAZIONE DI PRODOTTI CINESI IN RELAZIONE ALLE CONDIZIONI DELLA MANODOPERA IMPIEGATA
(Sezione 1 - Mozioni)
La Camera,
premesso che:
i laogai sono i campi di «riforma attraverso il lavoro» voluti da Mao, che hanno accolto non meno di cinquanta milioni di persone dalla loro costituzione, avvenuta nei primi anni '50;
secondo i dati della Ishr (la Società internazionale per i diritti umani) attualmente sarebbero circa mille i lager in Cina e vi sarebbero rinchiusi quasi sei milioni di condannati ai lavori forzati;
in queste prigioni i condannati sarebbero costretti a lavorare come schiavi per numerosissime industrie cinesi, in particolare per quelle che producono capi di abbigliamento o prodotti a bassa specializzazione e tecnologia;
un sopravvissuto di un laogai ha raccontato le disumane condizioni in cui versano i prigionieri dei lager comunisti, spesso privati di cibo e sonno, oggetto di sevizie e torture, di esecuzioni senza processo e persino di traffici di organi, dove l'unica via di fuga è il suicidio;
secondo la testimonianza di Harry Wu, presidente della Laogai research foundation, che ha trascorso diciannove anni rinchiuso in un laogai, la detenzione in un campo di rieducazione può durare fino a tre anni senza processo, imputazione, esame o riesame giudiziario o la possibilità di confrontarsi con un'autorità;
le autorità cinesi considerano oggi i detenuti un'inesauribile forza lavoro, tant'è che ogni laogai ha due nomi (quello del centro di detenzione e quello della fabbrica) e spesso, se la rieducazione fosse giudicata non completata, i detenuti possono essere trattenuti anche dopo la fine della pena;
infatti, Lu Decheng, uno dei tre gentlemen di piazza Tienanmen, fu detenuto a Pechino e poi nel laogai Hunan, che si chiamava anche Hunan vehicle manufacturing factory, dove venivano prodotti ed esportati veicoli e, quando il lavoro per i veicoli era poco, si producevano materiale tessile e decorazioni natalizie;
i detenuti sono costretti a lavorare, sette giorni su sette e con soli tre giorni di riposo all'anno, sino a 18 ore al giorno per poter mangiare e spesso sono costretti a lavorare in condizioni pericolose o a contatto con prodotti chimici tossici. Secondo l'Ishr le condizioni sono talmente infernali che ogni detenuto su quattro non riesce a sopravvivere dopo il primo anno di vita nei laogai;
le esecuzioni nei laogai sono tornate a peggiorare dal 2003 e ogni anno
vengono giustiziati più individui che in tutti i Paesi del mondo messi insieme. Secondo Harry Wu, «nel 1984, dopo un articolo di Newsweek, smisero di portare i morti in giro per le strade come pubblico esempio, ma dal 1989 hanno ricominciato e i familiari devono pagare le spese per le pallottole e per la cremazione»;
vengono, altresì, prelevati gli organi dei condannati a morte, in quanto appartengono ufficialmente allo Stato, ed i trapianti sono effettuati sotto supervisione governativa, con un costo inferiore del 30 per cento rispetto alla media;
grazie a questa manodopera non retribuita dei prigionieri dei laogai, molte industrie cinesi possono immettere sui mercati prodotti a prezzi stracciati, altamente competitivi con i prezzi occidentali;
il prodotto interno lordo della Cina cresce sino al 10 per cento annuo e la maggiore competitività cinese sui mercati è frutto anche di questa rete di imprese-prigioni;
nonostante la Germania sia il Paese dell'Unione europea che ha investito di più ed è il principale Paese esportatore in Cina, il Parlamento tedesco, a larga maggioranza, ha approvato una mozione trasversale, la 16/5146, in cui non solo si condannano le condizioni disumane dei laogai, ma si vieta l'importazione sul territorio tedesco di tutti quei prodotti fabbricati con la manodopera dei detenuti condannati ai lavori forzati, prevedendo, altresì, che sui prodotti cinesi venga applicata un'etichetta che garantisca che quel prodotto nulla abbia a che fare con i laogai,
impegna il Governo:
ad adottare, di concerto con gli altri partner comunitari, decise e incisive iniziative volte a indurre le autorità cinesi a risolvere definitivamente la questione dei laogai;
in particolare, analogamente a quanto avvenuto in Germania, promuovendo, nelle competenti istituzioni dell'Unione, il divieto di importazione di prodotti cinesi di dubbia provenienza e prevedere, anche in Italia, un bollino che certifichi l'inesistenza di impiego di manodopera di detenuti.
