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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 107 di lunedì 12 febbraio 2007
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI
La seduta comincia alle 16.
TEODORO BUONTEMPO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 5 febbraio 2007.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Albonetti, Amato, Bersani, Bimbi, Bindi, Boco, Bonino, Cento, Cesa, Chiti, Colucci, D'Antoni, Damiano, De Castro, De Piccoli, Fioroni, Folena, Forgione, Franceschini, Galante, Gentiloni Silveri, Landolfi, Lanzillotta, Letta, Levi, Melandri, Meloni, Meta, Minniti, Leoluca Orlando, Pagliarini, Parisi, Pecoraro Scanio, Pisicchio, Pollastrini, Prodi, Ranieri, Rigoni, Rutelli, Santagata, Sgobio e Visco sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato, in data 7 febbraio 2007, ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per le questioni regionali il senatore Salvatore Allocca, in sostituzione della senatrice Maria Celeste Nardini, dimissionaria.
Discussione del disegno di legge: Differimento del termine per l'esercizio della delega di cui all'articolo 4 della legge 1o febbraio 2006, n. 43, recante istituzione degli Ordini delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione (A.C. 1609) (ore 16,04).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Differimento del termine per l'esercizio della delega di cui all'articolo 4 della legge 1o febbraio 2006, n. 43, recante istituzione degli Ordini delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1609)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, deputato Grassi, ha facoltà di svolgere la relazione.
GERO GRASSI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli deputati, signori sottosegretariPag. 2di Stato, l'articolo 1 del provvedimento in esame proroga di dodici mesi il termine previsto dall'articolo 4 della legge n. 43 del 2006 per l'esercizio della delega per l'istituzione degli ordini e albi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, da attuarsi attraverso uno o più decreti legislativi. In particolare, la norma in esame proroga al 4 settembre 2007 il termine per l'esercizio della suddetta delega, scaduto il 4 settembre 2006. L'articolo 2 stabilisce l'entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
La legge n. 43 del 2006 detta nuove regole in materia di professioni sanitarie non mediche e conferisce una delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali. La norma dispone, altresì, l'istituzione di nuove professioni in ambito sanitario ed obblighi inerenti la formazione permanente e continua del personale sanitario.
Per quanto riguarda la formazione professionale, tra i requisiti essenziali previsti per l'esercizio delle suddette professioni sanitarie è richiesta un'abilitazione rilasciata dallo Stato, nel rispetto della normativa europea in materia di libera circolazione delle professioni, in seguito al superamento di specifici corsi universitari, da istituire con uno o più decreti del ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con quello della salute. I corsi sono svolti, in tutto o in parte, presso le aziende e le strutture del Servizio sanitario nazionale - inclusi gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico - individuate con accordi tra le regioni e le università.
Inoltre, per il personale sanitario laureato è prevista la seguente articolazione, conseguente ai vari titoli accademici posseduti: professionisti in possesso del diploma di laurea o del titolo universitario conseguito anteriormente all'attivazione dei corsi di laurea o di diploma ad esso equipollente; professionisti coordinatori in possesso del master di primo livello in management o per le funzioni di coordinamento rilasciato dall'università; professionisti specialisti in possesso del master di primo livello; professionisti dirigenti in possesso della laurea specialistica, con esperienza professionale dipendente quinquennale, oppure ai quali siano stati conferiti incarichi dirigenziali.
La legge consente l'istituzione di nuove professioni in ambito sanitario, operanti su tutto il territorio nazionale, da individuare attraverso direttive comunitarie, ovvero su iniziativa dello Stato o delle regioni, in considerazione degli obiettivi stabiliti dal piano sanitario nazionale o dai piani sanitari regionali, che non trovino già rispondenza in professioni già riconosciute, collocate comunque nelle citate quattro aree professionali. In particolare, le nuove figure professionali sono riconosciute mediante accordi, in sede di Conferenza permanente Stato regioni, che individuano il titolo professionale e l'ambito di attività di ciascuna professione. La loro individuazione è subordinata ad un parere tecnico-scientifico, espresso da apposite commissioni nominate dal ministro della salute ed operanti presso il Consiglio superiore di sanità.
Per quanto concerne l'istituzione di ordini professionali, la legge afferma che il provvedimento istituisce gli ordini e gli albi delle professioni sanitarie esistenti e di quelle di nuova configurazione; a tal fine, l'articolo 4 conferisce una delega al Governo, da attuare entro sei mesi dall'approvazione della normativa, attraverso uno o più decreti legislativi, nel rispetto delle competenze delle regioni, da esercitarsi previo parere della Conferenza Stato-regioni e delle Commissioni parlamentari competenti. Il tutto sulla base di determinati principi e criteri direttivi, tra i quali, in particolare: la trasformazione dei collegi professionali esistenti in ordini professionali, con l'istituzione di un ordine specifico, con albi separati per ognuna delle professioni previste, per ciascuna delle citate aree di professioni sanitarie; la possibilità di costituire un unico ordine per due delle aree di professioni sanitarie individuate; l'eventuale istituzione di ordini separati per le professioni i cui albiPag. 3abbiano almeno ventimila iscritti; l'aggiornamento della definizione delle figure professionali da includere nella fattispecie prevista dalla legge n. 251 del 2002; l'articolazione degli ordini a livello provinciale, regionale o nazionale, in relazione al numero degli operatori.
Il Ministero della salute ha predisposto in tempo utile il provvedimento di attuazione, che è stato sottoposto all'esame del Consiglio dei ministri. In questa sede è emersa, in considerazione della materia trattata, l'opportunità di ricollegare la regolamentazione del settore all'interno dell'annunciata più ampia riforma di tutti gli ordini professionali e quindi contestualmente di prorogare di ulteriori dodici mesi il termine del 4 settembre 2006 di attuazione della delega stessa. A tal fine, l'articolo 1, per non vanificare il lavoro già svolto e per dare concreta risposta alle categorie interessate che attendono tale regolamentazione, interviene direttamente sul comma 1 dell'articolo 4 della citata legge n. 43 del 2006, disponendo il differimento richiamato.
Il differimento in oggetto, infine, non comporta oneri finanziari.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
GIAN PAOLO PATTA, Sottosegretario di Stato per la salute. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Di Girolamo. Ne ha facoltà.
LEOPOLDO DI GIROLAMO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, nelle due passate legislature il Parlamento, dopo un ampio dibattito che ha visto confrontarsi punti di vista differenti, ha prodotto in maniera condivisa un ampio corpo legislativo che riguarda le professioni sanitarie. Lo ha fatto non perché pressato da lobby o da interessi di parte, che legittimamente rivendicano attenzioni e specificità, ma perché convinto che l'innalzamento della qualità dei servizi sanitari offerti al cittadino passi anche attraverso più elevate competenze e responsabilità dei professionisti sanitari.
Non dobbiamo infatti mai dimenticare che, se per qualsiasi attività la qualità della risorsa umana è importante per la qualità dei servizi resi, nel settore della salute la qualità del personale è fattore determinante della qualità del sistema, anche per le implicazioni che su di esso esercita l'aspetto relazionale. Per questo, in maniera appunto condivisa, sono state emanate la legge n. 42 del 1999, che ha sostanzialmente riformato l'esercizio professionale delle singole figure, uniformandone i criteri, e la legge n. 251 del 2000, che ne ha valorizzato la responsabilizzazione e l'autonomia, ancorando queste figure anche alla formazione universitaria.
Inoltre, sono state emanate la legge n. 1 del 2002, che ha dettato disposizioni utili ad uniformare titoli di studio e percorsi formativi, e la legge n. 43 del 2006, che ha valorizzato ancor più la formazione, legando a quest'ultima anche la carriera con il possesso di titoli specifici, regolando le procedure per l'individuazione di nuove professioni sanitarie, istituendo la funzione di coordinamento e dettando norme di delega al Governo per l'istituzione di ordini ed albi per le professioni sanitarie.
Si è trattato di una forte opera riformatrice che ha concretamente avviato una nuova stagione di organizzazione del lavoro per modelli professionali, procedendo verso una concreta ridefinizione del ruolo di ogni operatore all'interno dell'organizzazione sanitaria.
Si è giunti al superamento della subalternità della figura professionale sanitaria rispetto a quella medica con riferimento ad oltre 500 mila operatori sanitari, fornendo loro autonomia, formazione universitaria analoga a quella di altri laureati, possibilità di progressione di carriera fino ad arrivare alla dirigenza, responsabilità piena nell'assistenza al malato.
Sono riforme che consentono al servizio sanitario di attuare in luogo della strategia del government di stampo gerarchico, non più adeguata a governare la complessità sia dei problemi di salute siaPag. 4dei servizi sanitari stessi, la pratica della governance, in cui vari soggetti autonomi mettono le loro competenze al servizio di un bene pubblico, quale quello della salute.
Abbiamo realizzato ciò ritenendo che non confliggesse - anche in presenza di valutazioni divergenti, provenienti soprattutto da componenti la Commissione giustizia - con l'istituzione di albi ed ordini, in primo luogo per sanare una disparità esistente all'interno delle 22 tipologie di professionisti sanitari e in secondo luogo perché il CNEL da una parte - con l'affermazione che il settore della salute, insieme a quello della giustizia, può essere opportunamente regolato attraverso albi ed ordini, in quanto vi si svolgono attività caratterizzate da rischi di danno sociale conseguente ad eventuali prestazioni non adeguate (quindi siamo in presenza di un interesse costituzionalmente rilevante da tutelare) e la Commissione europea e il Consiglio europeo dall'altra escludono i servizi sanitari da quelli ai quali si applicano le direttive sulla concorrenza.
Quindi, vi è una piena condivisione politica nel dar corso alla delega, ma vi è anche piena convinzione politica sul fatto che la materia delle professioni doveva essere riformata, essendo ormai divenuta inadeguata rispetto ai nuovi scenari europei e alla globalizzazione dei mercati.
Da qui la presentazione da parte del Governo del disegno di legge di delega sulla riforma delle professioni, approvato in Consiglio dei ministri l'11 dicembre scorso ed esaminato dalle Commissioni giustizia e attività produttive della Camera.
Da ciò discende la proroga richiesta per armonizzare le disposizioni e le regole che deriveranno dall'esame di quel testo che, naturalmente, dovrà essere perfezionato durante l'iter parlamentare attraverso l'istituzione dei nuovi ordini per le professioni sanitarie. Per questo motivo, ritengo sia necessario approvare quanto contenuto nel provvedimento in esame.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Di Virgilio. Ne ha facoltà.
DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, l'articolo 4 della legge 1o febbraio 2006, n. 43, recante istituzione degli Ordini delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione è finalizzato ad assicurare una maggiore qualificazione professionale degli operatori sanitari non medici, attraverso un riordino dei percorsi accademici.
La legge prevedeva inoltre che il ministro della salute, entro sei mesi dalla entrata in vigore della predetta legge, dovesse attuare una delega che istituisse gli ordini professionali per ciascuna area infermieristica, con albi separati per ciascuna specializzazione. Ricordo che oggi gli infermieri professionali sono raccolti in collegi professionali.
L'articolo 1 del provvedimento in esame proroga di 12 mesi il termine previsto dalla suddetta legge n. 43 del 2006 per l'esercizio della delega per l'istituzione degli ordini e degli albi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, da attuarsi attraverso uno o più decreti legislativi.
In particolare, la norma in esame proroga al 4 settembre 2007 il termine per l'esercizio di detta delega, scaduto il 4 settembre scorso. Sono perplesso ed anche un po' sorpreso che il Governo non abbia ritenuto necessario procedere all'esercizio della delega legislativa nei tempi previsti, soprattutto perché, di fatto, lo schema di decreto legislativo era pronto ed era già stato sottoposto, come ricordato anche dal relatore, al Consiglio dei ministri per il suo esame. Vorrei ricordare che i professionisti sanitari non medici interessati sono oltre 500 mila, suddivisi in 332 mila per l'area infermieristica, 15.500 per l'area ostetrica, 82.700 per l'area riabilitativa, 66.100 per l'area tecnico-sanitaria e 38 mila per l'area della prevenzione. Molti, quindi, erano in attesa di questo provvedimento.
Sono altresì stupefatto che il Governo abbia legato tra loro due problemi profondamente diversi, quali la riforma ePag. 5l'eventuale liberalizzazione degli ordini professionali per così dire tradizionali - come, ad esempio, quelli dei medici, degli avvocati, dei notai ed altri - e il provvedimento in esame che concerne, invece, l'istituzione di nuovi ordini, intesa come riconoscimento della professionalità e delle giuste aspettative di determinate categorie di personale sanitario non medico. Vorrei, al riguardo, evidenziare come si tratti di figure professionali rispetto alle quali si registra da tempo una grave carenza di personale, almeno per molti di tali settori. In Italia, secondo un rapporto OCSE, mancherebbero più di 40 mila infermieri.
Ciò detto, debbo rilevare come il Governo sembri costantemente impegnato a cercare di deludere le aspettative rilevanti di queste categorie sociale. La motivazione addotta dal Governo a sostegno di questo ampio differimento di termini non è credibile, a mio avviso, ed evidenzia una contraddizione lampante fra la volontà di liberalizzare gli ordini professionali, più volte espressa dai rappresentanti di questo Governo, e la scelta di istituire nuovi ordini per le professioni sanitarie. La proposta del Governo di liberalizzare gli ordini professionali è, a mio parere, demagogica. È certamente innegabile la fondamentale funzione assolta dagli ordini professionali, ed è altresì vero che la completa liberalizzazione di determinate professioni è contraria alla dignità di quanti le esercitano ed agli interessi dei cittadini. Sarebbe, forse, meglio disciplinare la funzione degli ordini, che troppo spesso, in realtà, assolvono compiti, ad esempio di carattere formativo che, a mio avviso, non dovrebbero rientrare nelle loro competenze. Una riforma è senz'altro necessaria, ma essa dovrebbe servire a conferire maggiore rigore e serietà al funzionamento degli ordini professionali.
