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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 122 di giovedì 8 marzo 2007
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI
La seduta comincia alle 10,05.
GIUSEPPE FALLICA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Boco, Bressa, Casini, Cento, Donadi, Duilio, Folena, Forgione, Franceschini, Leoni, Maroni, Meta, Migliore, Oliva, Parisi, Piscitello, Pisicchio, Ranieri, Rigoni, Sgobio, Villetti, Elio Vito e Zeller sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Sull'ordine dei lavori (ore 10,10).
MASSIMO GARAVAGLIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MASSIMO GARAVAGLIA. Signor Presidente, è successo un fatto di una gravità indicibile a Magnano, in provincia di Milano (non so se lei ne sia a conoscenza). La titolare di un bar è stata picchiata e stuprata da cinque albanesi. Ora, tutto va bene, ma la situazione sta diventando insostenibile.
Chiediamo che il ministro dell'interno riferisca immediatamente in Parlamento, perché non possiamo assistere ogni giorno a simili violenze, a causa di questo indulto demenziale. Quindi, chiediamo con forza che la Presidenza si attivi in tal senso nei confronti del Governo. Non è possibile andare avanti in questo modo. Grazie, signor Presidente.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Garavaglia. Prendo atto della sua richiesta; riferirò al Presidente della Camera perché interessi il Governo.
ROBERTO SALERNO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO SALERNO. Vorrei richiamare l'attenzione del Presidente sui gravi fatti che da lunedì stanno colpendo l'ordine pubblico di Torino. Come forse lei ben sa e come riportato dai quotidiani nazionali, tre ordigni sono esplosi, tra domenica notte e lunedì, in prossimità dei luoghi in cui normalmente stazionano le volanti della polizia. L'ipotesi è che si sia trattato volutamente di un attentato contro le forze di polizia. Inoltre, uno dei quotidiani di Torino, Torino cronaca, continua a ricevere telefonate e lettere minatorie: ricordo che questo quotidiano sta riportando fedelmente i fatti legati ai problemi di ordine pubblico, quali i centri sociali e le componenti anarco-insurrezionaliste, che a Torino stanno cominciando a farsi sentire in maniera molto seria e Pag. 2grave per i cittadini, rendendo la situazione dell'ordine pubblico della città molto preoccupante.
Chiedo quindi alla Presidenza di sollecitare tale questione all'attenzione del ministro dell'interno, ed eventualmente anche del Presidente del Consiglio, affinché venga assunta una pubblica iniziativa, anche comunicandola in Assemblea, per comprendere cosa stia succedendo.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Salerno. Anche in questo caso sarà mia cura inoltrare la sua richiesta al Presidente della Camera, che valuterà le decisioni da assumere.
In proposito, vorrei ricordare che, per un corretto ed ordinato andamento dei nostri lavori, questo genere di interventi normalmente andrebbe effettuato al termine della seduta.
FABIO GARAGNANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. Intervengo sempre sull'ordine dei lavori, in particolare sulla tutela dei parlamentari in sede di sindacato ispettivo. Nell'interpellanza che il sottoscritto ha rivolto al Governo la scorsa settimana sulla vicenda del Policlinico Sant'Orsola Malpigli, la risposta da me ricevuta dal sottosegretario competente è totalmente falsa rispetto alla realtà dei fatti. Ricordo che il Governo ha asserito che il rettore dell'università di Bologna non conosceva i fatti per cui è in corso una indagine della magistratura, ma, visto che anche il rettore è indagato, i casi sono due: o il rettore ha mentito al Governo, ma mi sembra difficile, o il Governo ha mentito al sottoscritto.
Pongo il problema alla sua attenzione perché riguarda la correttezza nei rapporti tra Governo e Parlamento e, soprattutto, il rispetto del ruolo del parlamentare nella consapevolezza che la dialettica politica può assumere i risvolti più duri, però, partendo sempre dal presupposto di serietà, di verità e di rispetto dei fatti.
La prego pertanto di prendere in considerazione questa mia riflessione alla quale seguirà una lettera per precisare i contenuti del problema posto dal sottoscritto con riferimento alla risposta assolutamente insoddisfacente fornita dal Governo.
PRESIDENTE. Onorevole Garagnani, ovviamente lei si rende conto che non compete alla Presidenza sindacare quanto dichiarato dai rappresentanti del Governo in Assemblea. Prendo atto comunque delle sue osservazioni, che resteranno agli atti.
Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali (A.C. 2193-A) (ore 10,15).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali.
Ricordo che nella seduta di ieri sono stati, da ultimo, esaminati gli ordini del giorno.
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 2193-A)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Crema. Ne ha facoltà.
GIOVANNI CREMA. Presidente, signor viceministro, onorevoli colleghi, i deputati de La Rosa nel Pugno voteranno a favore del disegno di legge che autorizza il proseguimento delle missioni internazionali delle Forze armate e delle forze di polizia nei Balcani, in Afghanistan, in Libano e, tra le altre, in Congo e Darfur.
All'inizio del mio intervento voglio però esprimere il senso della più fraterna solidarietà Pag. 3del gruppo de La Rosa nel Pugno ai familiari e ai colleghi di Daniele Mastrogiacomo, sperando che sia in buona salute e augurandogli che possa far ritorno presto a casa e al suo lavoro di inviato speciale del quotidiano la Repubblica.
Presidente, l'intervento UNIFIL in Libano, come gli interventi ONU in Pakistan, India, Siria, Israele, Sahara occidentale, Etiopia, Egitto, Eritrea, Senegal e Kosovo dimostrano il positivo ruolo dell'Italia. Le missioni internazionali in cui è impegnato il nostro paese sono espressione della politica di pace, che il Governo sta attuando senza sottrarsi alle responsabilità sul piano militare. Il provvedimento in esame rafforza ulteriormente gli elementi caratterizzanti e per certi aspetti innovativi delineatisi nel luglio 2006 in occasione del rifinanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali. Tali elementi caratterizzanti possono essere riassunti nei seguenti: la promozione di un multilateralismo efficace; la difesa della democrazia e del buon governo, nonché il rispetto dei principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite, soprattutto in tema di diritti umani; l'affermazione del ruolo dell'Europa come attore globale delle relazioni internazionali; la collaborazione con le popolazioni locali e una crescente attenzione agli aspetti della cooperazione civile.
La visione alla base del disegno di legge è che impegni di carattere militare possono essere presi in considerazione solo quando si svolgano sotto la guida delle Nazioni Unite o comunque si basino su un quadro di legalità internazionale fondato su iniziative di tipo multilaterale.
Il secondo profilo riguarda la finalità dell'impegno dell'Italia, che deve puntare costantemente a sviluppare gli strumenti di dialogo e di cooperazione a disposizione della comunità internazionale in modo da promuovere forme sempre più avanzate di governo globale.
La partecipazione dei militari italiani ad operazioni multinazionali avviene in conformità ai principi costituzionali e ai trattati stipulati dal nostro paese. Essa trae la sua legittimità dal rispetto dell'articolo 11 della Costituzione, che prescrive il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e consente al nostro paese di assumere la propria responsabilità nelle missioni delle Nazioni Unite.
I militari italiani all'estero operano in base ai principi della Carta delle Nazioni Unite e su autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU. A questo principio si uniforma il nostro paese quale membro dell'Unione europea e della NATO. In tale contesto, l'impegno in Libano rappresenta una scelta significativa e la presenza di un numeroso contingente militare sotto la bandiera delle Nazioni Unite ha conferito all'operazione, che attua la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza, un carattere particolare e rilevante.
Il Governo italiano si è speso per coinvolgere la comunità internazionale nella soluzione della crisi e per un'assunzione di responsabilità europea. Del resto, quella italiana è una politica estera che si sforza di riportare al centro dell'azione multilaterale proprio la dimensione europea e lavora per un Europa in grado di assumersi responsabilità sulla scena del mondo globale. In questo quadro l'azione concreta della missione militare italiana nei vari teatri di crisi, dal Libano all'Afghanistan o al Sudan, ha mirato a rendere possibile interventi umanitari per la ricostruzione civile delle istituzioni e per garantire il rispetto di accordi che ponevano termine ai conflitti.
La situazione afghana rimane sospesa e in bilico fra la progressiva normalizzazione e stabilizzazione ed un catastrofico ritorno al passato, ad una condizione cioè di caos e di guerra civile, dove ogni progresso ottenuto in questi cinque anni sarebbe perduto.
È pertanto doveroso perseguire nell'azione di sostegno alle istituzioni afgane ed alle organizzazioni internazionali, che nei diversi ambiti operano in Afghanistan e per il bene di quella popolazione. Non si tratta di un compito facile da perseguire, né si può considerare il traguardo a portata di mano: proprio per questo è necessaria la permanenza in Afghanistan.Pag. 4
La complessità dei problemi nell'Afghanistan è tale da poter essere affrontata e risolta solo nel lungo periodo e solo per opera degli stessi afghani. Il compito del nostro paese, pertanto, è quello di rendere materialmente possibile l'assunzione da parte del popolo e delle istituzioni afghane di responsabilità via via più vaste.
L'azione deve essere finalizzata all'edificazione di capacità di governo, che rendano l'Afghanistan autosufficiente, almeno per lo svolgimento delle primarie funzioni tipiche di ogni Stato sovrano.
In Afghanistan l'azione italiana e dell'intera comunità internazionale è diretta ad un duplice obiettivo: la sicurezza e lo sviluppo. Gli interventi nel settore civile e di sostegno alle nascenti istituzioni democratiche afghane presuppongono uno sforzo di appoggio alle autorità locali nel pacificare ed estendere la propria presenza in tutto il paese.
L'azione della comunità internazionale è volta, infatti, ad assicurare che siano sempre più gli afghani i protagonisti di processi di sviluppo e di tutte le funzioni di Governo e controllo del territorio.
In questo quadro merita di essere sottolineato che l'Italia si è presa l'incarico, in seno al Consiglio di sicurezza dell'ONU, di svolgere il ruolo di capofila per quanto riguarda questo paese. L'Italia, oltre a fornire, come è noto, un significativo contributo di forze all'operazione NATO, ha rinnovato il suo fermo impegno a percorrere la strada della cooperazione allo sviluppo.
Il provvedimento in discussione prevede, infatti, di destinare a questi interventi ulteriori 30 milioni di euro. Si ricorderà che nel provvedimento dello scorso anno dei 17 milioni stanziati per la cooperazione, 10 erano stati destinati all'Afghanistan. Alla Conferenza dei donatori di Londra, l'Italia ha confermato di voler mantenere l'impegno finanziario degli ultimi anni, cioè 46 milioni di euro l'anno, ma occorrerà ora individuare gli strumenti adeguati per assicurare una maggiore presenza della nostra cooperazione civile in quel paese.
Nessuno può sostenere che in Afghanistan la stabilizzazione possa essere realizzata senza la presenza di una solida forza militare multilaterale, tuttavia non c'è una soluzione militare della crisi afgana. Questa è la ragione per la quale si avverte l'esigenza di ripensare la strategia adottata in due direzioni: accrescere mezzi e risorse per la ricostruzione economica e civile del paese ed intensificare la lotta al narcotraffico.
I contadini dell'Afghanistan potranno essere convinti a non coltivare l'oppio solo se sostenuti finanziariamente ed adeguatamente garantiti. È inoltre opportuno, come prevede l'ordine del giorno approvato ieri dall'Assemblea, valutare seriamente la fattibilità della coltivazione controllata di oppio per uso medicinale e sanitario, attraverso un'ulteriore ricerca che riconfermi alcuni studi già effettuati.
Permane importante l'impegno finanziario per consentire la continuità della presenza militare nei Balcani, dove siamo presenti in Kosovo, in Albania, in Bosnia-Erzegovina. In quest'area, da poco pacificata, la situazione resta comunque difficile e si rende quindi necessario il mantenimento di contingenti multinazionali.
Recentemente è stato presentato dall'inviato dell'ONU per il Kosovo il piano per uno status definitivo della provincia. Le molte riserve con cui il piano è stato accolto dalle parti in causa e dalla Russia aumentano le preoccupazioni. Proprio per questo ci deve essere un maggiore sforzo politico per una soluzione condivisa, nella quale l'Unione europea deve essere in prima fila.
Signor Presidente, onorevoli deputati, l'intervento del collega D'Elia in discussione generale ha delineato con precisione la nostra posizione in merito alle missioni di pace e sulla pesante situazione in Medio Oriente: ne ricaviamo una certezza, cioè che il terrorismo fondamentalista islamico ci impegnerà, così come fu per la Guerra fredda, per un lunghissimo periodo, il che richiederà uno sforzo eccezionale che dobbiamo compiere tutti insieme. Dovremo Pag. 5far ciò senza riprodurre gli schemi ideologici e le divisioni politiche, che ci hanno lacerato nel secolo scorso.
Signor Presidente, nel ribadire il voto favorevole sul presente disegno di legge di conversione, i parlamentari socialisti e radicali de La Rosa nel Pugno rivolgono un affettuoso saluto ed un riconoscente ringraziamento a tutti i nostri soldati, di ogni arma e grado, che con professionalità e dedizione garantiscono in tutte le missioni gli alti ideali di pace e convivenza civile (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, signor viceministro, onorevoli colleghe ed onorevoli colleghi, il provvedimento che ci apprestiamo a votare, relativo alla proroga della partecipazione dell'Italia a diverse missioni umanitarie internazionali, mai come oggi rappresenta un atto dovuto e di grande significato, proprio in quanto il rapimento del giornalista Mastrogiacomo - di cui auspichiamo il ritorno al più presto - dimostra che l'Afghanistan ha bisogno di sicurezza.
È un atto importantissimo, in quanto si tratta di un impegno complesso che i nostri militari - ai quali va il nostro ringraziamento per la riconosciuta professionalità, competenza ed umanità - stanno sostenendo, con costante intensità, da molti anni. Vorrei ricordare che si tratta di un impegno che si colloca a sostegno delle scelte di politica estera del nostro paese a favore della pace, nell'ambito della comunità internazionale e, più in particolare, dei contesti internazionali di cui facciamo parte: mi riferisco alle Nazioni Unite, all'Unione europea e all'Alleanza atlantica.
Gli obiettivi da perseguire, come sappiamo, sono la stabilità, la pace, la prevenzione dei conflitti nel mondo, ma in questo caso aggiungerei anche la lotta alla violenza e la battaglia per la sicurezza.
Il decreto-legge in esame prevede un impegno in contesti internazionali molto diversi tra loro, ma tutti caratterizzati da una situazione di grande instabilità e di conflitto. Si tratta di territori in cui, senza l'intervento internazionale, la situazione rischierebbe di degenerare in un conflitto aperto.
Vorrei ricordare, in premessa, che la partecipazione italiana ad operazioni multinazionali avviene sempre in conformità sia ai principi costituzionali, sia al diritto internazionale. Sono principi in cui la vocazione di pace del nostro popolo viene autorevolmente espressa. L'Italia infatti, come sappiamo, ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e, al tempo stesso, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni. Tra tali organizzazioni internazionali vi è, come già accennato, in primis l'ONU.
Dobbiamo sempre ricordare, dunque, che è il multilateralismo l'aspetto saliente delle missioni in oggetto, ma vorrei rilevare che deve trattarsi di un multilateralismo dal volto umanitario a favore degli altri popoli. Con coerenza, quindi, il Governo italiano ha deciso ancora una volta di sostenere concretamente, sul piano sia politico, sia operativo il rafforzamento di una politica multilaterale per il mantenimento della pace. Proprio per tale motivo non si deve mai dimenticare che, purtroppo, il terrorismo internazionale e la questione irachena costituiscono ferite ancora aperte.
I gruppi terroristici, infatti, continuano a rappresentare ovunque una minaccia letale per la stabilità internazionale. È soprattutto l'esperienza irachena a dimostrare che, nell'affrontare simili situazioni, l'unilateralismo non paga e che la strada da continuare a seguire è quella di rafforzare una politica estera basata sul multilateralismo.
Alla luce di tale politica multilaterale, vorrei ricordare che per ciò che concerne il Libano il nostro paese ha svolto un grande ruolo, che potrà continuare a esercitare, ma non solo in quello Stato, attraverso la conversione in legge del decreto in esame. L'Italia, infatti, cui è affidato il Pag. 6comando di tale missione e che sta offrendo un importante contributo in termini diplomatici, finanziari e militari, ha visto che uno degli obiettivi da perseguire è stato, ed è tuttora, quello di sostenere il consolidamento della pace e della democrazia in Libano, in quanto è sotto gli occhi di tutti che molti risultati sono stati già raggiunti.
Tutto ciò dimostra che è necessario continuare a lavorare per realizzare gli obiettivi di pacificazione e stabilizzazione nelle diverse regioni del mondo, in cui la pace è a rischio e nelle quali vi è la presenza dei nostri militari. In tale quadro è del tutto evidente che l'azione concreta della missione militare italiana nelle varie aree di crisi - che vanno dal Libano all'Afghanistan, dal Sudan al Darfur e alle altre regioni - deve essere confermata e valorizzata, al fine di rendere possibile la realizzazione di sempre più validi interventi umanitari per la ricostruzione civile ed istituzionale in questi paesi.
Proprio per questo devono anche essere sempre messe in campo, in parallelo, iniziative che devono far parte di una strategia più ampia di natura politica, umanitaria, diplomatica, economica e culturale e direi anche di intelligence, le cui risorse debbono essere - ce lo auguriamo - rafforzate.
Anche per ciò che concerne l'Iraq, pur dopo il passaggio delle responsabilità di sicurezza alle forze locali, grande significato assume il fatto che l'impegno dell'Italia continua ancora ad essere fondamentale, anche se sul versante civile.
Tenuto conto di ciò e tenuto conto degli ultimi fatti avvenuti in Afghanistan, vorrei soffermarmi sulla questione della missione italiana in Afghanistan.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 10,30)
SANDRA CIOFFI. In tal senso occorre svolgere una serie di riflessioni. Il nostro impegno è sempre più necessario, perché la sconfitta del regime talebano, come sappiamo, ha aperto in quel paese una fase tormentata e difficile. Non possiamo però dimenticare che sono stati ottenuti molti risultati: l'avvio di un processo politico di normalizzazione, l'inizio della ricostruzione di uno Stato di diritto e del ruolo della magistratura; mi riferisco anche alla ricostruzione delle componenti militari e di polizia dello Stato afghano.
Si sono verificati anche - sebbene ancora in misura non sufficiente - un iniziale incremento del reddito nazionale pro capite, un miglioramento dei servizi sanitari e di assistenza ed un avvio del ripristino del sistema scolastico. Abbiamo visto il ritorno di molti rifugiati ed è iniziato - oggi è l'8 marzo e lo vorrei ricordare - un serio percorso per il rispetto dei diritti umani delle donne.
Non possono essere certamente sottovalutati i rischi e le difficoltà ancora presenti, come la rinata capacità militare dei talebani, l'elevato livello di corruzione e il traffico di oppio che lo alimenta. In Afghanistan, quindi, la stabilizzazione non può ancora prescindere dalla presenza di una solida forza militare necessariamente multilaterale, che sia in grado di evitare scontri tribali e soprattutto un ritorno dei talebani con le loro atrocità e collusioni con Al Qaeda. Presupposto essenziale è, però, quello di continuare a lavorare, affinché sempre più gli afghani possano essere i veri protagonisti dei processi di sviluppo e delle funzioni di governo e di controllo del proprio territorio, fino al raggiungimento di una sostanziale autosufficienza.
Tenuto conto, quindi, dell'impegno che ha dimostrato e sta dimostrando il Governo italiano in tali ambiti e tenuto conto anche degli ultimi accadimenti, è quanto mai urgente rafforzare l'azione politica ed umanitaria, promuovendo anche un percorso volto ad organizzare un ulteriore seminario per una riflessione su tutte le problematiche relative ai processi di pacificazione nei territori, in cui l'Italia è impegnata.
Ci sembra, però, un grande segnale non solo la previsione dell'organizzazione di una Conferenza per le pari opportunità a difesa dei diritti umani delle donne e dei Pag. 7bambini in tutti i territori in cui si svolgono le missioni in cui il nostro paese è impegnato, ma anche la previsione di una Conferenza sulla giustizia.
La Conferenza per le pari opportunità a difesa dei diritti umani delle donne e dei bambini è stata fortemente proposta da noi, in quanto è sotto gli occhi di tutti che le donne e i bambini sono le prime vittime dei teatri di guerra. Riteniamo, quindi, necessario svolgere una riflessione al riguardo e verificare quali interventi specifici realizzare in questi paesi per aiutare i più deboli.
In conclusione, quindi, tutte le missioni internazionali nelle quali è impegnata l'Italia - e non solo quelle delle quali ho parlato - sono parte della politica estera di pace, che dimostra, però, anche di sapersi assumere le proprie responsabilità sul piano militare, quando occorre combattere contro la violenza e il terrore.
Proprio per queste ragioni, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, è necessario dare un forte segnale con il nostro voto. Non si può assolutamente indebolire il ruolo di pace che l'Italia si è conquistata nello scacchiere internazionale. Per questo motivo oggi bisogna mettere da parte steccati ideologici, che sono lontani da una valutazione obiettiva della realtà.
Alla luce di quanto espresso, preannuncio, quindi, il voto favorevole del gruppo dei Popolari Udeur (Applausi dei deputati dei gruppi Popolari-Udeur e La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, caro signor viceministro Ugo Intini, colleghi, desidero innanzitutto esprimere a nome del mio gruppo solidarietà e sostegno a tutti i nostri militari e civili impegnati nelle missioni di pace, di sicurezza e di cooperazione nel mondo. La situazione in Afghanistan si presenta per noi in questo momento particolarmente delicata a causa del rapimento di un nostro connazionale, il giornalista de la Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, e dell'escalation della guerra, che ci pongono dinnanzi una chiara e non ambigua assunzione di responsabilità.
Sul primo argomento mi sento in dovere di lanciare un appello a tutti i parlamentari e ai rappresentanti delle forze politiche affinché assumano un atteggiamento di alta responsabilità nazionale. Lo ha detto chiaramente il ministro degli esteri, Massimo D'Alema. Il nostro connazionale non è stato rapito da un gruppo di sbandati, ma dalla struttura politico-militare dei talebani. Quindi, si tratta di un preciso segnale di intimidazione lanciato al Parlamento della Repubblica ed alle istituzioni del nostro Paese e le parole che noi pronunciamo ed i concetti che noi esprimiamo devono partire da questo presupposto, ovvero che essi non sono lanciati nel vuoto, ma vengono recepiti e raccolti in questo momento da coloro che hanno in mano il nostro connazionale.
Purtroppo ho sentito in questi giorni molte note stonate, come un'intervista rilasciata dal segretario di Rifondazione Comunista, Giordano, che ho sempre apprezzato per la sua coerenza, intitolata: «Se ci fosse un morto, dovremo pensare di andarcene». Inoltre ho ascoltato una dichiarazione del capogruppo dei Verdi, onorevole Bonelli: «Se arriveranno le prime bare, nessuno riuscirà a reggere». Infine, ho letto una dichiarazione della senatrice Palermi, del Partito dei Comunisti italiani, che testualmente afferma: «I nostri militari devono andarsene in fretta».
Non credo che adesso sia questo il segnale che dobbiamo lanciare a coloro che hanno nelle loro mani un nostro connazionale per motivi politici; in questo momento si sta discutendo in questo ramo del Parlamento sul rifinanziamento delle missioni, tra cui quella in Afghanistan, e quindi con questo rapimento gli autori intendono produrre atteggiamenti politici da parte dell'Italia.
Non so a chi si ispiri quest'area della sinistra italiana. Zapatero recentemente ha inviato altri quattrocento uomini in Afghanistan e per molti si tratta di un punto di riferimento sul piano delle battaglie di Pag. 8laicità e di libertà. Evidentemente, non lo è più quando si parla di politica estera. Certo, non si ispirano al socialista e laburista Blair, che in questo momento, insieme agli Stati Uniti d'America, ai canadesi ed agli olandesi è impegnato nell'operazione Achille, ovvero in un'operazione militare per scovare e distruggere le basi terroristiche talebane in Afghanistan.
Qual è il modello di politica estera cui si ispirano costoro, cui si ispira la cosiddetta «sinistra radicale», che radicale non è (i radicali sono altra cosa) e che dovremo cominciare a chiamare con il loro nome, ovvero sinistra comunista? Si tratta infatti di due partiti comunisti, PDCI e Rifondazione Comunista (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani) che legittimamente hanno un nome, una storia ed un'ispirazione ideale che va rispettata (e che io rispetto), ma dalla quale mi distinguono molte cose.
Tuttavia, si dice che non esistono problemi perché in fondo alla Camera con il premio di maggioranza anche pochi dissidenti non fanno notizia e perché al Senato vi saranno solo due o tre defezioni. Sì, ma siete voi che avete deciso di governare il Paese con un solo voto di maggioranza e con duecentomila voti in meno al Senato. Se vi vengono a mancare due o tre voti, ciò significa che questa maggioranza, su un argomento così fondamentale per l'Italia come la politica estera, non esiste! Di questo dovete prendere atto, soprattutto dopo le dichiarazioni ufficiali del Presidente della Repubblica, che vi ha chiesto se siete in grado di esprimere da soli, autonomamente, una politica estera all'altezza del paese, se avete i numeri per poterlo fare.
Vengo al secondo argomento: l'offensiva di talebani. Vedete, colleghi, noi siamo in Afghanistan con una missione di pace, cioè non offensiva, non di conquista militare e civile. Tuttavia penso non sia assolutamente ipotizzabile, di fronte ad un'offensiva del terrorismo talebano contro il legittimo Governo di Karzai, che i nostri militari se ne stiano a guardare, delegando ad altri le azioni «sporche» o che addirittura levino le tende e se ne tornino in patria, dimostrando a tutto il mondo come siamo fatti noi. Questo atteggiamento mi ricorda qualche slogan del passato. Ricordo che nel '68 uno degli slogan preferiti dai manifestanti - io sono, o meglio ero un giovane (adesso lo sono meno!) che in fondo ha attraversato quel periodo, insomma ero un giovane che ha fatto il '68, come tanti - era: polizia disarmata! Cioè la polizia doveva essere disarmata, ma i manifestanti potevano tirare sassi, bottiglie e a volte anche pallottole contro la polizia! Ecco, noi siamo per un principio di pacifismo e per una violenza praticabile a senso unico!
Mi sembra che il terrorismo talebano sia un terrorismo reale, che esprime una violenza oggettiva e noi siamo andati lì per combatterlo. Quindi il nostro nemico in Afghanistan, vorrei ricordarlo a tutti, non sono gli Stati Uniti d'America o gli inglesi, ma sono i terroristi talebani. Penso che non possiamo essere né vili né ipocriti a fronte di una eventuale nuova offensiva di costoro nei confronti di un Governo democratico, legittimo, che la comunità internazionale ha contribuito, attraverso l'offensiva messa in atto, ad insediare in quel paese.
Si è voluto in qualche modo edulcorare questo decreto con tre condizioni, che sarebbero la dimostrazione di una discontinuità della politica estera italiana rispetto al passato Governo Berlusconi. Le tre condizioni, sulle quali la sinistra comunista ha dichiarato vittoria, una vittoria che non è stata però recepita da alcuni dissidenti, che ritengono, a mio giudizio correttamente, che non esista una exit strategy a fronte della escalation della guerra in Afghanistan, sarebbero la promozione di una conferenza di pace, una più marcata lotta alla droga e ai mercanti della droga e l'aumento dei fondi per la cooperazione civile.
Si tratta indubbiamente di tre argomenti che possono unire tutto il Parlamento, non soltanto una parte di esso, tuttavia, sono pronunciamenti, espressioni di volontà. La Conferenza di pace non basta che sia l'Italia a proporla, perché si possa realizzare concretamente. La lotta Pag. 9alla droga bisogna vedere come la si intende. Non ho niente, in termini di principio, contro la mozione presentata dalla maggioranza. Registro soltanto il fatto che il ministro degli esteri D'Alema sostiene che il Presidente Karzai si è esposto per combattere a monte la produzione di oppio in quel paese, e quindi la sua commercializzazione potrebbe essere controproducente.
Inoltre, per quanto riguarda la cooperazione civile, non possiamo, come immaginano gli amici della sinistra comunista, pensare ad una distinzione netta tra cooperazione civile e intervento militare: una cooperazione civile che a questo punto non si sa da chi dovrebbe essere protetta, se non dai nostri militari. A chi dovrebbe far capo, se non ai nostri presidi? Insomma questa idea che in un teatro di guerra noi possiamo andare con i medici, con gli infermieri, con i volontari, e lasciarli senza una reale protezione militare, mi pare davvero anche pericolosa.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Del Bue.
MAURO DEL BUE. Queste sono le motivazioni che stanno alla base del nostro voto favorevole sul disegno di legge di conversione di questo decreto-legge. Lo esprimeremo con convinzione e senza alcuna riserva politica (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista e di deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.
PIETRO RAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Movimento per l'Autonomia deplora le dispute e le divisioni sulla politica estera e sul rispetto degli impegni internazionali assunti dall'Italia che, fino ad ora, hanno caratterizzato il dibattito sul rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan, che si è svolto fino oggi in Assemblea ma, ancora di più, sulle pagine dei giornali. Le deploriamo perché siamo convinti - come più volte ho avuto modo di esprimere in questa sede - che sul capitolo della politica estera un paese democratico ha il dovere di mostrarsi unito, che le beghe ideologiche e di partito debbano restare fuori e che debba prevalere il buonsenso.
Un pensiero ed una visione più globali e più lungimiranti, che tengano conto della nostra recente storia, e il ruolo internazionale di prestigio che l'Italia ha conquistato, grazie alla sua affidabilità, nel consolidamento della pace e della democrazia non possono essere cancellati da un Governo fragile, litigioso, incoerente e profondamente diviso, ostaggio di una sinistra che non ha e non avrà mai una cultura di Governo e che ha scambiato palazzo Chigi per un centro sociale.
Se un Governo ha la maggioranza, essa deve manifestarsi, in primo luogo, nella politica estera. Ma come si può dialogare con chi definisce l'impegno degli Stati Uniti pari all'operato dei nazisti? Sono affermazioni, insieme, assurde e strumentali che danno voce ad una minoranza estremista che, pure, esiste nel nostro paese ma che solo in questa composita maggioranza parlamentare ha trovato asilo.
La sinistra radicale continua a dare una lettura ideologica dei fatti, frutto di una cultura obsoleta che si appiattisce su analisi antiamericane ed antiatlantiche ormai bocciate dalla storia. Purtroppo, mentre in questa sede si discute sulle sfumature dei termini utilizzati, si disquisisce di continuità e discontinuità, se la missione sia di pace o di guerra, in Afghanistan si sparano pallottole vere, muoiono soldati e civili e si rapiscono giornalisti.
Il problema concreto che si pone a noi, al di là di tutti i distinguo, di tutte le elucubrazioni mentali, è quello di mettere i militari impegnati nella ricostruzione di un paese che si è appena affacciato alla democrazia in condizione di difendersi adeguatamente. È inutile nascondersi dietro un dito: non abbiamo la palla di vetro per stabilire quanto questa guerra durerà. Dobbiamo fornire ai nostri militari i mezzi per poter affrontare e fronteggiare gli Pag. 10attacchi a cui, probabilmente, saranno soggetti. Non farlo li renderebbe protagonisti di una farsa che rischia concretamente di trasformarsi in tragedia.
I nostri militari in Afghanistan hanno svolto sino ad ora, e continueranno a svolgere, una azione volta alla creazione e alla stabilizzazione della democrazia. Il Governo Karzai, eletto, per la prima volta, democraticamente, continua a invocare il mantenimento del contingente italiano fra quelli dei 37 paesi attualmente impegnati nella missione di ISAF. La pace e la democrazia in Afghanistan, come in altri paesi del mondo, sono beni devono essere conquistati. La pace, purtroppo, per questa sinistra, è diventata soltanto una bandiera colorata da portare a spasso per i cortei.
La pace impone un prezzo che deve essere pagato e che potrebbe comportare, purtroppo, anche la perdita di vite umane. Non saranno le bandiere dei pacifisti a fare da scudo ai nostri ragazzi, né i cortei o le manifestazioni di piazza ma una dotazione adeguata, frutto di una politica chiara, coerente e decisa.
Noi del Movimento per l'Autonomia sosterremo, con il nostro voto, il mantenimento delle missioni umanitarie all'estero, convinti che questa sia l'unica strada praticabile per il raggiungimento della pace, insieme a un impegno politico e diplomatico in grado di assicurare sviluppo economico e sociale, equità e occupazione. Queste missioni impongono, in sede parlamentare, un'ampia convergenza, scevra da posizioni demagogiche e puramente strumentali. Missioni così impegnative non possono e non devono essere influenzate dall'onda emotiva di singoli episodi, per quanto possano essere dolorosi.
Ricordiamo quanto sia stato fatto in questi anni in Afghanistan: se quel paese oggi ha un Parlamento democraticamente eletto dal popolo e riconosce alle donne, almeno sulla carta, diritti costituzionali è anche grazie al nostro contributo. Ciò dimostra che la strada fin qui percorsa è quella giusta.
Purtroppo, i fatti di questi ultimi giorni ci dimostrano che il controllo del territorio da parte delle forze democratiche e del Governo Karzai non è ancora realizzato e quanto pericolosa e determinata sia la presenza dei talebani.
La proposta di una Conferenza di pace, che il decreto-legge oggi al voto finanzia, serve forse ai bizantinismi della nostra politica interna, ma non rappresenta una strada immediatamente praticabile per una effettiva soluzione di pace.
Il decreto-legge che siamo chiamati a votare non si riferisce solo alla presenza dell'Italia in Afghanistan, ma ad interventi umanitari e di cooperazione allo sviluppo che, come noto, hanno l'intento di dare sostegno alle popolazioni dell'Afghanistan, del Libano del sud e dell'Iraq, pur se con modalità diverse, per contribuire al miglioramento delle condizioni di vita dei loro popoli.
Il nostro voto favorevole è nel segno della continuità con quanto fatto dall'Italia fino ad oggi ed è dettato da un forte senso di responsabilità nei confronti del nostro paese, del suo ruolo in ambito internazionale e della sua credibilità. Il Governo sappia, quindi, che il nostro voto non intende sostenere in alcun modo questa fragilissima maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, in questo Parlamento vi sarà ovviamente una larghissima maggioranza a favore di questo disegno di legge di conversione del decreto-legge per il finanziamento delle missioni in Afghanistan e in altri paesi.
Naturalmente, proprio perché c'è questa maggioranza, il dibattito sulle dichiarazioni di voto finale si può prestare a qualche considerazione più ampia sui problemi politici di fronte ai quali l'Italia si trova nel fare la sua parte nell'azione Pag. 11internazionale di contenimento e lotta al terrorismo.
Nel 2001, dopo l'attentato alle Torri gemelle, nel mondo occidentale si è aperta una discussione molto approfondita ed io ho pieno rispetto, come quando decidemmo per la guerra in Iraq, per le posizioni che sono profondamente radicate sia nella cultura della sinistra italiana (non solo della sinistra cosiddetta «radicale», ma anche del grande partito democratico della sinistra), sia in vasti ambienti del mondo cattolico. La preoccupazione di trasformare il mondo occidentale in un esercito che combatte, tra l'altro, un nemico elusivo, come il terrorista, dando il segno di perdere i valori di una civiltà di tolleranza, di rispetto e di costruzione della pace, sui quali l'Europa si è costruita nel dopoguerra, certamente attraversa la sinistra italiana, ma posso assicurare che non è estranea alle riflessioni che noi stessi compiamo su questi problemi.
Tuttavia, chi ha responsabilità di Governo - non chi ha semplicemente responsabilità parlamentari e politiche - ha l'obbligo e il dovere di compiere certe scelte, onorevoli colleghi della sinistra che oggi fate parte di una maggioranza di Governo.
I Governi di paesi democratici, quali gli Stati Uniti d'America, l'Inghilterra laburista, l'Olanda e una serie di paesi che si collocano nell'ambito degli schieramenti di centro, centrosinistra e centrodestra, nel corso di questi anni hanno convenuto sul fatto che non fosse possibile non fronteggiare in maniera netta e forte la minaccia del terrorismo e, per quanto elusiva essa fosse, che bisognasse recarsi nei paesi nei quali il terrorismo poteva trovare una sua alimentazione. Mi riferisco all'Iraq e, certamente, all'Afghanistan, ma esiste anche il problema dell'armamento nucleare di un grande paese come l'Iran, che sarà il prossimo ad essere posto sul terreno delle decisioni difficili che dobbiamo prendere. C'è stato un orientamento dell'ONU, della Nato, dell'Europa che ci porta in quella direzione.
Allora, onorevoli colleghi, il Parlamento italiano deve partire da questo problema. Il punto che è emerso con chiarezza nel corso di questi mesi - ma a noi sembrava chiaro dalla lettura del programma dell'Unione - è che quest'ultima non ha trovato e non trova una sintesi efficace di queste posizioni. Quando alcuni colleghi, che oggi fanno parte della maggioranza di Governo, dicono che il rapimento del giornalista Mastrogiacomo, a cui va la nostra solidarietà, pone il problema della presenza italiana in Afghanistan, si capisce che, sotto la superficie di un apparente consenso, cova un dissenso molto profondo. Mastrogiacomo poteva essere rapito sul fronte del Darfur o delle infinite guerre che ci sono nel mondo, in cui giornalisti coraggiosi testimoniano il loro mestiere e il loro dovere andando in quelle zone. L'onorevole Giordano si sarebbe alzato a dire, se Mastrogiacomo fosse stato rapito nel Darfur, che ci saremmo ritirati da quel territorio?
No, il problema è che l'Afghanistan è una questione aperta per la sinistra italiana - lo dico con rispetto, non certo con il desiderio di alimentare una polemica -, perché voi ritenete che la strategia del confronto con il terrorismo con le armi è destinata a fallire e ad aggravare le condizioni del mondo e che, quindi, servono strumenti completamente diversi: questo è il punto politico di tale situazione. Naturalmente, mi rivolgo al Governo... Mi rivolgerei al Governo se ascoltasse o se sentisse o se avesse interesse ad ascoltare il Parlamento, Presidente.
PRESIDENTE. Onorevole Intini, è richiesta la sua attenzione.
GIORGIO LA MALFA. Non so se il Governo sia in grado di capire, ma sarebbe certamente in grado di ascoltare se usasse la cortesia verso il Parlamento.
LUCA VOLONTÈ. Bravo, Giorgio!
GIORGIO LA MALFA. Allora, il problema che si pone, onorevoli colleghi, è il seguente: c'è una politica estera dell'attuale Governo? Una politica estera in grado di affrontare le difficoltà, magari Pag. 12crescenti, che possono venire da un inasprimento della situazione in Iraq oppure ogni questione riapre una ferita ed una divisione? La ragione per cui non c'è, onorevoli colleghi, l'abbiamo vista in Senato, perché in quella sede il ministro degli esteri ha tentato l'estrema sintesi - cioè, ha fissato una posizione che rappresentava un punto diverso ed ha rotto la continuità rispetto alla politica estera -, a tal punto che noi tutti non abbiamo potuto votare a favore di quella dichiarazione. Avevamo votato a favore delle posizioni del ministro Parisi, mentre non abbiamo votato a favore delle dichiarazioni del ministro D'Alema perché egli si è spinto molto avanti nel descrivere la politica estera del Governo italiano, che certamente rappresentava una discontinuità rispetto al passato. Quindi, il test del Senato sulla politica estera è stato quello: se su quella politica estera il Governo Prodi non ha la maggioranza, evidentemente vuol dire che non esiste una sintesi possibile.
Allora, voi chiedete - ce lo chiedete in coro, ce lo chiede il ministro Amato e in tanti altri - di votare a favore, poi deciderete se il voto a favore determinante sia tale da comportare un chiarimento o meno. Come hanno detto con molta serietà il presidente Dini l'altro giorno e stamattina l'onorevole Ranieri, presidente della Commissione affari esteri della Camera, il problema esiste. Il problema dell'autosufficienza di una maggioranza esiste perché alla spalle dei nostri soldati e dei nostri diplomatici, che ci rappresentano nelle sedi internazionali, deve esserci un Governo che ha una politica e non due. Lo dico con rispetto verso i colleghi di Rifondazione, dei Verdi e dei Comunisti italiani perché so che tali questioni attraversano profondamente la coscienza di un paese come il nostro. Tuttavia, un Governo i problemi di coscienza deve saperli porre alle sue spalle e deve prendere delle decisioni.
Su questo noi dubitiamo dell'Esecutivo e ne abbiamo avuto la prova al Senato. Infatti, sulla politica - che non ha il nostro consenso - esposta dall'onorevole D'Alema il Governo non ha la maggioranza del Senato e, quindi, non è in condizioni di governare. Allora, mi rivolgo ai colleghi che con noi fanno parte dell'opposizione. È saggio - colleghi di Alleanza Nazionale, dell'UDC e di Forza Italia -, in una situazione internazionale che si può aggravare, coprire al Senato le divergenze esistenti, che verranno alla luce nel prossimo futuro e che renderanno sempre più debole la politica del Governo?
Credo che, dato questo voto politico alla Camera, noi al Senato dobbiamo rivendicare il diritto di lasciare sola questa maggioranza di fronte alle sue contraddizioni e, se non ci sono, tanto meglio! Ma, se quelle contraddizioni esistono, l'Italia avrebbe bisogno di un altro Governo e sarebbe giusto che dalla politica estera nascesse la possibilità di un diverso Esecutivo che esprimesse una politica estera di cui chi rappresenta il paese all'estero possa sentirsi pienamente titolare.
Queste sono le considerazioni - signor Presidente, onorevoli colleghi - che accompagnano il nostro voto favorevole sul decreto oggi all'esame della Camera.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Francescato. Ne ha facoltà.
GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, il nostro dibattito su questo decreto-legge si è svolto in un momento di grande tensione, mentre la situazione in Afghanistan si fa sempre più cupa.
È di tre giorni fa l'ennesima strage, con cinque donne, tre bambini, un vecchio, falciati da una bomba americana intorno al tavolo per la cena, in un villaggio del distretto di Mijarab; strage che porta a più di mille il numero di civili vittime di quelli che vengono definiti effetti collaterali del conflitto, secondo la pudica ed ipocrita definizione della gergo burocratico militare.
È dell'altro ieri la sparizione del giornalista Daniele Mastrogiacomo e cogliamo l'occasione per rinnovare ai suoi familiari Pag. 13e colleghi la solidarietà di noi tutti, nella speranza che gli sforzi del nostro Governo portino ad un esito positivo della vicenda.
Questi ultimi drammatici episodi si saldano ad una lunghissima catena di eventi negativi, che fanno parlare ormai apertamente di «irachizzazione» del conflitto e costituiscono una riprova - semmai ve ne fosse bisogno - dell'urgenza di imboccare la strada che, il più rapidamente possibile, potrà e dovrà portarci ad una soluzione politica del dramma afghano. Infatti - come abbiamo fin troppo facilmente previsto noi Verdi, noi pacifisti, fin dall'inizio dell'intervento in Afghanistan - la soluzione militare è fallita! È servita semmai - paradosso beffardo - a fomentare il terrorismo e a rafforzare il disagio e l'ostilità che le popolazioni locali, inizialmente favorevoli, nutrono sempre più nei confronti dello spiegamento delle forze occidentali nel loro paese.
Dobbiamo dunque uscire al più presto dalle strettoie dell'intervento esclusivamente militare. E che la bilancia penda ancora troppo dalla parte delle operazioni belliche, lo dimostrano le cifre indecorose degli stanziamenti: con 82 miliardi di dollari spesi in Afghanistan dal 2001 per fare la cosiddetta guerra al terrorismo e soltanto 7 destinati alla ricostruzione.
Occorre fornire da subito una risposta politica ai complessi problemi di quell'area, riformulando le nostre priorità, per dare sempre maggiore spazio agli interventi di carattere civile e umanitario, alle strategie per rimettere in sesto l'architettura istituzionale, sociale ed economica del paese.
Procede in questa direzione, lo diciamo con sollievo, il decreto-legge che stiamo per approvare. In primo luogo, perché riconferma ancora una volta, con volontà nitida, l'approccio multilaterale come bussola, come asse portante della nostra politica estera in Afghanistan e dovunque si svolgano le altre missioni internazionali a cui partecipiamo.
Ma ci sono altri segnali incoraggianti che apprezziamo: pensiamo al segnale, non solo simbolico, dato dalla scomparsa di ogni riferimento al codice militare di guerra, sostituito per tutti i militari italiani all'estero da quello di pace. E non vogliamo trascurare altri positivi elementi di inversione di rotta, quali la prospettiva della Conferenza di pace, la decisione di avviare un'indagine conoscitiva per il monitoraggio della missione, il deciso impegno italiano a proseguire nel lavoro politico e diplomatico non solo per affrontare il dramma afghano, ma altresì per stabilizzare i paesi limitrofi.
Abbiamo anche apprezzato la reazione forte del ministro D'Alema di fronte alla strage di pochi giorni fa, che ci aveva veramente angosciato, anche perché altre simili - purtroppo - accadranno, e sosteniamo con forza l'appoggio che D'Alema ha dato al governo afghano, chiedendo l'apertura di un'inchiesta veramente indipendente su tali devastanti eventi. Proprio per arginare questa costante violazione dei diritti umani - ricordo che la protezione di tali diritti dovrebbe essere uno degli obiettivi cardine della missione ISAF - noi Verdi abbiamo presentato un ordine del giorno, avente come prima firmataria la collega Tana De Zulueta, accettato ieri dal Governo, per garantire la continuazione dell'attività dell'Afghanistan Independent Human Rights Commission e per istituire un difensore civico al quale possa rivolgersi chiunque abbia subito danni o violazioni dei diritti umani da parte della coalizione.
Tutto ciò, tuttavia, non basta, signor Presidente. Non basta ancora. Il deterioramento della situazione afghana corre veloce, troppo veloce e richiede che si faccia di più, molto di più. Consideriamo, ad esempio, il tanto discusso e tanto vituperato dall'opposizione ordine del giorno Sereni n. 9/2193/4, che ieri è stato accettato dal Governo ed impegna lo stesso Governo a «sostenere nelle sedi internazionali (...) ogni iniziativa tesa ad individuare un efficace strategia di contrasto alla coltivazione e al commercio illegali di oppio, anche attraverso eventuali programmi di riconversione delle colture illecite di oppio in Afghanistan in colture legali, ai fini dell'utilizzazione dell'oppio medesimo per le terapie del dolore». Non Pag. 14è affatto un idea bislacca, come ha sostenuto ieri l'onorevole Casini; non è una proposta inefficace, come ha affermato l'onorevole Giovanardi; né, tantomeno, una sorta di «santificazione della droga», come l'ha bollata l'onorevole Gasparri. Se osservata senza il paraocchi dell'ideologia e di moralismi ipocriti, potrebbe, invece, rivelarsi un utile strumento per allentare il cappio del narcotraffico, stretto intorno al collo delle comunità afghane.
Ricordiamo che nel 2006 il raccolto di oppio ha registrato un'ennesima impennata record: 165 mila ettari coltivati a papavero, una produzione che costituisce il 92 per cento del mercato mondiale. Ora, non un incallito antiproibizionista, non un no-global, ma Bill Emmott, che mi risulta essere l'ex direttore di The Economist, quindi tra i più autorevoli conoscitori al mondo del mercato e dei suoi meccanismi, scrive testualmente sul Corriere della Sera di ieri: «Si direbbe un'idea pazza solo se si è convinti che l'oppio è l'essenza del male e che pertanto acquistare i raccolti non farà che incoraggiare i contadini afghani a coltivare un prodotto riprovevole. Se l'operazione fosse gestita nel migliore dei modi» - continua Emmott - «un simile progetto potrebbe riscattare gli agricoltori, sottraendoli alle grinfie di criminali, »signori della guerra« e talebani. Il vero problema non ha nulla a che vedere con l'oppio e l'eroina, quanto piuttosto con i costi di realizzazione: vi faccio presente che sarebbero solo un ventesimo di quanto la sola America spende in un anno per la guerra in Iraq. Questa idea può funzionare» - continua sempre Emmott - «solo se i paesi occidentali, tra cui l'Italia, si impegnano a finanziare il progetto generosamente, anno dopo anno». Progetto arduo - chi se lo nasconde? -, che richiede tempi lunghi - chi lo nega? -, ma vale la pena di tentare, perché, questo è il punto cruciale, bisogna mettere in campo una gamma di soluzioni che vadano oltre il conflitto militare, riformulando appunto le nostre priorità, per accompagnare e garantire il difficile percorso di ricostruzione e di pace. Queste sono le linee guida per ridisegnare la missione afghana e dare un senso alla nostra presenza in tale area.
Signor Presidente, il nostro «sì», il nostro difficile «sì» alla missione in Afghanistan si fa ovviamente meno problematico per le altre missioni internazionali che questo provvedimento include: dalla nostra presenza in Libano, in cui l'Italia ha svolto un ruolo guida per la costituzione di una forza di interposizione sotto la bandiera dell'ONU, per porre fine al conflitto scoppiato tra Israele e Libano, al nostro rinnovato impegno in Kosovo. Tutte situazioni delicatissime, che richiedono un monitoraggio costante, ed è un peccato che in Parlamento non vi sia il tempo per svolgere un dibattito più approfondito su ognuna di tali questioni, messe in ombra dalla più lacerante questione afghana.
Con queste motivazioni e con le prospettive che abbiamo illustrato, annunciamo, signor Presidente, il voto favorevole dei Verdi alla conversione in legge di questo decreto-legge (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cannavò. Ne ha facoltà.
SALVATORE CANNAVÒ. Signor Presidente, non voterò questo provvedimento, così come ho già fatto a luglio, quando si procedette ad analogo rifinanziamento ed a proroga, perché sostanzialmente ritengo che non sia cambiato nulla rispetto a quella fase, e nulla rispetto a quando avevo già espresso un voto contrario.
In realtà, devo dire che, forse, alcune cose sono cambiate, ma in peggio. Al di là della situazione sul terreno, su cui tornerò tra poco, occorre dire che il provvedimento all'esame contiene un aumento delle risorse per le missioni militari, in particolare per quella in Afghanistan, che incrementa sia il numero dei militari sia quello delle risorse e dei mezzi tecnici, compresi elicotteri ed aerei. Nel frattempo, si è proceduto ad un intervento in Libano che, secondo me, si inscrive in una logica Pag. 15ancora sbagliata della politica estera italiana (che, infatti, non condivido). In particolare non condivido quell'aumento delle spese militari contenute nella legge finanziaria, che fa ben comprendere l'unità d'intenti della politica del Governo e il motivo per cui si registra un dissenso su un terreno così cruciale.
È evidente a tutti che il problema principale è riferibile a ciò che è avvenuto sul terreno, cioè al peggioramento della situazione in Afghanistan. Non mi riferisco ovviamente al caso tragico di queste ore del giornalista Mastrogiacomo, anzi su questo mi preme dire (oltre ad esprimere la massima solidarietà e l'augurio per la sua rapida liberazione) che in riferimento a questo episodio registro l'unico elemento di contatto con il ministro degli esteri quando invita a non strumentalizzare questa vicenda: sono d'accordo con lui, non bisogna strumentalizzare la vicenda da nessun punto di vista né parte, e quindi non vi farò alcuna menzione per motivare il mio dissenso alla missione, che viene prima e prosegue al di là dell'esito, che io spero favorevole, di questa vicenda.
È molto più importante invece, in queste ore e in queste settimane, concentrarsi sul lancio dell'operazione Achille da parte della NATO, e quindi su una recrudescenza del conflitto militare lì, nel territorio afgano, che non può non coinvolgere le truppe italiane e la politica estera italiana. Tra l'altro, il lancio dell'operazione Achille arriva dopo il reiterato annuncio di una escalation militare e di una offensiva in primavera che viene ormai data per certa da tutti gli analisti, e, soprattutto, arriva dopo una serie di attacchi effettuati da parte delle truppe anglo-americane che inquadrano la situazione in un contesto di guerra dalla quale l'Italia non può sfuggire. Credo che questo sia il cuore del problema e costituisca la base del nostro dissenso e del mio in particolare: la strategia militare che sottende l'intervento in Afghanistan e, quindi, il ruolo della NATO.
Veda, signor Presidente, nel 2001 il movimento per la pace coniò lo slogan, tanto amato e vituperato allo stesso tempo, del «senza se e senza ma». Quello slogan nacque, non a caso, proprio in occasione della guerra in Afghanistan, lanciata illegalmente dagli Stati Uniti, e si riferiva al fatto che nessuna guerra è sostenibile sia che venga sancita dall'ONU sia che venga sancita dalla NATO, dunque coperta da istituzioni internazionali. Il punto è esattamente questo. Quello che voglio rimarcare in quest'aula - quando ci viene detto «guardate che questa guerra non è unilaterale ma multilaterale, guardate che vi è la copertura dell'ONU (che tra l'altro è arrivata soltanto in un secondo momento), guardate che c'è la NATO, cioè istituzioni internazionali di cui facciamo parte» - è il fatto che proprio qui si pone il nostro dissenso, perché quelle istituzioni, in particolare la NATO, nel momento in cui lavorano in Afghanistan, così come stanno facendo, non fanno altro che seguire la scia di quella contrapposizione globale tra Occidente e mondo arabo musulmano che la strategia militare degli Stati Uniti ha imposto dal 2001 in poi, dopo la tragedia dell'11 settembre, costruendo uno schema internazionale da guerra di civiltà, nella quale ovviamente le destre si ritrovano pienamente e a loro agio, ma nella quale naturalmente le sinistre non possono stare a proprio agio.
La contrapposizione che viene scatenata in Afghanistan è tale che non può non essere percepita da milioni, e anzi da centinaia di milioni, di persone, come una contrapposizione tra mondo occidentale e i nuovi barbari. E da questo punto di vista noi costruiamo una frattura che rischia di essere continuamente insanabile. Non a caso, la faglia che c'è tra il mondo occidentale e quello arabo musulmano è puntellata oggi da interventi militari che vedono sempre più frequentemente l'intervento italiano. E credo che sia proprio da questa struttura e da questa logica complessiva che dobbiamo uscire. Tra l'altro, è una struttura e una logica complessiva che è certificata anche dalla particolare catena di comando delle operazioni militari in Afghanistan, che vede in una posizione Pag. 16di primato assoluto gli Stati Uniti, e in una posizione subordinata tutti gli altri alleati.
Vede, signor Presidente, vi è un paradosso che vorrei portare all'evidenza anche di quest'aula. Nel corso di tutta la guerra fredda il movimento comunista ha sempre sostenuto l'illegittimità del Patto atlantico e quindi ha contrastato la NATO.
Paradossalmente, però, la NATO aveva un senso, aveva un logica quando vi era una contrapposizione planetaria dei due blocchi. Onestamente, oggi, una logica ed un senso la NATO non li ha più, se non come strumento di politiche che appaiono neocoloniali agli occhi di gran parte della popolazione di questo pianeta, di politiche di guerra, aggressive ed offensive. Credo che questo sia il punto nodale di una questione che non può essere risolta, evidentemente, di volta in volta, soltanto con la discussione puntuale delle missioni, ma che dovrebbe vedere una discussione più approfondita sul senso delle alleanze militari che l'Italia continua a mantenere e, soprattutto, il senso che la NATO si vuole dare.
Oggi, comunque, l'Italia nell'ISAF, nel progetto offensivo contro l'Afghanistan, significa l'Italia in guerra. Da questo punto di vista, non credo sia possibile un'ipotetica terza posizione che veda, da una parte, un conflitto militare con le forze anglo-americane nel sud dell'Afghanistan, dall'altra, l'ipotesi del ritiro e, in mezzo, il contingente italiano, che se ne sta tranquillamente ad Herat o a Kabul, in una posizione di supporto umanitario alla popolazione afgana. Non credo che ciò sia possibile. Oggi, il problema si pone, in maniera ancora più netta, nei seguenti termini: o si partecipa alla guerra o ci si ritira. Mutuando le parole di Emergency, l'unica soluzione possibile al problema è quella di far tacere le armi, di ritirare le truppe e di mettere mano davvero ad una soluzione politica, perché soltanto dopo un gesto di distensione unilaterale è possibile costruire una soluzione politica al problema afgano.
Del resto, stiamo assistendo, proprio in questi giorni, in queste ore, a quella che molti osservatori stanno definendo «irachizzazione» del conflitto, che non si sostanzia ancora in una guerra civile, ma in attacchi continui, stress militare costante e scollamento - questo è un altro elemento che contraddice lo spirito umanitario dell'intervento - tra l'intervento occidentale ed i bisogni, il sentire della popolazione. Come rilevava egregiamente il generale Fraticelli due giorni fa, come si può pensare di costruire un intervento che la popolazione vede, ogni giorno di più, come avverso, ostile, aggressivo? Peraltro, è questo l'elemento che alimenta il terrorismo, che determina ulteriore scollamento, che espone al rischio i militari e che costruisce una cornice, della quale ho già detto all'inizio del mio intervento, di scontro di civiltà.
Un'ultima considerazione mi preme proporre. Probabilmente, il provvedimento in esame sarà approvato, oggi, dal 95 o addirittura dal 99 per cento del Parlamento. Saranno poche le voci di dissenso, alcune strumentali, come abbiamo visto nel dibattito di ieri, altre più coerenti, storicamente coerenti. Io credo che questo elemento debba far riflettere non soltanto la maggioranza, ma tutto il Parlamento. Com'è possibile che sul terreno della guerra, sul terreno delle politiche militari, questo Parlamento continui ad essere non rappresentativo degli umori della società italiana, della condizione reale della società italiana? Non voglio citare i sondaggi, perché sono altalenanti, ma sappiamo tutti molto bene che non arriva al 99 per cento la percentuale della popolazione italiana che vuole sostenere questa missione militare; eppure, questo sarà l'orientamento del Parlamento. Credo che proprio qui vi sia un punto di crisi: un punto di crisi della politica ed anche della rappresentanza.
