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Allegato B
Seduta n. 77 del 27/11/2006
TESTO AGGIORNATO AL 15 MARZO 2007
...
SALUTE
Interrogazioni a risposta orale:
D'AGRÒ. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in Italia le vittime per arresto cardiaco extraospedaliero sono circa 60.000 ogni anno, fenomeno grave che interessa tutte le fasce di età, dagli adolescenti agli anziani;
in base a dati scientifici è emerso che la rapidità dell'intervento, in caso di crisi cardiaca, è uno degli elementi fondamentali per evitare la morte o eliminare possibili danni neurologici;
tale tempistica può essere assicurata dal defibrillatore semiautomatico, dispositivo medico che può essere utilizzato, sia in strutture sanitarie, sia in qualunque tipo di struttura, fissa o mobile, stabile o temporanea;
strumento in grado di effettuare l'analisi automatica del ritmo cardiaco d'una persona vittima di un arresto cardio-circolatorio al fine di interrompere una fibrillazione o tachicardia ventricolare; la predisposizione automatica dell'apparecchio, nel caso in cui l'analisi sopradescritta sia positiva, ripristina un ritmo cardiaco efficace, attraverso una sequenza di shock transtoracici, d'intensità appropriata, separati da degli intervalli di analisi;
in base all'articolo 1 della legge 3 aprile 2001, n. 120 si è consentito l'uso del defibrillatore semiautomatico in sede extraospedaliera anche al personale sanitario non medico, nonché al personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nell'attività di rianimazione cardiopolmonare;
con accordo del 27 febbraio 2003, nel rispetto della programmazione sanitaria delle Regioni sono state stabilite dal Ministero della Salute le linee guida per il rilascio dell'autorizzazione all'utilizzo extraospedaliero dei defibrillatori semiautomatici -:
se non ritenga opportuno adottare iniziative normative volte a fissare, con un'apposita integrazione della normativa esistente, l'obbligo per determinati luoghi considerati strategici, di essere forniti di tale strumento sanitario, oltrepassando in tal modo il concetto di libera discrezionalità per i privati o gli edifici pubblici di tale dotazione, che spesso si concretizza in un'assenza dello strumento, omissione spesso imputabile ad una scarsa sensibilità al problema o ad ostacoli di carattere economico;
se non ritenga necessario, con un'adeguata campagna di informazione e con opportuni provvedimenti, promuovere nel cittadino la cultura della prevenzione cardiologica, che ha sempre costi sia umani che economici inferiori rispetto all'emergenza, diffondendo tra le priorità, la necessità di indagini cardiologiche nei bambini sin dalla nascita, che con una diagnosi preventiva di malformazioni genetiche, possono impedire il verificarsi in età superiore di crisi cardiache.
(3-00404)
GASPARRI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
quando si parla di canapa indiana e dei suoi derivati è necessario chiarire a cosa ci si riferisca. Le foglie, le infiorescenze e la resina prodotta da esse contengono il principio attivo, chimicamente identificato come delta-9-tetraidrocannabinolo (THC); tutte le piante di canapa contengono il principio attivo ma alcune di esse, in dipendenza di molti fattori (modalità di coltivazione, clima, eccetera), ne contengono quantità molto maggiori di altre. I botanici, non potendole distinguere all'osservazione, hanno trovato un accordo sull'esistenza di un'unica specie (cannabis sativa) con due sottospecie: sativa (quella a basso contenuto di THC) ed indica (quella ad alto tenore di principio attivo). Sono state selezionate oggi piante che contengono quantità di principio attivo dell'ordine del 14-18 per cento;
le foglie, le infiorescenze ed i piccoli steli, essiccati e triturati costituiscono quello che viene chiamato in gergo «marijuana»; la resina che si forma sulle infiorescenze costituisce «l'hashish»;
esistono oggi in commercio in alcuni Paesi (ma non ancora in Italia) farmaci, principalmente in forma di compresse, a base di tetraidrocannabinolo (THC), ad esempio Marinol, Dronabinol e Nabilone. Sono stati approvati ed hanno come unica indicazione terapeutica la prevenzione dell'insorgenza del vomito e della nausea indotte dai chemioterapici antitumorali, in pazienti che non rispondono positivamente ad altri farmaci antiemetici;