(1-00174)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Volontè, D'Agrò».
(5 giugno 2007)
La Camera,
premesso che:
dal libro «Laogai: the Chinese Gulag» di Harry Wu (1991) si apprende che almeno cinque-sei milioni di cinesi sono costretti ai lavori forzati per 16 ore al giorno fino a 7 giorni su 7, senza remunerazione, in campi di concentramento detti laogai;
tale sistema repressivo - dal termine laogai che significa «riforma attraverso il lavoro» - risale ai primi anni del Governo comunista di Mao (1950) ed è tuttora operante;
il laogai costituisce uno degli strumenti dell'organizzazione cinese di pubblica sicurezza, avente lo scopo di punire e riformare, anche attraverso processi di indottrinamento, i responsabili di atti giudicati criminosi e comunque devianti;
in tali campi possono essere detenuti non solo i responsabili di atti di violenza, ma anche quelli di reati di opinione, in particolare manifestazioni di dissenso contro il Partito comunista cinese o contro la morale pubblica;
utilizzato come strumento di oppressione politica nei confronti di attivisti per la democrazia, dissidenti internet, attivisti del lavoro e credenti religiosi e spirituali, quali le «chiese domestiche» cristiane e gli attivisti del Falun gong, il sistema - oltre al cinese Han - include la maggior parte degli altri gruppi etnici, quali i tibetani, gli uiguri e i mongoli;
secondo fonti dell'Unione europea, nei laogai - oltre al lavoro forzato -
vengono praticati la detenzione amministrativa (senza imputazione e senza processo), il lavoro minorile, torture di ogni genere e addirittura ci sono fondati sospetti che sia in atto, in queste strutture, un traffico di organi per trapianti;
non esistono statistiche ufficiali sul numero di tali campi, né tanto meno sul numero di individui in essi detenuti, in quanto le informazioni sono mantenute segrete dalle autorità cinesi;
i laogai sono considerati fonte inesauribile di manodopera gratuita e utilizzano continuamente il lavoro forzato e il lavoro minorile per accrescere produttività e profitti;
come evidenziato da precedenti atti di sindacato ispettivo (interrogazione n. 4-16630 del 16 dicembre 2004), le aziende cinesi che accettano da committenti europei lavoro a basso costo solo in parte si occupano della produzione effettiva, subappaltando il resto a questi campi di lavoro forzato e limitandosi poi ad apporre la loro etichetta;
anche grazie a questo tipo di espedienti si spiegherebbe il segreto dei bassissimi prezzi e la competitività delle merci cinesi; gli articoli prodotti tramite il lavoro forzato nei laogai coprono ogni settore merceologico (giocattoli, scarpe, articoli per la casa, macchinari di ogni genere, prodotti tessili ed agricoli ed altro), anche quello della più sofisticata tecnologia;
alcuni studi sostengono che il sistema del laogai può nel complesso aver ricevuto benefici della graduale apertura della Cina al commercio internazionale;
a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, il Governo cinese ancora oggi incoraggia l'esportazione in Europa e nel mondo delle merci prodotte attraverso il sistema carcerario dei laogai e conta sul lavoro forzato come parte integrante della sua economia;
secondo The Times magazine del 5 dicembre 2005, l'Italia è il Paese più danneggiato all'interno dell'Unione europea dall'invasione dei prodotti cinesi in tutti i settori: il tessile, i mobili da cucina, l'oreficeria, la rubinetteria, le calzature e altri, sia nel mercato interno sia nell'esportazione;
in risposta ad un'interrogazione, il ministero degli affari esteri nel 2005 sosteneva che, a causa della complessità dei mercati internazionali e della natura talvolta labirintica delle pratiche di subappalto dei processi produttivi, è assai difficile identificare quali prodotti possono essere stati assemblati con il ricorso - in tutto o in parte - al laogai;