Per quanto mi riguarda, non ho né la pretesa né la presunzione di poter rappresentare tutti quelli che sono contro la guerra. Dirò di più: credo che in quest'aula siano tantissimi quelli che sono contro la guerra; credo che anche tra coloro i quali voteranno a favore del decreto-legge vi sia un sano sentimento Pag. 17pacifista, che rispetto e che continuerò a rispettare. Quindi, non è la questione della guerra fratricida a sinistra...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
SALVATORE CANNAVÒ. ... che mi muove o che muove quelli che oggi sono in dissenso. Rimane un punto politico che viene consegnato alla discussione della politica italiana e di questo Parlamento: nel paese, c'è una forte ed importante avversione alle politiche militari, alle missioni militari, ma il Parlamento vota pressoché all'unanimità. Credo che lo scandalo non stia nel voto in dissenso, e neanche nella maggioranza variabile (che è un altro «teatrino» della politica inventato recentemente): il problema vero della democrazia di questo paese sta nella mancanza di ascolto tra paese legale e paese reale! Grazie, signor Presidente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Galante. Ne ha facoltà.
SEVERINO GALANTE. Signor Presidente, i Comunisti italiani votano a favore del provvedimento: lo facciamo con convinzione per l'impianto del decreto che riguarda missioni autenticamente e indiscutibilmente umanitarie e di pace (dal Darfur al Libano, per esemplificare), ma lo facciamo con spirito di responsabilità per altri aspetti e situazioni più discutibili e discussi, sui quali abbiamo cercato, nella discussione generale ed ora, di portare contributi critici ma comunque costruttivi nella delicatissima materia della politica di difesa e della politica estera dell'Italia.
Non ci sottraiamo alle decisioni difficili, e voglio rassicurare il collega La Malfa. Lo facciamo - e con questo rispondo anche al collega Del Bue - con una chiara ispirazione, che è quella di una cultura di sinistra, filtrata attraverso la Costituzione. Quest'ultima è ancora vigente in questo paese e conta il numero dei voti per l'approvazione di un provvedimento. Ricordo per l'appunto al collega Del Bue che il mio ed il suo voto possono normalmente sommarsi, pur se espressione di diverse motivazioni. Infatti, c'è una maggioranza ed un'opposizione che compongono insieme - collega La Malfa - il Parlamento. È il Parlamento come tale che approva o boccia i provvedimenti.
Dunque, votiamo questo provvedimento con convinzione, per un verso, e con spirito di responsabilità, per l'altro. Entrambi questi sentimenti politici sono percorsi da una grande, razionale preoccupazione, la stessa che qualche giorno fa manifestava il ministro degli esteri D'Alema, in rapporto alle recenti stragi in Afghanistan. Anche quella è la nostra preoccupazione: di quelle stragi sono artefici gli Stati Uniti d'America e l'etichetta apposta a quelle stragi è quella della NATO.
Ciò significa che anche noi italiani siamo direttamente coinvolti in quanto indirettamente corresponsabili. Se a ciò si aggiunge il fatto che anche l'est dell'Afghanistan, e più specificamente la regione di Herat sotto il comando italiano, sta diventando teatro di crescenti attività militari da parte degli afgani, la preoccupazione tende a diventare sempre più grande: un autentico allarme. Questo allarme è accresciuto dalle voci - se così vogliamo chiamarle - non smentite dalle autorità militari né da quelle politiche italiane, circa il coinvolgimento di nostri soldati in operazioni di combattimento cosiddette nascoste.
Noi condividiamo il proposito dichiarato dal Governo italiano di operare fattivamente per una soluzione politica della crisi afgana. Condividiamo quanto affermato dal Presidente Prodi su questo argomento e la richiesta e la volontà di lavorare a favore di una conferenza internazionale di pace che costituisce un obiettivo estremamente rilevante. In questa prospettiva strategica può apparire plausibile - e lo ripeto: plausibile - l'argomentazione che sostiene le opportunità tattiche di mantenere la presenza italiana in Afghanistan. Tuttavia, avverto che se la dimensione tattica si connota sempre di più sul piano operativo e su quello del combattimento, con una strategia dichiarata Pag. 18dal Governo ed una tattica praticata sul terreno, allora si rende palese una contraddizione insostenibile, oltre che - alla lunga - intollerabile, che fa della tattica la vera strategia. Credo che il Governo italiano debba esserne avvertito e auspico che agisca coerentemente ed efficacemente per rimediare a questa contraddizione.
Siamo giunti ad un punto di svolta dove non è più possibile temporeggiare in alcun modo. Ci sono due opzioni alternative. La prima è quella di partecipare consapevolmente, pagandone i relativi costi materiali e umani, alle molteplici guerre che si combattono sul suolo afgano. Seguire questa opzione, che viene chiesta con maggiore o minore consapevolezza da tanti solerti esponenti dell'opposizione, comporta - deve essere chiaro - la militarizzazione completa sia della nostra presenza in Afghanistan sia dell'Afghanistan stesso. Questo processo è nei disegni degli Stati Uniti. Esso ha già compiuto un rilevante passo avanti con l'assorbimento della missione Enduring freedom da parte dell'ISAF, che così ha cambiato sostanzialmente natura, assumendo i compiti diretti di lotta all'insorgenza e di contrapposizione all'imperialismo autocratico, lì incarnato dai talebani.
Un ulteriore passo avanti nella militarizzazione della crisi è in corso in queste ore e in questi minuti, con lo scatenamento dell'operazione Achille. Siamo ben felici - lo sottolineo - che il diffondersi dell'imperialismo teocratico venga contrastato. Siamo infatti coerentemente contro ogni forma di integralismo religioso, ovunque la sua aggressività si manifesti, soprattutto quando esso utilizzi la forza militare, o anche la forza politica, per imporsi. Né sottovalutiamo i risultati di civiltà raggiunti con l'occupazione: le scuole, l'eliminazione del burka (qualche collega ha sottolineato questi punti in precedenti interventi). Peraltro, vale la pena, con un po' di polemica, ricordare che questi risultati non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli raggiunti dall'Afghanistan ai tempi dei governi Amin, Karmal e Najibullah: forse varrebbe la pena di ricordare questo aspetto e di riflettervi adeguatamente.
Siamo in una situazione in cui l'Afghanistan è in subbuglio per una rivolta che nasce dall'incomprensione completa, da parte degli occupanti, della natura e della cultura di quelle popolazioni. Siamo di fronte alla necessità - questo è il nostro parere - di rivedere radicalmente l'impostazione di quella missione, in modo da garantire che essa possa raggiungere qualche efficacia.
La prospettiva della revisione non deve spaventare. Essa sarebbe prova di serietà e di professionalità, anziché di timore e di preoccupazione. Nel caso dell'Afghanistan la revisione del nostro impegno deve essere in grado di esplorare tutte le possibilità concrete, per dare un contributo serio al popolo afgano, in modo che esso possa rientrare nel quadro pieno di legittimità giuridica internazionale.
In particolare, bisogna verificare che le Nazioni Unite esercitino realmente la sua leadership nelle operazioni di sicurezza e di ricostruzione. Bisogna che si riaffermi nella pratica e non soltanto nella teoria che l'Afghanistan è sovrano e che il compito di gestire la sicurezza è soltanto suo. Ciò significa far confluire tutte le energie militari e civili in una missione di assistenza al governo afgano, rispettandone la sovranità, le regole e le priorità, vigilando che siano compatibili con gli scopi della missione.
La stessa opera di repressione e di prevenzione della minaccia interna, che è necessaria, deve essere lasciata il più presto possibile gli afgani, esercitando invece l'autorità internazionale per controllare il rispetto della legalità ed impedire interferenze ed ingerenze esterne.
Ma, al di là di questa riflessione più generale, che dobbiamo fare su questa e sulle missioni in generale, per l'Afghanistan è importante che si assumano ora impegni chiari, coerenti con la nostra Costituzione, con le nostre capacità materiali e dotati delle risorse necessarie a garantire qualcosa di veramente utile per il futuro del popolo dell'Afghanistan. La nostra scelta va comunque fatta in nome Pag. 19dell'Italia - lo dico ai tanti colleghi che ci hanno chiesto quali dovrebbero essere i nostri motivi ispiratori - dei nostri interessi, della nostra politica per l'Europa e per il mondo, del nostro contributo alle organizzazioni internazionali e del modo nostro di condurre le operazioni di sicurezza.
Sintetizzo questo concetto in una formula finale: se contrastare l'imperialismo teocratico in Afghanistan è nell'interesse indubbio dell'Italia, sottrarsi all'imperialismo classico non lo è da meno (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, credo sia giusto iniziare il mio intervento dalla missione di pace che tra quelle che andiamo oggi a rifinanziare con il provvedimento in esame ha determinato maggiore polemica politica in Parlamento, quella appunto in Afghanistan. Devo dire che da quando i nostri uomini sono presenti in Afghanistan le cose sono sicuramente cambiate. Siamo riusciti ad avviare un processo di democratizzazione che ha dato sicuramente dei risultati. In Afghanistan si sono svolte elezioni democratiche, si è riaperto il Parlamento (con una presenza femminile del 27 per cento all'interno delle istituzioni) e le donne hanno potuto votare. Sono state riaperte le scuole, le donne possono uscire di casa liberamente, sono stati riaperti i cinema ed i luoghi di aggregazione, si può ascoltare musica - cosa che i talebani vietavano - vi sono radio e tv libere.
Ritengo che questi rappresentino risultati concreti conformi alle finalità che ci eravamo preposti insieme a quella principale di combattere il regime talebano: conseguire, attraverso la cooperazione, dei risultati che andassero a ripercuotersi positivamente nei confronti dei cittadini. Molto è stato fatto, ma è evidente che molto si deve ancora fare. La situazione ereditata dal governo talebano è sicuramente drammatica. Ancora oggi il 23 per cento della popolazione vive con un dollaro al giorno. L'aspettativa di vita è di soli 42 anni. La mortalità infantile è pari al 165 per mille. L'80 per cento della popolazione è analfabeta.
È evidente, dunque, che in quest'aula noi oggi dobbiamo decidere cosa fare. Dobbiamo stabilire se vogliamo continuare in questa azione di aiuto e di sostegno alla popolazione afgana o se invece preferiamo scegliere la via del ritiro, arrendendoci. Credo sia corretto affrontare i temi anche ascoltando le persone che hanno seguito e stanno seguendo più attentamente le problematiche afgane. In sede di Commissioni, attraverso vari incontri, abbiamo avuto la possibilità di confrontarci anche con chi in questo momento sta operando in quei territori per conto del nostro Governo. L'ammiraglio Di Paola dice che non vi può essere sviluppo senza sicurezza e che non vi può essere sicurezza senza sviluppo. Le due cose sono collegate. Quindi, se vogliamo portarla avanti, l'operazione deve essere una combinazione tra un'azione di cooperazione e un'azione di contrasto ai talebani.
L'azione di cooperazione deve essere effettuata portando avanti iniziative che sostengano anche le attività imprenditoriali, che in quel paese ancora non esistono. Le proposte portate avanti dal centrosinistra e accettate dal Governo vorrebbero legalizzare, ad esempio, la coltivazione dell'oppio. Ricordo che nel 2005 in Afghanistan è stato prodotto l'87 per cento dell'oppio mondiale, per un giro di affari complessivo di 40 miliardi di dollari, pari a più del 50 per cento del PIL afgano. Il Governo afgano, però, ha deciso in modo chiaro di combattere questo fenomeno e noi oggi in Parlamento, invece, decidiamo di intervenire a favore della legalizzazione della coltivazione dell'oppio. Tutti i rappresentanti della cooperazione internazionale ci dicono che dove sono stati concessi incentivi alle popolazioni agricole per riconvertire le coltivazioni di oppio in coltivazioni diverse sono stati ottenuti ottimi risultati: sono diminuite in modo drastico le coltivazioni dell'oppio e sono aumentate Pag. 20le coltivazioni legali. Dunque, è questa la strada da seguire per aiutare lo sviluppo economico di quel paese.
Bisogna proseguire certamente il contrasto all'insorgenza talebana, siamo di fronte al periodo più difficile che si sia mai dovuto affrontare da molto tempo a questa parte, e per il futuro si prevedono ancora difficoltà maggiori.
Ci sono degli eserciti organizzati - anche il nostro - che si dovranno confrontare con i guerriglieri talebani, che hanno deciso di attaccare la forza di pace multilaterale in Afghanistan. Questi guerriglieri talebani useranno - mi sembra evidente - più le tecniche dei terroristi che quelle militari, dunque: attentati, agguati, sequestri, stragi, rappresaglie. Saranno, costoro, il peggior nemico da affrontare, il più vigliacco, il più spietato, il più temuto dai soldati.
A fronte di questi rischi, che sono elevatissimi, dovremo adeguare la presenza dei nostri uomini su quel territorio, dando più mezzi, più uomini - se saranno necessari -, le coperture aeree, che adesso mancano, e nuove regole d'ingaggio che permettano ai nostri soldati di affrontare questi pericoli. Nel dibattito svoltosi qui alla Camera, noi - come Lega nord - abbiamo richiesto queste misure ma il Governo, purtroppo, non le ha volute accettare. Abbiamo anche presentato degli ordini del giorno che andavano in questa direzione, ma il Governo li ha bocciati. Il Governo ha anche bocciato alcuni ordini del giorno ed emendamenti da noi presentati che miravano a fissare delle regole, per esempio, nel campo della cooperazione, con riferimento a tutte quelle ONG che, su quei territori, dovrebbero portare aiuto alle popolazioni locali.
Sappiamo che, molto spesso, vi sono ONG che, invece di andare ad aiutare la povera gente, fanno affari. Vi sono multinazionali anche farmaceutiche che creano delle ONG per poi vendere i loro prodotti - magari medicinali scaduti -, sapendo che andranno a finire nelle parti più disgraziate del mondo. Vi sono poi delle ONG che hanno delle vere e proprie etichette politiche: i DS hanno le loro, Rifondazione Comunista è vicina ad altre (ma lo stesso vale per i Comunisti italiani e i Verdi). Noi abbiamo chiesto di dare delle regole, proponendo un emendamento con cui si chiedeva che le ONG destinatarie di fondi ed aiuti dal nostro paese fossero di comprovata fama, al fine di assicurare che l'azione da esse svolta sul territorio vada veramente a risolvere i problemi dei cittadini locali. Questo emendamento è stato bocciato!
È evidente, allora, che il Governo ha intenzione di destinare questi fondi non tanto alle ONG di comprovata fama quanto, piuttosto, agli amici degli amici, a ONG vicine ai loro partiti, magari controllate dai loro stessi uomini: ritengo che questa sia una cosa vergognosa!
Vorrei ancora ribadire come in quest'aula siano stati da noi presentati moltissimi emendamenti e ordini del giorno: la sinistra non ha presentato neanche un emendamento. La sinistra, in passato, nel corso dell'esame dei precedenti provvedimenti che disponevano il rifinanziamento delle missioni - ormai sono già cinque anni che affrontiamo il tema delle missioni in Afghanistan e altrove - ha sempre presentato centinaia di emendamenti: emendamenti che richiedevano il ritiro delle truppe dall'Afghanistan o che, comunque, erano volti a modificare il provvedimento presentato dal Governo. In cinque anni di Governo del centrodestra ciò è sempre accaduto: oggi, in quest'aula, non c'è stato un solo emendamento presentato dal centrosinistra. È evidente, dunque, che in uno scenario di guerra come quello che andremo, purtroppo, ad affrontare nei prossimi giorni in Afghanistan, tutta la sinistra - Rifondazione Comunista, i Comunisti Italiani, i Verdi, la sinistra DS, il «correntone» - ha deciso, senza se e senza ma, di partecipare alla guerra in Afghanistan. Questo è il messaggio che deve uscire da questo Parlamento, soprattutto nei confronti di quegli elettori che hanno creduto alle balle che avete raccontato per anni in campagna elettorale, nelle piazze a favore della pace «senza se Pag. 21e senza ma»: questa è una vergogna (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Alleanza Nazionale)!
Pochi, come il collega Cannavò, hanno il coraggio - ed io li rispetto - di portare avanti in aula quelle tesi e quegli ideali per i quali si sono sempre battuti.
È difficile stare nella maggioranza. Lo sappiamo bene noi della Lega: ci siamo stati cinque anni. Siamo riusciti a stare nella maggioranza governando con l'UDC: non è certo una cosa facile per un leghista (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Ce l'abbiamo fatta, però, perché comunque noi mai abbiamo votato provvedimenti che andavano contro i nostri ideali: non l'avremmo mai fatto! Mai la Lega in aula avrebbe potuto votare contro il federalismo. Anzi, abbiamo fatto una battaglia per arrivare ad una modifica della Costituzione che portasse al federalismo nel nostro paese. Voi, invece, oggi rinnegate i vostri ideali pacifisti e votate a favore della guerra! Questo è il risultato.
È certo, però, che noi siamo convinti che si tratti di una guerra dichiarata non dai paesi presenti in Afghanistan, ma dai guerriglieri talebani, vale a dire da chi vuole portare...
PRESIDENTE. La prego di concludere...
FEDERICO BRICOLO. ...la dittatura islamica di nuovo al potere in quel paese!
Noi, al contrario, dobbiamo impedirlo, ma, per farlo, dobbiamo garantire la sicurezza dei nostri uomini, offrendo loro i mezzi adeguati. È questo ciò che abbiamo chiesto, poiché non possiamo lasciare i nostri militari in Afghanistan, in Libano e in Kosovo senza fornire loro i mezzi blindati necessari per proteggere la loro vita.
Sto concludendo, Presidente: mi lasci ancora pochi secondi per consentirmi di affrontare un altro problema. Non dobbiamo dimenticarci, infatti, delle ripercussioni che potrebbero esservi nel nostro paese. È chiaro che Al Qaeda ed i terroristi islamici cercheranno di fare di tutto per farci uscire dall'Afghanistan, e potrebbero perseguire tale scopo anche...
PRESIDENTE. La prego di concludere...!
FEDERICO BRICOLO. ...compiendo attentati nel nostro paese!
È chiaro che, già da oggi, il Ministero dell'interno deve fare il possibile per controllare le moschee e le comunità islamiche presenti sul nostro territorio, che nulla hanno fatto fino ad ora...
PRESIDENTE. Grazie...!
FEDERICO BRICOLO. ...per denunciare e combattere gli integralisti islamici, affinché sia garantita...
PRESIDENTE. Capisco che è difficile concludere, ma bisogna farlo: grazie!
FEDERICO BRICOLO. ...la sicurezza anche nel nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, probabilmente varrebbe la pena di ricordare all'onorevole Bricolo, appena intervenuto, che, se il centrosinistra non ha presentato un numero elevato di proposte emendative, è forse perché lo spirito del decreto-legge in esame è già «più avanti», dal momento che lo stesso articolato è di gran lunga superiore rispetto ad analoghi provvedimenti presentati, in passato, in questa Assemblea.
Ma non è questo il senso del mio intervento, poiché vorrei che il provvedimento che ci accingiamo a votare possa, alla fine, raccogliere il più largo dei consensi. Spero che il decreto-legge in esame possa costituire la manifestazione di una volontà comune, decisa e coesa, che noi parlamentari italiani, sensibili al tema della tutela dei diritti umani, vogliamo manifestare, nonché l'espressione di quella volontà popolare che dobbiamo saper incarnare e patrocinare.Pag. 22
I drammatici episodi di questi giorni, che hanno interessato e vieppiù bagnato di sangue le lande desolate dell'Afghanistan - ma non dobbiamo dimenticarci dell'Iraq -, ci ricordano come sia ancora viva la ferita aperta da un conflitto iniziato, all'indomani dell'11 settembre, sulla fin troppo facile equazione Torri gemelle uguale Bin Laden, mullah Omar, talebani ed Afghanistan; per non parlare dell'Iraq, dove, tra le tante colpe che si possono imputare a Saddam Hussein, senz'altro non vi era quella di nutrire simpatia per Bin Laden ed i taliban.
Le operazioni svolte in questi anni, gli errori commessi ed i successi conseguiti devono farci riflettere e devono guidare il nostro operato, confidando davvero che il tempo possa essere galantuomo. La nostra linea di azione, a mio avviso, deve ripartire da un'analisi retrospettiva su quanto già fatto e quanto ancora c'è da fare.
In questi sei anni di tensioni internazionali, infatti, abbiamo potuto constatare come soprattutto la via dell'unilateralismo, condotta in tale periodo, abbia portato gli Stati Uniti, in primo luogo, a finire in un pantano molto simile a quello del Vietnam. Del resto, la bocciatura di questa linea politica emerge anche dalla stessa opinione pubblica statunitense, come hanno dimostrato le recenti elezioni di mid term.
Vorrei rilevare che l'unilateralismo, ormai, è da molti considerato una politica di intervento scellerata: basti pensare alle parole pronunciate dal Presidente russo Putin, il quale, in occasione della recente Conferenza di Monaco sulla sicurezza, ha duramente criticato l'approccio americano, usando toni che hanno richiamato alla memoria le tensioni della non lontana guerra fredda. Lo spettro della minaccia di una rincorsa agli armamenti, inoltre, torna a prospettarsi in una grande potenza come la Cina, mentre sempre più minacciosa continua ad evolvere la sperimentazione nucleare in Iran.
Alla luce di tale acceso scenario internazionale, nonché delle profonde e vibranti tensioni che scuotono l'opinione pubblica, la linea di politica estera del nostro paese deve restare incardinata in un attivo multilateralismo, caratterizzato da una solida iniziativa europeista e da una più fervida intesa euroatlantica.
La sola azione militare, del resto, disgiunta da un'azione di ricostruzione, che veda coinvolte forze militari e civili, affiancata da peacekeeper, non può essere foriera di stabilità e di pace. Un'attenta analisi delle vicende che hanno contrassegnato questi sei anni di crisi in Afghanistan deve farci riflettere sulla necessità di riconsiderare l'attività militare e, nel caso, operarne una rimodulazione del modus agendi.
Mi spiego: dobbiamo pensare che, nei primi tre anni di guerra in Afghanistan, i civili vedevano la presenza militare della coalizione che aveva scacciato il regime oppressivo dei taliban come una vera e propria manna, un sollievo, considerando con estrema fiducia l'operato dei militari. Ma alla lunga - si sa - la guerra sfianca, logora, distrugge, innescando spirali di odio e rancori senza fine. Per questi motivi, bisogna accelerare i tempi per una ricostruzione delle istituzioni civili dello Stato di diritto e passare il potere e il controllo alle istituzioni civili.
Una riflessione attenta deve coinvolgere tutte le forze schierate in campo, con una attenzione particolare alle attività militari americane all'interno del tanto declamato multilateralismo; un multilateralismo attivo che deve portare a un coinvolgimento quanto più allargato possibile e sfociare in una conferenza di pace con un'agenda precisa e incontri periodici.
La problematica deve essere analizzata e considerata a trecentosessanta gradi. Il sequestro per un presunto interrogatorio del giornalista de la Repubblica Daniele Mastrogiacomo - al quale rinnoviamo la nostra vicinanza e solidarietà: noi tutti auspichiamo torni presto a riabbracciare i propri cari, impegnandoci a fare tutto quanto possibile affinché ciò avvenga - può essere l'occasione per stabilire un contatto con i talebani. Sul punto, invito tutti ad essere più prudenti - mi rivolgo anche al collega Del Bue, del quale ho apprezzato l'intervento, soprattutto nella Pag. 23parte finale in cui ha ricordato la volontà di votare senza condizioni a favore di questo provvedimento - nelle analisi e nei collegamenti con la vicenda politica italiana.
Ho parlato dell'importanza di questo contatto con i taliban. In altre occasioni, infatti, questi ultimi hanno rilasciato i propri ostaggi, dopo essersi accertati che non facessero parte né di forze militari né di agenzie di intelligence a loro ostili. Facendo una breve descrizione delle caratteristiche delle forze talebane, emerge come queste siano nate a partire dalle madrasse e così via: non serve ora ricordarlo. Però, nonostante il riconoscimento del leader incontrastato, il mullah Omar, e del fervido fanatismo religioso che li accomuna, i talebani non sono un'organizzazione omogenea e non sono una struttura gerarchica militare. Ne esistono, per così dire, tipi diversi e anche il loro approccio alla politica è diverso, almeno secondo quanto appreso da esperti militari ed operatori dell'intelligence. Con alcuni di essi l'incontro potrebbe essere tentato; il contatto potrebbe servire non soltanto nel caso specifico del nostro concittadino, ma anche per avviare prove di dialogo. Ciò a cui deve tendere un proficuo dibattito multilaterale deve essere la diminuzione dei nemici, come è stato autorevolmente affermato.
Mi spiego ancora meglio: spesso i talebani si riuniscono a centinaia ed è facile individuarli ed infliggere loro pesanti sconfitte e perdite. Ciò, però, innesca spirali di odio senza fine: ci sarà il figlio che vendicherà il proprio padre, il padre che vendicherà il proprio figlio e così via. Perché, allora, non cercare semplicemente di bloccarli, di privarli dei mezzi di offesa e, magari, cercare di «riconvertirli»? Per giungere alla fine del conflitto bisogna, infatti, eliminare i moventi profondi che spingono alla guerra o, almeno, avvicinarsi alla radice, cercando di estirpare tutto ciò che continua ad alimentare la fiamma della guerra.
Per questo motivo è importante una riflessione attenta: considerare, ad esempio, da chi e dove vengono assoldati i talebani: si pensi al ruolo del vicino Pakistan. Si potrebbe, ad esempio, cercare di vigilare meglio il confine, considerare come si approvvigionano le forze talebane. Si pensi che in Pakistan vi è una vera e propria quotazione dell'oppio e che la gran parte di questo viene custodito nel Waziristan, area tribale dove nessuno ha accesso. Occorre considerare, dunque, qual è la forza interiore che spinge il singolo taliban spesso a lottare. Molte volte, ciò che favorisce l'assoldamento dei nuovi adepti è la miseria intollerabile ed inenarrabile che vi è al confine tra il Pakistan e l'Afghanistan. Si tratta di una miseria che né il presidente pakistano Musharraf né le forze della coalizione contrastano a sufficienza.
Non dobbiamo dimenticare che la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali è figlia di una cultura di politica estera fondata su accordi internazionali ed intese nonché sull'appartenenza dell'Italia ad organismi multilaterali, come l'Unione europea, l'ONU e la NATO, impegnate nella promozione e nella valorizzazione dello Stato di diritto, della sicurezza internazionale e della tutela dei diritti.
La posizione dell'Italia dei Valori, dunque, resta all'interno di questo quadro multilaterale che anima le nostre missioni internazionali. Per questo crediamo che non sia saggio stabilire oggi un limite temporale alla nostra presenza in Afghanistan, ma che sia doveroso incentivare e sollecitare un monitoraggio puntuale e ben cadenzato sull'andamento delle operazioni militari di ricostruzione e sulle risorse finanziarie investite.
PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, la prego di concludere.
FABIO EVANGELISTI. Ho concluso, signor Presidente. Vi è bisogno di sapere e di discutere se e cosa, a parte il presidio e la presenza militare, è stato fatto, cosa è in cantiere nonché quali prospettive e quale partecipazione assicurare al popolo afgano. Riprendo le dichiarazioni rilasciate ieri dal generale Fraticelli: «Ma poi gli interventi di ricostruzione hanno tardato, Pag. 24tanta burocrazia e tanti progetti sono solo sulla carta. Vi sono tanti fondi mai spesi. È subentrata una certa delusione tra la gente e fatalmente la sicurezza è tornata a guastarsi ed è tornata l'instabilità».
PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, concluda...
FABIO EVANGELISTI. Taglio e mi accingo a farlo.
PRESIDENTE. Deve proprio concludere.
FABIO EVANGELISTI. Chiedo scusa, signor Presidente. Allora, nel ribadire e sottolineare il voto favorevole che oggi l'Italia dei Valori si accinge ad esprimere, vogliamo dire che non è possibile ignorare la richiesta di aiuto di uomini afflitti da atroci sofferenze e di donne e bambini abbandonati al loro destino di segregazione, senza diritti, senza un volto e senza speranze. Per questo il nostro sarà un voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l'UDC voterà un «sì» convinto e senza riserve, senza quei tanti «se» e «ma» che ho visto ancora ieri rimbalzare nelle dichiarazioni rilasciate ai telegiornali pubblici ed oggi nel dibattito in quest'aula da parte dei partiti e delle formazioni «rosse» e «rossoverdi» della coalizione di centrosinistra.
Senza voler strumentalizzare, salutiamo con grande favore il fatto che comunque, anche da quella parte, sarà espresso un «sì», seppur con le aggiunte e le specificazioni fatte nel corso del dibattito e nelle discussioni di ieri e dell'altroieri dai partiti di Rifondazione Comunista, Verdi e Comunisti Italiani. Noi, anche ieri - e non solo ieri - abbiamo dimostrato con il nostro «no» ad alcuni emendamenti di essere contrari alla precarizzazione delle nostre missioni all'estero, anche in presenza della ragione tattica di creare maggiori difficoltà al Governo. Tuttavia, la stabilità, la sicurezza, la serenità in una situazione di grave e particolare pericolo, come è quella in alcuni teatri di guerra per i nostri militari, sono valori di grande responsabilità e di grande importanza politica, per quanto ci riguarda.
Con coerenza abbiamo dimostrato tale convinzione dalla scorsa legislatura e sempre nella storia politica dei cristiano-democratici. In questo vi è grande continuità in politica estera. L'ha detto a mezze parole il Presidente Prodi, quando qui ed al Senato ha ripercorso l'azione di politica estera del suo Governo. Quindi, non vi è alcun tipo di svolta pacifista nelle missioni. Non ci si può illudere di approvare questo tipo di missioni, immaginando che i nostri soldati nei teatri di guerra mettano i fiori nelle canne dei fucili, mentre le pallottole ronzano loro nelle orecchie. La posta in gioco è troppo alta in queste missioni. Valori come lealtà, onore, serietà e sicurezza sono fondamentali per la nostra forza politica, seppure di opposizione.
Il Governo deve dimostrare però, come è stato detto ieri e nei giorni scorsi anche dal presidente Casini, la propria autosufficienza, alla Camera e soprattutto al Senato, senza nascondersi dietro la teoria del ministro Amato relativa a «maggioranze variabili». Si tratta di un modo per nascondere le differenze e le ambiguità che su alcuni grandi temi, presenti nel «dodecalogo», sono tutte interne all'attuale maggioranza. È vero, servono più uomini e più mezzi.
Ricordiamo a tutti cosa accadde nel vertice di Riga, ricordiamo a tutti cosa c'è oggi sui quotidiani nazionali ed internazionali: la richiesta esplicita del premier Blair, che presenterà nel corso delle riunioni europee di questi giorni. C'è il rischio, ascoltando molti interventi che mi hanno preceduto, di una differenziazione all'interno della NATO e di una nostra marginalizzazione. Quando sento dire che siamo contro tutti gli imperialismi, ma Pag. 25soprattutto contro l'imperialismo americano e la responsabilità che ci assumiamo all'interno della NATO visto che gli Stati Uniti sono una forza imperialista, mi sembra che percorriamo una strada di una certa sinistra degli anni Settanta, di una certa sinistra che in altri paesi si è evoluta - un esempio su tutti è quello del ministro degli esteri tedesco, Fischer - e che in Italia è rimasta invece ancorata ad un'antica idea antiamericanista e anti-NATO.
Vi è il rischio dell'unità della NATO, vi è il rischio di approvare questa missione alla Camera con dei distinguo che stanno non più tra il «Dico» e il «non Dico» ma tra il «ci sto» e «non ci sto», tra opportunismi e ipocrisie. Si discute qui, sui giornali, se mandare un elicottero in più o un elicottero in meno e non si tiene conto invece del pericolo reale, immediato, in alcuni teatri di guerra e immediato in alcune missioni di pace: Libano, da un lato; Afghanistan, dall'altro. Si è tolto con onore, dice l'onorevole Francescato, il codice militare di guerra, per un aspetto nominalistico di pubblicità elettorale. Ma forse non si capisce che il codice militare di guerra italiano è il più garantista nel mondo occidentale ed è il più evoluto tra quelli di tutte le forze occidentali impegnate in politica estera.
C'è un'offensiva alle porte in Afghanistan, ci sono pericoli di una guerra civile dai contorni abbastanza complessi in Libano, c'è un'azione che, grazie all'Unione europea, abbiamo intrapreso in Darfur e che è giusto ed importante che l'Unione europea la rafforzi ancor di più, se non vogliamo anche lì chiudere gli occhi, come dieci, dodici anni fa, davanti alla ecatombe del Ruanda e del Burundi. C'è la moda di un pacifismo ambulante o piazzista, una caricatura degli uomini e degli operatori della pace, come Giorgio La Pira. Costruire la pace è battersi in difesa dei più deboli, dei diritti umani, per la libertà dei popoli, sporcarsi le mani, non stare a braccia conserte e nemmeno imitare gli sbandieratori di Siena durante le manifestazioni!
Conosciamo un pacifismo di maniera, che teorizza il disimpegno assoluto dell'Italia nello scacchiere internazionale, che avversa le missioni militari di pace, senza le quali si perpetuerebbero stragi e prepotenze inaudite, affidando il destino dei popoli alla prepotenza dei signori della guerra e dei narcotrafficanti. È emersa qui la strategia del papavero, una nuova strategia di unità, che interessa innanzitutto l'unità della vostra coalizione e che, con l'approvazione dell'ordine del giorno di ieri, dà un nuovo scenario alla politica estera italiana, quello dell'acquisto dell'oppio e della cannabis per un'azione di responsabilità nei confronti dei popoli africani, che evidentemente qualcuno di voi ritiene abbiano più bisogno della morfina che dei generi di aiuto alimentare, di liberarsi (come in Somalia) dalle corti islamiche piuttosto che di mettere a frutto i loro beni e i loro prodotti!
Questa è una teoria originale, che si sposa però con un'altra grande teoria, emersa negli ultimi mesi: quella di alcune organizzazioni non governative internazionali ed italiane, che hanno teorizzato che in fondo in Afghanistan le donne stavano molto meglio prima con il burqa, che invece in una democrazia come quella presieduta da Karzai. Si tratta di una teoria francamente sconvolgente, visto che tutti siamo stati sconvolti dalla condizione di violazione perpetua ed assassina dei diritti umani in Afghanistan, oltre che scandalizzati per l'abbattimento dei Buddha di pietra, patrimonio dell'umanità. Oggi, invece, quello si vorrebbe guardare come uno Stato di grande pacificazione, rispetto alla situazione odierna!
Credo che non molti nostri pacifisti troverebbero l'approvazione di grandi uomini di pace come Giorgio La Pira, che non hanno mai parlato di pacifismo ma di operatori della pace, perché la pace si conquista non standosene a casa, in pace, ma operando attivamente, anche rischiando la propria vita. Ecco perché ai nostri militari spetta il titolo di operatori di pace, anche in Afghanistan, riguardo al quale, appunto, si vorrebbe teorizzare un disimpegno, che è stato anticipato in questa sede. Nel corso di alcune dichiarazioni pubbliche, infatti, si è affermato di voler Pag. 26esprimere un voto favorevole sulla conversione in legge di questo decreto-legge con l'impegno che nei prossimi mesi non ci sarà una altro voto sulla missione in Afghanistan perché il ritiro interverrà prima, seguendo quella teoria secondo la quale si ritiene che, in fondo, il regime dei talebani era forse più umano di quanto non sia, oggi, la democrazia di Karzai.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 12).
LUCA VOLONTÈ. È una deriva molto inquietante, molto retrograda anche rispetto alle ragioni del pacifismo e dell'impegno rossoverde nel resto d'Europa. Vi invito, quindi, a guardare con attenzione al modo in cui i vostri colleghi stanno riflettendo su queste decisioni, a quanto hanno contribuito, come in Germania, a cambiare le proprie opinioni rispetto a missioni internazionali multilaterali dell'ONU, dell'Unione europea o della NATO.
Esprimiamo un voto favorevole senza tentennamenti per evitare una precarizzazione anche politica di questa missione, già anticipata attraverso queste dichiarazioni, contro ogni pavidità e contro ogni ignavia di quello che accade nello scacchiere internazionale. La prima vostra strategia appare, oggi, ancora di più, anche dalle dichiarazioni emerse, una strategia dell'oppio, del nascondimento, dell'ambiguità. Ma, al Senato, questa strategia dovrà consentirvi - dovete provarlo dinanzi all'opinione pubblica - di essere autosufficienti. Questo è il punto politico del vostro convincimento, su questo avverrà lo smascheramento tra i «sì» e i «ma» di una missione che, invece, noi condividiamo in pieno e alla quale il gruppo dell'UDC dà totale fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), Forza Italia e Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, inizio il mio intervento rivolgendomi al ministro Chiti perché voglio levare in quest'aula una sorta di lamento. È difficile, in Italia e, purtroppo, anche in questo Parlamento, discutere seriamente della politica estera e ancor più della questione spinosa, difficile e complicata delle missioni militari. Viviamo in un paese nel quale si guarda al mondo, troppo spesso, dal buco della serratura della politica interna e viviamo in un Parlamento nel quale, invece di godere del servizio di informazione della stampa, che informa i cittadini delle nostre elaborazioni, delle nostre discussioni e delle nostre decisioni, finiamo per discutere, noi, di ciò che la stampa propina all'opinione pubblica, mentendo e cercando di inquinare il dibattito politico del paese.
Ieri, il segretario del mio partito è stato vittima di una gravissima deformazione giornalistica. Un titolo, sul suo conto, recitava: «Se ci fosse un morto, dovremmo pensare di andarcene»; sottinteso: dall'Afghanistan. Questa frase è falsa e non è mai stata pronunciata. L'intervista verteva su questioni di politica estera ed interna. Poiché la direzione di questo giornale vorrebbe che Rifondazione Comunista dicesse questo, in modo tale che il Governo si trovasse in difficoltà, non si esita a fare una cosa del genere. Infatti, un collega, tratto in inganno, ha evidenziato questa posizione, come se fosse effettivamente la nostra.
Signor ministro, il fatto richiede un intervento, non sul giornale in questione ma, in generale, sul problema della politica, del Parlamento (e, credo, anche dei gruppi d'opposizione, anch'essi vittime, in più di una occasione, di questo trattamento) e del Governo. Non possiamo continuare a discutere in questo modo di cose serie e gravi. Sette mesi fa, abbiamo presentato una risoluzione, approvata da questa Assemblea, sulla questione della politica estera relativamente alle missioni militari, che consideriamo una risoluzione di legislatura. Gli impegni indicati al Governo Pag. 27in quell'atto di indirizzo sono, per noi, di legislatura, sono, per noi, importanti e vincolanti, sono, per noi, decisivi.
È in ragione di quell'accordo che votiamo ad occhi aperti anche cose che avremmo preferito fossero proposte in modo diverso. Lo facciamo ad occhi aperti, riconoscendo le contraddizioni che esistono nell'attuale politica internazionale del nostro paese e nella natura delle missioni che ci apprestiamo a prorogare.
Non è un mistero per nessuno che abbiamo votato per anni contro alcune missioni e che, nell'ambito di questo accordo, abbiamo deciso - lo ripeto: ad occhi aperti - di accettare di vivere questa contraddizione, perché è cambiata la politica estera del Governo e per noi si è aperta una questione.
Vorrei ricordare che negli anni Novanta troppe volte si è detto, anche da parte di tutti i Governi italiani, che l'ONU aveva fallito e non era in grado di sviluppare azioni di pace o missioni militari capaci di impedire le guerre, che ci doveva pensare la NATO oppure che erano necessarie operazioni militari compiute da coalizioni a geometria variabile. È successo così nei Balcani e altrove.
C'è stata, però, una piccola novità: vi è stata una missione comandata dalle Nazioni Unite. So che alcuni colleghi, anche importanti, non sanno quale sia la differenza tra un'autorizzazione fatta ex post e una missione comandata dalle Nazioni Unite. Lo so, mi dispiace per loro, ma io so cosa vuol dire: significa invertire la politica di delegittimazione delle Nazioni Unite e di svuotamento dei suoi poteri, che è stata perseguita dagli anni Novanta.
La missione in Libano non ha fatto solo scoppiare la pace, ma ha aperto una nuova prospettiva: nel mondo, la funzione di polizia internazionale può essere nelle mani esclusive e monopolistiche delle Nazioni Unite (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Comunisti Italiani) e non ci possono essere paesi che, unilateralmente, anche se in coalizione, si arrogano il diritto di fare il bello e il cattivo tempo e di governare il mondo!
Infatti, nella risoluzione che abbiamo approvato, abbiamo impegnato il Governo a compiere un ulteriore passo, che sappiamo essere difficile, ma che il Governo deve fare e farà: promuovere, in qualità di membro non permanente del Consiglio di sicurezza, le iniziative volte a costituire un contingente militare di pronto intervento in capo alle Nazioni Unite. Questo elemento per noi è già sufficiente per accettare di vivere la contraddizione di votare per una missione che abbiamo contrastato e sulla quale non siamo d'accordo.
Abbiamo apprezzato anche la posizione del Governo sul Kosovo. Il Governo italiano è stato uno dei pochi Governi europei a dire esplicitamente che non accetterà decisioni unilaterali, né albanesi-kosovare, né internazionali. Infatti, ieri il viceministro Intini ha accettato anche un ordine del giorno dell'opposizione che andava in tal senso.
Abbiamo approvato la posizione del Governo sulla Somalia, per impedire lo scatenarsi di un conflitto, come, invece, è successo per responsabilità soprattutto degli Stati Uniti, in contrasto con il nostro paese dall'inizio degli anni Novanta.
Abbiamo apprezzato tante posizioni del Governo, tra le quali quella di non accedere alle richieste del Segretario generale della NATO e di sei ambasciatori di aumentare le nostre truppe, di impegnarle nella conquista del territorio in Afghanistan e di fornire sistemi d'armi adatti a questo scopo.
Capiamo che esiste una contraddizione e che abbiamo posizioni diverse all'interno della maggioranza. Pensiamo della NATO cose diverse da altri partiti della coalizione. Capiamo che non possiamo chiedere al nostro Governo di compiere un gesto unilaterale, che, invece, abbiamo ottenuto per l'Iraq. Sappiamo che esistono dei vincoli, ma poniamo comunque dei problemi che vogliamo che siano riconosciuti come tali, come problemi di tutti, anche dell'opposizione, non solo nostri.
In questo decreto-legge che ci apprestiamo a convertire abbiamo introdotto elementi che erano già contenuti nella risoluzione. La conferenza internazionale Pag. 28di pace costituisce un passo significativo in avanti in questa direzione. La conferenza internazionale è la possibile - sottolineo: possibile - soluzione del problema.
La conferenza internazionale è la possibile accensione di un processo che porti alla pace e che metta fine ad una strategia militare che, con ogni evidenza, è fallita e sta fallendo. Lo dico ai colleghi della Lega e a tanti altri che hanno evidenziato questo problema: noi ci sentiamo in pace con la nostra coscienza e coerenti con le nostre convinzioni. Se fosse nelle disponibilità del nostro voto, con un nostro voto contrario sulla missione in Afghanistan, far cessare quella missione ed impedire che si sviluppi ulteriormente la guerra, noi non esiteremmo un solo secondo a farlo, costi quello che costi sul piano della politica interna. Tuttavia, un nostro voto contrario provocherebbe l'effetto opposto ed è per questo che viviamo questa contraddizione, anche faticosamente: la politica è fatta anche di questo.
Noi siamo parte e ci sentiamo parte del movimento pacifista, che è composto da centinaia di milioni di donne e di uomini nel mondo, e non pensiamo di rappresentarlo né con le nostre posizioni né con i nostri atti politici, che giudichiamo in quanto tali per sé stessi. Tuttavia - lo dico alle tante colleghe e ai tanti colleghi - è spiacevole e brutto veder parlare della guerra, dei morti, dei rapimenti, delle stragi di civili, delle bombe ed anche della vita dei nostri soldati - questioni che devono interessare tutti -, ma quando vengono usate retoricamente e demagogicamente per raggiungere miserevoli scopi, trucchi, «sgambetti» di politica interna, non fanno onore a quelli che propongono questa concezione e questa logica (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, L'Ulivo e Comunisti Italiani).
Preavviso di votazioni elettroniche (ore 12,10).
PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta avranno luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del regolamento.
Si riprende la discussione.
(Ripresa dichiarazioni di voto finale - A.C. 2193-A)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato La Russa. Ne ha facoltà.
IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Alleanza Nazionale riconferma il proprio voto favorevole al decreto in esame, che è coerente con l'atteggiamento che il nostro gruppo, così come tutti i gruppi della Casa delle libertà e del centrodestra, ha sempre espresso. È un voto favorevole che parte dalla convinta adesione all'azione umanitaria e militare che i nostri giovani in divisa stanno svolgendo in diverse parti del mondo. Sono quei giovani in divisa che fanno davvero ogni giorno qualcosa a favore della pace: a loro va il nostro sostegno e il nostro ringraziamento. Per loro, per l'azione che svolgono e, quindi, per il rifinanziamento necessario alla loro attività Alleanza Nazionale non può che continuare ad esprimere una profonda adesione.
La stessa coerenza non mi pare possa ravvisarsi nei comportamenti della sinistra, che anche oggi, pur preannunziando un sì al provvedimento in esame, ha dimostrato come sia un sì incerto, «stiracchiato», dettato da ragioni di necessità; un sì espresso quasi per causa di forza maggiore, dove la forza maggiore sta nel mantenimento del ruolo di Governo, che evidentemente è visto come prioritario rispetto ai convincimenti di molti tra gli esponenti della sinistra. Fatto sta che avremo il sì di coloro che pure in molte dichiarazioni hanno espresso concetti assolutamente diversi.
Mi preme sottolineare soprattutto un dato e lo faccio nonostante tutto con un Pag. 29certo compiacimento. Il provvedimento oggi in esame - per il quale, ripeto, noi esprimiamo sin d'ora voto favorevole - è in assoluta continuità, lo dico ai colleghi della sinistra radicale, con l'azione del Governo Berlusconi, della politica estera di quel Governo e dei suoi ministri, a partire dall'ultimo ministro degli esteri del Governo Berlusconi, l'onorevole Gianfranco Fini. Una continuità che, invece, è stata negata a singhiozzi dagli esponenti di sinistra, al fine di coprire, con un mantello onnicomprensivo, le differenze sostanziali esistenti all'interno dello schieramento. Ed è veramente patetico il tentativo di accreditare una discontinuità attraverso meccanismi puerili, che mostrano la fragilità profonda della coalizione di sinistra.
Voglio brevemente elencare questi puerili meccanismi, che hanno tentato di argomentare una inesistente discontinuità. Il primo è veramente ridicolo e consiste nell'aver soppresso dal titolo del decreto la parola «militare»; quasi che l'eliminazione di tale termine dal titolo potesse giustificare la pretesa di una parte della coalizione di Governo di una missione che non corre nessun rischio, di una missione che è diversa dalle altre e potesse annullare la definizione ufficiale della NATO e dell'ONU sulla missione ISAF, che è quella di condurre operazioni militari in Afghanistan secondo il mandato ricevuto in cooperazione e coordinazione con le forze di sicurezza afghane e in coordinazione con le forze della coalizione. È davvero puerile questo primo tentativo!
Il secondo meccanismo è ancora più abborracciato e consiste nel tentativo di blandire qualche voto, che altrimenti sarebbe stato in pericolo, inserendo, togliendo, reinserendo e alla fine togliendo e inserendo in un ordine del giorno il punto relativo all'acquisto dell'oppio, quasi che avesse a che fare con il rifinanziamento di una missione! Nel decreto l'avevate messo! Poi l'intervento del relatore ha convinto parte della sua maggioranza a presentare un inutile e pleonastico ordine del giorno. Quasi che fosse compito di questo Parlamento decidere, attraverso questo decreto-legge, dove, come e perché comparare oppio. Ciò cosa c'entra con il rifinanziamento? E poi come dovrebbe avvenire questo acquisto, con i banchettini delle arance e dei limoni che si trovano sulle autostrade? Sarà direttamente il ministro degli esteri o un esponente della sinistra radicale a recarsi in Afghanistan per farsi un giro tra i banchetti dei signori della guerra e dell'oppio per comprare un pacchettino di droga per portarla in Italia, dando in tal modo significato al voto (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia)?
Ancora più ridicolo è il tentativo di dimostrare una discontinuità da parte di chi, dopo aver coperto di insulti - non lo abbiamo dimenticato - colui che il Presidente Ciampi ha ritenuto degno di ricevere la medaglia al valor civile - mi riferisco a Quattrocchi -, prevede oggi uno stanziamento di 3 milioni e mezzo di euro per incaricare i cosiddetti contractor, quelli che voi chiamereste i mercenari - purché siano locali e non europei o italiani! - che, molto probabilmente, di giorno faranno finta di proteggere i civili e di notte saranno con i terroristi ad organizzare il loro sequestro; questo è quello che state facendo (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia)!
Se questa è la discontinuità rispetto alla quale ci volete convincere, riuscirete solo a confermare il nostro convincimento che si tratta di esercitazioni retoriche per mantenere comunque la poltrona calda e il posto assicurato.
Vengo ora all'argomento politico. Noi abbiamo espresso e continueremo ad esprimere solidarietà ai soldati nonché all'ultimo dei sequestrati italiani, Daniele Mastrogiacomo e abbiamo ribadito la nostra posizione di sostegno qualunque siano le iniziative che il Governo intenda assumere.
Nello stesso momento in cui facciamo ciò, e non c'è contraddizione - lo dico ad alcuni colleghi che hanno voluto «menare il can per l'aia» -, parliamo anche dell'aspetto di politica interna che deriva da questa vicenda. L'abbiamo detto molte volte, viene quasi noia a ripeterlo: non può Pag. 30esistere un Governo che non abbia una maggioranza in politica estera! È su questo tema che il Governo Prodi è caduto, che ha dovuto percorrere la strada del Colle ed andare a chiedere al Presidente della Repubblica di rimandarlo alla Camera per vedere se poteva tornare! È su questo tema ed è, quindi, su questo tema che verificheremo la tenuta del Governo, non tanto alla Camera dove, grazie a quella legge da voi tanto vituperata, colleghi della maggioranza, disponete comunque di una maggioranza salda, ma al Senato dove, grazie alla modifiche che voi avete voluto ed approvato, nell'impedire che anche in tale ramo del Parlamento vi fosse un premio di maggioranza distribuito regionalmente, ma assegnato in ambito nazionale - ricordo il dibattito di allora e vi sono i giornali a testimoniarlo - manca una maggioranza certa. È, dunque al Senato che voglio, e vogliamo, capire se l'autosufficienza politica ci sarà, se i 158 voti li raggiungerete (ma sappiamo già che non li potrete raggiungere).
Non è La Russa a sostenere che un Governo che non ha tale maggioranza in politica estera deve riconsiderare la propria esistenza. Leggete il Corriere della Sera di oggi. Ranieri: «Se non ci saranno i 158 sì avremo un problema politico serio». Lo dice il relatore per la III Commissione di questo provvedimento; usa le parole «avremo un problema politico serio», ed è un relatore cui il termine serio si addice e lo ringrazio anche per aver riconosciuto che a Kabul e ad Herat non si va a fare una passeggiata, perché sa che la situazione si sta complicando, sa che gli interventi militari nella missione di pace potranno essere sempre più necessari, sa che vi è addirittura la richiesta di un incremento delle forze, sa che perfino la Spagna ha detto sì, sa che siamo in una condizione in cui dovremo essere forti se vorremo dare sostegno ai nostri soldati, sa che in una situazione siffatta, in assenza di una maggioranza politica, come egli dice, si pone un problema politico serio. Se lo dice il vostro relatore, presidente della Commissione esteri, che dobbiamo dire noi? È troppo se vi chiediamo che, in assenza di quella maggioranza, prendiate atto che il Governo non esiste e torniate a fare l'opposizione, come l'Italia vi chiede (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia - Congratulazioni)?
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Martino. Ne ha facoltà.
ANTONIO MARTINO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, il gruppo di Forza Italia voterà a favore del rifinanziamento delle missioni italiane all'estero. In coerenza con la nostra tradizione, ancora una volta anteporremo l'Italia, la sua credibilità internazionale e la sicurezza dei nostri militari al nostro interesse di parte. Sia ben chiaro, tuttavia, che il nostro voto non intende, in alcun modo, essere approvazione, anche solo indiretta, della politica internazionale di questo Governo. Siamo, infatti, convinti che non vi sia nulla da approvare nella sistematica dilapidazione dell'affidabilità internazionale dell'Italia, perpetrata in pochi mesi da questo Esecutivo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia). È stato sperperato un patrimonio accumulato non solo nei cinque anni del nostro Governo, ma addirittura negli ultimi sessant'anni. In questi sessant'anni, l'Italia ha avuto un gran numero di Governi, succedutisi spesso a ritmo frenetico, ma i pilastri della politica internazionale sono rimasti saldi, rispettati da tutti i Governi. In pochi mesi, quel patrimonio di affidabilità è stato dilapidato. In sessant'anni non era mai accaduto che gli ambasciatori di sei paesi dovessero scrivere una lettera per richiamare il Governo italiano ai suoi obblighi internazionali.
Il ministro degli esteri, che guarda caso brilla per la sua assenza come il responsabile del Ministero della difesa (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale), ha definito irrituale l'iniziativa degli ambasciatori: se c'è qualcosa di irrituale, a me sembra il fatto che questo Governo, come confermato dagli eventi recenti, non ha una politica estera, Pag. 31ne ha almeno due, il che significa che non ne ha nessuna!
Né il nostro voto favorevole al rifinanziamento va interpretato come approvazione della gestione dell'impegno all'estero dei nostri militari: non abbiamo approvato la fuga dall'ONU, la cancellazione della missione in Iraq a carattere propriamente civile, voluta dalle Nazioni Unite e guidata da un funzionario dell'ONU. Nutriamo profonde perplessità sulla missione in Libano, di cui non è ancora chiaro lo scopo, e per la missione in Afghanistan siamo gli unici ad essere entusiasti della geremìade di giaculatorie lepide, volte a placare la sinistra pacifista più bellicosa.
La missione in Afghanistan è di gran lunga la più impegnativa delle nostre missioni militari all'estero. La situazione in quel martoriato paese è molto difficile, ma dovrebbe essere chiaro a tutti che la posta in gioco è altissima: la vittoria dei talebani e dei terroristi di Al Qaeda sarebbe una catastrofe non solo per il popolo afghano o per la sicurezza nel Medio Oriente, sarebbe una catastrofe per l'intera comunità internazionale; e, dato che il pericolo è globale, la risposta deve essere globale. Ogni paese deve contribuire nei limiti delle risorse di cui dispone e della considerazione del proprio ruolo internazionale allo sforzo comune.
La situazione oggi è particolarmente rischiosa, perché i talebani hanno rialzato la testa, hanno conseguito successi nel sud del paese e si apprestano a lanciare la tanto proclamata offensiva di primavera. L'Italia dovrebbe dare il suo contributo a contrastare il tentativo dei talebani e di Al Qaeda di conquistare il potere in Afghanistan. Il caveat che impedisce ai nostri militari italiani di combattere dovrebbe essere rimosso: la posta in gioco è anche la loro sicurezza. Ce lo chiede la NATO, preoccupata dall'esiguità delle forze della coalizione che possono essere impiegate per contrastare l'offensiva di talebani e terroristi. L'Italia dovrebbe dimostrare, con la sua adesione a tale richiesta, la sua fedeltà all'Alleanza, la sua capacità di essere pienamente in grado di affrontarne le responsabilità che ne derivano.
Mi sia permesso di ripetermi. La politica estera e di difesa non sono semplicemente due fra i tanti compiti dello Stato: sono lo Stato, lo Stato come soggetto di relazioni internazionali.
Se questa maggioranza è in grado di dare all'Italia una politica estera e di difesa, ha titolo a governare, ma se non è in grado di farlo, semplicemente quello di Prodi non è un Governo. Se al Senato della Repubblica il rifinanziamento delle missioni all'estero venisse approvato solo grazie ai voti dell'opposizione, sarebbe chiaro a tutti che questa pseudomaggioranza non ha alcun titolo per esprimere il Governo dell'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
Quanto all'idea delle maggioranze variabili, mi limito ad osservare che mai, in nessun paese al mondo, mai si è dato il caso di un Governo che delega la responsabilità della politica estera e di difesa all'opposizione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia). Sarebbe una situazione a dir poco paradossale, qualcuno l'ha definita una barzelletta: avrebbe potuto aggiungere che si tratta di una pessima barzelletta, perché non mi sembra il caso di ridere quando vi è in gioco la credibilità internazionale dell'Italia!
Sono rimasto molto sorpreso di una recente dichiarazione dell'onorevole Fassino, il quale ha osservato che quando negli Stati Uniti è stata approvata una decisione col voto determinante dell'opposizione democratica o quando in Inghilterra i conservatori hanno votato a favore di una decisione del Governo laburista, nessuno ha gridato allo scandalo e si è conseguentemente chiesto perché si dovrebbe gridare allo scandalo in Italia. L'onorevole Fassino ha il dovere di essere informato che gli Stati Uniti sono una Repubblica presidenziale e che in Inghilterra vige il modello di Westminster. Non è comparabile quella situazione con quella italiana: qui è il Parlamento che esprime il Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))!Pag. 32
In conclusione, Presidente, o questa maggioranza è in grado da sola di dare all'Italia una politica internazionale o non ha alcun titolo ad esprimere un Governo e dovrebbe senza ulteriori indugi togliere il disturbo (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale, UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Lega Nord Padania - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Sereni. Ne ha facoltà.
MARINA SERENI. Grazie, signor Presidente.