Va, inoltre, ricordata la specificità delle professioni sanitarie, come riconosciuta, nella scorsa legislatura, anche da voi, allora all'opposizione, determinando la necessità di disciplinare tali professioni autonomamente, in considerazione della loro attinenza a diritti fondamentali della persona. Ed è proprio per questa specificità della materia che si ritiene non corretto, da parte dell'attuale Governo, attendere che siano disegnate le linee fondamentali del riordino complessivo degli ordini cui sta lavorando il Ministero della giustizia, e che potrebbero andare oltre i termini previsti dalla deroga che voi chiedete con questo provvedimento.
Nella scorsa legislatura, con la legge 8 gennaio 2002, n. 1, recante disposizioni urgenti in materia di personale sanitario, si è avviato un lavoro per una maggiore valorizzazione, sia da un punto di vista professionale sia da un punto di vista manageriale, del ruolo dell'infermiere professionale.
Con l'approvazione della legge 1o febbraio 2006, n. 43, si è voluta porre l'attenzione su una più efficace formazione a carattere permanente e continuo del personale sanitario non medico, predisponendo regole più moderne e mirate ad una maggiore valorizzazione di tali professionisti che, al pari degli altri, e soprattutto per il ruolo innegabilmente importante che svolgono nella nostra società, hanno il diritto di riconoscersi in ordini professionali.
A causa degli eventi elettorali di aprile, che tutti conosciamo, non abbiamo avuto la possibilità di attuare la delega come volevamo. Quindi, sarebbe toccato a voi farlo nei tempi previsti.
Speravo che l'attuale Governo mostrasse un maggior senso di responsabilità rispetto ai termini di attuazione della delega prevista dalla suddetta legge, ma debbo constatare come, al di là della addotta e presunta ragione di ordine tecnico, si nasconda una chiara volontà politica, molto discutibile.
Debbo pertanto esprimere, a nome del gruppo di Forza Italia, la più assoluta contrarietà al differimento così lungo di termini disposto dal provvedimento in esame, perché temo che tale rinvio sarà sine die, quindi infinito, ovvero il primo di tanti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Astore. Ne ha facoltà.
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GIUSEPPE ASTORE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori sottosegretari, il disegno di legge all'esame dell'Assemblea in apparenza sembra di contenuto estremamente limitato.
Come ricordato dal relatore, esso è infatti volto a differire di dodici mesi, dal 4 settembre 2006 al 4 settembre 2007, il termine dell'esercizio della delega relativamente all'istituzione degli ordini e degli albi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione.
Come è stato ancora ricordato, il provvedimento in esame è però parte integrante della legge. n. 43 del 2006, che ha messo ordine nel settore di tutte le professioni sanitarie, nel cui ambito il vuoto legislativo esistente non garantiva il riconoscimento di quelle professionalità sanitarie - voglio sottolinearlo - «non mediche», che costituiscono un pilastro importante della nuova offerta sanitaria.
La suddetta legge ha consentito di portare a termine un percorso iniziato - è bene ricordarlo a tutti - dal Governo di centrosinistra con la legge n. 42 del 1999 (e via via poi con le leggi nn. 251 e 1 del 2002). Il nostro ordinamento, rispetto a quello degli altri paesi europei, ha preso atto in ritardo, ahimé, del ruolo e della qualità delle professioni sanitarie non mediche e, pur tuttavia, dal 1999 ne ha aggiornato il profilo, soprattutto rimarcando l'esigenza che anche il nostro paese provvedesse alla formazione di questi operatori con un percorso formativo di tipo universitario, con il conseguimento sia del diploma triennale, sia della laurea, sia in alcuni casi addirittura anche del dottorato di ricerca.
A mio parere si è trattato di un fatto molto importante, se si pensa all'evoluzione che nell'ambito delle professioni mediche ha avuto il ruolo di tanti professionisti, dagli infermieri alle ostetriche, ai fisioterapisti, ai tecnici della prevenzione e della riabilitazione. A mio avviso, attualmente essi svolgono un ruolo di notevole importanza nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, considerando come l'invecchiamento della popolazione abbia portato con sé una serie di patologie croniche e degenerative, che non presuppongono più la fase della cura istituzionalizzata, ma richiedono sempre di più la cura domiciliare ad opera di professionisti abilitati e capaci di affrontare la riabilitazione e la cura della salute con dignità professionale e formativa.
Il Governo ha chiesto, a mio parere, un periodo di tempo giusto per adempiere alle deleghe, anche se noi lo invitiamo - come del resto è apparso evidente, non è un difetto aspettare per poter collegare le due materie - a coniugare il decreto legislativo che deve essere emanato per la formazione degli ordini con la riforma dell'intera materia delle professionalità intellettuali.
Ritengo che sia un atto di estrema responsabilità quello che l'Esecutivo ha posto in essere, perché va assolutamente coniugato e messo a paragone con l'intera materia delle professioni intellettuali. Noi avvertiamo, però, che la presenza di oltre 30 mila infermieri (la maggior parte) alla manifestazione del 12 ottobre contro il decreto Bersani non debba essere interpretata come una rivendicazione di un'attenzione di riguardo per mantenere i vecchi privilegi, come magari avrebbe potuto essere per avvocati, notai e altri che hanno partecipato a quella manifestazione. Infatti, come hanno dichiarato i loro dirigenti, si è trattato di una manifestazione di grande disagio per un percorso di riconoscimento professionale rimasto incompiuto: è stata, infatti, istituita la dirigenza e nel nostro paese ormai vi è un'autonomia anche di questa professione nella maggior parte delle nostre aziende sanitarie. Rimane però quel tassello, il completamento finale dell'istituzione dell'ordine al posto del collegio.
L'adesione c'è stata, come hanno affermato diversi dirigenti, solo per cercare una visibilità, tentando di utilizzare la manifestazione. Questa è la ragione per la quale in questa fase occorre ribadire ancora una volta al Governo e a quest'Assemblea i principali motivi che rendono improcrastinabile la trasformazione dei collegi in ordini.Pag. 7
In primo luogo, la forma giuridica del collegio professionale non è più adeguata rispetto ai livelli di autonomia e di responsabilità introdotti con la trasformazione della normativa professionale e con la riforma dei percorsi di formazione. Fino a quando non si arriverà alla trasformazione degli attuali collegi in ordini professionali, gli infermieri difficilmente potranno mettere in campo nel sistema sanitario pubblico-privato le capacità e l'autonomia professionale derivanti dal nuovo percorso formativo.
In secondo luogo, occorre completare il processo di equiparazione alla normativa europea e riconoscere ai professionisti sanitari italiani lo stesso livello di autonomia e di responsabilizzazione presente nel resto d'Europa. Ciò è indispensabile anche per sostenere i processi di trasformazione e di riqualificazione della sanità italiana: lo stesso piano straordinario per l'assistenza domiciliare annunciato più volte dal ministro Turco non avrebbe possibilità di successo senza infermieri professionisti che possano lavorare in autonomia e responsabilità del territorio.
Un ultimo, ma non meno importante, elemento è rappresentato dalla necessità che tutte le forze politiche mantengano gli impegni assunti e che, in modo particolare, il centrosinistra mantenga quelli contenuti nel proprio programma. Va confermata la volontà di liberalizzazione che questo Governo, con tenacia e - dobbiamo aggiungere - anche con qualche incomprensione, sta esprimendo; peraltro, l'istituzione degli ordini delle professioni sanitarie ben si può armonizzare con la tendenziale riduzione del loro numero - vi è infatti, e vi deve essere, una tale tendenza - anche utilizzando la significativa novità costituita dalla previsione che gli stessi ordini professionali possano trasformarsi, come indica il disegno di legge governativo, in associazioni professionali riconosciute di natura privatistica, ma assoggettate al controllo politico.
A mio parere è peraltro un'esigenza fondamentale del servizio sanitario portare a compimento tale percorso; basti pensare, ad esempio, alle molteplici funzioni non solo di diretta professione ma anche di coordinamento - oggi, di team e di staff - degli operatori sanitari operanti nelle nostre aziende, soprattutto nell'ambito dell'organizzazione territoriale: in tutta l'area dei servizi non si può fare a meno di professioni quali quelle degli infermieri, delle ostetriche e via dicendo.
Inoltre, a mio avviso la deontologia professionale di queste nuove figure va tutelata e soltanto l'ordine professionale potrà farlo. Come è stato già messo in evidenza, sarebbe sbagliato in questo delicato passaggio non riconoscere la valenza del ruolo e della professionalità di oltre 500 mila operatori.
Per tale motivo, preannuncio che i deputati dell'Italia dei Valori voteranno favorevolmente alla proroga del termine per l'esercizio della delega, essendo certi che il Governo la utilizzerà al meglio per attribuire pari dignità a tali figure professionali. Solo così i cittadini saranno maggiormente garantiti quanto alla tutela della loro salute, il cui servizio migliorerà sempre di più se gli operatori saranno maggiormente qualificati e soddisfatti nelle loro aspirazioni professionali. Inoltre, si dovrebbe cominciare a pensare all'extra-moenia anche per questi professionisti.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Poretti. Ne ha facoltà.
DONATELLA PORETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo sia opportuna l'approvazione di questo disegno di legge per il differimento del termine per l'esercizio della delega di cui all'articolo 4 della legge n. 43 del 2006, recante istituzione degli Ordini e degli albi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative e tecnico-sanitarie e della prevenzione.
L'approvazione si rende opportuna per due motivi: anzitutto, bisogna collegare la regolamentazione del settore con l'annunciata e più ampia riforma di tutti gli ordini professionali; quindi, si deve prendere tempo per meglio valutare proprio la leggePag. 8n. 43 del 2006, che prevede tale delega per l'istituzione di questi Ordini. È proprio a partire da questo secondo motivo che intendo sviluppare le mie considerazioni.
Gli ordini professionali sono il prolungamento di quelle che, prima della Repubblica costituzionale e democratica del 1946, si chiamavano corporazioni; pur nel mutato contesto legislativo, politico ed economico nel quale questi ordini si sono inseriti, essi hanno di fatto continuato a svolgere la funzione di corporazioni.
Si deve dire che, nel nostro paese, nel dopoguerra, non molta attenzione è stata prestata alla funzione di questi Ordini, anche perché, in particolare dall'inizio degli anni Sessanta, le scelte di politica economica sono andate tutte verso l'istituzione di un'economia di Stato a cui l'organizzazione corporativa della propria professione non poteva che essere funzionale. Lo sviluppo ed il mercato non erano decisi sulla base delle capacità dei singoli ma solo a seguito di una rigida pianificazione di uno Stato che ben dialogava con un'altrettanto rigida organizzazione delle professioni, capace di garantire comportamenti monolitici e univoci, reprimendo ed espellendo quanto non era funzionale. Ma il mondo andava in un'altra direzione.
Le professioni sanitarie, con questa rigidità di organizzazione, insieme alle pessime leggi di ispirazione vaticana che caratterizzano questo ambito e non solo, hanno contribuito a far sì che il nostro paese si collocasse ai margini della ricerca scientifica e medica, europea ed internazionale. Questa rigidità e leggi in vigore hanno anche contribuito alla fuga di cervelli verso altri paesi, in cui la libertà professionale individuale e le leggi non confessionali sono un incentivo e non un limite.
Nell'affrontare temi importanti quali la contraccezione, l'aborto, l'eutanasia, la ricerca con le staminali embrionali, la vendita di farmaci, per citare solo la punta di un iceberg, quale funzione è stata svolta dagli ordini professionali del settore? Generalmente frenare, porre steccati e limiti che favorivano gli interessi economici ideologici e confessionali dei singoli ordini e dei loro iscritti, contrapponendoli a quelli del cittadino consumatore e del cittadino malato, costretto a pagare i prodotti ed i servizi ad un costo maggiore e con minore qualità e scelta.
Tale situazione si è riflessa anche sul cittadino imprenditore e sul cittadino lavoratore, impediti e fiaccati da un mercato chiuso, dove, per entrare, si devono pagare prezzi altissimi che ricadono su tutta l'economia e la società.
Di questa diversa direzione sembra essersi accorto anche il nostro attuale Governo: sui precedenti, in linea di massima, di qualunque colore fossero, stendiamo un velo pietoso!
È in questa direzione che si muove il nostro Ministero dello sviluppo economico con quelle «lenzuolate» che, pur giudicandole, io ed il mio gruppo, La Rosa nel Pugno, troppo timide e talvolta razionalizzatrici dello statalismo, sono comunque un segnale su cui tutti gli interessati ad un'economia, ad una società di mercato dovrebbero intensamente lavorare per migliorarle.
In questo contesto, abbiamo proprio bisogno di nuovi ordini professionali? Siamo sicuri che l'organizzazione delle professioni in questo modo è ciò che serve alla crescita della nostra economia, garantendo professionalità, qualità, economicità, accessibilità, cioè concorrenza? Non vi è più bisogno, forse, di libere associazioni, di liberi professionisti, in una società di liberi contratti, di liberi lavori e con liberi valori? Sono domande a cui dovrà e potrà rispondere la riforma degli ordini e nei termini in cui mi sono espressa vi contribuirò anch'io, tenendo ben presente quanto in materia fu detto dall'Antitrust nel dicembre 2004, poco dopo l'approvazione in Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della salute Girolamo Sirchia, di quel disegno di legge che poi è divenuto la legge n. 43 del 2006.