sempre secondo il ministero degli affari esteri, senza una maggiore cooperazione sia da parte cinese (che riveli in particolare la reale estensione del sistema e la sua capacità di contribuire alla produzione di beni e servizi) che da parte dei produttori occidentali (che rivelino l'identità dei propri partner commerciali e l'ubicazione dei propri centri di produzione manifatturiera in Cina), non è possibile escludere assolutamente che un consumatore occidentale, acquistando un prodotto made in China, non stia indirettamente acquistando un prodotto anche frutto del sistema laogai;
del possibile legame tra lavoro forzato ed esportazioni cinesi la comunità internazionale è da tempo e resta ben consapevole,
impegna il Governo:
a sostenere nelle competenti istituzioni dell'Unione europea, urgenti iniziative sul piano normativo che prevedano l'adozione delle seguenti misure:
a) l'imposizione di un divieto sulle importazioni di tutte le merci cinesi provenienti, in tutto in parte, dal lavoro forzato e dallo sfruttamento umano dei laogai;
b) l'introduzione di misure di controllo su tutte le importazioni in provenienza dalla Repubblica popolare cinese
per garantire che i beni prodotti attraverso il lavoro forzato non vengano inseriti sul mercato;
c) l'introduzione, per le imprese che importano dalla Cina, di un sistema di etichettatura che permetta anche l'identificazione dei luoghi di produzione;
d) il divieto di joint venture tra investitori italiani e operatori commerciali cinesi che fanno ricorso a manodopera reperita nei campi di lavoro forzato;
e) il rispetto da parte del Governo cinese delle cosiddette «clausole sociali» e delle «clausole ambientali»;
f) la verifica degli standard di igiene e di sicurezza dei prodotti di fabbricazione cinese importati nel territorio italiano che possono rappresentare un grave rischio per la salute dei consumatori e, in particolare, dei bambini.
(1-00173)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Rampelli, Ciccioli, Murgia, Briguglio, Frassinetti, Cirielli, Airaghi, Foti, Holzmann, Meloni, Germontani».
(5 giugno 2007)
La Camera,
premesso che:
esistono in Cina almeno mille laogai, veri e propri campi di concentramento, dove milioni di uomini, donne e bambini sono costretti a lavorare in condizioni disumane, al servizio del Partito comunista cinese e di imprese nazionali;
i laogai rappresentano solo una parte della «pedagogia del terrore», posta in essere dalla Cina anche attraverso esecuzioni di massa, espianto di organi dai cadaveri dei condannati a morte, successivamente venduti, migliaia di aborti e sterilizzazioni forzate, abuso della psichiatria a scopo di repressione politica;
sul piano commerciale ed industriale, la Cina si dimostra spesso spregiudicata ed irrispettosa delle fondamentali regole del mercato. Le aziende cinesi si muovono sul mercato internazionale contraffacendo i marchi, esportando spesso prodotti nocivi per la salute dei consumatori e vendendo merce prodotta con materiali scadenti. Non meno gravi sono le condizioni dei lavoratori cinesi, che, nella quasi totalità dei casi, sono sfruttati e svolgono le proprie mansioni in condizioni disumane, senza alcun tipo di tutela da parte dello Stato,
impegna il Governo:
a sensibilizzare le autorità cinesi, seguendo analoghe iniziative degli altri Paesi europei, sul fatto che l'utilizzo dei laogai, in quanto luoghi di violenza e sfruttamento, sono contrari ai principi ed ai valori fondamentali cui si ispira la comunità democratica internazionale;
a prevedere, in considerazione dei dubbi sulla qualità del ciclo produttivo utilizzato, regole estremamente rigorose in materia di selezione dei prodotti importati dalla Cina e, nel caso la situazione dei diritti umani non dovesse migliorare sensibilmente, a stabilire dei veri e propri divieti all'importazione di prodotti cinesi in Italia.
(1-00235)
«Paoletti Tangheroni, Bertolini, Cossiga, Carlucci, Boniver, Azzolini, Picchi, Rivolta, Licastro Scardino, Campa, Misuraca, Della Vedova».