Signor Presidente del Consiglio, rappresentanti del Governo, colleghi, questa nostra discussione si svolge in un momento di particolare ansia e preoccupazione per la sorte del giornalista Daniele Mastrogiacomo. Ci uniamo ai tanti che, in queste ore, hanno espresso solidarietà ed affetto alla sua famiglia ed al suo giornale. Esprimiamo pieno sostegno e fiducia verso l'azione del Governo, che si sta rivolgendo in ogni direzione utile, al fine di ottenere la liberazione di un giornalista che, come tanti in questi anni, ha scelto di vedere, di cercare di capire, di raccontare luoghi difficili, anche affrontando rischi personali. In questo momento, non servono tante parole, tanto meno strumentalizzazioni odiose: servono misura e rispetto per l'angoscia dei familiari e unità di tutte le forze politiche al fianco del Governo, che sta lavorando per far ritornare quanto prima Daniele Mastrogiacomo ai suoi affetti ed al suo lavoro.
Al provvedimento di proroga e di rifinanziamento delle nostre missioni internazionali all'estero il gruppo dell'Ulivo darà convintamente il proprio voto favorevole. Proprio per cogliere appieno il valore del nostro impegno militare ed umanitario nelle principali aree di crisi, credo sarebbe giusto, anche in questa sede, ricordare le linee principali della nostra politica estera in questi mesi. Non ne ho tuttavia il tempo. Ricordo soltanto che i tre assi principali - rilancio del multilateralismo, nuovo impegno nel processo di costruzione europea, rinnovata iniziativa contro la povertà ed il sottosviluppo nel mondo - costituiscono una cornice importante dentro la quale dobbiamo inquadrare le scelte che oggi stiamo compiendo.
È coerente con questo impianto anche l'innovazione, introdotta nell'attuale decreto-legge, di un'autorizzazione annuale, e non più semestrale, delle missioni, più compatibile con i tempi dell'azione politica e diplomatica dei Governi. Si tratta di una novità che, peraltro, non toglie nulla ai compiti di vigilanza e di controllo del Parlamento, rafforzati, semmai, dall'opportuna deliberazione, nei giorni scorsi, di un monitoraggio sulle missioni internazionali affidato all'indagine conoscitiva delle Commissioni esteri e difesa della Camera.
Nel merito delle missioni internazionali, mi soffermerò esclusivamente sugli ambiti geopolitici principali in cui le nostre Forze armate sono chiamate ad operare. Vorrei ricordare, innanzitutto, i Balcani, dalla Bosnia, al Kosovo, alla Macedonia: una grande area di intervento internazionale dove le Forze armate europee hanno svolto un ruolo decisivo di pacificazione e stabilizzazione, ma dove ora non possono sostituirsi ad un processo politico di riconciliazione, di rimarginazione di antiche ferite, di avvio di un cammino reale di riforme e democrazia verso l'Europa. Si tratta di tenere aperto il dialogo tra le giuste richieste della comunità internazionale - riforma, democrazia, coraggio nell'affrontare le responsabilità dei recenti conflitti - e le difficoltà di società che si sentono assediate dai fantasmi del passato. Proprio per l'importanza del ruolo che gioca il nostro paese anche nel tenere aperta con determinazione la strada dell'integrazione europea per i paesi dei Balcani, dobbiamo avvertire una grande responsabilità all'approssimarsi di scelte decisive che ancora infiammano gli animi in quell'area: la soluzione dello status del Kosovo; la questione bosniaca dopo la sentenza su Srebrenica; il rapporto tra la Serbia e l'Unione europea.
Vorrei, inoltre, brevemente parlare del Libano e della missione UNIFIL - guidata Pag. 33sul campo, oggi, da un italiano - che rappresenta un indubbio e largamente condiviso risultato dell'azione politica e diplomatica del nostro Governo. Aver contribuito a fermare il conflitto tra Hezbollah ed esercito israeliano al confine tra Israele e Libano, aver fatto accettare il dispiegamento di forze internazionali ai confini di Israele ed aver condotto una missione che, fino ad oggi, ha evitato gravi incidenti e possibili violenze mi pare siano risultati (per quanto parziali) che confermano tutto il valore della nostra presenza e la straordinaria capacità dei nostri militari di essere operatori di pace. A Beirut, dopo le manifestazioni, gli incidenti ed una grave crisi politica, domina, in questi giorni, una calma apparente, in attesa che i recenti colloqui con Iran e Siria, condotti dai sauditi, possano produrre qualche effetto.
La presenza internazionale è un indispensabile elemento di stabilizzazione in attesa che il processo politico porti a soluzioni durature ed a una vera pace.
Tra le conseguenze nefaste della guerra in Iraq, oggi possiamo misurare il deterioramento della situazione in Medioriente e le difficoltà ad intravedere serie prospettive di negoziato per un conflitto, quello israeliano-palestinese, che avvelena da troppi decenni la regione. La possibilità di un Governo di unità nazionale tra Al Fatah e Hamas in Palestina ha riaperto un flebile canale di dialogo tra Israele e l'Autorità nazionale palestinese. Ancora troppi, tuttavia, sono gli ostacoli e le resistenze, le violenze ed i rischi di una vera e propria guerra civile nei territori palestinesi ed il ripresentarsi del terrorismo contro i civili in Israele, la povertà nei territori di Gaza e Cisgiordania, la fragilità delle leadership in entrambi i campi richiedono una più forte assunzione di responsabilità da parte della Comunità internazionale, a partire dall'Europa degli Stati Uniti.
La missione internazionale in Libano, vorrei dire all'onorevole Martino, è proprio questo: parte di un impegno più vasto per la pace. Essa serve a costruire le condizioni per il rilancio di un'azione politica e diplomatica per la pace in Medioriente.
Infine, l'Afghanistan: il quadro della situazione è complesso e, per molti aspetti, drammatico. L'intervento contro il regime dei talebani ha prodotto la speranza di alcuni significativi cambiamenti, ma la pace e la stabilità sono ancora lontani. La costruzione è lenta e le condizioni di vita della popolazione civile ancora troppo segnate da violenze e povertà.
Le coltivazioni illegali dell'oppio che investono le vaste regioni e l'azione militare dei talebani sono cresciute. Il Governo Karzai e le nuove istituzioni mostrano senza dubbio grande fragilità. In Afghanistan siamo in un contesto multilaterale e nell'ambito di una missione NATO voluta dalle Nazioni Unite. Il Presidente Karzai, ancora poche settimane fa, ci diceva che siamo insostituibili. Lo dicono quelle donne che, ancora poche settimane fa, ho incontrato e che sono rientrate nei campi profughi del Pakistan. Oggi quelle donne stanno cercando di diventare protagoniste del loro paese. La possibilità di irrobustire le istituzioni democratiche afghane è certamente legata al grado di sicurezza e di controllo del territorio.
Con questo spirito, con lo spirito di un paese che vuole assumersi fino in fondo le responsabilità che ha preso, ma non vuole nascondere i problemi, in questi mesi, abbiamo confermato il ruolo delle specifiche funzioni che, in Afghanistan, sono assegnate alle nostre Forze, non accettando modifiche sostanziali in quantità e qualità della nostra presenza, nell'ambito della missione NATO.
Riteniamo molto importante la volontà che il ministro degli esteri ha annunciato di proporre in sede ONU la realizzazione di una nuova Conferenza di pace, con il coinvolgimento dei paesi della regione, al fine di rideterminare il mandato della missione internazionale e di affinare la strategia complessiva per l'Afghanistan.
Il fatto che il nostro paese sarà relatore in Consiglio di sicurezza sul rinnovo della missione civile e umanitaria a Kabul, l'UNAMA (United Nation Assistance Mission Pag. 34in Afghanistan), ci consegna una responsabilità ed un'opportunità. Infatti, è realistico immaginare che in quel passaggio si possa avere una sollecitazione per un maggiore sforzo economico della comunità internazionale per la ricostruzione e per le popolazioni, per una più marcata attenzione al programma di cooperazione civile e per una più efficace azione di contrasto delle coltivazioni di oppio.
È singolare - e ad un tempo stravagante - che in quest'aula si sia scelta la strada della polemica e dell'ironia a buon mercato su questo punto, quando è aperta nella comunità internazionale una seria riflessione su qual è la strategia di maggiore successo per contrastare e combattere l'oppio illegale. Come Unione, abbiamo presentato un ordine del giorno molto equilibrato che - ne prendiamo atto - è stato accolto con favore dal Governo. Restiamo in Afghanistan, pur non nascondendo la situazione grave, anzi tragica, di una violenza che continua a colpire tante, troppe vittime civili. Restiamo in Afghanistan e proprio perché siamo lì, con il sacrificio ed il lavoro dei nostri soldati e dei nostri cooperanti, sentiamo di avere il diritto e il dovere di denunciare anche gli eccessi che pure ci sono stati e che rischiano di alimentare altro odio e altra violenza.
In Afghanistan rimaniamo, non solo perché lo chiedono gli afgani e la comunità internazionale, ma anche perché soltanto così possiamo pensare di influire sulle scelte che dovranno essere compiute in futuro. Soltanto così potremo dire la nostra e cercare di contribuire ad un diverso equilibrio tra l'azione politica, economica e diplomatica e quella militare, nell'interesse della pace e della sicurezza, secondo il dettato che la Costituzione assegna al nostro paese. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Italia dei Valori, Verdi e La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, la deputata Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Grazie, signor Presidente. Con molto rispetto per il Parlamento, per il Governo e per il mio gruppo, per i motivi che ho già spiegato nell'intervento sul complesso degli emendamenti, annuncio che non parteciperò al voto finale del provvedimento.
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.
(Correzioni di forma - A.C. 2193-A)
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Chiedo di parlare ai sensi dell'articolo 90, comma 1, del regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, ai sensi dell'articolo 90, comma 1, del regolamento, propongo la seguente correzione di forma:
all'articolo 3, comma 18, come modificato a seguito dell'approvazione dell'emendamento 3.150 delle Commissioni, dopo le parole: «le missioni» sono aggiunte le seguenti: «internazionali per la pace». Conseguentemente, al medesimo comma, le parole: «in missioni internazionali per la pace» sono sostituite dalle seguenti: «nelle medesime missioni».
Presidente, colgo anche l'occasione per ringraziare tutti i colleghi delle Commissioni affari esteri e difesa, che hanno partecipato con intensità e passione alla lunga ed importante discussione che si è svolta in Parlamento.
Desidero altresì ringraziare gli uffici, che ci sono stati vicini e solleciti nel corso di questo importante passaggio parlamentare.
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, le correzioni di forma proposte dal relatore si intendono approvate.
(Così rimane stabilito).
(Coordinamento formale - A.C. 2193-A)
PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione finale, chiedo che la Presidenza sia autorizzata al coordinamento formale del testo approvato.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
(Votazione finale ed approvazione - A.C. 2193-A)
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di conversione n. 2193-A, di cui si è testè concluso l'esame
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, recante proroga della partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali (2193-A).
Presenti 546
Votanti 527
Astenuti 19
Maggioranza 264
Hanno votato sì 524
Hanno votato no 3
(La Camera approva - Vedi votazioni - Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Italia dei Valori e La Rosa nel Pugno).
Prendo atto che i deputati Piro, Berruti, Tolotti e Boniver non sono riusciti ad esprimere il proprio voto.
Prendo altresì atto che i deputati Cicchitto, Gardini e Del Bue non sono riusciti a votare e che avrebbero voluto esprimere voto favorevole e che il deputato Fugatti non è riuscito a votare ma si sarebbe astenuto.
Informativa urgente del Governo sulle recenti vicende della gestione commissariale dell'emergenza rifiuti in Campania (ore 12,35).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sulle recenti vicende della gestione commissariale dell'emergenza rifiuti in Campania.
Dopo l'intervento del rappresentante del Governo interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.
(Intervento del sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento le riforme istituzionali, Giampaolo Vittorio D'Andrea.
GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Onorevole Presidente, onorevoli deputati, è stata chiesta al Governo un'informativa sugli ultimi sviluppi dell'emergenza rifiuti in Campania, con specifico riferimento alle questioni affrontate nel corso degli ultimi incontri, svolti...
PRESIDENTE. Colleghi, siete pregati di consentire al sottosegretario e ai colleghi che vogliano partecipare alla discussione di poterlo fare con la dovuta attenzione.
GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Dicevo che con riferimento più diretto alle questioni emerse nel corso degli incontri che si sono svolti presso la Presidenza del Consiglio nelle giornate di lunedì e martedì è stato emesso dalla Presidenza del Pag. 36Consiglio un comunicato ufficiale, al quale evidentemente mi rifaccio per utilizzarlo come base di questa informativa, che mi accingo a svolgere insieme con altri elementi di valutazione che sono stati raccolti presso gli uffici e le strutture più direttamente interessate, a partire naturalmente dal Dipartimento della protezione civile. Questo anche allo scopo di consentire alla Camera un primo bilancio dell'attività posta in essere dal commissario delegato, così come richiesto da un ordine del giorno proposto, in sede di conversione del decreto di nomina del commissario delegato, da parte del relatore, onorevole Margiotta.
PRESIDENTE. Rinnovo la richiesta ai colleghi di fare silenzio e ricordo che vi sono anche altri punti all'ordine del giorno della seduta di questa mattina.
GIAMPAOLO VITTORIO D'ANDREA, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. È noto agli onorevoli deputati che, sulla scia delle decisioni prese dal precedente Governo, questo Governo ha adottato un decreto-legge con il quale, tra l'altro, è stata disposta la nomina del dottor Bertolaso, nella sua qualità di capo del Dipartimento della protezione civile, a commissario delegato, con l'obiettivo di fornire evidentemente la risposta più alta possibile ad una emergenza rifiuti che in Campania si trascinava da oltre 14 anni.
Nel corso dell'esame parlamentare del decreto-legge il testo è stato migliorato ed integrato, soprattutto in direzione di un più organico collegamento tra gli interventi necessari per liberare la strada dai rifiuti accumulati in maniera abnorme e la messa a punto di una strategia di uscita, che potesse consentire entro il termine del 31 dicembre 2007 di avviare il ritorno alla normalità. Sulla base della previsione normativa inizialmente inclusa nel decreto e di quella aggiunta in sede di conversione, il commissario delegato ha profuso efficacemente il suo impegno, supportato dalla sua collaudata esperienza nel trattamento di emergenze, conseguendo primi risultati significativi importanti, per i quali il Governo esprime un particolare apprezzamento al dottor Bertolaso riconoscendo il valore della sua azione.
È notorio che il commissario ha dovuto preliminarmente affrontare alcuni elementi di particolare gravità che si sono rivelati di ostacolo alla sua stessa azione, così come a quella dei commissari che lo avevano preceduto. I più importanti di quegli elementi sono i seguenti: la carenza di discariche; un progressivo peggioramento delle condizioni degli impianti di combustibile derivato dai rifiuti; l'assenza di termovalorizzatori attivi; un'insufficiente gestione della raccolta differenziata.
Per dare agli onorevoli deputati delle cifre di riferimento desidero ricordare che, secondo la ricognizione effettuata, le quantità di materiali accumulati presso i sette impianti ex CDR risultano pari a 300 mila tonnellate. A tale quantitativo deve essere sommata la quota di rifiuti presenti presso i siti di stoccaggio provvisori attivati dai comuni e dalla struttura commissariale per circa 250 mila tonnellate, a cui vanno aggiunte altre 150 mila tonnellate ancora giacenti per strada.
Risulta praticamente necessario smaltire definitivamente e con la massima urgenza 700 mila tonnellate di rifiuti che - naturalmente - sono in tendenziale aumento. Questa carenza di discariche si affianca - come già detto - alle difficoltà della raccolta differenziata.
In Campania la raccolta differenziata non riesce a decollare per molteplici motivi, sui quali per ragioni di tempo non posso analiticamente soffermarmi. Basti pensare al fatto che nella provincia di Napoli la raccolta differenziata nel 2005 tocca solo il 7,7 per cento, sugli oltre 1,6 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti dagli oltre tre milioni di abitanti, mentre è a livelli più alti in altre province; il dato migliore, del 19,6 per cento, proviene dalla provincia di Salerno.
Dei 551 comuni campani, circa 90, tutti di piccola dimensione, hanno raggiunto nel 2005 una percentuale compresa tra il 35 e il 70 per cento, mentre altri 147 hanno Pag. 37appena superato il 20 per cento. I restanti comuni non presentano cifre ragguardevoli di raccolta differenziata.
Questi elementi hanno indotto il commissario delegato, recentissimamente, il 9 febbraio del 2007, a proporre l'adozione di un'ordinanza con cui si è affermato l'obbligo dei comuni di avvalersi in via esclusiva dei consorzi di bacino allo scopo di mettere ordine almeno dal punto di vista dell'organizzazione del servizio, quindi della possibilità di effettuazione dello stesso. Tuttavia, questa ordinanza ha dovuto fare i conti anche con le difficoltà notevoli che si sono registrate nella gestione dei consorzi, tanto da dover procedere al commissariamento di taluni di essi: Caserta3, Caserta4, Napoli3, Napoli4, Napoli5, Benevento3 e Salerno3.
Evidentemente è stato contemporaneamente necessario intensificare l'azione per quel che riguarda gli impianti di recupero e di riciclo. Bisogna considerare che il fabbisogno regionale impiantistico, secondo l'ultima stesura del piano regionale per lo smaltimento dei rifiuti, dovrebbe essere di 410 mila tonnellate annue, considerate miste (comprensive cioè sia della frazione organica, sia dei cosiddetti rifiuti verdi). Oggi, invece, risultano avviati tre impianti di compostaggio per 36 mila tonnellate, cioè meno del 10 per cento del fabbisogno stimato.
Sono cifre particolarmente significative, che hanno indotto il commissario a svolgere la sua azione lungo due strategie parallele, che si sono affiancate: una di immediata rimozione di rifiuti giacenti sulle strade, anche per ripristinare le condizioni di igiene e di sicurezza per la vita dei cittadini (questa soluzione si è potuta realizzare, da un lato, grazie alla identificazione di un'area di stoccaggio provvisoria dei rifiuti e, dall'altro, attraverso il trasporto fuori regione di una quantità di rifiuti pari a 98 mila tonnellate, che sono stati variamente distribuiti in altre regioni); una seconda di messa in opera di interventi a lungo e medio termine destinati alla progressiva riconduzione della gestione dei rifiuti nell'ambito del regime ordinario, attraverso la metodologia della identificazione e dell'allestimento di una discarica per provincia, secondo l'idea della provincializzazione dello smaltimento dei rifiuti, che è stata ribadita come indirizzo anche da parte della Commissione speciale d'inchiesta sul ciclo dello smaltimento dei rifiuti, recentemente in visita nella regione Campania.
L'analisi territoriale che ha portato alla identificazione dei siti atti a raccogliere tali rifiuti ha condotto all'identificazione di 665 aree idonee, per ciascuna delle quali è stato compiuto un ulteriore approfondimento. Ci si è soffermati, in particolare, sulla necessità di individuare quali siti possano essere effettivamente in grado di ospitare i rifiuti in questione nel lungo periodo.
Comunque, in presenza di una forte criticità gestionale, connessa soprattutto alla presenza negli impianti di selezione di rifiuti non smaltiti, di alcuni elementi di distanza tra la normativa prevista e la organizzazione degli stessi, si è evidenziata la necessità di operare ulteriori interventi.
A questo proposito è indispensabile, date le dimensioni del fenomeno, puntare sulla realizzazione di termovalorizzatori alimentati dal CDR. A tal riguardo è stata prevista per il 31 ottobre l'entrata in attività del termovalorizzatore di Acerra, mentre un secondo termovalorizzatore, situato nel comune di Santa Maria la Fossa, potrà essere realizzato non appena si saranno risolte le questioni di carattere ambientale ad esso connesse (presumibilmente, entro il prossimo inizio di aprile).
Al 31 dicembre 2006 era comunque necessario smaltire definitivamente più di 4 milioni di tonnellate dagli impianti ex CDR. Tali materiali, oggi stoccati nei comuni di Villa Literno e Giugliano (quindi, sempre in Campania), devono urgentemente trovare una destinazione successiva.
Il commissario ha concentrato nel frattempo la sua attenzione sulla individuazione di una discarica, da allestire in tempi molto rapidi, per far fronte ai circa 2 milioni tonnellate di rifiuti. Era stata prospettata una soluzione che prevedeva l'apertura di un sito a Serre. Come è noto, sulla scelta di Serre in località Valle della Pag. 38Masseria (ricordo che si tratta di un comune situato nella provincia di Salerno) sono sorte non solo polemiche, ma anche dubbi e perplessità, che, indipendentemente dalla idoneità geologica del sito - che è stata accertata ed è ormai fuori discussione - nascono dalla vicinanza ad un'area protetta.
A maggiore tutela dell'ambiente si è comunque pensato di predisporre un progetto per il ripristino morfologico dello stesso sito. Nel corso degli incontri svolti lunedì e martedì in sede di Presidenza del Consiglio si è tuttavia successivamente convenuto che, anziché adoperare l'area di Serre per riversarvi tutti i 2 milioni di tonnellate di rifiuti in questione, la si utilizzerà solo in maniera parziale (vale a dire, destinandovi solo 700 mila tonnellate), ricorrendo invece ad altri siti, contemporaneamente o progressivamente messi a disposizione, per far fronte alle esigenze complessive.
Dai commenti divulgati attraverso la stampa ho visto che questa soluzione - avanzata nel confronto che si è svolto a Palazzo Chigi tra il Presidente del Consiglio dei ministri, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il commissario Bertolaso ed altri responsabili istituzionali interessati - ha incontrato un consenso abbastanza ampio, che ritengo essere pari all'allarme che si era determinato dal diffondersi di notizie relative alla ipotesi di interruzione, da parte dello stesso dottor Bertolaso, del suo mandato di commissario delegato all'emergenza rifiuti.
Riteniamo che aver individuato questa soluzione abbastanza equilibrata, che determinerà il conferimento di 700 tonnellate di rifiuti al massimo nella discarica di Serre e l'utilizzazione allo stesso fine di altre discariche territoriali, quali quella di Dugenta in provincia di Benevento, di Eboli in provincia di Salerno, di Lo Uttaro in provincia di Caserta e di Savignano Irpino in provincia di Avellino (ciò anche come anticipazione della strategia di provincializzazione) potrebbe consentire di raggiungere nei prossimi mesi quell'autosufficienza, che il commissario ha indicato come obiettivo dell'azione di fuoriuscita dalla strategia di emergenza.
Nei recenti incontri è stato peraltro anche stabilito che il Ministero dell'ambiente sovrintenderà ad un'azione tesa ad assicurare la completa bonifica di tutte le discariche. Si è anche deciso, al fine di accelerare la messa in opera della strategia della raccolta differenziata dei rifiuti (cosa di particolare rilievo), di nominare subcommissario per la raccolta differenziata un esperto di questa materia, il dottor Alberto Pierobon, che proviene dalla provincia di Treviso, dove si è raggiunto il massimo livello di raccolta differenziata pari al 68 per cento.
Si è stabilito, inoltre, che presso l'unità speciale del territorio che si è insediata alla prefettura di Napoli si svolgerà un'azione coordinata dal prefetto di Napoli per individuare altri siti idonei, entro 30 giorni, attraverso i rapporti con gli enti locali. Fin qui, signor Presidente, signori deputati, la mia informativa.
Desidero solo aggiungere che il Presidente della Repubblica, commentando il dibattito che si è svolto in questi giorni sulla stampa, nel ricordarci che l'emergenza rifiuti è diventata un gravissimo ostacolo alla valorizzazione e allo sviluppo dell'immagine di Napoli e della Campania, ha affermato che questa emergenza può essere superata solo se da parte di tutte le istituzioni si contribuisce alla ricerca delle soluzioni necessarie, facendo ognuno la sua parte, senza chiusure localistiche, senza paralizzanti pregiudiziali e rigidità.
Questo del Capo dello Stato è un invito, che il Governo fa proprio e che si è sforzato di onorare anche in questi mesi attraverso la profusione di ogni impegno in tale direzione.
Al riguardo desideriamo assicurare oggi la Camera, la Regione, le province, i comuni interessati e i cittadini della Campania che il Governo farà tutto il possibile, con il massimo livello di impegno, per assicurare il conseguimento dell'obiettivo della fine dell'emergenza.
Non a caso il Presidente del Consiglio dei ministri ha conservato per sé le attribuzioni Pag. 39relative alla protezione civile e non a caso è stato scelto come commissario delegato il capo del dipartimento della protezione civile.
Siamo convinti che, con il sostegno necessario alla sua azione e con l'auspicabile concorso di tutti, evitando di cedere alla tentazione di polemiche pregiudiziali e di posizioni strumentali, si possa operare costruttivamente per il raggiungimento dell'obiettivo di far uscire al più presto la Campania dalla perdurante emergenza nel settore dei rifiuti.
PRESIDENTE. La ringrazio.
È stato rivolto alla Presidenza un quesito circa il proseguimento dei nostri lavori. La Presidenza informa che, a seguito delle intese intercorse tra i gruppi, al termine dello svolgimento dell'informativa urgente si passerà, alla ripresa pomeridiana della seduta, allo svolgimento delle interpellanze urgenti.
(Interventi)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gentili. Ne ha facoltà.
SERGIO GENTILI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei intanto ringraziare il sottosegretario D'Andrea che, a nome del Governo, ha svolto l'informativa urgente. Vorrei ringraziarlo per la sua sensibilità e per il tempismo con cui questa informativa si è svolta. In effetti, le dimissioni del commissario straordinario Bertolaso avevano creato effettivamente una situazione di forte preoccupazione. Infatti, ci stiamo occupando di un problema molto serio, che implica non solamente questioni di natura ambientale ma - come ha sottolineato la nota del Governo - anche questioni di ordine pubblico, di lotta all'ecomafia e sanitarie.
Salutiamo positivamente il fatto che è stato compiuto un passo in avanti, in particolare su tre punti. In primo luogo, mi riferisco al sistema delle discariche e all'alleggerimento tramite l'ipotesi della discarica di Serre. Mi sembra una prospettiva molto positiva che va incontro alle preoccupazioni dei cittadini.
Un altro punto importante è rappresentato dal fatto che finalmente si cominciano a trovare e a vedere alcune novità. Infatti, le province cominciano ad affermarsi in modo autorevole in termini di responsabilità: tanto per quelle di Avellino, Salerno, Benevento e Caserta sono a disposizione altre discariche.
Il terzo punto positivo è che si intravede una svolta in merito all'impegno nella raccolta differenziata.
Vorrei sottolineare come sia necessario, ai fini del superamento dell'emergenza e dell'istituto commissariale, un impegno ed un raccordo unitario tra il Governo, gli enti locali, la regione e lo stesso Parlamento, oltre ovviamente al commissario Bertolaso. Solo tale unità di intenti può portare nel giro di dieci mesi alla normalità in Campania. Da questo punto di vista, come dicevo prima, vi sono novità. Molte province hanno predisposto o stanno predisponendo propri piani di competenza. La regione proprio in questi giorni sta per approvare la legge regionale e quindi il piano regionale. In proposito auspichiamo che i piani delle province possano essere parti fondanti e costitutive dello stesso piano regionale.
Ovviamente, spero che l'insieme delle forze politiche campane trovino unità intorno a questa proposta di legge, perché di questo ha bisogno la Campania ed il nostro Paese. Soprattutto, ben vengano le proposte e l'approvazione della legge, perché di questo abbiamo bisogno. Chiedo al Governo che accompagni con le dovute forme di rispetto istituzionale un atto così importante come l'approvazione della legge regionale.
Inoltre, vorrei sottolineare un'altra questione e chiedere al Governo di introdurre elementi di novità politica. Il sottosegretario D'Andrea ha detto una cosa molto seria, che purtroppo corrisponde alla realtà. Vi sono oltre 3 milioni di «ecoballe» e 5 milioni di tonnellate...
PRESIDENTE. Deputato Gentili, la prego di concludere.
SERGIO GENTILI. Non credo che sia possibile far rientrare tale situazione nel piano ordinario della regione Campania. Pertanto, vi è bisogno di un atto di solidarietà nazionale e che il Governo intervenga, guidando verso la soluzione di questo problema, così diverso dalla normale produzione dei rifiuti in Campania. A questo proposito, occorre fare un passo in avanti ed introdurre novità, anche perché si tratta di una delle condizioni strategiche per poter dire tra dieci mesi di essere riusciti ad uscire dall'emergenza dal commissariamento (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Paolo Russo. Ne ha facoltà.
Scusate colleghi. So che le colleghe del gruppo dell'Ulivo stanno svolgendo un lavoro importante. Tuttavia, non sarebbe possibile tenere la riunione in questa sede... Prego, onorevole Paolo Russo.
PAOLO RUSSO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo assistito in queste ore ad una delle più buie pagine della storia repubblicana. Tra le città della Campania invase da montagne di rifiuti, i ministri hanno litigato, lanciato ultimatum, espresso diktat, lasciando esterrefatti operatori e cittadini, costretti ad assistere increduli ad una simile pietosa scena. Prima d'ora non era mai accaduto che il commissario per l'emergenza rifiuti fosse messo alla corde, rispetto al suo disegno per uscire dall'emergenza, dallo stesso Governo che pochi mesi prima lo aveva nominato. Eppure, noi vi avevamo avvisati. Vi avevamo detto che, se l'obiettivo del Governo era quello di affrontare una straordinaria emergenza, prima sanitaria, e poi ambientale, occorreva che fosse uno, uno solo, soltanto uno, il conduttore di questa difficile battaglia!
Vi avevamo suggerito di evitare complicazioni derivanti da improbabili concerti, che sarebbero divenuti, come poi puntualmente è accaduto, luoghi di trattative, di mediazioni, di gestioni che nulla hanno a che vedere con la tutela della salute umana e dell'ambiente. L'obbligo del concerto con la regione e con il Ministero dell'ambiente ha mostrato i lati deboli prima del previsto, con un imbarazzante braccio di ferro giocato solo ufficialmente sul tavolo delle ideologie, ma di fatto ingaggiato per avviare trattative, per strappare promesse. Forse anche per lo stesso Bertolaso sarebbe stato utile accettare questa missione impossibile, senza le mani legate dai «santoni» della politica regionale, peraltro responsabili di questo disastro emergenziale. Suggerimmo di affidargli pieni poteri e risorse adeguate, ma la vostra maggioranza impose che ad affrontare l'emergenza vi fosse una nuova entità, trina ed incompatibile, a prevalenza campana e perennemente interdittoria.
Apprendiamo che, dopo una lunga e tormentata trattativa notturna - immagino lo scenario cupo del consueto copione del do ut des, inscenato in quelle frenetiche ore nel palazzo che dovrebbe essere il più nobile delle istituzioni politiche nazionali -, cui ha partecipato persino il Presidente del Consiglio, si sarebbe stabilito che la discarica di Serre sarebbe stata ridimensionata nelle capacità di contenimento. Ovviamente, tutto questo contrasta con il piano di superamento dell'emergenza, che appena poche ore fa ci era stato rappresentato in Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti dal bravo direttore Bertolaso. Per giunta, ci dite che si moltiplicano le discariche in ogni provincia, anche se vi tenete ben muti dal riferire cosa giungerà in quelle discariche provinciali! In Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, il capo del dipartimento della Protezione civile ha riferito l'altro giorno che le discariche provinciali servono, ma che servono però a regime per FOS e sovvalli da CDR, quando questo avrà una dignitosa qualità, cioè dopo l'adeguamento e la manutenzione degli stessi impianti.
Intanto, senza finzione e senza prendere in giro la gente, serve una discarica per il rifiuto «tal quale», e sostanzialmente serve per l'intera regione. È questa Pag. 41purtroppo la verità, con la quale responsabilmente avreste dovuto confrontarvi. Tuttavia, vi è un altro elemento, che rende la vicenda ancora più inquietante. Il commissario Bertolaso si è giustamente vantato con la Commissione d'inchiesta sui rifiuti di aver dato una stretta alle spese, persino rispetto al parsimonioso Catenacci. Una delle fonti di risparmio era rappresentata dall'assenza di subcommissari, che come sapete hanno nel passato incassato centinaia e centinaia di migliaia di euro! Ebbene, miracolosamente e con una coincidenza temporale sospetta, il ministro Pecoraro Scanio ha fatto marcia indietro sul niet alla discarica di Serre ed è comparso il supertecnico Pierobon, anch'egli settentrionale come altri subcommissari. Anche egli diventa quindi subcommissario.
Insomma, siamo alle solite manfrine di una sinistra pasticciona ed ideologica. Ma quando è pasticciona ed ideologica è sempre incline alla più bieca occupazione di posti di Governo e di sottogoverno!
Le singolarità sono molteplici. Bassolino ci deve spiegare perché, di fronte ad una richiesta e alla disponibilità offerta da Salerno per un impianto di trattamento finale dei rifiuti, si ostina a subordinare quella soluzione a valle della costruzione del secondo impianto di Santa Maria La Fossa. Ripicche? Ideologismi? Interessi gestionali e camorra stanno piegando la Campania, rendendola una discarica a cielo aperto.
PRESIDENTE. Onorevole Paolo Russo...
PAOLO RUSSO. Solo l'alto richiamo del Presidente della Repubblica, Napolitano, ha impedito che questa telenovela di veti incrociati divenisse tragedia sanitaria.
PRESIDENTE. Onorevole Paolo Russo, deve concludere.
PAOLO RUSSO. Concludo, signor Presidente.
A quello dei «Dico» o, meglio, degli «avrei detto», a quello dell'Afghanistan e a quello delle pensioni si aggiunge un altro tema sul quale siete in totale e rovinoso disaccordo. Questa è la manifesta attenzione di questo Governo nei confronti del Sud (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Nespoli. Ne ha facoltà.
VINCENZO NESPOLI. Signor Presidente, dobbiamo prendere atto della circostanza che l'informativa del sottosegretario D'Andrea conferma, a distanza di qualche mese, tutte le nostre motivazioni contrarie rispetto a quel decreto-legge che ha istituito, nella forma attuale, la gestione del Commissariato dei rifiuti in Campania.
Le affermazioni del sottosegretario D'Andrea risultano come un atto di accusa gravissimo nei confronti della regione Campania e del presidente Bassolino. Tutto ciò che è stato detto, questa mattina, dal sottosegretario D'Andrea è il risultato di dieci anni di gestione commissariale e del modo in cui la regione Campania ha affrontato questa emergenza. Quando abbiamo espresso la nostra posizione sul decreto-legge che ampliava i poteri del commissario straordinario, abbiamo sottolineato come continuasse ad esserci una ingerenza da parte del presidente della Regione, il quale si trova in aperto conflitto di interesse anche per via dei suoi guai giudiziari, che attengono al modo in cui, in passato, ha svolto, in prima persona, anche il ruolo di commissario ai rifiuti. Questo conflitto di interesse permane, nonostante le buone intenzioni.
Il consiglio regionale della Campania, anche questa mattina, non ha proseguito i lavori sul preannunciato disegno di legge in materia di rifiuti per mancanza di numero legale e per le contraddizioni evidenti in quella maggioranza. Anche a questo riguardo, infatti, stanno compiendo una scelta ideologica, volendo approvare una legge che quasi dovrebbe sottolineare un dato, cioè che in Campania non si deve produrre immondizia, si deve per forza raggiungere una altissima percentuale di raccolta differenziata e dovrebbe scomparire - non si sa in che modo - la Pag. 42montagna di immondizie che il centrosinistra ha riversato su quel territorio bellissimo, durante questi anni di incuria e di malgoverno.
La vera questione è che il commissario, per essere tale, ha bisogno di poteri reali e non deve essere costretto a mercificare tutti i giorni con chi ritiene di rappresentare, meglio di lui, la Campania su questo versante. Mi riferisco al ministro Pecoraro Scanio, che sfugge alle proprie responsabilità dopo avere impedito, in questi anni, con atteggiamenti ideologici, che certi impianti andassero a regime, dopo avere sollecitato e istigato la piazza contro la filiera che si sarebbe dovuta realizzare, in Campania, per la gestione dei rifiuti. Oggi, egli funge da mediatore.
Sottolineo un primo e importante dato: la visione dogmatica secondo la quale in Campania non avrebbero dovuto esserci più discariche è superata, perché si aprono le discariche - giustamente lo ha affermato il collega Paolo Russo - per il tal quale, per l'immondizia e non per il FOS e per il sovvallo. Si riaprono le discariche perché è questo l'unico modo per togliere l'immondizia delle strade! Fatto questo, conclamata la vostra impotenza ad affrontare il problema e verificato che sono stati vanificati tutti gli impegni assunti in passato, che hanno comportato spese per migliaia di miliardi di lire, per evitare di tenere in funzione le discariche, qualcuno ci deve dare una spiegazione.
Il 30 ottobre aprirà la discarica di Acerra, ma non si sa quando aprirà quella di Santa Maria La Fossa perché siamo ancora alla fase della valutazione di impatto ambientale. Abbiamo ancora la necessità di investire su quell'impianto: facciamolo, una volte per tutte!
Ma sappiamo tutti quanti che, se i due impianti fossero disponibili domani mattina, l'ordinario non sarebbe assicurato.
Allora, caro sottosegretario D'Andrea, caro Governo, c'è un problema di fondo: come li eliminiamo i 5, 6, 7, 8 o forse i 10 milioni di tonnellate di immondizia e di ecoballe, disseminati nelle tante discariche abusive o nei siti controllati nella regione Campania, che in questi anni sono stati accumulati per non essere inviati in altre regioni, in Germania o in altri luoghi? Vogliamo affrontare questo problema oppure vogliamo aspettare il consiglio regionale della Campania che, nella sua impotenza, invece di porsi questo problema con una legge che intensifichi la presenza rispetto a questa necessità, rimanda il problema ad un dato ideologico e non lo affronta? Il dato di partenza della Campania sono i 10 milioni di tonnellate di rifiuti accumulati in questi anni e che debbono essere smaltiti.
PRESIDENTE. La prego...
VINCENZO NESPOLI. Attendiamo - non abbiamo avuto neanche oggi una risposta da parte del Governo - che quanto prima tutti quanti insieme affrontiamo questa necessità (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Iacomino. Ne ha facoltà.
SALVATORE IACOMINO. Signor Presidente, le annunciate dimissioni da commissario di Governo per l'emergenza rifiuti in Campania del dottor Bertolaso, cui era stata affidata l'esecuzione del relativo decreto-legge convertito dal Parlamento, dimostrano quanto sia complessa e seriamente preoccupante la vicenda dei rifiuti nella regione Campania, che ancora oggi si trova in una condizione di grave emergenza.
Assistiamo ancora oggi, in quella regione, alla presenza di tonnellate di rifiuti per le strade, con il rischio concreto di una emergenza sanitaria che tanto fa ricordare gli anni del colera.
Gli errori e le responsabilità in questi tredici anni di commissariamento sono stati già sviscerati e discussi in quest'aula a dicembre, nella fase di conversione in legge del provvedimento d'urgenza, e non sto qui a ripercorrerli.
Il commissario di Governo, all'atto dell'insediamento, annunciò, come riportato Pag. 43da varie agenzie di stampa, la soluzione in dieci giorni dell'emergenza rifiuti. Il percorso della delocalizzazione e del trasporto dei rifiuti in altre regioni si è rivelato inefficace ed insufficiente quale soluzione all'emergenza, anzi, ha determinato un aggravamento della situazione anche dal punto di vista dell'ordine pubblico, in quanto sta mettendo a dura prova la tolleranza di quelle comunità che, oramai da oltre otto mesi, subiscono la mortificazione dell'inefficienza del governo di una regione che, da tredici anni, non fa che perseguire un piano sui rifiuti rivelatosi fallimentare, sia dal punto di vista strategico e dello sperpero delle risorse, sia perché non ha saputo introdurre strumenti ed elementi capaci di arginare gli illeciti legati ai poteri criminali.
Bisogna prendere atto, però, che il dottor Bertolaso ha saputo immediatamente tornare sui suoi passi, iniziando un percorso serio di condivisione con le popolazioni locali (visto che poi le scelte riguardano innanzitutto loro) e con tutti gli organi istituzionali preposti alla soluzione dell'emergenza rifiuti. Si tratta di un lavoro apprezzabile, che viene riconosciuto da tutti, sia sul piano tecnico-scientifico, sia sul piano dell'indirizzo politico, che si scontra, purtroppo, con la concezione dello smaltimento dei rifiuti nel «giardino accanto».
Alla regionalizzazione si è sostituita concretamente la provincializzazione delle discariche, in attesa di un nuovo piano rifiuti che chiuda il ciclo. È un percorso che fa giustizia di quei territori, come quelli della provincia di Napoli e, in parte, di Caserta, che in questi anni sono stati avvelenati e distrutti.
Serre, l'area individuata in provincia di Salerno per la fase emergenziale, contigua ad un'oasi naturale del WWF, nonostante sia quella che meglio si adatti quale discarica per le sue caratteristiche tecniche e per la struttura argillosa del sottosuolo, non può essere il luogo esclusivo di conferimento dei rifiuti di tutta la regione Campania.
Dare vita, secondo l'impostazione del dottor Bertolaso, immediatamente all'individuazione di altre aree nelle cinque province, per il conferimento dei rifiuti nella fase di emergenza, è la risposta più coerente, equilibrata e condivisa per uscire dall'emergenza.
È in questo quadro che può essere avviato un vero e nuovo piano del ciclo dei rifiuti che abbia come presupposto la raccolta differenziata, che rappresenta la modalità vera con cui avviare il programma dello stesso ciclo dei rifiuti.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Mazzoni. Ne ha facoltà.
ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, per una questione di rispetto istituzionale, ringrazio il Governo, e per esso il sottosegretario, che rispondendo ad una sollecitazione che veniva da più parti nel Parlamento ci ha voluto documentare in aula in relazione agli ultimi fatti che hanno visto protagonista la gestione commissariale dell'emergenza rifiuti in Campania. Devo però sottolineare che abbiamo ascoltato la relazione in maniera un po' confusa perché, Presidente - questa è una piccola nota che rivolgo a lei -, la confusione presente in aula nel momento in cui parlava il sottosegretario non ha consentito di ascoltare in maniera precisa tutto quello che il Governo voleva comunicare alla Camera e, tra l'altro, non ha certo fatto onore e dato lustro a questa Assemblea.
A parte questa parentesi, l'intervento del sottosegretario ha ricostruito in maniera abbastanza corretta i fatti dall'inizio di questa ennesima gestione commissariale ad oggi, una sintesi puntuale delle vicende che hanno poi portato ad una proroga ulteriore dei poteri commissariali in capo al responsabile del dipartimento della protezione civile, il dottor Guido Bertolaso, con i carichi di rifiuti da smaltire, con i carichi di inefficienza da coprire, con i carichi di disattenzione politica da dover giustificare. Il fatto sul quale noi abbiamo chiesto chiarimenti era ben preciso e specifico. Bertolaso si dimette dopo meno di un anno dal suo insediamento e, quindi, dall'avvio della sua attività commissariale, Pag. 44dopo aver in più occasioni minacciato le dimissioni, cioè dopo essere arrivato anche in precedenza sul punto di produrre materialmente le dimissioni: questa volta l'ha fatto concretamente.
Questo che cosa significa? Al di là dell'iter abbastanza concitato, che ha impegnato una sera e una notte del Governo, la comunicazione improvvisa delle dimissioni del dottor Bertolaso solleva una pioggia di dichiarazioni contrastanti da parte delle diverse forze politiche che rappresentano l'Esecutivo (da una parte solidarietà e, dall'altra, accuse forti nei confronti dello stesso dottor Bertolaso); inizia una concitata trattativa con il commissario, interviene ancora una volta, come in tante altre questioni, il Presidente Napolitano e ci risvegliamo nelle ore tarde del mattino con la notizia del recupero della situazione. La mediazione è stata fatta, c'è una riduzione del quantitativo di rifiuti che si immagina di trasferire nell'ipotizzata discarica di Serre e, quindi, tutto ricomincia: ma non può ricominciare così!
Sussiste un problema politico gravissimo che si manifesta quotidianamente. Noi cittadini della Campania viviamo da troppo tempo una situazione di emergenza che non so se questo Governo conosca realmente. Mi domando se questo Governo abbia la consapevolezza, a partire dal ministro dell'ambiente, della reale dimensione della questione da affrontare nella regione Campania. La questione non riguarda solo le tonnellate di rifiuti che si accumulano in siti impropri e sulle strade, ma anche la criminalità, la sicurezza e la salute del cittadino, l'inefficienza amministrativa, alla quale fa da cornice - e, quindi, da elemento collante - l'inefficienza politica della maggioranza di centrosinistra.
Il collega Iacomino ha giustamente lamentato oltre dieci anni di incapacità, di mancanza amministrativa da parte di un Governo regionale, che è rappresentato dallo stesso centrosinistra che oggi governa il nostro paese.
Allora - chiedo alla Presidenza ancora un minuto -, questa vicenda, rispetto anche alle proteste giunte dalle province coinvolte...
PRESIDENTE. Sarò tollerante, ma un minuto in più non glielo posso concedere.
ERMINIA MAZZONI. Allora, la risposta non c'è, le province non sono state coinvolte, la concertazione non c'è stata, Bertolaso si è assunto con il piano una responsabilità che la politica non si è assunta; pertanto oggi ci troviamo di fronte alla necessità di denunciare l'incapacità politica di chi governa la regione Campania e di chi governa le province della regione Campania. Dunque, i cittadini dovranno vivere la loro emergenza per un periodo ancora lungo (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Dussin. Ne ha facoltà.
GUIDO DUSSIN. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario D'Andrea per le informazioni che ci ha fornito.
Dopo quanto accaduto in Consiglio dei ministri, vale a dire il contrasto tra il commissario e il Governo, dall'informativa in oggetto si evince che esistono 665 siti disponibili individuati per realizzare le discariche. Non capiamo come mai si crei un problema così grande a fronte di una discarica che non viene soppressa, ma soltanto ridotta; infatti, da 2 milioni di metri cubi ne vengono sottratti 1 milione 300 mila.
Si tratta di una mediazione di basso livello più che di un'opportunità per preservare il territorio, creando una soluzione necessaria all'intera regione Campania per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti in questa particolare fase.
Le discariche, in questo momento, servono proprio per superare le emergenze. Ciò lo sa bene chi ha già affrontato questi argomenti, come la regione Veneto. Oggi, facciamo gli auguri al nuovo subcommissario Alberto Pierobon.Pag. 45
La raccolta differenziata non viene incentivata, mentre dovrebbe alimentare la grande discarica della regione Campania. Le percentuali di raccolta differenziata evidenziano che, in quella regione, non vi è stato neanche l'inizio di tale procedura, se non in una o due province. L'impianto di Acerra verrà completato, ma occorre in ogni caso un piano regionale, che tuttavia il consiglio regionale non riesce ad elaborare, a dimostrazione dell'incapacità politica della regione Campania in campo ambientale. Inoltre, in occasione di un precedente provvedimento, avevamo sottolineato l'importanza degli ambiti.
Lo scontro tra il Governo e il commissario non ha fatto altro che evidenziare l'esistenza di problemi che avevamo già sottolineato e, adesso, ci teniamo a ricordare il monito del Capo dello Stato, che condividiamo. Lo condividiamo, perché pensiamo che di fronte a questi problemi la politica dovrebbe essere ben più responsabile e, soprattutto, far sì che tutte le popolazioni si responsabilizzino per la risoluzione dei propri problemi. Tali problemi non possono essere risolti da altri, da un subcommissario, da un tecnico che viene da fuori (lo si dice, magari, anche con una certa forma di gelosia). Tuttavia, se tale tecnico è capace di svolgere un'azione feconda, che ha già prodotto risultati positivi in altre realtà e potrebbe produrli anche in quella campana, ben venga la sua nomina, ma è certo che la stessa regione Campania deve trovare le soluzioni adatte ai propri problemi. È quindi dalla stessa Campania che deve partire l'azione governativa ed amministrativa tendente a risolvere i problemi di quel territorio. I rifiuti campani devono essere smaltiti - e desidero puntualizzarlo proprio nel concludere il mio intervento - in Campania e non possono essere trasferiti al nord.
Rinnoviamo pertanto i nostri auspici di buon lavoro al commissario e, in particolar modo, al neo-nominato subcommissario per la raccolta differenziata. Crediamo che la più grande discarica che si possa realizzare in Campania sia proprio quella dedicata alla raccolta differenziata. Quindi, l'augurio che rivolgiamo a tutti i cittadini è di poter usufruire di una grande discarica dedicata alla raccolta differenziata.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, voglio aggiungere i miei personali ringraziamenti a quelli rivolti dagli altri colleghi all'indirizzo del sottosegretario D'Andrea, che è intervenuto tempestivamente, accogliendo le richieste provenienti da quest'Assemblea.
Sono rimasto colpito dal fatto che, a fronte di un problema così complesso, annoso - annoso è un'espressione che usiamo molto, ma la voglio coniugare meglio, diciamo che dura da molti anni, da molti decenni - da alcune «parolone» utilizzate, ad esempio, nell'intervento dell'onorevole Paolo Russo, che addirittura ha parlato di un «panorama cupo», di «notti di tregenda» che si sarebbero consumate intorno ad una vicenda che certamente presenta anche alcuni aspetti non del tutto chiariti dalla relazione che ci è stata esposta. Stiamo, comunque, parlando di un caso che chi ha responsabilità politiche e amministrative molto spesso si trova ad affrontare. Mi riferisco alle dimissioni, poi ritirate, del dottor Guido Bertolaso da commissario straordinario per i rifiuti della regione Campania. Tali dimissioni sono un atto che ha indubbiamente un valore ed una portata politica ed implica che l'emergenza in Campania, dopo oltre un decennio, sia lungi dall'essere risolta. Di ciò dobbiamo parlare.
I limiti del provvedimento con cui era stato nominato il commissario Bertolaso erano già stati ampiamente segnalati dal gruppo dell'Italia dei Valori. Voglio ricordare, infatti, che, proprio in quest'aula, l'onorevole Aurelio Misiti notava l'equivoco di quel tipo di nomina, poiché veniva previsto che il commissario fosse il responsabile della protezione civile e non più semplicemente la persona di Guido Bertolaso. D'altra parte, il commissario chiedeva maggiori poteri decisionali, Pag. 46quindi, oltre ai poteri di deroga generalmente concessi ai commissari per le emergenze, nominati dalla Presidenza del Consiglio. Tali poteri straordinari non sono stati concessi, mentre la normativa ha attribuito al Presidente Consiglio la possibilità di ampliare gli stessi poteri a suo personale ed insindacabile giudizio. Quindi, anche la circostanza che il Presidente del Consiglio abbia partecipato ad una riunione in cui si è discusso del problema in esame non deve sorprendere: deriva da una responsabilità dettata dalla normativa. È vero che la causa immediata delle dimissioni è stata la «bocciatura» da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'utilizzazione di un sito per la discarica in località Serre, ma pensare che la ragione possa essere solo questa pare, francamente, riduttivo.
Il dottor Bertolaso si è probabilmente reso conto di non poter svolgere a pieno, fino in fondo, in maniera adeguata, il proprio ruolo, perché il Ministero dell'ambiente avrebbe obiettato su questa, come probabilmente anche su altre, scelta commissariale. Bertolaso, probabilmente, si è anche accorto che il nuovo piano regionale non può essere ricontrattato con tutti.
Tuttavia, in virtù del fatto che le dimissioni sono rientrate, noi vogliamo esprimere un auspicio, sperare cioè che la sua conferma nella carica di commissario straordinario possa essere una premessa per avviare una nuova fase in Campania, quella che vorremo chiamare della «normalizzazione», che in questo caso ha bisogno di essere specificata, nel senso cioè di ricondurre alla normalità e alla norma la gestione dei rifiuti e superare l'emergenza, facendo assumere le responsabilità...
PRESIDENTE. La prego di concludere!
FABIO EVANGELISTI. ... a chi è stato eletto dal popolo campano e, in primo luogo, alle amministrazioni provinciali, come è stato già ricordato, che hanno il diritto-dovere di risolvere direttamente i problemi che via via si pongono nella gestione dei rifiuti.
Vi sono però notizie di stampa che ci preoccupano, e che riguardano le gestioni commissariali precedenti, le quali, oltre a non aver risolto le problematiche gestionali, sono state caratterizzate da illegalità gravi, che sono sotto la lente della magistratura contabile e penale: sembrerebbe quindi che la cosiddetta «ecomafia» continui a farla da padrone, per cui mi chiedo e chiedo - ovviamente qui abbiamo sentito qual è la posizione del Governo, ma sento la responsabilità di farlo - quale sia, oltre al ruolo e al lavoro svolto dal Governo, anche quello della Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. E questo lo chiedo al Presidente della Camera.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Mellano. Ne ha facoltà.
BRUNO MELLANO. Presidente, colleghi, anch'io, a nome del gruppo della Rosa nel Pugno, ringrazio il sottosegretario D'Andrea per la tempestiva comunicazione, anche se devo lasciare agli atti una certa insoddisfazione del gruppo a cui appartengo per il mancato intervento del ministro Pecoraro Scanio. Non perché queste occasioni, che finiscono per diventare un po' rituali, sono utili per sollevare il tema, ma poco più di questo, bensì perché in effetti sarebbe stato molto interessante conoscere direttamente dal ministro - che mi dicono gli amici Verdi essere occupato per impegni istituzionali, e quindi trattarsi di un'assenza giustificata - le vicende concitate (al di là di quanto riportato qui dai colleghi o dalle cronache giornalistiche) di una crisi che si è palesata con l'annuncio delle dimissioni del commissario Bertolaso. Anche perché quella era la cartina di tornasole di un elemento drammatico che, sicuramente, non abbiamo risolto con le nostre decisioni parlamentari e che la Commissione bicamerale di indagine sul ciclo dei rifiuti quotidianamente affronta e segue con attenzione.
La richiesta di alcuni colleghi, in particolare dell'opposizione, di una comunicazione straordinaria ed urgente doveva, a Pag. 47mio giudizio, essere onorata anche dalla presenza del ministro, proprio per valorizzare un momento di analisi e di ripartenza.
La minaccia delle dimissioni, o dimissioni presentate e ritirate, a pochi mesi dalla nomina del commissario, era sicuramente una occasione buona che ci veniva fornita per fare il punto della crisi, poiché tale è quella che si vive in Campania.
Giustamente, abbiamo letto sui giornali i commenti dello stesso Bertolaso che dice: sono stato i chiamato ad occuparmi di questa vicenda da quattro mesi, ma la natura del problema risale ad oltre quattordici anni fa, ad una gestione quotidiana di quei quattordici anni che ha creato l'emergenza, che l'ha alimentata, che certo non può essere risolta con decisioni draconiane o con la necessaria forza di intervento e d'urto.
Ho apprezzato molto l'intervento del collega di Rifondazione Comunista, il quale ha voluto ricordare anche la responsabilità diretta dell'amministrazione regionale campana di non avere affrontato adeguatamente la situazione dei rifiuti: a nostro giudizio, anzi, la regione ha una responsabilità diretta nell'aver creato la crisi.
Per quanto concerne gli elementi positivi, consistenti nell'accordo raggiunto per il superamento della crisi di questi giorni, nella decisione di ridurre la portata della megadiscarica, tenendo conto della vicinanza di un'oasi naturalistica del WWF, essi danno corpo ad una mediazione, ad un compromesso, ad un buon compromesso che, a nostro avviso, tenta di coniugare le esigenze dell'urgenza con quella della gestione di lungo periodo del territorio.
Inoltre, l'individuazione di un subcommissario (parola che evoca realtà sudamericane) che porta una cultura ed un'esperienza amministrativa molto ampie - il sottosegretario D'Andrea ha ricordato che il subcommissario viene da un'esperienza davvero importante nella città di Treviso, la quale vanta una percentuale del 68 per cento di raccolta differenziata - è un dato importante, una buona premessa. Tuttavia, la buona premessa non basta. Forse, non era questa l'occasione per farlo, ma bisognerebbe analizzare perché - il sottosegretario l'ha accennato - non riesca a funzionare, in Campania, la raccolta differenziata. È certamente lì il nodo!
PRESIDENTE. La invito a concludere.
BRUNO MELLANO. Occorre coinvolgere gli enti locali; occorre responsabilizzare le province; occorre partire dalla raccolta differenziata per impostare un «nuovo» che avrà sicuramente difficoltà a nascere, a crescere, ad insediarsi.
È importante, comunque, che se ne discuta apertamente in Parlamento, anche se con la partecipazione di pochi colleghi; è importante che, da una crisi, si valorizzi una risposta che può favorire un rilancio.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Camillo Piazza. Ne ha facoltà.
CAMILLO PIAZZA. Signor Presidente, ringrazio anch'io il sottosegretario per la relazione svolta sulla situazione oggetto dell'informativa.
Al riguardo penso che lo spirito dimostrato in questi ultimi giorni da tutti gli attori in campo sia stato positivo. L'intento è quello di risolvere in maniera definitiva la cronica situazione di emergenza dello smaltimento dei rifiuti in Campania. Lo spirito e la via maestra si identificano soprattutto con la volontà di non vedere più i rifiuti per strada, soprattutto nei prossimi mesi estivi, perché ciò potrebbe causare di enormi problemi ambientali. L'obiettivo è quello di dare una risposta definitiva e positiva al problema, ma soprattutto compatibile con l'ambiente.
Abbiamo avuto ed abbiamo fiducia nell'operato del direttore Bertolaso. Capiamo anche che in questi mesi per una mera questione di tempo egli ha forse sottovalutato alcuni aspetti di carattere ambientale. Pensare di realizzare soltanto una discarica regionale di due milioni di tonnellate nel comune di Serre non soltanto era sbagliato sul piano del merito (in quel Pag. 48territorio c'è un'oasi del WWF), ma soprattutto nella sostanza: trasportare a 120 chilometri di distanza i rifiuti produce un inquinamento insostenibile. La proposta che è emersa, vale a dire di spalmare i rifiuti prodotti (cinquemila tonnellate al giorno) su tutto il territorio campano, ci sembra sensata: anche se non sarà indolore, è l'unica soluzione possibile in questo momento.
Permettetemi di esprimere una nota di disappunto per l'incapacità della classe politica campana, in particolare anche dei commissari, i quali non hanno saputo risolvere in maniera definitiva il problema in questi dodici anni. Non è pensabile che a dodici anni dal primo commissariamento non sia stato ancora autorizzato nemmeno un impianto di compostaggio!