Giuseppe Tesauro, presidente all'epoca dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato diceva (cito testualmente): si rileva che la costituzione di nuovi ordini professionali e dei relativi albi provoca una significativa restrizione della concorrenza,Pag. 9comportando limitazioni all'entrata di nuovi operatori, fatta eccezione per le ipotesi in cui, sussistendo una simmetria informativa tra consumatore e professionista, sia necessario, al fine di garantire maggiori benefici per i consumatori, consentire l'accesso a determinate attività solo a quanti possiedano specifici requisiti di qualificazione professionale, prevedendo, a tal fine, delle forme di selezione all'entrata, quali la formazione scolastica richiesta ed il superamento di un esame di abilitazione, nonché un controllo sull'attività svolta dagli operatori. Inoltre, sempre secondo Tesauro e l'Antitrust, in assenza di tali presupposti, infatti, la previsione di forme di selezione all'entrata può comportare, sotto il profilo economico, un ingiustificato aumento dei costi dei servizi offerti, senza necessariamente garantire la qualità degli stessi. Ciò premesso, si rileva che, con specifico riguardo alle professioni oggetto del disegno di legge citato, non sembrano sussistere asimmetrie informative tali da giustificare una limitazione della concorrenza, attraverso l'imposizione di barriere all'accesso nel relativo mercato.
Inoltre, come già evidenziato nelle precedenti segnalazioni effettuate in proposito dall'Autorità ed, in particolare, nella segnalazione relativa alle professioni sanitarie non mediche, si osserva, infatti, che, sotto il profilo della qualificazione professionale, le esigenze di tutela del consumatore possono essere integralmente soddisfatte con la previsione di un percorso formativo di livello universitario obbligatorio, come, peraltro, ribadito in materia dalla Commissione europea. Da ultimo, la relazione sulla concorrenza nei servizi professionali del febbraio 2004, seppur non direttamente attinente alle professioni sanitarie, esprime comunque dei principi generali in tema di attività professionali.
In tale occasione la stessa Commissione, dopo avere stigmatizzato il fatto che nella maggior parte degli Stati membri l'accesso alle professioni sia delimitato con varie restrizioni di tipo qualitativo, ha rilevato che una limitazione nell'accesso al mercato si ripercuote negativamente sulla concorrenza e sulla qualità dei servizi offerti, determinando un significativo aumento dei prezzi cui peraltro non corrisponde sempre una qualità migliore dei servizi stessi. In tale contesto, ad avviso della Commissione, un intervento di regolamentazione dei servizi professionali risulta giustificato dall'esistenza di un'asimmetria informativa tra consumatore e professionista riguardo a quelle attività professionali il cui esercizio rappresenti un valore per la società in generale, comportando, in caso di inadeguatezza dell'offerta, costi sociali molto alti, circostanza che non sembrerebbe ricorrere nel caso di specie.
Inoltre, la Commissione chiudeva affermando che l'Autorità ritiene che il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri possa determinare una restrizione della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato dei servizi professionali nel settore sanitario non medico. Fin qui si è espresso l'Antitrust.
Il legislatore, ovviamente, non ha tenuto in alcun conto queste indicazioni per agevolare uno sviluppo della concorrenza nel settore delle professioni sanitarie non mediche ed ha optato per quella legge per la cui parziale attuazione stiamo chiedendo oggi il differimento dei termini.
La stessa autorità Antitrust ha reiterato il parere negativo il 14 aprile 2005 sul disegno di legge per una nuova regolamentazione delle attività di informazione scientifica e per l'istituzione di un albo degli informatori scientifici del farmaco, rilevando che la regolamentazione dei servizi professionali è appropriata solo se soddisfa esigenze di carattere generale e nei casi in cui si ritiene sia possibile sanare distorsioni presenti nel mercato. Mi domando quali distorsioni vi siano sul nostro mercato per le professioni sanitarie non mediche, tali da rendere necessaria l'istituzione di specifici ordini professionali.
Per la professione infermieristica, ad esempio, mi sembra invece che vi sia una forte carenza di aspiranti, a fronte di una carenza di personale nelle strutture ospedaliere pubbliche, pari a circa 60Pag. 10mila professionisti, così come rendeva noto nel febbraio 2006 la Federazione nazionale collegi infermieri professionali (IPASVI), carenza che salirebbe a 98 mila professionisti se il nostro paese rispettasse lo standard OCSE di 6,9 infermieri ogni mille abitanti, visto che ora in Italia ve ne sono 5,4.
Il trend delle immatricolazioni ai corsi di laurea è in aumento; anche se gli addetti al settore dubitano che colmerà questa carenza, sicuramente noi legislatori non diamo certo un contributo blindando in un ordine corporativo la professione, in quanto in questo modo la si rende burocraticamente meno accessibile.
Inoltre, sarebbe proprio bene che questa legislatura non si allineasse a quanto accaduto durante le precedenti. Facendo il caso di quella appena passata, sono state presentate 13 proposte di legge per istituire nuovi ordini: dagli stenotipisti ai doppiatori cinematografici, passando per periti industriali, commercialisti, esperti contabili, informatici, professionisti di conservazione dei beni culturali, traduttori ed interpreti. Ben 57 erano le proposte di legge che chiedevano l'istituzione di nuovi albi: da quello degli ex parlamentari, agli agenti di spettacolo, fino a quelli per artisti, cuochi, tecnici di riabilitazione equestre, consulenti tecnici d'ufficio, assistenti sociali, educatori di asilo nido, biotecnologi alimentari, pedagogisti, chimici e tecnologi farmaceutici, dottori naturalisti, agenti di polizia privata, statistici, diplomati universitari in agraria, esperti e consulenti di infortunistica, tributaristi, esercenti di spettacoli pirotecnici, pianificatori urbanistici territoriali e ambientali. Era compreso perfino un albo per persone idonee all'ufficio di scrutatore di seggio elettorale.
Nella nostra legislatura, per il momento, in materia vi sono ovviamente altre richieste per l'istituzione di nuovi ordini ed albi. Per fortuna, esiste un progetto di legge - che spicca! - che intende abrogare quantomeno l'ordine dei giornalisti. Esso è a prima firma dell'onorevole Daniele Capezzone, ma è sottoscritto anche da altri deputati di schieramenti addirittura contrapposti ed anche da me, avendo io aderito con convinzione al provvedimento.
Mi auguro e mi impegnerò perché questa legislatura sia caratterizzata e ricordata come quella che, nell'ambito delle politiche di liberalizzazione, ha cominciato a liberalizzare anche le professioni.
Per non creare gravi difficoltà, è bene che si proceda a questo differimento, così come previsto dal disegno di legge del ministro Livia Turco. Sono necessari un maggior confronto, una maggiore analisi e una maggiore conoscenza dei guasti e dei limiti che le professioni organizzate in ordini corporativi apportano alla nostra economia e alla nostra società.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ulivi. Ne ha facoltà.
ROBERTO ULIVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, l'articolo 4, comma 1, della legge 1o febbraio 2006, n. 43, ha delegato il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi al fine di istituire gli ordini professionali delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione. Sarebbe certamente interessante, ma soprattutto utile, conoscere il testo del provvedimento di attuazione a suo tempo predisposto, che, come si racconta nella relazione al disegno di legge del ministro Turco (A.C. 1609), è stato presentato, in tempo utile, dallo stesso Ministero della salute e sottoposto all'esame del Consiglio dei ministri. Il Consiglio dei ministri ha poi ritenuto di non dover esaminare tale provvedimento, ma di rimandare l'esame al momento in cui sarebbe iniziata l'annunziata riforma degli ordini professionali. Trovo perlomeno curioso il fatto che, come si afferma nella relazione che accompagna il disegno di legge, da una parte, si ammetta che le categorie attendono tale regolamentazione ormai da tanto tempo e che quindi è giusto che essa si compia, e, dall'altra, si chieda una proroga di dodici mesi alla prevista data del 4 settembrePag. 112006. Evidentemente, per qualcuno al Ministero della salute, sei mesi sono la stessa cosa di diciotto mesi. Contenti loro...!
L'onorevole Di Girolamo ha onestamente ammesso in Commissione che, nelle ultime due legislature, maggioranza e opposizione hanno collaborato al fine di riconoscere e valorizzare le professioni sanitarie non mediche e che il punto di arrivo del lavoro svolto coincide con la legge 1o febbraio 2006, n. 43, che egli giudica complessivamente molto positiva. Non vedo, quindi, per quale motivo si voglia ritardare, per così lungo tempo, l'attuazione di questa legge, tanto più che lo stesso onorevole Di Girolamo ricorda come, nella scorsa legislatura, si dovettero superare resistenze di alcune Commissioni, date dall'esigenza di affrontare questo tema contestualmente alla riforma di tutti gli ordini professionali e come, alla fine, si giunse a riconoscere la specificità delle professioni sanitarie e, dunque, a disciplinarle autonomamente, in considerazione della loro attinenza a diritti fondamentali della persona.
L'eventuale futuro riordino complessivo degli ordini professionali non vieta certamente di procedere, intanto, all'istituzione degli ordini delle professioni sanitarie non mediche. Se poi per voi, la legge n. 43 del 2006, votata dalla stessa opposizione dell'epoca che ora è al Governo, è una legge sbagliata solo per il fatto di essere stata approvata durante il Governo Berlusconi, è un fatto di cui dovrete renderne conto ai rappresentanti delle professioni sanitarie non mediche ed ai cittadini.
Pertanto, alla luce di quanto ricordato, non mi sembra giusto che prendiate in giro le circa 500 mila persone afferenti alle figure professionali dei sanitari non medici, di cui ci stiamo occupando.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Rossi Gasparrini. Ne ha facoltà.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento all'ordine del giorno dell'Assemblea è relativamente semplice, poiché si tratta di un progetto di legge che proroga di ulteriori dodici mesi il termine previsto dalla legge n. 43 del 2006 per l'esercizio della delega per l'istituzione degli ordini e degli albi delle professioni sanitarie. In particolare, la norma in esame proroga al 4 settembre 2007 il termine per l'esercizio della suddetta delega scaduto il 4 settembre 2006. La relazione di accompagnamento puntualizza che, su iniziativa del ministro della salute, il provvedimento di attuazione della delega di cui alla legge n. 43 del 2006 è stato sottoposto all'esame del Consiglio dei ministri prima della scadenza dei termini e in tale sede è tuttavia emerso l'orientamento di ricollegare la regolamentazione del settore all'interno della più ampia riforma di tutti gli ordini professionali e, contestualmente, di prolungare di ulteriori dodici mesi il termine del 4 settembre 2006.
La legge n. 43 del 2006, recante l'istituzione degli ordini delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, detta nuove regole in materia di professioni sanitarie non mediche e conferisce una delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali.
La norma dispone altresì l'istituzione di nuove forme di professioni in ambito sanitario ed obblighi inerenti alla formazione permanente e continua del personale sanitario. Per quanto riguarda la formazione professionale, fra i requisiti essenziali previsti per l'esercizio delle suddette professioni è richiesta una abilitazione rilasciata dalla Stato, nel rispetto della normativa europea in materia di libera circolazione delle professioni, in seguito al superamento di specifici corsi universitari da istituire con uno o più decreti dei ministri competenti in materia di istruzione, università e ricerca, di concerto con quello della salute. I corsi sono svolti in tutto o in parte presso le aziende e le strutture del Servizio sanitario nazionale, individuate con accordi fra regioni ed università. La legge, dunque, consente l'istituzione di nuove professioni in ambito sanitario operanti su tutto il territorio nazionale, da individuare attraverso direttivePag. 12comunitarie ovvero su iniziativa dello Stato o delle regioni, in considerazione degli obiettivi stabiliti dal Piano sanitario nazionale o dai piani sanitari regionali, che non trovano rispondenza in professioni già riconosciute, collocate comunque nelle citate quattro aree professionali.
In particolare, le nuove figure professionali sono riconosciute mediante accordi in sede di Conferenza permanente Stato-regioni, che individuano il titolo professionale e l'ambito di attività di ciascuna professione. La loro individuazione è subordinata ad un parere tecnico-scientifico, espresso da apposite commissioni nominate dal ministro della salute ed operanti presso il Consiglio superiore di sanità.
Per quanto concerne l'istituzione degli ordini professionali, il provvedimento istituisce gli ordini e gli albi delle professioni sanitarie ai quali devono accedere gli operatori delle professioni sanitarie esistenti, nonché quelle di nuova configurazione.
A tal fine, l'articolo 4 conferisce delega al Governo, da attuare entro sei mesi, ed è qui che interviene la proroga di termini di cui al provvedimento in esame, attraverso uno o più decreti legislativi, nel rispetto delle competenze delle regioni da esercitare previo parere della Conferenza Stato-regioni e delle Commissioni parlamentari competenti, sulla base di determinati principi e criteri direttivi, fra i quali, in particolare: la trasformazione dei collegi professionali esistenti in ordini professionali, con l'istituzione di un ordine specifico con albi separati per ognuna delle professioni previste per ciascuna delle citate aree di professioni sanitarie, oppure la possibilità di costituire un unico ordine per due o più delle aree di professioni sanitarie individuate, oppure l'eventuale istituzione di ordini separati per le professioni i cui albi abbiano almeno 20 mila iscritti; l'aggiornamento della definizione delle figure professionali da includere nella fattispecie prevista dalla legge n. 251 del 2000; infine, l'articolazione degli ordini a livello provinciale o regionale o nazionale in relazione al numero degli operatori.
Si deve ricordare, altresì, come, nel corso delle ultime due legislature, maggioranza ed opposizione abbiano collaborato per valorizzare le professioni sanitarie non mediche. In particolare, questo lavoro ha consentito di superare l'originaria definizione di professioni paramediche, sviluppare i profili formativi e giungere a dettare una nuova disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione e della professione ostetrica.
Il punto d'arrivo del lavoro svolto nelle ultime due legislature è costituito appunto dalla legge 1o febbraio 2006, n. 43.
In proposito, occorre sottolineare come il termine per l'esercizio della delega, originariamente fissato al 4 settembre 2006, abbia costretto il Ministero della salute e le categorie coinvolte a procedere con estrema rapidità e come, nonostante i termini piuttosto brevi, il Ministero sia riuscito a predisporre, in tempo utile, lo schema di decreto legislativo.
Il Consiglio dei ministri, peraltro, ha assunto l'orientamento di dare mandato al ministro di giustizia di istituire un riordino complessivo degli ordini professionali, intervenendo sulla materia e tenendo conto della più ampia riflessione sull'insieme degli ordini professionali e dell'evoluzione della normativa comunitaria in materia. Ed è questa esigenza che ha suggerito di rinviare l'approvazione del decreto legislativo.