(22 ottobre 2007)
La Camera,
premesso che:
esistono ancora oggi nella Repubblica popolare cinese, membro dell'Organizzazione mondiale del commercio, delle Nazioni Unite e interlocutore politico economico della scena geopolitica mondiale, veri e propri campi di concentramento dove sono violati su amplissima scala i diritti umani fondamentali, le norme sulla tutela del lavoro, della sicurezza e della concorrenza, senza che ciò determini alcuna
sanzione od esclusione della Cina dalla comunità mondiale o da quella parte di essa che ha in queste garanzie i cardini fondamentali della propria realtà;
i campi sono definiti laogai e sono stati creati a suo tempo da Mao per «riabilitare i criminali» attraverso il lavoro e l'indottrinamento politico e allo stesso tempo per disporre di forza lavoro gratuita per lo sviluppo economico della Cina;
il numero dei laogai e dei prigionieri è un segreto di Stato. Secondo il rapporto del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul lavoro forzato e la detenzione arbitraria, pubblicato nel 1997, ci sono 230.000 persone in 280 campi di rieducazione attraverso il lavoro. La Laogai research foundation ha, però, individuato almeno 1000 campi in Cina e stima il numero dei detenuti fra i 4 e i 6 milioni di persone: dalla creazione del sistema dei laogai fra i 40 e i 50 milioni di persone vi sono state imprigionate, tanto che in Cina praticamente ogni cittadino è imparentato o conosce qualcuno che è finito nei laogai;
il concetto di «criminale» nel sistema cinese comprende i dissidenti politici, i sostenitori del sistema democratico, chi viola leggi, come quella sul figlio unico, sindacalisti, religiosi e fedeli di varie fedi e minoranze etniche, come i tibetani, gli uiguri e i mongoli. Si può arrivare ai tre anni di detenzione in un laogai prima di avere un processo e rimanervi dopo avere scontato la propria pena se il sistema non ritiene perfettamente completata la «rieducazione»;
non esistono garanzie processuali per i prigionieri dei laogai, nessun diritto di appello o di difesa. Una volta entrato nel campo, il detenuto è costretto a «confessare» i suoi crimini, denunciare qualsiasi opinione anti-partito e sottoporsi al regime di rieducazione e lavoro forzato. I funzionari dei laogai devono attenersi all'enfasi tradizionale sulla riabilitazione dei prigionieri per trasformarli in «nuove persone socialiste», raggiungendo allo stesso tempo precisi livelli di produttività e di profitto;
ogni laogai è al tempo stesso un'unità produttiva: una fabbrica tessile, una cava, una miniera, tanto che ciascun campo ha solitamente un doppio nome, uno dei quali è quello del marchio prodotto;
la manodopera gratuita e abbondante, che lavora fino a diciotto ore al giorno senza ferie, riposo o malattia, costituisce un vantaggio competitivo straordinario in termini di costo di produzione per i prodotti che escono dai laogai, tanto che gli imprenditori cinesi, ma anche alcune multinazionali straniere, appaltano le produzioni, tramite il Governo cinese, ai laogai-fabbrica; in questo modo sia il Governo che le industrie cinesi o dislocate in Cina hanno amplissimi margini di guadagno sul prodotto dei prigionieri, pur potendo portare sui mercati internazionali prodotti a bassissimo costo;
il laogai, campo di concentramento, di sfruttamento e di tortura, rappresenta, pertanto, un elemento centrale e portante del vantaggio competitivo cinese e dell'imponente sviluppo economico della Repubblica popolare cinese; i milioni di prigionieri rinchiusi nei laogai sono il più grande numero di persone sottoposte al lavoro forzato oggi nel mondo. L'applicazione deliberata e diffusa di questo metodo ha creato in Cina una nuova forma di economia: l'economia del lavoro forzato;
anche se molti Paesi, compresi gli Stati Uniti e l'Unione europea, vietano l'importazione di merci prodotte nei laogai, è praticamente impossibile stabilire la provenienza di tali beni, senza la collaborazione del Governo cinese. È lo stesso Governo, infatti, il primo beneficiario del reddito prodotto dai campi di concentramento e da sempre l'autorità di Pechino è la principale responsabile delle triangolazioni e delle falsificazioni dei marchi, operate al preciso scopo di rendere impossibile risalire alle produzioni del laogai;
considerata l'integrazione dei mercati e la facilità di spostare le merci su altre piazze prima di arrivare ai nostri
consumatori, è oggi impossibile impedire l'arrivo anche nel nostro Paese di merci a basso costo prodotte con il lavoro di persone ingiustamente schiavizzate,
impegna il Governo:
ad affrontare direttamente e senza remore al prossimo incontro bilaterale con le autorità cinesi il tema dei laogai, al fine di ottenere un impegno preciso sulla chiusura di tali vergognosi campi;
a farsi portavoce in seno all'Unione europea affinché tale tema sia affrontato in modo diretto in occasione dei summit Unione europea-Cina;
ad agire in seno all'Unione europea affinché si limiti l'ingresso delle merci provenienti dalla Cina finché non sia data prova della fine di ogni produzione basata sul lavoro forzato, come unica vera garanzia che l'Europa non contribuisca con i suoi consumi alla permanenza di metodi inumani di sfruttamento.