Anche a futura memoria - credo sia giusto che risulti dal resoconto stenografico - è importante ripetere alcuni concetti: noi Verdi non accetteremo che in questi siti vengano smaltiti i rifiuti tal quali, che possano causare danni anche olfattivi alla popolazione: controlleremo gli impegni presi dal commissario e dai ministeri e se i rifiuti non saranno inertizzati e stabilizzati per non dare problemi ambientali, saremo i primi a sostenere le ragioni delle popolazioni locali.
Occorre risolvere il problema, ma occorre farlo in maniera opportuna. Non serve creare ulteriori problemi alle popolazioni locali. Noi chiediamo al Governo di essere ligi rispetto al principio - che può essere realizzato concretamente - che questi rifiuti non vengano tradotti in discarica tal quali.
Ci aspettiamo che tutti facciano la propria parte. Noi Verdi abbiamo dimostrato un grande senso di responsabilità di Governo, ma denunceremo, caro Paolo Russo, chi strumentalizzerà questa vicenda. Infatti, i Verdi sono stati i primi a chiedere un piano industriale per l'uscita definitiva dall'emergenza. Avevamo chiesto al dottor Bertolaso di presentare immediatamente un piano che stabilisse in che modo, oltre l'emergenza quotidiana, intendesse risolvere al problema. Avevo chiesto anche che il comune di Napoli facesse la propria parte rispetto al fatto che produce il 50 cento dei rifiuti campani.
Chiediamo che vi sia una soluzione definitiva anche sul piano industriale e non soltanto sull'emergenza, ciò che non è stato fatto in questi anni. Abbiamo dato quindi la nostra immediata disponibilità a ragionare sul piano industriale e chiediamo ovviamente che si vada avanti su questa strada.
Caro sottosegretario, abbiamo apprezzato tre aspetti di questo decreto. Il primo è la nomina di un responsabile oggettivo della raccolta differenziata in Campania. In alcune zone questa funziona benissimo, in altre zone no. Non si tratta conseguentemente di un problema culturale, ma organizzativo. Il secondo è che si nomini un commissario e un subcommissario.
L'altro aspetto - e concludo, Presidente - è il fatto che si utilizzino anche cave sequestrate alla camorra per poter smaltire rifiuti prodotti, in modo tale che anche chi ha inquinato in maniera indecente in questi anni, paghi un prezzo affinché il problema possa essere risolto in questo modo. Noi abbiamo grande fiducia nei riguardi del dottor Bertolaso, vigileremo su ciò che si farà...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
CAMILLO PIAZZA. Ovviamente auspichiamo che nei prossimi mesi si risolva in maniera definitiva il problema dei rifiuti in Campania. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Picano. Ne ha facoltà.
ANGELO PICANO. Ringrazio anch'io il Governo per aver riferito rapidamente su questa vicenda, di rilevante importanza per la Campania e per l'intera comunità nazionale, ma soprattutto per il fatto di aver provveduto immediatamente a respingere le dimissioni del dottor Bertolaso, un civil servant di grande levatura, che ha dimostrato di avere una grande professionalità ed un grande senso dello Stato nella Pag. 49gestione della Protezione civile del nostro paese. Certamente le sue dimissioni erano preoccupanti, perché potevano dare l'impressione che lo Stato abdicasse ai suoi poteri e non volesse intervenire con la decisione, con cui il commissario straordinario stava portando avanti il suo compito. Noi eravamo seriamente preoccupati che con le sue dimissioni tornasse l'ingovernabilità dell'emergenza rifiuti, a cui abbiamo assistito da molti anni a questa parte. L'esperienza del dottor Bertolaso ha messo ancora di più in evidenza la necessità che le istituzioni assumano per intero le loro responsabilità e che le decisioni avvengano con il coinvolgimento delle popolazioni locali.
A noi sembra che l'accordo raggiunto sulla discarica di Serre sia onorevole, perché da una parte riafferma l'esigenza di decidere, dall'altra viene incontro anche alla richiesta delle popolazioni locali e delle amministrazioni di non avere una grande discarica o di ridimensionarne la portata, oltre al fatto di allontanare dall'oasi del WWF quei cattivi odori che avrebbero compromesso il significato stesso dell'oasi naturalistica e faunistica.
Bisogna lavorare per l'emergenza, ma soprattutto puntare a costruire una normalità per la Campania, che equivale ad una gestione dei rifiuti secondo un'amministrazione ordinaria, un ritorno alla normalità.
Il problema delle discariche è pesante in tutte le regioni. Sarebbe perciò opportuno che si elaborasse una metodologia nazionale per la localizzazione dei siti dei rifiuti, in modo da avere chiari gli indirizzi e far comprendere alle popolazioni locali quali possano essere le vie per affrontare le emergenze che richiedono risposte urgenti, senza decisioni che cadano dall'alto. Troppe volte, infatti, le popolazioni locali si ribellano non avendo chiari i motivi, per cui si sceglie un sito piuttosto che un altro.
Centinaia di migliaia di tonnellate di spazzatura sono in attesa di essere smaltite e la Campania rischia di diventare una discarica a cielo aperto, con pesanti ricadute sulla salute e sul territorio. La linea di «provincializzare» il sistema di smaltimento dei rifiuti è quella da perseguire - mi pare che il dottor Bertolaso lo stia già facendo con grande intelligenza - costruendo una rete di impianti che siano il più possibile vicini al luogo dove i rifiuti vengono prodotti. È necessario, però, che al contempo si porti avanti una seria raccolta differenziata. Il sottosegretario ci ha comunicato i dati sulle percentuali a livello comunale di tale raccolta: alcuni comuni la realizzano concretamente in percentuali elevate, altri in percentuali minime, altri ancora non la utilizzano affatto.
La nomina di un vice commissario di elevata professionalità per la raccolta differenziata può far ben sperare che una politica di questo tipo sarà portata avanti con molta decisione. D'altra parte la capacità della politica si vede soprattutto quando occorre affrontare problemi urgenti. Ci aspettiamo però un cambiamento radicale di metodo e di mentalità rispetto al passato, se si vuole dare una risposta definitiva all'emergenza dei rifiuti in Campania. Grazie
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Grazie, signor Presidente. Ovviamente abbiamo ascoltato la relazione del Sottosegretario D'Andrea, che è stata puntuale. Mi è sembrato più che altro un bollettino di guerra. Il problema dei rifiuti della Campania non sta assolutamente uscendo fuori dal tunnel, anzi ci si sta addentrando sempre di più: la Campania è una discarica a cielo aperto, questo ci ha detto il Sottosegretario. Gli interventi dei colleghi, che ho avuto la fortuna di ascoltare, sono andati tutti nella stessa direzione.
Qualcuno addirittura, come il collega della Rosa nel Pugno, ha avuto il coraggio di fare similitudini con il Sudamerica e affermare che esiste un «subcomandante», che si chiama Bassolino - non ha ovviamente fatto nomi - cui vanno tutte le responsabilità oggettive, soggettive, politiche e giudiziarie. In Campania esiste una concertazione tra regione, enti locali, camorra, Pag. 50associazioni parastatali, che hanno tutto l'interesse a tenere la situazione così com'è.
Si sta discutendo, ma mi dispiace che non sia presente il ministro dell'ambiente, Pecoraro Scanio, che dovrebbe assumere le sue responsabilità e che forse tra qualche mese dovrà dimettersi. Quando il dottor Bertolaso è stato nominato commissario delegato sui rifiuti campani, è stato scelto il responsabile della protezione civile, perché in Campania ormai siamo di fronte ad un problema di calamità naturale, che interessa anche la sanità dei cittadini. Voi sapete che l'incidenza delle malattie infettive diffusive in Campania è tre volte superiore alla media nazionale? Sapete che la morbilità e la mortalità per certe malattie è due volte e mezzo superiore alla media nazionale? È evidente quindi che vi è un problema di sanità pubblica e di pubblico interesse ed è per questo che il commissario non può che essere il responsabile della protezione civile.
Il Governo ha voluto imbavagliare questo commissario perché si vogliono tutelare e difendere gli interessi del Governatore Bassolino e del sindaco Iervolino, i due massimi responsabili. Non riusciamo a capire come mai la magistratura non sia ancora intervenuta e abbiamo dei forti dubbi che questo atteggiamento sia voluto.
La questione è banale in tutti i comuni d'Italia - chi vi parla è sindaco da sedici anni - perché vi sono dei piani regionali sull'ambiente e sul problema dei rifiuti, che si suddividono in piani provinciali, dove è ben esplicitato cosa si deve fare per la raccolta differenziata, per la produzione del compostaggio, del bricchettaggio, del CDR, per la costruzione delle discariche e via dicendo, fino ad arrivare ad una situazione più che tranquilla.
Si parla della riduzione della capacità della discarica di Serre a 700 mila tonnellate. Quanto potrà durare questa discarica se è vero, come è vero, che vi sono tre milioni di ecoballe e cinque milioni di tonnellate di rifiuti da collocare? Secondo me, durerà un'ora o poco più!
Non si vuole risolvere il problema perché si vogliono mantenere traffici illeciti, che i governi della regione Campania e di certi comuni vogliono continuare a gestire.
Ci vorrebbe poco. Ci sono delle regioni gestite da maggioranza uguali a quella campana, che si rivolgono a cooperative con altissime professionalità, che potrebbero risolvere il problema in breve tempo. Non le si vuole coinvolgere volutamente perché a tutti interessa che i problemi rimangano, in modo da continuare ad alimentare i traffici illeciti gestiti dall'ecomafia.
Per questi motivi noi critichiamo il Governo nazionale ed il governo regionale della Campania (Applausi dei deputati dei gruppi Democrazia Cristiana-Partito Socialista e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È così esaurita l'informativa urgente del Governo sulle recenti vicende della gestione commissariale dell'emergenza rifiuti in Campania.
Per la risposta ad uno strumento di sindacato ispettivo.
GIUSEPPE FALLICA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FALLICA. Grazie Presidente, faccio riferimento all'Atto Camera 4/00674, un'interrogazione a risposta scritta a mia firma, presentata il 25 luglio 2006, quasi otto mesi, oltre 220 giorni fa. La prego di informare il Presidente della Camera Bertinotti affinché possa intervenire presso il Ministero dello sviluppo economico perché fornisca una risposta anche di una o due righe. Credo che sia una prerogativa dei parlamentari ricevere risposte alle richieste di sindacato ispettivo e che ciò rappresenti anche una forma di rispetto nei confronti delle Assemblee parlamentari da parte del Governo.
Pag. 51
PRESIDENTE. La Presidenza si farà carico di trasmettere le sue sollecitazioni al Governo.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15 con lo svolgimento delle interpellanze urgenti.
La seduta, sospesa alle 14,05, è ripresa alle 15.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Boco, Cento, Chiti, Cordoni, D'Antoni, De Simone, Duilio, Folena, Forgione, Franceschini, Letta, Levi, Maroni, Meta, Migliore, Oliva, Parisi, Piscitello, Pisicchio, Prodi, Ranieri, Realacci, Rutelli, Santagata, Sgobio, Villetti, Violante, Visco ed Elio Vito sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente (ore 15,05).
PRESIDENTE. Il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite II (Giustizia) e VII (Cultura):
S. 1314. - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, recante misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche (Approvato dal Senato) (2340) - Parere delle Commissioni I, V, VI, VIII, IX, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dall'articolo 96-bis, comma 1, del regolamento, è altresì assegnato al Comitato per la legislazione.
TESTO AGGIORNATO AL 9 MARZO 2007Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 15,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Eventuali iniziative disciplinari nei confronti del dottor Giancarlo Caselli - n. 2-00385)
PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00385 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
MATTEO BRIGANDÌ. Grazie, signor Presidente.
Signor ministro, riassumo in due parole il fatto da cui scaturisce l'interpellanza, dandola per letta. È stato stampato e ristampato un libro: «Giancarlo Caselli un magistrato fuori legge». In questo libro si sostiene una tesi che è falsa: viene sostenuto, addirittura in seconda pagina di copertina, che il Parlamento ha votato una legge per impedire a Caselli di concorrere alla procura nazionale antimafia, e ciò sarebbe stato fatto per ritorsione, per avere egli fatto il proprio dovere, e cioè incriminato Andreotti che, a parere dell'ex procuratore di Palermo, è da considerarsi irrevocabilmente colpevole.
L'interpellanza ha citato fonti autentiche, verificate dall'Ufficio di presidenza, che ne dimostrano la falsità, nel senso che la legge non ha avuto valenza, valenza di escludere, per la valutazione di Caselli. Tale valutazione, infatti, non è intervenuta Pag. 52solo perché bloccata dai colleghi del procuratore per non fare apparire una sconfitta annunciata.
Si è temporeggiato per poi addossare la colpa al Governo e al Parlamento allora nemico. In ogni caso, la Suprema Corte non ha ritenuto Andreotti colpevole.
La magistratura, sotto il regime fascista, fu in sostanza l'unico «pezzo» di Stato che non si piegò alla dittatura; tant'è che il duce, per avere pronunce favorevoli, istituì dei tribunali speciali compiacenti, e i padri costituenti per prima cosa abolirono tali tribunali. Ciò derivava dal fatto che i magistrati all'epoca erano realmente indipendenti, cioè non erano alla mercè della politica esterna, cioè partitica, meglio del Governo di quel regime, ma non erano neanche sottoposti al ricatto di una politica interna, cioè di quella politica che la magistratura fa interna corporis, con tanto di parlamentino, che spartisce le poltrone dirigenziali fra le correnti secondo un loro manuale Cencelli.
Signor ministro, mi indichi una carica interna alla magistratura significativa: una presidenza di Cassazione, o di Corte d'appello, o di tribunale in città significative, attribuita a magistrati che non siano iscritti alla ANM, o ad una delle sue correnti, da tutti chiamate «partitini». Se non è in grado di citarmi un nome su novemila magistrati, non essendo pensabile che solo i bravi si iscrivano alle correnti della magistratura, ne deriverà che, chi vuole fare carriera, deve sottostare alla logica della politica interna alla magistratura. Politica che diviene «esterna» quando, alla corrente, la mente associa un partito politico. Ciò alla faccia dell'articolo 101 della Costituzione (indipendenza della magistratura).
La magistratura quindi, caduto il fascismo, ereditò il prestigio al punto che, nei processi penali, garantì l'imputato dalle prevaricazioni della polizia, fino a divenire, via via, essa stessa il capo della medesima polizia, nel senso che la polizia giudiziaria è alle dirette dipendenze del giudice, al punto di incidere sulle promozioni degli ufficiali addetti.
In sostanza, il costituente del 1948 riconobbe alla magistratura tutta una serie di giuste guarentigie, che le garantivano la libertà di movimento, con il limite degli articoli della Costituzione 101, secondo comma (i giudici sono soggetti soltanto alla legge) e 112 (il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale).
Con questo sistema si è affermato, in sintesi, il primato della legge. La stessa Costituzione parla di «ordinamento giurisdizionale», quasi come a sottolineare che la magistratura è un ordine e non un potere. Infatti, per un verso, il concetto di potere verrebbe a confliggere con la mancata elezione del magistrato da parte del popolo; per altro verso, l'obbligatorietà della giurisdizione sia penale, con l'obbligo di esercizio dell'azione, sia civile, con l'obbligo di rendere giustizia, confliggono con il concetto tradizionale di potere, almeno con quello che Costantino Mortati ci ha insegnato.
La politica di governo, negli anni Sessanta, non rivolse particolare attenzione ai problemi della magistratura, in quanto, all'epoca, questa ben si teneva distante dalla politica, in particolare da quella di governo; ovviamente, venivano presi in considerazione gli atti di rilevanza penale. In sostanza, all'epoca nessun magistrato si sarebbe sognato di urlare contro il Governo: «Resistere, resistere, resistere»!
Il PCI ebbe l'indiscutibile intelligenza di capire che la magistratura avrebbe potuto essere, come infatti divenne, un'arma per conquistare il potere. Signor sottosegretario, se io adesso parlassi del capo del partito dei giudici che siede in quest'aula (persona degnissima e che io personalmente stimo), è probabile che tutti pensino alla stessa persona. Se così è, significa che io ho ragione e che, ormai, la magistratura, almeno in una parte (che penso e spero sia minoritaria), è uscita dalle proprie attribuzioni per fare politica «partitica».
Ciò alla faccia del divieto di iscrizione ai partiti politici che la Costituzione pone nei confronti del singolo magistrato. È evidente che il divieto non è il mero dato Pag. 53dell'acquisizione della tessera politica, ma deve essere inteso come divieto di militanza politica!
L'assetto costituzionale della magistratura come ordine fa conseguire il primato della legge, e quindi la pronunzia, emessa in nome del popolo italiano, dipenderà solo dalla legge e non potranno esservi, come in America, sentenze dettate dall'assillo del consenso: quindi, pronunce di maggioranza contro la minoranza.
Ma quando la magistratura, o almeno una parte di essa, si assetta a potere, diverrà sensibile al consenso e, quindi, si è avuta una miriade di sentenze politicizzate con il fatto che, essendo comunque la magistratura indipendente, si è giunti ad emettere sentenze di minoranza contro la maggioranza!
Si tratta di una aberrazione alla quale dobbiamo porre rimedio. Bisogna che, una volta per tutte, si decida se la magistratura si debba configurare, nell'ambito costituzionale, come potere o come organo. Se la natura giuridica è quella del potere, allora dovremo pensare all'elezione dei magistrati, perché il potere deriva dal popolo. In un sistema democratico, se la magistratura è un ordine, bisognerà che ci si attrezzi acchè le si amputi la mano ogni volta che l'ordine la allunghi sul potere!
In soldoni, il magistrato sia indipendente dal potere politico esterno e dal potere partitico interno all'ordinamento giudiziario onda possa pronunziare, nei confronti di tutti, con scienza e coscienza, ed il politico possa esprimere il mandato elettorale che ha ricevuto, senza temere la ritorsione da parte dei giudici che non sono e non appaiono schierati, politicamente, in modo diverso.
Veniamo al caso di specie. Non sono sufficienti 15 minuti per dare soltanto l'elenco delle fonti dalle quali si possa dedurre quanto appena sopra detto. Basti citare le parole di Giovanni Falcone, che nel 1998 ha detto: «Mi ha votato contro la sinistra» per la bocciatura alla carica di consigliere istruttore del tribunale di Palermo, ove furono determinanti i voti di due consiglieri di Magistratura democratica, tra cui Paciotti, poi presidente dell'ANM ed ora, credo, parlamentare europeo.
Si legge in un testo specialistico, la cui prefazione è di Alfredo Biondi: «Patrono è considerato dalla sinistra ufficiale come avversario: ebbe il torto di denunziare, in una seduta del CSM, i rapporti tra il procuratore capo di Palermo Caselli e il PCI» (articolo de l'Opinione dell'8 giugno 1994). Si cita ancora l'intervento di Patrono del 3 giugno 1992 al plenum del CSM, durante il quale disse: «Se Falcone era il migliore di tutti, perché alla carica di super procuratore gli è stato preferito un altro? Perché Falcone era ritenuto, come si dice più o meno esplicitamente negli atti della commissione "direttivi" del Consiglio, "prossimo" e "contiguo" ai centri potere».
Leoluca Orlando, in un'intervista su l'Unità del 25 maggio 1992, afferma: «Falcone non sarebbe stato ucciso se il PSI avesse vinto la corsa al Quirinale». Un modo come un altro per dire che i destini di Falcone erano legati in maniera oscura a quelli dei socialisti.
Venendo a noi, basta entrare in Internet e digitare «Caselli e l'Unità»: si avrà l'elenco di tutti gli interventi che Caselli ha tenuto nelle feste de l'Unità; addirittura, ci sono le foto ove egli «saluta i compagni» e ove siede sotto i manifesti recanti la scritta «iscriviti ai Democratici di sinistra».
Che dire ancora della presenza del suo nome nei manifesti del partito dei DS in tutta la sua evoluzione storica, anche qualche giorno prima della campagna elettorale? Basta leggere la relazione di apertura dell'anno giudiziario del 2003 per vedere che, prima di ogni altra cosa, la procura generale è preoccupata per la situazione della FIAT. Che ci azzecca la procura generale con la situazione economica della FIAT? È la preoccupazione del buon andamento di un proprio possedimento politico? O, meglio, di un padrone politico, se si pensa che il Presidente del Consiglio D'Alema, come primo atto di Governo, andò a baciare la pantofola dello stesso padrone?Pag. 54
Con il suo libro egli attacca il Parlamento accusandolo di aver approvato una legge contro di lui e, a ragione di ciò, cita l'intervista di due senatori. Caselli è uomo di legge e rappresenta un'istituzione dello Stato. Certamente, non può essergli sfuggito che una cosa è il Senato e cosa diversa sono i senatori. Camera e Senato come unico compito istituzionale hanno quello di approvare le leggi.
A uno studente di giurisprudenza, come primissimo insegnamento, gli si dice che la legge è generale e astratta. Affermare, quindi, che il Parlamento in assetto istituzionale - e non quei due senatori - ha posto in essere una legge contra personam e, quindi, non generale e astratta, significa vilipenderlo. Ciò è tanto più grave in quanto il conflitto politico posto in essere viene proprio dal capo di una delle più importanti procure generali.
Anche se ciò fosse stato vero, ossia se tutti i parlamentari in odio a Caselli avessero votato una norma contro di lui, non si sarebbe potuto affermare che il Parlamento ha votato, ma si sarebbe dovuto dire che «in Parlamento è stata votata». È evidente che l'affermazione è stata dettata dal fatto che in Parlamento, allora, vi era una maggioranza diversa da quella cui il Caselli aderisce.
Nel merito abbiamo dimostrato che è falsa l'affermazione che egli non abbia potuto concorrere per il posto di procuratore antimafia a causa di quella legge. Egli, saputo che il CSM gli avrebbe preferito altro migliore candidato, non adempì all'invito di presentare la documentazione e, per usare le parole dette in seno al CSM, ritenne «che fosse politicamente più conveniente non far apparire la sconfitta».
Ancora, per avvalorare questa falsità Caselli sostiene che addirittura il Parlamento si sia mosso per vendicarsi del processo Andreotti. Anche questa scusa è stata nei fatti smentita.
Nelle aule di giustizia circola una storiella su un imputato per ingiurie che aveva detto «stupido» a un'altra persona. Si dice che il giudice abbia chiesto all'imputato: «Lei ha dato dello stupido alla persona offesa. È vero?» E l'imputato abbia risposto: «Sì, è vero e me ne dispiace». E, quindi, non si capisce se la risposta fosse: «È vero che è stupido e mi dispiace che lo sia» oppure «È vero che l'ho detto e mi dispiace di averlo detto».
Qui siamo di fronte alla stessa situazione. Nel leggere il libro parrebbe che il senatore Andreotti sia sfuggito alla condanna per il rotto della cuffia, avendo la Cassazione accertato il fatto di reato e avendolo dichiarato prescritto. Ma ciò è falso, pacificamente falso. Oltre a richiamare le osservazioni che lei, signor ministro, ha letto nella mia interpellanza urgente, faccio notare che il comune di Palermo, proprio nell'ipotesi in cui la Cassazione avesse dichiarato prescritto il reato, ha chiesto «il rigetto del ricorso (del senatore Andreotti) con condanna del medesimo (...) in subordine per l'applicazione della prescrizione con rinvio del processo al giudice civile».
È evidente, quindi, che se la Suprema Corte avesse ritenuto accertato, sebbene prescritto, il reato, avrebbe dovuto, come richiesto, lasciare lo spazio per il risarcimento del danno civile: la qual cosa, basta leggere il dispositivo, non è intervenuta. Né risulta che il comune, sebbene economicamente interessato, abbia dato seguito a tale azione.
Se lo stesso Caselli avesse creduto in quanto dice, avrebbe avuto il dovere di incriminare il responsabile del comune di Palermo per omissione d'atti d'ufficio. Infatti, il comune ha il dovere e non il potere di chiedere il risarcimento dei danni; così come la procura ha il dovere e non il potere di incriminare chi non chiede il risarcimento dei danni per un ente pubblico, ove ve ne siano i presupposti.
Delle due l'una: o Caselli mente oppure ha contravvenuto ai propri doveri d'ufficio. Fin qui si rientra nella logica delle cose. Ma addirittura scrivere un libro venduto in tutte le edicole e addirittura ristampato, che è servito unicamente a infangare le istituzioni principali del nostro sistema ree di aver vinto le elezioni è contrario all'etica, alla politica, ai doveri Pag. 55del proprio ufficio e alla legge penale, oltre che alle norme di deontologia che il magistrato deve osservare.
Infine, ricordo che la magistratura ha degli stipendi altissimi perché viene riconosciuto il massimo di straordinario effettuabile. Per cui il compito del giudice è solo quello - e ci dica lei, signor sottosegretario, se non è vero - di produrre sentenze, ordinanze e decreti e non certo quello di partecipare al dibattito politico e di andare a dibattiti e a conferenze, anche se tenute nell'ambito di festival dell'Unità. Se poi si usano l'auto e la scorta pagate dalla collettività, si arriverà all'apoteosi della scorrettezza.
Potrei citare fiumi di giurisprudenza, ma mi limito ad un caso, perseguito dei giudici e terminato con la condanna ad un politico, che, non deviando dal proprio percorso, diede un passaggio alla propria moglie. Se è giusto, come è giusto, che il politico sia condannato, considerando tale comportamento di penale rilevanza, come dovrà essere considerato quello del procuratore generale di Torino?
Signor sottosegretario, ci dica se un giudice può fare politica, se ciò sia un suo compito istituzionale, se può usare a tal fine l'auto di scorta e se può vilipendere il Parlamento o uno dei suoi componenti, anche usando falsità. Ah, dimenticavo! Su una cosa sono d'accordo con Caselli, ovvero sulla sua definizione: è un magistrato fuorilegge.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Scotti, ha facoltà di rispondere.
LUIGI SCOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, gli interpellanti mi scuseranno se sarò più stringato rispetto all'ampia elaborazione che ha toccato varie parti dell'ordinamento giudiziario. Pertanto, mi atterrò soltanto alle considerazioni e alle richieste fatte dagli interpellanti stessi.
Con l'interpellanza si censurano alcune considerazioni fatte dal dottor Giancarlo Caselli, nel libro Un magistrato fuorilegge e precisamente le seguenti: l'affermazione secondo cui il Parlamento della precedente legislatura avrebbe votato una legge contra personam per impedire a lui di concorrere al posto di procuratore nazionale antimafia; l'affermazione secondo cui il dibattito politico e i mezzi di informazione avrebbero cancellato la verità sul processo nei confronti del senatore Andreotti, giacché la sentenza della Corte di appello di Palermo aveva ritenuto, in via definitiva, concretamente ravvisabile il diritto di associazione a delinquere, benché prescritto.
Sulla base di tali fatti, ed argomentando ampiamente sulla non veridicità delle affermazioni contenute nel volume, gli interpellanti si attendono la valutazione del ministro della giustizia e chiedono se esso intenda promuovere azione disciplinare nei confronti del dottor Giancarlo Caselli, procuratore generale presso la Corte di appello di Torino.
In termini generali si può dire che il nostro ordinamento riconosce ai magistrati, come a tutti i cittadini, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, anche attraverso pubblicazioni a stampa. La Corte costituzionale sin dal 1981 ha riconosciuto che il magistrato gode degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni cittadino; ha precisato tuttavia che, per conservare la dignità dell'ordine di appartenenza e la credibilità sociale che sono caratteristiche tipiche della figura di magistrato, anche quando egli si esprima al di fuori dell'esercizio della sua funzione, è necessario assicurare all'esercizio di tali diritti un giusto equilibrio, tale cioè da evitare eccessi interpretabili come abuso della libera manifestazione del pensiero.
In linea con l'orientamento della Consulta si è più volte espressa la Corte di cassazione, a sezioni unite, confermando che il diritto di manifestazione del pensiero non può ritenersi consentito ai magistrati sulla sola base dell'articolo 21 della Carta costituzionale, perché esso deve coordinarsi con limiti coerenti al ruolo di magistrato e con gli altri interessi di rango pubblicistico. Analogo è l'orientamento della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, secondo cui «al magistrato, come a tutti i cittadini, Pag. 56deve essere riconosciuto il diritto di manifestare il proprio pensiero, essendo vietato soltanto l'esercizio anomalo di tale diritto nonché l'abuso che si configura quando siano lese situazioni giuridiche non meno rilevanti, come diritti e libertà altrui, o i valori di imparzialità e di indipendenza». Va poi ricordato che l'articolo 6 del codice etico approvato nel maggio 1994 dall'Associazione nazionale magistrati dice esplicitamente: «Fermo il principio di piena libertà di manifestazione del pensiero, il magistrato si ispira a criteri di equilibrio e di misura nel rilasciare dichiarazioni o interventi ai mezzi di comunicazione».
Questa è la premessa generale. Vengo al caso concreto, con riferimento al quale non c'è dubbio che il dottor Caselli abbia, con il volume «Un magistrato fuori legge», esercitato il diritto di libera manifestazione del suo pensiero su fatti in parte estranei all'esercizio concreto della giurisdizione e in parte relativi ad un procedimento ormai concluso; sotto questo profilo, l'accertamento della veridicità dei fatti esposti - che gli interpellanti contestano e su cui chiedono la valutazione del ministro - non è metodologicamente praticabile, essendo l'intero elaborato riferibile alle idee e al pensiero dell'autore, cioè alla sua visione delle vicende narrate e, conseguentemente, alla sua responsabilità.
Non si può non riconoscere tuttavia che il volume contiene considerazioni e giudizi talvolta molto critici, alcuni dei quali, benché formalmente sorretti da argomentazione analitiche, possono apparire, ed appaiono, unilaterali: considerazioni e giudizi che, per quanto riguarda il senatore Andreotti, il ministro Mastella - al riguardo, mi faccio portavoce della sua parola - personalmente non condivide, confermando anche in questa sede gli attestati sempre espressi nei suoi confronti.
Tuttavia, a parte gli aspetti filologici, gli interpellanti chiedono anche una valutazione in termini disciplinari, ai fini dell'eventuale promovimento della relativa azione nella prospettiva dei criteri di equilibrio e di misura.
Ebbene, se questa valutazione può e deve essere fatta nella sede istituzionale e nella prospettiva disciplinare, essa non può più aver luogo quando si è al di fuori del limite cronologico di eventuale esercizio della relativa azione, cioè quando sia scaduto il termine stabilito dall'ordinamento per l'iniziativa. Anzi, c'è da precisare che, nonostante che il libro fosse edito nel 2005, con la conseguente consegna delle copie d'obbligo proprio al Dicastero della giustizia, tuttavia, all'epoca del tempo utile e da parte del precedente ministro, nessuna azione si ritenne di promuovere nel prescritto termine di un anno; né risulta agli atti dell'ufficio che si fossero compiute valutazioni aventi rilevanza sul piano disciplinare.
Oggi il termine è abbondantemente scaduto e per di più, con la modifica del sistema disciplinare, i profili valutativi risultano, per quanto qui interessa, meno rigorosi di quelli delineabili nel periodo in cui l'eventuale azione sarebbe stata regolare e tempestiva.
PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di replicare, per un tempo massimo di dieci minuti.
MATTEO BRIGANDÌ. Sono parzialmente soddisfatto della risposta del Governo, nel senso che sono soddisfatto per la parte in relazione alla quale il ministero ha detto qualcosa, mentre non sono soddisfatto per la parte sulla quale invece non ha detto nulla. Mi spiego meglio. Siamo perfettamente d'accordo che evidentemente esiste un meccanismo di prescrizione. Il fatto che il sottosegretario abbia dichiarato che l'azione non può essere intrapresa perché prescritta per noi giuristi ha un significato preciso e circostanziato e, per ironia della sorte, è esattamente lo stesso taglio che Giancarlo Caselli dà su Andreotti per dire che era colpevole dei reati che lui aveva ipotizzato.
È evidente però che vi sono alcuni aspetti che sono attuali, in relazione ai quali sarebbe stato opportuno dire qualcosa in più. Ciò, al fine di capire in primo luogo se sia condivisa o meno dal Governo Pag. 57l'affermazione secondo cui sarebbe un compito istituzionale di un magistrato fare politica e partecipare ai dibattiti. Peraltro si tratta di un'affermazione che non si ferma al momento della pubblicazione del libro, ma che è ancora oggi attuale, come ho dimostrato in sede di illustrazione dell'interpellanza. Il ministro dunque condivide, sì o no, tale affermazione? Perché la conseguenza non è cosa da poco!
Se è vero quanto si afferma nel libro cui facciamo riferimento, cioè che i giudici hanno il dovere, quale parte integrante del loro lavoro, di partecipare al dibattito politico, ne prendiamo atto. Anzi, sarà la Camera a prenderne atto e a doverne trarre le conseguenze, sapendo che c'è un interlocutore politico che si chiama magistratura. Se questo non è vero, allora credo si debbano mettere in galera non soltanto gli uomini politici che offrono passaggi sulle proprie auto alle loro mogli. Non è cosa da poco se qualcuno esce di casa e, ritenendo, dal suo punto di vista, di andare a compiere un atto inerente al proprio ufficio, si serve dell'auto e della scorta fornita dallo Stato. In una tesi difensiva potremmo affermare - non so - che manca il dolo; tuttavia, bisogna mettere un punto fermo. In altri termini, bisogna capire se la Costituzione, quando impone ai magistrati il divieto di svolgere attività politica, si limita a imporre il divieto di prendere la tessera di un partito oppure vieta la militanza.
Avrei avuto piacere che ella si pronunciasse anche su questi problemi che ho posto e che erano all'interno della mia interpellanza, nel cui dispositivo, infatti, si precisa: «ove verifichi l'esattezza di quanto affermato in premessa». Ho la certezza che l'onestà intellettuale che riconosco al Governo per la prima parte della risposta ci sarebbe stata anche nella seconda parte, ove la stessa risposta fosse stata completa, e ritengo, quindi, che la posizione espressa probabilmente sarebbe stata interamente condivisibile. Si badi bene: l'intenzione mia e del gruppo del quale mi onoro di far parte non è certamente quella di andare a «cavalcare» la magistratura; tuttavia, noi vogliamo che la magistratura non sia «cavalcata» neanche da altri. In altri termini, noi vogliamo che la magistratura sia indipendente non soltanto dal potere politico e dal Governo - peggio ancora sarebbe se fosse dipendente da una parte del potere politico e non dall'altra - ma anche al suo interno.
Come ho affermato in sede di illustrazione, ormai siamo dinanzi alla lottizzazione dei posti dirigenziali all'interno della magistratura. Certamente, signor sottosegretario, al riguardo lei non poteva rispondermi. Tuttavia, credo che il magistrato, il quale sarà pure libero nei confronti del Governo (la sua cortesia è tale che io non debba polemizzare su siffatte questioni), debba essere tale anche all'interno della magistratura. Il magistrato deve proprio aderire a una delle correnti e pronunciarsi secondo la politica interna delle correnti per riuscire a diventare dirigente oppure è sufficiente che sia bravo nel suo lavoro? Signor sottosegretario, avremmo gradito una risposta anche su tale quesito.
(Norme della legge finanziaria 2007 relative alla stabilizzazione del personale precario delle pubbliche amministrazioni - n. 2-00374)
PRESIDENTE. L'onorevole Baldelli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00374 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Scanu per la sua presenza, anche se avremmo preferito - senza offesa, signor sottosegretario! - la presenza del ministro Nicolais. Il ministro, infatti, su questo tema ci è sembrato in difficoltà già la scorsa settimana, in sede di Commissione lavoro, nel corso di una audizione relativa al memorandum, nel momento in cui lo abbiamo sollecitato in merito ad alcuni elementi, che abbiamo riscontrato in sede di approvazione della legge finanziaria, relativi alle cosiddette stabilizzazioni dei cosiddetti precari del pubblico impiego. L'interpellanza che il gruppo di Forza Italia ha presentato, e di Pag. 58cui ho l'onore di essere primo firmatario, pone al Governo alcune questioni in ordine ai criteri utilizzati per queste stabilizzazioni. Noi crediamo, infatti, che si tratti di criteri configgenti, che attorno a quelle norme aleggino alcuni profili di incostituzionalità e che ci sia il rischio di creare aspettative che, di fronte ad un pronunciamento della Corte costituzionale, potrebbero diventare disillusioni piuttosto amare. Il bacino dei cosiddetti precari del pubblico impiego che dovrebbero essere stabilizzati è molto ampio.
Si parla tra le 350 mila e le 400 mila unità. Crediamo che si tratti di un tema molto delicato che mette in discussione anche la stabilità, l'efficienza, la funzionalità e l'economicità del pubblico impiego e, quindi, è un tema caro a tutte le forze politiche, al paese e ai cittadini, che del servizio del pubblico impiego sono i principali fruitori e i contribuenti.
Quindi, crediamo che il Governo debba fornire delle spiegazioni sul motivo per cui, ad esempio, la norma prevede la stabilizzazione del personale che ha fatto una selezione solo a tempo determinato. Tale selezione, infatti, non può valere per l'assunzione a tempo indeterminato, poiché alla selezione per incarichi a tempo determinato hanno partecipato solo candidati interessati ad un rapporto a termine. A tale proposito si vedano le sentenze della Corte costituzionale n. 205 del 2006 e n. 363 del 2006.
Sono previsti alcuni criteri, che sono individuati dai commi 417, 519, 558, 565, 566, 940 e 1156, lettera f), diversi e non coerenti. Ricordo che stiamo parlando di un maxiemendamento di 1.400 commi introdotto al Senato in sede di disegno di legge finanziaria, che né le Commissioni né il Parlamento hanno potuto discutere con serenità.
I criteri sono i seguenti: coloro che hanno meno di un anno di anzianità, visto che è sufficiente, secondo queste norme, avere un contratto alla data del 29 settembre 2006 (non stiamo parlando di precari di lungo corso, ma di gente assunta a quella data); coloro che hanno avuto contratti con diverse amministrazioni in periodi diversi; coloro che hanno lavorato nei gabinetti di incarichi politici (torneremo su questo argomento, perché proprio in questi minuti si è svolta in Commissione l'audizione dell'ANCI, nel corso della quale ci è stato confermato che il presidente dell'ANCI, Domenici, sta predisponendo una circolare, peraltro già annunciata da indiscrezioni giornalistiche, in ordine ad un chiarimento e alle possibilità di sistemare e di stabilizzare i portaborse e i collaboratori dei vari sindaci: io, da persona che svolge attività politica, mi sento solidale nei confronti di questi lavoratori, ma non credo sia giusto che essi scavalchino i vincitori di concorso e gli idonei); coloro che non hanno fatto selezione, potendogliela fare dopo appositamente (quindi, assumiamo coloro che non hanno fatto alcun genere di selezione e gliene facciamo fare una su misura ed ex post).
Dopo anni di blocco e di relative proroghe di graduatorie, vi sono oltre 70 mila vincitori di concorso ed altrettanti idonei che potrebbero vantare un diritto maggiore e costituzionalmente legittimo di essere assunti. Credo che il Governo lo sappia. Se noi conosciamo questi dati, li conosce anche il Governo.
Vi sono disparità di trattamento tra le diverse amministrazioni. Il comma 519, per i ministeri, prevede che possa essere assunto solo personale a tempo determinato, con i precisi limiti temporali già richiamati. Il comma 558, per regioni ed enti locali, prevede che possano essere assunti anche i lavoratori socialmente utili. Il comma 565, per le aziende sanitarie locali, fa riferimento a tutto ciò che non rientra nei contratti a tempo indeterminato (ossia, tempo determinato, collaborazione coordinata e continuativa, somministrazione, lavori socialmente utili), senza prevedere una anzianità minima. Il comma 417 consente a tutte le amministrazioni la stabilizzazione di tutte le tipologie «non a tempo indeterminato», senza prevedere fattispecie e durata minima. Il comma 1156 consente ai comuni Pag. 59sotto i 5.000 abitanti di stabilizzare solo i lavoratori socialmente utili che appartengano ai profili bassi.
Tali differenze, non essendo fondate razionalmente, creano situazioni di disparità incostituzionali, in quanto non razionali, consentendo alle amministrazioni di individuare i propri precari con regolamento.
Vi è, inoltre, una questione intorno al patto di stabilità. Nel decreto «mille proroghe» - approfitto di questa occasione anche per un chiarimento di tale aspetto - a differenza di quanto previsto dalla legge finanziaria, si deroga perfino al rispetto del patto di stabilità interno. I comuni che non abbiano rispettato il patto di stabilità interno per il 2006 possono comunque assumere personale, mentre nella finanziaria vi era un blocco preciso. I comuni che avessero avuto un'amministrazione virtuosa avevano il permesso di assumere e gli altri no. A questo si è derogato, evidentemente su pressione dell'ANCI, ma comprendiamo che tutto ciò apre l'ennesima falla nelle casse del sistema pubblico a danno della fiscalità generale.
Attraverso la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili, che appartengono alle categorie meno alte, le pubbliche amministrazioni dovranno ricreare i profili di basso livello, che fanno riferimento a funzioni che ormai dovrebbero essere state esternalizzate, anche attraverso la creazione di società partecipate dalle amministrazioni. Dopo aver portato le amministrazioni a ridurre gli organici, oggi le stesse sono costrette a riempire i posti solo con il personale generico, dato che il 90 per cento del personale precario non ricopre profili specialistici, tranne negli enti di ricerca. Le organizzazioni sindacali stanno dicendo che le assunzioni dei precari sono da computare, pur se riservate, come assunzioni esterne, per consentire sui posti rimanenti di fare i concorsi riservati ai dipendenti interni, e questo impedirebbe di destinare i posti degli organici ai concorsi pubblici.
Il 60 per cento dei posti messi a concorso per il tempo determinato vengono riservati obbligatoriamente ai collaboratori coordinati e continuativi, e questo genera ulteriore aspettative e, tra l'altro, raddoppia il rapporto con le pubbliche amministrazioni.
Chiediamo se il Governo abbia contezza del grande pasticcio che sta combinando con questa normativa, delle difficoltà interpretative, delle eventuali questioni di incostituzionalità che a tal proposito sorgeranno, e se non ritenga di non glissare sul problema. Infatti, noi riconosciamo che esiste un problema di stabilizzazione di alcune situazioni di effettivo precariato, ma non crediamo nella sovrapponibilità automatica del concetto di precariato e di flessibilità. In altre parole, il precariato è presente dove da molti anni dei lavoratori stipulano un contratto di collaborazione o a tempo determinato con la pubblica amministrazione, che, effettivamente, ingenera una difficoltà; ma lavoratori più recenti, portaborse dei sindaci, non rappresentano questa tipologia e questo problema. Quindi, si può dialogare sulla stabilizzazione dei veri precari, ma sui falsi precari crediamo che fare un'operazione del genere sia un danno generale per le casse dello Stato, per l'efficienza della pubblica l'amministrazione e per la fiscalità generale. Inoltre, il Governo come crede di poter gestire questa situazione dal punto di vista interpretativo, regolamentare, costituzionale, e di poter limitare la creazione di sacche di nuovo precariato? Se questo «precariato» è stato creato fino ad oggi, in un meccanismo negativo - cioè, per arginare il blocco del turn over, per non fare i concorsi pubblici, ma attraverso le chiamate dirette di questi collaboratori -, come si limita la tendenza negativa, specie negli enti locali, a far dilagare la spesa pubblica e a fare assunzioni, che poi diventano precariato che rimane a carico delle amministrazioni?
Questa è la domanda che facciamo al Governo. Ci saremmo francamente aspettati un atteggiamento diverso. Si tratta del pubblico impiego, che è un patrimonio comune dove ci sono tanti dipendenti pubblici che hanno voglia di lavorare bene, e noi non crediamo che sia giusto lasciarsi Pag. 60andare a facili demagogie. Crediamo però che dove ci sono situazioni e sacche di oggettiva difficoltà, si debba fare un ragionamento volto in larga parte all'efficienza. Questa campagna di maxi sanatoria non è certamente impostata in questa direzione. Vogliamo capire cosa intenda fare il Governo per allontanare il sospetto che si tratti di una pura operazione elettorale, pagata dalle tasche dei cittadini, dei ceti produttivi e che, tra l'altro, danneggia e mortifica tutto il pubblico impiego che, invece, vuole andare avanti, vuole rigore, efficienza ed efficacia nelle pubbliche amministrazioni per rendere migliore il proprio scopo, cioè il servizio al cittadino.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, Gian Piero Scanu, ha facoltà di rispondere.
GIAN PIERO SCANU, Sottosegretario di Stato per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione. Onorevoli deputati, onorevole Baldelli, mi rammarico di non poter adeguatamente rappresentare il ministro Nicolais, nonostante la sua cortesia abbia determinato in maniera assolutamente chiara un accesso comunque gradito in termini di risposta del Governo. Pertanto, mi dolgo di non poter conferire dignità ministeriale ad alcune considerazioni che ritengo possano costituire un cappello alla risposta che avrò modo di leggere; tuttavia, sono convinto che gli interpellanti abbiano posto una serie di problemi assolutamente pertinenti e, comunque, comprensibili.
Onorevole Baldelli, mi permetta però di sgombrare il campo rispetto ad un giudizio politico che ritengo non abbia informato l'azione del Governo; mi riferisco a quando lei ritiene di dover affermare che quella sul precariato sia stata un'operazione portata avanti con uno scopo clientelare. Sempre nella parte conclusiva del suo intervento, lei ha opportunamente sottolineato il fatto che stiamo parlando di una pubblica amministrazione, o meglio delle pubbliche amministrazioni, che costituiscono un patrimonio laico del nostro paese. Le pubbliche amministrazioni sono un apparato servente dello Stato; ed uno Stato, ancorché governato dalle rappresentanze politiche, per sua definizione deve esprimere la propria laicità.
Credo che, muovendo da questo assunto, possa risultare in primo luogo chiara la difficoltà con la quale il Parlamento, seppure sulla spinta di una proposta del Governo, ha dovuto affrontare questo problema, che non riguarda poche migliaia di persone, ma diverse decine di migliaia, forse alcune centinaia di migliaia di persone.
Si tratta di persone che sono state chiamate dalle pubbliche amministrazioni, quindi da coloro che hanno la responsabilità di costituire il vertice dei segmenti e delle articolazioni dello Stato, a svolgere un'attività di rilievo pubblico. Non sono state chiamate ad assecondare, ancorché in una chiave assolutamente legittima e comprensibile, logiche e fini di carattere imprenditoriale, aventi quindi una connotazione esclusivamente privatistica, ma a governare meglio i ministeri, gli enti di ricerca, le agenzie fiscali, le regioni, le province e i comuni. Stiamo parlando, quindi, di donne e uomini che hanno esercitato il diritto-dovere al lavoro ponendosi a disposizione delle pubbliche amministrazioni.
Questo già costituisce, se non un discrimine nei confronti di quanti, godendo degli stessi diritti costituzionali, lavorano nell'ambito privato, quanto meno un elemento dal quale partire per considerare la natura politica e, per certi versi, etica di questi provvedimenti.
Lei, onorevole Baldelli, ha avanzato, con comprensibile timore, il dubbio che questa possa essere una sanatoria. Il Governo non intende fare sanatorie, perché non rientra nei poteri dell'esecutivo sanare determinati provvedimenti adottati, peraltro, anche da altri ambiti istituzionali; mi riferisco, in particolare, al sistema delle autonomie, che sono in grado di esercitare un'autonomia regolamentare.
Il Governo ha voluto favorire l'emersione di questo tipo di lavoro, che certamente non è in nero - infatti, è stato Pag. 61svolto alla luce del sole -, ma ha una sua connotazione riconducibile a quella degenerazione (di cui tante volte si è parlato) che porta dalla flessibilità verso la precarietà.
Onorevole Baldelli, onorevoli deputati, spesse volte è successo - e lei, onorevole Baldelli, vi ha fatto in qualche modo riferimento nella sua interpellanza - che la stessa amministrazione abbia assunto sotto diverse modalità, a volte addirittura tre o quattro modalità diverse, la stessa persona, che per un anno magari ha svolto l'attività come lavoratore a tempo determinato, poi come procuratore assunto con contratto di formazione e lavoro, poi come LSU e magari, alla fine, anche come lavoratore interinale. Stiamo parlando di pubbliche amministrazioni. Allora, senza accedere ad un'insana tentazione di formulare azioni di carattere generalistico, connotabili come una sanatoria, era - ed è - dovere del Governo portare avanti un'azione anzitutto ricognitiva e, poi, di messa a regime di un contesto che non può essere fatto deteriorare, tenendo anche conto del fatto che, oltre all'aspetto strettamente lavoristico, può esistere anche un aspetto correlato al contenzioso che, più o meno legittimamente, potrebbe essere attivato da quanti dovessero ritenere di essere stati trattati male dall'amministrazione, in violazione delle norme vigenti. Quindi, per ciò che può valere il mio personale parere, benché mi onori, in questa sede, di parlare a nome del Governo, mi permetta di dire - a lei, onorevole Baldelli, ed agli altri firmatari dell'interpellanza - che considero non solo legittime, in quanto declinate in questa sede, ma per certi versi pertinenti (intendendo per valutazioni pertinenti tutte quelle che sono informate alla necessità di chiarire aspetti che non sono del tutto chiari) le preoccupazioni che lei ha manifestato.
Con il suo permesso, signor Presidente, leggerei la relazione, che forse in maniera più puntuale di quanto non abbia fatto finora, vorrebbe rispondere alle domande poste dagli onorevoli interpellanti.
Nell'ambito del generale processo di riorganizzazione della pubblica amministrazione, il Governo non poteva non affrontare anche le problematiche connesse al fenomeno del precariato, che ha ormai raggiunto dimensioni preoccupanti, sia per la sua entità, sia per il protrarsi della sua durata negli anni, tanto da mettere in discussione la stessa ratio ispiratrice di istituti giuridici quali le collaborazioni coordinate e continuative e i contratti a tempo determinato, ossia la necessità di un loro utilizzo limitato, a fronte di esigenze straordinarie. D'altro canto, tale fenomeno riguarda un numero considerevole di giovani che hanno trascorso anni - con grande impegno e sacrificio, senza certezza sul futuro e, in alcuni casi, con uso distorto degli strumenti della flessibilità - al servizio dello Stato e delle sue istituzioni.
La modernizzazione della pubblica amministrazione, che prevede anche l'immissione di forze nuove e qualificate nell'amministrazione stessa, è dunque realizzabile anche attraverso la stabilizzazione della posizione lavorativa dei giovani precari. A tal proposito, la legge finanziaria per l'anno 2007 ha introdotto una serie di norme volte a favorire la stabilizzazione di circa 8 mila unità di personale precario nell'ambito dello Stato, recuperando fondi per un importo pari a 180 milioni. Di tali unità di personale, 6.962 sarebbero stabilizzati con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in corso di registrazione.
In particolare, il comma 519 dell'articolo 1 della legge finanziaria per l'anno 2007 dispone che il personale interessato alla stabilizzazione deve essere in possesso dei seguenti requisiti: essere in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, ed essere stato assunto mediante selezione concorsuale o altra modalità prevista dalla legge.
Qualora le unità in attesa di stabilizzazione fossero state assunte a tempo determinato tramite selezione diversa da quella concorsuale, si rende necessario l'espletamento di apposite prove selettive.Pag. 62
Per i precari non in possesso del requisito del triennio è, comunque, prevista la possibilità di continuare a prestare servizio, in attesa che i posti da loro ricoperti vengano occupati da personale assunto a tempo indeterminato.
Inoltre, ai sensi dei commi 523 e 526, per gli anni 2008 e 2009 tutte le amministrazioni dello Stato, compresi i corpi di polizia e quelli dei vigili del fuoco, le agenzie e le agenzie fiscali, limitatamente al personale non dirigente, possono provvedere a stabilizzare precari che abbiano conseguito tre anni di anzianità di servizio e l'assunzione a termine tramite selezione concorsuale, nella misura del 40 per cento delle cessazioni di rapporti di lavoro dell'anno precedente, nonché ad assunzioni a tempo indeterminato nella misura del 20 per cento delle predette cessazioni.
Al fine di completare questo processo di stabilizzazione, il comma 529 prevede, poi, il riconoscimento del periodo di lavoro già prestato, quale titolo valutabile nell'ambito delle procedure selettive per l'assunzione a tempo determinato. In particolare, per il 2007-2009 le pubbliche amministrazioni - che procedono all'assunzione di personale a tempo determinato - nel bandire le relative prove selettive riservano una quota del 60 per cento del totale dei posti programmati ai soggetti con i quali hanno stipulato uno o più contratti di collaborazione coordinata e continuativa, per la durata complessiva di almeno un anno, raggiunta alla data del 29 settembre 2006, qualora con tali contratti le medesime abbiano fronteggiato esigenze attinenti alle ordinarie attività di servizio.
Analogamente, per quanto concerne le specifiche esigenze del personale degli enti di ricerca, in considerazione della particolare valenza strategica del settore nel contesto dello sviluppo economico e scientifico del paese, il comma 520 prevede la stabilizzazione dei ricercatori e tecnologi degli enti di ricerca, istituendo un apposito fondo con uno stanziamento pari a 20 milioni di euro per il 2007 e a 30 milioni a decorrere dal 2008. In tal modo, è possibile implementare tali professionalità e ridurre nel contempo l'elevato indice di invecchiamento della categoria rispetto al contesto europeo ed internazionale.
Allo stesso modo, con i commi 566 e 940 si provvede, rispettivamente, all'assunzione a tempo indeterminato dei precari degli istituti zooprofilattici e del personale fuori ruolo del Parco nazionale del Gran Sasso e della Maiella.
Al comma 558 vengono poi contemplate apposite forme di sostegno anche per la stabilizzazione del personale delle regioni e degli enti locali, fermo restando il rispetto delle regole del patto di stabilità interno. Inoltre, per i piccoli comuni che hanno carenze nell'organico, il comma 1156 alla lettera f) prevede la possibilità di stabilizzare con le stesse procedure anche soggetti occupati in attività socialmente utili.
Infine, il comma 565 prevede che le regioni, nella definizione degli indirizzi per la predisposizione di un programma annuale di revisione delle consistenze organiche degli enti del Servizio sanitario nazionale, e in particolare per la trasformazione dei rapporti di lavoro precario in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, possono nella loro autonomia far riferimento ai principi fissati dalla medesima legge finanziaria per le amministrazioni centrali.
Tanto rilevato, in merito ai presunti profili di incostituzionalità richiamati dagli onorevoli interpellanti, si sottolinea che in tutte le ipotesi di stabilizzazione di personale precario contemplate dalle citate disposizioni della legge finanziaria 2007 sono comunque previste procedure selettive pubbliche, già espletate, in ossequio ai principi costituzionali in materia, all' ingresso ovvero da espletare successivamente, idonee ad accertare il possesso dei requisiti e competenze funzionali all'assunzione presso la pubblica amministrazione.
Per quanto attiene, poi, al lamentato rischio di una disparità di trattamento, derivante dalla coesistenza di diverse modalità di stabilizzazione del personale precario, si fa presente che la diversità di disciplina è soltanto apparente, in quanto Pag. 63i requisiti che consentono la stabilizzazione sono, in ogni caso, quelli previsti in via generale dal comma 519 e che eventuali asimmetrie rilevate dagli interpellanti o riguardano categorie particolari di lavoratori, per le quali non è prevista l'immediata stabilizzazione, oppure sono dovute alla necessità di assicurare l'autonomia organizzativa di regioni ed enti locali, garantita dalle note disposizioni del titolo V della Costituzione.
Nei confronti di tali enti territoriali, la legge finanziaria può soltanto indicare, infatti, principi generali ai quali i medesimi enti, in virtù dell'autonomia loro riconosciuta dalla Costituzione nella materia in questione, possono fare riferimento nell'adozione della propria disciplina.
Concludo, infine, annunciando che il Governo sta predisponendo un atto di indirizzo volto a chiarire i dubbi interpretativi sorti in merito all'applicazione concreta della nuova disciplina; ciò anche al fine di consentirne una tempestiva ed univoca attuazione. In tal senso, inoltre, è intenzione del ministro per le riforme e le innovazioni istituire un tavolo di concertazione con regioni, enti locali ed organizzazioni sindacali, per avviare un approfondimento al riguardo.
In ogni caso, è intenzione del Governo salvaguardare, nell'ambito della complessa azione di stabilizzazione del personale precario, che comunque avverrà nei tempi previsti dalla legge finanziaria per il 2007, le finalità di operare scelte di qualità e di adottare criteri di selezione rigorosamente improntati al rispetto del principio costituzionale dell'imparzialità. Vi ringrazio.
PRESIDENTE. L'onorevole Baldelli ha facoltà di replicare.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Scanu per la risposta che ci ha fornito ed anche per il fatto che, a differenza del ministro, è venuto qui in aula a controbattere i rilievi che, come egli stesso ha riconosciuto, sono pertinenti e, quindi, comprensibili. Anche se il Governo, evidentemente, non condivide le nostre osservazioni, do atto al sottosegretario Scanu di aver cercato di difendere, anche se con qualche difficoltà, una posizione poco difendibile del Governo.
Chiaramente, mi considero insoddisfatto della risposta: ritengo, infatti, che non sia stata data risposta, tanto sul piano giuridico quanto su quello politico, alle obiezioni di fondo che noi abbiamo mosso. Sottosegretario Scanu, lei giustamente sostiene che la disciplina è volta a stabilizzare persone che sono state chiamate a svolgere un compito. Ma da chi sono state chiamate? Da amministratori, i quali hanno cercato di ampliare i posti delle pubbliche amministrazioni, delle amministrazioni locali, probabilmente in barba alle regole, compresa quella del concorso pubblico. Ciò vuol dire che non sono state assicurate pari opportunità a tutti coloro i quali ambivano ad un posto a tempo indeterminato alle dipendenze delle predette pubbliche amministrazioni. La via maestra, in questi casi, è quella della selezione concorsuale: tutto il resto sono stratagemmi che eludono sia la regola del concorso pubblico sia il blocco delle assunzioni, del turn over.
