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Allegato B
Seduta n. 88 del 19/12/2006
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SALUTE
Interrogazioni a risposta scritta:
LONGHI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'assessorato alla salute della Regione Liguria ritiene che l'ospedale S. Carlo Di Genova-Voltri sia dedicato all'emergenza mentre il Padre Antero di Genova-Sestri all'elezione;
in contraddizione con quanto stabilito sulla carta, il Pronto soccorso dell'ospedale Padre Antero, nonostante le direttive impartite, ha accolto nel 2005 ben 22.489 accessi contro i 22.408 del S. Carlo;
questi dati dimostrano che le direttive sono sbagliate, che servono due pronto soccorsi e le unità operative ad essi collegate;
se chiudesse uno dei due pronto soccorso l'altro, non reggerebbe e se una parte degli utenti del Padre Antero migrasse verso l'ospedale di Villa Scassi di Genova Sanpierdarena, anche questo non riuscirebbe ad accogliere più utenti di quanti abbia finora recepito, con una situazione aggravata dalla chiusura dell'ospedale Celesta di Genova-Rivarolo;
l'annunciata chiusura della chirurgia generale del Padre Antero, con l'attuale chiusura delle due nuove sale operatorie per infiltrazioni d'acqua piovana dal soffitto, secondo l'interrogante, per incapacità manifesta dell'Assessorato e della direzione della AUSL n. 3 genovese a riparare
un banale guasto, le trascorse chiusure di ostetricia, urologia, ortopedia indicano la chiara tendenza di privare i cittadini di Genova-Sestri e del ponente di servizi essenziali -:
se risulta vero che la Regione Liguria, dopo le elezioni amministrative della prossima primavera a Genova, intenda chiudere per 12 ore quotidiane il pronto soccorso del Padre Antero e trasferire all'ospedale S. Carlo l'Unità Terapeutica Intensiva Cardiologia e la Neurologia;
se così ridotto l'ospedale Padre Antero continuerà, a garantire i livelli essenziali di assistenza (Lea);
se non sarebbe più opportuno, per abbattere i costi della sanità, chiudere il poliambulatorio Pammatone, che è un servizio territoriale gestito da un'azienda ospedaliera, qual è l'ospedale regionale S. Martino, e per il quale si paga un fitto passivo sia per l'immobile che per i beni mobili.
(4-02010)
PORETTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
ogni anno in Italia, circa 320.000 malati, il 4 per cento degli oltre 8 milioni di ricoverati in ospedali pubblici e privati, subiscono danni evitabili, in seguito alle cure ricevute, per errori medici oppure per eventi avversi correlati alla degenza;
secondo statistiche recenti del Censis, del Cnel e del Tribunale per i diritti del malato, sarebbero 32.000 i morti per errori sanitari, mentre le aree mediche dove maggiori sono i rischi di incorrere in errori diagnostici o terapeutici sono quelle di ortopedia e traumatologia, dove si concentra il 16,5 per cento dei sospetti, seguite da oncologia con il 13,5 per cento, ostetricia e ginecologia con il 10,8 per cento, chirurgia generale con il 10,6 per cento;
all'interrogante è stato segnalato il caso della signora Enza Sardellitti, deceduta in data 23 febbraio 2005 presso il Policlinico Gemelli di Roma, dove esimi specialisti non hanno potuto far nulla per sottrarla alla morte, nonostante i disperati tentativi si siano protratti per oltre venti giorni;
il calvario della signora Sardellitti iniziò circa un mese prima con il ricovero presso la Casa di Cura privata «S. Teresa» di Isola del Liri, provincia di Frosinone, dove, secondo la perizia del prof. Luigi Masoni, professore presso la Scuola di specializzazione in Chirurgia generale dell'Università «La Sapienza» di Roma, sarebbero stati commessi una serie di gravi errori diagnostici, terapeutici e chirurgici che avrebbero condotto la paziente alla morte;
a quanto risulta nella perizia, la paziente venne ricoverata il giorno 21 gennaio 2005 per coliche addominali e venne sottoposta ad ecografia che dimostrò la presenza di liquido libero in addome ed anse distese del liquido;
il giorno successivo al ricovero, un emocromo visualizzò un aumento dei globuli bianchi, da infezione batterica;
venne iniziata una terapia antibiotica empirica con cefalosporine e la paziente fu di nuovo sottoposta ad ecografia con risultato sostanzialmente invariato rispetto al giorno precedente;