(1-00236)
«Maroni, Cota, Dozzo, Gibelli, Alessandri, Allasia, Bodega, Bricolo, Brigandì, Caparini, Dussin, Fava, Filippi, Fugatti, Garavaglia, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Lussana, Montani, Pini, Stucchi».
(22 ottobre 2007)
La Camera,
premesso che:
l'Unione europea e l'Italia considerano da sempre la promozione dei diritti sociali e il rispetto dei diritti dei lavoratori quali aspetti essenziali nelle relazioni commerciali e, più in generale, internazionali con gli altri Stati, valutandoli come elementi positivi per il rafforzamento della competitività di ciascun Paese e non come ostacolo o impedimento;
da tempo l'Unione europea ha inserito la discussione sul rispetto degli standard di lavoro dell'Organizzazione internazionale del lavoro e sulla promozione dei diritti sociali e sindacali all'interno delle negoziazioni relative ad alcuni accordi commerciali con Stati terzi, come nel caso dell'accordo di Cotonou, e ha previsto specifiche valutazioni sull'impatto sociale degli accordi commerciali bilaterali (SIAs), anche nelle fasi negoziali del nuovo accordo quadro di partnership con la Cina, accogliendo con grande favore la decisione di istituire una «Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione», sotto l'egida dell'Organizzazione internazionale del lavoro, che iniziasse a introdurre tali temi nei forum dedicati al commercio internazionale, in cui sono finora rimasti troppo marginali;
in molti Paesi il tema del rispetto dei diritti dell'uomo e, in particolare, della tutela dei lavoratori, delle condizioni di lavoro e della salubrità dei luoghi di lavoro, nonché la promozione dei diritti sindacali, rimangono questioni irrisolte rispetto alle quali, all'elevata sensibilità politica della materia, si somma l'obiettiva difficoltà di controllo, l'impatto economicamente pesante sulle popolazioni di restrizioni generalizzate alle importazioni e non ultimo, in alcuni casi, un atteggiamento surrettiziamente protezionistico da parte dei Paesi occidentali;
tuttavia, in alcuni casi la comunità internazionale deve con determinazione e coraggio avanzare proposte decise per superare violazioni scandalose e patenti dei diritti umani, elaborando forme di pressione congiunta ed efficace, che costringano Paesi oramai pienamente inseriti ed accettati nel contesto delle organizzazioni internazionali del commercio non solo a condividere i vantaggi, ma anche ad assumere responsabilità e impegni comuni;
in particolare, i rapporti commerciali con la Repubblica popolare cinese, complicati da una serie di questione di vario genere, devono essere più attenti alla dimensione del rispetto dei diritti dei lavoratori e dei diritti dell'uomo e condurre a più visibili passi in avanti rispetto alle questioni gravi segnalate da osservatori
occidentali, organizzazioni indipendenti, associazioni a difesa dei diritti dell'uomo;
tra le violazioni più gravi rientra sicuramente la questione dei cosiddetti laogai, campi di lavoro forzato in cui sono reclusi, secondo alcune stime, cinque o sei milioni di detenuti, tra cui moltissimi accusati di reati di opinione, dissidenti politici, leader religiosi, spirituali o di minoranze etniche, che in condizioni di lavoro proibitive, per oltre 18 ore al giorno, senza le necessarie precauzioni nella lavorazione di sostanze pericolose e con il verosimile utilizzo di pratiche di tortura, vengono forzati al lavoro con conseguenze drammatiche sulla loro salute psicofisica;
le merci prodotte in questi vergognosi campi di lavoro forzato vengono poi commercializzate ovvero utilizzate quali componenti di prodotti finiti, per poi circolare liberamente sul mercato internazionale, pur provenendo da forme di lavoro illegale e lesivo dei diritti dell'uomo;