In buona sostanza, stiamo dando un premio - ricordo che il provvedimento cosiddetto «mille proroghe» ha cancellato la clausola del rispetto del patto di stabilità interno - agli enti locali, ad amministrazioni che erano state poco virtuose ed alle loro guide politiche, le quali non hanno tutelato l'interesse pubblico, l'interesse dei cittadini ad avere maggiori servizi, più ampi orari di apertura degli uffici delle pubbliche amministrazioni, servizi migliori; non hanno tutelato l'interesse pubblico perché hanno assunto i cosiddetti precari.
Un'altra questione va chiarita: il lavoro flessibile in questo paese non è illegale, e non lo dico a lei, ma alla generalità delle forze politiche, in particolare alla sinistra del centrosinistra che parte da un assunto sbagliato. Il lavoro flessibile non è illegale, ma è lecito, legale, disciplinato e peraltro è stato introdotto dal centrosinistra nel corso del precedente, sciagurato Governo Pag. 64Prodi, insieme ai cosiddetti LSU che rappresentano un altro problema che ci ritroviamo ancora oggi, nel 2007, a gestire. Il lavoro flessibile è stato introdotto nella piena legittimità e riformulato dalla cosiddetta legge Biagi.
Il lavoro a tempo determinato non è illegale: chi lavora a tempo determinato con contratto di progetto presso la pubblica amministrazione non è una persona che sta in una situazione drammatica di reato, ma sta facendo un'esperienza presso la pubblica amministrazione che può rivendersi nell'ambito del mercato, se crede di essere competitivo in questo. In caso contrario, decide di fare un concorso, come tutti gli altri.
Ci sono situazioni di effettivo precariato? Dobbiamo sederci ad un tavolo per ragionarci sopra. Ma a questi tavoli non dovete invitare solo i sindacati, ma anche quella parte dell'opposizione che legittimamente sa che c'è un problema e va risolto. Questo problema non è stato risolto dal Parlamento, su indicazione del Governo. Infatti, il Parlamento non l'ha nemmeno visto «di striscio» dal momento che lo avete inserito in un articolo con 1.400 commi che, soltanto a leggerlo, ci sarebbe voluta una settimana! In Senato, invece, lo avete fatto passare con la fiducia in due giorni. Per non parlare delle Commissioni competenti alla Camera, dove i testi sono stati esaminati per qualche ora. Per questo motivo, il Parlamento non ha affatto discusso di questo. È questo il vero problema.
Poi vi è ancora il memorandum che sindacalizza ancor di più il pubblico impiego: il vostro meccanismo concertativo sta regalando al sindacato le carriere dei dirigenti che invece andrebbero responsabilizzati, considerato che sono le figure sulle quali dovrebbe poggiare la responsabilità. Di questo fatto non ha colpa nessuno: sono stati assunti i precari. Di chi è pertanto la responsabilità? Di nessuno! Ma di qualcuno sarà pure la responsabilità di situazioni difficili, di permanenza del cosiddetto precariato, il quale è altro dalla flessibilità!
Guardi, signor sottosegretario, c'è un blog che si sta occupando di questo e che si chiama «vincitoriconcorsi.blogspot.com». Un ragazzo mi scrive: «Onorevole Baldelli, non ho votato per la sua coalizione alle ultime lezioni. Sono uno dei tanti giovani laureati che attende di essere assunto, dopo aver vinto un concorso per un contratto a tempo indeterminato. Circa due mesi fa un mio collega ed amico ha ottenuto un interessante posto di lavoro grazie ad una fortunata coincidenza, in quanto suo padre era compagno di scuola dell'attuale dirigente regionale, eccetera. Si è sempre contenti quando un amico si sistema, ma io ho provato un tantino di amarezza: non ho amici potenti, né genitori con conoscenze in paradiso. Ho vinto un concorso, mi sono classificato ventisettesimo su circa ottomila partecipanti. È stata dura. Mi viene detto «bravo! Meritavi di vincere quel posto», ma ora sono senza un lavoro. Vivo in condizioni umilianti e un costante senso di disperazione accompagna le mie giornate. Ho provato a cercare qualcuno che mi sostenesse, quelli che, come me, attendono un'assunzione dopo aver vinto un concorso. Ma niente: i sindacati difendono i lavoratori, le associazioni di categoria difendono i professionisti; noi vincitori di concorso, in pratica, non esistiamo, non abbiamo diritti. Siamo una categoria scomoda, quella dei laureati meritevoli. La sua interpellanza giunge come un'inaspettata boccata d'aria, mentre si lotta per non annegare. Grazie».
Ora, come questo ragazzo, vi sono circa settantamila vincitori di concorso e settantamila idonei. Noi crediamo che a queste persone si debba dare risposta: inventatevela, ragioniamoci insieme, ma ragioniamoci! Noi abbiamo una pubblica amministrazione che non può diventare una sacca elettorale. Abbiamo quattrocentomila eccedenze riconosciute. Ogni dipendente pubblico costa alle tasche dei cittadini e della collettività circa 33 mila euro l'anno. Con quattrocentomila eccedenze, stiamo parlando di circa 13 miliardi di servizi che non vengono svolti.
Ora qui siamo di fronte ad un pacchetto di altri circa quattrocentomila nuovi assunti, molti dei quali con basse Pag. 65qualifiche e che non rispondono alle esigenze effettive di organico. Parliamoci chiaro! Allora, io penso che ci sia un filo conduttore: quando si comincia a fare una campagna contro il precariato che in realtà intacca la flessibilità; quando si cominciano a minare gli obiettivi della cosiddetta legge Biagi e poi si arriva a programmare una specie di sanatoria come questa, è evidente che probabilmente - e non sarà il volere del sottosegretario Scanu o del ministro Nicolais - qualcuno nel centrosinistra due calcoli se li è fatti.
Se la classe operaia va in paradiso, il nuovo elettorato su cui si vuole puntare è rappresentato dal pubblico impiego, specie dopo l'accordo, come quello del memorandum, in barba alla meritocrazia, di cui si parla maggiormente nel progetto Ichino che, guarda caso, imbarazza gran parte della maggioranza, mettendo in difficoltà il sindacato! Non si trovano certo nel memorandum le parole «meritocrazia» e «mobilità». Ci si riempie solo la bocca di questi termini, ma, nei fatti, si lasciano nella mani della concertazione persino le carriere dei dirigenti che, ripeto, vanno valorizzate. Sembra tanto che questo progetto abbia scopi politici ed elettorali più che scopi di maggiore efficienza della pubblica amministrazione.
La pubblica amministrazione ci sta tanto a cuore che crediamo di dover valorizzare quei moltissimi esponenti delle pubbliche amministrazioni, impiegati, capaci e meritevoli, al pari di quei laureati, capaci e meritevoli, che hanno vinto i concorsi, come avviene in tutte le amministrazioni serie, a partire dalla Camera dei deputati; si svolgono concorsi seri, perché il personale deve essere capace e rappresentare un'iniezione di freschezza, di entusiasmo, di competenze e di dimestichezza con le nuove tecnologie. Le pubbliche amministrazioni del domani devono essere volano di sviluppo, non la palla al piede del paese! Pertanto, solo con questo sistema riusciamo ad essere competitivi in Europa e nei mercati globali, altrimenti continuiamo con la logica del posto fisso a vita e questo non può più accadere!
Allora, lasciamo stare i giovani, perché se l'esempio che diamo è quello del posto pubblico fisso a vita con gli scatti di anzianità, non diamo un buon esempio!
I giovani italiani lo sanno; molti hanno già capito che, per essere competitivi e per andare avanti, si devono rimboccare le maniche, devono studiare ed essere preparati! Non devono essere amici del politico o del sindaco di turno che gli attribuisce posti precari, perché tanto arriva il Governo e sana tutto e tutto si aggiusta!
È una logica devastante e negativa! La meritocrazia è un'altra cosa! Dobbiamo mettercelo in testa, a partire dal ministro Nicolais, che oggi, forse, è impegnato altrove e attribuisce a lei la facoltà di rispondere in questa sede, ma lei non risolve il problema da noi sollevato. È un problema che va affrontato con il Governo!
Si parla di collaborazione; sono stati attivati tavoli di concertazione con tutti, ma dovete dialogare anche con l'opposizione su tale tema! La meritocrazia non può aspettare i comodi di questa maggioranza né le sue esigenze elettorali (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
(Stato dell'iter di ammodernamento della strada statale n. 640 - n. 2-00360)
PRESIDENTE. L'onorevole Misuraca ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00360 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3).
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 16,10)
FILIPPO MISURACA. Signor Presidente, anche se non vorrei creare un precedente, contrariamente al collega Baldelli vorrei invece dichiarare la mia soddisfazione per il fatto che sia il viceministro Capodicasa a rispondere alla mia interpellanza, non solo perché è un mio conterraneo (sono siciliano), ma perché anche a lui, come a me, sta a cuore l'argomento oggetto di questa interpellanza. Pag. 66
In quest'aula si è sempre parlato dell'argomento in questione: il completamento dello scorrimento veloce Agrigento-Caltanissetta, nel cuore della Sicilia. Stiamo parlando di un'arteria estremamente importante non solo per evitare ulteriori perdite di vite umane (è stata definita la strada della morte), ma anche perché è una strada di collegamento tra la Sicilia occidentale e quella orientale, rappresenta dunque un valido strumento per il rilancio e lo sviluppo di quel territorio.
Non voglio parlare dell'intero asse della strada statale 640, ma della parte che va da Canicattì a Caltanissetta e, in modo particolare, all'imbocco con l'autostrada A19: la Catania-Palermo.
Già nel 2003 in questa sede, attraverso una mia interpellanza, era stato trattato lo stesso argomento ed in quella occasione il rappresentante del Governo di allora, il viceministro Tassone, nel fornire la risposta, visto che era caduto il silenzio su quel tratto, aveva affermato che l'Anas annunciava che era in atto una progettazione.
In effetti vi sono stati alcuni adempimenti ben precisi. L'Anas ha reperito i fondi (6 milioni di euro), ha bandito la gara per l'aggiudicazione del progetto e il 5 luglio 2005 questa è stata aggiudicata per la progettazione di quel tratto al raggruppamento di imprese Technital-S.I.S.-Delta-Infratec-Progin.
Diciamo che da quel momento sarebbe dovuta partire subito la progettazione con una tempistica ben precisa. Sono trascorsi sei mesi, stando almeno alle mie informazioni (il viceministro eventualmente mi correggerà) vi è stato un prolungamento dei tempi, ma il completamento della progettazione sarebbe dovuto avvenire comunque entro il 20 febbraio 2006. Abbiamo superato questa data, noi siamo stati tempestivi nel presentare l'interpellanza, la crisi di Governo non ci ha consentito di discuterla subito e la discutiamo quindi oggi, ma lo facciamo senza creare polemica nei confronti dell'attuale Governo. Vogliamo soltanto capire a quale punto sia lo stato di quella progettazione, perché oggi stiamo assistendo in quest'Aula ad un dibattito in cui il collega Baldelli ha fatto riferimento alla disoccupazione dei giovani: io mi riferisco invece alle lacune o alla mancanza di infrastrutture. Se questo è l'esempio e il simbolo del paese ho la netta sensazione che noi siamo messi male.
Nella interpellanza chiediamo lo stato dell'arte e per la prima volta, poiché non ne abbiamo ancora sentito parlare, anche se il viceministro lo ha annunciato più volte, chiediamo anche a quale punto sia il primo tratto Porto Empedocle-Canicattì. Ritengo che dovremmo essere alla gara di appalto, ma vorremmo anche avere notizie più precise circa il secondo tratto riguardante la provincia di Caltanissetta.
Oltre alla progettazione chiediamo al Governo se quest'opera rientri tra quelle principali del Governo Prodi e si ce siano già i finanziamenti. Non voglio anticipare la risposta, ma probabilmente mi si risponderà che prima dei finanziamenti occorre avere il progetto. Voglio però conoscere come saranno trovati i finanziamenti, se quest'opera rientrerà fra quelle primarie.
Queste sono le risposte che noi ci attendiamo, mi auguro che il viceministro Capodicasa, di cui conosco la sensibilità, faccia certamente in modo che si realizzi quest'opera. Attendiamo quindi che ci faccia conoscere la posizione del Governo.
PRESIDENTE. Il viceministro delle infrastrutture, Angelo Capodicasa, ha facoltà di rispondere.
ANGELO CAPODICASA, Viceministro delle infrastrutture. Signor Presidente, vorrei innanzitutto rassicurare l'onorevole Misuraca e gli altri interpellanti che l'itinerario della Agrigento-Caltanissetta fino all'innesto con l'autostrada Palermo-Catania (A 19) risulta incluso tra le opere prioritarie previste nel documento predisposto dal Ministero delle infrastrutture a seguito degli incontri che si sono tenuti con le amministrazioni regionali. Quello con la regione Sicilia, avvenuto il 30 settembre dello scorso anno, ha dato luogo all'accordo di programma quadro, che è stato siglato il 28 dicembre scorso e contiene Pag. 67le opere prioritarie che fanno parte della programmazione in materia di infrastrutture nazionali.
L'opera in questione è inoltre inserita nel primo programma delle infrastrutture strategiche, la famosa delibera n. 121 del 2001 e con la delibera del CIPE n. 156 del 2 dicembre 2005 è stato successivamente approvato con prescrizioni il progetto definitivo del primo lotto Agrigento-Caltanissetta A 19, con adeguamento a quattro corsie della strada statale n. 640 nel tratto che va dal chilometro 9,800 al 44,400, cioè da Agrigento sino a contrada Grottarossa nei pressi di Canicattì. Per la realizzazione di tale intervento con delibera della giunta regionale del 30 marzo 2005 la regione siciliana aveva già destinato 389 milioni di euro, prelevati dalle risorse FAS, assegnate con la delibera CIPE n. 20 del 2004.
Con la delibera CIPE n. 156 del 2 dicembre 2005 è stato assegnato all'ANAS un ulteriore contributo di 205 milioni di euro a completamento del finanziamento dell'opera deliberata dalla regione.
Per quanto concerne i lavori l'ANAS fa sapere che l'infrastruttura, una volta ammodernata, disporrà di due corsie per ogni senso di marcia, spartitraffico centrale e intersezioni a livelli sfalsati. L'intervento risulta suddiviso in due tratti, come ha descritto qui anche l'onorevole Misuraca.
La prima parte è già finanziata. Il secondo tratto è invece in fase di progettazione definitiva. L'ANAS fa sapere che entro il prossimo mese di aprile il progetto andrà all'approvazione del Consiglio di amministrazione della società.
I finanziamenti necessari poi per la realizzazione di questo secondo lotto, stimati in circa 600 milioni di euro, sono in parte ancora da reperire. Dico in parte perché, con atto ricognitivo predisposto dal ministero non più tardi di 48 ore fa, è stato inserito nel piano operativo nazionale reti e mobilità un finanziamento di 83 milioni di euro. Si tratta quindi di un primo finanziamento, che necessiterà poi di ulteriori fondi per circa 517 milioni, per completare l'intero lotto.
Poiché gli interpellanti hanno chiesto spiegazioni e anche rassicurazioni circa la manutenzione della strada nella sua sede attuale, l'ANAS garantisce che comunque nelle more del completamento, provvederà a regolari e costanti interventi di manutenzione sul tratto di strada statale.
Inoltre, ai fini dell'inserimento nella prossima programmazione la direzione regionale dell'ANAS per la Sicilia ha proposto, l'esecuzione di manutenzione straordinaria riguardante il consolidamento strutturale di alcuni viadotti.
Credo quindi che i profili di pericolosità che l'attuale tracciato riveste potranno essere gestiti utilmente attraverso gli interventi di manutenzione straordinaria previsti dall'ANAS nel proprio piano triennale, nelle more che venga realizzato il primo tratto, così come è finanziato, sulla base del bando che è in fase di indizione. Poi, non appena avuta la progettazione del secondo tratto, che sarà approvato entro il mese di aprile dal Consiglio di amministrazione dell'ANAS, si lavorerà per il finanziamento e la definitiva realizzazione di tale secondo tratto.
PRESIDENTE. L'onorevole Misuraca ha facoltà di replicare.
FILIPPO MISURACA. Grazie Presidente. Signor viceministro Capodicasa, non me ne voglia, la mia stima personale nei suoi confronti resterà sempre immutata, però nella sua risposta, almeno nella prima parte, c'è qualcosa che non va. Gli interpellanti non le hanno chiesto di rispondere della Agrigento - Canicattì, perché i casi sono due: o l'amministrazione, quindi gli uffici che le hanno predisposto la risposta, non hanno ben voluto interpretare la nostra interpellanza o, non me ne voglia male, lei ha voluto fare un po' di pubblicità elettorale al suo Governo attraverso questa interpellanza.
Affermo ciò perché, se avessimo dovuto parlare di questo, avrei potuto mostrarle una sua intervista del 22 ottobre 2006, in cui lei dichiara che tra due mesi sarebbero partiti i cantieri.
Il problema non è questo, non la chiamavo per questo, intanto perché questo Governo con le delibere del 2001 e del Pag. 682005, a cui lei faceva riferimento, ha solo ereditato ciò che ha fatto il Governo precedente.
Noi qui stiamo discutendo invece della seconda parte, che è quella della progettazione del tratto che da Canicattì va a Caltanissetta. Le chiedevo e le chiedevamo nella interpellanza se ci siano responsabilità o inadempienze e, in caso affermativo, a carico di chi siano.
C'è stata una omissione, da parte sua, ma credo anche da parte degli uffici, sulla quale noi vigileremo, perché su questo vogliamo chiarezza e non riusciamo a capire perché il progetto non sia stato completato nei tempi.
Per quanto riguarda le disponibilità finanziarie cui lei ha fatto riferimento, vorrei segnalarle che mentre stavamo discutendo in questa sede un dispaccio ANSA ha diffuso una dichiarazione, rilasciata da lei e dal portavoce del ministro Di Pietro, l'onorevole Raiti, in cui avete annunciato finanziamenti consistenti a favore del Mezzogiorno.
Non so se gli 83 milioni di euro cui lei ha fatto riferimento, signor viceministro, concernano una delle quattro aree (in modo particolare, i 1,219 miliardi di euro a favore dei sistemi stradali). Forse saranno reperiti da questo «capitolo», tuttavia, signor viceministro, se questo elemento viene effettivamente considerato indispensabile per il rilancio di quel territorio, mi domando allora perché non si debba condurre una battaglia insieme ai siciliani (ricordo che io sono agrigentino, mentre lei è nisseno) per ricordare che si tratta di una strada, che in trent'anni ha provocato 500 morti e 9 mila feriti e che impedisce il decollo di un'area, il cui sviluppo necessariamente passa attraverso il potenziamento delle arterie viarie. A tale proposito, desidero complimentarmi con i rappresentanti dell'area di sviluppo industriale di Caltanissetta, i quali sono riusciti a far approvare il piano regolatore: si tratta, infatti, di una circostanza non comune per le aree interne della Sicilia. La realizzazione di questa rete viaria, dunque, consentirebbe il rilancio delle zone interne.
Allora, signor viceministro, non posso dichiararmi soddisfatto, perché la sua risposta è stata omissiva in ordine alle responsabilità della progettazione e, se mi consente, anche enormemente deludente per quanto riguarda il reperimento dei fondi. Non eravate proprio voi ad affermare che le risorse per la costruzione del ponte sullo Stretto avrebbero dovuto essere destinate anche alla realizzazione di tali opere?
Ci avete promesso soltanto 350 milioni di euro in tre anni, per la realizzazione delle strade provinciali. Vorrei che si facesse chiarezza anche su tale aspetto: queste, infatti, erano risorse finanziarie che già appartenevano alla Sicilia, poiché erano destinate al fondo per le aree sottoutilizzate. Allora, non c'è nessuna beneficenza!
Mi aspettavo, invece, uno scatto di orgoglio da parte dei siciliani che partecipano al Governo nazionale. In altri termini, avrei voluto che oggi, signor viceministro, mi avesse fornito una risposta più concreta ed esaustiva. Auspico, invece, che da oggi possa essere profuso un impegno ancora più forte affinché i siciliani possano risultare maggiormente incisivi in questo Esecutivo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Assiste ai nostri lavori, dalle tribune, una classe della scuola media «Donatello» di Ancona. La Presidenza e l'Assemblea la salutano (Applausi).
(Iniziative a favore del leader del movimento per l'emancipazione del delta del Niger detenuto nelle carceri della Nigeria - n. 2-00378)
PRESIDENTE. L'onorevole Reina ha facoltà di illustrare l'interpellanza Oliva n. 2-00378 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4), di cui è cofirmatario.
GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, rilevo innanzitutto che l'interpellanza in oggetto, che ho presentato assieme ad altri colleghi e che stiamo svolgendo Pag. 69questa sera, in realtà avrebbe dovuto essere promossa in un lasso di tempo precedente a quello odierno. Ciò perché tale atto di sindacato ispettivo viene iscritto «d'ufficio», per così dire, nel contesto più ampio della problematica degli impianti petroliferi che operano nel nostro paese (segnatamente, nel Meridione, ed in particolare a Gela, in Sicilia).
In tale area, come abbiamo avuto già modo di osservare in altre circostanze, l'ENI-Agip possiede un impianto petrolchimico. Tale società, per rendere attivo lo stesso impianto, utilizza quale combustibile della centrale termoelettrica il pet coke. Si tratta, per intenderci, di catrame allo stato polveroso, vale a dire quello normalmente utilizzato per bitumare le strade. È, peraltro, l'unico caso in Italia; è l'unico caso legiferato, perché questo Parlamento ha disposto che così fosse. Un unico caso che ha sollevato tanto clamore, perché sulla questione, più volte, l'ENI si è espressa più o meno in questi termini: se volete che continuiamo ad esercitare una funzione a Gela, se i lavoratori non devono perdere il posto di lavoro, dovete accettare che la centrale termoelettrica che serve al funzionamento dell'intero impianto continui ad essere alimentata da questo tipo di combustibile.
Quindi, una sorta di ricatto incredibile, oseremmo dire ignobile, peraltro anche assurdo. Infatti, vorremmo capire cosa farà l'ENI, nel momento in cui dovesse dismettere l'impianto, per ricostituire le condizioni ambientali necessarie nell'area che purtroppo ha degradato in tutti questi anni. Quanti soldi dovrebbe spendere?
Nel delta del Niger - questo è il tema dell'interpellanza che abbiamo presentato - insistono i giacimenti petroliferi probabilmente più ricchi dell'intero pianeta. Il delta del Niger si trova nel sud della Nigeria e da molti anni questi giacimenti sono sfruttati da compagnie petrolifere straniere, tra le quali la stessa ENI. Più recentemente, noi italiani abbiamo avuto modo di porre la nostra attenzione su questa problematica in modo indiretto, per vicende certamente gravi e dolorose, come il sequestro dei tecnici italiani. Però, pochi si sono chiesti perché questo sequestro è avvenuto.
Vorrei leggere un articolo apparso su The Times di Londra il 14 maggio dello scorso anno. Ne leggo solo una parte, affinché possiamo meglio comprendere di cosa stiamo parlando: «Brulicante di vita, di uccelli e di pesci, con gigantesche felci e torreggianti mangrovie le cui radici si dividono tra terra e acqua come le gambe di animali dal passo lento, i ruscelli e le paludi del delta del Niger sono collocati sopra una delle più grandi riserve di petrolio del nostro paese: 34 miliardi di barili di oro nero. La regione con un labirinto acquatico che si estende su 50 mila chilometri quadrati nella Nigeria meridionale, è anche la casa di alcuni dei popoli più poveri dell'Africa, e sede della più terribile devastazione ambientale del paese. Ci sono villaggi senza corrente elettrica, senza acqua, privi di ospedali o scuole; ci sono oleodotti che feriscono la terra, chiazze di petrolio che scintillano sui fiumi; fiaccole che ardono chiare e rumorose, bruciando il gas che si spinge verso la superficie assieme al greggio. La maggior parte della gente che vive nel delta è talmente povera, che alcuni sono disposti a rischiare la vita per ottenere una secchiata di carburante. La settimana scorsa, oltre 150 persone sono morte quando un oleodotto alla periferia della città più grande della Nigeria, Lagos, è scoppiato in un'immensa palla di fuoco, lasciandosi dietro decine di cadaveri bruciati in maniera irriconoscibile. La polizia sostiene che lo scoppio fu provocato probabilmente dal vandalismo. L'oleodotto, che scorreva sotto la spiaggia, era stato disseppellito. I ladri lo avevano traforato con piccoli fori per potere sottrarre il carburante. L'oleodotto perdente aveva attirato gli abitanti dei villaggi locali che stavano riempiendo i loro contenitori, quando tutto saltò per aria. La Croce rossa nigeriana ha detto che l'esplosione ha dato fuoco a centinaia di latte piene di carburante».
In Nigeria si vive con meno di un dollaro al giorno facendo un duro lavoro. Pag. 70Fra le compagnie petrolifere che lavorano in quel paese c'è anche l'ENI. I guerriglieri del Mend, l'ultima forma di ribellione che questo popolo riesce ad esprimere rispetto alle condizioni nelle quali vive, non rapiscono per ottenere denaro. L'Agip ci ha provato e lo hanno denunciato anche loro, così come fanno anche tutti gli altri. Non mi riferisco al Governo italiano, ma all'Agip. Ci ha provato, ma i guerriglieri non chiedono soldi. Le guardie che controllano i poveri sequestrati non sanno cosa farsene del denaro. Essi chiedono che il popolo abbia quelle scuole, quelle strade, quegli ospedali che sono stati loro promessi dalle compagnie petrolifere con l'avallo del loro Governo, che di fatto è a totale copertura dell'attività di queste multinazionali. Quindi, chiedono di poter compartecipare allo sviluppo del paese, a quella ricchezza che hanno sotto i piedi, che appartiene a loro, ma la cui proprietà formale è di altra gente e di altri soggetti, ovvero le compagnie petrolifere.
In carcere langue un uomo, Asari, per il quale chiediamo provocatoriamente che il Governo italiano si faccia carico per il riconoscimento della cittadinanza italiana. Fino al momento in cui abbiamo presentato questa interpellanza, Asari viveva in carcere, in una situazione di restrizione personale che va oltre l'immaginabile. Pochi riescono ad avvicinarlo e certamente non i giornalisti che rischiano la vita. Non si sa quale fine farà questa persona né si conosce altro di questo popolo se non quello che viene lentamente reso noto tramite i comunicati che certa stampa addomesticata dà sulla situazione della Nigeria.
Signor Presidente, signor ministro (in questa sede rappresentato dal viceministro), noi siciliani siamo come quei popoli della Nigeria. Basta osservare quello che accade a Gela e il modo in cui l'ENI tratta i gelesi, i siciliani e in definitiva gli italiani, senza che nessuno abbia il coraggio morale, civile e - io dico - cristiano di inchiodarlo alle sue responsabilità. Noi ci sentiamo affratellati con questo popolo che lotta, perché rinveniamo nelle condizioni in cui vengono trattati la triste situazione in cui in qualche modo è stato gettato il sud, dall'unità d'Italia fino ad oggi. Abbiamo pagato questa unità con prezzi elevatissimi, soprattutto noi meridionali.
L'ho detto in un'altra circostanza, mi piace ricordarlo in questa e lo dirò anche altrove. Andate nei sacrari della patria ed osservate bene quanti sono i cognomi di origine siciliana, calabrese, pugliese e meridionale in genere di tutti i caduti, ricordati all'interno di tali strutture. Scoprirete che un intero popolo del meridione ha offerto la propria vita per l'unità di questo Paese, un popolo che non è stato ripagato per nulla o con molto poco rispetto alle speranze ed alle aspettative che nutriva nello Stato unitario.
Anche Mattei in qualche modo illuse il popolo siciliano sulle grandi prospettive di sviluppo che si sarebbero avute con le centrali petrolchimiche, quelle di trasformazione del greggio, raffinerie e quant'altro. Anche i nigeriani di volta in volta sono illusi sul fatto che la loro condizione di vita ed il loro sviluppo possano un giorno raggiungere i livelli delle cosiddette civiltà evolute.
Ribadisco ancora una volta che tra queste civiltà vi è anche la nostra, la civiltà italiana, che pure una parola diversa da quella degli altri popoli occidentali ambisce a dirla. Basta sentire e seguire i grandi dibattiti, che si fanno anche in questi giorni in Parlamento. Questa grande democrazia che permette ad una propaggine delle proprie attività di esercitare ruoli altrove, che mal si addicono alla sua storia, ai suoi principi, alla sua funzione - o almeno a quella a cui si ispira -, che dovrebbe avere nel contesto della comunità internazionale. Noi non ci occupiamo della Shell o di altre compagnie petrolifere, tuttavia chiediamo che il Governo italiano intervenga sicuramente sull'ENI-Agip e che in qualche modo abbia piena consapevolezza di quello che accade, perché se a Gela l'ENI non ha alcuna remora nel consentire che il pet coke venga utilizzato, avvelenando la vita della gente e degradando l'ambiente in maniera insostenibile, non vedo quali remore Pag. 71debba avere o quali controlli possa subire quando agisce in una nazione come la Nigeria, visto che, da quello che è dato vedere e constatare ed anche dai tanti documenti che è possibile rinvenire su internet o leggendo la stampa estera, ciò risulta avvenire.
Chiedo pertanto che il Governo dica la propria in maniera netta e che ricostruisca la credibilità del nostro paese come un paese dove i diritti civili sono garantiti e dove la dignità dell'uomo è posta come elemento fondante della vita sociale, politica e civile.
Quindi chiedo che il Governo riconosca di dover dare la cittadinanza onoraria ad Asari e promuova un'azione nei confronti dell'ENI, che, lo ribadiamo, anche se è una società di capitali - l'ho detto anche altre volte -, essa è però controllata al 30,30 per cento direttamente ed indirettamente dal Ministero dell'economia e delle finanze (Applausi del deputato Khalil).
PRESIDENTE. Il viceministro degli affari esteri, Patrizia Sentinelli, ha facoltà di rispondere.
PATRIZIA SENTINELLI, Viceministro degli affari esteri. Per inquadrare la problematica richiamata dall'onorevole interpellante, occorre tener presente a nostro avviso che, fin dalla sua indipendenza, ottenuta nel 1960, la Nigeria si è trovata ad affrontare sfide imponenti. La prima, in particolare, è stata quella di integrare in un contesto unitario nazionale di tipo federale circa 300 gruppi etnici, soprattutto due grandi componenti socio-culturali: quella musulmana, esistente prevalentemente nel nord del paese, da cui proviene gran parte della sua casta militare, e quella cristiana, prevalentemente nel sud. La seconda sfida, altrettanto importante, è stata quella di superare una situazione di endemico sottosviluppo economico, provando a migliorare il tenore di vita delle popolazioni locali.
Queste sfide e le difficoltà grandi nel farvi fronte sono all'origine dei problemi politici e sociali che contraddistinguono questo travagliato paese ed hanno prodotto, negli ultimi tempi, certamente un deterioramento della situazione della sicurezza nel Delta del Niger, sede appunto, come è stato richiamato, dei maggiori impianti per l'estrazione petrolifera. Il Mend nasce come movimento di opposizione al progressivo degrado delle condizioni di vita delle popolazioni locali ed allo sfruttamento dell'ambiente naturale da parte delle multinazionali straniere impegnate nell'estrazione del petrolio della regione. Esso fonda le proprie radici nell'attivismo di quei movimenti che nel corso degli ultimi venti anni hanno lottato dapprima con metodi non violenti, poi con azioni armate. Il Mend è formato da un ristretto nucleo di persone che coordina, dall'esterno, le azioni di milizie indipendenti e attive nell'area (ci risultano circa una decina di gruppi), fornendo loro un certo quadro di riferimento ideologico. A tali milizie, impegnate nelle azioni di sabotaggio degli impianti e di sequestro dei lavoratori colà occupati, si aggiungono spesso anche, per così dire, bande di criminali comuni, che trovano il loro humus nello stato di insicurezza della regione.
Il MEND ha rivendicato numerosi attacchi alle compagnie petrolifere operanti in Nigeria. Tra le richieste avanzate al Governo nigeriano vi è anche quella di liberare due dei suoi leader storici attualmente detenuti in carcere, cui l'interpellanza fa riferimento: Mujahid Dokubo-Asari e Diepreye Alamieyeseigha, ex governatore dello Stato di Bayelsa, arrestato con l'accusa di corruzione.
Il Mend sembra non volersi dotare di una vera e propria scala gerarchica e, conseguentemente, riesce ad essere poco vulnerabile ad eventuali arresti dei suoi membri o a perdite di cellule operanti sul territorio.
Come menzionato nel testo dell'interpellanza, uno dei suoi leader, Mujahid Asari, è tuttora detenuto per le sue attività considerate separatiste ed eversive, ed è stato condannato nel 2005 per oltraggio all'unità nazionale e tradimento nei confronti dello Stato nigeriano.Pag. 72
Gli attacchi armati promossi dal Mend sono sostanzialmente più sofisticati di quelli di altri gruppi militanti che pure operano nel delta del Niger, includendo vere e proprie tecniche di guerriglia, tra cui manovre di accerchiamento con veloci barche nelle paludi del delta. Unità multiple e facilmente manovrabili hanno provocato notevoli difficoltà ai sistemi difensivi del Governo e delle varie compagnie petrolifere.
L'addestramento nel combattimento ed nell'uso delle armi da fuoco ha poi radicalmente innalzato le potenzialità del gruppo, come dimostrano numerosi episodi in cui i guerriglieri sono stati in grado di sopraffare sia il personale della sicurezza addestrato dalle compagnie petrolifere sia le unità d'elite dell'esercito nigeriano.
Non vi è dubbio che lo scontro in atto nella zona del delta del Niger crei un contesto difficile sotto il profilo dei diritti umani. Tale profilo richiede un'attenzione crescente da parte del nostro Governo che deve intervenire - lo affermo in modo chiaro - anche attivando le necessarie ed opportune iniziative di confronto con la stessa nostra compagnia petrolifera.
Nondimeno, nell'analisi dei capi missione dell'Unione europea ad Abuja, la Nigeria viene comunque descritta come un paese impegnato nel tentativo di diffondere e consolidare la tutela dei diritti umani, in linea con il proprio status di membro del Consiglio dei diritti umani (con un mandato triennale, 2006-2009).
Va tenuto presente, a questo proposito, che la Nigeria ha ratificato i principali trattati sui diritti umani sia regionali sia universali e collabora con gli special rapporteur delle Nazioni Unite.
Certo, ciò non ci tranquillizza né sul versante politico né su quello istituzionale: molto resta ancora da fare. Il fatto che il quadro giuridico in materia di diritti umani sia sostanzialmente soddisfacente dal punto di vista della dichiarazione dello stato di fatto non impedisce, infatti, che, all'atto pratico, si registrino una serie di gravi violazioni dei diritti umani, da ascriversi anche alle inefficienze presenti nel sistema giudiziario.
Vengono registrati in particolare fenomeni quali sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali, detenzioni arbitrarie ed altri abusi da parte delle forze governative.
A questo proposito, la tornata di passi ufficiali, che l'Unione europea ha svolto nel 2006 in vari paesi sulla tortura e i trattamenti degradanti, ha toccato anche la Nigeria.
Per quanto riguarda lo specifico punto sollevato con l'interpellanza, ossia la tutela di coloro che si trovano in stato di detenzione nelle carceri nigeriane, va registrato che dal 1995 esiste una Commissione nazionale per i diritti umani, il cui mandato è di promuovere, proteggere, investigare e documentare casi di violazione dei diritti umani ed assistere le vittime in cerca di riparazione.
Anche questo non ci esime dal dire che ci sono ancora casi, come quello che viene denunciato, molto seri e preoccupanti.
La Commissione, affiancata da altre agenzie governative e non governative, si è impegnata in programmi volti ad istruire il personale delle carceri, nonché quello militare e delle forze di polizia, circa i loro obblighi relativi al rispetto dei diritti umani.
A livello operativo, l'Italia sostiene i diritti umani e la democratizzazione in Nigeria, non solo a livello generale di indicazione politica, ma anche attraverso uno strumento finalizzato allo scopo, ossia lo Strumento europeo per la democrazia ed i diritti umani (EIDHR), e il Fondo europeo di sviluppo per la democratizzazione (EDF).
Tale strategia fa leva anche sull'insieme della società civile nigeriana, molto attiva - vorrei ricordarlo con particolare riguardo - con un centinaio di ONG che, pur in condizioni molto difficili, per le questioni che sono già state richiamate, sono impegnate su una vasta gamma di settori. Noi siamo interessati e disponibili ulteriormente a sostenerli, anche con iniziative finanziarie, proprio per promuovere quello sviluppo e quella soddisfazione Pag. 73delle esigenze che sono state richiamate nell'interpellanza e che ci toccano profondamente come paese. Resta dunque un'ingiustizia da colmare.
In cifre, tra il 2003 e il 2005 l'Unione europea ha speso oltre 9,5 milioni di euro in progetti EIDHR, indirizzati, tra l'altro, ai diritti delle persone in carcere, alla diffusione di informazioni in materia di diritti umani, ai diritti umani delle donne, all'educazione civica ed al monitoraggio elettorale. La situazione resta molto complessa e difficile; ci sembra, in tutta onestà, politica e intellettuale, che ce ne stiamo occupando.
PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'Istituto comprensivo Giulio Cesare di Osimo, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
L'onorevole Reina ha facoltà di replicare.
GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, innanzitutto ringrazio il sottosegretario, perché ho apprezzato molto la risposta che ci ha fornito. Tuttavia, mi sono dovute alcune brevi considerazioni.
È stato detto che esistono bande di delinquenza comune che si aggregano al Mend. Francamente, prima di tutto da borghese, ma - se volete - soprattutto da cristiano e non da rivoluzionario, mi riesce difficile capire il significato del termine «delinquenza comune» in un paese che ha un sottosuolo ricchissimo, ma la cui popolazione è priva delle più elementari e dignitose condizioni di vita e in cui si vive quasi con meno di un dollaro al giorno. Che significato ha parlare di bande di delinquenti?
Credo che quel popolo abbia innanzitutto l'esigenza di affacciarsi alla storia con la dignità che gli compete come qualsiasi altro popolo. Quindi, ricuso il termine di bande criminali organizzate o delinquenziali. Quel popolo lotta per avere diritto al riconoscimento della propria esistenza in quanto tale e noi abbiamo il dovere di aiutarlo ad emanciparsi, non attraverso la carità pelosa, ossia i soldi dati per liberare i nostri connazionali che, purtroppo, si trovano in quelle condizioni, ma attraverso quegli strumenti che permettano loro l'emancipazione e lo sviluppo e costringendo coloro che, per nostro conto, operano in quell'area ad adottare criteri e sistemi che siano identici a quelli che si adottano in Italia. Non mi riferisco alla Sicilia e a Gela, perché su questo le nostre posizioni sono divergenti, ma alle altre sei parti del paese, visto che sono sette gli impianti dell'ENI di un certo tipo.
Non mi è stata data risposta in ordine alla questione più importante, che ribadisco e sottopongo nuovamente al Governo: ad Asari deve essere riconosciuta la cittadinanza italiana e deve essere messo nella condizione concreta - facciamolo noi questo passo se altri della comunità internazionale non intendono farlo - di poter interloquire con il mondo intero. Desidero ricordare, tra le tante cose veramente simpatiche che si leggono attorno a tale questione, che il Governo della Nigeria riceve armi dalla Russia e, informalmente, da alcuni Governi europei. Nel marzo del 2003 gli Stati Uniti hanno sospeso i loro aiuti militari alla Nigeria per l'opposizione del paese alla guerra in Iraq (in una cosa almeno hanno fatto bene). Nonostante questo, le compagnie petrolifere operanti nel delta sono accusate di armare milizie private per difendere gli impianti e via dicendo.
Dovendo affrontare una problematica così complessa, entreremmo in un mondo rispetto al quale occorre molto più di una interpellanza e di un semplice dibattito in Parlamento per capire come vengono articolate tante questioni. Una cosa è certa, signor sottosegretario: la ringrazio, ma, per ritenerci realmente soddisfatti, attendiamo passi concreti per il riconoscimento della cittadinanza italiana ad Asari e rispetto al suo passaggio, che ho molto apprezzato, su una diversa forma di controllo da parte dello Stato e, quindi, del Governo sull'ENI. Noi abbiamo bisogno di questo più di qualsiasi altra cosa, abbiamo bisogno che tutto venga ricondotto in una condizione di controllo perché una democrazia perde la sua connotazione quando perde la sua capacità di controllo all'interno. Pag. 74Termino il mio intervento ricordando che una democrazia che vuole andare speditamente, che cerca di superare gli ostacoli interni con facilità, che vuole semplificare i suoi processi e le sue procedure, è sicuramente destinata - così la storia ci ha consegnato tante altre civiltà - ad involversi e ad autodistruggersi. La democrazia è per sua natura complessa, difficile, faticosa perché è l'esempio di governo più vicino all'uomo, che per sua natura è complesso e difficile.
Dobbiamo batterci per questo; dobbiamo batterci per aiutare i popoli della Nigeria a superare la loro condizione: riconosciamo ad Asari la cittadinanza italiana.
(Qualità dei servizi offerti dalle Ferrovie dello Stato nell'area dello Stretto di Messina - n. 2-00353)
PRESIDENTE. L'onorevole D'Alia ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00353 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, signor sottosegretario, all'indomani della tragedia del mezzo veloce delle Ferrovie dello Stato, il Segesta, nello stretto di Messina, abbiamo assistito alla visita nella città di Messina del ministro per i trasporti, il professor Bianchi. In quella circostanza, forse per cercare di attenuare il dolore delle famiglie e il cordoglio della città rispetto a quella vicenda drammatica, il ministro dichiarò che il Governo avrebbe sostenuto un'azione di rafforzamento della sicurezza nell'area dello Stretto e che avrebbe manifestato concretamente maggiore attenzione ai problemi legati al trasporto delle persone e delle merci in questa area strategica del nostro paese.
La prima risposta concreta che è arrivata dalle Ferrovie dello Stato, in realtà, è di segno totalmente opposto. Infatti, come specifichiamo nell'interpellanza, il 1o febbraio 2007, Rete ferroviaria italiana ha disposto l'applicazione di nuove tabelle d'armamento per due navi, la Riace e l'Enotria, riducendo a sette unità gli equipaggi. La stessa cosa è avvenuta per le navi Budelli e Razzoli (tali navi solcano lo Stretto da tantissimi decenni e meriterebbero di essere non manutenute, ma esposte in un museo delle arti marinare dal momento che costa di più manutenerle che acquistarne delle nuove).
Tale decisione è emblematica del modo, datato nel tempo (mi riferisco almeno all'ultimo decennio), con cui le Ferrovie dello Stato in generale, la società Rete ferroviaria italiana in particolare ed il settore navigazione delle Ferrovie dello Stato, hanno affrontato il problema dell'area integrata dello Stretto e del trasporto in quest'area strategica.
Vorrei citarle qualche altro dato specifico, per conoscere la gravità di ciò che sta avvenendo e del comportamento delle Ferrovie dello Stato che è assolutamente inqualificabile. La società è riuscita a mobilitare non solo le organizzazioni sindacali, che anche oggi occupano gli uffici navigazione delle Ferrovie dello Stato, ma anche tutte le forze politiche regionali di centrodestra e di centrosinistra e - udite udite! - a far sì che il partito dei Comunisti italiani, partito che esprime il ministro dei trasporti, legato alla Calabria, sottoscrivesse un documento contro il suo ministro, proprio per le omissioni nell'attività del Governo rispetto alle Ferrovie dello Stato.
Le vorrei ricordare, ad esempio, che la decisione della Rete ferroviaria italiana determina un'ulteriore riduzione del livello occupazionale di 94 unità. La cosa ancora più grave è che questa decisione avviene nonostante il TAR nel 2005 abbia sospeso, con proprio provvedimento, il tentativo che già in precedenza la Rete ferroviaria italiana aveva fatto di ridurre le tabelle di armamento, con una motivazione che credo debba essere approfondita dal Governo, perché rischia di avere anche un rilievo non solo politico ed amministrativo, ma anche di natura penale.
Infatti, il TAR, in quella decisione, ha ritenuto che il taglio di queste tabelle di armamento e dell'unità degli equipaggi Pag. 75della Rete ferroviaria italiana non avrebbe consentito di rispettare gli standard minimi di sicurezza della navigazione.
Aggiungo, per fornire qualche dato più specifico, che, in questi anni, i livelli occupazionali nel settore della navigazione nello Stretto sono scesi da 1.800 unità a circa 600 unità. Cosa è cresciuto? L'efficienza del servizio? La liberalizzazione di questo servizio o di servizi o la navigazione dello Stretto? Vi è stata la privatizzazione di questo servizio? È cresciuta la tutela del cittadino consumatore che quotidianamente attraversa le due sponde per andare a lavorare? È cresciuta la tutela dei soggetti che operano nel trasporto delle merci? No, è cresciuta solo una cosa: il costo del biglietto di trasporto. In questi anni, il costo del biglietto è cresciuto del 33 per cento, senza che a tutto questo si sia accompagnata una migliore qualità dei servizi.
Vorrei aggiungere, signor sottosegretario, che tutto ciò si inserisce in un contesto in cui il precedente Governo, con decisione molto saggia, aveva avviato la realizzazione degli approdi nella città di Messina fuori del centro abitato, i cosiddetti approdi di Tremestieri. Tutto ciò avrebbe dovuto comportare un adeguamento non solo da parte dei privati che operano nello Stretto, ma soprattutto da parte di Ferrovie dello Stato, della flotta e dell'organizzazione del servizio. Tutto ciò non solo non è avvenuto, ma abbiamo assistito, in questo arco di tempo, ad una riduzione da parte delle Ferrovie dello Stato delle corse relative al trasporto dei veicoli su gomma, con un «taglio» del personale sulle zattere che passa da 5 a 4 unità. Tutto ciò, ad esempio, porta anche a vicende di natura esilarante: i cittadini ed i colleghi parlamentari ricorderanno lo scandalo delle carrozze delle Ferrovie dello Stato sporche, delle zecche ed altro. In seguito a tale vicenda, prese avvio una grande operazione di immagine di Ferrovie dello Stato, denominata «operazione decoro». Quest'operazione serviva, ad esempio, ad affrontare la grave crisi delle pulizie dei treni. Cos'è successo in tale circostanza,? Le Ferrovie dello Stato hanno tolto dalla circolazione una serie di vetture per bonificarle e pulirle. Benissimo, l'unico risultato che è stato prodotto in Sicilia da questa operazione «indecoro», come la chiamerei io, è stata la soppressione di una serie di treni siciliani. Quindi, se volessimo prenderla a ridere, potremmo chiamarla un'operazione radicale: poiché le vetture sono sporche le togliamo di mezzo e non se ne parla più!
Le ho voluto fare questi esempi, signor sottosegretario, solo per comprendere in quale stato ed a quale livello di gravità ci troviamo nell'area dello Stretto ed anche perché ci si renda conto che l'arroganza con la quale il settore navigazione delle Ferrovie dello Stato e della Rete ferroviaria italiana si muovono, non tanto nelle relazioni sindacali - perché ciò fa parte delle legittime regole del gioco - ma nei confronti degli utenti, dei cittadini siciliani, messinesi e calabresi, offrendo loro un servizio sempre più scadente e costringendoli a rivolgersi ai privati, con costi e tariffe di gran lunga superiori, sono, sotto il profilo politico, un comportamento ed una politica assolutamente criminale per l'area dello Stretto, non più sopportabile.
Onorevoli colleghi, considerate, infatti, che il livello delle tensioni sociali sta crescendo anche nella città di Messina. È di oggi, giorno della festa della donna, ad esempio, la notizia di una lavoratrice, signora Antonia Giacobello, madre di due figli, di 3 e 9 anni, che ha iniziato lo sciopero della fame, perché l'assenza di risposte, l'atteggiamento supponente, insipiente, arrogante ed ignorante di questi signori sta determinando una crescita dello stato di insofferenza che giustamente verrà scaricato sul Governo nazionale, perché le Ferrovie dello Stato, è noto, ancorché si parli di società privata, con rimborsi e ripiani dei deficit a pie' di lista da parte dello Stato, è sempre un'articolazione della nostra beneamata nazione, del nostro Stato. Su questo punto vorrei aggiungere che vi è un'altra circostanza di una gravità estrema e credo che di quest'ultima debba occuparsi, oltre che la procura della Repubblica competente, anche l'antitrust: sull'approdo di Tremestieri, Pag. 76è notizia anch'essa di oggi, la Rete ferroviaria italiana ed i vettori privati che operano, nell'area dello Stretto, hanno stabilito in tale settore di costituire una società per la gestione a terra degli approdi e del servizio. Stiamo parlando di soggetti privati, o presunti tali, che dovrebbero operare in concorrenza sul mercato della navigazione nello Stretto e che, tuttavia, costituiscono insieme un'unica società per gestire i sistemi degli approdi a terra.
Mi sembra una cosa anomala, una cosa che le Ferrovie dello Stato non possono consentire, ma se mi consente, signor sottosegretario, anche per la stima che ho nei suoi confronti, che questo Governo non può consentire, soprattutto perché, dopo la scelta di non considerare più una priorità il ponte sullo Stretto, non può più essere consentito - e lei sa meglio di me ciò a cui mi riferisco - alle Ferrovie dello Stato di dire che non intende investire risorse nell'area dello Stretto né sotto il profilo delle navi e degli armamenti né sotto il profilo dell'ammodernamento delle infrastrutture né sotto quello dell'investimento sui mezzi siciliani e calabresi, perché non vi è più l'attrattiva del Ponte sullo Stretto.
Io credo che tutte queste circostanze messe assieme debbano far focalizzare l'attenzione del Governo su provvedimenti drastici, decisi, perché altrimenti il rischio è la protesta dei cittadini messinesi e calabresi nei confronti delle Ferrovie dello Stato, oltre a quella legittima dei lavoratori del settore. Ormai i precari in questo settore sono diventati il 15 per cento con scoperture di organico allucinanti, e però il Governo assume precari nella pubblica amministrazione. Mentre qui parliamo di persone che fanno il loro mestiere, che hanno una specializzazione e che costituiscono una risorsa umana e lavorativa specializzata, quelli no, quelli invece li teniamo a cottimo, facendoli magari assumere sotto banco, al nero, dagli imprenditori privati: è questo un modo indecente che non può più essere sopportato e sul quale mi auguro vi sia una risposta chiara da parte del Governo.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i trasporti, Raffaele Gentile, ha facoltà di rispondere.
RAFFAELE GENTILE, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Penso che sia necessaria una premessa, se mi è consentito. Relativamente all'interpellanza, si dà una risposta in merito alle situazioni di fatto, così come vengono descritte. Resta aperta la problematica che attiene all'area dello Stretto, che richiede risposte politiche e istituzionali di più ampio respiro e che devono essere anche accompagnate da un'ampia consultazione, da un grado elevato di ascolto delle esigenze del territorio.
Le informazioni che darò - lo ripeto - sono quindi attinenti alle domande poste nell'interpellanza, ma rimane il problema politico, rispetto al quale il Governo e la maggioranza, con il concorso di tutte le forze politiche, sono sicuramente chiamati a dare una risposta, perché obiettivamente il crescere delle tensioni è esattamente commisurato al crescere dei problemi che nell'area si stanno evidenziando e di cui il Governo è assolutamente consapevole.
La risposta all'interpellanza urgente si basa sulle informazioni assunte attraverso Rete Ferroviaria Italiana Spa. L'interpellanza è incentrata, infatti, su problematiche relative al settore della navigazione di Rete Ferroviaria Italiana Spa, con particolare riferimento alla riduzione del servizio, alla riduzione degli equipaggi e alla necessità di un servizio rispondente alle esigenze dell'utenza.
L'intera flotta di Rete Ferroviaria Italiana risponde a requisiti tecnici previsti dalla normativa vigente. Infatti, ogni nave, sottoposta al controllo del RINA e delle autorità marittime, possiede la necessaria certificazione che ne attesta l'idoneità e la navigabilità.
In particolare, sia la flotta sia l'organizzazione aziendale sono certificate Safety Management System (SMS).
Tutte le navi ciclicamente effettuano lavori di manutenzione tali da garantire la conferma in classe delle unità e da soddisfare Pag. 77le esigenze tecnico-commerciali richieste per le rispettive tipologie di trasporto.
Per quanto riguarda l'argomento principale dell'interpellanza, cioè le tabelle di armamento delle unità navali, che costituiscono il documento ufficiale e definitivo emanato dallo Stato di bandiera, in applicazione di quanto previsto dalla Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, risulta che esse sono in linea con le normative.
Come è noto, si tratta di un documento riconosciuto a livello internazionale, con il quale l'amministrazione marittima certifica che la composizione minima di sicurezza della nave, determinata in base alle caratteristiche tecnico-operative ed alla tipologia del servizio svolto, è conforme alle disposizioni previste in ambito internazionale.
Il Ministero dei trasporti, in considerazione della molteplicità degli aspetti previsti nelle norme, ha ritenuto necessario avviare un processo di standardizzazione del procedimento tecnico-amministrativo al fine di ottenere una omogeneizzazione delle tabelle di armamento per tipologie di unità similari.
Nel dettaglio, per quanto riguarda le tabelle di armamento delle unità navali di Rete Ferroviaria Italiana Spa, le unità denominate Riace ed Enotria hanno tabelle minime definite, approvate dal Ministero dei trasporti nel dicembre 2004, che prevedono una composizione di equipaggio pari a 10 persone per un trasporto di passeggeri sino ad un massimo di 300 persone.
Sulla base delle necessità evidenziate - l'omogeneizzazione delle tabelle di armamento delle unità che operano nello stretto di Messina - e tenuto conto dell'attivazione del terminal di Tremestieri, l'autorità marittima ha avviato la procedura di consultazione con i soggetti interessati, prevista dal codice della navigazione.
Le proposte di tabelle di armamento e di tutti i traghetti operanti nell'area sono, attualmente, in corso di valutazione ai fini del rilascio della certificazione definitiva.
A tale riguardo, è opportuno evidenziare che, per quanto riguarda la composizione numerica, le tabelle provvisorie proposte per le unità Riace ed Enotria e Budelli e Razzoli, di proprietà di Rete Ferroviaria Italiana Spa, sono similari ed omogenee alle tabelle proposte per le unità traghetto con caratteristiche similari delle altre società private che operano nell'area.
Inoltre, la composizione numerica individuata è da intendersi riferita e valida esclusivamente alle condizioni operative di navigazione tra i porti di Villa San Giovanni e Messina per il servizio di trasporto veicoli gommati e di passeggeri fino ad un numero massimo di 40 persone per ogni turno di otto ore di lavoro.
Allo stato attuale, il servizio di traghettamento del settore navigazione di Rete Ferroviaria Italiana Spa nello stretto di Messina copre tre tipologie di trasporto. La prima è il traghettamento di materiale ferroviario, comprendente carrozze viaggiatori e carri merci, assicurato con cinque unità navali denominate navi a quattro binari, delle quali tre sono in esercizio e le rimanenti ferme per manutenzione o per riserva. Tre di queste unità sono state costruite negli anni Settanta e presentano segni di obsolescenza, ancorché in perfette condizioni manutentive ed in classe per il tipo di navigazione effettuata. In risposta a quanto richiesto si prevede (capisco che la risposta è generica ma non è stato possibile avere risultati più definitivi) la sostituzione di queste ultime entro i prossimi anni. Rete Ferroviaria Italiana Spa assicura, inoltre, il trasporto di ferrocisterne con due navi bidirezionali, che possono essere adibite anche al trasporto di mezzi gommati.
La seconda tipologia è il traghettamento di mezzi gommati, comprendente autovetture ed automezzi commerciali, che è effettuato con cinque navi bidirezionali, due delle quali - come già detto - utilizzate anche per il trasporto di ferrocisterne. Il servizio di trasporto gommato usualmente viene effettuato da tre navi e le rimanenti sono ferme per manutenzione o per riserva. Si sottolinea che tale segmento Pag. 78è effettuato a rischio di impresa e non usufruisce di contributi economici.
La terza e ultima tipologia di trasporto riguarda il traghettamento passeggeri con mezzi veloci, effettuato, prima dell'incidente della Segesta, con tre navi: due di esercizio ed una di riserva o in manutenzione. Al pari del segmento gommato, anche questa tipologia di trasporto viene svolta a rischio di impresa, quindi senza contributi economici.
Negli ultimi tre anni, il segmento gommato ha avuto un incremento complessivo pari a circa il 43 per cento. Il risultato economico raggiunto da Ferrovie dello Stato Spa in questi anni è stato ottenuto in concomitanza con lo sviluppo delle nuove linee marittime - le autostrade del mare - che di fatto hanno rappresentato una non irrilevante presenza concorrenziale. L'accennato andamento positivo lascia peraltro intravedere a breve-medio termine un sostanziale pareggio dei conti economici del segmento.
Il segmento passeggeri, invece, da svariati anni, presenta consistenti perdite e un pareggio del conto economico non è ipotizzabile con le normali leve commerciali. L'unica soluzione possibile - riferita dalla società ferroviaria - per confermare il servizio consisterebbe in un ripianamento del disavanzo mediante contributi economici da parte delle amministrazioni pubbliche interessate. In tal senso, già da diverso tempo la società ha presentato alcune proposte alle regioni interessate. Va precisato che, in assenza di una definizione della questione, Rete Ferroviaria Italiana Spa potrebbe essere costretta a chiudere il servizio.
Nell'interpellanza, viene anche posta la questione del progressivo taglio dei servizi ferroviari da e per la Sicilia, conseguenza del programma di riqualificazione del parco rotabili del servizio notturno. Su tale punto, si evidenzia che le risorse destinate agli obblighi di servizio pubblico per il trasporto passeggeri a media e lunga percorrenza, peraltro invariate tra la fine degli anni Novanta e il 2005, sono drasticamente diminuite nell'ultimo biennio. Dai 157,9 milioni di euro del 2005 sono state ridotte a 121,5 milioni di euro nel 2006.
Per il 2007, gli importi disponibili non sono ancora quantificati, poiché essi dipenderanno dall'effetto netto di due disposizioni della legge finanziaria per il 2007 che, rispettivamente, diminuiscono ed aumentano le risorse stanziate per le imprese pubbliche.