in realtà, così come la perizia attesta, un semplice esame RX diretta addome sarebbe stato utile per verificare la presenza di uno stato occlusivo o di aria libera in addome, segno di eventuale perforazione;
nelle due giornate successive non vennero effettuati accertamenti mentre, a distanza di quattro giorni dal ricovero, il 25 gennaio 2005, la paziente venne sottoposta a TAC addome con metodo di contrasto, che confermò la persistenza del versamento addominale e sospetta diverticolosi del sigma;
lo stesso giorno, le condizioni della paziente si aggravarono per l'insorgenza di
una reazione allergica ai farmaci, per cui le vennero somministrati cortisonici continuati anche nei giorni successivi;
dal 27 gennaio 2005, ricomparve uno stato sub-febbrile e si riprese la somministrazione di antispastici ed antidolorifici;
il giorno successivo, i globuli bianchi erano di nuovo in aumento e lo stato nutrizionale della paziente cominciava a deteriorarsi;
nei due giorni successivi, nonostante l'aggravarsi delle condizioni generali della paziente, non vennero eseguiti ulteriori accertamenti strumentali, continuando la semplice osservazione clinica;
fino a questo punto, secondo la perizia, la gestione della paziente sembra orientata al semplice trattamento delle situazioni cliniche che man mano si presentarono, senza una linea di condotta programmatica;
a undici giorni dal ricovero, le condizioni generali della paziente si aggravarono ulteriormente, tanto che si decise di effettuare un intervento chirurgico esplorativo;
durante l'operazione, si evidenziò una peritonite diffusa con pus ed un segmento di ansa intestinale necrotico di 15 centimetri, che venne correttamente resecato;
l'esame istologico del segmento asportato depose per infarto intestinale e i depositi fibrinosi sulla parte deposero per un evento non recente;
nella perizia si legge che «l'intestino non era perforato né vi è descrizione di perforazione sul registro operatorio. L'infarto intestinale può determinare peritonite anche purulenta per traslocazione batterica attraverso la parete malacica anche prima che avvenga una vera e propria perforazione. In mancanza di descrizione dello stato dei vasi mesenterici del segmento asportato, vista la congestione vasale e gli stravasi, è ipotizzabile quale causa dell'evento una trombosi venosa oppure una NOMI (non occlusive menseterica ischemia);
non si capisce quindi perché, dice la perizia, nonostante la descrizione dell'intervento parli correttamente di necrosi segmentarla di ansa ileale, successivamente la paziente venga classificata come operata di perforazione di diverticolo di Meckel, evento che prevede ben altra patogenesi e ben altre implicazioni;
l'identificazione preoperatoria di una necrosi di un segmento così breve di piccolo intestino prima della perforazione è clinicamente assai improbabile e pressoché impossibile con le tecniche strumentali d'immagine quali TAC, ecografia, risonanza magnetica nucleare (RMN) e, volendo, anche con angiografia;
solo il ragionamento, sostiene la perizia, sulla persistenza dei dolori addominali con diarrea e vomito, l'aumento dei globuli bianchi, in assenza di altri reperti a livello addominale, può portare al sospetto di una sofferenza ischemica addominale che impone una rapida verifica laparotomica o laparoscopica;
nella cartella clinica, le condizioni dell'addome della paziente, successivamente alla prima visita al ricovero, non furono più annotate, fino al giorno 31 gennaio 2005 quando si verificò «l'addome acuto»;
per quanto riguarda l'atteggiamento seguito nel decorso postoperatorio è quanto meno peculiare che, in una paziente operata per peritonite purulenta, l'infezione venisse trattata con una monoterapia antibiotica (gentamicina endovena) assolutamente insufficiente nel caso in questione;
inoltre, la scarsa quantità di secrezione raccolta dai drenaggi fin dalla prima giornata postoperatoria (da 0 ad un massimo di 50 cc) avrebbe dovuto far nascere il sospetto circa la pervietà o la correttezza del posizionamento degli stessi;
le condizioni della paziente continuarono invece a deteriorarsi e la conta dei globuli bianchi deponeva per la persistenza di uno stato infettivo. L'aumento della bilirubina diretta, registrato già nella prima giornata postoperatoria, rappresentava un'alterazione assolutamente poco comune dopo un intervento di resezione intestinale, che vede, tra le poche cause possibili, l'assorbimento diretto della bile attraverso una perforazione intestinale libera in addome;
