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Allegato B
Seduta n. 47 del 4/10/2006
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ECONOMIA E FINANZE
Interrogazione a risposta in Commissione:
CRISCI, FASCIANI, CIALENTE e FLUVI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
al tempo della «stagione dei condoni tributari» molte associazioni sportive dilettantistiche, al pari di tantissimi altri contribuenti, ritennero utile giovarsi delle norme agevolate di cui alla legge n. 289 del 2002 (e successive modificazioni ed integrazioni), in particolare aderendo alla procedura del cosiddetto «condono tombale» per tutti gli anni che andavano dal 1998 al 2002;
detti soggetti giuridici, che normalmente non hanno un esercizio d'imposta corrispondente con l'anno solare, sono stati fortemente ed ingiustificatamente penalizzati rispetto alla generale platea dei contribuenti da una previsione legislativa sbagliata e da una «burocratica» interpretazione ministeriale;
è assurdo che la generale platea delle società e degli enti italiani abbia potuto definire il contesto impositivo sino al 31 dicembre 2002, mentre le sole associazioni sportive abbiano dovuto limitarsi a definire il solo esercizio chiuso al 30 giugno 2001 (con una differenza non di uno, ma di due esercizi);
dell'argomento si erano interessati, già nel corso della XIV legislatura, il sottosegretario On. Daniele Molgora e il vicepresidente della Commissione Finanze della Camera On. Marcello Leo, al fine di assicurare una rapida e giusta risposta al problema, ritenuto gravoso e particolarmente rilevante;
la auspicata soluzione al problema non è mai intervenuta ela sostanziale «equità» di trattamento, ancorché riconosciuta, non è mai stata ristabilita;
nel silenzio degli organi governativi, le Commissioni Tributarie continuano ad emettere provvedimenti giudiziari che penalizzano una serie di soggetti (in particolare le associazioni sportive) che in buona fede hanno ritenuto di poter godere della sanatoria e che, invece, si trovano di fronte all'applicazione che gli interroganti giudicano acritica e letterale di una norma chiaramente sbagliata che determina una evidente ed ingiustificata disparità di trattamento tra i contribuenti -:
se non ritenga opportuno ed urgente adottare ogni utile iniziativa normativa per
assicurare che le disposizioni previste dalla legge n. 289 del 2002 e successive modificazioni ed integrazioni possano essere applicate anche ai contribuenti con esercizio d'imposta non corrispondente all'anno solare, in modo da eliminare una ingiusta disparità di trattamento generata da un evidente errore o da una mera dimenticanza del legislatore.
(5-00265)
Interrogazioni a risposta scritta:
MARAN. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
in base all'articolo 93, comma 2 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), nella valutazione delle opere di durata ultrannuale, «delle maggiorazioni di prezzo richieste in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali si tiene conto, finché non siano state definitivamente stabilite, in misura non inferiore al 50 per cento»;
negli appalti pubblici (ma lo stesso vale anche per quelli privati), è prassi rilevare - da parte dell'appaltatore, nel registro di «contabilità dei lavori» - le «richieste di indennità» nei confronti della stazione appaltante a causa di maggiori lavori eseguiti (rispetto a quanto previsto dal contratto) o a fronte di risarcimento danni, qualificando tali richieste come «riserve» (o «claims»);
la giurisprudenza - sia di merito che di legittimità - ha riconosciuto che tali riserve non rientrano nell'ambito delle «maggiorazioni di prezzo» di cui al citato articolo 93, dovendo assumere rilevo fiscale solo se, quando e nei limiti in cui vengono riconosciute valide e corrette a seguito di un accordo bonario o di una sentenza definitiva (per cui solo allora e nell'entità riconosciuta, le stesse - non più «pretese» ma divenute «diritti» - concorrono alla formazione del reddito d'impresa);