mentre i farmaci, infatti, sono autorizzati al lecito commercio, nessun Paese al mondo consente invece l'uso, a scopo terapeutico, della pianta o dei derivati della pianta (marijuana ed hashish). Anche se un referendum condotto in 8 dei 50 Stati degli Stati Uniti (California, Arizona, Oregon, Alaska, eccetera) ha reso possibile la coltivazione e la vendita per scopi medici della marijuana, a maggio del 2001 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ribadito che la marijuana non ha nessun uso medico legalmente riconosciuto e che pertanto, in base alle leggi federali, i medici non possono prescrivere la marijuana per uso terapeutico;
secondo quanto «divulgato» dai mass media il principio attivo della cannabis (delta-9-tetraidrocannabinolo) sarebbe efficace in un gran numero di patologie, le
più varie, dal glaucoma alla sclerosi multipla, dal dolore cronico ai tumori cerebrali, all'epilessia e a molte altre patologie. Una sorta di panacea per tutti i mali, un farmaco universale, cosa che in realtà non appare dai testi scientifici;
la rivista Annals of Internal Medicine edita dall'American College of Physicians ha pubblicato nel 1997 (vol. 126 del 15 maggio 1997, pagg. 791-798) un lavoro dal titolo «Medicinal applications of delta-9-tetrahydrocannabinol and marijuana»;
gli autori hanno preso in esame tutti i lavori più significativi pubblicati tra il 1975 ed il 1996 (la bibliografia allegata è imponente e comprende 92 voci!) sull'uso medico del THC puro (cioè i farmaci) e sulla marijuana. È stato valutato l'uso nella terapia della nausea associata alla chemioterapia antitumorale, il glaucoma, stimolazione dell'appetito nei malati di AIDS e la sclerosi multipla. Le conclusioni degli autori sono che il THC puro è utile per la nausea associata con la chemioterapia nei tumori e, in basse dosi, per la stimolazione dell'appetito nei malati di AIDS. La marijuana ed il THC puro hanno tuttavia effetti tossici che devono essere valutati e confrontati con i benefici terapeutici;
due rassegne bibliografiche sulla autorevole rivista British Medical Journal (Vol. 23, del 7 luglio 2001) realizzate da un gruppo di ricercatori svizzeri ed inglesi, si sono prefisse di valutare, attraverso l'esame degli studi clinici sinora realizzati, l'efficacia dei cannabinoidi nella terapia del dolore e nella terapia della nausea e del vomito indotti dalla chemioterapia antitumorale;
per quanto riguarda la terapia del dolore cronico ed acuto, in 8 dei 9 studi considerati i cannabinoidi si sono rivelati più efficaci del placebo ma non più efficaci della codeina, un analgesico sicuramente non dei più potenti. Inoltre in 6 studi su 9 si sono riscontrati effetti indesiderati ed avversi ai cannabinoidi, in qualche caso severi, dovuti prevalentemente alla depressione del sistema nervoso centrale. Sulla base di questa valutazione gli autori concludono che è improbabile che i cannabinoidi attualmente noti siano in grado di sostituire le terapie del dolore già disponibili;
la seconda rassegna era volta a valutare l'efficacia dei cannabinoidi come antiemetici, vale a dire come farmaci per la prevenzione della nausea e del vomito, nei pazienti sottoposti a chemioterapia. La rassegna ha riscontrato che i cannabinoidi (THC, nabilone e levonantrololo) sono leggermente più efficaci degli antiemetici convenzionali (es. metoclopramide, proclorperazina) e che i pazienti tendono generalmente a preferirli a questi. Anche in questo caso gli effetti indesiderati prodotti dai cannabinoidi (sonnolenza, sedazione, euforia, depressione, paranoia, allucinazioni) sono stati più frequenti che non nel caso di altri farmaci antiemetici di confronto: in 19 studi su 30 il numero di pazienti che hanno interrotto la sperimentazione a causa degli effetti indesiderati è stato significativamente superiore per i cannabinoidi. La conclusione degli autori è che, a fronte della maggiore efficacia, il frequente riscontro di effetti indesiderati, riscontrabili anche nell'impiego a breve termine e per via intramuscolare dei cannabinioidi, limiterà probabilmente la diffusione dell'impiego di queste sostanze nel trattamento della nausea e del vomito indotti dalla chemioterapia;
sullo stesso volume della rivista (British Medical Journal, Vol. 23) viene pubblicato un lavoro del Professor Eija Kalso, della Clinica del Dolore, Dipartimento di Anestesia e terapia intensiva, Ospedale Universitario di Helsinki, in cui si dice che, per la terapia del dolore cronico ed acuto, attualmente esistono farmaci analgesici antiinfiammatori non steroidei molto efficaci, che possono essere somministrati da soli oppure in combinazione con oppioidi;
per questi motivi egli ritiene che non vi sia nessuna necessità dei cannabinoidi per queste indicazioni. Per quanto riguarda, invece, l'applicazione contro la nausea ed il vomito egli ricorda che le