Si deve, da ultimo, osservare che il riordino complessivo dovrà garantire la specificità delle professioni sanitarie e il differimento di termini di cui sopra mira precisamente ad assicurare che, qualora non si giunga a rivedere l'intera disciplina degli ordini professionali, sia ancora possibile l'esercizio della delega di cui alla legge n. 43 del 2006.
Pertanto, a nome dei Popolari-Udeur, preannunzio il mio orientamento favorevole sul provvedimento in oggetto.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Pag. 13(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1609)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Grassi.
GERO GRASSI, Relatore. Signor Presidente, vorrei svolgere una brevissima considerazione.
Ritengo che la proroga vada concessa, così come il disegno di legge di iniziativa governativa chiede. Ritengo, altresì, che i tempi previsti siano compatibili con la riforma generale delle professioni e che il tutto sia in linea con il programma di Governo.
Non credo che, così come sostenevano i colleghi della minoranza, si possano comprimere i tempi, perché altrimenti la proroga, di fatto, si esaurirebbe il 4 marzo.
Pertanto, ritengo obbligatorio, considerato che vi è stata la campagna elettorale, prorogare al 4 settembre 2007 il termine di cui all'articolo 4 della legge n. 43 del 2006, invitando il Governo (che mi sembra aver accolto tale invito) ad esercitare al più presto la delega, al fine di evitare ulteriori proroghe.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
GIAN PAOLO PATTA, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, svolgerò solo poche e scarne considerazioni di natura prevalentemente politica.
La prima concerne la circostanza che la legge n. 43 del 2006 è stata approvata nella passata legislatura, su proposta del precedente Governo, a larghissima maggioranza. Vi fu un ampio contributo, da parte della allora opposizione, proprio perché tale provvedimento si inseriva nell'ambito di un percorso di valorizzazione delle professioni sanitarie che è stato a lungo condiviso nel paese.
Come è stato già ricordato, la legge n. 43 del 2006 prevedeva solo sei mesi di tempo per l'esercizio della delega da essa conferita, pur sapendo che, in quel periodo, vi sarebbero stati sia lo svolgimento la campagna elettorale, sia la sospensione delle attività nel mese di agosto.
Il Governo precedente, nei tempi che ha avuto a disposizione, non ha elaborato nessun tipo di provvedimento. Invece, l'Esecutivo uscito dalle elezioni, che ha giurato il 18 maggio 2006, nei mesi di giugno e luglio ha dovuto «correre» per predisporre un decreto legislativo che passasse i vari stadi prima di arrivare in Consiglio dei ministri. Tale provvedimento, quindi, è giunto all'esame di quella sede proprio in prossimità dei termini di scadenza dell'esercizio della delega.
Non credo sia corretto, quindi, rivolgere al Governo l'accusa di essere insensibili, perché abbiamo fatto tutto il possibile per attuare tale delega. In quei due mesi, ricordo che abbiamo consultato anche tutte le associazioni rappresentative delle professioni sanitarie, raccogliendo un consenso generale sul provvedimento da noi preparato.
Evidentemente, l'ultimo giorno utile non è stato sufficiente per tenere conto di tutte le osservazioni maturate all'interno del Governo: infatti, avremmo avuto bisogno di qualche settimana in più per perfezionare il provvedimento in oggetto, ma i tempi stabiliti per l'esercizio della citata delega non ce lo hanno consentito.
Vorrei osservare, peraltro, che il nostro Governo non ha rinunciato a riordinare la materia. Abbiamo infatti stabilito, dal momento che bisognava mettere mano al complesso della normativa relativa agli ordini, che occorreva rendere coerente anche l'intervento relativo al comparto delle professioni sanitarie non mediche.
Quindi, vi chiediamo di avere ancora un po' di tempo a disposizione per completare un percorso che, visti i tempi ristretti, non siamo riusciti a concludere; desideriamo approfittare di tale periodo, inoltre, per rendere coerenti i provvedimenti che intervengano sulla materia degli ordini professionali.Pag. 14
Questa è la mia prima considerazione. Pertanto, visto che tutti, anche nella passata legislatura, abbiamo reputato valida una disciplina di questa natura, riterrei coerente mantenere lo stesso tipo di impegno, senza attardarsi sul tentativo di non concedere ulteriore tempo per l'attuazione di un provvedimento che mi sembra quasi tutti (o almeno la maggioranza del Parlamento) hanno valutato positivamente.
In secondo luogo, vorrei rappresentare che non intendiamo intervenire in materia di ordini delle professioni sanitarie non mediche per moltiplicare le corporazioni, o per rafforzare le «nicchie» protette: infatti, abbiamo avviato anche una revisione della programmazione relativa ai fabbisogni delle professioni sanitarie. Segnalo che abbiamo già aperto un confronto con il ministro dell'università e della ricerca proprio per evitare che si verifichino questi «blocchi», i quali potrebbero apparire una tutela impropria a favore di tali professioni.
Quello che ci muove è la tutela non delle professioni sanitarie, ma degli ammalati e dei cittadini. Ciò perché - e concordo con quanto è stato affermato - tali professioni sanitarie, mediche e non, assolvono un compito particolare rispetto alle altre, poiché sono dedite alla cura degli ammalati. In altri termini, esse si occupano di persone particolarmente deboli, che non hanno lo stesso tipo di «potere» rispetto ai professionisti.
Pertanto, le regole che attengono alla disciplina degli ordini delle professioni sanitarie devono essere per forza specifiche.
Nessuno di noi vorrebbe sentire - e questo paese ne ha fatto qualche esperienza - di un medico o di un professionista che millanti, magari in televisione, miracoli dal punto di vista sanitario, creando una domanda impropria.
Eppure abbiamo assistito a episodi di questa natura. Faccio l'esempio della pubblicità per quanto attiene alle professioni sanitarie. Essa non può essere assolutamente la stessa che può fare un ingegnere. Infatti, gli ammalati sono dei particolare cittadini che versano in uno stato di bisogno, che sono portati a credere e a sperare nelle promesse di chiunque garantisca loro la guarigione.
Abbiamo avuto esperienze televisive, anche in campo medico, che hanno esemplificato che cosa significhi il non intervenire su questa materia con regole particolari e specifiche.
Come ultima considerazione, vorrei dire che noi siamo assolutamente d'accordo con gli orientamenti dell'Unione europea la quale ha ritenuto che per quanto attiene ai servizi sanitari, pubblici e privati - quindi non solo pubblici -, questi non dovessero entrare nella direttiva del mercato interno per lo stesse ragioni che ho ricordato prima. Infatti, noi abbiamo a che fare con ammalati, persone che non hanno lo stesso potere delle altre. Non si tratta di semplici utenti o clienti o consumatori: essi hanno una specificità di cui occorre tener conto.
Molto probabilmente hanno ragione coloro che dicono che forse l'Ordine non è lo strumento migliore per garantire l'utente. Però, al momento, questo paese ha elaborato tale tipo di organizzazione ed è in attesa di sostituirlo con strumentazioni di pari efficacia che garantiscano adeguatamente i cittadini.
Io penso che è meglio proseguire nel dare queste garanzie ai cittadini e nel democratizzare queste strutture - come noi prevedevamo nel nostro testo -, al fine di renderle più permeabili anche alla società, e non farne delle caste chiuse, magari gestite da pochi professionisti al loro interno, ma strutture che siano più aperte.
In questo senso, noi vorremmo solo ottemperare a quanto previsto dalla legge n. 43, ma altresì effettuare un intervento di democratizzazione e di apertura in relazione agli ordini. Peraltro, mi pare che questi ultimi temi siano ampiamente ripresi anche nel disegno di legge Mastella.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Pag. 15Discussione delle mozioni Lussana ed altri n. 1-00025 e Bertolini ed altri n. 1-00093 sulle iniziative per contrastare le violazioni delle libertà individuali della donna in nome di precetti religiosi (ore 17,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Lussana ed altri n. 1-00025 e Bertolini ed altri n. 1-00093 sulle iniziative per contrastare le violazioni delle libertà individuali della donna in nome di precetti religiosi (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto altresì che sono state presentate le mozioni Mura ed altri n. 1-00095, Sereni ed altri n. 1-00096, Mazzoni ed altri n. 1-00097 e Balducci ed altri n. 1-00098, (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1), vertenti sul medesimo argomento delle mozioni all'ordine del giorno e che saranno pertanto discusse congiuntamente.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare la deputata Lussana, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00025. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, negli ultimi due decenni le emigrazioni internazionali hanno profondamente modificato la struttura della società in cui viviamo. L'incessante immigrazione multireligiosa ha inevitabilmente prodotto mutamenti all'interno della comunità, con una tale rapidità che, molto spesso, il legislatore non è riuscito a regolare e ad ordinare, innescando un effetto domino che ha generato una diffusa illegalità.
In Italia, in un'ottica di rispetto del principio basilare tradizionale della laicità, da sempre convivono in modo sinergico il rispetto dei valori e dei principi democratici, fondamento della nostra Carta costituzionale, con quelli religiosi. Mai, infatti, sono sorte problematiche riguardo ad un'interpretazione religiosa che potesse essere in contrasto con i valori principali sanciti con la Costituzione laica, la Carta fondamentale su cui si costruisce tutto il nostro ordinamento giuridico.
Ad oggi - come è ormai a tutti noto -, la situazione si è radicalmente modificata. Basti pensare - e questo è il frutto dell'immigrazione - alla presenza nel nostro territorio di comunità islamiche.
Ormai, i musulmani presenti in Italia sono circa 1 milione e 200 mila e rappresentano la seconda comunità religiosa per consistenza dopo i cattolici. Ed è inutile negare come la crescita esponenziale di questo fenomeno abbia generato, da subito, una serie di problematiche, che rendono difficile una serena e pacifica integrazione.
La sostanziale differenza metodologica di ragionamento dei fedeli musulmani nei confronti dell'organizzazione del sistema statuale ha colto nettamente di sorpresa il legislatore, che è stato incapace di intervenire nel merito delle questioni senza essere preda di ipocrisia buonista o di strumentale laicismo.
Prima di ogni argomentazione, comunque, tengo a ribadire - a scanso di equivoci o critiche pretestuose - che chiaramente non mettiamo in discussione il fatto che la libertà religiosa, di credenza e di coscienza è un diritto inviolabile, consolidato dagli articoli 3, 8, 19 e 20 della nostra Costituzione. Però, è importante sottolineare, con altrettanto coraggio, che non possiamo accettare logiche eccessivamente tolleranti, che ci rendono incapaci di osservare in modo distaccato alcune pericolose dinamiche che scaturiscono da una visione integralista dell'appartenenza ad una comunità religiosa.
È necessario riflettere in ordine alle problematiche relative al modo di confrontarsi con l'Islam, perché nel nostro paese non esiste un'autorità dei musulmani riconosciuta in quanto tale, pronta,Pag. 16ad esempio, ad accettare la differenziazione netta fra la sfera laica e la sfera religiosa, capace di collaborare inequivocabilmente con il nostro Stato, per mettere al bando le degenerazioni integraliste, che, nei casi più estremi, sono sfogate o sfogano nel terrorismo, ma che molto spesso si manifestano in vere e proprie violazioni dei principi democratici sanciti dalla nostra Costituzione: la segregazione, l'umiliazione, le violenze, le mutilazioni sessuali, la poligamia, la mortificazione del corpo e della personalità.
Purtroppo - lo sappiamo e dobbiamo tenerne conto - per l'Islam la religione e la legge coincidono esattamente. Legge religiosa e legge civile non si distinguono, perché lo Stato trae la sua legittimità solo da Dio. Per cui, autorità politica e autorità religiosa si identificano.
Secondo la religione islamica, Dio stesso ha comandato che la legge religiosa sia anche la legge dello Stato e che debba imporsi all'interno e all'esterno anche con la forza dello Stato.
È importante sottolineare che dovere di ogni musulmano è quello di compiere ogni sforzo - la cosiddetta jihad - per far adottare alle autorità civili, nei paesi arabi così come nei paesi ospitanti e, quindi, anche in Europa, leggi consone con l'inviolabile legge di Dio, la sharia. Quindi, le norme religiose islamiche non comprendono solo usanze o imperativi morali, ma anche elementi di diritto civile, penale e costituzionale.
Ritengo che dobbiamo essere chiari ed affrontare questo problema senza demagogia, cercando anche di essere obiettivi e di confrontarci con un fenomeno che comporta un difficile approccio, se utilizziamo i nostri canoni, i canoni della nostra cultura e della nostra democrazia.
Dobbiamo, purtroppo, renderci conto di come l'Islam, presente anche in Italia, soprattutto nei suoi aspetti fondamentalisti, neghi libertà o principi fondamentali ormai bagaglio della società occidentale, che fanno parte della nostra cultura, che ne hanno rappresentato nei secoli battaglie e conquiste, che nessuno oggi metterebbe in discussione. Nessuno di noi, infatti, metterebbe in discussione la libertà individuale di pensiero, il principio di autodeterminazione e di uguaglianza formale di tutti i cittadini davanti alla legge, lo status delle donne e dei minori, lo status dei non credenti, il trattamento degli animali. Purtroppo, però, ci dobbiamo rendere conto che l'Islam - o una parte dell'Islam - nega quelle che sono per noi battaglie di civiltà.
Allora, ecco che dobbiamo tornare ad essere consapevoli ed a prendere coscienza del fatto che la battaglia contro il fondamentalismo islamico non può essere affrontata con i tradizionali metodi che il mondo occidentale ha sviluppato nel tempo. Il dialogo e l'integrazione da soli non sono sufficienti né efficaci, se la controparte non accetta, non riconosce, e nella maggior parte dei casi, tante volte, disprezza profondamente queste regole del gioco.