alcuni Uffici della Agenzia delle Entrate hanno ritenuto, in sede di accertamento che tali «pretese» (o «riserve») rientrino nell'ambito del predetto articolo 93, comma 2, considerandole «maggiorazioni di prezzo richieste in applicazione di disposizioni di legge», giustificando tale opinione in base alla normativa sugli appalti pubblici (che, però, disciplina solo gli adempimenti formali che devono essere rispettati per l'avanzamento di tali «pretese») e di un «datato» pronunciamento ministeriale (Circ. n. 36 del 1982) che, nell'esplicare le tipologie di maggiorazioni, aveva richiamato anche le riserve;
esiste da sempre - ed è stato recentemente confermato - il principio di «dipendenza» (o di «derivazione») del reddito imponibile d'impresa dal risultato economico civilistico;
tali «riserve» non vengono computate nel conto economico e nello stato patrimoniale dell'impresa appaltatrice, perché ciò contrasterebbe con le regole che presiedono alla redazione del bilancio d'esercizio;
la citata disposizione dell'articolo 93, comma 2 riguarda solo le «maggiorazioni di prezzo» che, in applicazione della legge o di clausole contrattuali, devono essere automaticamente riconosciute dall'appaltante, nel senso che, al verificarsi dell'evento cui esse si riconnettono, sorge ipso iure un diritto ad un maggior compenso che sussiste nell'an e peraltro, da determinare nel quantum;
«riserve» altro non sono che mere richieste (e non diritti) intese ad evitare che le registrazioni contabili della «stazione appaltante» diventino inoppugnabili nei confronti dell'appaltatore, dato che gli articoli 165 e 174 del Regolamento sugli appalti pubblici dispongono la decadenza da qualsiasi diritto ad un eventuale indennizzo, se gli atti di contabilità sono sottoscritti, da parte dell'appaltatore, «senza riserva» o se le «riserve non vengono esplicitate» nei termini previsti (e confermate in sede di «conto finale»);
pertanto la appostazione di tali «riserve» - nella contabilità dei lavori - non
attribuisce alcun diritto di credito all'appaltatore il quale potrà e dovrà tenere conto (sia civilisticamente che fiscalmente) solo al momento (e nei limiti) in cui tali componenti positivi sono «riconosciuti» come spettanti dalla stazione appaltante o dall'Autorità giudiziaria o da un collegio arbitrale;
secondo la giurisprudenza, il loro eventuale computo nell'esercizio in cui viene avanzata la richiesta comporta la impossibilità di rettificare - nell'esercizio in cui la definizione facesse emergere una (sostanziale) «sopravvenienza passiva» - la dichiarazione dei redditi passata e di tener conto del «minor ricavo» nella dichiarazione dei redditi successiva;
per le riserve valgono le «regole ordinarie» sulla «giusta competenza» tributaria dei componenti positivi e negativi del reddito d'impresa imponibile di cui all'articolo 109 del TUIR, nel senso che devono concorrere alla formazione del reddito imponibile solo quando divengono certe e determinabili obiettivamente (in conformità, quindi, alle regole dell'articolo 109 del TUIR), cioè quando sia raggiunto un «accordo bonario» o sia intervenuta una sentenza (anche se provvisoria) di una autorità terza che ne stabilisce la spettanza e la misura: perché solo in quel momento le riserve cessano di essere semplici pretese (cioè atti di iniziativa) e diventano diritti;
le maggiorazioni di prezzo costituiscono «diritti» certi nella esistenza anche se non ancora determinabili nelle loro entità, mentre le seconde altro non solo che pretese che vengono avanzate sulla scorta di aspettative non tutelate né dalla legge né dal contratto;
per le maggiorazioni di prezzo valgono le «regole speciali» dell'articolo 93 -:
se il Ministro non ritenga di dare - all'Agenzia delle Entrate e/o al Dipartimento delle Entrate del suo Ministero - le più opportune indicazioni perché, in attesa di una eventuale precisione di tipo legislativo (peraltro non necessaria), venga anche in via amministrativa, riconosciuto che le «maggiorazioni di prezzo» di cui all'articolo 93 comma 2 del TUIR, presentano caratteristiche assai diverse dalla cosiddetta «riserva».