Si potrà pervenire alla quantificazione solo dopo un processo di riassetto della nuova normativa sul TFR (i cui effetti saranno noti solo dopo la fine del giugno prossimo) e in base all'andamento delle entrate.
L'ammontare definitivo per il 2007 sarà, quindi, ripartito con decreto del ministro dell'economia e delle finanze tra i vari capitoli di pertinenza di Rete Ferroviaria Italiana Spa e di Trenitalia. Per quanto di competenza del ministero dei trasporti, oltre al capitolo destinato al trasporto notturno ne sono previsti due ulteriori riferiti al trasporto nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome ed agli obblighi di servizio per il trasporto merci.
La redistribuzione delle risorse, come ho appena illustrato, ha determinato la necessità di rimodulare progressivamente i treni inclusi in contratto di servizio pubblico; la proposta in tal senso è stata presentata lo scorso 30 gennaio al Ministero dell'economia e delle finanze: ad essa corrisponde un ammontare di servizi, in diminuzione rispetto agli anni precedenti, per gli espressi notturni, ma soprattutto per il trasporto di merci.
In considerazione di ciò, sono state impartite le necessarie indicazioni all'impresa ferroviaria per ridimensionare i servizi per l'anno in corso. Infine, per quanto riguarda il programma di riqualificazione del parco rotabili adibito al trasporto notturno, si evidenzia che esso è stato attivato nell'ottobre 2005. L'intervento ha interessato circa 1.000 carrozze, di cui 504 assegnate ai treni in contratto di servizio (397 vetture posti a sedere e 107 cuccette) e una parte di queste è stata anche sottoposta a revisione per la sicurezza dell'esercizio.Pag. 79
Tale programma si è concluso nel corso del 2006. Considerata l'ampiezza del parco rotabili interessato, il servizio erogato ha subito uno scostamento negativo rispetto a quanto già programmato. Per fronteggiare tale situazione è stato attuato un pieno sostegno dell'offerta ferroviaria con collegamenti di rinforzo effettuati tramite autobus sulle relazioni a più alta frequentazione, soprattutto nei periodi di picco.
Infine, per quanto concerne il nuovo orario ferroviario di giugno 2007, poiché la programmazione è ancora in fase di studio, non è possibile avanzare alcuna ipotesi. Comunque, la società ferroviaria assicura che, come per gli anni precedenti, il volume complessivo dell'offerta da e per la Sicilia, specificamente quello dell'offerta per i collegamenti effettuati dai treni «espressi notte» (che comprende la maggior parte dei collegamenti ferroviari Sicilia-continente), sarà adeguato alle risorse disponibili nell'ambito del contratto di servizio.
PRESIDENTE. L'onorevole D'Alia ha facoltà di replicare.
GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, uso il termine insoddisfatto perché quelli che mi vengono in mente non sono assolutamente consoni né al galateo parlamentare, né alle prescrizioni del nostro regolamento. Indignato potrebbe esser un sinonimo abbastanza vicino alla realtà. Lo sono, signor sottosegretario - ne sono convinto -, tanto quanto lei dopo aver letto la rispostina di questi signori delle Ferrovie dello Stato. Infatti, questa risposta - anch'essa supponente - conferma la tesi e i dati contenuti nella nostra interpellanza: si è liquidato un problema enorme sotto il profilo economico-sociale e dello sviluppo dell'area integrata dello stretto.
In particolar modo, io credo che la circostanza che si dica che le tabelle di armamento rispondono ai requisiti, benché vi sia anche una pronuncia di un giudice amministrativo che dice l'esatto opposto, e che la giustezza di tutto questo nasca dalla circostanza che le tabelle di armamento sono uguali a quelle delle altre società private, conferma - anzi è la prova provata - che il taglio delle tabelle di armamento è stato fatto per favorire gli imprenditori privati che operano nell'area dello stretto e non per garantire gli standard di sicurezza. Inoltre, ciò conferma che il settore della navigazione di Ferrovie dello Stato opera come soggetto che favorisce il consolidamento del monopolio dell'imprenditoria privata nell'area dello stretto, scaricando i costi di tutto ciò sull'aumento delle tariffe, sui cittadini e sugli operatori commerciali che utilizzano il gommato per il trasporto delle merci. E conferma altresì che tali soggetti non sanno cosa sia il rischio d'impresa.
Per quanto riguarda il rischio di impresa, infatti, non è che lo Stato mette i soldi e loro li scialacquano! Inoltre, l'abolizione del collegamento per i passeggeri è una circostanza gravissima, perché stiamo parlando di servizi che hanno anche un costo sociale, di milioni di cittadini che, nel corso dell'anno, si muovono tra le due sponde dello stretto per andare a lavorare e saranno costretti ad utilizzare il vettore privato, il quale, operando in una situazione di monopolio, potrà imporre, nell'assenza e nell'insipienza degli organi di controllo e delle cosiddette autorità indipendenti, costi per il transito nello stretto che non sono dovuti.
Signor sottosegretario, ciò conferma che l'eufemismo con cui Ferrovie dello Stato parla della soppressione dei treni in Sicilia è offensivo per la Sicilia stessa, per il Governo che lei rappresenta e per questo Parlamento! Si parla di scostamenti negativi cui si supplisce con il ricorso ad un sistema pseudointegrato di tram, autobus e via seguitando.
Ciò conferma la circostanza che la società Terminal Tremestieri (le fornisco un'indicazione precisa per una sua successiva, me lo auguro, valutazione), composta da RFI, Tourist & Caronte e Meridano Lines (soggetti privati che operano nel trasporto dello stretto), ancorché nata transitoriamente, opera in violazione delle regole di mercato.Pag. 80
Credo che il Governo e l'Antitrust debbano intervenire, perché non è possibile che i soggetti che dovrebbero operare in concorrenza nel mercato della navigazione nello stretto costituiscano un cartello con una società che gestisce gli approdi a terra e determina le linee, le tariffe, l'organizzazione e gli orari del servizio. Non è più sopportabile! È una situazione indecente che provocherà proteste ulteriori, più forti ed eclatanti, da parte dei cittadini messinesi e calabresi.
Signor sottosegretario, ciò conferma che non vi è alcuna intenzione di investire e di fare impresa da parte di Ferrovie dello Stato!
È vero che le autostrade del mare rappresentano una realtà ed un'alternativa al trasporto del gommato ed è altrettanto vero che chi decide di investire in questo settore ha margini di remuneratività e di reddito importanti, perché vi sono varie linee brillantemente predisposte anche da società private messinesi (per Salerno, Napoli e così via) che offrono un servizio efficiente alle comunità e agli autotrasportatori a costi contenuti e con margini remunerativi e di profitto equi.
Ma Rete Ferroviaria Italiana Navigazione non investe! Ferrovie dello Stato non investe in questo settore. E qual è la logica? Non si deve fare concorrenza e disturbare il privato! Devono solo chiedere soldi allo Stato e alla comunità europea per riammodernare le infrastrutture e ripianare non solo i costi sociali - è giusto che sia così -, ma anche le perdite ingenti che, ogni anno, il management di Ferrovie dello Stato registra a danno dei cittadini italiani. Lo Stato, in ogni legge finanziaria, ivi compresa l'ultima, è costretto a ripianare tali costi per evitare le «minaccette» di questi signori che minacciano appunto di chiudere il servizio.
Cacciate il responsabile del settore navigazione di Ferrovie dello Stato! Cacciate questi pseudomanager sindacalisti burocrati che stanno distruggendo il trasporto pubblico collettivo su rotaia nel nostro paese e creando una situazione oltremodo critica sotto il profilo economico, sociale e infrastrutturale nell'area dello stretto!
Questa è l'unica risposta che mi sento di fornirle e mi scuso per il tono. Non è rivolto ovviamente a lei, che stimo ed apprezzo per il lavoro che svolge.
Vorrei, inoltre, esprimere un'ulteriore considerazione: io capisco la difficoltà, da siciliano come me, e capisco anche la circostanza che è difficile recarsi in questa sede in vece di un ministro che è stato rettore dell'Università di Reggio Calabria e, pertanto, conosce molto bene la situazione dell'area dello stretto, anche perché l'ha affrontata accademicamente e professionalmente più volte e con particolare dedizione a questo settore specifico.
Tuttavia, non ho ricevuto alcuna risposta rispetto alla richiesta che abbiamo sollecitato di un'inchiesta amministrativa da parte del ministero sull'operato di Ferrovie dello Stato e di RFI per quanto riguarda il settore della navigazione nell'area dello stretto.
Ci aspettiamo che almeno lei si faccia carico di spiegare al professor Bianchi che è necessario monitorare, accertare cosa Ferrovie dello Stato ha fatto in quest'area da dieci anni a questa parte. Guardi che il problema non riguarda solo questo Governo, ma anche le responsabilità dei Governi precedenti che hanno consentito a questi lobbisti del management, come io li chiamo, di restare dove sono e di continuare a perpetrare danni nei confronti del sistema ferroviario, in particolar modo nell'area dello stretto di Messina.
PRESIDENTE. Segnalo che assiste ai nostri lavori una classe del liceo scientifico Pio X di Treviso: la Presidenza e l'Assemblea vi salutano (Applausi).
(Misure per il potenziamento dello scalo ferroviario di Benevento - n. 2-00398)
PRESIDENTE. L'onorevole Mazzoni ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00398 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6).
ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, intendo illustrare la mia interpellanza Pag. 81poiché vorrei chiarire lo spirito che mi ha animata nel rivolgere delle domande al Governo per il tramite del ministro delle infrastrutture.
Si registra un tratto oscuro nell'azione del Governo, in particolare del ministero competente, che di recente ha colpito in maniera preoccupante anche la linea dell'alta capacità Roma-Napoli-Bari: in particolare, vi è una grossa, evidente contraddizione.
Dalle previsioni della legge finanziaria per il 2007 e dal protocollo d'intesa sottoscritto il 27 luglio 2006 dal Ministero delle infrastrutture, dal Ministero dei trasporti, dai presidenti delle regioni Puglia e Campania, dal presidente e dall'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, nonché dall'amministratore delegato di RFI - nell'ambito del potenziamento e della riqualificazione della linea alta capacità Roma-Napoli-Bari - emergeva una collocazione centrale della stazione di Benevento, soprattutto in relazione alla prevista connessione tra il corridoio 1 Berlino-Napoli-Palermo e il corridoio 8 Bari-Sofia-Varna.
Nel corso di un'audizione tenutasi presso la IX Commissione trasporti della Camera, l'amministratore delegato e il presidente di Ferrovie dello Stato hanno ribadito un impegno preciso del Governo e del ministero per il rilancio del comparto infrastrutture nel Mezzogiorno, con una particolare attenzione proprio all'alta capacità ferroviaria Napoli-Bari e al completamento dell'alta velocità Torino-Milano-Napoli, che dovrebbe avvenire entro il 2009.
Nel corso della presentazione di questo progetto è stato evidenziato come esso rappresenti una delle più grandi opere pubbliche che si realizzeranno in Europa nei prossimi anni. La sua finalità è quella di dimezzare i tempi di collegamento tra il Tirreno e l'Adriatico, raccordando le aree interne con le grandi direttrici europee.
Nel corso di questa presentazione è stato anche annunciato che il capoluogo sannita, Benevento, avrebbe dovuto assumere entro il 2020 un ruolo di fondamentale importanza, venendo a costituire lo snodo centrale di queste direttrici di marcia.
Conseguenza immediata di questi progetti, come annunciato anche da FS, è il potenziamento degli scali di Benevento ed Apice. Comunque, a causa di una sorpresa incomprensibile, credo di poterla definire schizofrenia del Governo o disattenzione rispetto all'operato di FS, RFI e Trenitalia, la stazione di Benevento viene, al contrario, depotenziata. Trenitalia annuncia la soppressione di collegamenti diretti tra Benevento e Roma Termini, sopprime direttamente il treno 7855 - la cosiddetta «Freccia del Molise» -, che collega direttamente, via Benevento, Napoli e Campobasso, rendendo difficili, se non impossibili, le coincidenze con la città di Napoli.
I macchinisti di Benevento, per una scelta non motivata dell'azienda, non sono stati abilitati a circolare sulla linea alta velocità-alta capacità della tratta Roma-Napoli, cosa che invece è avvenuta inspiegabilmente per macchinisti di impianti limitrofi. Questo ha comportato un ridimensionamento delle risorse che operano in stazione.
Ancora, Trenitalia ha operato una ulteriore riduzione del personale in servizio presso la stazione di Telese Terme, che è proprio sita sulla tratta Roma-Benevento.
Ricordo al Governo che su questo stesso argomento, e con queste stesse preoccupazioni, sono state presentate altre due interrogazioni, dall'onorevole Boffa e dall'onorevole Sodano, alle quali il Governo non ha ancora dato risposta.
La domanda che io rivolgo al Governo è se non ritenga in contraddizione queste scelte aziendali, operate da Ferrovie dello Stato, in relazione allo scalo ferroviario di Benevento, con i progetti di potenziamento annunciati, dichiarati e tra l'altro iscritti anche in documenti ufficiali, come la finanziaria ed il protocollo che ho citato all'inizio.
Chiedo quali iniziative intenda adottare direttamente il Governo, fornendo degli indirizzi a Trenitalia, proprio per scongiurare ulteriori depotenziamenti dello scalo ferroviario di Benevento e, perché no, Pag. 82reintegrare lo scalo di Benevento rispetto alle riduzioni che sono state operate, valorizzare risorse e mezzi in conformità ai progetti annunciati.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 17,31)
ERMINIA MAZZONI. Chiederei in aggiunta come intenda il Governo rispondere a questo depotenziamento di fronte ad una aumentata domanda di collegamenti infrastrutturali, che naturalmente conseguirà anche dalla recente riconoscimento operato dal Governo, con l'approvazione di ieri del disegno di legge Mastella, della città di Benevento quale sede di una delle tre scuole della magistratura.
È chiaro che una simile collocazione dovrebbe imporre al Governo un ripensamento complessivo della azione di intervento infrastrutturale nel Mezzogiorno e un ulteriore maggiorato, comprensibile potenziamento dello snodo centrale di Benevento come punto di collegamento fondamentale nell'asse tra il Tirreno e l'Adriatico. Grazie.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i trasporti, Raffaele Gentile, ha facoltà di rispondere.
RAFFAELE GENTILE, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Signor Presidente, nell'atto ispettivo in discussione si pone in evidenza come la soppressione del treno Intercity 679, che collega Roma con Benevento, e la soppressione del treno 7855, la cosiddetta «Freccia del Molise», si pongano in contrasto con quanto previsto dal protocollo di intesa, sottoscritto in data 27 luglio 2006, per il potenziamento e la riqualificazione della linea Roma-Napoli-Bari, in cui proprio la stazione di Benevento assumerà un ruolo centrale.
A tale riguardo, è opportuno evidenziare che i servizi ferroviari in questione sono gestiti, nel caso degli Intercity, dalle imprese ferroviarie in regime di autonomia commerciale, ovvero senza contributi pubblici e senza interferenze sulle modalità di declinazione dell'offerta. La decisione della società ferroviaria di sopprimere il collegamento in questione deriva quindi dal numero ridotto di viaggiatori e dai dati negativi di redditività.
Tuttavia, a partire dal dicembre 2006, per assicurare il collegamento Benevento-Roma, è stato istituito un nuovo servizio regionale con arrivo a Roma nelle prime ore della mattina, mentre per il rientro pomeridiano, il collegamento il collegamento regionale 2419 assicura il rientro a Benevento alle ore 17,15.
Nella stessa fascia oraria di rientro i viaggiatori possono usufruire anche dell'Eurostar 9355, già largamente utilizzato dalla clientela pendolare nel precedente orario.
Parimenti, dal 10 dicembre 2006 è stata istituita la fermata a Telese del TrenOk Roma-Bari in partenza da Roma, con fermate già previste a Caserta e Benevento. Inoltre, per favorire maggiormente la clientela pendolare, la società ferroviaria ha spostato la stazione di partenza da Roma Tiburtina a Roma Termini.
Per quanto concerne il treno denominato «Freccia del Molise» Campobasso-Napoli, tale servizio rientra nelle competenze regionali. È, infatti, noto che i servizi regionali trasferiti - unitamente alle risorse - alle regioni a statuto ordinario, ai sensi del decreto legislativo n. 422 del 1997, sono da queste ultime regolati in via autonoma e diretta, mediante contratto di servizio stipulato con Trenitalia Spa.
Ferrovie dello Stato Spa ha evidenziato che la competente regione Campania ha assegnato dal 2005 i servizi che percorrono la linea Benevento-Napoli via Valle Caudina alla società Metro Campania Nord-Est, proprietaria e gestore di quel tratto di linea.
Al riguardo, va considerato che, sempre dal 2005, in alternativa al servizio precedentemente offerto dalla «Freccia del Molise», Trenitalia Spa ha introdotto un nuovo servizio Campobasso-Napoli (via Isernia-Vairano), che è risultato più interessante per la clientela molisana poiché riduce i tempi di percorrenza rispetto al Pag. 83precedente itinerario, assicurando il servizio nella medesima fascia oraria della citata «Freccia del Molise».
Inoltre, nella stessa fascia oraria del collegamento appena citato, la clientela beneventana può usufruire del collegamento regionale Benevento-Napoli.
Le difficoltà, come anche riferite dall'onorevole interpellante, in ordine alle coincidenze per Napoli dei collegamenti regionali sono ascrivibili ai rallentamenti imposti dai lavori di manutenzione straordinaria all'infrastruttura, in corso sull'intera tratta Benevento-Campobasso.
Da ultimo, si fa presente che i servizi svolti sulla tratta alta velocità-alta capacità della linea Roma-Napoli sono assegnati agli impianti di trazione di Roma e Napoli, con criteri di ottimizzazione dei turni del personale di macchina. Pertanto, a parere di Ferrovie dello Stato Spa, assegnare una quota dei servizi all'impianto di Benevento e, quindi, abilitare il relativo personale alla condotta sulla linea alta velocità equivarrebbe a ridurre, a parità di lavoro, la produttività del turno stesso.
Giova, infine, sottolineare che, con la realizzazione dei progetti infrastrutturali di potenziamento attualmente in corso e programmati, risulterà evidente il miglioramento delle possibilità di utilizzazione della rete ferroviaria e, quindi, delle prospettive commerciali dei collegamenti.
PRESIDENTE. L'onorevole Mazzoni ha facoltà di replicare per dichiararsi soddisfatta oppure, ovviamente, insoddisfatta...
ERMINIA MAZZONI. La ringrazio, signor Presidente, per avermi offerto la «seconda opzione», perché mi sarei trovata in imbarazzo rispetto alla prima!
È quasi scontato e sembrerebbe quasi un rituale, ma non posso che dichiararmi insoddisfatta della risposta. In questa sede, infatti, il sottosegretario ha confermato le mie preoccupazioni ed ha certificato, ove mai ve ne fosse bisogno, la veridicità dei fatti che ho denunciato con la mia interpellanza: la riduzione dei servizi, il calo del personale, il depotenziamento della stazione di Benevento e, conseguentemente, una forte contraddizione operativa rispetto agli annunci di realizzazione di interventi infrastrutturali nel Mezzogiorno.
Ricordo, a tale riguardo, che tali interventi erano stati addirittura inquadrati nell'ambito di una più ampia attività del ministero competente: mi riferisco ai grandi corridoi europei, trasversali ed orizzontali, che interessano il nostro paese.
Il sottosegretario Gentile, in altri termini, non ha fornito alcun tipo risposta, tranne aver «confessato» una modalità d'azione del Governo che non può rassicurare né me, né i cittadini-utenti. L'Esecutivo, infatti, ha declinato la propria responsabilità rispetto a scelte che riducono l'offerta di un servizio essenziale, fornendo la semplice comunicazione che tale servizio è gestito, in regime di concessione, da società private. Si tratta di una dichiarazione che apre una voragine rispetto alle pratiche di privatizzazione e liberalizzazione dei mercati che stiamo cercando di sostenere, per quanto, allo stato, le attività presentate Governo non possano essere ritenute soddisfacenti. Tuttavia, se privatizzare significa il disinteresse dell'Esecutivo e l'abbandono dell'obbligo di garantire ai cittadini servizi minimi essenziali, allora, rispetto all'assurda risposta che mi viene fornita in questa Assemblea, sono perfino favorevole ad un ritorno alla statalizzazione!
Inoltre, a latere di questa elencazione - peraltro, identica a quella contenuta nella mia interpellanza - di riduzioni di servizi e di personale, relativi proprio alla stazione che dovrebbe rappresentare il nodo centrale del futuro collegamento ferroviario Roma-Napoli-Bari, sono state annunciate alcune iniziative da sviluppare (che vanno, però, in una direzione opposta), senza tuttavia documentare la strategia d'insieme secondo quella che ritengo dovrebbe essere una prassi naturale in tale ambito di attività.
Non mi si può rispondere che l'attività nella stazione di Benevento viene ridotta poiché, allo stato attuale, il personale può essere impiegato in maniera più produttiva Pag. 84presso quella di Napoli. Infatti, si tratta di azioni che contraddicono lo spirito di una progettualità che lo stesso Governo ha confermato essere in questo momento in atto!
Non riesco a comprendere un tale atteggiamento. In questo caso - come avvenuto in tanti altri casi nella politica di questo Governo e, in generale, nella politica italiana - teniamo in piedi un rapporto con i cittadini basato solo sulla logica della politica dell'annuncio, della politica della speranza, della promessa che non trova mai riscontro in una reale attuazione di ciò che si comunica.
Mi sembra che siamo di fronte a un caso simile. Certo, dopo queste risposte, non potrò rassicurare quella parte rilevante della comunità che risiede nella provincia di Benevento e in tutti i territori interessati da questo sviluppo infrastrutturale. Certamente, non potrò che essere contraria ad iniziative di questo Governo che dovessero andare ancora nella direzione di una riduzione della struttura della stazione di Benevento.
Su questo argomento, il sottosegretario non ha ritenuto di svolgere alcuna riflessione. A questo punto, chiederò al ministro della giustizia Mastella come intenda garantire la comoda ed efficace fruizione di un servizio di trasporti per l'utenza che raggiungerà il territorio di Benevento nel momento in cui verrà realizzata la scuola della magistratura. Quest'ultima, infatti, con mio grande piacere in quanto cittadina beneventana, è stata spostata a Benevento, sottraendola alla regione calabrese: se questi sono gli annunci, non so se alla fine ci ritroveremo a dovere smentire anche questa indicazione per una mancata capacità infrastrutturale, ossia per la mancata capacità di rispondere alle aumentate esigenze di flusso che vedranno interessata la provincia di Benevento.
(Rinvio interpellanza urgente Villetti n. 2-00369)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta del presentatore, sulla quale ha convenuto il Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Villetti n. 2-00369 è rinviato ad altra seduta.
(Iniziative per consentire ai soggetti affetti da favismo di svolgere servizio nelle Forze armate - n. 2-00386)
PRESIDENTE. L'onorevole Sanna ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00386 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7).
EMANUELE SANNA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, con questa interpellanza, insieme ad alcuni colleghi deputati del gruppo de L'Ulivo, abbiamo inteso riproporre all'attenzione del Governo e, in particolare, dei ministri della difesa e della salute un problema molto serio già affrontato dal Parlamento nelle precedenti legislature, al quale purtroppo per l'inerzia e per la sordità delle istituzioni competenti non si è data finora una soluzione ragionevole.
Signor Presidente, mi riferisco al persistente e ingiustificato atteggiamento delle autorità sanitarie militari che applicano in maniera rigida e molto discutibile una norma che esclude dall'arruolamento e dalla progressione di carriera nelle Forze armate molte migliaia di cittadini italiani portatori sani di una condizione genetica assolutamente compatibile con un normale stato di salute e assolutamente non pregiudizievole della piena idoneità psichica e fisica per qualsiasi attività lavorativa. La condizione genetica in questione è rappresentata da una carenza nei globuli rossi di un'enzima (glucosio-6-fosfato-deidrogenasi), meglio conosciuta con il nome di favismo. Questa carenza si trasmette ereditariamente attraverso i cromosomi sessuali, non rappresenta una condizione patologica, non è in alcun modo una malattia, non pregiudica né la durata della vita né la piena efficienza fisica.
Signor Presidente, con cognizione di causa aggiungo che l'enzimopenia di cui Pag. 85stiamo parlando non è un handicap ed ancor meno un'imperfezione o un'infermità, che è causa di inidoneità al servizio militare, come purtroppo è stato irresponsabilmente scritto nel decreto del ministro della difesa del 26 marzo 1999. Che non sia una malattia o un fattore di disabilità è dimostrato in maniera incontrovertibile dal fatto che questa condizione genetica riguarda 400 milioni di esseri umani nel mondo e ben 400 mila cittadini del nostro Paese, cioè una moltitudine di donne e di uomini, di ogni età e di ogni condizione sociale, che sono perfettamente sani ed inseriti nella vita sociale e produttiva anche nel nostro Paese.
Signor Presidente e signor sottosegretario, se si effettuasse un banale test ematologico tra gli oltre 600 componenti di questa Assemblea, si scoprirebbe che vi è una buona percentuale di enzimopenici, o fabici, anche tra i rappresentanti del Governo della Repubblica. Lo stesso accadrebbe tra i dipendenti della Camera dei deputati, tra quelli del Senato, dei ministeri, delle Forze armate e delle aziende pubbliche e private del nostro Paese. Sono 400 mila i cittadini italiani portatori di questa condizione genetica.
Essa è diffusa soprattutto in Africa, ma anche nell'Asia meridionale e nel bacino del Mediterraneo. In Italia, l'incidenza più alta del favismo si registra in Sardegna, in Calabria, in Sicilia, nelle regioni meridionali nonché nelle ex zone paludose del Veneto e del delta del Po. La diagnosi di questa condizione si ottiene attraverso il dosaggio dell'enzima nei globuli rossi, tramite un banale esame ematologico, ma - insisto - non è una malattia.
Tale condizione genetica, anzi, attraverso i secoli ed i millenni (così dicono gli studiosi della materia, tra cui i più illustri ematologi italiani e della comunità scientifica internazionale) è stata persino fattore protettivo verso alcune patologie infettive diffusive che hanno decimato la popolazione mondiale, come ad esempio la malaria, che purtroppo continua ad essere ancora oggi una piaga in molte parti del mondo. Essa ha avuto una funzione selettiva positiva persino per la durata della vita degli esseri umani. Un recente studio della facoltà di medicina dell'Università di Sassari, ad esempio, ha dimostrato che gli ultracentenari che abbondano sulla mia isola per il 50 per cento sono portatori sani di questa condizione genetica.
Se questo è il parere unanime della comunità scientifica, noi chiediamo al Governo i motivi per cui l'enzimopenia è causa di esclusione, di penalizzazione e di congedo forzoso e spesso crudele per quei cittadini italiani, in prevalenza giovani e meridionali, che vogliono arruolarsi e realizzarsi come lavoratori delle Forze armate del nostro Paese. Considero assurda ed intollerabile questa situazione. Lo affermo come parlamentare, come medico e come cittadino di un Paese civile e democratico.
Signor Presidente, la refrattarietà della sanità militare rispetto a tutte le sollecitazioni della comunità scientifica ed anche di quelle istituzionali, ripetutesi nel corso delle ultime legislature, a noi appare assai preoccupante ed assolutamente ingiustificata. La casistica delle discriminazioni e delle ingiustizie perpetrate e subite è allarmante in questo settore ed anzi, negli ultimi mesi e negli ultimi anni, vi è stato un incomprensibile inasprimento.
Signor Presidente, mi duole dirlo in quest'aula e di fronte ai rappresentanti di un Governo che sostengo con la massima convinzione, tuttavia, mi trovo nella condizione di dover proteggere con la riservatezza centinaia di militari in servizio che rischiano il licenziamento o una pesante penalizzazione professionale solo perché, pur essendo portatori sani di questa condizione genetica, sono riusciti in passato a trovare un posto di lavoro attraverso un'incolpevole e benevola distrazione o un comportamento sensato delle commissioni mediche locali rispetto a questa incredibile disposizione della normativa nazionale.
Assieme con gli altri colleghi presenterò una proposta di legge per correggere, con una norma chiara del Parlamento, questa assurda disposizione. Infatti, non possiamo assolutamente ulteriormente tollerare questa situazione. Nell'interpellanza, con il consenso dell'interessato, noi citiamo Pag. 86il caso emblematico, cari colleghi, onorevole Presidente, di un giovane carrista sardo, Pasquale Piredda, della Brigata Sassari, il quale è stato licenziato dopo tre anni e mezzo di diligente e qualificato servizio perché portatore di questa condizione genetica. Il ricorso di questo giovane cittadino ed esemplare militare è attualmente all'esame del competente Tribunale amministrativo regionale. Tuttavia, la casistica è molto più ampia ed impressionante.
Onorevole sottosegretario, nelle Forze Armate e nelle forze dell'ordine, ci sono centinaia di dipendenti addetti a mansioni delicate ed usuranti, di grande responsabilità (piloti, elicotteristi, paracadutisti, addetti alle scorte, all'antiterrorismo, ai servizi di pronto intervento): centinaia di donne e uomini in divisa, portatori sani della carenza enzimatica, che vivono con la spada di Damocle del declassamento o del licenziamento e spesso costretti ad una condizione frustrante di blocco professionale, anche quando hanno tutti i requisiti tecnici e culturali, con curricula esemplari, ed anche quando superano brillantemente i severi controlli sanitari annuali per documentare la loro idoneità fisica.
Questa situazione a nostro giudizio non è ulteriormente procrastinabile.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Massimo Tononi, ha facoltà di rispondere.
MASSIMO TONONI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. L'atto in discussione prende spunto dalla vicenda, richiamata dall'onorevole Sanna, del caporalmaggiore Pasquale Piredda, il quale è stato posto in congedo in quanto riscontrato portatore dell'enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PDH), per affrontare, più in generale, la questione della previsione normativa che impedisce l'accesso alle Forze armate, compresa l'Arma dei Carabinieri, ai soggetti carenti - in forma parziale o totale - dell'enzima G6PDH nei globuli rossi, condizione altrimenti detta «favismo».
Al fine di inquadrare la delicata e complessa problematica in argomento, si reputa opportuno fornire preliminarmente alcune indicazioni di ordine tecnico, anche se credo che non servano certamente all'onorevole Sanna. L'enzima citato è essenziale per la vitalità funzionale degli eritrociti, soprattutto per i processi ossidoriduttivi che in essi si svolgono, legati alla loro capacità di assumere e veicolare ai tessuti l'ossigeno indispensabile alle funzioni vitali. La carenza di tale enzima provoca un'improvvisa distruzione dei globuli rossi e quindi la comparsa di grave anemia emolitica, con ittero quando il soggetto che ne è affetto ingerisce fave, piselli, varie droghe vegetali o alcuni farmaci con diverse applicazioni terapeutiche (antimalarici, analgesici, antipiretici, antibiotici, chemioterapici), ovvero si espone al contatto di essi o di alcune sostanze (alcune anche di uso comune), che agiscono da fattori scatenanti in quanto inibiscono l'attività della G6PDH eritrocitaria, impoverendo ulteriormente i globuli rossi, che sono già carenti dell'enzima. La malattia vera e propria si manifesta in modo improvviso e nei casi più gravi circa la metà dei globuli rossi viene distrutta. Il favismo in fase acuta è infatti un evento morboso piuttosto pericoloso, in quanto l'anemizzazione può essere rapida e drammatica, mettendo in serio pericolo la sopravvivenza del soggetto.
Dopo questa digressione, passiamo ora ad esaminare la specifica questione posta dagli onorevoli interpellanti. L'accertamento dell'idoneità al servizio militare è disciplinato dal decreto ministeriale 4 aprile 2000, n. 114 (regolamento recante norme in materia di accertamento dell'idoneità al servizio militare), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 maggio 2000, n. 107. Nel caso specifico, l'elenco delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare, allegato al regolamento, prevede al punto 2, lettera d) anche - cito testualmente - «i difetti quantitativi o qualitativi degli enzimi, trascorso, ove occorra, il periodo di inabilità temporanea».
La successiva direttiva tecnica applicativa, a cura della competente direzione generale della sanità militare, pubblicata Pag. 87con decreto 5 dicembre 2005 sulla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 2005, n. 300, precisa che il «deficit anche parziale di G6PDH è causa di non idoneità al servizio militare».
La crisi di favismo, come già detto, può degenerare rapidamente in crisi emolitica, con possibili conseguenze anche letali, qualora non si intervenga prontamente con ricovero ed adeguata terapia ospedaliera.
Appare evidente, quindi, come tale manifestazione patologica, spesso non nota al portatore, possa mettere a rischio anche l'incolumità del soggetto, oltre a provocare reazioni impreviste ed improvvise, che risultano incompatibili con situazioni di impiego del militare.
È noto, infatti, che il servizio nelle Forze armate comporta, in molti casi, lo svolgimento di attività, per periodi di tempo di durata variabile, in aree con particolare rischio di contrarre malattie infettive o parassitarie, per cui sono necessarie misure di profilassi o trattamenti farmacologici riconosciuti quali pericolosi per i soggetti carenti di G6PDH.
Al tempo stesso, potrebbero verificarsi difficoltà ai fini di uno stretto controllo sulla dieta e nell'accesso ai servizi ospedalieri.
Parimenti sarebbe estremamente difficile impedire l'esposizione dei fabici a fattori per loro di grave rischio, circostanza che, in caso di conseguenze negative sulla salute degli interessati, potrebbe comportare, oltre che responsabilità morali in capo alle autorità di comando e sanitarie militari, anche possibili contenziosi giudiziari.
Pertanto, ai fini dell'arruolamento per il servizio militare, appare evidente la necessità - sotto il profilo medico-legale - da un lato, dell'accertamento preventivo dell'eventuale carenza dell'enzima G6PDH a cura delle strutture sanitarie militari competenti e, dall'altro, una volta stabilita la sua esistenza, quale diretta conseguenza, di un provvedimento di inabilità permanente al servizio militare del soggetto interessato, a causa dell'impossibilità a prestare servizio in condizioni di sicurezza e di tutela della salute.
Va osservato, infatti, che tale giudizio, lungi dall'avere un carattere discriminatorio nei confronti dei soggetti fabici, costituisce un chiaro strumento di tutela nei loro confronti, perché li mette al dovuto riparo da tutte le situazioni di possibili rischi per la loro salute.
In sintesi, la condizione di portatore del difetto enzimatico in questione può tramutare, inaccettabilmente sotto il profilo giuridico e deontologico medico, un ipotetico rischio generico di malattia complicata in una serie di fattori di rischio per la vita se trasferita in ambito militare e quindi deve postulare - a salvaguardia dell'interessato e per scongiurare tali rischi - il giudizio di inabilità.
Nelle suesposte considerazioni risiede pertanto la ratio della norma di riferimento, per quelle parti in cui vengono prese in considerazione condizioni patologiche, o potenzialmente tali, come quella in esame, dal momento che nel servizio militare può ritenersi ragionevolmente individuabile un rischio professionale operativo cui potrebbe essere esposto un soggetto fabico.
La previsione normativa in questione - sostanzialmente negativa sulla possibilità di accedere al servizio militare continuativo, da parte dei portatori del difetto in causa, in forza del rischio immanente per essi di subire una crisi emolitica fatale per grave anemizzazione incontrollata e incontrollabile - si fonda su elementi incontroversi di tutela della salute, di garanzia di piena operatività dello strumento militare in ogni sua componente e infine di tutela della stessa catena di comando ed è confortata dal sostegno delle più accreditate e accettate teorie etiopatogenetiche e cliniche espresse dai massimi esperti del settore specialistico in questione.
Con riferimento, in ultimo, al richiamato aspetto riguardante il fatto che nelle forze di pubblica sicurezza (come la Polizia di Stato ed i vigili del fuoco) operano dipendenti portatori della carenza enzimatica su base genetica senza alcun pregiudizio della loro idoneità professionale, il ministro dell'interno ha opportunamente chiarito che le differenti disposizioni in Pag. 88merito alla selezione per l'accesso nella Polizia di Stato (il giudizio di idoneità non contempla l'accertamento circa la carenza del G6PDH) trovano una loro ratio nelle diverse tipologie di impiego del personale militare, cui è richiesta un'idoneità incondizionata che permetta di fronteggiare ogni tipo di servizio, ivi comprese le missioni all'estero.
Il citato dicastero ha osservato, infatti, che il personale della Polizia di Stato è impiegato, di norma in attività di servizio sul territorio nazionale e, comunque, quando emerge l'esigenza di svolgere particolari servizi all'estero, esso è sottoposto ad accertamenti sanitari di secondo livello.
Allo stesso tempo, detto Ministero ha consentito che - per quanto riguarda, invece, il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il disposto di cui all'articolo 2, comma 1, lettera r), del decreto ministeriale 3 maggio 1993 n. 228, recante il «Regolamento concernente i requisiti fisici ed attitudinali, per l'accesso nelle qualifiche dell'area operativa tecnica del Corpo nazionale dei vigili fuoco» - preveda che le enzimopatie eritrocitarie costituiscano, tra l'altro, cause di non idoneità ai concorsi di accesso nei profili di vigile del fuoco e di assistente tecnico antincendi dell'area operativa tecnica.
Ciononostante, il Ministero della difesa, comunque, continuerà nell'esame di approfondimento degli aspetti medico-clinico-biologici della tematica in questione, per individuare una soluzione nel senso indicato dagli interpellanti.
In tale ottica, il ministro della difesa, onorevole Parisi, ha disposto la costituzione di una commissione scientifica composta da eminenti personalità, che entro il 31 luglio 2007 dovrà studiare, sotto il profilo medico-scientifico e giuridico, la compatibilità dell'enzimopatia da deficit di G6PDH, anche parziale, con lo svolgimento, da parte dei soggetti affetti da tale carenza, delle attività connesse con l'espletamento del servizio militare professionale.
PRESIDENTE. L'onorevole Sanna ha facoltà di replicare.
EMANUELE SANNA. Signor Presidente, ringrazio caldamente il sottosegretario Tononi per la diligente risposta data alla nostra interpellanza. Lo ringrazio, in particolare, per il ruolo di supplenza che ha dovuto svolgere nei confronti del ministro della difesa e in sostituzione, all'ultimo momento, del sottosegretario per la difesa Giovanni Forcieri, per sopraggiunti e pressanti impegni istituzionali, dei quali sono stato gentilmente informato qui in aula, dopo che, per la verità, il sottosegretario Forcieri ha partecipato puntualmente a questa seduta del Parlamento.
Nel merito, mi dichiaro soddisfatto molto parzialmente, perché la risposta, accoratamente scritta con il contributo, sicuramente, dei massimi esponenti della sanità militare del Ministero della difesa, purtroppo conferma completamente le nostre preoccupazioni e le nostre perplessità.
Vedo un solo punto di luce, signor Presidente, in questa risposta, ossia che finalmente il Ministero della difesa accede ad una reiterata richiesta di costituire una commissione tecnica medico-scientifica per dirimere la questione che, le assicuro, seguo con alte responsabilità professionali e istituzionali da molti decenni come pediatra, in quanto ho fatto migliaia di test per accertare la condizione genetica nei bambini sardi della enzimopenia e, anche sul piano clinico, come medico, in quanto ho curato nei reparti e negli ospedali della Sardegna centinaia di casi di crisi emolitica da favismo.
Sembrava che questo problema, dieci o quindici anni fa, per quanto riguarda l'idoneità al lavoro, qualsiasi tipo di lavoro e, in particolare, il servizio delle Forze armate e il servizio militare, fosse stato ragionevolmente e definitivamente risolto.
Non si capisce perché, invece, sia stata reintrodotta questa normativa così penalizzante, rigida e - insisto - così ascientifica, perché non c'è istituzione, non c'è un rappresentante autorevole e qualificato della comunità scientifica che possa equiparare la condizione genetica ad uno stato di malattia.
Si continua pericolosamente, dannosamente, per i nostri giovani in cerca di Pag. 89lavoro, a confondere la condizione genetica con la malattia, mentre sappiamo bene cos'è la crisi emolitica: essa si scatena in un numero limitatissimo di casi, con un'incidenza di 1 a mille, al massimo, nei portatori della enzimopenia, quando il soggetto mangia fave o assume dei farmaci il cui elenco è assolutamente conosciuto e del quale vengono informati i genitori di ogni bambino italiano appena nasce. Lo screening neonatale, infatti, prevede ormai l'accertamento di questa condizione per tutti i nuovi nati e in tutti i punti nascita del nostro paese.
Vi sono 400 mila italiani e 401 milioni di esseri umani nel mondo, che, informati sul fatto che non devono ingerire quelle sostanze alimentari e quei farmaci, sono perfettamente sani e vivono a lungo e felici. Purtroppo, con questa normativa assurda, che permane per le Forze armate nel nostro paese, non si tutela la salute, come ha detto poc'anzi nella risposta scritta il nostro sottosegretario, che ringrazio nuovamente e sentitamente. Tale normativa mette al riparo questi soggetti non da una malattia, ma dal rischio e dal diritto di lavorare.
Per questa ragione, non possiamo che dichiararci insoddisfatti e attendiamo fiduciosi, ma vigili, le conclusioni della commissione tecnico-scientifica.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Sanna, per aver portato all'attenzione del Parlamento un problema che non è molto noto. Questo dialogo è stato molto interessante. So che il Presidente non dovrebbe intervenire, ma in questo caso mi pare che non si tratti di una questione che discrimina fra maggioranza ed opposizione.
(Misure a tutela dei lavoratori impiegati presso le strutture interessate dal processo di riorganizzazione delle Forze armate - n. 2-00397)
PRESIDENTE. L'onorevole Adenti ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00397 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 8).
FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, prima di entrare nel merito dei contenuti dell'interpellanza, desidero manifestare - a nome mio personale, del collega Paolo Affronti e dell'intero gruppo dei Popolari-Udeur - profondo cordoglio alla famiglia del dottor Cosimo Macrì, prefetto di Pavia, rimasto coinvolto in un incidente stradale mortale nelle prime ore di questa mattina sull'autostrada Milano-Genova. Lo ricordiamo con riconoscenza e con gratitudine per il suo infaticabile impegno a favore dello sviluppo e della crescita di Pavia e della sua provincia, e soprattutto per la sua costante attenzione ai problemi sociali ed occupazionali del nostro territorio. Proprio per difendere il futuro dell'arsenale militare di Pavia, si era battuto con grande attivismo per rilanciare il tavolo negoziale, con l'obiettivo di salvare questo insediamento produttivo: il tema della mia interpellanza è proprio questo.
Dal 1998 a Pavia si combatte un'importante battaglia contro lo spettro della chiusura di un importante insediamento industriale, l'arsenale militare, quasi un simbolo per una città che negli ultimi dieci anni ha visto esaurirsi progressivamente quella fase della sua storia che era stata caratterizzata dall'industria. Oltre 15 stabilimenti industriali hanno chiuso i battenti in questo decennio, con la conseguente perdita del posto di lavoro per migliaia di operai. L'arsenale oggi è un simbolo ma anche il luogo di lavoro di 240 dipendenti civili, che da quell'anno, dall'emissione del decreto di dismissione, guardano con incertezza al proprio futuro, al loro ricollocamento, al possibile stravolgimento che ciò causerà nelle loro vite e in quelle delle loro famiglie. Proprio questi 240 lavoratori sono gli esemplari soldati della battaglia per la permanenza dell'ultimo polo industriale a Pavia. La loro arma è stata la capacità di mettersi sempre in discussione, di farsi artefici e fattivi protagonisti del loro futuro: dalla prima ipotesi, ormai archiviata, del trasferimento dello stabilimento alla Protezione civile, alla prova superata con l'affidamento di alcuni nuovi incarichi, secondo Pag. 90quanto individuato in un piano industriale del 2005 elaborato dall'Amministrazione della difesa.
I 240 lavoratori hanno saputo mettersi in discussione e con la loro professionalità e buona volontà hanno saputo dimostrare la capacità di assolvere ai nuovi compiti affidati (riparazione di unità abitative shelter, di tende pneumatiche Modula ed altri interventi). Nuovi compiti che trovano ragion d'essere nelle nuove e sempre più vive esigenze che si manifestavano in conseguenza della sempre maggiore presenza operativa italiana in missioni all'estero, senza dimenticare gli spazi che si aprono anche nelle missioni propriamente di pace.
Di fronte all'esemplare risultato della sperimentazione di questo nuovo piano industriale, la città si attendeva un provvedimento che ufficializzasse la nuova missione dello stabilimento, provvedimento che il precedente ministro della difesa non ha firmato prima delle elezioni. Il nuovo Governo ha dato immediatamente segnali tangibili del proprio interesse e della propria attenzione, culminati nella firma di un protocollo di intesa con le rappresentanze sindacali, in cui si stabiliva anche l'attivazione di tavoli tecnici per approfondire le complesse tematiche relative all'arsenale di Pavia. Tuttavia, in queste ultime settimane una battuta di arresto improvvisa e inaspettata sembra voler mettere in discussione il lungo processo che fin qui si è svolto. Dalla stampa si apprende che, a seguito della legge finanziaria, lo Stato maggiore della difesa nella figura del generale Di Paola, avrebbe deciso di sopprimere l'arsenale militare a Pavia.
A nostro avviso, è necessario ed urgente un chiarimento della posizione che il Governo intende assumere su questa vicenda, con la consapevolezza che nessun passo indietro rispetto al percorso compiuto fin qui dall'Amministrazione della difesa, dai lavoratori, dalle parti sociali e dagli enti cittadini potrà essere ritenuto accettabile, perché inaccettabile è far rientrare in un tunnel quei 240 lavoratori che dal 1998 combattono, facendosi parte attiva e disponibile, per costruirsi un futuro lavorativo, rendendosi utili a soddisfare le nuove esigenze che l'Amministrazione della difesa oggi presenta.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Massimo Tononi, ha facoltà di rispondere.
MASSIMO TONONI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. A seguito della legge 28 dicembre 1995, n. 549, l'Amministrazione della difesa è stata interessata da un profondo processo di ristrutturazione avviato successivamente con l'emanazione di specifici decreti legislativi.
In particolare, l'area tecnico-industriale, nel cui ambito opera lo stabilimento di Pavia, è stata regolamentata con il decreto legislativo 28 novembre 1997, n. 459, che, in estrema sintesi, ha suddiviso la stessa in due sub-aree: in una sono confluiti gli enti le cui la cui attività è stata ritenuta strettamente collegata al mantenimento in efficienza dello strumento militare, ponendoli alle dipendenze degli ispettorati logistici delle Forze armate; nell'altra sono confluiti tutti i restanti enti, ponendoli alle dipendenze del segretariato generale della Difesa, attraverso un apposito ufficio generale, cui sono state trasferite le competenze delle direzioni generali da cui precedentemente dipendevano questi ultimi enti.
Con il decreto ministeriale 20 gennaio 1998, lo stabilimento di Pavia è stato posto alle dipendenze del segretario generale della Difesa e con il decreto ministeriale 25 gennaio 1999 è stato istituito, alle dipendenze dello stesso segretario generale, il predetto ufficio generale per la gestione degli enti dell'area tecnico-industriale (UGGEATI).
Ciò posto, dopo avere individuato alcune soluzioni di impiego dello stabilimento in parola (trasferimento alla allora istituenda Agenzia per la protezione civile, affidamento alla gestione della allora istituita l'Agenzia industrie difesa, ridimensionamento a sezione staccata del Polo di Piacenza), non perfezionatesi per una serie di ragioni contingenti, si è reso indispensabile riprendere l'attività lavorativa per Pag. 91un efficace impegno delle risorse umane e per garantire il mantenimento del know how tecnologico dello stabilimento stesso.
In tal senso, a decorrere dalla seconda metà del 2004, sono state riprese attività manutentive sui mezzi del genio provenienti dal fuori area e da attività varie.
All'inizio del 2005 si sono individuati nuovi settori di intervento quali la manutenzione degli shelter di vario tipo sia della sanità militare sia del commissariato, nonché la riparazione di tende pneumatiche con annessa impiantistica.
Verificata la possibilità di operare con sistematicità e con un discreto carico di lavoro nei vari settori, si è, quindi, cercato di definire per lo stabilimento in parola la nuova missione e la conseguente ipotesi di organico.
Un processo di così ampio respiro non poteva non esercitare un impatto sul personale e soprattutto sulla componente civile in relazione alle problematiche riguardanti la mobilità e la progressione professionale.
Consapevole dell'importanza della componente civile e del contributo di tale personale al conseguimento di fini istituzionali della Difesa, l'Amministrazione militare, nel corso degli ultimi anni, ha indirizzato la propria azione alla creazione di un efficace sistema di relazioni sindacali, nei processi di organizzazione, tale da consentire l'individuazione di soluzioni condivise nei rapporti con le rappresentanze sindacali.
L'instaurazione di un sistema di relazioni sindacali trasparente ed improntato a criteri di confronto, coesione e rispetto dei diritti dei lavoratori costituisce, infatti, uno degli obiettivi prioritari perseguiti dall'Amministrazione, nell'ottica dello sviluppo delle capacità produttive di ogni ente e struttura e per il consolidamento dei posti di lavoro.
A tal riguardo, il sottosegretario di Stato Marco Verzaschi ha incontrato, nello scorso novembre, i rappresentanti nazionali delle organizzazioni sindacali per esaminare le problematiche connesse ai programmi di riorganizzazione in atto nelle Forze Armate.
Nel corso dell'incontro, è stato concordato un protocollo di intesa con le parti sociali teso a rendere più efficace il sistema delle relazioni sindacali nei processi di riorganizzazione, in un'ottica di riconoscimento del ruolo delle rappresentanze sindacali e di tutela e valorizzazione del personale civile.
L'occasione ha premesso, altresì, di avviare una nuova metodologia di lavoro che ha visto riunite ad un unico tavolo le rappresentanze di tutti i sindacati presenti nell'Amministrazione.
Con tale protocollo, è bene specificarlo, si è inteso rafforzare lo strumento della concertazione, prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto ministeri, quale punto di costante riferimento del metodo di lavoro con le parti sociali e si è data, altresì, ampia assicurazione sul fatto che, nei processi di riorganizzazione di enti e strutture della Difesa, verrà data preventiva ed esaustiva informazione alle organizzazioni sindacali, onde consentire il confronto con le parti sociali, secondo le premesse normative, sugli organici, sui posti di funzione, sull'eventuale reimpiego del personale civile.
È stato, inoltre, convenuto di attivare incontri in sede tecnica presso i competenti organi della Difesa per l'approfondimento delle tematiche afferenti il personale civile.
In tale complessa situazione è intervenuta la legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) che ha imposto a tutte le amministrazioni un generico obbligo di ottimizzazione delle risorse e di razionalizzazione delle strutture, nel cui ambito va necessariamente ricompresa anche l'area tecnico-industriale della Difesa.
Tale circostanza ha comportato un momento di riflessione sulla riorganizzazione dello stabilimento di Pavia.
Sono ancora in corso, pertanto, gli opportuni approfondimenti sulla futura destinazione che, nell'ottica di una più generale rimeditazione di tutta l'area industriale della Difesa, consentiranno di indirizzare al meglio l'azione amministrativa.Pag. 92
In ogni caso, la Difesa terrà in debito conto, come sempre, le esigenze del personale civile al fine di garantirne i livelli occupazionali e di limitarne il più possibile gli eventuali disagi.
PRESIDENTE. L'onorevole Affronti, cofirmatario dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
PAOLO AFFRONTI. Grazie, signor sottosegretario per la cortese risposta. Anche a nome del collega Adenti, mi dichiaro parzialmente soddisfatto da questa risposta, che conferma, almeno in parte, il percorso finora seguito, ossia quello di individuare una via di riconversione dello stabilimento contro la sua dismissione. Il tentativo di riconvertirlo, infatti, a svolgere nuovi compiti, alla luce delle nuove esigenze del Ministero, quali quelle connesse alle missioni internazionali, è senza dubbio la via migliore volta preservare la permanenza nella città di Pavia di questo importante insediamento produttivo. In tal senso, la regione Lombardia è stata «matrigna». Non possiamo non ricordare, in questa sede, come già un precedente tentativo sia fallito, a causa di un'inopportuna e discutibile scelta della regione Lombardia di non destinare alla provincia di Pavia la sede principale, per la regione stessa, della Protezione civile ed allo stabilimento militare la posizione importante che ad esso competeva, in questo quadro.
In questi mesi i lavoratori dello stabilimento hanno dimostrato la loro capacità di far fronte a nuovi incarichi, a nuove attività. Hanno dimostrato, insieme all'Amministrazione della difesa, la fondatezza di un piano industriale. Certo, le problematiche sul tavolo non sono poche, e ce ne rendiamo conto. Credo, tuttavia, che in questo momento sia necessario attivare con celerità i tavoli tecnici cui faceva riferimento il sottosegretario, concordati anche con le forze sindacali, per affrontare le varie questioni sul tavolo, al fine di giungere a concretizzare la possibilità di un progetto di riconversione ed a fugare ogni ipotesi di chiusura.
Auspico, in tal senso, malgrado naturalmente tutte le ristrettezze derivanti dalla legge finanziaria, un interessamento diretto del ministro, che si faccia in prima persona carico di risolvere questa triste vicenda, che dura dal 1998. Auspico, quindi, un interessamento diretto del ministro Parisi, dei sottosegretari Forcieri e Verzaschi, che sono stati citati in quest'aula, affinché sia fatta chiarezza e si proceda lungo una linea politica chiara e trasparente, che tenga in considerazione insieme l'utilità dell'Amministrazione della difesa ed anche i diritti e la disponibilità dimostrata dai lavoratori pavesi, che operano, pur in condizioni difficili, con impegno, per rendere sempre più valida e competitiva questa importante struttura produttiva.
(Problemi occupazionali presso gli stabilimenti Bat di Rovereto e (Trento) e Chiaravalle (Ancona) - n. 2-00380)
PRESIDENTE. L'onorevole Froner ha facoltà di illustrare l'interpellanza Quartiani n. 2-00380 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 9), di cui è cofirmataria.
LAURA FRONER. Signor Presidente, l'interpellanza che abbiamo presentato riguarda uno dei problemi principali che sempre più spesso incontrano singoli o famiglie: la perdita del lavoro. I casi in questione riguardano, in particolare, la manifattura tabacchi di Rovereto, in cui sono occupate circa 140 persone, e lo stabilimento analogo di Chiaravalle, in cui lavorano circa 120 persone. La preoccupazione per la ventilata chiusura dei due stabilimenti è particolarmente elevata, per almeno tre ragioni. La prima di tali ragioni è che gran parte dei lavoratori ha più di quaranta anni ed è a tutti noto quanto sia difficile, oggi, trovare lavoro per i disoccupati questa età, spesso con famiglia, figli ed altro. La seconda ragione riguarda la particolare situazione in cui si trovano i due territori: Rovereto ha già subito una pesante crisi industriale, con la decimazione del ricco tessuto di imprese, nate prevalentemente intorno agli anni Pag. 93sessanta; Chiaravalle è collocata in una regione investita da problemi di disoccupazione, soprattutto per la componente femminile.
La terza ragione riguarda il fatto che per la British american tobacco non sarebbe la prima volta che si verificano circostanze in cui gli impegni assunti, rispetto alla salvaguardia degli obblighi occupazionali, non sono stati rispettati. Ciò, evidentemente, rende particolarmente sensibili lavoratori e sindacati.
A queste ragioni specifiche se ne aggiunge una più generale che riguarda le difficoltà acute dovute alla perdita del lavoro, in un'epoca dominata dalla precarietà crescente, da ripetuti fenomeni di delocalizzazione e dall'assenza di settori economici alternativi in grado di assorbire la manodopera in esubero, la chiusura di fabbriche e, comunque, la perdita di lavoro, provocano stati di sofferenza individuale e familiare che meritano la massima attenzione da parte dei poteri pubblici.
Ricordando brevemente il contenuto della nostra interpellanza, la British american tobacco Italia Spa è la società che, nell'ambito della privatizzazione dell'Eti, ha acquisito il patrimonio commerciale e produttivo delle manifatture del tabacco in Italia; la Bat, nell'ambito dell'acquisizione, ha assunto impegni, contenuti nel piano industriale, sui livelli occupazionali e sul mantenimento della capacità produttiva, presenti in uno specifico contratto autonomo di garanzia.
Oggi, come dicevo, la manifattura di Rovereto dà lavoro a circa 140 persone (più altre 45 circa in termini di indotto) e quella di Chiaravalle a circa 120 persone della British american tobacco (più 11 esterni).
In questo periodo, dai siti produttivi di Rovereto e di Chiaravalle pervengono forti preoccupazioni da parte dei lavoratori, su un preannunciato piano industriale di assetto della Bat, in Europa, che dovrebbe prevedere la chiusura dei sopra citati siti produttivi.
La multinazionale Bat non è nuova a fatti del genere. Continuamente determina processi di riorganizzazione, con conseguente chiusura dei siti produttivi, basti osservare quanto successo a Scafati, in provincia di Salerno, e sul sito di Bologna.
Dal nostro punto di vista, queste azioni si scostano e non sono rispettose degli impegni assunti nel contratto di acquisizione ed evidenziano, invece, una strategia nella quale la multinazionale ha assorbito l'intero mercato delle sigarette italiane e rinuncia però a produrre in Italia.
Ciò che desideriamo sapere è quindi quali siano gli interventi che il Governo intende adottare per conoscere le vere intenzioni della British american tobacco e sostenere l'occupazione nei siti di Rovereto e Chiaravalle, che si presentano quali realtà produttive competitive e certamente capaci di stare sul mercato.
Sappiamo che su un argomento analogo è stato risposto anche ieri da parte del ministro dello sviluppo e delle attività economiche: chiediamo comunque anche per quanto ci riguarda ulteriori delucidazioni in merito.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Massimo Tononi, ha facoltà di rispondere.
MASSIMO TONONI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Presidente, vorrei richiamare brevemente anche la storia di questa vicenda, che è nata alcuni anni fa, allorché venne privatizzata la Eti Spa.
