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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 143 di giovedì 12 aprile 2007
Pag. 1PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FAUSTO BERTINOTTI
La seduta comincia alle 11,30.
GIUSEPPE GALATI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 4 aprile 2007.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, il deputato Forgione è in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente trentaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
In ricordo di Adjmal Nashkbandi e Sayed Agha (ore 11,37).
PRESIDENTE
(Si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea ed i membri del Governo). Signore e signori deputati, con dolore e sgomento abbiamo appreso, domenica scorsa, la tragica notizia dell'esecuzione di Adjmal Nashkbandi, l'interprete afgano che collaborava con il giornalista italiano Daniele Mastrogiacomo e che con quest'ultimo era stato rapito, nel sud dell'Afghanistan, all'inizio dello scorso mese di marzo.
Questo feroce gesto fa seguito all'altrettanta barbara uccisione dell'autista di Daniele Mastrogiacomo, Sayed Agha.
Di fronte ad atti di tanta efferatezza, le diverse sensibilità, culture e tradizioni politiche, rappresentate in quest'aula, si ritrovano accomunate da un sentimento di condanna e di ripudio del terrorismo e dei suoi inaccettabili disegni di violenza e nel riconoscimento del valore della vita umana, senza alcuna distinzione di nazionalità, etnia o religione.
Nel rinnovare, una volta ancora, l'impegno dell'Istituzione parlamentare per la costruzione di una convivenza fondata sul rispetto dei diritti dell'uomo e sul reciproco riconoscimento dei popoli e delle nazioni del mondo, condizione indispensabile per la realizzazione della pace, esprimiamo i sentimenti del nostro cordoglio più profondo e della nostra sincera vicinanza al dolore dei familiari dei due cittadini afgani.
Invito l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio). Grazie.
Informativa urgente del Governo sugli sviluppi relativi alla vicenda del sequestro di Daniele Mastrogiacomo e dei suoi collaboratori afgani (ore 11,40).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sugli sviluppi relativi alla vicenda del sequestro di Daniele Mastrogiacomo e dei suoi collaboratori afgani.Pag. 2
Secondo quanto stabilito a seguito della Conferenza dei presidenti di gruppo di ieri, dopo l'intervento del Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli affari esteri, Massimo D'Alema, avranno luogo gli interventi dei rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per dieci minuti ciascuno.
Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.
(Intervento del Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli affari esteri, Massimo D'Alema.
MASSIMO D'ALEMA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri. Signor Presidente, signori deputati, le modalità di questo dibattito non consentono, purtroppo, un dialogo e, quindi, un approfondimento di singoli aspetti o la risposta a singoli interrogativi.
Pertanto, io dovrò dare a questa mia informativa - e me ne scuso - un carattere, probabilmente piuttosto noioso, di ricostruzione fattuale e in ordine cronologico delle circostanze relative al sequestro di Daniele Mastrogiacomo e dei suoi due accompagnatori afgani. Il che sarà piuttosto lungo, piuttosto noioso e, forse, in parte mi costringerà a ripercorrere avvenimenti noti.
D'altro canto, si è scelta questa modalità di discussione e il Governo ha obbligo di aprirla con una informazione la più ampia e dettagliata possibile.
Vorrei innanzitutto esprimere, unendomi alle parole del Presidente della Camera, il cordoglio e lo sgomento, mio personale e del Governo, per le vittime, per chi, nel corso di questa complessa e drammatica vicenda, ha perduto la vita, per l'autista Sayed Agha, per l'interprete Adjmal Nashkbandi, uccisi barbaramente dai loro rapitori talebani.
Si è trattato di un esito doloroso che il Governo italiano, nella misura di ciò che concretamente poteva fare (e non era molto, come cercherò di spiegare), aveva cercato di prevenire fin dall'inizio, ma che non siamo riusciti ad impedire.
Dunque, la salvezza di Daniele Mastrogiacomo non compensa certo il dolore per la perdita di due giovani vite afgane, anche se riteniamo che l'avere salvato la vita di un nostro concittadino in un contesto così tragico e feroce è stato, comunque, un risultato positivo a cui abbiamo dedicato il nostro impegno nei giorni del rapimento.