(4-01161)
MARAN. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
in base all'articolo 109, comma 1, del T.U.I.R. «I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi ... concorrono a formare il reddito dell'esercizio di competenza», per cui, se un costo o un ricavo viene imputato in un esercizio «fuori competenza»:
a) nel primo caso (costo), lo stesso non è deducibile e l'amministrazione finanziaria può procedere al recupero dell'imposta dovuta corrispondente e all'irrogazione della sanzione per infedele dichiarazione (pari al 100 per cento del tributo);
b) nel secondo (ricavo), l'amministrazione finanziaria può riprendere a tassazione il ricavo nell'esercizio di competenza «corretto», senza tener conto che lo stesso ricavo è già stato tassato in capo al contribuente in altro esercizio;
ai fini penali, l'articolo 7 del decreto legislativo n. 74 del 2000 prevede la non punibilità «delle rilevazioni ... eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, ma [solo] sulla base di metodi costanti di impostazione contabile», per cui neanche in questo settore, nel caso di errore fortuito (o occasionale) di contabilizzazione di un componente positivo o negativo di reddito in un esercizio diverso da quello di competenza, si verifica una esimente;
nella pratica, consta all'interrogante che si riscontrano comportamenti difformi da parte degli uffici locali, che pur fanno parte dell'unica Agenzia delle entrate (A.E.), dato che:
a) per quanto concerne i «costi», alla «ripresa a tassazione» nell'esercizio n, di
un costo di competenza dell'esercizio successivo n+1, se quest'ultimo esercizio n+1:
a.1) è anch'esso oggetto di accertamento, il contribuente, presentando istanza di accertamento con adesione per entrambi i periodi di imposta, può sperare di veder riconosciuto nell'esercizio n+1 il costo (indebitamente) dedotto nell'esercizio precedente: alcuni Uffici locali A.E. riconoscono tale possibilità, mentre altri no (eccependo la tassatività delle regole e l'autonomia di ciascun periodo d'imposta), per cui si verifica una disparità di trattamento sul piano nazionale difficilmente giustificabile;
a.2) non è oggetto di accertamento, il costo - ancorché inerente l'attività d'impresa - è definitivamente «perso» - a meno che non venga prodotta (entro i termini per la presentazione della dichiarazione dell'esercizio successivo) una «dichiarazione rettificativa a favore del contribuente», talora accompagnata da un bilancio riapprovato - dato che gli uffici locali respingono il recupero (di quanto versato in più) richiesto dal contribuente attraverso la presentazione di una istanza di rimborso (per cui è necessario instaurare un contenzioso, esso pure dagli esiti incerti);
b) in relazione ai «ricavi», valgono le stese considerazioni appena formulate, dato che gli uffici A.E. non riconoscono la possibilità di recuperare l'imposta già versata nell'esercizio «fuori competenza», neanche quando viene presentata apposita istanza di rimborso (per cui è necessario attivare un processo del dubbio esito);
il mancato riconoscimento di un costo o la ripresa a tassazione di un ricavo per difetto di competenza determinano una doppia imposizione dello stesso componente in due esercizi (generalmente contigui) nei confronti dei, medesimo soggetto; e ciò, secondo l'interrogante, in violazione non solo dell'articolo 163 del Testo unico delle imposte sui redditi (T.U.I.R.) e dell'articolo 67 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 sull'accertamento, ma soprattutto dell'articolo 53 della Costituzione sulla capacità contributiva -:
se il Ministro non ritenga di prendere le più opportune iniziative, anche normative, per rimediare alla (ingiusta) penalizzazione del contribuente che abbia commesso un errore dal quale, però, non deriva alcuna «evasione (né sottrazione) di imposta», ma - tutt'al più - un differimento nel pagamento della stessa; con la precisazione che nei (rari) casi in cui dal comportamento del contribuente derivasse un maggior onere tributario (a causa della differente aliquota marginale), tali maggiori imposte andrebbero senz'altro corrisposte, unitamente agli interessi per ritardato pagamento;
solo se gli organi amministrativi opereranno secondo «giustizia sostanziale» e senza ritenersi vincolati da regole e prassi procedimentali arcaiche e inique, il loro operato potrà considerarsi conforme ai princìpi costituzionali (in particolare agli articoli 53 e 97 Cost., peraltro richiamati esplicitamente dall'articolo 1 della legge n. 212 del 2000 sullo «Statuto dei diritti del contribuente») e potrà instaurarsi quel clima di collaborazione fra soggetti attivi e passivi dei tributi (da tutti voluto e preteso dal citato Statuto) che - solo - può consentire di realizzare quel «salto di qualità» nell'adempimento degli obblighi tributari che il previo riconoscimento dei diritti sostanziali del contribuente potrebbe non solo facilitare, ma probabilmente garantire -:
se il Ministro non ritenga di dare all'Agenzia delle entrate e/o al Dipartimento delle entrate del suo Ministero le più opportune indicazioni perché, in attesa di un (eventuale) intervento legislativo, gli Uffici riconoscano, in via amministrativa e nel rispetto del principio di «capacità contributiva», che:
a) per i costi «fuori competenza» nel caso:
a.1) (periodo di imposta oggetto di accertamento) debba essere riconosciuto «d'ufficio» la rilevanza del costo;
a.2) (periodo d'imposta successivo non accertato), il costo sia riconosciuto previa presentazione di una dichiarazione rettificativa (se la dichiarazione interviene entro l'anno successivo) o, se tale termine è stato superato, previa istanza di rimborso (senza ulteriori oneri e formalità e senza che sia necessaria, in particolare, l'approvazione di un nuovo bilancio d'esercizio, adempimento cui taluni uffici subordinano lo stesso esame dell'istanza);
b) per i ricavi «fuori competenza», sia sufficiente la presentazione di una istanza di rimborso - nei termini stabiliti per la decadenza dei poteri di accertamento dell'amministrazione finanziaria - per poter accedere e ottenere la restituzione del tributo, in ipotesi, versato in più, previa - s'intende - dimostrazione del già intervenuto pagamento dell'imposta.
(4-01176)