nessun accertamento strumentale, dice la perizia, veniva invece eseguito, anche soltanto per giustificare la mancata ripresa della paziente dopo un intervento che doveva e poteva essere risolutivo;
inoltre, l'ipotesi eziopatogenetica dell'infarto intestinale della signora Sardellitti (da trombosi venosa) avrebbe imposto una terapia con eparine a basso peso molecolare, non solo per prevenire un'eventuale trombosi venosa profonda, visto che la paziente aveva già subito un allettamento prolungato (10 giorni) ed aveva una peritonite diffusa, ma anche per prevenire le condizioni predisponenti l'infarto intestinale stesso;
l'uso di questi presidi, sostiene la perizia, nelle condizioni della paziente in oggetto, rappresenta una delle più elementari norme di prevenzione degli eventi trombotici postoperatori;
il 3 febbraio 2005, venne aggiunto un altro antibiotico (Ceftriazone) in monosomministrazione. Il giorno 4, la paziente venne trasfusa, nonostante il valore dell'emoglobina pari a 11,3 gr. per cento non lo richiedesse, senza che si somministrasse mai un supporto nutrizionale supplementare ed albumina, visto che nella paziente il valore era ormai inferiore ai 2 gr. per cento;
l'équipe medica si limitò a richiedere trasferimento in terapia intensiva per stato dismetabolico postoperatorio senza specificarne la natura, né la causa;
la sera del 4 febbraio 2005, la paziente giunse al pronto soccorso del Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma, dove al medico di guardia fu subito evidente il grave quadro addominale della paziente, compatibile con una condizione, invero mai cessata, di addome acuto con peritonite;
venne richiesta d'urgenza una TAC all'addome che dimostrò la presenza abbondante di liquido raccolto in addome con aria libera, segno inequivocabile di perforazione intestinale;
la paziente venne trasferita d'urgenza in sala operatoria dove l'équipe chirurgica, una volta rimosse le garze a copertura, assistette alla fuoriuscita spontanea di liquame (materiale purulento misto a feci liquide) dalla pregressa incisione chirurgica;
da notare, invece, che dai drenaggi, come annotato dal medico di guardia del Pronto Soccorso del Policlinico Gemelli, continuava a fuoriuscire materiale sieroso, segno evidente di una loro ostruzione o dislocazione;
alla riapertura dell'addome, la peritonite risultò essere gravissima, fecaloide, con raccolte plurime in tutti i recessi declivi dell'addome e causata dalla parziale deiscenza (cioè riapertura) della cucitura eseguita in precedenza sull'intestino tenue (anastomosi);
ulteriore segno dell'infezione addominale non recente era rappresentato dal fenomeno di necrosi dei tessuti sottocutanei e muscolari raggiunti dall'infezione che addirittura impediva la chiusura della parte addominale che non potè mai essere richiusa per il persistere dell'infezione;
il 23 febbraio 2005, per il sopraggiungere di complicanze vascolari (trombosi vena mesenterica superiore) e respiratorie, la signora Enza Sardellitti morì;
le conclusioni della perizia del prof. Luigi Masoni parlano di negligenza nell'approfondimento diagnostico, imprudenza nel gestire con la sola osservazione clinica una condizione di dolore addominale persistente, carenza di accertamenti
strumentali eseguiti, gravoso ritardo nella decisione di sottoporre la paziente ad intervento chirurgico, negligenza nell'essersi limitati ad osservare, senza eseguire alcun accertamento strumentale, il continuo decadere delle condizioni della paziente nonostante l'intervento eseguito potesse, in linea teorica, considerarsi risolutivo e, infine, negligenza nella gestione globale del decorso postoperatorio dove sono stati negati alla paziente, che pure li necessitava, gli elementari principi antinfettivi e di supporto nutrizionale atti a superare la fase peritonitica;
infine, in occasione della richiesta di trasferimento al Policlinico Gemelli, errata classificazione della paziente in grave fase settica, come affetta da «disturbi metabolici postoperatori da pregresso intervento per diverticolo di Meckel perforato», quasi che l'équipe della clinica «S. Teresa» non avesse presenziato l'intervento chirurgico o non avesse gestito la paziente per ben 2 settimane -:
se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno avviare un'indagine per verificare se quanto riportato nell'accurata perizia del prof. Luigi Masoni corrisponda al vero;
se, visto il ripetersi di casi analoghi, non intenda istituire un osservatorio sui rischi sanitari ed un database nazionale degli errori medici, strumenti ancora assenti in Italia, per evitare morti inutili, e non criminalizzare una categoria professionale come quella medica, che oggi giorno, con grande sacrificio della propria vita, si prende cura della salute degli italiani;
se non ritenga opportuno valutare una serie di iniziative per favorire la segnalazione spontanea degli errori, per creare la cultura della sicurezza basata sulla prevenzione, e realizzare un sistema di individuazione e correzione delle situazioni a rischio errori (personale, strutture, turni);
se non concordi sul fatto che, nell'ambito della gestione del rischio, il Clinical risk management (CRM), possa rappresentare un efficace sistema organizzativo che possa contribuire a definire l'insieme delle regole aziendali e il loro funzionamento il cui scopo principale è quello di creare e mantenere la sicurezza dei sistemi assistenziali.
(4-02014)
DELLA VEDOVA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in base al Testo Unico delle disposizioni concernenti l'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, tutti i cittadini stranieri, non comunitari, che si trasferiscono in Italia, per brevi o lunghi periodi, allo scopo si esercitare una professione sanitaria devono essere in possesso di un titolo abilitante all'esercizio professionale riconosciuto dal Ministero della salute;
il relativo regolamento di attuazione stabilisce le modalità, le condizioni ed i limiti temporali per l'autorizzazione all'esercizio delle professioni sanitarie e per il riconoscimento dei relativi titoli abilitanti non ancora riconosciuti in Italia (decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394);
nell'agosto del 2005 il dottor Jacob Beniamin Gordon, cittadino israeliano laureato in Medicina in Italia e residente nel nostro Paese, chiedeva - attraverso l'opportuna modulistica - al Ministero della Salute la convalidazione della specializzazione in Psichiatria, conseguita in Israele;
la convalidazione è un atto necessario per l'esercizio nel nostro Paese della professione sanitaria svolta dal dottor Gordon;
nel dicembre 2005 i documenti necessari per la convalida presentati dal dottor Gordon venivano esaminati da una commissione interna al Ministero della Salute, la quale subordinava il riconoscimento del titolo al richiedente al sostenimento di un esame clinico-teorico, senza tuttavia specificare la data o la sede della prova;
nel febbraio 2006 il Ministero inviava al dottor Gordon una comunicazione con la quale veniva confermata la subordinazione della convalidazione del titolo al sostenimento dell'esame, rinviando ad una successiva comunicazione i dettagli dello stesso;
da quel momento, nonostante le continue sollecitazioni telefoniche agli uffici competenti, il richiedente non riceveva alcuna risposta o informativa sullo stato della sua pratica;
nell'estate 2006, dopo l'ennesima richiesta scritta di informazioni da parte del dottor Gordon, il Ministero si limitava a inviargli conferma della ricezione della richiesta stessa, senza fornire alcuna informazione sull'esame da sostenere;
i sedici mesi trascorsi dall'inizio della vicenda hanno provocato un danno professionale e morale al dottor Gordon, il quale - in possesso di tutti i requisiti previsti dalla normativa - si trova costretto ad attendere non già l'approvazione della sua richiesta di convalidazione, ma la fissazione di una data e di una sede per l'esame teorico-pratico cui il Ministero ha subordinato la convalidazione -:
se sia a conoscenza del caso specifico e se i ritardi siano imputabili a problemi tecnico-organizzativi degli uffici (carenze di personale o di risorse) o se sia invece, ravvisabile un colpevole ritardo e, comunque, entro quale termine saranno fissate la data e la sede per l'esame teorico-pratico di cui alla premessa;
se, in caso di responsabilità non sia opportuno intraprendere un'azione disciplinare ai danni dei responsabili;
se sia stata realizzata una valutazione delle procedure seguite dal Ministero per l'autorizzazione all'esercizio delle professioni sanitarie e per il riconoscimento dei relativi titoli abilitanti non ancora riconosciuti in Italia.