Troppe volte, quando la Lega ha espresso denunce di questo tipo, siamo stati tacciati di essere xenofobi, razzisti, di avere una visione dell'Islam che non corrispondeva alla realtà. Troppe volte si è voluto far credere che, in Italia, esiste il solo cosiddetto Islam moderato, che riconosce e accetta i nostri principi costituzionali, le regole fondamentali del nostro ordinamento giuridico.
Purtroppo, però, non sempre è così. Vorrei ricordare quanto è stato portato a conoscenza dell'opinione pubblica dall'inchiesta giornalistica trasmessa su Sky Tg 24 all'interno della trasmissione Un velo tra noi. Due giornalisti - la vicenda è fin troppo nota - infiltratisi come fedeli in alcune moschee italiane sono riusciti a carpire, con telecamere e microfoni nascosti, gli intenti chiaramente palesati da alcuni imam presenti in Italia che prefigurano uno scenario di strisciante islamizzazione della Repubblica italiana, sfruttando proprio quelle maglie di libertà assicurate dalla nostra Carta costituzionale.
La sfida del fondamentalismo non sarebbe così impellente e pericolosa se non affondasse il colpo in un Occidente smarrito, che ha abbassato la sua guardiaPag. 17demograficamente, psicologicamente e spiritualmente, incapace di reagire perché assuefatto a ideali di multiculturalismo, mondialismo, necessari sì ad una concezione economicamente fruibile della realtà ma al prezzo di un relativismo senza uscita per quel che riguarda i valori, le identità e le nostre tradizioni.
Il problema della negazione delle libertà fondamentali, dei principi fondamentali della cultura occidentale riguarda in modo particolare le donne. La mozione da me presentata, forse dura nelle premesse, ha per oggetto la salvaguardia delle donne islamiche, di cui il Parlamento e, soprattutto, le donne presenti in Parlamento debbono farsi portatrici. Ciò, fra l'altro, ci viene richiesto da molte donne che hanno il coraggio di evidenziare, di denunciare la loro condizione di sottomissione che deriva, purtroppo, dalla negazione, in gran parte del mondo islamico presente nel nostro paese, di un principio fondamentale della cultura occidentale, la parità tra uomo e donna.
Come possiamo accettare, nel nostro paese, che vi possano essere episodi come quello denunciato da Magdi Allam, per cui all'interno della moschea di Verona, la guida spirituale, Wagdi Ghoneim, un estremista incarcerato in Egitto, espulso dagli Stati Uniti e dal Canada, entrato in Italia su invito dell'UCOII, un'associazione che siede nella consulta islamica e che dovrebbe occuparsi di dialogo, di integrazione tra musulmani e italiani e la società che la ospita, questo signore, questo sedicente imam (lo ricordo perché è importante), interpretando il Corano, ha indicato tra i doveri di ogni buon musulmano quello di usare la violenza nei confronti delle donne che sbagliano? Le donne sono paragonate alle pecore e, quindi, è legittimato il diritto di violenza su di loro.
Mi rivolgo in modo particolare alle colleghe presenti in aula, a tutte coloro che si sono contraddistinte, in questi anni, per le battaglie in difesa delle donne. Dobbiamo ammetterlo: il caso di Verona non è, purtroppo, isolato. In Italia, dilaga il fenomeno della violenza contro le donne, vittime della sottomissione irragionevole a dettami fanatico religiosi.
Vorrei ricordare alcuni episodi tragici, dolorosi e il silenzio assordante che, molte volte, li ha accompagnati. Ricordo Hina, la ragazza che viveva in provincia di Brescia, uccisa in modo selvaggio dagli uomini della sua famiglia, dall'intero clan familiare, solo perché voleva vivere all'occidentale. Rendiamoci conto di come sia prevalsa la legge della comunità rispetto all'amore nei confronti di una figlia. Non possiamo non tenere conto di questi fatti.
Ricordo Maha, una donna tunisina pestata a sangue perché osava uscire di casa, la sera, senza il consenso della famiglia, oppure Khaur, una donna coraggiosa che si è condannata al suicidio lasciando due figli, pur di sfuggire ad un matrimonio imposto dalla sua famiglia, per lanciare un monito, un segnale a noi donne occidentali che non dobbiamo più tacere di fronte ad episodi di questo genere.
Ho citato solo alcuni casi, perché molti non li conosciamo. Purtroppo, vi è molta omertà e difficoltà da parte di queste donne di trovare il coraggio di denunciare.
Vi sono tantissimi episodi, purtroppo, che testimoniano le violenze, i soprusi e, soprattutto, le negazioni delle libertà individuali, delle libertà di scelta delle donne, in nome di un precetto religioso, in nome del teodispotismo coranico. Non si tratta solo di fatti di sangue: pensiamo, ad esempio, alla mancata considerazione della donna nel diritto di famiglia, nel campo dell'affidamento dei figli, alla problematica - che si dovrà aprire - dei matrimoni misti e, quindi, dei bambini sottratti alle madri e portati nei paesi di origine del padre, con le madri che non hanno più possibilità di dire nulla perché non è riconosciuta la loro potestà nei confronti di questi figli.
Non possiamo dimenticare questi episodi e dobbiamo trovare il modo di aiutare queste donne. Sono tantissime, purtroppo, le donne che vivono tra noi condannate a morte - questo lo abbiamo detto - solo per il fatto di aver voluto essere libere di scegliere.Pag. 18
Vorrei ricordare il monito di una donna coraggiosa, Oriana Fallaci, che ci chiedeva e ci supplicava di non essere indifferenti. Qui veramente è assordante e colpevole il silenzio di molte delle comunità musulmane presenti in Italia. Finalmente qualcuno ha indagato l'UCOII per istigazione all'odio razziale, ma l'UCOII, che siede ancora nella consulta islamica, non ha mai denunciato questi episodi di sopraffazione nei confronti delle donne. Allora, ci chiediamo come sia possibile che l'UCOII rappresenti parte della comunità islamica, che l'UCOII sieda nella consulta islamica!
Purtroppo, è veramente demoralizzante notare come tali fatti delittuosi vengano sottovalutati dalle istituzioni pubbliche; abbiamo una società incapace di reagire e, forse, siamo un po' tutti presi dal nostro vivere, perché guardiamo solo il nostro orticello, nel nostro vivere individualista e asettico, oppure, ancora peggio, cerchiamo di essere tolleranti di fronte a casi di questo genere in nome del rispetto di una diversa tradizione culturale, di un precetto religioso diverso, di un'altra religione.
Penso che non si possa restare silenti di fronte a questi soprusi autentici nei confronti delle donne. Finora troppo debole è stata la risposta dell'Occidente nei confronti di episodi di questo genere e dobbiamo agire con fermezza.
Ricordo il dibattito svoltosi in quest'aula nella passata legislatura, quando abbiamo affrontato il tema dell'infibulazione. La Lega ha voluto una legge contro l'infibulazione, che poi fu fatta propria da tutti i colleghi e le colleghe presenti in questo Parlamento. È stata una grande battaglia trasversale. Allora ragionammo molto: alcuni si domandavano se fosse giusto intervenire con una legge così forte e così pesante; si sosteneva che le mutilazioni genitali, in fondo, vengono praticate dai genitori stessi in nome di un'antica tradizione, in nome della loro cultura! Si voleva trovare delle giustificazioni! Poi è prevalso invece il senso di ragionevolezza, che spero possa prevalere anche nell'approvazione di queste mozioni e nell'approvazione di una serie di iniziative che vanno a tutela delle donne islamiche presenti in questo paese.
In tali atti si afferma che la norma penale serve, anche se accompagnata a campagne di sensibilizzazione, di informazione e di aiuto, per indicare un discrimine di civiltà, per far capire che in Occidente queste barbarie non sono tollerate e, soprattutto, per dotare le donne, che vogliono sottrarsi a questo tipo di pratica, di uno strumento, di un appiglio. È chiaro che anche la previsione del reato penale può servire a questo: per dotarle di una consapevolezza diversa e per opporsi a questo tipo di soprusi.
La mozione voleva ribadire la necessità che le istituzioni del nostro paese non siano prive di coraggio nell'affrontare il problema. Certo, bisogna essere rispettosi delle culture, delle religioni diverse dalla nostra - l'ho detto prima -; da noi, assolutamente, vige il principio della libertà religiosa e della libertà di espressione della propria fede, ma questa libertà trova un limite invalicabile nel rispetto dei diritti umani delle persone.
Ci sono diritti, come quello della parità tra uomo e donna, nei confronti dei quali non si può scendere a compromessi: sono diritti che non possono essere negoziati. Ritengo quindi opportuno che si apra un dibattito in Parlamento, per cercare di liberare queste donne, schiave dei maschi della loro comunità, che non sono libere di potersi esprimere, come invece è garantito a noi, donne occidentali. Vedete, stiamo facendo tante battaglie, anche trasversali, per affermare pienamente il principio della pari opportunità nel nostro paese - se ne discute molto ed abbiamo modificato l'articolo 51 della nostra Costituzione -, eppure sono presenti in Italia persone che ancora negano la parità della donna con l'uomo, che la considerano ancora la pecora da percuotere, quando non risponde ai dettami del marito.
Di fronte a ciò, come si reagisce? Sicuramente non con la tolleranza, bensì con la fermezza e mi auguro che anche la magistratura possa affrontare con la dovuta severità i casi di violenza che ci sonoPag. 19nei confronti di queste donne. Tuttavia il problema è sostanzialmente anche di natura culturale. Allora noi dovremo cercare effettivamente, con le difficoltà che ci sono - perché magari queste stesse donne potranno, per paura, rifiutare l'aiuto che viene loro dato -, gli strumenti per penetrare nelle comunità presenti nel nostro paese, educando soprattutto le donne, perché l'emancipazione deve partire da loro, e facendo capire che si può essere un buon musulmano, rispettando però le libertà individuali della persona. Questa è la sfida che noi abbiamo di fronte per una pacifica convivenza. Una sfida che sicuramente non si porta avanti a colpi di buonismo e a colpi di tolleranza.
Non ho potuto, signor Presidente, leggere attentamente tutte le altre mozioni che sono state presentate. Avremo modo di parlarne nel seguito della discussione, però parlando con alcune colleghe, che tra l'altro stimo, ho visto che alcune di esse - mi riferisco alla mozione dell'onorevole Mura - estendono il problema alla violenza su tutte le donne. È chiaro che siamo d'accordo su questo punto. Il problema della violenza non riguarda infatti solo le donne musulmane o di altre comunità presenti nel nostro paese, ma riguarda purtroppo anche le donne italiane, vittime di violenza quotidiana e di soprusi all'interno della famiglia. Peraltro, da tempo ho sollevato questo tema, presentando anche una proposta di legge contro la violenza sessuale, per migliorare la normativa attualmente esistente in materia, giacché questo è un fenomeno che sicuramente deve essere combattuto con la repressione penale, oltre che con strumenti di aiuto e di ascolto per queste donne, perché occorre far emergere le violenze perpetrate in famiglia.
Tuttavia qui non si può estendere il problema alla violenza in generale e mi auguro quindi che non si vada in questa direzione; lo dico in modo particolare alle colleghe della sinistra e lo dico anche al rappresentante del Governo. Noi dobbiamo avere il coraggio di affrontare il problema così com'è: violenza sulle donne e negazione delle libertà individuali in nome di un precetto religioso. Quindi dobbiamo adottare delle misure positive, che vadano nella direzione di aiutare le donne islamiche nel nostro paese, che devono cessare di essere schiave e che devono avere il diritto e la possibilità di potersi esprimere e di essere libere di scegliere (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Paoletti Tangheroni, che illustrerà anche la mozione Bertolini ed altri n. 1-00093, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. La tutela e la difesa dei diritti umani e civili costituisce patrimonio comune per molti dei paesi che compongono la comunità internazionale e sono addirittura assurte a centro delle relazioni internazionali. Particolare attenzione viene dedicata, in tale contesto, alla valorizzazione, alla promozione e alla tutela della condizione femminile nel mondo. L'Italia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei riguardi delle donne ed il relativo Protocollo opzionale, con il quale il nostro paese ha accettato la competenza del Comitato delle Nazione Unite sull'eliminazione delle discriminazioni contro le donne a ricevere periodiche comunicazioni da parte del Governo sullo stato di attuazione della Convenzione e a formulare raccomandazioni in merito.
Inoltre, nel gennaio del 2003, l'Italia ha partecipato ai lavori della quinta Conferenza ministeriale europea sull'uguaglianza tra uomini e donne. La Conferenza ha adottato una dichiarazione finale, che individua le priorità d'azione dei Governi europei nella promozione di uguali opportunità, diritti, libertà e responsabilità e nell'azione di prevenzione e lotta alla violenza contro le donne e al traffico internazionale di esseri umani.
L'Italia svolge un ruolo attivo per assicurare, in linea con il piano d'azione della Conferenza di Pechino del 1995 e gli impegni assunti con la sessione specialePag. 20delle Nazioni Unite «Donne 2000: uguaglianza tra i sessi, sviluppo e pace per il XXI secolo», un sempre maggiore rispetto dei diritti delle donne.
Presidente, mi sono permessa di ricordare questi aspetti, in quanto intendo sottolineare l'impegno dell'Italia a livello internazionale. Ciò ci consente di sottolineare l'inadeguatezza delle azioni che l'Italia intraprende oggi per la difesa dei diritti umani e civili sul proprio territorio, in particolar modo delle donne extracomunitarie presenti in Italia, a fronte degli impegni assunti in ambito internazionale.
La mozione che abbiamo presentato sottolinea che: l'86 per cento delle donne islamiche presenti in Italia è analfabeta ed ignora il sistema alfanumerico; l'80 per cento non esce di casa se non accompagnata da figure maschili della famiglia di appartenenza; solo il 10 per cento delle 400 mila donne islamiche presenti in Italia - poi ci sono anche le clandestine - conduce una vita che, secondo gli standard socio-statistici, potrebbe definirsi equiparabile a quella condotta mediamente da una donna italiana.