«linee guida» della Società Americana di Oncologia Clinica suggeriscono di usare: ...nessun antiemetico di routine con chemioterapici a basso rischio emetico, un cortisonico con farmaci a rischio emetico intermedio ed una combinazione di un antagonista recettoriale della serotonina e un cortisonico per farmaci ad alto rischio emetico. Questa combinazione è quella che ha mostrato il più alto indice terapeutico! Pertanto, i cannabinoidi attualmente disponibili perdono il confronto con gli altri farmaci sia in efficacia, sia in sicurezza;
anche per quanto riguarda l'efficacia della marijuana nell'epilessia esistono fortissime perplessità. Un lavoro pubblicato sulla rivista Epilepsia Vol. 42 (10), 2001 da parte di un ricercatore del Dipartimento di Neurologia, Psichiatria e Neurochirurgia della New York University School of Medicine dice testualmente: «...le ricerche sugli animali e sull'uomo sull'effetto della marijuana sugli attacchi epilettici sono inconcludenti.»;
alla luce quindi delle conoscenze scientifiche attualmente disponibili non sussistono prove valide sull'efficacia terapeutica dei farmaci a base di tetraidrocannabinolo. Le informazioni sono piuttosto confuse e spesso contraddittorie. Nella letteratura si trovano spesso, accanto a ricerche cliniche controllate e convalidate, studi inutilizzabili per una valutazione corretta ed imparziale. Talvolta si tratta esclusivamente di racconti aneddotici non suffragati da idonea documentazione scientifica;
alcuni ricercatori consigliano di indirizzare la ricerca sul possibile impiego dei cannabinoidi nel trattamento sintomatico del tremore e della spasticità muscolare nei malati di sclerosi multipla o nei pazienti affetti da morbo di Parkinson;
non ci deve essere nessuna preclusione per futuri studi, ricerche o sperimentazioni; occorre tuttavia fare chiarezza anche su cosa si intenda per «ricerca scientifica» o per «sperimentazione»;
tutti gli studi devono essere condotti con criteri oggettivi e verificabili, utilizzando sostanze pure (naturali o sintetiche) somministrate in modo controllato ed in dosi misurate. Solo in tal modo è infatti possibile una corretta valutazione, anche sul piano quantitativo, degli effetti positivi e negativi dei cannabinoidi. Situazione in ogni caso ben diversa da quella di una assunzione incontrollata come quella che si realizza fumando una sigaretta di canapa;
l'accettazione del concetto della validità terapeutica della cannabis sembra costituire per molti in realtà un sistema surrettizio propedeutico alla legalizzazione o liberalizzazione della sostanza. Tutti, infatti, sarebbero autorizzati a coltivarsi liberamente le proprie piantine, adducendo pretesti «terapeutici». In questo periodo è stata riproposta una pesante campagna mediatica a sostegno dell'uso terapeutico della marijuana e dei suoi derivati. È abbastanza evidente che dietro queste campagne ci sia una vera e propria strategia volta alla completa liberalizzazione delle droghe d'abuso;
tutto sembra far parte di una strategia, basta guardare dove è già stata sperimentata, cioè negli Stati Uniti nel 1993: il Presidente esecutivo della «National Organization for the Reform of Marijuana Laws» dichiarava alla stampa: Per realizzare il nostro obiettivo di legalizzare la cannabis entro il 1997, noi dobbiamo chiedere l'accesso immediato alla marijuana per scopi medici!;
questa campagna di legalizzazione cominciava mettendo in giro voci del tipo: la politica repressiva ha fallito, non sono le droghe a rovinare i giovani ma le politiche proibizionistiche a fare danni, con le droghe bisogna imparare a convivere perché tentare di impedire la loro diffusione è ormai una battaglia persa e, infine, la marijuana non solo non fa male ma è anche un farmaco essenziale. Come conseguenza, un referendum condotto in 8 dei 50 Stati degli Stati Uniti ha reso possibile la coltivazione e la vendita per scopi medici della marijuana;
secondo l'interrogante questa politica è la stessa che stanno oggi tentando le
organizzazioni italiane per la liberalizzazione della cannabis. Una strategia inaccettabile, anche per rispetto della dignità di persone già duramente colpite e che non hanno certo bisogno di essere illuse o raggirate in nome di una ideologia -:
quali valutazioni esprima sull'uso terapeutico dei principi attivi della cannabis il ministro interrogato, sulla base delle evidenze scientifiche che devono prevalere su suggestioni prive di effettivi riscontri.