(4-02020)
ZANELLA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il Ministero della Salute sta per approvare, tramite l'Istituto Superiore di Sanità, la registrazione del metilfenidato (Ritalin) come farmaco destinato ai bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni, e la sua distribuzione gratuita a spese del servizio sanitario nazionale (in altri termini, senza poter scegliere, lo pagheranno tutti i cittadini con le tasse);
l'introduzione in Italia di questo farmaco appare come una grave minaccia per la salute fisica e psichica di migliaia di bambini e adolescenti, in diretta relazione ai gravi effetti collaterali registrati all'estero con l'utilizzo dei farmaco sia in dose d'abuso sia a normale dosaggio terapeutico;
il metilfenidato serve solo a temporaneamente risolvere i sintomi dell'ADHD, «Sindrome da deficit di attenzione e iperattività». Tale disagio del comportamento, comparso nel «Manuale Diagnostico e Statistico per Malattie Mentali» (DSM) nel 1980, che è un volume redatto a pubblicato non da un'organizzazione pubblica bensì da un'associazione privata americana (l'APA), si diagnostica con un test (Scala Insegnanti, Modificato da: DMS IV APA 1995 e Scale SDAG Cornoldi, Gardinale, Masi, Pettenò 1996) basato su 9 domande circa comportamenti molto comuni in tutti i minori, come quella che indaga se, ad esempio, il bambino «evita, non gli piace o è riluttante ad affrontare impegni che richiedono uno sforzo mentale continuato (come i compiti di scuola)»; osservando il punteggio attribuito alle possibili risposte si evince come tale griglia di valutazione sia decisamente ampia (mai-0, qualche volta= 1, spesso= 2, molto spesso= 3 con presenza della malattia per ogni punteggio uguale o superiore a 14), con il risultato che molti minori italiani rischiano di venir «etichettati» come «malati»;
secondo il Ministero della Salute il metilfenidato fa parte della tabella I delle sostanze stupefacenti e psicotrope, insieme a sostanze come morfina ed oppiacei (cocaina ed eroina), barbiturici, benzodiazepine
(diazepam, flunitrazepam, lorazepam, ecc), amfetamine anoressizzanti (amfepramone, benzamfetamina); il metilfenidato si trova nella sezione A (la tabella I è suddivisa in cinque sezioni indicate con le lettere A, B, C, D ed E dove sono distribuiti i farmaci in relazione al decrescere del loro potenziale di abuso);
l'esistenza dell'ADHD è messa in dubbio da numerosi esperti (anche in Italia, si veda la Consensus Conference tenutasi all'Ospedale Molinette nel maggio 2005), che non solo sottolineano la totale assenza di prove scientifiche denunciando che i bambini vengono drogati per risolvere problemi che andrebbero superati in termini pedagogici, ma lanciano anche l'allarme per la nocività dei farmaci utilizzati per «curarla»; come riportato dallo stesso foglietto illustrativo del Metilfenidato-amfetamina (Ritalin - della casa farmaceutica multinazionale Novartis), «...un'adeguata eziologia di questa sindrome è sconosciuta e non esiste un'analisi clinica in grado di diagnosticarla». Già nel 1998, del resto, una commissione di esperti statunitensi ha trovato che il metodo corrente per diagnosticare l'ADHD si è rivelato elusivo, cioè «non conclusivo», una formulazione «diplomatica» per dire che non è stato appurato, in sede scientifica se quest'insieme di sintomi, classificati come ADHD, sia effettivamente rilevante sotto il profilo patologico o no, e per quali motivi;
ufficializzata come malattia mentale nel 1980 dall'American Psychiatry Association l'ADHD, in pochi anni è stata trasformata in una vera e propria epidemia: negli Stati Uniti le diagnosi di ADHD sono passate dalle 150 mila del 1970 ai 4 milioni e 500 mila nel 1997. Malgrado le incertezze circa (eziologia e l'efficacia della cura, il consumo di metilfenidato è cresciuto dal 1990 a oggi dell'800 per cento (Moynihan 2005);