La cronaca quotidiana ci informa, con crescente drammaticità, di violenze consumate sul territorio italiano all'interno di nuclei familiari o di comunità di origine extracomunitaria. Tali atti si indirizzano soprattutto nei confronti delle donne e dei soggetti che, in questi contesti, vivono in una condizione di debolezza e di minorità.
Sul nostro territorio si moltiplicano le denunce di donne extracomunitarie di religione islamica - sono d'accordo con la collega Lussana sul fatto che ora è opportuno parlare di questo problema, poi in altra sede affronteremo il tema più generale della violenza sulle donne - vittime di matrimoni poligamici, celebrati in centri di preghiera autorizzati dallo Stato a svolgere una libera attività associativa, ma senza alcuna autorità giuridica che ponga in essere un'unione che possa essere considerata valida. Questi matrimoni poligamici sostanziano non solo una grave violazione dell'ordinamento penale italiano, ma anche una grave lesione della dignità umana delle donne musulmane presenti in Italia, poiché spesso esse ignorano, tra l'altro, la non validità dell'unione ufficializzata in moschea, subendone comunque le conseguenze in caso di ripudio.
Una recente indagine sulla poligamia nel nord-est, pubblicata su un quotidiano nazionale, evidenzia che il problema sembra essere la posizione sulla poligamia assunta dalle organizzazioni musulmane in Italia. Ci sono certamente diverse organizzazioni musulmane che si dichiarano decisamente contrarie alla poligamia, quali ad esempio la Coreis, di cui è presidente Pallavicini, o l'Associazione delle donne marocchine di Souad Sbai. Tuttavia, si tratta purtroppo di associazioni decisamente minoritarie nel mondo delle moschee.
L'UCOII, l'Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia, associazione nota per la sua vicinanza ai Fratelli musulmani - quest'ultima, lo sottolineo, considerata la casa madre del fondamentalismo internazionale - è, ahimè, la sigla più rappresentata nelle moschee. È dunque importante sapere cosa pensi davvero L'UCOII della poligamia. Uno tra i suoi fondatori, Mohammed Bahà el-Din Ghrewati, ne ha chiesto il riconoscimento giuridico. Il presidente dell'Ucooi, Dachan Nour, dichiara che la posizione di Bahà el-Din non è quella ufficiale di tutta l'associazione, e ciò dovrebbe consolarci. Peccato però che qualche tempo fa sui giornali è stato riportato che proprio il presidente Dachan Nour, divorziato da una precedente moglie italiana e sposato con una marocchina, ha contratto, nel marzo 2006, a Verona, un secondo matrimonio poligamico in moschea, con una cittadina italiana convertita all'islam.
Si tratta, dunque, di situazioni che dovrebbero destare molta preoccupazione da parte dei decisori (mi riferisco al Governo). Recentemente, infatti, il Parlamento europeo - dovremmo tenere in considerazione sempre, oppure mai, ciò che decide il Parlamento europeo e le indicazioni che il medesimo ci fornisce, non «ad intermittenza», quando ci fa comodo - ha inviato agli Stati membri una raccomandazione volta a far sì chePag. 21per le donne migranti, indipendentemente dalla loro situazione, sia garantito il rispetto dei diritti fondamentali e, in particolare, la protezione contro la riduzione in schiavitù e contro la violenza, nonché l'accesso alle cure mediche. Il Parlamento europeo è, quindi, molto preoccupato che per tali donne siano salvaguardati i diritti e che si debba combattere contro le discriminazioni cui le medesime sono esposte nelle loro comunità di origine. Mi piace, signor Presidente, citare tra virgolette quanto dice il testo del Parlamento europeo: «(...) rifiutando tutte le forme di relativismo culturale e religioso che possano violare i diritti fondamentali delle donne (...)». Quindi, il Parlamento europeo parla anche di matrimoni forzati e parla, con preoccupazione, anche dei matrimoni poligamici, che sono stati - dice sempre il Parlamento europeo - riconosciuti come legali in alcuni degli Stati membri, nonostante la poligamia sia proibita in tutti gli Stati membri dell'Unione europea. I deputati europei invitano, quindi, i Governi a garantire il mantenimento dell'illegalità della poligamia nei propri Stati.
Signor Presidente, la cronaca degli ultimi mesi ci ha raccontato storie di violenze feroci e di omicidi commessi su donne islamiche, ma oltre all'eccezionalità degli orrori estremi che sono riportati nelle cronache dei media, esiste una quotidianità di violenza, soprusi e sfruttamento vissuto tra le mura domestiche. Dobbiamo far emergere questo mondo parallelo che vive nelle nostre città, nel silenzio e nascosto dalla paura delle vittime e dall'omertà dei carnefici.
Per tutti questi motivi noi chiediamo l'impegno del nostro Governo in materia, un impegno che dovrebbe prevedere iniziative, anche legislative, volte a tutelare ed a garantire sul territorio nazionale il rispetto dei diritti umani e civili delle donne extracomunitarie presenti in Italia. Chiediamo, inoltre, che il Governo si impegni fattivamente per un miglioramento delle condizioni di vita delle donne extracomunitarie, attraverso specifici corsi di alfabetizzazione in italiano, programmi di inserimento nel mondo lavorativo ed imprenditoriale, oltre ad adottare specifiche campagne di sensibilizzazione che permettano alle donne interessate di conoscere i propri diritti e i possibili strumenti di autotutela. In tal senso, sarebbe quanto mai opportuno - mi rivolgo al Governo, che fortunatamente oggi è rappresentato in quest'aula da una donna - istituire un telefono multilingue, che renda più agevole alle donne extracomunitarie denunciare la propria condizione di disagio sociale, fisico e psichico. Infine, accertati gli episodi di unioni poligamiche contratte nel nostro territorio, ritengo assolutamente necessario, obbligatorio escludere dalla Consulta islamica tutte quelle associazioni di rappresentanza che pongono in essere comportamenti contrari ai principi dell'ordinamento giuridico italiano e, in generale, della condizione della donna extracomunitaria.
Presidente, è veramente molto grave la situazione che stiamo vivendo! Credo sia veramente indispensabile affermare questo diritto delle donne extracomunitarie.
Concludendo, credo che vi siano, per noi che facciamo parte con orgoglio della civiltà occidentale, delle priorità irrinunciabili. La tutela dei diritti umani è condizione assolutamente indispensabile, prima di ogni altra iniziativa. Qui si parla di allocazione e gestione di risorse ed è dunque necessario avere delle priorità.
Prima di autorizzare, fino a sostenere con risorse pubbliche italiane, la costruzione di moschee, cerchiamo di mettere insieme iniziative che assicurino la dignità e la sicurezza delle donne islamiche che vivono nel nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Mura, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00095. Ne ha facoltà.
SILVANA MURA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, le mozioni oggi all'ordine del giorno hanno già prodotto un risultato estremamente positivo, quello di consentire a quest'Assemblea diPag. 22svolgere un dibattito sulle violenze e sulle discriminazioni che colpiscono le donne, un dibattito quanto mai opportuno perché, tra l'altro, cade all'inizio dell'anno europeo delle pari opportunità.
Le mozioni illustrate poco fa dalle colleghe della Lega e di Forza Italia sollevano questioni e propongono misure in parte condivisibili: quello che però non ci convince è l'impianto generale di questi documenti.
È sicuramente vero, e le cronache lo hanno riportato, che nella comunità musulmana presente in Italia si sono verificati episodi estremamente gravi, come quelli di Hina, di Maha e Khaur, che denotano una visione fortemente discriminatoria nei confronti della donna. Noi dell'Italia dei Valori riteniamo, però, che sarebbe un errore generalizzare: in Italia vi sono alcuni immigrati che professano una visione fondamentalista e intransigente dell'Islam, è vero, ma si tratta di una parte, non di tutti.
Proprio per evitare di incorrere in generalizzazioni ingiuste, Italia dei valori ha ritenuto di presentare una propria mozione, che ha la finalità di ampliare il campo d'azione del dibattito. Si affronti pure, e ben venga, la questione della violenza nei confronti della donna, della tutela dei suoi diritti, della realizzazione di una effettiva parità di opportunità, ma facciamolo a tutto campo, occupandoci anche di quello che accade in casa nostra.
La violenza ai danni delle donne, la limitazione delle loro libertà, la discriminazione dei loro diritti sono un triste fenomeno che si verifica con forme e intensità diverse, ma in tutto il mondo, in Occidente come in Oriente, nel nord come nel sud del mondo. In Italia siamo rimasti sconvolti da quanto accaduto alle tre giovani ragazze straniere!
E poi non dimentichiamoci quello che è successo lo scorso anno nel periodo di agosto e settembre, quando la nostra opinione pubblica è stata profondamente scioccata per i fatti e le violenze inaudite, accadute peraltro in città come Bologna o Genova, episodi orribili che hanno visto come vittime proprio le donne, donne che andavano a lavorare e prendevano l'autobus per recarsi sul posto di lavoro, oppure quelle che rientravano a casa dopo una serata con amici, oppure ancora turiste straniere che erano giunte nel nostro paese per visitarlo: e gli aggressori erano anche italiani, non solo stranieri!
E da ultimo, i fatti risalenti a poche settimane fa: abbiamo scoperto quello che accade in alcune scuole italiane, dove alcune ragazzine sono costrette a fornire prestazioni sessuali, pena la pubblicazione su Internet di immagini della propria intimità rubate a loro insaputa.
Ebbene, sempre con riferimento all'ambito nazionale, vorrei portare nel dibattito alcuni dati statistici relativi al 2005 contenuti nel rapporto Eures-Ansa «L'omicidio volontario in Italia»; essi rivelano che gli omicidi che avvengono all'interno delle mura domestiche sono più numerosi di quelli commessi dalla mafia. Infatti, gli omicidi compiuti all'interno della sfera familiare nel 2005 sono stati 174 a fronte dei 146 dovuti alla criminalità organizzata; se tali dati sono veri, ed è chiaro che sono veri, è lecito affermare che in Italia la famiglia uccide di più della mafia.
Inoltre, lo stesso rapporto evidenzia come sia in aumento, rispetto al 2004, il numero degli omicidi perpetrati all'interno della sfera familiare; infatti, poiché nel 2004 erano stati registrati 146 casi di omicidio, si registra un aumento di ben il 20 per cento in un solo anno. Il dato dimostra anche che le mura domestiche, teoriche dovrebbero rappresentare il luogo più sicuro, si rivelano, in realtà, come il luogo maggiormente a rischio.
Appurando chi siano le vittime designate di questi omicidi compiuti in famiglia, ci si accorge che nel 70 per cento dei casi sono donne; in otto casi su dieci, poi, l'omicida è un uomo, in genere il coniuge, il convivente, un familiare, l'ex coniuge o l'ex convivente. Secondo quanto appare da questi dati, le vittime principali delle violenze domestiche sono, per l'appunto, le donne; vittime ancora oggi di una cultura del sopruso e di dominio, di una culturaPag. 23incapace di stabilire relazioni positive costruite sulla pari dignità e sul rispetto reciproco.
Italia dei Valori, sulla base di questi dati, ritiene che occorra impegnare di più l'azione del Governo e del Parlamento nella difesa di tutte le donne che vivono in Italia anziché isolare minoranze culturali, pure importanti, e farne l'oggetto principale della nostra attenzione. L'attenzione per le diverse culture e per il diverso modo di intendere il ruolo e la posizione delle donne, proprio perché rappresenta un punto evidente e condiviso, dovrà costituire un'articolazione di un più generale progetto a difesa delle donne contro gli omicidi e le violenze in genere.
Il Parlamento ed il Governo devono affrontare il problema di tutte le forme di violenza subite dai più deboli, non solo dalle donne ma anche dai bambini, dagli anziani, dai disabili, al di là della loro lingua, nazionalità, cultura o religione. Una società che non rispetta e non valorizza le fragilità di ognuno dei suoi componenti ma accetta - o, peggio ancora, subisce - l'arroganza dei potenti, non solo non è giusta ma è anche incivile e senza futuro. I morti sono morti, le violenze sono violenze, indipendentemente dai carnefici e dai moventi; mi chiedo quale sia il colore della violenza, in quale lingua piangano le donne violentate, in quale Paradiso finiscano le donne ammazzate!
Ritengo che le donne e le persone che subiscono violenze fisiche e psicologiche debbano essere tutelate anzitutto dalle leggi e dagli organi dello Stato affinché la società tutta cambi e non vi siano più storie disumane quali quelle cui siamo stati costretti ad assistere in quest'ultimo periodo. La violenza sulle donne non conosce confini; al riguardo, voglio affermare con forza un dato: a livello mondiale, la violenza è la prima causa di morte e di invalidità per le donne dai quindici ai quarantaquattro anni, ancor più del cancro, della malaria, degli incidenti stradali e, addirittura, della guerra. Questo dato proviene da una ricerca della Harvard University di qualche anno fa ed è stato diffuso dall'Istituto Panos di Londra, un'organizzazione non governativa che si occupa di problemi globali e dello sviluppo.
Riteniamo perciò che sia necessario unire tutte le energie migliori della società per affrontare e modificare questo stato di cose inaccettabile; occorre dunque agire tutti uniti secondo una logica di governo partecipato in cui magistrature, prefetture, questure, amministrazioni locali e rappresentanti della società civile, pur nella diversità delle competenze e dei ruoli, a livello territoriale collaborino per contrastare ogni forma di violenza, sia con attività di prevenzione e sensibilizzazione sia con azioni di contrasto e repressione di comportamenti illegali.
Occorre promuovere programmi di educazione e formazione sui diritti umani nelle scuole e nella società, lanciare iniziative pubbliche di sensibilizzazione ed istituire centri di ascolto per le donne che vivono realtà di sopraffazione e di violenza; occorre coinvolgere attivamente i rappresentanti delle comunità straniere affinché culture e religioni diverse concorrano all'affermazione dei diritti fondamentali dell'uomo, della pari dignità e delle pari opportunità.