Il Ministero dell'economia e delle finanze, che era detentore al 100 per cento delle azioni di quella società, condusse una gara per la privatizzazione della società, da cui risultò vincitrice la British american tobacco. In quella occasione fu stipulato un contratto con l'acquirente per effetto del quale la British american tobacco si impegnava ad una serie di vincoli che erano contrattualmente stabiliti. Tra questi, cito in particolare la salvaguardia dei livelli occupazionali, nonché l'obbligo di fornire periodicamente con cadenza semestrale informazioni rilevanti sull'andamento della società.
Tali vincoli sono però scaduti lo scorso dicembre 2006; quindi ad oggi la Bat non Pag. 94è più impegnata, nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze con cui aveva stipulato quel contratto all'epoca della privatizzazione, in merito ai vincoli che ho appena citato. Di conseguenza, non vi è un impegno contrattuale rilevante ai fini del tema sollevato dagli interpellanti.
Naturalmente, i siti produttivi che sono stati menzionati nell'interpellanza erano parte del perimetro di attività della Eti Spa, che venne trasferito più o meno tre anni prima alla British american tobacco.
Altre informazioni credo che meritino di essere menzionate in questa sede, anche se sono state illustrate ieri dal sottosegretario per lo sviluppo economico, Gianni.
Una prima informazione riguarda il fatto che, da un recente incontro con la provincia autonoma di Trento, è emerso che il nuovo piano industriale della Bat in Italia verrà probabilmente finalizzato entro il mese di maggio.
Desidero leggere testualmente la seconda informazione contenuta nel testo della relazione fornita ieri dal sottosegretario Gianni: «Al fine di favorire ogni possibile soluzione volta al mantenimento dei livelli occupazionali e dello sviluppo produttivo degli stabilimenti di Chiaravalle, Lecce e Rovereto, il Ministero dello sviluppo economico è da subito disponibile a monitorare l'evolversi della situazione e ad esaminare le richieste delle rappresentanze sindacali e aziendali, nonché eventuali esigenze di apertura di un tavolo nell'ottica del raggiungimento di intese sulle prospettive aziendali».
PRESIDENTE. L'onorevole Maderloni, cofirmatario dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
CLAUDIO MADERLONI. Signor Presidente, signor sottosegretario la sua risposta purtroppo non ci tranquillizza, anzi le dichiarazioni ascoltate ci inducono a ritenere che sia giunto il momento che tutti i soggetti interessati (le maestranze, le organizzazioni sindacali) alzino la loro voce, ma soprattutto le amministrazioni pubbliche, comuni provincia e regione, devono intervenire per avere una risposta certa.
Le nostre preoccupazioni si stanno trasformando in certezze. L'attuale assenza di politica aziendale da parte della Bat, volta a garantire l'occupazione, non ci fa ben sperare. Vi è un'altra scadenza di cui siamo preoccupati, quella del 15 marzo, che la Bat si era impegnata e si impegna a rispettare. Ma, dopo questa data, potremmo trovarci di fronte ad una soluzione diversa. Riteniamo, allora, che occorra interrogarsi sulle possibili soluzioni da adottare, affinché non vada persa un'altra importante attività produttiva. Occorre evitare l'eventualità che sul territorio non rimangano altro che gli edifici dismessi, oggetto di prevedibili speculazioni.
La Bat deve avere parole chiare al fine di dissipare i dubbi angoscianti e i sospetti che serpeggiano - come ha detto l'onorevole Froner - che sin dall'inizio vi fosse la volontà di acquistare, prosciugare l'attività e rivendere la struttura. Ci piacerebbe doverlo non pensare, ma non possiamo tacere, anzi ci corre l'obbligo di richiamare l'attenzione sulla vicenda, perché sia data, da parte dell'azienda, una risposta positiva per i lavoratori della manifattura tabacchi.
Possiamo ritenerci soddisfatti per le ultime parole pronunciate dal sottosegretario. Sollecitiamo, comunque, il Governo ad un intervento, perché è vero che vi era un contratto e che esso è scaduto, ma bisogna rispondere ad un problema importante, quello dell'occupazione e quello della possibilità della produzione. Non vorremmo che in Italia non vi fossero più queste aziende.
Se sarà convocato il «tavolo», speriamo che le amministrazioni pubbliche (comuni, provincia e regione) possano farne parte in modo da essere al corrente e fornire soluzioni alla questione.
(Piano di riorganizzazione dei servizi ispettivi e di controllo della pubblica amministrazione - n. 2-00393)
PRESIDENTE. L'onorevole Barani ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00393 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 10).
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LUCIO BARANI. Signor Presidente, il titolo dell'interpellanza è chiaro. La legge finanziaria per il 2007, all'articolo 1, comma 404, lettera d), ha sancito l'esigenza di riorganizzare gli uffici con funzioni ispettive e di controllo della pubblica amministrazione in tutti i comparti, sia quello della pubblica amministrazione, sia quello della sanità. Sono, inoltre, sotto gli occhi di tutti gli errori che stanno avvenendo in molte regioni, in particolare in Toscana, nell'amministrazione della giustizia, dove occorrerebbe un ispettore di sostegno per ogni tribunale.
Ma, nella fattispecie, stiamo parlando del Ministero dell'economia e delle finanze. Anche qui ci sono una miriade di uffici periferici.
Nelle more di quanto sopra, il servizio ispettivo, allocato logisticamente presso la direzione centrale degli uffici locali e dei servizi del Tesoro, dipartimento dell'amministrazione generale e del personale, svolge attualmente funzioni ispettive e di controllo sugli uffici periferici del Ministero dell'economia e delle finanze, nella fattispecie sulle direzioni provinciali e dei servizi vari.
In esso operano al momento 12 unità, dirigenti di II fascia con funzioni ispettive, i quali, in ottemperanza alla missione ed ai compiti direzionali assegnati alla direzione centrale, di cui preme sottolineare il punto 8), che riguarda il coordinamento del servizio ispettivo di cui trattasi, sono sottoposti a livello gerarchico e funzionale al direttore generale, che ne deve valutare l'operato in modo esclusivo.
Di fatto, in seno al servizio ispettivo, si è da tempo consolidata una prassi anomala - che non ha corrispondenza in nessun dettato legislativo - sul piano strettamente operativo, concernente il conferimento di un incarico da parte del direttore generale ad una figura cosiddetta di «coordinatore del servizio ispettivo», che sembra debba avere per prassi consolidata la tessera della CGIL in tasca. Questi riveste il medesimo grado dei dirigenti ispettori, non distinguendosi che per l'attribuzione di una fascia economica superiore, che in alcuni casi è derivata anche dal cumulo di altri precedenti incarichi, nonché dall'aver ricoperto, fino al giorno prima, quasi senza soluzione di continuità, l'incarico di direttore di una delle sedi provinciali, verso cui, di conseguenza, non risulta opportuno, almeno per un congruo periodo di tempo, predisporre le normali attività ispettive, al fine di evitare indebita commistione di ruoli. Quindi, sia la fascia economica, sia il diventare controllore di se stesso sono situazioni che veramente gridano allo scandalo.
In alcuni documentabili casi, tale figura di «coordinatore» ha esulato dalla mera ricognizione tecnico-organizzativa di predisposizione degli atti necessari al concreto svolgimento della funzione ispettiva, per ingerirsi nella fase direzionale spettante, come già evidenziato, solo al direttore generale, e qui ci sono i dettati legislativi.
Si chiede allora se, nell'ambito della riorganizzazione dei servizi ispettivi e di controllo sopra rammentata, si intenda procedere al più presto anche nei confronti del succitato servizio ispettivo della direzione centrale degli uffici locali del Ministero dell'economia e delle finanze, con il preciso intento di eliminare la frapposta anomalia che limita, in tutta certezza, la piena autonomia del dirigente di II fascia, sia nel raggiungimento degli obiettivi, sia nei rapporti con lo stesso dirigente generale, a onor del vero già di per sé circoscritti alla sola firma della lettera di incarico ispettivo da parte di quest'ultimo. È questo che chiedo al Ministero dell'economia e delle finanze ed è questo il senso della mia interpellanza urgente. Grazie.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Massimo Tononi, ha facoltà di rispondere.
MASSIMO TONONI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Grazie, Presidente. Occorre innanzitutto sottolineare che nell'ambito della direzione centrale degli uffici locali e dei servizi del Tesoro, la figura del coordinatore del servizio ispettivo è espressamente prevista Pag. 96dal decreto del ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica dell'8 giugno 1999, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 152 del 1o luglio al 1999, recante il riassetto organizzativo dei dipartimenti del Dicastero stesso.
Il citato decreto prevede espressamente, nell'ambito del servizio ispettivo, una funzione dirigenziale di coordinamento e 12 funzioni dirigenziali ispettive. Si precisa, comunque, che il servizio in questione, al pari di altri uffici, sarà oggetto di revisione normativa nell'ambito del processo di riordino delle strutture, anche centrali, del Ministero, previsto dal comma 404 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007. Grazie.
PRESIDENTE. L'onorevole Barani ha facoltà di replicare.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, la mia replica è ovvia ed il sottosegretario Tononi non può non aspettarsela! Negli uffici periferici del Ministero del tesoro si svolgono attività che hanno dell'incredibile! In tali strutture vi sono commissione mediche, e vi si dovrebbero svolgere quotidianamente le ispezioni, mentre vengono perpetrate le più grandi ingiustizie ai danni dei nostri cittadini (chiunque ha avuto bisogno di questi uffici se ne rende conto)! Qualsiasi cittadino sa che ho ragione!
La figura di coordinatore del servizio ispettivo non ha alcun riferimento normativo valido; è, quindi, una situazione contro legge e, pertanto, bisognerebbe avviare la procedura penale.
Il direttore generale, per legge, dovrebbe avere la prerogativa di coordinare, mentre la delega viene attribuita all'amico dell'amico, a colui che, fino a ieri, magari, si trovava a Napoli per effettuare l'ispezione e viene nominato coordinatore per tenere nel sommerso tutte le magagne poste in essere! Non mi sembra né giusto né corretto! Come è possibile? È una vergogna!
Non è possibile bypassare tutte le normative e dare agli amici degli amici posti che non meritano e che non sono previsti, con ingenti stipendi. Non ne sono sicuro, ma mi hanno detto che si tratta di oltre 400 mila euro all'anno e per giunta previsti in una legge finanziaria redatta in una situazione di ristrettezze! Devo, tuttavia, verificare questa cifra, perché, a causa della privacy, non sono riuscito ad ottenere tutte le informazioni al riguardo.
Inoltre, tali soggetti sono scelti in base ad una tessera sindacale ben precisa (non conosco quella politica), quella della CGIL. La CGIL ha partecipato alla predisposizione della legge finanziaria e, quindi, è giusto che questi alti funzionari, scelti in base a questa tessera, vadano a coprire le magagne prodotte dalle storture periferiche, con persone politicizzate, spesso ammalate, trasferite da una parte all'altra; come con le matrioske, si cerca, con vasi comunicanti, di calmierare e nascondere il malfunzionamento delle strutture periferiche che sono note ovviamente a tutti.
Viene spontaneo fare il paragone con quanto è avvenuto - il paragone è forte - negli Stati Uniti d'America: mi riferisco alla denuncia di parroci, preti, pedofili che, invece di essere cacciati, sono stati trasferiti in altre zone, mettendo a repentaglio altre persone ed altre strutture!
È un po' la stessa cosa! Tra queste 12 unità, vi sono professionalità dirigenziali dello Stato che risultano mortificate e sottoposte a coordinatori anomali, «impiegatucci» periferici, assegnati ad un ruolo superiore per banali logiche clientelari.
Pertanto, non si tratta di essere insoddisfatti. La risposta è una sola: vergogna, vergogna, vergogna!
(Iniziative per prevenire manifestazioni di violenza ed eversione - n. 2-00372)
PRESIDENTE. L'onorevole Barani ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00372 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 11).
LUCIO BARANI. Signor Presidente, come sindaco di Villafranca in Lunigiana, ho avuto la fortuna e l'occasione - uno dei Pag. 97casi più unici che rari - di erigere un monumento alla Giornata del ricordo, rappresentato da una pietra carsica di una foiba.
Pertanto quello che sto dicendo mi tocca sia culturalmente sia come persona democratica, socialista riformista appartenente alle istituzioni.
Ho appreso che a Carrara, in occasione della Giornata del ricordo, un gruppo di giovani appartenenti ad Alleanza Nazionale è stato autorizzato ad allestire una mostra fotografica sulle foibe, argomento trattato con autorevolezza dal Presidente della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati. Ad ogni modo, un gruppo di persone riconducibili agli ambienti di estrema sinistra e dei centri sociali ha aggredito con oggetti contundenti gli organizzatori dell'iniziativa, colpendo con una lattina uno di loro, il quale ha riportato una prognosi di sei giorni.
L'intervento della Polizia ha evitato che l'aggressione assumesse un esito drammatico, ma due agenti sono finiti a loro volta al pronto soccorso.
Alla guida, come provocatore, di tale gruppo di «disturbatori» sembra ci fosse un esponente locale di Rifondazione comunista, che è, tra l'altro, membro della fondazione della Cassa di risparmio di Carrara, quindi un uomo delle istituzioni.
Tali episodi di violenza ed intolleranza sono, ad avviso del sottoscritto, insopportabili per lo Stato, per i cittadini e per la democrazia, avvenendo per di più a pochi giorni dalla tragica morte dell'ispettore capo Raciti ed in coincidenza con l'esito dell'inchiesta del pubblico ministero Boccassini, che ha portato all'arresto di quindici presunti nuovi brigatisti, di cui otto iscritti alla CGIL.
Vorrei sapere dal ministro dell'interno quali misure intende adottare per evitare il ripetersi di episodi di violenza quali quelli segnalati in premessa e se non intenda operare per prevenire il rischio che centri sociali ed altre strutture di aggregazione costituiscano un terreno favorevole, un pabulum ottimale di attecchimento per manifestazioni di violenza e, soprattutto, di eversione.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Ettore Rosato, ha facoltà di rispondere.
ETTORE ROSATO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Barani, prima di entrare nel merito di quanto richiesto dall'onorevole interpellante, vorrei soffermarmi brevemente sulla particolare realtà carrarese, nella quale la rivalità e il contrasto tra le opposte forze politiche locali, anche se raramente connotati da episodi significativi di violenza, ricorrono con una certa frequenza in città.
In essa, forte è ancora il ricordo, anche nostalgico, del fenomeno anarchico, e tuttora viva invece è la memoria delle gravi privazioni sofferte dalla popolazione locale durante la resistenza, delle tragedie familiari vissute sul fronte della linea gotica, come peraltro ampiamente riconosciuto con il conferimento della medaglia d'oro al valor militare alla provincia.
In questo contesto, si inserisce anche l'attività di una variegata galassia antagonista che trova il suo punto di riferimento nel centro sociale autogestito «La Comune» di Massa, animando di recente una serie di manifestazioni e mobilitazioni su temi sociali cari a quell'area politica.
A ciò si aggiunga che il comune di Carrara è interessato dalla prossima competizione elettorale amministrativa, pertanto la già vivace rivalità politica negli ultimi mesi ha avuto un'accelerazione, con l'acuirsi delle tensioni partitiche.
Mi si permetta, comunque, di sottolineare che proprio durante la mattina del 10 febbraio la cerimonia istituzionale di commemorazione delle vittime delle foibe si è svolta in totale armonia all'interno dell'ex campo profughi di Carrara, alla presenza di tutte le autorità e degli esponenti delle diverse coalizioni politiche; cerimonia durante la quale il prefetto ha consegnato gli attestati e le medaglie conferite dal Governo italiano agli eredi di due profughi di quella provincia.
Prima di entrare nel merito della questione, non posso non ringraziare l'onorevole Barani, anche per la sensibilità dimostrata Pag. 98nei confronti della legge istitutiva della giornata del ricordo. I segni che le amministrazioni comunali di tutta Italia hanno dato in questa direzione credo siano importanti a memoria del terribile dramma che ha coinvolto il paese.
Venendo ora ai fatti citati dall'interpellante, il prefetto di Massa Carrara ha riferito che nel pomeriggio del 10 febbraio, in occasione della giornata dedicata alla celebrazione relativa al giorno del ricordo, su iniziativa del partito di Alleanza Nazionale e del Fronte della gioventù, è stata allestita nella città una mostra fotografica sul tema «I martiri delle foibe», in ricordo delle vittime delle foibe e del dramma consumatosi al termine della seconda guerra mondiale nelle terre istriano-dalmate.
La manifestazione è stata regolarmente preannunciata alla autorità di pubblica sicurezza, che per l'occasione ha disposto una serie di idonei servizi di osservazione e per la tutela dell'ordine pubblico.
Tuttavia, nella circostanza, un gruppo di circa 10 giovani appartenenti all'area di estrema sinistra, si è avvicinato improvvisamente agli organizzatori dell'evento citato (quattro o cinque persone), apostrofandoli ed affrontando i presenti con atteggiamenti provocatori e minacciosi.
In particolare uno degli aggressori, durante l'alterco ha lanciato una lattina semivuota contro il responsabile della Federazione provinciale di Alleanza Nazionale, colpendolo al volto e procurando una ferita escoriata alla regione parietale sinistra, giudicata guaribile dai medici del pronto soccorso di Carrara in sei giorni.
L'immediato intervento degli operatori di polizia presenti sul posto ha scongiurato che la situazione degenerasse, frapponendosi fra i due gruppi ed evitando così un contrasto fisico fra i presenti.
Due ispettori, in servizio presso il commissariato di pubblica sicurezza di Carrara, sono peraltro stati colpiti da alcuni giovani di estrema sinistra, riportando rispettivamente ventuno giorni di prognosi per un trauma contusivo al rachide lombo-sacrale, ed un trauma addominale, e sei giorni per un trauma distorsivo del primo dito della mano sinistra, nonché una contusione al ginocchio sinistro.
A seguito delle indagini svolte per verificare le responsabilità e identificare gli autori dei fatti, il 5 marzo scorso sono state denunciate all'autorità giudiziaria quattro persone, di cui due per violazione dell'articolo 18 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, per aver promosso una pubblica manifestazione senza darne preavviso all'autorità di pubblica sicurezza; le altre due, oltre che per tale violazione, anche per lesioni personali, resistenza e violenza a pubblico ufficiale in concorso, e danneggiamento in concorso. Uno dei quattro denunciati risulta inoltre essere stato querelato per ingiurie dallo stesso esponente di Alleanza Nazionale rimasto ferito dal lancio dell'oggetto di cui si è detto.
Naturalmente, il nostro augurio a tutte e tre le persone coinvolte è quello di rimettersi quanto prima, oltre alla nostra solidarietà.
Dato il breve lasso di tempo trascorso dalle denunce, non si conoscono le determinazioni assunte al riguardo dall'autorità giudiziaria.
Successivamente ai fatti descritti, nei pressi del luogo ove si stava svolgendo la mostra fotografica, sono stati trovati alcuni volantini dal titolo «Foibe e fascismo», che sembra venissero distribuite ai presenti da giovani gravitanti nell'area di estrema sinistra.
Il volantino, a firma «Azione antifascista», sigla non conosciuta nella provincia, oltre a richiamare l'attenzione della popolazione locale a non cadere nella inaccettabile provocazione di chi ostenta il tricolore ed utilizza strumentalmente la tragedia del confine orientale, ricorda che Carrara è antifascista.
L'episodio, di per sé circoscritto, ha avuto vasta eco sulla stampa locale, anche perché alcuni esponenti dell'opposizione hanno chiesto la destituzione dalla carica di consigliere della Fondazione della Cassa di Risparmio di Carrara di una delle persone rimaste coinvolte nell'accaduto.Pag. 99
Tuttavia, in merito a questa specifica vicenda il presidente della Fondazione stessa ha al momento confermato la fiducia al proprio consigliere, fino al definitivo chiarimento dei fatti.
Sul punto il sindaco di Carrara, nel riservarsi di esprimere un giudizio sul presunto coinvolgimento del consigliere della Fondazione, il quale si è fermamente dichiarato estraneo alla vicenda, ha riconosciuto il diritto costituzionalmente garantito per ciascuno di poter esprimere il proprio pensiero, nel totale rispetto delle idee altrui, avendo peraltro cura di non ledere i principi giuridici posti a difesa dei diritti democratici, esprimendo in ogni caso profondo rammarico per l'accaduto.
Per quanto riguarda il quesito sulle iniziative intraprese per evitare il ripetersi di atti di violenza e di intolleranza a sfondo politico, premetto che la vigilanza delle sedi di partiti, circoli, movimenti politici e organizzazioni sindacali, così come la protezione degli amministratori locali e di tutte le persone esposte a rischio a causa delle funzioni esercitate, costituisce una delle priorità dei servizi di controllo del territorio svolti dalle Forze dell'ordine in ogni regione del paese, secondo una programmazione definita provincia per provincia.
Il Ministero dell'interno non sottovaluta, evidentemente, la gravità ed il significato degli episodi di violenza politica diffusa nel loro genere, neppure quelli di minore impatto dimostrativo, in quanto comunque espressione di metodi violenti finalizzati a condizionare la normale dialettica democratica e, conseguentemente, a degradare i rapporti civili.
Occorre tuttavia riconosce l'obiettiva difficoltà sia di una attività di prevenzione capace di impedire in assoluto il ripetersi di atti del genere, che possono rivolgersi ad un numero altissimo di possibili obiettivi in ogni parte del paese, sia di una attività di repressione capace di individuare in ogni caso i responsabili, trattandosi di gesti che non richiedono particolare abilità operative o particolari sforzi organizzativi per la loro esecuzione.
Nel caso specifico di Carrara, come detto, tali responsabilità sono state accertate ed individuate, e sono ora all'attenzione dell'autorità giudiziaria per i conseguenti provvedimenti.
Massima è, inoltre, l'attenzione delle autorità di pubblica sicurezza, al fine di tutelare sia il regolare esercizio dei diritti, costituzionalmente garantiti, di riunione e di libera espressione del pensiero, sia il corretto svolgimento della dialettica politica, in vista delle prossime consultazioni.
Tale tutela si traduce nella predisposizione di adeguati servizi di ordine pubblico in occasione di pubbliche manifestazioni, nonché nella già ricordata attività di vigilanza a sedi di partiti e movimenti politici ed in una capillare attività informativa, ai fini di prevenzione, che mira a prevenire e a neutralizzare possibili occasioni di contrapposizione, anche violenta, tra gli appartenenti ed i simpatizzanti di opposte fazioni.
Analoga attenzione, infine, viene posta nella vigilanza e nel controllo di tutti i contesti sociali e dei luoghi di aggregazione dove possono crescere, oppure radicarsi, gruppi con atteggiamenti o comportamenti violenti od eversivi.
PRESIDENTE. L'onorevole Barani ha facoltà di replicare.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, desidero replicare molto brevemente. Ricordo che sono un figlio di quella terra: quindi, mi riconosco nelle parole che il sottosegretario ha pronunciato. Tra l'altro, vorrei segnalare che sono figlio di un invalido per causa di guerra di prima categoria che è morto pochi anni fa. Pertanto, conosco la particolare situazione, anche dal punto di vista psicologico ed ambientale, che esiste in quel territorio.
È proprio questo il motivo per cui ho voluto sensibilizzare il Ministero dell'interno, affinché presti attenzione ad un'area così delicata, dove sono nati i primi anarchici in Italia e ove movimenti eversivi e sovversivi non sono mai attecchiti. Non vorremmo che proprio adesso, in una situazione che vede elezioni imminenti Pag. 100(come ricordato dal sottosegretario Rosato), vi fosse un atteggiamento lassista da parte delle istituzioni.
Vorrei ricordare, al riguardo, che, per la prima volta, il candidato sindaco dei Democratici di sinistra ha perduto le elezioni primarie, svoltesi recentemente, proprio contro un socialista riformista come me. Il momento, dunque, è molto delicato: è questa la ragione per la quale ho voluto presentare l'interpellanza in oggetto, finalizzata a sensibilizzare il Ministero dell'interno su tale argomento. La risposta fornita dal sottosegretario Rosato, quindi, mi trova pienamente soddisfatto.
(Misure a favore del Corpo nazionale dei vigili del fuoco - n. 2-00391)
PRESIDENTE. L'onorevole La Loggia ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00391 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 12).
ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, desidero innanzitutto ringraziare il sottosegretario Rosato per aver accettato di rispondere sugli argomenti che, con il mio atto di sindacato ispettivo, ho posto all'attenzione del Governo. Devo ammettere di essere rimasto addirittura stupito dalla solerzia dello stesso sottosegretario, il quale ha fatto precedere questo incontro (che si svolge nella sede formale che ritengo più giusta per trattare tali temi) da un dispaccio di agenzia, con il quale credo anticipi sostanzialmente la risposta che sarà qui fornita. Vorrei osservare, comunque, che è stato usato un tono polemico che, forse, si sarebbe anche potuto evitare.
Ricordo che non è da ora che seguo i problemi dei vigili del fuoco (come loro sanno bene), poiché me ne sono interessato spesso, pur non rientrando nella mia specifica competenza, durante la precedente esperienza di Governo. Più volte, infatti, abbiamo posto in essere atti importanti e significativi, volti a rafforzare un'istituzione che ritengo essenziale per garantire la sicurezza di tutti i cittadini.
Purtroppo, non siamo riusciti a portare tutto a compimento, come sarebbe stato nostro vivo desiderio, perché, negli ultimi sei anni della nostra storia, non vi è stata la possibilità di incrementare le risorse economiche da destinare a settori, persone ed istituzioni che avrebbero meritato un'attenzione ancora maggiore rispetto a quella che abbiamo potuto prestare.
Questo non mi può esimere dal chiedere al Governo, essendo già trascorsi nove mesi dalla sua costituzione, quali provvedimenti intenda adottare per dare una risposta al Corpo dei vigili del fuoco (il che già sarebbe rilevante, poiché si tratta di una importantissima categoria di persone che, con grande spirito di abnegazione e sacrificio, garantisce la sicurezza di tutti noi e che, quindi, merita una risposta) proprio sugli argomenti che essi sottopongono all'attenzione del Governo e del Parlamento. Ci siamo già occupati dell'argomento nel corso dell'esame dell'ultima legge finanziaria e del decreto-legge fiscale: personalmente, sono intervenuto in aula ottenendo anche l'accoglimento come raccomandazione di un mio ordine del giorno in tal senso. Per questo motivo, oggi mi sento maggiormente titolato ad avanzare questa richiesta.
Vorrei chiedere quale sia l'intendimento del Governo proprio con riferimento alle richieste avanzate dai vigili del fuoco. In primo luogo, vorrei chiedere cosa si intenda fare per potenziare l'organico del Corpo. Infatti, quello attuale è realmente insufficiente persino a coprire un normale turn over con una conseguente ricaduta negativa sulla sicurezza e sulla tutela dei cittadini.
Chiedo quali risorse aggiuntive, rispetto a quelle già rese disponibili, possano essere reperite per finanziare la modifica dell'ordinamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Peraltro, vi è un'altra questione rispetto alla quale il Governo dovrebbe dare una spiegazione: abbiamo già avanzato una richiesta al riguardo, senza ottenere una risposta; speriamo che oggi ve ne sia una. La modifica dell'ordinamento è stata prorogata di un altro anno con il noto provvedimento Pag. 101milleproroghe, forse anche esercitando una forzatura nell'ambito di quel testo normativo.
Inoltre, nemmeno si apre un tavolo contrattuale - al riguardo, si lamenta un ritardo di 15 mesi - per risolvere questi ed altri problemi che sicuramente i vigili del fuoco sottoporranno all'attenzione del Governo, al fine di rendere più funzionale e più efficace il loro servizio volto a garantire la tutela e la sicurezza dei cittadini. Si parla di 15 mesi di ritardo che comprendono sia l'intera vita di questo Governo sia l'ultima parte di vita del Governo precedente. So bene perché in quel periodo non fu possibile avviare e portare a compimento una trattativa: eravamo sostanzialmente alla vigilia delle elezioni, la legislatura volgeva al termine e, probabilmente, se in quella fase avessimo concluso un accordo, qualcuno, non legittimamente, ma con un atteggiamento politicamente valido, avrebbe potuto accusarci di averlo fatto per conquistare un consenso aggiuntivo rispetto a quello di cui potevamo godere alla vigilia delle elezioni.
In ogni caso, in quella fase non fu possibile concludere tale trattativa. Tuttavia, sono ormai trascorsi nove mesi e ci sarebbe da chiedersi come mai non si sia ancora proceduto al rinnovo del contratto collettivo.
Il Corpo dei vigili del fuoco, il 1o marzo, ha proclamato lo stato di agitazione. Proprio in tale data avremmo dovuto discutere tale interpellanza, ma la coincidenza del voto sulla questione di fiducia lo ha impedito.
Al di là della risposta, che auspico quanto più congrua e soddisfacente, mi auguro che vi sia attenzione da parte del Governo, non solo considerato come Ministero dell'interno. So comunque quanto questo Ministero abbia tradizionalmente, storicamente e istituzionalmente a cuore il Corpo dei Vigili del fuoco. Ad esso va data un'attenzione particolare. È giusto che tale attenzione vi sia per tutte le Forze dell'ordine, ma in questo caso va usato particolare riguardo perché si tratta di un comparto che svolge un servizio particolarmente rischioso e pericoloso, in cui purtroppo molti hanno perso la vita per garantire la nostra sicurezza. Per questi motivi credo che debba essere assicurata questa attenzione.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Ettore Rosato, ha facoltà di rispondere.
ETTORE ROSATO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole La Loggia per la sua interpellanza. Mi spiace se vi è stata un'anticipazione contenuta in un'agenzia di stampa. Sono stato chiamato per fornire la risposta ad un quesito che lei legittimamente ha posto. Se lei ha ravvisato una qualche vis polemica, me ne scuso anche perché nei suoi confronti è difficile ricorrere a qualsiasi pratica polemica. Non è sicuramente mio interesse ricorrervi.
Con la mia risposta cercherò di entrare nel merito di una questione che naturalmente sta molto a cuore a me, al ministero dell'interno ed al Governo. Credo inoltre che tale questione debba stare a cuore anche all'intero Parlamento perché solo con un'azione convergente potremo compiere il forte rilancio di cui il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha bisogno. Intanto, vorrei fornire alcune risposte in merito agli aspetti da lei posti, prendendo come spunto lo sciopero che un'organizzazione sindacale aveva dichiarato per lo scorso 1o marzo.
Senza alcuna polemica, ma per amore della verità, devo dirle che l'ultima legge finanziaria ha sancito una totale inversione di tendenza rispetto a quanto avvenuto in passato. Con essa non abbiamo di certo risolto i problemi del Corpo, tuttavia abbiamo impresso una svolta alle situazioni più critiche.
Nel testo della sua interrogazione lei sottolineava quale fosse la situazione più critica, registrata in tutta i comandi italiani, ovvero la carenza di organico. Con la legge finanziaria per il triennio 2007-2009 verranno assunte 2.600 persone. Seicento di esse saranno assunte a decorrere dal primo luglio 2007, mentre le altre lo Pag. 102saranno nel corso del triennio, a fronte delle procedure di stabilizzazione del personale precario. So che lei ha sempre seguito le questioni attinenti ai vigili del fuoco. Lei sa quindi che questo personale precario è rappresentato dai cosiddetti «discontinui», ovvero il personale volontario che con uno strano meccanismo viene richiamato a prestare servizio ogni 20 giorni. In particolare, nella legge finanziaria vi sono due norme che li riguardano e che fissano le procedure per la loro stabilizzazione. Nel nostro paese vi sono 14 mila persone che svolgono questo lavoro, secondo i requisiti stabiliti dalla legge finanziaria, ovvero almeno 100 giorni di servizio e l'iscrizione nei nostri elenchi nel corso degli ultimi tre anni. Il nostro lavoro è quello di procedere alle stabilizzazioni, partendo appunto da quanto autorizza la legge finanziaria, ovvero 2 mila assunzioni.
La somma complessiva contenuta nella legge finanziaria per il 2007 arriva ad assumere per il triennio 2.600 persone. Con questo spiego anche la risposta fornita all'agenzia, confrontandola con quanto compiuto nell'ultimo quinquennio. Nel 2002 sono state assunte 273 persone, nel 2003 788 persone, nel 2004 1.000 persone, nel 2005 500 persone, nel 2006 50 persone. Il totale è di 2.611 unità nel quinquennio. Riconoscendo e convenendo con lei che la situazione del Corpo era drammatica, con l'ultima legge finanziaria abbiamo voluto dare una svolta.
Vi è un'altra questione importante, relativa alla consistenza dei capitoli di spesa, ed anch'essa ci sta particolarmente a cuore. Come lei ricordava, il paese sta attraversando un periodo di finanza non certo felice. Il Parlamento ha ritenuto di dover intraprendere un'azione di risanamento ed il Governo ha impostato una legge finanziaria in tale direzione. Tuttavia, in questa legge è stata prevista una norma per finanziare le necessità del Corpo.
In particolare, c'è un articolo che fa riferimento al servizio che i vigili del fuoco svolgono in tutti gli aeroporti, dove sono impegnati oltre 3 mila vigili del fuoco, con un importante impegno anche di mezzi ad altissima tecnologia. Tale articolo prevede una compartecipazione delle società di gestione aeroportuale nei costi, garantendo così, tramite ciò, un introito annuo al Corpo per oltre 60 milioni di euro. Si tratta di un introito che garantirà - questa è una garanzia strutturale per il Corpo - le risorse necessarie per lo svolgimento di quelle funzioni di ammodernamento e di funzionamento che sono indispensabili in una struttura, come quella dei vigili del fuoco, che basa la sua capacità di risposta ai bisogni dei cittadini anche sulla tecnologia, oltre che sulla capacità operativa dei suoi uomini.
Per quanto riguarda l'aspetto del rinnovo contrattuale, questa mattina ho incontrato il sottosegretario Gian Piero Scanu, con il quale abbiamo a lungo discusso di queste cose, avviando il percorso che deve portarci a quel passaggio fondamentale all'interno del sistema pubblicistico, che la nuova legge ha introdotto. Quindi, al di là del rinnovo contrattuale, noi abbiamo una situazione ancora più complessa, che è quella della costruzione di questo nuovo contratto all'interno del sistema pubblicistico. Abbiamo individuato un percorso che ci deve portare rapidamente alla costituzione di tavoli di confronto con le organizzazioni sindacali.
Mi consentirà, onorevole La Loggia, di ricordare un altro motivo per il quale il contratto non è stato rinnovato negli ultimi mesi della passata legislatura: è perché in quegli stessi mesi, esattamente il 7 dicembre 2005, si sottoscriveva il contratto scaduto nel 2002. Ahimè, devo dire che nella prassi della pubblica amministrazione si arriva sempre a sottoscrivere i contratti di lavoro quando il biennio è già finito. Questa è una prassi sicuramente non positiva, ma che ci trasciniamo avanti. Infatti il contratto relativo al biennio economico 2002-2005 è stato sottoscritto nella data che ricordavo prima e adesso noi stiamo lavorando per passare ad una fase successiva. Il processo di adeguamento degli aspetti economici e retributivi, conseguente al rinnovato assetto ordinamentale, comunque non ha trovato ancora Pag. 103compiuta attuazione, anche con riferimento alla legge n. 252 del 2004. Questo anche perché la legge finanziaria precedente, quella del 2006, non aveva destinato le risorse per fare questo: né le risorse per rinnovare i contratti pubblici di lavoro, né quelle necessarie per il nuovo ordinamento, di cui peraltro si ravvisa la necessità, soprattutto per finanziare un lavoro complesso e difficile come quello dei vigili del fuoco.
Peraltro va evidenziato che il comparto dei vigili del fuoco, pur avendo una sua specificità, è inserito all'interno del Ministero dell'interno, dove ci sono colleghi delle forze di polizia che hanno alcuni elementi con riferimento ai quali evidentemente il confronto matura immediatamente. Uno degli elementi è sicuramente quello di carattere pensionistico; esso, pur non rientrando nella questione relativa all'ordinamento, rappresenta comunque una criticità per quanto riguarda la maturazione del periodo pensionistico. Un altro elemento, seppur di minore rilevanza, è quello dell'istituto della missione, che poi proprio nell'altra legislatura è stato tolto, ahimè, ai vigili del fuoco, mentre è stato lasciato alle forze di polizia e ai militari dell'esercito. Noi al riguardo, proprio su iniziativa del Senato, abbiamo assunto un impegno formale a reinserirlo.
Circa gli aspetti di una riforma del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, finalizzata a prevedere che la prevenzione e la vigilanza degli incendi fossero riconosciuti come compiti istituzionali del Corpo - questo è un altro tema che lei ha toccato all'interno della sua interpellanza -, si osserva che è già così. Questo lo si può riscontrare anche nel recente disegno di legge governativo, Atto Camera 2272, in cui all'articolo 20, pur nell'ambito di un'indispensabile semplificazione dell'attività economica, per l'impatto evidente che l'attività di prevenzione ha su tutte le attività economiche, si ribadisce che la riduzione degli adempimenti amministrativi per le imprese deve essere effettuata nel rispetto del mantenimento dei livelli di sicurezza per la collettività.
Al riguardo ritengo possa proficuamente profondersi l'impegno del Parlamento per conciliare le due parallele necessità: tutelare l'istituto della prevenzione - che negli anni ha garantito una forte diminuzione degli incendi e degli eventi pericolosi (in particolare, nei settori delle attività a rischio industriale e di quelle, in generale, commerciali) - e semplificare gli adempimenti amministrativi e cartacei delle imprese.
Un altro tema significativo affrontato dall'interpellanza riguarda il rapporto del Corpo con la Protezione civile; in particolare, l'accento è stato posto dall'interpellante sulla necessità di unificare i due dipartimenti, quello della Protezione civile, incardinato presso la Presidenza del Consiglio, e quello dei vigili del fuoco (che, naturalmente, fa capo al Ministero dell'interno). Si è peraltro ricordato come una tale riforma sia stata inspiegabilmente rimandata di un anno dal Parlamento; devo segnalare, al riguardo, che non vi è mai stato un indirizzo assunto da questo Parlamento in tal senso, neanche nella precedente legislatura. Segnalo, altresì, che la distinzione tra i due dipartimenti trova un fondamento logico nelle attribuzioni della Protezione civile, che rispondono ad una funzione di coordinamento delle strutture tutte, dai vigili del fuoco a quelle che operano in caso di calamità naturale e di eventi a carattere più ampio, quali, ad esempio, l'esercito o il sistema sanitario. È vero, d'altra parte, che i vigili del fuoco rappresentano la spina dorsale del sistema di protezione civile, presenti su tutto il territorio nazionale, ventiquattr'ore su ventiquattro.
Inoltre, l'ordinamento attuale del sistema di protezione civile vede ormai le regioni sempre più autonome su queste materie sicché la funzione di coordinamento della Presidenza del Consiglio rappresenta un utile collante; a tale riguardo, devo però riconoscere che ci stiamo muovendo in continuità con le scelte del precedente Governo. Mi permetto solo di evidenziare la nostra accelerazione per quanto riguarda il processo di collaborazione tra gli enti coinvolti, sui due versanti: Pag. 104da un lato, a livello centrale, la collaborazione tra i due dipartimenti; dall'altro, quella con le regioni.
Vengo da un incontro avuto l'altro ieri con l'assessore regionale lombardo alla protezione civile, incontro in occasione del quale abbiamo condiviso tutta una serie di prospettive di collaborazione; analogamente può dirsi del nostro rapporto con la regione Campania, mentre, prossimamente, ci auguriamo di poter dire altrettanto per quanto riguarda la regione Sicilia, che ha manifestato grande disponibilità. Tralascio di soffermarmi, poi, sulle collaborazioni storiche già esistenti con tante altre regioni, a partire dall'Emilia Romagna, con la quale, negli anni, si sono ottenuti molteplici risultati positivi.
Concludo sperando di avere risposto a tutti i quesiti posti dall'interpellante, assicurando il massimo impegno su questi temi e convenendo sulla circostanza che dalla collaborazione non potrà che venire un grande soccorso in ordine alla soddisfazione delle necessità del Corpo. Molti impegni attendono, in questo ambito, il Parlamento e molti miglioramenti possono essere apportati tramite l'attività legislativa, purché si ricordi che questi uomini, tanti ma non sufficienti, svolgono, con grande senso del dovere e abnegazione, il loro servizio sul territorio.
Ahimè, in questi mesi abbiamo avuto anche numerosi decessi in servizio; decessi di personale, sia volontario sia permanente, che, intervenendo nei più disparati eventi, ha perso la vita, annoverandosi tra le vittime del dovere. Il nostro interesse, il nostro lavoro, quello quotidiano, deve consistere, naturalmente, nell'investire in sicurezza ed in formazione affinché tali eventi non si verifichino più.
La grande riconoscenza agli uomini del Corpo nazionale dei vigili fuoco deve sposarsi con quel grande amore che tutti i cittadini italiani hanno nei loro confronti; tutti i sondaggi di opinione ci dicono che sono tra i corpi più amati dai cittadini: ecco, dobbiamo trasferire questo grande affetto e sentirlo ancora più forte nelle sedi istituzionali, affinché tutte le istituzioni possano essere più vicine ai loro bisogni!
PRESIDENTE. L'onorevole La Loggia ha facoltà di replicare.
ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Rosato e mi dichiaro parzialmente soddisfatto delle sue parole, che sicuramente hanno chiarito diversi aspetti che riguardano un argomento particolarmente sentito, come egli stesso ha confermato, per ciò che i vigili del fuoco, al di là dei loro meriti, rappresentano nella memoria, nel ricordo e nella considerazione di tutti gli italiani. Forse non si fa mai abbastanza e da qui nasce la mia parziale soddisfazione.
In particolare, vorrei evidenziare al sottosegretario alcune questioni. Prendo atto che ci sarà un aumento dell'organico, che costituisce sicuramente un elemento positivo. Egli stesso ha ricordato che saranno assunti 2.650 nuovi vigili del fuoco dell'ultimo quinquennio e, se sarà realmente mantenuto l'impegno di assumerne altri 2.600 nel prossimo triennio, già questo fattore, seppure non risolve la situazione, certamente attenua molto l'impatto del turn over rispetto alle esigenze effettive del Corpo dei vigili del fuoco.
Forse bisognerebbe fare qualcosa in più, anche in considerazione di quanto era già stato stanziato dalla finanziaria 2007, che di per sé non è sufficiente, e forse bisognerà trovare ulteriori risorse.
Relativamente all'aumento dell'organico, raccomanderei vivamente di non dimenticare le graduatorie già esistenti. C'è un «parco» abbastanza ampio di vigili del fuoco risultati idonei nei concorsi, accanto ai discontinui e vi è stata un'affermazione molto importante del sottosegretario in favore dei discontinui. Prego il Governo, però, di rivolgere un'attenzione particolare a coloro i quali, inseriti nelle graduatorie, attendono di iniziare finalmente a lavorare.
L'altro argomento, appena sfiorato dal sottosegretario, rispetto al quale raccomando, invece, particolarissima attenzione Pag. 105nell'ambito del rinnovo del contratto, è quello della equiparazione dei vigili del fuoco rispetto alle altre forze dell'ordine, che va effettuata quanto più possibile rapidamente, anche in una sola volta. Si tratta di una loro vecchia battaglia che credo meriti di essere tenuta in assoluta considerazione.
Per quel che riguarda i dipartimenti della protezione civile e dei vigili del fuoco, prendo atto - questo sì è incoraggiante - che vi sono questi crescenti rapporti con le regioni. Purtroppo o per fortuna, con la riforma costituzionale del 2001, l'ormai famigerato Titolo V della Costituzione ha previsto una divisione di competenze dalla quale non si può prescindere.
L'intesa con le regioni, che pure è stato un argomento del quale mi sono occupato molto a lungo, possiede uno strumento, che vedo scarsamente utilizzato da questo Governo e che inviterei, invece, ad utilizzare. Forse esso non è sufficientemente valutato. Si tratta dell'articolo 8, comma 6, della legge n. 131 del 2003, che potrebbe chiamarsi fuori di qui «legge La Loggia», come qualcuno l'ha definita.
Quell'articolo e quel comma consentono, in materie di competenza dello Stato o delle regioni, di raggiungere delle intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata. Tanti argomenti potrebbero essere affrontati in quella sede e questo con gli altri, perché si tratta di una ripartizione di competenze dal punto di vista sia organizzativo, sia funzionale, sia istituzionale, perché le competenze istituzionali sono sancite dalla Costituzione, e sicuramente si porterebbe un beneficio non soltanto all'azione del Governo, ma anche e soprattutto all'azione dei governi regionali.
Inviterei quindi a tenere questo strumento (a suo tempo molto dibattuto, ma poi approvato sostanzialmente quasi all'unanimità dal Parlamento) nella dovuta considerazione, proprio per corrispondere a quell'esigenza di collaborazione alla quale lei giustamente faceva riferimento.
In conclusione, se vi saranno (ne sono sicuro, dalle sue parole penso di poter avere questa certezza) iniziative nuove e positive a favore del Corpo dei vigili del fuoco - lo dichiaro adesso, ma sono pronto a dichiararlo anche fuori -, non mancherà certamente né il mio sostegno né quello della mia forza politica.
(Rinvio interpellanza urgente Di Gioia n. 2-00326)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta del Governo, sulla quale ha convenuto il presentatore, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Di Gioia n. 2-00326 è rinviato ad altra seduta.
(Gestione finanziaria del comune di Catania - n. 2-00370)
PRESIDENTE. L'onorevole Licandro ha facoltà di illustrare l'interpellanza Sgobio n. 2-00370 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 13), di cui è cofirmatario.
ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Signor Presidente, illustrare la nostra interpellanza credo che richiederebbe molto tempo. Tuttavia, in sintesi, noi esprimiamo tutto il nostro sconcerto e la nostra preoccupazione per le sorti della città di Catania per ciò che sta accadendo sul piano della trasparenza e della regolarità dell'azione amministrativa e contabile-finanziaria. Il comune di Catania risulta, almeno sino al 2003, fortemente indebitato, non aver rispettato il patto di stabilità, non aver pareggiato il «buco» di bilancio e avere tentato di raggiungere tale obiettivo con un escamotage francamente sconcertante, cioè il ricorso ad una società di scopo, Catania risorse Srl - con cui si tenta l'aggiramento del divieto, sancito già dall'articolo 119 della nostra Costituzione, di ricorrere all'indebitamento se non per investimenti -, e attraverso una dismissione imbarazzante del patrimonio immobiliare, riguardante immobili anche di pregevolissimo valore storico e artistico.
Tutto ciò nonostante i pareri contrari del collegio di difesa - che certo non può Pag. 106dirsi un covo di bolscevichi, ma un organismo composto da professionisti esterni di fiducia dell'amministrazione, e persino della sovrintendenza ai beni culturali di Catania - che il 22 febbraio scorso ha diramato una durissima nota a proposito della vicenda.
Insomma, noi chiediamo al Governo di sapere quali iniziative intenda intraprendere e se non sia davvero il caso di inviare delle ispezioni per comprendere il reale stato della situazione economica e finanziaria del comune di Catania.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Ettore Rosato, ha facoltà di rispondere.
ETTORE ROSATO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'onorevole Sgobio ha presentato un'interpellanza, che è stata testé illustrata, in merito alla costituzione da parte del comune di Catania di una società denominata Catania risorse Srl, alla quale il comune stesso avrebbe alienato immobili di sua proprietà, e alle relative implicazioni collegate alla situazione debitoria complessiva del comune stesso.
Desidero innanzitutto premettere - tali premesse risultano indispensabili per comprendere anche il resto del senso della risposta - che la normativa vigente non riserva a questo Ministero l'esercizio di forme di controllo sugli atti degli enti locali, i quali, dopo l'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, hanno - come noto - visto estendere la loro autonomia e capacità di autodeterminazione, anche a seguito dell'abolizione del controllo preventivo di legittimità, primo esercitato dal Comitato regionale di controllo.
Faccio presente che anche eventuali iniziative per accertare l'effettiva sussistenza di gravi e persistenti violazioni di legge, di cui all'articolo 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000, ai fini dello scioglimento degli organi amministrativi, rientrano - come è noto - nelle attribuzioni della regione siciliana. A tal fine la legge regionale n. 48 dell'11 dicembre 1991 prevede che il consiglio comunale venga sciolto con provvedimento emesso dal presidente della regione, su proposta dell'assessore regionale per gli enti locali, previo parere del Consiglio di giustizia amministrativa.
In ogni caso, comunico che la prefettura di Catania sta seguendo la vicenda e ove riscontri irregolarità, quali, ad esempio, la mancata adozione della delibera di dissesto, ove necessaria, provvederà ad attivare i competenti organi regionali e ad adottare eventuali provvedimenti in merito.
Riferisco i fatti sulla base della ricostruzione effettuata dalla prefettura di Catania, utilizzando i dati forniti e nulla di più.
La locale amministrazione comunale, per la valorizzazione e l'ottimizzazione del proprio patrimonio immobiliare, ha sottoposto all'esame del consiglio la proposta di deliberazione per la costituzione di un'apposita società di scopo denominata Catania risorse Srl.
La proposta di deliberazione e lo statuto della costituenda società sono stati preventivamente esaminati dal collegio di difesa, organo consultivo incardinato presso il comune stesso.
I suggerimenti e le proposte espresse da tale organo sono stati sottoposti all'esame del consiglio comunale che, nella seduta del 24 ottobre 2006, ha approvato lo statuto, apportandovi alcune modifiche e prevedendo, in particolare, una preventiva delibera di autorizzazioni del consiglio comunale per ogni attività posta in essere dalla società stessa.
Nel rispetto di quanto deciso dal consiglio comunale, l'amministrazione sottoponeva all'esame di quest'ultimo la proposta di deliberazione per il trasferimento alla medesima società, già formalmente costituita, di 14 immobili di proprietà dell'ente locale. L'ente locale continua a ribadire che tali immobili non sembrerebbero essere sottoposti a vincoli di inalienabilità, naturalmente.
Vorrei precisare che la società di scopo cui gli immobili sono stati trasferiti è interamente di proprietà dell'amministrazione comunale, che lo statuto vieta l'alienazione delle quote ad altro ente e che, inoltre, gli Pag. 107effetti del contratto di compravendita sono sottoposti alla condizione sospensiva del rilascio alla società acquirente di mutui o linee di credito per il pagamento al comune degli immobili stessi.
È, altresì, previsto nello statuto che agli oneri derivanti dall'accensione di mutui la società farà fronte con gli introiti derivanti dalle locazioni degli immobili (che sembra si riferiscano all'amministrazione comunale stessa; almeno in parte).
Riferisco, altresì, che l'amministrazione comunale ha sottoposto l'iter procedurale seguito al parere di un avvocato (che ci è stato trasmesso) per acquisire altre informazioni, attraverso una ulteriore approfondita analisi critica sulla vicenda. Il professionista ritiene che le proposte espresse dal collegio di difesa e il suggerimento dell'onorevole interpellante di affidare la stima degli immobili all'amministrazione finanziaria dello Stato rispondono solo a criteri di opportunità. Di ciò do notizia all'interpellante. Questa, naturalmente, è la valutazione del professionista incaricato dall'amministrazione comunale.
Per quanto riguarda le modalità di alienazione - continua l'avvocato -, l'articolo 12 della legge 15 maggio 1997, n. 127, recepita in Sicilia con legge regionale 7 settembre 1998, n. 23, ha previsto la possibilità per comuni e province di procedere alle alienazioni del proprio patrimonio immobiliare, anche in deroga alle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato e degli enti locali.
La giurisprudenza in materia ha chiarito che la disposizione di legge in questione «trova giustificazione proprio nell'esigenza di procedere con la massima celerità alla definizione dei provvedimenti concernenti l'alienazione dei beni, onde consentire il risanamento dei bilanci degli enti locali». A tal fine, vi è una sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, del 13 luglio 2006, n. 4.418.
In ogni caso, concludo ribadendo che, sulla vicenda, la prefettura di Catania non mancherà di esercitare la sua vigilanza (su questo, le assicuro il mio impegno, perché questa vigilanza venga rafforzata unicamente nell'interesse dei cittadini), riservandosi di interessare, come è dovuto, l'assessorato regionale per le famiglie e gli enti locali per l'attivazione degli eventuali poteri di competenza ove siano riscontrate illegittimità.
Inoltre, il dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ed il Ministero dell'economia e delle finanze hanno fatto presente la propria disponibilità ad assumere iniziative conoscitive sulla reale situazione dei conti del comune di Catania, in applicazione dell'articolo 28, comma 1, della legge finanziaria 2003 (la legge n. 289 del 2002) e a conferire quanto prima apposito incarico ispettivo ad un dirigente dei servizi ispettivi della finanza pubblica al fine di acquisire idonee informazioni sulla situazione del bilancio dello stesso del comune.
Naturalmente, tutto questo non poteva essere svolto in pochi giorni, ma richiede sicuramente una procedura più approfondita e più lunga. Resta che gli elementi portati dagli interroganti sono di sicura rilevanza e che, nel rispetto delle competenze delle autonomie previste dalla legge, la nostra disponibilità all'approfondimento nell'interesse unico dei cittadini catanesi resta totale.
Fermo restando l'interesse di un ente locale a tutelare il suo patrimonio, a beneficio - come dicevo in precedenza - dei suoi concittadini, la nostra preoccupazione - non solo per il comune di Catania, ma per tutte le amministrazioni comunali - è che non si arrivi a situazioni drammatiche, come quella del comune di Taranto, difficilmente risolvibili. Quindi, il mio non è un giudizio sull'operato del comune di Catania, perché gli elementi che abbiamo a disposizione li ho riferiti agli onorevoli interpellanti. È sicuramente una preoccupazione legittima che ogni amministratore, in particolare anche il Governo, ha in merito alla finanza pubblica, al rispetto dei patti di stabilità, delle norme esistenti e degli interessi della collettività.
PRESIDENTE. L'onorevole Licandro ha facoltà di replicare.
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ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Rosato e non posso non sottolineare - per averlo colto, è una mia sensazione, ma credo che sia molto fondata - il suo stesso imbarazzo nel passare in rassegna alcuni elementi forniti dall'amministrazione comunale e, addirittura, dal professionista in questione. Evidentemente, l'amministrazione comunale di Catania ha messo da parte sia l'avvocatura comunale, sia il proprio collegio di difesa ed ha cercato un ulteriore legale per trovare altri appigli che giustifichino un'operazione che continuo a definire sconcertante.
Tuttavia, affinché resti agli atti, signor sottosegretario, voglio ricordare che non c'è ovviamente l'illegittimità dell'istituzione di una società di scopo avente come finalità la gestione e la valorizzazione del patrimonio immobiliare. Nel caso specifico, si tratta di un'operazione di altro segno. È un'operazione mirata a «fare cassa», come l'ha definita il collegio di difesa, per aggirare il divieto di legge e per ripianare il deficit consolidato sino al 2003, pena lo scioglimento della giunta comunale.
Peraltro, alcune delle indicazioni che le sono state fornite, signor sottosegretario, sono davvero errate, perché il parere del collegio di difesa - ne prenda nota - non è stato mai sottoposto al consiglio comunale. Il consiglio comunale di Catania ha approvato la deliberazione di trasferimento del patrimonio immobiliare il 30 dicembre 2006, ma il parere del collegio di difesa del 18 dicembre, quindi emanato dodici giorni prima, non è mai stato portato a conoscenza del consiglio comunale.
Passo sinteticamente in rassegna la straordinaria successione dei tempi, che denota un'assenza di trasparenza formidabile: il 28 dicembre 2006 si conferisce l'incarico per le perizie giurate per i citati quattordici immobili, si badi non ad un'équipe di architetti, ingegneri e nemmeno ad un geometra, ma ad un ragioniere. Il comune di Catania probabilmente ha dismesso, prima ancora del proprio patrimonio, i propri geometri, i propri architetti e i propri ingegneri. Il 29 dicembre 2006, ossia il giorno dopo, sono state effettuate tutte le perizie giurate su immobili di grande consistenza, anche fisica, alcuni di enorme pregio. Queste quattordici perizie, effettuate in meno di 24 ore, sono state tutte depositate presso la cancelleria del tribunale di Catania lo stesso giorno. Il 30 dicembre, sabato, si è tenuta la seduta del consiglio comunale ed è stata approvata la deliberazione di trasferimento del patrimonio. Infine, il 31 dicembre, domenica, quando tutti gli italiani pensavano al cenone o erano in vacanza, si è «confezionato» l'atto di compravendita presso uno studio notarile.
Ce n'è abbastanza per accendere non uno ma mille riflettori. La preoccupazione è che queste operazioni andranno avanti. Si tratta di operazioni chiaramente illegittime e voglio ricordare - probabilmente non è stata neppure messa a disposizione del Ministero, che comunque dovrebbe disporne una copia - una nota della sovrintendenza, cui accennavo prima, del 22 febbraio 2007, inviata, tra gli altri, anche al Ministero dell'interno.
Le richiamo solo un passaggio, signor sottosegretario: «(...) Di questi quattordici immobili, l'ex caserma Malerba, già convento San Domenico (secolo XVIII), l'ex monastero di Santa Chiara (secoli XVI e XVIII), l'ex monastero di Sant'Agata (secolo XVIII) e gli immobili di via Manzoni, via San Giuliano, via Crociferi, che costituiscono il monastero di San Giuliano (secolo XVIII), sono di eccezionale interesse storico-artistico in quanto mirabili opere dei più noti architetti e lapidum incisores dell'epoca. Esempi straordinari di quel fenomeno senza precedenti che fu la ricostruzione tardo-barocca del Val di Noto, fenomeno riconosciuto dall'Unesco patrimonio mondiale dell'umanità».
Questa durissima nota della sovrintendenza - non vi è parere legale o giurisprudenza che tenga - si chiude con una dichiarazione di nullità del trasferimento degli immobili di proprietà comunale alla società Catania risorse.
Qui siamo davvero dinanzi al caso in cui la fantasia (la finanza creativa) supera Pag. 109ogni limite. A mia memoria riesco a ricordare solo alcuni ispiratori di un'operazione di questo genere: Totò e Peppino che vendono la fontana di Trevi.