il fenomeno è in rapida crescita anche fuori dagli States, infatti in un rapporto del 23 febbraio 1999 il Consiglio Internazionale per il Controllo dei Narcotici (INCB) ha lanciato un preoccupato allarme: l'uso di sostanze eccitanti, metilfenidato, per la cura dell'ADHD è aumentato di un sorprendente 100 per cento in più di 50 paesi. In molti paesi - Australia, Belgio, Canada, Germania, Islanda, Irlanda, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Spagna e Regno Unito - l'uso delle sostanze stupefacenti potrebbe raggiungere livelli alti quanto quelli degli Stati Uniti, che al momento consumano più dell'85 per cento della quantità totale mondiale. Il Consiglio si appella affinché le nazioni valutino la possibile sovrastima dell'ADHD e frenino l'uso eccessivo del metilfenidato;
i pazienti trattati con questa droga, che all'inizio degli anni Novanta erano per la maggior parte studenti della scuola elementare includono ora un numero crescente di bambini, adolescenti ed adulti. Negli Stati Uniti, è stata diagnosticata l'ADHD nei bambini di appena un anno;
le responsabilità delle istituzioni scolastiche americane in questa tragica intossicazione di massa dei bambini sono state determinanti. Nel corso degli anni Ottanta le opportunità offerte dal programma governativo per l'istruzione speciale (ottenuto nel 1978 dopo decenni di battaglie da parte della società civile per garantire ai ragazzi disabili l'accesso alla scuola pubblica) si sono trasformate in un grande affare per le scuole, grazie ai fondi federali assegnati ad ogni istituto in base al numero di studenti diagnosticati come portatori di handicap e bisognosi di programmi di educazione speciale;
il metilfenidato è diventato uno dei migliori affari del mercato farmaceutico americano: secondo la DEA (Drug Enforcement Agency), l'organismo incaricato della lotta contro la droga, dal 1990 al 1995 le prescrizioni di Ritalin sono aumentate del 600 per cento, con un giro d'affari valutato sui 2 miliardi di dollari; non a caso le due ditte produttrici delle sostanze per la cura del disturbo, Eli Lilly e Novartis conducono studi e, attraverso i loro siti internet, campagne di informazioni sull'ADHD. Eli Lilly ha finanziato
due studi dell'IRCCS Medea, che hanno ricevuto anche fondi dal Ministero per la Salute nella precedente legislatura: «ADHD: impatto sociale ed economico della malattia. Ricerca osservazionale retrospettiva e multicentrica per valutare l'impatto sociale ed economico dell'ADHD in Italia» e «Studio osservazionale sul disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività in Europa». Novartis commercializza il metilfenidato (fuori brevetto e ritirato dall'Italia, nel 1989, per ragioni commerciali), e recentemente ha ottenuto dall'FDA il permesso di vendere un suo enantiomero, il destrometilfenidato (che ha una durata d'azione più lunga rispetto alla molecola originale); mentre Eli Lilly dal 2003 propone negli USA l'atomoxetina, studiato per diventare farmaco di prima scelta nella terapia dell'ADHD, ma responsabile, secondo l'FDA, di gravi danni epatici ed ispirazione di idee suicidarie nei minori, effetti collaterali non emersi o non pubblicizzati durante la fase di sperimentazione;
in uno studio della DEA (ente governativo USA) si legge: «all'uso prolungato di metilfenidato sono stati associati episodi psicotici, illusioni paranoiche, allucinazioni e comportamenti anomali, simili alla tipica tossicità delle anfetamine. Sono state riportate gravi conseguenze fisiche e la possibilità di morte». (Terrance Woodworth, DEA Congressional Testimony before the Committee on Education and Workforce: Subcommitee on Erly Childhood, Youth and Families, 16 May 2000);
anche senza abusi di somministrazione, gli effetti collaterali di questa sostanza includono: «cambiamenti di pressione sanguigna, angina pectoris, perdita di peso, allucinazioni, psicosi tossica. Durante la fase di astinenza c'è la possibilità di suicidio» (Physicians' Desk Reference, Medical Economics Company, New Jersey, 1998, pag. 1896-1897; DSM III edizione); il metilfenidato può provocare, in chi lo assume regolarmente, gravi disturbi psichici, che a loro volta determinano la prescrizione aggiuntiva di sonniferi e altri psicofarmaci; uno studio retrospettivo di cinque anni condotto da Cherland e Fitzpatrick nel 1999 su bambini diagnosticati con ADHD e trattati con psicostimolanti ha riscontrato che più del 9 per cento di loro ha sviluppato allucinazioni e paranoia, cessate con (interruzione della somministrazione del farmaco; prima di questa ricerca la comparsa di psicosi nei consumatori di queste droghe era valutata intorno all'1 per cento e tali psicosi erano ritenute latenti e non farmacoindotte;