Sintetizzando, Italia dei Valori è convinta che la prima cosa da fare è quella di far rispettare a tutti, senza distinzione, le leggi dello Stato. Riteniamo condivisibile l'impegno chiesto dalla collega del gruppo di Forza Italia al Governo di promuovere iniziative volte a tutelare e a garantire i diritti umani e civili delle donne extracomunitarie, il miglioramento delle loro condizioni di vita, prevedendo corsi di alfabetizzazione in italiano, programmi di inserimento nel mondo lavorativo imprenditoriale, campagne di informazione sui loro diritti e doveri, fino all'istituzione di telefoni multilingue che raccolgano le denunce del loro disagio.
Italia dei Valori è però convinta che i temi della tutela della donna, dei sui diritti e delle sue libertà debbano essere affrontati a 360 gradi, affrontando in tale ambito anche la situazione delle donne straniere che, a causa di interpretazioni fondamentaliste della religione, vengono discriminate.Pag. 24Al contrario, una visione parziale che si limita a puntare il dito solo sulle comunità straniere tralascia le discriminazioni che sono ancora tanto presenti nella società italiana.
È per questo che Italia dei Valori chiede al Governo di adottare tutte le misure utili ad assicurare un'effettiva parità di opportunità nel nostro paese; chiede di dare corso ad una battaglia culturale che coinvolga, soprattutto, i più giovani per affermare una solida cultura incentrata sul rispetto dei diritti umani e sul rifiuto di ogni discriminazione, a partire da quella sessuale.
Bandire la violenza e la discriminazione deve essere l'obiettivo comune di tutti gli uomini e le donne del nostro paese, indipendentemente da qualsiasi e da qualunque altra diversità.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Incostante, che illustrerà anche la mozione Sereni n. 1-00096, di cui è cofirmataria.
MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Signor Presidente, avendo ascoltato gli interventi sulle mozioni presentate dalle colleghe, credo sia stato utile questo punto del dibattito, con le questioni che sono emerse, anche con riferimento all'impegno che chiediamo al Governo ed a tutto il Parlamento su questi temi tanto fondamentali, soprattutto nell'ambito della congiuntura abbastanza favorevole dell'anno europeo delle pari opportunità.
Ho ascoltato con molta attenzione l'illustrazione delle mozioni e credo che tutte le colleghe, al di là di alcune accentuazioni, convengono sulla necessità di dare impulso alla battaglia su tali questioni e di svolgere nel nostro Paese, all'interno anche dell'Europa, azioni decisive anche in concomitanza di questa ricorrenza.
Le questioni poste, in particolare per quanto riguarda l'accentuazione delle violenze sulle donne rispetto a tanti fondamentalismi, sono a noi molto note, hanno prodotto e producono certamente nel nostro Paese e nel mondo i loro riflessi negativi, soprattutto sulle donne. Però sarebbe un po' generico dimenticare quanto il fondamentalismo incida profondamente sulle strutture della società in senso lato, persino sui suoi conflitti, sulla pace, sulla guerra, sull'organizzazione sociale, sulle famiglie, nel rapporto con i minori ed anche ed in modo fondamentale nel rapporto tra i generi. È evidente che ogni tipo di fondamentalismo nega le pari opportunità, i diritti, l'inviolabilità della persona, i diritti umani e che il mondo è pieno di disastri, perché, quando il fondamentalismo prende piede, la violenza e la sopraffazione sulle donne, ma direi su tutte le persone umane, sono sicuramente molto forti.
Allora, sicuramente l'impegno del nostro Governo, dei Governi deve essere quello di battersi per contrastare ogni forma di fondamentalismo; sotto questo profilo, sono assolutamente condivisibili e auspicabili alcune proposte illustrate.
Tuttavia, non vorrei che, per discutere in modo molto forte, anche sicuramente sentito, in ordine a tale argomento, finissimo per parlare di una religione, delle sue caratteristiche o meglio di alcune sue estreme espressioni fondamentaliste e delle ricadute che esse hanno. Credo che in tal modo, invece, di dare valore e molta forza ad alcuni temi, quale la violenza sulle donne, perpetrata sì in alcune circostanze e contesti, siano essi sociali o religiosi, ma in genere anche, come è stato detto, in tanti altri contesti, questi rischino di appannarsi.
Allora non vorrei parlare solo - questo ci proponiamo nella nostra mozione - dell'Islam, in modo generico ed approssimativo, senza tuttavia negare gli aspetti sollevati dalle colleghe. L'identità è un grande valore e facciamo bene a difendere la cultura e le conquiste dell'Occidente; tuttavia per allargare i diritti e la democrazia nel mondo e per far avanzare la cultura, oltre alle leggi occorrono molte altre azioni. Soprattutto, credo che occorra la prospettiva del dialogo. Non è buonismo, il dialogo significa anche conflitto positivo; significa anche misurarsi ed affermare alcune idee ed alcune opzioni, basandosi sull'assunto che le differenzePag. 25possono aiutare alla costruzione del progresso e che il confronto può significare crescere, modificarsi ed arricchirsi. La stessa identità - che tanto difendiamo - non deve diventare fissa, bensì aperta al confronto per l'affermazione di maggiori diritti e più democrazia.
Pertanto, in questo contesto voglio trattare l'argomento della pari opportunità, sollecitando il Governo a svolgere in questo anno un'azione nel nostro Paese, in Europa e nel mondo a favore delle donne ancora soggette a gravi discriminazioni e violenze, come ampiamente affermato nell'illustrazione della mozione precedente. Da tempo l'Unione europea nei suoi programmi, nelle sue linee strategiche e con i suoi finanziamenti persegue la linea del rafforzamento di tante e tante azioni volte a garantire i diritti, la parità e la non discriminazione, che invece può verificarsi in base a numerosi elementi come ad esempio la razza, l'appartenenza etnica, l'handicap, ma anche le differenze sessuali, che spesso si trasformano in disuguaglianze ed addirittura in discriminazioni.
Quindi, vorrei soffermarmi sulla differenza di genere, rispetto alla quale si pensa che tante conquiste siano già state fatte e ciò sicuramente è innegabile. Tuttavia, permangono incredibili divari anche qui e nei paesi dove, dal punto di vista normativo e civile, molte conquiste sono state raggiunte ed affermate. Tale divari permangono nel lavoro pubblico e privato, nel salario, nell'appartenenza alle istituzioni pubbliche, nella frequentazione da parte delle donne dei luoghi decisionali, nell'affermazione in politica, nei partiti e nelle famiglie. Rimangono allarmanti anche i dati sulla violenza, una vera e propria emergenza sociale. Questa si riscontra - è vero - sulle strade con alcuni connotati, ma quella più diffusa e meno visibile avviene all'interno delle famiglie, come già è stato detto.
Certo, le donne immigrate sono ancora quelle più esposte, più discriminate e più vulnerabili per molti motivi che sono stati già citati in questa sede e che quindi non riprendo. Tuttavia, non possiamo dimenticare quanto avviene ad opera della criminalità organizzata con il traffico di esseri umani e clandestini e con la prostituzione, in cui sono sicuramente le donne quelle ancora una volta maggiormente in discussione ed in pericolo.
Per questi motivi ritengo che il Parlamento possa impegnare il Governo nel dibattito che seguirà a porre in essere, in particolare in questo anno, molte azioni in grado di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle donne, con particolare riguardo nei confronti di quelle immigrate.
Inoltre, un'attenzione particolare va rivolta al supporto e all'individuazione di misure appropriate da approntare insieme agli enti locali ed alle regioni. Infatti, è sul territorio che si può estendere e rendere ancora più significativa tale azione.
Infine, per quanto riguarda la partecipazione delle donne alla vita sociale e politica, occorre accentuare la sensibilizzazione con campagne informative e sicuramente aprire confronti con associazioni e comunità straniere (non solo quella islamica) che vivono sul nostro territorio. Quindi, occorre più piena convivenza ed integrazione tra le donne rappresentanti delle varie comunità. Bisogna far sì che tutti i ministeri interessati in sinergia promuovano e diffondano varie azioni, a partire da quelle per l'istruzione e la cultura. Infatti, tali misure - se ispirate al rispetto tra i generi ed al reciproco riconoscimento - possono dar luogo alla più piena, efficace e paritaria relazione, quindi non solo a quella affermata sui testi o scritta nelle norme.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Paola Balducci, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00098. Ne ha facoltà.
PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, anzitutto le chiedo la cortesia di rimanere seduta.
PRESIDENTE. Certamente, deputata Balducci.
PAOLA BALDUCCI. In via preliminare, voglio manifestare, a nome mio e delPag. 26partito che rappresento, solidarietà alle famiglie delle giovani barbaramente uccise e alla giovane sopravvissuta a quella violenza veramente inaudita.
In questo intervento mi riferirò a temi che le nostre colleghe, sia dell'opposizione sia della maggioranza, esprimono, con tanta forza, giorno dopo giorno, per fare modo che la parità fra donne (non solamente della stessa nazionalità, ma provenienti anche da tutte le parti del mondo), possa essere non solamente formale, ma, finalmente, sostanziale.
Gli episodi di cronaca nera e di violenza che, negli ultimi mesi hanno coinvolto diverse donne immigrate nel nostro paese, non possono non provocare un moto di indignazione e, quindi, non ci si può non associare alla condanna ed insieme alla richiesta di misure che puniscano adeguatamente forme criminali di soppressione dell'autonomia individuale così aberranti.
La sottoscritta ed il partito cui appartiene tengono, però, a segnalare che bisogna fare attenzione a rappresentare la comunità islamica associandola naturaliter a tali episodi di intolleranza, perché si rischia di precipitare lungo una china pericolosa. Il dialogo e la comprensione sono e rimangono strumenti essenziali per la costruzione di una società aperta, plurale e capace di convivenza civile. Tali valori appartengono, con sfumature diverse, alla cultura laica, alla cultura di derivazione cristiana ed islamica, e all'ebraismo. Il confronto con le comunità musulmane deve essere ispirato all'attenzione, al rispetto e alla comprensione, chiedendo, ovviamente, piena reciprocità. Molte ed assai significative sono state le voci di singole personalità e di associazioni e movimenti della comunità islamica che hanno dato prova di una davvero grande maturità.
Dobbiamo sforzarci perché si creino le condizioni per una società effettivamente multiculturale, in cui i diritti, di tutte e di tutti, diventino un bene intangibile. Occorre rimarcare la necessità di adottare ed assumere, finalmente, anche nel nostro paese, il principio di laicità, quale caposaldo dell'attività statuale e legislativa, in particolare. Il principio di laicità consente, infatti, di tutelare tutte le espressioni di libertà, a cominciare da quella religiosa, ma impone, al contempo, il rispetto dinanzi all'ordinamento di fondamentali diritti e libertà individuali, e dei principi di non discriminazione, che sono principi fondamentali importanti, riconosciuti da tutti i diritti evolutivi, e dalla nostra Carta costituzionale agli articoli 2 e 3.
Bisogna ricordare a questa Assemblea che, in queste settimane, si discute se e come applicare in Italia una normativa che tuteli e riconosca posizioni, che la quasi totalità dei paesi dell'Unione europea identifica quali diritti umani insopprimibili, così definiti ripetutamente in atti legislativi del Parlamento e della Commissione europea. Ci si riferisce chiaramente alla normativa in tema di unioni civili e diritti dei conviventi, o meglio, del diritto di cittadine e cittadini che, consapevolmente, decidono di costruire un proprio modello convivenziale. L'applicazione del principio di laicità consentirebbe, con riferimento anche al tema sottoposto alla nostra attenzione dalle mozioni in esame, di cui si condivide pienamente il contenuto - sia quelle del centrodestra, sia quelle del centrosinistra - di costruire un modello centrato sul rispetto invalicabile dei diritti e delle libertà individuali, a cominciare da quelli legati alla condizione femminile, ed insieme di tutelare la scelta religiosa che, liberamente, viene assunta.
Occorre urgentemente, e noi lo chiediamo con grande passione e con grande impegno, che il Governo voglia - anzi, a nostro avviso, debba - adottare tutte le necessarie iniziative per assicurare il pieno rispetto della libertà religiosa di tutte le confessioni presenti sul territorio italiano e che promuova ed elevi, attraverso apposite politiche informative e concrete politiche di sostegno, la condizione della donna immigrata in Italia, in modo da garantirle una ancora più effettiva integrazione nel tessuto economico e sociale del paese.
Si avvii urgentemente un tavolo di consultazione che veda il coinvolgimentoPag. 27della Consulta islamica e delle associazioni rappresentative delle più importanti comunità presenti in Italia, affinché si possano promuovere iniziative finalizzate all'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e siano volte a soddisfare il pieno esercizio dei diritti civili, politici, socio-culturali ed economici. Si chiede, inoltre, che sia anche compito dei Ministeri, delle regioni, delle province e dei comuni creare una rete di solidarietà così forte da determinare una effettiva integrazione e l'abbandono di tutte quelle forme di violenza che, il più delle volte, nascono e sono cagionate dalla mancanza di dialogo, di partecipazione e di comunicazione. Rinviamo per il resto alla nostra mozione e chiediamo che la stessa venga accolta.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Turco. Ne ha facoltà.
MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, intanto intervengo per annunciare che ho presentato un emendamento alla mozione della collega Lussana, in quanto ritengo che la stessa sia la più rispondente all'ordine del giorno, riguardante iniziative per contrastare le violazioni delle libertà individuali della donna in nome di precetti religiosi. Non vi è dubbio che sussista un problema planetario di genere e siano vere tutte le argomentazioni che qui sono state ripetute - gli accordi internazionali in sede ONU, le delibere del Parlamento europeo, le iniziative della Commissione europea e del Consiglio d'Europa -, ma credo sia giusto soffermarsi sulle violazioni delle libertà individuali della donna, e non solo, in nome di precetti religiosi.