Signor sottosegretario, non vi sono altri elementi che possano far superare un giudizio di preoccupazione e negativo sulla vicenda.
Abbiamo accolto con favore la disponibilità del ministro del tesoro circa l'invio di ispettori presso gli uffici finanziari del comune di Catania, il quale il 31 dicembre 2007 (fra qualche mese) dovrà ripianare altri debiti e allora si procederà ad altri trasferimenti illegittimi: occorre intervenire!
Il problema è molto semplice. Questa amministrazione è guidata dal sindaco, professor Umberto Scapagnini, noto farmacologo, medico personale dell'onorevole Berlusconi, quello che ha teorizzato l'immortalità tecnica del leader dell'opposizione.
Credo che, al di là di questo (non entro in questo campo che mi è assolutamente ignoto), la sua amministrazione, la sua giunta sia morta per asfissia, per cattiva amministrazione, per il disastro che ha provocato.
Guardi, Catania è seconda davvero di poco a Taranto, ma si corre verso quel primato.
Per questo, ringraziando il Governo e lei della disponibilità a seguire - e le rinnovo davvero la sollecitazione a farlo - e a sollecitare la prefettura di Catania perché non defletta neppure per un attimo sul controllo della vicenda, io auspico che ulteriori danni non vengano ancora una volta sopportati dai cittadini catanesi.
(Iniziative per una corretta interpretazione delle norme relative alla convocazione dei comizi elettorali nei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa - n. 2-00371)
PRESIDENTE. L'onorevole Nespoli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00371 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 14).
VINCENZO NESPOLI. Signor Presidente, abbiamo proposto la presente interpellanza nel mese scorso, quando si avvicinava la scadenza che avrebbe messo il Ministero dell'interno in condizione di diramare l'elenco dei comuni che sono chiamati a svolgere le elezioni amministrative nella prossima primavera.
L'interpellanza ricalca anche una proposta di legge interpretativa di alcuni limiti, che riteniamo da superare, relativi alla normativa che sovrintende ai meccanismi della convocazione dei meccanismi elettorali in generale e, in particolare, per i comuni che, in applicazione dell'articolo 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, sono sottoposti a misure di scioglimento in via preventiva e che, quindi, sono retti da commissioni straordinarie.
È certamente noto al Governo e al Parlamento che una delle questioni, già affrontata nella scorsa legislatura dalla Commissione antimafia, è che la normativa richiamata dall'articolo 143 e anche da altre norme sia superata dal complesso del testo unico degli enti locali e dalle sopravvenute nuove normative che regolano il sistema delle autonomie. Ciò ha di fatto vanificato questo meccanismo che, in passato, serviva anche da prevenzione e da tutela nei confronti della politica che gestiva i comuni. Oggi, non vi è una differenziazione di responsabilità. Molto spesso si adottano provvedimenti, in applicazione dell'articolo 143, di scioglimento dei comuni per responsabilità che sono in capo ai dirigenti e non alla politica.
Sono in corso audizioni alla I Commissione della Camera in concomitanza con l'esame di alcune proposte di legge, fra cui una che porta anche la mia firma, per addivenire ad una normativa diversa che metta al riparo da interpretazioni come quelle che sono state prodotte in questi anni, in cui, in applicazione di questa norma, vi è stata una lettura troppo «politica» degli interventi o, almeno, così è stata letta dalle amministrazioni e dalle popolazioni che hanno dovuto subire questo intervento.
Molto spesso, in conseguenza di questi scioglimenti, la commissione straordinaria che sostituiva non ha determinato un Pag. 110clima nuovo nella gestione dei comuni o condizioni diverse. Anzi, se entriamo nella valutazione delle gestioni commissariali, possiamo constatare con facilità il verificarsi di situazioni che fanno «rabbrividire» rispetto alla gestione politica della cosa pubblica. Le gestioni commissariali sono spesso molto discrezionali e condizionano in negativo le attività delle amministrazioni che sono state legittimate dal voto popolare.
Con l'interpellanza che sto illustrando chiediamo al Governo di dirimere un dubbio interpretativo sui meccanismi che sottendono alle procedure di convocazione dei comizi elettorali. In provincia di Napoli, proprio questa mattina, il prefetto ha sollecitato una riunione per fare il punto sulla situazione e sulle responsabilità che la prefettura, in attuazione del testo unico, esercita con il controllo preventivo che mette in atto sul sistema delle autonomie. In provincia di Napoli, trenta comuni su novantadue sono monitorati, oltre a quelli che già sono stati sciolti e in cui vi è la commissione straordinaria e a quelli in cui già si è insediata una commissione d'accesso che sta svolgendo verifiche per valutare se proporre ulteriori provvedimenti di scioglimento.
Siamo di fronte ad un'emergenza democratica, perché negli anni, al di là del colore politico delle amministrazioni che reggono le sorti di governo, abbiamo verificato un intensificarsi delle attività di prevenzione e di repressione che hanno determinato molti scioglimenti di consigli comunali. Atteso che le gestioni commissariali non producono certezze in tema di legalità degli atti amministrativi o un clima nuovo nella gestione della cosa pubblica, si sta spesso verificando, per di più, che si torna a votare in tempo lunghi, molto al di là dei termini previsti dalla legge secondo cui la commissione straordinaria dovrebbe rimanere in carica diciotto mesi, tranne i casi in cui venga approvata una richiesta di proroga (comunque, la gestione commissariale non potrebbe andare oltre i ventiquattro mesi). Purtroppo, si sta verificando con facilità che la gestione vada molto al di là di questo termine, arrivando in qualche caso, addirittura, a tre anni, in conseguenza dell'applicazione della norma della convocazione dei comizi elettorali.
Noi siamo convinti che c'è un discorso relativo alla volontà, in termini politici, di attivare meccanismi per riconsegnare all'elettorato e ai cittadini la possibilità di scegliersi il proprio Governo della città. Se noi ci trovassimo di fronte ad una norma che poi nella sua attuazione porta a compimento benefici per le popolazioni amministrate, rimarremmo ad approfondire l'attività delle commissioni non 18, non 24, ma 36 o 48 mesi, se questo servisse a ripristinare una correttezza amministrativa ed a procedere in un clima di certezza sul piano della sicurezza e della legalità a livello locale.
Visto che tutto questo non si è verifica molto spesso, anche a distanza di pochi mesi si interviene con le stesse procedure. Inoltre, non è possibile fare altrimenti: pertanto vi è la necessità di modificare la norma che sottintende all'applicazione dell'articolo 143 e che determina lo scioglimento dei comuni per condizionamento mafioso camorristico, nel momento in cui tutti quanti concordiamo che si tratta di una norma antiquata, che va modernizzata e che deve evidenziare collusioni certe, indicando altresì responsabilità di pubbliche amministrazioni in relazione a situazioni di connivenza o di condizionamento.
Sono pochissimi i casi per cui, in seguito a scioglimento del comune per infiltrazioni camorristiche o mafiose, poi si sono viste procedure che hanno coinvolto amministratori e che hanno individuato responsabilità specifiche in questi collegamenti. Quindi, nella stragrande maggioranza delle volte, la norma viene applicata a livello di prevenzione e non come norma di evidenziazione di responsabilità precise. Da questo punto di vista, noi sollecitiamo il Governo a dare una certezza interpretativa che vada nel senso di far primeggiare la partecipazione democratica delle popolazioni amministrate, consentendo ai cittadini di scegliersi il proprio Governo.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Ettore Rosato, ha facoltà di rispondere.
ETTORE ROSATO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, cercherò di rispondere all'interpellanza sciogliendo il dubbio che ci sia una possibilità interpretativa sulla questione all'esame. Infatti, mi riconosco in molti dei ragionamenti dell'interpellante, in particolare sulla necessità di essere attenti a quello che è l'obiettivo finale, vale a dire, da una parte, riportare la legalità nei territori dei comuni che sono stati sciolti per condizionamenti mafiosi e, dall'altra, ricostruire quelle condizioni minime per consentire ai cittadini di scegliere liberamente la loro amministrazione.
Infatti, ai sensi della normativa vigente in materia di scioglimento dei consigli comunali di cui all'articolo 143 del testo unico sugli enti locali ed in base alla prassi costantemente seguita dal ministro dell'interno, il rinnovo delle amministrazioni locali sciolte per motivi di mafia è consentito qualora la scadenza della gestione commissariale intervenga entro il quarantacinquesimo giorno antecedente la data fissata per le elezioni, termine coincidente con l'affissione dei manifesti di indizione dei comizi elettorali.
Qualora ciò non sia possibile, si viene a determinare una proroga di fatto delle gestioni straordinarie per motivi tecnico-normativi, fino alla tornata elettorale dell'anno successivo, dato che, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del citato testo unico, la commissione rimane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile. Tale impostazione è coerente con quanto avviene per gli scioglimenti ordinari per cause tipizzate ex articolo 141 del testo unico sugli enti locali qualora essi intervengano oltre la data del 24 febbraio, prevista dall'articolo 2 della legge n. 182 del 1991 quale termine ultimo per consentire l'inserimento degli enti disciolti nella tornata elettorale primaverile dello stesso anno, con la conseguenza che gli scioglimenti disposti oltre quella data danno luogo a rinnovo degli organi nella tornata elettorale dell'anno successivo.
Peraltro, l'orientamento del ministro dell'interno, anche dopo che il legislatore ha accorpato i rinnovi elettorali amministrativi in unica tornata nell'arco dell'anno, da tenersi in primavera, è quella di favorire quanto più possibile la rapida ricostituzione degli organi di governo liberamente e democraticamente eletti dalle collettività locali.
In questo senso, si è ritenuto che, anche nel caso in cui la gestione commissariale scada oltre il termine del 24 febbraio, possa essere disposto l'inserimento dei comuni sciolti per mafia nella tornata elettorale annuale, purché il periodo di durata di tale gestione si sia concluso nell'ultimo giorno utile per convocare i comizi elettorali, cioè al quarantacinquesimo giorno antecedente a quello fissato per la votazione. Quest'ultimo termine fissa un limite difficilmente superabile, considerata la rigidità che caratterizza l'intero calendario elettorale, così come disciplinato dal testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, che fissa in modo minuzioso la tempistica dei vari adempimenti del procedimento preordinati alla garanzia del regolare svolgimento delle consultazioni, con la conseguenza che eventuali scostamenti da tale calendario non possono essere introdotti per legge.
Una conferma indiretta della correttezza di questa impostazione proviene anche dall'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 1o febbraio 2005, n. 8, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2005, n. 40 (probabilmente lei lo ricorderà), che, in occasione delle elezioni amministrative del 2005, in deroga alla norme ordinarie, ma limitatamente a quell'anno, ha consentito il rinnovo degli organi elettivi nei comuni sciolti per mafia la cui gestione commissariale scadeva entro il giorno antecedente a quello fissato per le elezioni.
Da quanto precede si evince, quindi, che l'accoglimento di quanto prospettato nell'interrogazione non può avvenire su base meramente interpretativa, ma necessita di un intervento legislativo che modifichi Pag. 112espressamente le richiamate disposizioni del testo unico degli enti locali, in particolare l'articolo 143 del testo unico, e comunque tenendo conto che in nessun caso il rinnovo elettorale potrebbe intervenire prima della data di scadenza della gestione commissariale ancorché prevista per lo stesso semestre in cui si vota.
La norma del 2005 avrebbe potuto innovare l'articolo 143, garantendo stabilità a questo percorso, ma il legislatore, a quell'epoca, non ha ritenuto di farlo e, quindi, dobbiamo utilizzare la norma attualmente in vigore.
Osservo a tale proposito che gli stessi interroganti, del resto, hanno promosso un'iniziativa legislativa in tal senso, l'atto Camera n. 1134, che anche lei, onorevole Nespoli, ha ricordato prima, concernente il rinnovo dei consigli comunali e provinciali sciolti per fenomeni di infiltrazione di tipo mafioso, che si trova attualmente all'esame della I Commissione permanente di questo ramo del Parlamento.
Già in quella sede, nella seduta del 13 dicembre scorso, il rappresentante del Governo, il mio collega Alessandro Pajno, ha avuto modo di assicurare che le ipotesi di aggiornamento della disciplina in esame sono ben presenti al Governo che segue con attenzione la discussione in corso.
Fermo restando, quindi, il rispetto per le determinazioni cui il Parlamento riterrà di pervenire in esito al dibattito sulle proposte di legge presentate, si ritiene che alcune modifiche alla normativa vigente potrebbero essere anche apportate nell'ambito della revisione del testo unico sugli enti locali, per la quale è stato predisposto apposito disegno di legge delega.
Vorrei anche ricollegarmi, onorevole Nespoli, al suo intervento, che condivido; mi riferisco, in particolare, agli aspetti riguardanti non solo la struttura politica dell'ente locale che viene sciolto, ma anche la struttura tecnica, sulla quale occorre intervenire con strumenti legislativi per riportare una condizione di normalità in quell'amministrazione comunale che ne ha bisogno.
Mi auguro che il Parlamento, nell'ambito dell'esame del disegno di legge delega sugli enti locali, voglia apportare le opportune modifiche in tal senso, sulle quali il Governo è favorevole ed impegnato.
Aggiungo che il ministro Amato le ha inviato una nota personale sul tema dell'interpellanza, anche perché su tale vicenda il ministro è particolarmente sensibile a non interferire con provvedimenti legislativi sul regolare svolgimento del voto.
Naturalmente dobbiamo sempre garantire situazioni di chiarezza in materia elettorale. Mi pregio di dire che in ciò si riscontra una certa continuità (è un elemento utile di cui il paese può vantarsi).
Con quella nota il ministro le assicura che non è intenzione del Governo proporre alcun provvedimento normativo urgente che modifichi la vigente disciplina perché ciò significherebbe, quando ognuno sta già correndo, inserire un elemento di insicurezza all'interno del prossimo turno elettorale per i comuni sciolti per mafia le cui gestioni commissariali non scadono entro il quarantacinquesimo giorno antecedente la data fissata per le elezioni.
Confido di aver dato una risposta sufficientemente chiara, utile almeno a comprendere che l'atteggiamento del ministero è volto a non intervenire attraverso un provvedimento d'urgenza riguardo ad una questione delicata che, invece, va concordata in Parlamento; ciò, per riformare questo quadro legislativo e per consentire che si possa operare con serenità su due binari. Da una parte, infatti, bisogna seguire la scelta operata a suo tempo e in maniera intelligente dal legislatore, volta alla costruzione di un meccanismo attraverso cui sciogliere le amministrazioni caratterizzate da infiltrazioni di tipo mafioso, ed adeguare questa normativa alle esigenze riscontrate in questi anni. Dall'altra, bisogna consentire, attraverso l'uso di adeguati strumenti, che nel momento in cui le amministrazioni tornino ad essere pienamente funzionali il cittadino possa con il suo voto determinare colui che deve amministrarlo.
PRESIDENTE. L'onorevole Nespoli ha facoltà di replicare.
VINCENZO NESPOLI. Signor Presidente, capisco la difficoltà del sottosegretario a fornire una risposta adeguata alla questione posta, poiché è peregrina l'idea di sostenere che l'orientamento consolidato del ministero è quello di favorire, quanto più possibile, la convocazione dei comizi elettorali, la partecipazione elettorale, il rinnovo dei consigli comunali.
La consuetudine - meglio definirla in questo modo poiché di questo si tratta: non si può, infatti, parlare di norma - richiamata non concerne alcun disposto legislativo di riferimento.
Giustamente il sottosegretario non ha richiamato una norma poiché vi è una consuetudine che, al fine di favorire la partecipazione al voto, fissa, per il solo caso rappresentato dai comuni sciolti in applicazione dell'articolo 143 del testo unico - non sono compresi quei comuni interessati, ad esempio, da una crisi politica e il cui scioglimento si è verificato dopo il 24 febbraio -, la convocazione dei comizi elettorali se ricorre la coincidenza con il termine dei diciotto mesi relativo alla gestione commissariale.
Rispetto a questa consuetudine, è intervenuto il decreto-legge n. 8 del 2005 - correttamente richiamato dal sottosegretario -, convertito nella legge 24 marzo 2005, n. 40. Ebbene, il terzo comma dell'articolo 1 stabilisce chiaramente che il periodo di durata della gestione commissariale si deve concludere entro il giorno antecedente a quello fissato per la votazione.
Questa è una norma legislativa che valeva per il 2005 perché è in quel contesto che il Parlamento è dovuto intervenire. Infatti, rispetto al testo unico degli enti locali il turno annuale fu anticipato (se si ha come riferimento la scadenza o il periodo 15 aprile-15 giugno) tramite decreto.
In ogni caso, si è fissato un principio legislativo rispetto ad una consuetudine, mentre nel 2006 non vi è stata questa necessità: ricordo, proprio in questo senso, il mio intervento in sede di conversione del decreto-legge. Lo ripeto, nel 2006 non vi è stata questa necessità poiché non vi erano consigli comunali in scadenza e che, in forza dell'applicazione non indicata nel 2005, potevano vedere prorogata di fatto, per più di un anno, la gestione commissariale.
Che cosa succederà oggi in provincia di Napoli? Alcuni comuni, per i quali la gestione commissariale scade ad aprile, andranno al voto nel 2008. Per cui, la commissione straordinaria resterà in carica oltre trenta mesi - in qualche caso arriveremo a trentadue, trentatré mesi -, quando la legge stabilisce un tetto massimo di ventiquattro mesi se si accetta la proroga.
Allora io credo che il Governo avrebbe dovuto dare una risposta rispetto ad un dato, se cioè sia preminente il rispetto della legge, che fissa nel termine ultimo dei 24 mesi la gestione commissariale, o una consuetudine interpretativa in forza della quale non si mandano al voto i comuni, e di fatto si supera questo termine perentorio fissato dalla legge.
Questo è in sintesi il problema che noi abbiamo posto. Se poi, all'interno di questa analisi, viene fuori che i comuni che non andranno a votare sono comuni che erano gestiti dal centrosinistra, i cui organi sono stati poi sciolti per infiltrazione camorristica, che sono comuni all'interno dei quali ci sono autorevoli espressioni, autorevoli parlamentari del centrosinistra, forse si capisce che questo tipo di interpretazione è stata indotta per evitare che si vada a votare in quei comuni dove evidentemente il risultato elettorale poteva essere non favorevole proprio a chi oggi sostiene questa interpretazione e non invece l'applicazione della norma, che fissa nel massimo termine utile di 24 mesi la gestione commissariale.
Sono dati che la legge ci dà. Vi è poi l'interpretazione, perché non c'è nessuna norma legislativa che dice che per i comuni i cui organi sono sciolti per camorra il termine ultimo viene conteggiato rispetto alla convocazione dei comizi elettorali.Pag. 114
La legge di riferimento è l'articolo 143 del testo unico. L'articolo 143 fissa il termine ultimo della gestione commissariale in 24 mesi. Si tratta quindi di un termine che deve essere equiparato alla gestione ordinaria dell'amministrazione. Se questo termine scade nei primi sei mesi dell'anno si va a votare, altrimenti si va all'anno successivo. Dato che in questi casi il termine scade nei primi sei mesi, si doveva andare a votare.
Ringrazio il ministro Amato che ha voluto anticiparmi con una lettera personale la sua non disponibilità a intervenire con uno strumento legislativo, perché questo ha fatto il ministro Amato; lo ringraziamo per la chiarezza, ma la chiarezza del ministro Amato ovviamente mette in evidenza un dato: si è voluto privilegiare la consuetudine della burocrazia ministeriale rispetto alla norma legislativa, che invece andava rispettata.
(Sperimentazione in campo aperto di organismi geneticamente modificati - n. 2-00345)
PRESIDENTE. L'onorevole Marinello ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00345 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 15).
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, nella interpellanza a mia firma, sottoscritta anche da numerosi colleghi del mio gruppo politico, si pone una questione fondamentale per la ricerca scientifica, ma anche per l'avvenire economico dell'agricoltura italiana, ossia la questione relativa alla ricerca in campo aperto di organismi geneticamente modificati. Parliamo ovviamente di ricerca, sia essa pubblica o privata, e in particolare ci riferiamo all'ottemperanza da parte dello Stato italiano rispetto a quanto previsto dalla direttiva comunitaria n. 18 del 2001.
Devo dire a tal proposito che dal 1999 al 2006, i rilasci in campo aperto di piante geneticamente modificate nel nostro paese si sono sensibilmente ridotti: si è passati da 256 casi documentati a soltanto due casi.
Questa è una esigenza oggi veramente avvertita, è avvertita dal mondo della ricerca: ben 120 scienziati provenienti da 125 paesi hanno sottoscritto uno specifico appello alla Commissione europea affinché intervenga presso l'Italia. Ci sono decine di società scientifiche italiane che sono intervenute sulla questione; vi è anche una lettera del gruppo «Galileo 2001», datata 1o agosto 2006, mandata alle autorità comunitarie, ma anche al ministro Bonino, al ministro De Castro, al ministro Pecoraro Scanio e al ministro Turco. Tutti trattano in maniera esaustiva l'intera questione.
L'intera questione, a nostro avviso, è centrale per l'avvenire del sistema produttivo agricolo italiano ed è centrale anche per la ricerca scientifica. Di fatto cosa sta accadendo?
Il nostro paese, da questo punto di vista, è in una stasi assoluta, si rischia un'arretratezza culturale e scientifica, che domani diventerà anche arretratezza del sistema produttivo, quindi arretratezza economica, in un campo a nostro avviso fondamentale per il nostro paese.
Ancora una volta segniamo il passo rispetto a quanto avviene nel resto d'Europa, segniamo il passo rispetto a quanto avviene nel resto del mondo.
Non si può essere europeisti in alcuni casi e poi, riguardo a situazioni così importanti, fare assolutamente finta di nulla!
Non nascondo che si sono registrati ritardi anche sotto la passata gestione del ministro Alemanno. Tra l'altro, vorrei osservare che si tratta di un tema specifico, riguardo al quale anche nel gruppo politico in cui milito le divergenze rispetto al ministro Alemanno erano assolutamente sostanziali. Devo tuttavia riconoscere che, nella passata legislatura, si giunse alla fine all'approvazione di un provvedimento, il decreto legislativo n. 224 del 2003, che, pur prevedendo una serie di restrizioni, sembrava comunque aprire la strada a questa sperimentazione.
Oggi noi, a circa dieci mesi di distanza dall'insediamento del nuovo Governo, vogliamo sapere quali siano le posizioni dell'Esecutivo su tale questione e quali Pag. 115siano gli atti e gli adempimenti che sono stati compiuti, perché ritengo necessario dare al più presto una risposta a questo importante settore, nonché al mondo scientifico ed universitario italiano.
Credo occorra dare una risposta chiara soprattutto al sistema delle imprese, il quale sta aspettando con ansia (a dire il vero, da alcuni anni) che il nostro paese affronti, in maniera seria e con un atteggiamento assolutamente laico, questo tema.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali, Stefano Boco, ha facoltà di rispondere.
STEFANO BOCO, Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali. Signor Presidente, ringrazio innanzitutto l'onorevole interpellante. Ovviamente, mi atterrò ai quesiti specificatamente posti dall'atto di sindacato ispettivo in oggetto, invitando il collega Marinello a partecipare all'importante discussione che dovremo successivamente svolgere, più in generale, circa il modo in cui comportarci nel trattare tale questione. Come egli ha ricordato, infatti, nel nostro paese esistono storie ed esperienze che dividono (lo dico con rispetto) sia l'attuale maggioranza, sia le attuali opposizioni.
Credo non si tratti solo di un'importantissima discussione scientifica, poiché dobbiamo offrire anche una prospettiva al paese. In tal senso, le posso dire, onorevole Marinello, che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali sarà presente, efficiente e puntuale nell'affrontare, ogni volta che ne avrà possibilità - soprattutto, assieme al Parlamento -, il dibattito su tale tema.
Premesso ciò, torno alla risposta all'interpellanza urgente presentata dall'onorevole Marinello e da altri deputati. Con riferimento alla predisposizione dei protocolli tecnici di specie geneticamente modificate, ai sensi del decreto ministeriale del 19 gennaio 2005 (Gazzetta Ufficiale n. 72 del 29 marzo 2005), in applicazione dell'articolo 8, comma 6, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, si fa presente che il comitato tecnico di coordinamento, di cui all'articolo 4 del citato decreto del 19 gennaio 2005, si è insediato nel marzo 2006 e, considerata la delicatezza dell'argomento trattato, ha provveduto ad operare, durante questi mesi, secondo il principio di massima precauzione. Ho ricordato, dunque, la normativa vigente in tale materia.
A tal fine, il comitato ha convocato gli esperti estensori della specifica coltura oggetto del protocollo per le prescrizioni previste nell'allegato al decreto ministeriale in oggetto. Detto comitato, in base alle priorità della sperimentazione e nell'ambito dell'organizzazione dei lavori, ha diviso i protocolli in due gruppi.
Il primo gruppo è composto dalle specie attualmente in sperimentazione pluriennale o per le quali è stata presentata notifica di sperimentazione all'autorità competente nazionale. Elenco tali specie: actinidia, agrumi, ciliegio dolce, fragola, mais, melanzana, olivo, pomodoro e vite.
Il secondo gruppo è costituito, invece, da specie già sperimentate in Italia fin dall'anno 1998: barbabietola, cicoria, colza, frumento, melo, ornamentali, patata, pioppo, riso, soia, susino e tabacco.
Tra i protocolli del primo gruppo, si segnala la presenza di quello «agrumi», in ottemperanza alla richiesta di sperimentazione per il rilascio in campo di una varietà di limone GM, presentata dall'università di Catania (come è stato ricordato dall'onorevole interpellante). Tale richiesta, allo stato, è in attesa di autorizzazione da parte della competente commissione per le biotecnologie, costituita presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
A tale riguardo, nel far presente che la regione siciliana, allo stato, non ha ancora autorizzato nel proprio territorio il sito pubblico ove effettuare la sperimentazione, si evidenzia che gli unici siti autorizzati in Italia sono ubicati nella regione Marche (Università di Ancona) e nella regione Toscana (centro di Saggio di Cesa ad Arezzo, gestito dall'ARSIA).Pag. 116
Il comitato, pertanto, ha sostanzialmente completato i propri lavori relativamente ai protocolli tecnici operativi delle specie vegetali del primo gruppo e, allo stato, l'amministrazione per completare l'iter previsto dal decreto ministeriale del 19 gennaio 2005 sta operando per inviare la bozza di decreto con i protocolli allegati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il parere preventivo. Spero che la mia risposta sia stata esaustiva rispetto ai quesiti posti dall'interpellante, e lo ringrazio.
PRESIDENTE. L'onorevole Marinello ha facoltà di replicare.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, non posso che ritenermi parzialmente soddisfatto: infatti, il sottosegretario ha risposto compiutamente ad alcune questioni da me poste nell'interpellanza, ma non ha affrontato il tema di fondo che riguarda l'atteggiamento di chi attualmente guida le politiche agricole del nostro paese e anche degli altri ministri interessati alla questione. A mio avviso, dalla risposta fornita dal sottosegretario, che è molto tecnica e poco politica, non si evince assolutamente nulla.
Al di là di questa considerazione, devo tornare a sottolineare che si tratta di un problema importantissimo che dobbiamo affrontare oggi e con il quale domani ci confronteremo ancor più e ancor meglio. È un problema di interesse mondiale e il nostro paese non può correre il rischio dell'arretratezza dal punto di vista della ricerca scientifica in questo campo. Ciò è fondamentale per le nostre produzioni agricole, per l'intera filiera del settore agroalimentare, nonché per l'interesse dei cittadini. Siamo convinti, infatti, che una saggia ricerca scientifica possa portare a produzioni migliori non soltanto dal punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo. Rispetto ad intere filiere agroalimentari, occorre creare le premesse affinché si arrivi a produrre alimenti più salubri. Sono convinto che queste rappresentino le frontiere del domani.
Tra l'altro, siamo in un mondo sempre più caratterizzato da fasce di popolazioni in condizioni alimentari pessime e sempre più interessato da queste necessità, un mondo che oggi guarda alle produzioni agricole anche dal punto di vista energetico (basti pensare alle bioenergie e al bioetanolo). Il fatto di investire sulla ricerca scientifica proprio in questo settore rappresenta sicuramente non soltanto un segno di innovazione e un segnale di modernità, ma soprattutto una speranza per un domani migliore. Non comprendere ciò, può far correre al nostro paese un gravissimo pericolo: quello dell'arretratezza e di un atteggiamento, per certi versi, medievale.
Sono convinto che le persone che si occupano in maniera seria e compiuta di queste tematiche non possono assolutamente volere questo.
Noi, dai banchi dell'opposizione, continueremo a trattare questi temi: li affronteremo in Parlamento, nelle Commissioni competenti e nel paese. Porteremo avanti la nostra azione parlamentare e la svilupperemo cercando di conseguire al più presto gli obiettivi che ci prefiggiamo.
(Incidente verificatosi nell'impianto Itrec della Trisaia di Rotondella (Matera) il 24 novembre 2006 - n. 2-00381)
PRESIDENTE. L'onorevole Margiotta ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00381 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 16).
SALVATORE MARGIOTTA. Signor Presidente, signor sottosegretario, illustrerò molto brevemente la mia interpellanza, limitandola al più possibile nei tempi, vista anche l'ora.
Nello scorso mese di novembre si è verificato un incidente presso l'impianto Itrec di Rotondella, ove sono presenti scorie radioattive. In particolare, sono state riscontrate tracce di radioattività nel terreno attorno ad una fossa di cemento armato contenente scorie nucleari. Si Pag. 117tratta di una fossa cosiddetta «irreversibile», ovvero di un vascone di calcestruzzo interrato, circondato da un muro di mattoni costruito all'inizio degli anni ottanta e contenente scorie nucleari prodotte tra il 1975 ed il 1978. Ne diede notizia un organo di stampa lucano, La Gazzetta del Mezzogiorno, ed immediatamente dopo la Sogin ha confermato il dato.
In maniera particolare, quando sono stati effettuati dei carotaggi, l'acqua venuta a giorno nei fori ha evidenziato tracce di radioattività. La Sogin ha ritenuto la situazione non allarmante in quanto l'area contaminata (leggo testualmente) «è circoscritta ad un'area ristretta nelle immediate adiacenze della fossa».
Il consiglio comunale di Rotondella, facendo proprio ed approvando un ordine del giorno del gruppo consiliare «Centrosinistra per Rotondella» il 22 dicembre 2006, ha evidenziato una sfiducia generale nei confronti dell'operato della Sogin in materia di messa in sicurezza e gestione dei rifiuti nucleari e chiesto con il proprio atto, approvato ed inviato al Governo, di verificare se l'operato dell'azienda sia stato corretto e di accelerare i processi di messa in sicurezza dei rifiuti nucleari e della realizzazione del cosiddetto «prato verde».
Sulla scorta di tale delibera del consiglio comunale in questa interpellanza io ed altri 29 colleghi, deputati dell'Ulivo, chiediamo al Governo, innanzitutto, di chiarire cause e dinamiche dell'episodio verificatosi. In secondo luogo, chiediamo di garantire l'opportuna informazione alle popolazioni del luogo, sia in relazione a tale episodio, sia in relazione al comportamento da tenere ove si verificassero ulteriori incidenti. Inoltre - e si tratta dell'aspetto più importante su cui tornerò in sede di replica - chiediamo di accelerare i processi di messa in sicurezza delle scorie nucleari a Rotondella ed in generale sull'intero territorio nazionale.
Come dirò più ampiamente nella replica, vi sono almeno altri due luoghi molto interessati, come Rotondella, a tale problematica, ovvero Saluggia in Piemonte e Casaccia nel Lazio. Inoltre, chiediamo di sanzionare, ove fosse ritenuto necessario e fossero riscontrate negligenze, eventuali comportamenti non consoni da parte di Sogin Spa.
PRESIDENTE. Il sottosegretario per lo sviluppo economico, Filippo Bubbico, ha facoltà di rispondere.
FILIPPO BUBBICO, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, aggiungerò qualche elemento di dettaglio alle questioni descritte in maniera puntuale dall'onorevole Margiotta.
Effettivamente un incidente si è verificato, come egli ha descritto. Purtroppo occorre segnalare che incidenti identici o di natura diversa, ma in ogni caso non trascurabili, si sono verificati in altri siti. In modo particolare, cio è accaduto alla Casaccia, addirittura durante l'attività di collaudo di un impianto di sicurezza che era stato realizzato.
È preoccupante dover constatare che questi episodi si sono verificati nonostante il fatto che già alcuni anni fa furono disposti poteri tramite un'ordinanza di protezione civile. La Sogin ha ereditato dall'Enea la competenza nella gestione e nella messa in sicurezza di impianti che avevano trattato materiali radioattivi. Eppure, nonostante quei poteri, quelle risorse e quelle precise disposizioni si sono verificati egualmente problemi.
C'è da augurarsi, anche alla luce del nuovo modello organizzativo definito con la finanziaria, che possano non verificarsi più in futuro. Non c'è dubbio che il problema posto meriti grande attenzione. Occorre garantire sicurezza ai lavoratori e ai cittadini. Occorre realizzare quei progetti di messa in sicurezza e di bonifica già definiti ed illustrati alle popolazioni locali, attraverso quel tavolo della trasparenza fortemente voluto dalle regioni interessate dalla presenza di questi impianti.
Voglio precisare - ma questo è piuttosto noto - che il Ministero dello sviluppo economico non ha un compito di verifica circa gli impatti di natura ambientale. Tale compito rientra nella titolarità del Ministero Pag. 118dell'ambiente, che li esercita attraverso l'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (Apat). Quindi i dati che riferirò sono costituiti sostanzialmente da una ricognizione, che l'Apat ha effettuato in relazione all'incidente segnalato.
Confermo che nel luglio del 2006 sono state avviate indagini geognostiche, volte ad acquisire informazioni sulla situazione dei terreni circostanti la fossa 7.1 dell'impianto Itrec. L'indagine si è resa necessaria per la progettazione del recupero dei rifiuti radioattivi, a suo tempo interrati nella fossa stessa, come programmato nell'ambito delle attività propedeutiche alla disattivazione dell'impianto, previste dalla licenza di esercizio. Allo scopo di accertare le condizioni radiologiche dei rifiuti e del terreno limitrofo, sono state quindi effettuate, a partire dal luglio del 2006, una serie di perforazioni per la realizzazione dei pozzi per il monitoraggio radiologico. La fossa 7.1, situata a circa una settantina di metri all'interno del recinto dell'impianto, è costituita da quattro vasche in pareti di calcestruzzo dello spessore di 20 cm. Le vasche sono affiancate e costituiscono, nell'insieme, un monolite di dimensioni complessive pari a 5,75 metri di lunghezza, 1,5 metri di larghezza e 6 metri di profondità.
Perimetralmente, a contatto del calcestruzzo, è posta una guaina impermeabile, protetta a sua volta da un muro di mattoni dello spessore di 6 centimetri, come è stato già riferito dall'onorevole Margiotta. Il monolite è completamente interrato. Intorno alle pareti vi è un riempimento di materiale drenante, mentre la base del monolite è immersa in un banco di argilla, che si estende per qualche centinaio di metri al di sotto del livello di contatto. Alla base del monolite è realizzato un canale di drenaggio, che convoglia l'eventuale acqua di falda superficiale in un pozzetto dal quale viene prelevata con una pompa e monitorata prima del suo scarico.
La fossa è stata utilizzata nel periodo 1975-1982 per collocarvi rifiuti radioattivi contenuti in fusti di acciaio di volume pari a 220 litri. I fusti, collocati nelle vasche di calcestruzzo, furono inglobati in malta cementizia all'atto della collocazione. Nei primi giorni di agosto, nel corso delle perforazioni, condotte a ridosso della fossa in corrispondenza del muro di mattoni posto a protezione della guaina impermeabile, è stato riscontrato, nei campioni di terreno estratti, un valore di contaminazione radioattiva che, anche se non particolarmente elevato, si discostava nettamente dai valori trovati nelle altre perforazioni.
Contemporaneamente i valori di radioattività, misurati nell'acqua del pozzetto di drenaggio sopra descritto, hanno subito un brusco incremento. Già dopo alcune ore dalla perforazione, tuttavia, i valori di radioattività dell'acqua del pozzetto erano ritornati ai livelli usuali.
Sebbene non sia stato possibile individuare con certezza una causa diretta di questo evento, si può tuttavia ritenere che la causa vada ricercata nella perforazione stessa.
Anche se le quantità di radioattività coinvolte nella diffusione all'esterno della fossa sono di entità molto bassa, ad ogni modo, allo scopo di monitorare la loro eventuale diffusione nel terreno, è stata realizzata una serie di pozzi nelle immediate vicinanze della fossa stessa.
Inoltre, è stata avviata la progettazione di un diaframma, per isolare la fossa e impedire che la radioattività possa diffondersi nell'ambiente; il diaframma consentirà anche di effettuare le operazioni di scavo e di rimozione del manufatto interrato in condizioni di segregazione nei confronti dell'ambiente circostante.
I dati recenti dei campionamenti eseguiti nei pozzi di nuova realizzazione, situati intorno alla fossa, indicano che la diffusione di radioattività ha interessato, ancorché con valori di poco superiore ai livelli del fondo, il terreno circostante per un raggio non superiore alla decina di metri.
Secondo quanto comunicato dal Ministero dell'ambiente, per quanto riguarda gli aspetti di impatto ambientale, si deve considerare che l'impianto Itrec, a termini Pag. 119di legge, deve effettuare la sorveglianza radiologica dell'ambiente circostante. A tal fine, l'Itrec applica un programma di sorveglianza con una specifica rete di monitoraggio ed i risultati delle misure radiologiche effettuate sulle varie matrici ambientali comprese nella rete sono periodicamente inviati all'APAT.
A tutt'oggi, dai dati in possessi dell'APAT, non si ravvisano elementi di preoccupazione per l'ambiente a seguito delle attività dell'impianto.
In particolare, i campionamenti straordinari condotti, a seguito dell'evento in questione, nei punti della rete ambientale relativi all'acqua di falda posti a valle dell'impianto, hanno fornito valori che rientrano nelle oscillazioni proprie dei valori del fondo.
Occorre aggiungere che tutti questi elementi devono indurci a mantenere alta l'attenzione affinché l'attività di messa in sicurezza che la Sogin porrà in essere sia mantenuta ai massimi livelli e affinché le attività di bonifica possano realizzarsi secondo i piani stabiliti.
Quanto alle eventuali responsabilità, dalle valutazioni effettuate dall'APAT non emergono dati che consentano di esprimere valutazioni circostanziate. Valgono, quindi, le considerazioni generali in base alle quali deve osservarsi che, per materie di così straordinaria rilevanza, deve richiedersi il massimo di attenzione; attenzione evidentemente in qualche misura mancata se si sono potute determinare le situazioni lamentate. Occorrerà dunque agire perché esse non si ripetano in futuro.
PRESIDENTE. L'onorevole Margiotta ha facoltà di replicare.
SALVATORE MARGIOTTA. Signor Presidente, sono soddisfatto della ricostruzione precisa e puntuale testé fornita - peraltro consueta quando è il sottosegretario Bubbico a rispondere sulle questioni poste -, nonché della valutazione politica tracciata al termine della risposta, quando si è riconosciuto come, effettivamente, si tratti di temi sui quali il Governo, il Parlamento, le istituzioni, i cittadini devono mantenere il massimo di attenzione.
Approfitterò dell'occasione per svolgere alcune considerazioni in replica e per cercare di fare il punto, come del resto stiamo facendo in Commissione ambiente, sulle questioni che riguardano le scorie radioattive.
Intanto, ha bene detto il sottosegretario Bubbico: negli ultimi mesi del 2006 si sono verificati diversi episodi allarmanti.
Il 28 luglio 2006, al centro ENEA della Casaccia viene segnalata la contaminazione di un dipendente ENEA, comandato in Sogin, impegnato nelle operazioni di bonifica del reparto nucleare denominato delle «scatole a guanti». Dell'episodio di Rotondella si è già detto.
Il 27 novembre 2006, nel centro nucleare Eurex di Saluggia, la Sogin viene autorizzata a trasferire il combustibile nucleare dal deposito Eurex a quello Avogadro, sempre di Saluggia, ciò in quanto perde la piscina del deposito Eurex di Saluggia, ove sono stoccate barre di uranio. Lo svuotamento della piscina Eurex è indispensabile e deve essere realizzato in tempi brevi.
Tra l'altro, come pure ha già detto il sottosegretario Bubbico, recentemente è stato rinnovato il consiglio di amministrazione della Sogin. Lo voglio puntualizzare perché auspico, a nome dell'Ulivo, che vi sia una netta discontinuità in questa materia rispetto al passato. In particolare, bisogna riportare la Sogin al ruolo inizialmente ad essa attribuito: la messa in sicurezza delle scorie radioattive e lo smantellamento degli impianti.
Vanno ridefiniti i reciproci rapporti tra Sogin ed ENEA, troppe volte poco chiari. Bisogna che sia ben evidenziato chi debba fare e cosa e, in particolare, bisogna mirare al coinvolgimento costante del personale e delle popolazioni nelle tre sedi più problematiche (Casaccia, Saluggia e Trisaia).
Venendo alla questione di Rotondella, ricordo che il problema della messa in sicurezza dei rifiuti nucleari in Italia è Pag. 120molto serio e coinvolge, per vari motivi, come ben sa il sottosegretario Bubbico, la Basilicata molto direttamente.
I dati del 2003 evidenziano che presso il centro Itrec dell'ENEA si trovano già 2.724 metri cubi di scorie altamente contaminate e, soprattutto, 64 elementi di combustibile irraggiato, importati dal reattore americano di Elk River, funzionante con il ciclo torio-uranio, chiuso dopo appena tre anni.
La Basilicata è coinvolta pesantemente da queste problematiche almeno per i seguenti motivi: la presenza delle scorie presso il centro di Rotondella, con una serie di indagini, anche di natura penale, che sono state effettuate e che sono tuttora in corso, che riguardano presunti illeciti traffici di scorie radioattive, e, soprattutto, la ben nota individuazione nella scorsa legislatura di Scanzano Jonico quale sede del sito unico geologico per il deposito delle scorie.
Al centro ENEA, già nel 1975, venne concessa un'autorizzazione ad effettuare una serie di prove relative al ciclo del combustibile nucleare, imponendo all'ENEA di solidificare i residui liquidi presenti a Rotondella entro cinque anni, cioè entro il 1980. Vi è stata una proroga fino al 1987 e, successivamente, fino al 1995. Attualmente quei residui sono solidificati, come si è detto, ma nell'ultimo ventennio si sono verificati diversi incidenti.
Voglio anche richiamare all'attenzione del Governo che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2003 ha dichiarato lo stato di emergenza nei territori ospitanti le installazioni nucleari di Lazio, Campania, Emilia Romagna e Basilicata. Con ulteriori decreti del Presidente del Consiglio dei ministri tale stato di emergenza è stato prorogato fino al 31 dicembre 2006. Non risultano ulteriori proroghe e, quindi, in questo momento credo non vi sia più in quei luoghi lo stato di emergenza, ma bisognerebbe valutarlo in sede di Governo.
Rimane di grande attualità, come peraltro già precisato dal ministro Bersani di recente, in un'audizione presso le Commissioni riunite VIII e X, l'approccio più complessivo al problema della messa in sicurezza delle scorie radioattive.
Il ben noto decreto-legge n. 314 del 14 novembre 2003, che, in modo dissennato e sciagurato, individuava Scansano Jonico come sede del sito unico, è stato convertito dalla legge n. 368 del 24 dicembre 2003. Grazie ad una grande mobilitazione delle popolazioni lucane e grazie al ruolo attivo proprio del sottosegretario Bubbico, all'epoca presidente della regione e che oggi ha risposto alla mia interpellanza, fu espunta da quel testo l'indicazione di Scansano Jonico quale sito geologico, ma ovviamente il problema complessivo rimane aperto.
Nella versione approvata in Parlamento il decreto demanda al commissario straordinario l'individuazione del sito più idoneo e dava mandato alla Sogin, una volta individuato tale sito, di realizzare il deposito geologico entro e non oltre il 31 dicembre 2008. È ovvio che tale previsione - dico persino per fortuna - non potrà essere mantenuta, per cui si impone una riflessione su come affrontare il problema nei prossimi mesi. Ricordo al riguardo che la regione Basilicata, guidata dal presidente Bubbico, ha inoltrato il ricorso n. 40 del 2004 alla Corte costituzionale, impugnando il decreto-legge e la successiva legge, ed ha avuto ragione in sede di ricorso in almeno tre punti, a mio parere molto qualificanti. Infatti, la Corte, con sentenza n. 62 del 29 gennaio 2005, ha affermato la necessità, nella localizzazione del sito, di un maggiore coinvolgimento delle regioni interessate; in particolare, ha imposto che le regioni abbiano un ruolo diretto in fase di validazione, cioè in fase di localizzazione e realizzazione dell'impianto, ed inoltre è stata accolta la dichiarazione di incostituzionalità - a mio parere questo elemento è fondamentale - avanzata dalla regione Basilicata sulla parte del decreto che affida esclusivamente al commissario l'approvazione dei progetti anche in deroga alla normativa vigente.Pag. 121
Ciò assegna alle regioni il ruolo che è giusto che esse abbiano, per esempio in materia di valutazione di impatto ambientale.
Mi avvio a concludere, rifacendomi, e in parte dissentendo rispetto ad essa, alla dichiarazione che il 7 febbraio 2007 proprio il ministro Bersani ha rilasciato nelle Commissioni riunite VIII e X. Intanto, ha dato la buona notizia di aver chiuso l'accordo con i francesi per il riprocessamento delle scorie presenti sul territorio nazionale e, poi, ha affermato: «Noi dobbiamo intraprendere un iter che ci porti ad avere, in modo democratico ed aperto, qualcosa che hanno tutti i paesi europei coinvolti con il nucleare, un sito di superficie che non pone problemi e che può costituire anche un'occasione di ricerca e di sviluppo, in attesa che si trovi un sito geologico di smaltimento» - al momento non ve ne sono disponibili, come dice giustamente il ministro - «o che il nucleare di quarta generazione esaurisca parte di queste scorie».
Sono molto d'accordo sulla parte che riguarda il sito superficiale, mantengo qualche perplessità sulla possibilità - che peraltro lo stesso ministro evidenzia essere quanto meno di difficile realizzazione - di individuare un sito geologico unico in Italia. Ritengo che bisogna abbandonare l'idea del sito geologico, lavorare per mettere in sicurezza - così come detto dal presidente Bubbico - le scorie nei siti dove si trovano, a partire da Rotondella; mentre continuo a ritenere che la cosa migliore sia quella di affidare i materiali più pericolosi a società specializzate nel trattamento e nello stoccaggio di materiali radioattivi, attive soprattutto all'estero - di qui l'accordo con i francesi -, cioè nei paesi che ancora percorrono la via del nucleare.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
SALVATORE MARGIOTTA. Credo, in conclusione, che il centrosinistra che governa il paese e il centrosinistra che governa la regione Basilicata - come fu negli anni in cui il presidente Bubbico guidava la regione - debba mantenere un'elevatissima attenzione a questa problematica e debba, come detto dal medesimo ministro, mantenere un approccio democratico e condiviso ad un problema molto serio e delicato, che dovrà inevitabilmente trovare una soluzione nei prossimi mesi, sia per superare le previsioni di legge, sia soprattutto per la sicurezza delle località citate, che oggi guardano con preoccupazione alla presenza delle scorie.
(Iniziative per la tutela dei lavoratori della società Ritel in relazione all'attuazione del protocollo d'intesa riguardante il sito di Rieti - n. 2-00389)
PRESIDENTE. L'onorevole Rositani ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00389 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 17).
GUGLIELMO ROSITANI. Signor Presidente, la storia di Alcatel Italia non riguarda soltanto Rieti ma, ahimè, alcuni altri siti (Battipaglia, Trieste, Milano).
La vicenda dello stabilimento di Rieti, ormai ex Alcatel Italia, comincia nel 2003, data in cui i responsabili di Alcatel Italia manifestano la volontà di dismettere lo stabilimento di Rieti.
Dal 2003, l'allora Governo, nella persona del sottosegretario Gianni Letta, è riuscito a convincere Alcatel Italia a rinviare e a trovare soluzioni alternative e, comunque, a non accelerare il processo della vendita dello stabilimento.
Alla scadenza dei tre anni, Alcatel Italia, senza informare il Governo, né quello precedente né quello attuale, è riuscita a trovare un gruppo di aziende che nulla avevano a che fare (lo abbiamo denunciato in una atto di sindacato ispettivo, attraverso la mobilitazione dei sindacati, delle forze politiche e degli enti locali di Rieti) con la logica riguardante la gestione di attività importanti e che potevano contare ancora su un mercato estremamente serio.
Nel luglio del 2006, prendendo atto di questa ormai irreversibile volontà di Alcatel Italia, l'attuale Governo ha cercato, Pag. 122insieme a tutte le forze politiche, sindacali e agli enti locali di Rieti, di inserire, nella soluzione proposta da Alcatel Italia, la mano pubblica, per garantire i lavoratori di questo stabilimento. Sono state coinvolte Finmeccanica, Alenia Spazio e le due finanziarie, Sviluppo Italia e la Filas, della regione Lazio.
Nel protocollo d'intesa firmato nel luglio dell'anno scorso, erano state inserite alcune precise clausole e condizioni: nella nuova società, che prendeva in nome di Ritel, per almeno tre anni Alcatel Italia rimaneva con il 20 per cento; veniva inserita Finmeccanica con l'impegno di fornire commesse allo stabilimento di Rieti e, quindi, anche le finanziarie di cui parlavo prima.
Un altro impegno che fu assunto in quel protocollo di intesa era che Alcatel Italia avrebbe mantenuto il centro ricerca, nel quale sarebbe entrata la Finmeccanica e la stessa Ritel, alla condizione che l'attività del centro fosse finalizzata al mantenimento dei posti di lavoro.
Con tale protocollo di intesa, il Governo si impegnava a controllare che questo impegno e queste condizioni venissero rispettati. Tuttavia, il controllo non c'è stato - almeno così ci risulta -, perché non si è verificata nessuna delle condizioni previste nel protocollo d'intesa e perché (ancora peggio) la società Ritel, senza informare i sindacati, gli enti locali e il Governo, si permette di licenziare circa 80 dipendenti interinali su 170 ed altri 45 dipendenti delle aziende esternalizzate. Lo ripeto: senza informare alcuno!
Chiediamo il perché di questa disattenzione e assenza del Governo. Cosa ha fatto in questi giorni per bloccare queste insensate decisioni da parte di Ritel, con riferimento ai licenziamenti che non hanno giustificazione alcuna?
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Filippo Bubbico, ha facoltà di rispondere.
FILIPPO BUBBICO, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, vorrei subito dire che il Ministero dello sviluppo economico ha seguito, nel tempo e con la massima attenzione, le vicende dello stabilimento Alcatel di Rieti. Peraltro, dalla ricostruzione dell'onorevole Rositani risulta un impegno diretto del Governo a ricercare soluzioni, anche quando le condizioni ordinarie di mercato, magari, non lo consentirebbero.
Tale stabilimento, che produce apparati per il settore delle telecomunicazioni, è caratterizzato da un'area di ricerca e sviluppo e da un'area manifatturiera, occupando un totale di 265 addetti, oltre a 26 persone che operano nel segmento ingegneria ed integrazione dei sistemi per lo sviluppo di prodotti per il mercato dei trasporti. L'attività di ricerca consiste principalmente in analisi, progettazione e sviluppo di sistemi di software, nonché in progettazione e sviluppo di schede hardware, mentre l'attività manifatturiera è specializzata nella produzione di apparati di trasmissione ottici.
Grazie ad un importante lavoro di concertazione, di cui si è detto, che ha visto protagonisti autorità nazionali, enti locali, organizzazioni sindacali e imprenditori, le vicende di detto stabilimento si sono concluse nel luglio dello scorso anno, con la firma di un protocollo di intesa. È noto, infatti, che Alcatel Italia, sulla base di scelte strategiche definite dal gruppo, aveva annunciato l'intenzione di procedere alla cessazione delle produzioni nello stabilimento di Rieti, confermando, nel contempo, l'intenzione di proseguire le attività di ricerca e sviluppo. Al riguardo, il Governo e le istituzioni locali, valutate negativamente tali scelte, per le conseguenze che sarebbero derivate all'economia del territorio, avevano rivolto alla società l'invito ad individuare soluzioni alternative per il rafforzamento del settore ricerca e sviluppo e la prosecuzione delle attività manifatturiere ad esso connesse. Alcatel, nell'accogliere tale invito, si impegnò ad individuare un soggetto industriale in grado di proseguire le attività produttive nel sito di Rieti e ad implementare il settore ricerca e sviluppo. Il soggetto industriale fu individuato nella società Ritel, di Pag. 123nuova costituzione, con sede a Firenze ed avente per oggetto sociale la progettazione e la reingegnerizzazione, produzione e commercializzazione di sistemi radio, di sistemi e componenti per l'elettronica, di apparati elettrici e per telecomunicazioni, di sistemi ed apparecchiature elettroniche per il settore militare, spaziale, aerospaziale, oltre che di sistemi in fibre ottiche. Il Governo, la regione e le amministrazioni locali, preso atto di ciò, con la firma del protocollo d'intesa del 21 luglio 2006, hanno inteso sostenere e rafforzare tale ipotesi. Con il predetto protocollo, sottoscritto dal Ministero dello sviluppo economico, Alcatel, Ritel, Finmeccanica, Sviluppo Italia, Filas, Agenzia spaziale italiana, regione Lazio ed organizzazioni sindacali, si è voluto perseguire il mantenimento e la qualificazione della ricerca e sviluppo e le attività produttive dello stabilimento di Rieti, a fronte della volontà di Alcatel di procedere alla cessazione di tali attività.
In effetti, la Ritel si è insediata nello stabilimento ex Alcatel dal 4 settembre 2006 ed ha avviato le attività produttive da subito, secondo gli accordi contrattuali con Alcatel, confermando tutti gli occupati.
In questo periodo di tempo è stata avviata la riconfigurazione del sito, è stato realizzato il nuovo sistema informativo, è stata realizzata la sostituzione di tre attrezzature, nell'area produzione, con macchinari di ultima generazione ed è stata sviluppata un'analisi della struttura organizzativa e del potenziale delle attività di ricerca presenti. Il 10 ottobre 2006 è stato consegnato a Filas il piano industriale con l'impegno di inviare in un secondo tempo la documentazione relativa alla struttura organizzativa. Nel dicembre 2006 la Ritel Spa ha concluso la fase dedicata all'individuazione dei primi livelli della struttura organizzativa ed ha inviato la documentazione integrativa alla società finanziaria regionale Filas, trasmettendola a Sviluppo Italia.
È in via di perfezionamento l'acquisizione da parte di Alenia Space della prevista partecipazione nella Ritel. Analogamente si stanno perfezionando le procedure per la costituzione di una società consortile per la ricerca e sviluppo.
Ritel ha anche verificato la situazione delle attività esternalizzate e sta ridisegnando la struttura organizzativa nel rispetto degli accordi.
Per quanto riguarda il ricorso al lavoro interinale, l'accordo prevede che tale questione sia oggetto di verifica fra le parti alla luce dell'effettivo andamento delle commesse. Detto andamento sarà oggetto anch'esso di verifica nella prossima riunione.
Il Ministero dello sviluppo economico, al fine di monitorare gli impegni assunti con il protocollo di intesa di cui si è detto e al fine di verificare lo stato di avanzamento del «progetto Ritel», ha convocato le parti coinvolte per il giorno 13 marzo prossimo.
PRESIDENTE. L'onorevole Rositani ha facoltà di replicare.
GUGLIELMO ROSITANI. Purtroppo, non posso dichiararmi soddisfatto, perché la domanda principale riguardava il motivo per cui il Ministero, che aveva, in base all'articolo 7 del protocollo d'intesa, il compito di verificare se venivano rispettati gli impegni assunti dalla Ritel, ahimé, di fronte a provvedimenti unilaterali da parte di Ritel, non ha effettuato la verifica, e hanno licenziato 125 persone.
La notizia che il piano industriale è stato consegnato entro il 31 dicembre mi conferma la poca serietà della Ritel, che, evidentemente, interpreta in maniera estremamente superficiale gli impegni seri che aveva assunto con il Ministero e con tutti gli enti locali.
Se vi fosse stato un più attento controllo da parte del Ministero, forse avremmo evitato il licenziamento di queste 125 persone. Un piano industriale presentato entro il 31 dicembre non potrà evidentemente mettere in condizione né la Filas né Sviluppo Italia di dare risposte, perché, secondo quello che ha detto il sottosegretario, vi sono state due fasi, una nel mese di ottobre e un'altra in quello di Pag. 124dicembre, e da ciò comprendo perfettamente che il ritardo non ha consentito né alla Filas né a Sviluppo Italia di dare una risposta.
Io mi auguro, signor sottosegretario, che martedì, quando ci vedremo al Ministero, vi siano dati e riferimenti più precisi. Nel protocollo d'intesa era previsto che la verifica sui licenziamenti sarebbe dovuta avvenire prima di eventuali licenziamenti e non dopo: ecco perché «accuso» il Governo di scarsa attenzione da questo punto di vista. La ringrazio comunque per la risposta.
(Rinvio interpellanza urgente Giovanardi n. 2-00400)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori, sulla quale ha convenuto il Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Giovanardi ed altri n. 2-00400 è rinviato ad altra seduta.
È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Venerdì 9 marzo 2007, alle 9.
Discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese (2201-A).
- Relatore: Lulli.
La seduta termina alle 20,55.
VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO
INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 1 | ||||||||||
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Votazione | O G G E T T O | Risultato | Esito | |||||||
Num | Tipo | Pres | Vot | Ast | Magg | Fav | Contr | Miss | ||
1 | Nom. | ddl 2193-A - voto finale | 546 | 527 | 19 | 264 | 524 | 3 | 38 | Appr. |
F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.