secondo quanto affermato da «Giù le Mani dai Bambini», il più rappresentativo Comitato italiano con focus sui disagi dell'infanzia che raggruppa più di cento associazioni di volontariato e promozione sociale, le quali rappresentano tramite i propri iscritti oltre 8 milioni di italiani, il numero di ricoveri in rianimazione per uso di metilfenidato di ragazzi dai 10 ai 14 anni, si è moltiplicato per 10 dal 1990 al 1995, raggiungendo il livello dei casi di ricovero d'emergenza da cocaina per la stessa fascia di età; i decessi causati dal Ritalin in USA sarebbero stati 160 dal 1990 al 1997;
uno studio dell'Università di Berkeley afferma che i bambini trattati con il Ritalin hanno un rischio tre volte maggiore degli altri di diventare tossicomani, un altro - molto recente - che, anche a normale dosaggio terapeutico, triplica il rischio cancro e di alterazioni cromosomiche nei bambini trattati;
recentemente in Canada, Australia, Giappone e Nuova Zelanda è stato proibito non solo il metilfenidato, ma tutti i psicofarmaci ai minori di 18 anni. Negli USA, dopo gravi casi di bambini morti per crisi cardiache o suicidi indotti da psicofarmaci, una legge ora stabilisce che su tutte le confezioni di queste sostanze appaia ben grande e chiara una scritta con un avvertimento dei pericoli che si corrono con la loro assunzione. Inoltre, prima di somministrare tali sostanze, il medico dovrà ottenere il consenso informato dal paziente;
negli USA l'azienda che produce il Ritalin è stata portata in tribunale, accusata
da migliaia di famiglie di aver complottato per spingere la gioventù americana al consumo di psicofarmaci. Così, in quattro stati americani sono in corso altrettante cause collettive. La tesi dell'accusa, guidata da un noto avvocato, Andrew Waters (già assurto agli onori della cronaca per le sue cause, vinte, contro le industrie del tabacco), è che l'azienda farmaceutica avrebbe cercato di assicurarsi i favori di importanti associazioni. In primis, l'American Psychiatric Association, ma sarebbe coinvolta anche la Children and Adult with Attention Deficit Disorder (CHADD), una associazione di genitori di bambini iperattivi;
nel 2002 la Commissione Olandese per la Pubblicità ha ordinato di cessare la pubblicità che descriveva l'ADHD come un disturbo neurobiologico o genetico in quanto ingannevole, perché non ci sono prove scientifiche a sostegno di questa tesi;
in cinque anni esaminati (1997/2002) in Italia, secondo dati statistici elaborati da un ente indipendente, la prescrizione di psicofarmaci ai bambini è aumentata addirittura del 280 per cento, a ritmo doppio rispetto agli USA, come affermato dalla campagna di farmacovigilanza italiana più importante, portata avanti da «Giù le Mani dai Bambini»; l'AIFA sostiene a sua volta che - successivamente a tale non contestato incremento - ci sia stata una flessione nelle prescrizioni del 55 per cento, ma non è certo questo a rasserenarci, dal momento che la recente autorizzazione EMEA che abbassa l'età per la prescrizione di potenti antidepressivi da 18 ad 8 anni porterà ad un quasi immediato nuovo incremento nei consumi. Sono da 30 mila a 50 mila i bambini italiani che già oggi assumono psicofarmaci, secondo uno studio del «Mario Negri» pubblicato su una prestigiosa rivista scientifica che sottolinea come si tratti della punta di un iceberg visto che il dato è fortemente sottostimato; per questo esiste il fondato timore che genitori e insegnanti, di fronte alle difficoltà di apprendimento o di comportamento dei bambini, valutando in modo inappropriato normali comportamenti infantili, siano indotti a chiedere una risposta farmacologica, anziché affrontare e risolvere le dinamiche relazionali familiari ed extrafamiliari;