(3-00414)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
DI VIRGILIO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nella giornata di martedì 24 ottobre 2006 sui quotidiani nazionali sono stati riportati alcuni dati forniti da una società scientifica in merito ad un incredibile ed elevato numero di decessi determinati da presunti errori medici e/o da una cattiva organizzazione del sistema sanitario;
i dati riportati hanno suscitato le reazioni di tutto il mondo medico e non solo con dichiarazioni contrarie e contrastanti, determinate, secondo l'interrogante, proprio dal carattere allarmistico scaturito dalle cifre diffuse che non fanno altro che provocare stupore e preoccupazione tra i cittadini, minando in modo irreversibile il rapporto di fiducia tra medico e paziente;
certamente non si può negare la possibilità di errori medici, imprevedibili e comunque sempre involontari, non valutabili secondo le dimensioni allarmistiche diffuse dai dati riportati, ma è necessario ricordare anche le condizioni non ottimali in cui a volte il medico è obbligato a lavorare: organici insufficienti, basse risorse economiche, mancanza di posti lette, eccetera;
altresì va anche sottolineata la qualità del nostro Servizio sanitario nazionale che rischia di essere messa in discussione insieme alla fiducia e alla tranquillità dei cittadini nei confronti della nostra sanità, quando invece va ricordato che l'indice di vita media nel nostro Paese è tra i più alti del mondo e questo anche grazie all'assistenza sanitaria che è di ottimo livello; infatti anche secondo l'organizzazione Mondiale della Sanità l'Italia è al 2 posto come qualità della sanità;
davanti a questo stato di cose, e per non compromettere il rapporto medico-paziente, non si può non approfondire il problema ed avviare una analisi accurata da parte degli specialisti che si occupano di valutare il rischio clinico all'interno delle strutture sanitarie -:
quali provvedimenti il Ministro della salute intenda prendere per accertare in modo inequivocabile quale sia la reale portata del fenomeno, e se intenda o meno istituire un Osservatorio nazionale con la partecipazione di tutte le componenti interessate a questo problema, e quindi rappresentanti dei sindacati medici e degli altri operatori sanitari presenti nelle strutture sanitarie, direttori sanitari, direttori generali, società scientifiche, rappresentanti delle regioni per procedere ad una mappatura che descriva il fenomeno del cosiddetto malpractice o malasanità sul territorio italiano, al fine di portare serenità ai cittadini che di fronte a questi dati sono confusi e sbigottiti.
(5-00406)
DI VIRGILIO e MAZZARACCHIO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
Farmindustria ha comunicato la decisione di sospendere dal gennaio 2007 la sponsorizzazione degli eventi per la educazione continua in medicina (Ecm) in polemica con i tagli dei prezzi dei medicinali a carico delle aziende, decisi dall'Agenzia italiana del farmaco e confermati dalla Finanziaria 2007;
la fase sperimentale dell'Ecm, il cui programma era stato varato dalla Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre 2001, scadrà il prossimo 31 dicembre, benché la Commissione nazionale per la formazione continua abbia sospeso l'accreditamento degli eventi formativi dal 2 ottobre scorso,
e il Ministero della salute non ha ancora varato il nuovo Piano nazionale di formazione;
l'approssimarsi del termine della suddetta fase sperimentale ha causato disorientamento negli operatori impegnati nell'organizzazione degli eventi formativi perché ad oggi non sono in grado di programmare l'attività per il 2007, e nei professionisti sanitari che oggi si chiedono quale utilità avranno i crediti formativi maturati negli ultimi anni -:
quali provvedimenti il Ministro della salute intenda prendere per correggere questo disorientamento generale, e superare questa situazione di stallo per non rendere inutili gli sforzi economici e di tempo profusi in questi ultimi anni dai professionisti sanitari che si sono impegnati a migliorare la propria formazione grazie ai crediti Ecm, e se si ritenga necessario coinvolgere anche gli ordini dei medici e le società scientifiche, fermi restando i compiti esclusivi della Commissione nazionale Ecm e il ruolo prioritario delle Regioni confermato da una sentenza della Corte costituzionale.