Ho sentito l'onorevole Incostante suggerire di mettere in discussione l'identità che andiamo difendendo, cioè quasi a voler mettere sullo stesso piano cose che sullo stesso piano non sono, perché l'identità che difendiamo in questa sede - in altre sedi il discorso è diverso - è quella dello Stato liberale, democratico, di diritto, della legalità, della giustizia. A parte le premesse delle diverse mozioni, mi pare importante quello che è stato individuato dall'onorevole Lussana ed è stato ripreso dall'onorevole Mura, cioè la promozione di programmi di educazione e formazione dei diritti umani per tutti gli ordini di scuola. Non voglio polemizzare su altri insegnamenti a dir poco inutili, ma credo che questo sia un punto fondamentale. Pensiamo ad altri tipi di educazione, magari quella religiosa, ma poi dimentichiamo e trascuriamo quella civile, che molto probabilmente è all'origine di molte violenze e non solo di genere.
Infine, vorrei dire proprio all'onorevole Lussana che dobbiamo ricordare che le confessioni religiose che ci chiedono la libertà religiosa lo fanno nel nome dei nostri principi di democrazia, di legalità, di giustizia, e dobbiamo anche dire che le confessioni religiose, quando negano la libertà, lo fanno in nome dei loro principi. Questo è un dato fondamentale dal quale non possiamo prescindere. Allora, va benissimo aver messo in risalto che questi tre casi gravissimi riguardano tre persone con tre famiglie di origine e religione islamica, però direi anche di non dimenticare che questi casi fanno parte di una comunità che ancora non ha detto parole chiare sui principi fondamentali non di una religione, ma di questa Repubblica.
Allora, credo e spero che i dati citati dall'onorevole Mura possano trovare spazio in un altro dibattito, quello sui Dico, su una famiglia fondata su altro rispetto ai principi fondamentali di questa Repubblica, di cui noi riconosciamo una sacralità: la sacralità della Costituzione della Repubblica italiana. È quello il nostro faro che ci porta a sostenere e a votare la mozione dell'onorevole Lussana con un piccolo emendamento: la redazione di un documento ufficiale che si chiede alla Consulta islamica, con il quale si denunciano le violazioni delle libertà individuali sulle donne, deve essere chiesta a tutte le confessioni religiose con le quali lo Stato italiano tiene rapporti a diverso titolo. Sarà questa la discriminante con riferimento alla quale decideremo se votare o meno la mozione Lussana, senza nulla togliere al fatto che anche le altre mozioni hanno posto in luce il problema dellaPag. 28violenza di genere, seppur generalizzando; ma si tratta di un problema particolare che è giusto affrontare.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Rossi Gasparrini. Ne ha facoltà.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, reputo importante la richiesta dell'onorevole Lussana e della collega di Forza Italia di intervenire contro la violenza sulle donne e rispetto alla cultura, talvolta difficile, delle donne islamiche.
Reputo opportuno estendere tale questione alla realtà italiana. Infatti - lo voglio ricordare -, siamo il peggior paese europeo, purtroppo (ce ne dovremmo vergognare), per quanto riguarda lo sfruttamento delle donne schiave e delle bambine e dei bambini ridotti in schiavitù per sesso. Quindi, credo che questo tema debba avere uno spazio più ampio.
Le mozioni presentate dalla Lega e da Forza Italia entrano nel merito di un tema molto importante, concernente la cultura del nostro paese, la riflessione su chi siamo e sulla storia che ci ha portato ad essere un popolo avanzato che rispetta i diritti umani, che cerca di arrivare ad un punto di equilibrio nel rispetto dei diritti civili tra uomo e donna.
Ebbene, degli islamici presenti in Italia, pari a circa un milione e 200 mila, certamente non tutti sono persone eccessive nei loro convincimenti religiosi. Tuttavia, non possiamo dimenticare che l'imam di Verona ha dichiarato che le donne devono essere picchiate, perché sono animali senza anima. Nel dire questo, non ha affermato un principio casuale. Infatti, il Corano (Sura IV, versetto 34, intitolato «Le donne») recita: «Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché gli uomini spendono per esse i loro beni». Quindi, prosegue il Corano: ammonite le donne insubordinate; picchiatele!
In virtù di questo precetto del Corano, le donne sono private persino dei diritti fondamentali umani e civili, non godono della libertà di spostamento, di espressione e parola, non possono procedere negli studi, fare carriera, ricoprire cariche. Esse non possono decidere il proprio destino né quello dei propri figli e sono totalmente sottomesse all'uomo, da cui possono venire ripudiate. Sono costrette a convivere con altre mogli scelte dall'uomo ed obbligate a coprire il proprio corpo e spesso anche il viso.
Ricordo che un uomo può avere fino a quattro mogli ed un numero infinito di concubine. Può disfarsi di una qualsiasi delle mogli semplicemente pronunciando altre volte, in arabo, la formula «ti ripudio», il tutto senza ricorrere a nessun tribunale.
In tribunale, il valore della dichiarazione di un uomo è molto più alto di quello delle donne. Per confrontarsi con l'uomo servono almeno due donne. Siamo pertanto in presenza di culture che, quando sono spinte all'eccesso, si presentano davvero diverse da quelle in cui il nostro popolo si riconosce, per le quali abbiamo combattuto per anni e nelle quali ci riconosciamo in Europa.
Allora, in conclusione voglio ricordare, dal momento che è sorto anche il dibattito sull'Afghanistan - non lontano dal tema che stiamo trattando -, che i talebani frustano in pubblico le donne se non hanno le caviglie coperte e le lapidano in pubblico se sono accusate di avere relazioni al di fuori del matrimonio. Le donne non possono usare cosmetici; sono state tagliate le dita a donne che avevano le unghie dipinte. Le donne non possono parlare o dare la mano agli uomini e vi è il divieto di ridere ad alta voce perché lo straniero non deve sentire la voce delle donne. Inoltre, vi è il divieto di portare i tacchi alti, perché questi producono un suono quando si cammina e l'uomo non deve sentire i passi di una donna, e così via.
Allora, la valutazione che dobbiamo fare per le donne che vivono nel nostro paese e che vogliono diventare - o lo sono già - cittadine italiane è se vogliamo lasciarle sole in balia di queste culture non riconosciute dal nostro popolo ovvero se lePag. 29vogliamo aiutare. Se decidiamo di aiutarle, allora dobbiamo agire con fermezza, con capacità e con determinazione.
Quindi, dobbiamo promuovere ogni azione per accrescere la loro cultura e per renderle partecipi dei nostri principi e valori. Credo che la posizione della Lega Nord e di Forza Italia sia molto positiva.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Dioguardi. Ne ha facoltà.
DANIELA DIOGUARDI. Non sono d'accordo con le mozioni presentate dalle colleghe della Lega Nord e di Forza Italia, non tanto perché non vi siano elementi di verità e proposte condivisibili nelle loro mozioni, ma per l'impianto strumentale o che si presta ad una interpretazione strumentale in chiave antislamica su un problema drammatico qual è quello della violenza nei confronti delle donne, con il rischio di smarrire l'origine unica dei condizionamenti e della violenza, cioè l'ordine patriarcale della società, elemento però comune a tutte le società. All'interno di queste - e mi dispiace dirlo -, poco ci s'interroga ancora riguardo alla parte maschile, e lo dimostra anche il dibattito odierno.
Io credo che oggi, nel nostro contesto, le mozioni al nostro esame concorrano di fatto, pur non volendolo, a creare un clima di scontro, alimentando l'odio e contribuendo alla costruzione del «nemico». Oggi il «nemico», vale a dire il capro espiatorio, è l'immigrato, possibilmente uomo, extracomunitario e di religione musulmana!
Ritengo preoccupante soprattutto il fatto che ciò sia fatto da noi donne, che dovremmo essere, non per biologia ma per la nostra storia, particolarmente sensibili a questi temi. Penso che, prima di assumere posizioni critiche contro altre culture, sarebbe più efficace guardare dentro di noi e valutare criticamente ciò che, ancora oggi, avviene all'interno della nostra società, dopo tanti anni - anzi, un secolo e mezzo - di lotte delle donne per l'emancipazione e la libertà.
Per verificarlo, basta leggere la cronaca di tutti i giorni, purtroppo, od ascoltare il linguaggio di alcuni «autorevoli» dirigenti politici maschi del nostro paese. Si tratta di un linguaggio segnato da una forte maschilismo, che risulta offensivo nei confronti delle donne italiane e che non dimostra alcun rispetto verso le stesse.
Come riferiscono oggi i dati del Consiglio d'Europa, la prima causa di morte per le donne in tutti i paesi mondo - del nord e del sud; cattolici, islamici od altro; ricchi e poveri - è la violenza, che esse subiscono prevalentemente (sottolineo «prevalentemente») all'interno della famiglia dagli uomini più vicini: padri, mariti, familiari o amici! La violenza, quindi, si consuma in percentuale maggiore all'interno delle nostre tanto osannate famiglie cattoliche ed eterosessuali!
La violenza contro le donne fa parte dell'ordine patriarcale, che non ha confini etnici, culturali o religiosi. Esso si manifesta certamente con diversa gradualità, a partire dal controllo del corpo femminile. La donna, infatti, deve essere espropriata della possibilità di scelta perfino in ordine al proprio corpo: per lei scelgono il padre, il marito, il medico, la comunità o la legge!
Pensiamo agli attacchi ricorrenti, a volte offensivi, che, nel nostro civilissimo paese, vengono sferrati all'autodeterminazione delle donne; pensiamo a leggi, approvate recentemente, costrittive ed «etiche», le quali, di fatto, negano la libertà e l'autodeterminazione.
Oggi sembra che vi sia una recrudescenza della violenza, dovuta al fatto che le donne si sottraggono al patriarcato e che gli uomini hanno difficoltà a rapportarsi con donne consapevoli.
Se questa è la situazione, noi donne - soprattutto noi, impegnate in politica e presenti ancora oggi, purtroppo, in percentuale bassissima nelle istituzioni, compresa questa Camera (percentuale più bassa persino rispetto a quella di paesi che consideriamo arretrati) - abbiamo una grande responsabilità, soprattutto nei confronti del genere femminile, ma non solo. Infatti, più in generale, abbiamo una grande responsabilità rispetto alla civilizzazione delle relazioni umane.Pag. 30
Noi, infatti, dobbiamo - restando noi stesse, senza omologarci ai modelli maschili o usare i «giochetti», le furberie, le strumentalizzazioni e le pretestuosità di una certa politica maschile - concorrere alla costruzione di un altro ordine. Mi riferisco ad un ordine culturale e simbolico che preveda e riconosca la libertà femminile.
Dobbiamo sottrarci, quindi, a tutte le strumentalizzazioni. Soprattutto per noi donne, la libertà femminile non dovrebbe mai diventare pretesto di scontro politico, come purtroppo a volte ho visto accadere anche in questa Assemblea.
La critica al patriarcato e la presa di coscienza della parzialità dei due generi, maschile e femminile, mi hanno insegnato a mettere in discussione qualsiasi forma di pensiero unico ed assoluto. Se davvero ci muove la preoccupazione per le donne immigrate, che vivono in condizioni peggiori delle nostre, allora impegniamoci, senza pretese di superiorità, per una legge migliore in materia di immigrazione, che eviti quei terribili viaggi - le «carrette del mare» - che troppo spesso si concludono in modo tragico! E ancora: impegniamoci per estendere i diritti di cittadinanza, di donne e uomini, di immigrati e di immigrate! Attiviamoci! Certo, con difficoltà, ma è questo che dobbiamo fare, per intrecciare relazioni e per creare occasioni di scambio, di dialogo anche conflittuale, di conoscenza con chi è diverso da noi, da cui possano derivare cambiamenti veri, significativi.
La libertà femminile, così come la democrazia, non si impone né si esporta: si costruisce attraverso la relazione! È su questo che dobbiamo impegnarci, per una società fondata sulla convivenza. Ed è questa la direzione in cui si muove il gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per i diritti e per le pari opportunità, Donatella Linguiti.
DONATELLA LINGUITI, Sottosegretario di Stato per i diritti e per le pari opportunità. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 13 febbraio 2007, alle 10:
1. - Svolgimento di interpellanze e di una interrogazione.
(ore 15)
2. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
ASCIERTO; ZANOTTI ed altri; NACCARATO; MATTARELLA ed altri; ASCIERTO; GALANTE ed altri; DEIANA; FIANO; GASPARRI ed altri; MASCIA; BOATO; BOATO; BOATO; SCAJOLA ed altri; D'ALIA; MARONI ed altri; COSSIGA; COSSIGA: Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto (445-982-1401-1566-1822-1974-1976-1991-1996-2016-2038-2039-2040-2070-2087-2105-2124-2125-A).
- Relatore: Violante.
3. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
MAZZONI; MASCIA ed altri; BOATO e MELLANO; DE ZULUETA: Istituzione della Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e delPag. 31Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (626-1090-1441-2018-A/R).
- Relatore: Mascia.
4. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale:
ANGELA NAPOLI; LA RUSSA ed altri; BOATO; ZACCARIA ed altri: Modifica all'articolo 12 della Costituzione in materia di riconoscimento dell'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica (648-1571-1782-1849-A).
- Relatore: Bocchino.
5. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti di indagine (1638-A).
e delle abbinate proposte di legge: JANNONE; MIGLIORE ed altri; FABRIS ed altri; CRAXI ed altri; NAN; MAZZONI e FORMISANO; BRANCHER ed altri; BALDUCCI (366-1164-1165-1170-1257-1344-1587-1594).
- Relatore: Tenaglia.
6. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Differimento del termine per l'esercizio della delega di cui all'articolo 4 della legge 1o febbraio 2006, n. 43, recante istituzione degli Ordini delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione (1609).
- Relatore: Grassi.
7. - Seguito della discussione delle mozioni Lussana ed altri n. 1-00025, Bertolini ed altri n. 1-00093, Mura ed altri n. 1-00095, Sereni ed altri n. 1-00096, Mazzoni ed altri n. 1-00097 e Balducci ed altri n. 1-00098 sulle iniziative per contrastare le violazioni delle libertà individuali della donna in nome di precetti religiosi.
La seduta termina alle 18,25.