si stanno aprendo in Italia, su tutto il Territorio 82 Centri per la somministrazione di psicofarmaci ai bambini «iperattivi», con il probabile risultato che piccoli consumatori di oggi rischiano di diventare adulti farmaco-dipendenti a causa del materialismo sanitario incentrato su una soluzione solo farmacologica anche di problemi che attengono alla sfera psichica ed emozionale;
«Giù le Mani dai Bambini» ha svolto un sondaggio fra 1600 italiani dai 16 ai 65 anni di età chiedendo il loro parere sull'uso degli psicofarmaci ai bambini. Il 97 per cento ha detto «no» all'uso degli psicofarmaci per risolvere i disagi psichici dei minori. Il 97,1 per cento ha detto che le diagnosi fatte oggi con i questionari non sono affidabili -:
se il Governo sia a conoscenza di tutti gli sviluppi della già tristemente nota questione della somministrazione di psicofarmaci ai minori, della sua crescita esponenziale e dei rischi che comporta, come sopra illustrato;
se il Ministro della Salute non ritenga necessario, prima di decidere se rendere possibile la commercializzazione di un simile farmaco, effettuare studi in grado di definire criteri diagnostici appropriati, valutare l'effettiva efficacia del metilfenidato nonché acquisire dati di sicurezza a breve e lungo temine nei piccoli pazienti italiani;
se, come richiesto per iscritto in un appello scritto indirizzato al Ministro della Salute da «Giù le Mani dai Bambini», in rappresentanza di oltre 240.000 addetti ai lavori del settore della salute che ne hanno sottoscritto le tesi, il Governo, rispetto ad un problema di questa portata, non consideri appropriato approfondire il fenomeno delle prescrizioni indiscriminate di psicofarmaci ai bambini, istituendo un tavolo di approfondimento e discussione ed allo stesso tempo avviando un rafforzamento
concreto di tutte le strade alternative alla medicalizzazione, con un'informazione alle famiglie davvero completa sui gravi rischi potenziali derivanti dalla somministrazione di psicofarmaci ai bambini ed adolescenti e un eventuale uso del «black box», il riquadro nero sulle confezioni - come quello adottato per le sigarette - già adottato negli Stati Uniti con l'evidenza degli effetti collaterali più pericolosi;
se il Governo non ritenga necessario fare in modo che la regolamentazione di questi prodotti in Italia sia stringente al livello dei più avanzati paesi civili.
(4-02023)
SGOBIO, DILIBERTO, CANCRINI e VACCA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
da un esposto presentato in data 12 dicembre 2006 al Tribunale di Milano risulta che da un confronto fra la lista dei cittadini residenti nella Regione Lombardia e quella degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale nel 2003 si è reso evidente che persone ormai decedute da molti anni per l'anagrafe risultavano invece ancora vive e quindi titolari del diritto all'assistenza sanitaria per la Regione;
nel 2003 l'elenco degli assistiti per cui la Regione Lombardia chiedeva soldi conteneva, solo a Milano, 850 ultracentenari, tre dei quali avrebbero avuto più di 120 anni e 79 dei quali avrebbero oggi più di 110 anni mentre secondo l'Istat i centenari a Milano al 31 dicembre 2003 erano 285;
probabilmente questo sistema di ritardi nella cancellazione dei defunti dalle liste degli assistiti è proseguito anche negli anni 2004 e 2005;
il sistema sanitario lombardo ha continuato a richiedere fondi per persone defunte sia allo Stato tramite i trasferimenti, sia ai cittadini in quanto pagatori di tributi, sia ai cittadini al momento delle prestazioni in quanto pagatori diretti di ticket;
tutti questi ritardi nella cancellazione dalle liste degli assistiti avrebbero determinato, secondo calcoli ancora approssimativi, un maggiore introito ed un corrispondente danno all'Erario, di 550 milioni di euro già al giugno 2003 -:
quali interventi ispettivi il Ministro della Sanità intenda attuare ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 528 del 1987 e dell'articolo 1, comma 172, della legge n. 311 del 2004, per verificare qual'è la situazione attuale della Sanità in Lombardia.
(4-02026)