(5-00407)
Interrogazioni a risposta scritta:
ZANELLA e PELLEGRINO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in data 7 agosto 2006 il Ministero della Salute, e nella fattispecie l'Ufficio XII responsabile delle questioni attinenti i prodotti vegetali classificati come alimenti, ha disposto la sospensione cautelativa, con il conseguente ritiro dal mercato, di tutti i prodotti contenenti Cimicifuga racemosa (radice); le autorità ministeriali, inoltre, hanno demandato all'Istituto Superiore di Sanità una più precisa valutazione della sicurezza d'uso della sostanza. L'ISS, in attesa di altri studi che chiariscano il meccanismo degli eventi avversi segnalati, ha confermato lo scorso settembre la sospensione dei preparati formulati con Cimicifuga racemosa;
questa pianta, di cui è noto l'impiego tradizionale fra i nativi dell'America del Nord, è ampiamente utilizzata, anche in associazione con altre erbe, in numerosi preparati - integratori, fitoterapici e rimedi omeopatici - soprattutto, ma non esclusivamente, per alleviare i sintomi minori della menopausa;
il provvedimento ministeriale fa riferimento ad un'allerta comunitaria sulla sicurezza della pianta, cita il fatto che la Finlandia ha classificato le formulazioni a base di Cimicifuga fra i medicinali e rimanda a un ampio rapporto dell'Agenzia europea dei farmaco (EMEA) sulla sospetta tossicità della pianta sul fegato;
a seguito di alcune segnalazioni sulla potenziale tossicità della pianta, l'Emea ha redatto tale dossier in cui sono presi in esame 42 casi di epatotossicità, di cui 34 segnalati alle autorità competenti degli Stati membri dell'UE e 8 raccolti in letteratura; solo 16 segnalazioni sono state ritenute sufficientemente documentate per poter valutare un eventuale legame fra l'uso della pianta e il danno epatico; di questi 16 casi, 5 sono stati esclusi e 7 ritenuti non collegati al problema. I restanti 4 casi «presentavano un'associazione temporale tra l'inizio di assunzione del prodotto e l'insorgenza di una reazione epatica» secondo il dossier Emea, ma anche essi sollevano diversi dubbi. In realtà soltanto in 2 casi, di cui 1 solo in Europa, si può stabilire una correlazione, possibile e non certa, fra il danno al fegato e un preparato contenente Cimicifuga;
si è appreso in seguito che proprio uno dei due casi classificato come probabile dall'Emea, e più precisamente quello citato in uno studio del 2005, era in realtà «contraffatto». La notizia arriva dagli Stati Uniti dove una persona, adducendo come prova i gravi effetti collaterali causati da prodotti a base di Cimicifuga, aveva citato in giudizio l'azienda produttrice. In prima battuta la donna aveva negato tanto l'assunzione di farmaci quanto il consumo di bevande alcoliche e in questi termini era stato riportato il suo caso. Nelle testimonianze
rese alla corte è caduta in contraddizione e, alla fine, ha ammesso non solo di fare regolare consumo di vino, ma soprattutto di avere assunto, contemporaneamente alla pianta, anche ibuprofene, eritromicina e un farmaco, in grado di alterare gli enzimi epatici e che include, fra le potenziali reazioni avverse, anche l'epatite, proprio la patologia manifestatasi nella donna. Le nuove dichiarazioni hanno fatto crollare il castello accusatorio e il Tribunale distrettuale, al quale la cittadina statunitense si era rivolta, ha rigettato la sua istanza;
si rileva come fra i casi citati dal rapporto dell'Emea c'era anche quello di una donna che aveva assunto, oltre a Cimicifuga racemosa, anche paracetamolo. Un farmaco antifebbrile noto per la sua tossicità sul fegato e il cui sovradosaggio è la causa più comune di danno epatico acuto, come ha denunciato l'Associazione nazionale dei medici fitoterapeuti (An mfit). Suddetta Associazione, in un suo documento, giudica eccessivo il provvedimento del Ministero della Salute poiché mancano dati scientifici sulla tossicità diretta della pianta, la cui sicurezza ed efficacia sono documentate sulla letteratura internazionale dal 1980, come conferma una monografia dell'Organizzazione mondiale della Sanità redatta nel 2004;