non esiste attualmente alcun valido strumento di verifica del numero di tali campi di lavoro, del numero dei detenuti imprigionati o delle condizioni interne di detenzione;
in questi anni la denuncia dell'istituzione dei laogai è stata fatta non solo da associazioni di tutela dei diritti dell'uomo e da alcuni testimoni diretti, ma anche da numerosi Governi e Parlamenti, tra i quali il Congresso americano (mozione n. 294 del 2005), il Parlamento europeo (risoluzione n. 2161 del 7 settembre 2006) e ultimamente il Bundestag tedesco (16/5146 del 10 maggio 2007);
tra l'altro, anche la Camera dei deputati nel dispositivo della mozione n. 1-00063 del 27 novembre 2006 ha impegnato il Governo «ad intraprendere ogni sforzo presso le autorità cinesi affinché la legislazione del lavoro e i diritti dei lavoratori si adeguino più rapidamente possibile agli standard internazionali, ivi inclusi i 10 principi del global compact delle Nazioni Unite, garantendo condizioni di lavoro dignitose e i diritti sindacali, unica garanzia di difesa del mondo del lavoro»;
la risoluzione del Parlamento europeo, oltre a condannare esplicitamente l'esistenza dei laogai, sollecita la Cina a ratificare le convenzioni nn. 29 e 105 dell'Organizzazione internazionale del lavoro sull'abolizione del lavoro forzato e coatto e invita la Cina a dare certificazione scritta della non provenienza delle merci esportate da laogai, invitando la Commissione europea, in caso contrario, a vietare l'importazione dei prodotti in questione;
la risoluzione del Parlamento tedesco, sulla stessa falsariga, chiede la chiusura dei laogai, il rilascio di informazioni da parte delle autorità cinesi sulla situazione dei campi di lavoro e sulle merci in essi prodotte, nonché un maggior coinvolgimento e informazioni alle imprese tedesche circa la situazione di violazione dei diritti umani in queste strutture,
impegna il Governo:
ad esercitare in sede europea un'azione efficace e coordinata con gli altri Paesi perché la questione dei campi laogai sia valutata adeguatamente e affrontata esplicitamente nelle occasioni di dialogo strutturato Unione europea-Cina, in particolare del periodico dialogo dedicato alla situazione dei diritti umani;
a vigilare affinché tale questione sia altresì tenuta nel debito conto nel contesto del dialogo commerciale Unione europea-Cina, nell'ambito degli attuali negoziati sul nuovo accordo di partnership e cooperazione, per valutare la possibilità di inserimento di forme particolari di cosiddette «clausole sociali», sul modello di altri accordi commerciali europei con Stati terzi, anche al fine di escludere del tutto la possibilità che merci prodotte nel cosiddetto sistema del laogai possano entrare nel mercato europeo fra le importazioni cinesi;
ad attivarsi nelle sedi internazionali per rendere possibili le visite dell'Alto commissario per i diritti umani dell'Onu,
degli inviati speciali dell'Onu e dei rappresentanti del Comitato internazionale della Croce rossa ai campi laogai ancora esistenti;
a sollevare, di concerto con l'Unione europea, anche in seno al Consiglio dei diritti umani dell'Onu, di cui l'Italia è membro, la questione dei campi laogai;
ad utilizzare anche le occasioni di dialogo e di incontro bilaterale con la Cina per deprecare la pratica dei campi laogai e chiederne la chiusura;
a rendere le nostre imprese operanti in Cina sempre più consapevoli del problema dei campi laogai, evitando i rischi che partner commerciali cinesi possano utilizzare prodotti provenienti da questi «campi di lavoro», a tal fine promuovendo forme di cooperazione istituzionale ed imprenditoriale volte ad assicurare modalità di accertamento e verifica delle diverse fasi della filiera produttiva.
(1-00238)
«Sereni, Pettinari, Siniscalchi, Mattarella, De Zulueta, Marcenaro, Leoluca Orlando, D'Elia».
(22 ottobre 2007)