il documento dell'Emea, oltre ad auspicare altre ricerche, non parla di un ritiro dei prodotti;
si evidenzia che in Italia non sono mai emersi effetti collaterali e/o avversi della pianta, nonostante essa sia presente sul mercato da anni in varie formulazioni. Si stima che nel nostro Paese, nel 2005, ne abbiano fatto uso oltre 100.000 donne, mentre sono circa 1,5 milioni le donne europee che stanno utilizzando prodotti a base di Cimicifuga;
l'Italia è l'unico Stato, in Europa e nel mondo, che ha disposto il ritiro dei prodotti. Un ritiro, a giudizio degli interroganti, immotivato sul piano scientifico visto che mancano in letteratura dati sperimentali sull'attività citotossica e/o epatotossica della pianta o di suoi costituenti chimici -:
se il Governo non intenda fare in modo che tale provvedimento di sospensione cautelativa della produzione e della vendita dei prodotti contenenti Cimicifuga racemosa, venga revocato.
(4-01722)
CIOCCHETTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
è stato accertato che il benzene, idrocarburo aromatico, composto tossico altamente cancerogeno in caso di lunga esposizione, si sviluppa nelle bevande analcoliche dalla reazione tra il benzoato di sodio, un conservante in grado di impedire la proliferazione di batteri e micosi, e l'acido ascorbico (vitamina C), nonché da altri fattori concorrenti, quali particolari condizioni di stoccaggio e trasporto e una prolungata esposizione alla luce e al calore, che aumenterebbe notevolmente il livello di cancerogeno presente nelle bevande;
in Italia, la legislazione prevede solo limiti per la presenza di benzene nell'acqua potabile, pari ad un microgrammo per litro, mentre per altre bevande si è in presenza di una vera e propria lacuna normativa, che induce le industrie produttrici a non monitorare i propri prodotti prima della loro immissione nel mercato e soprattutto nell'iter commerciale;
in base ad un'indagine a campione della rivista il Salvagente, condotta insieme all'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, e pubblicata nel numero di settembre del corrente anno, viene dimostrato che in molte bibite vendute sul territorio nazionale si riscontra la presenza di benzene in quantità superiori al limite fissato per l'acqua;
il Ministero della salute, interpellato dai consumatori, si è limitato a dire di essere in attesa di un parere richiesto all'Istituto superiore di sanità;
in base all'articolo 1 comma 2 della legge n. 281 del 1998 si afferma che «ai
consumatori ed agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti alla tutela della salute, alla sicurezza, alla qualità dei prodotti»;
in base alla legge quadro in materia di sicurezza alimentare (Regolamento CE n. 178/02) si riporta all'articolo 7 il principio di precauzione, in base al quale «qualora a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione di incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute»: esso consente quindi di impedire cautelativamente la distribuzione dei prodotti -:
se non ritenga opportuno intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, adottando provvedimenti necessari ed urgenti a salvaguardia del primario diritto alla salute dei cittadini, e in modo particolare dei bambini, che avendo una massa corporea più esigua, sono esposti particolarmente ai danni causati da questa sostanza tossica;
se non ritenga opportuno, nelle more di una maggiore disponibilità di dati scientifici, applicare quel «principio di precauzione», attivarsi perché sia vietata in via cautelativa la diffusione e il consumo di tali bevande;
se infine non ritenga necessario, per garantire in futuro i consumatori, colmare da una parte quel vuoto legislativo che, non ponendo obblighi ai produttori, lascia ad essi ampio margine decisionale, e, dall'altra, monitorare a livello internazionale quali soluzioni siano state adottate.
(4-01730)