Negli ultimi due anni e mezzo, ossia dall'inizio del 2005, le persone rapite in Afghanistan sono state sedici. Dodici sono state uccise, in diversi casi anche dopo trattative e pagamento di riscatto. Questo dà l'idea del contesto estremamente feroce in cui è avvenuto il rapimento di Mastrogiacomo e dei suoi collaboratori, dell'estrema difficoltà di un'operazione di salvataggio che si presentava, fin dall'inizio, come un'operazione estremamente problematica e dall'esito incerto.
Di fronte a quest'ennesimo sequestro (ennesimo, se si considerano i diversi scenari di crisi, ovviamente, non soltanto l'Afghanistan, ma anche l'Iraq e la Nigeria), ci siamo mossi sulla base di un criterio che è stato quello di dare priorità alle ragioni umanitarie ovvero alla salvezza della vita degli ostaggi. Questo criterio, in verità, non è stato deciso dal Governo Prodi. È un criterio consolidato che è stato costantemente seguito negli anni da diversi Governi italiani e che, regolarmente, è stato sostenuto dall'insieme delle forze politiche parlamentari.
Anche di fronte al sequestro Mastrogiacomo, da ogni parte si è levato l'invito al Governo ad agire con ogni mezzo («avete carta bianca», fu detto), per cercare di salvare le vite umane.
È del tutto evidente che dare priorità alle ragioni umanitarie, ovvero alla salvezza della vita degli ostaggi, comporta, come conseguenza inevitabile, la ricerca della trattativa per raggiungere questo obiettivo, prassi che è stata costante, prassi che viene seguita, in realtà, anche da molti Pag. 3altri Governi occidentali, sebbene con modalità che variano di caso in caso e con esiti che possono essere più o meno positivi.
Fatta questa premessa, passo alla ricostruzione dei fatti.
La sera del 5 marzo scorso un giornalista del quotidiano la Repubblica, Vincenzo Nigro, ha informato il capo dell'Unità di crisi del Ministero degli esteri che, dal giorno 4 marzo, erano interrotte le comunicazioni con l'inviato Daniele Mastrogiacomo.
Mastrogiacomo, nell'ultima conversazione telefonica dall'Afghanistan con la redazione, aveva annunciato di avere in programma di recarsi nella provincia meridionale di Helmand per un'intervista ad un capo dei talebani.
Sottolineo che, da lungo tempo, l'Unità di crisi della Farnesina, l'ambasciata a Kabul ed il SISMI avevano segnalato l'elevato rischio di sequestri di persona in Afghanistan e nelle province meridionali. In particolare, tale rischio era stato reso pubblico insieme all'invito per i connazionali ad evitare le zone più esposte del paese. Nella regione, peraltro, era stata avviata appena un'importante operazione militare della coalizione, denominata Achille, con conseguente elevamento del rischio per chiunque si trovasse ad operare, a lavorare ed a transitare nella regione.
Fin da subito la notizia del rapimento di Mastrogiacomo è stata portata a conoscenza del Presidente del Consiglio e dei servizi di informazione ed il caso è stato seguito con la massima attenzione - come avviene normalmente - dall'Unità di crisi della Farnesina.
Inoltre, la dottoressa Belloni, responsabile dell'Unità di crisi, ha immediatamente informato - come da prassi - del possibile rapimento di Daniele Mastrogiacomo il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma e capo del pool antiterrorismo, dottor Franco Ionta, per le vie brevi subito e, successivamente, con comunicazione formale.
Gli organi di stampa hanno in un primo tempo dato notizia del sequestro di un giornalista britannico e di due accompagnatori afgani, tutti accusati di spionaggio. I nomi dei due afgani coincidevano con quello dell'autista e dell'interprete di Mastrogiacomo. In effetti, Mastrogiacomo e i suoi assistenti afgani vennero accusati di spionaggio a favore delle forze inglesi, anche dopo che la vera identità del giornalista italiano diventò chiara. Bisogna anche dire che le modalità della cattura - sono stati catturati pressoché subito - hanno dato la sensazione che il gruppo fosse atteso sulla base di previe segnalazioni, atteso e valutato come un gruppo con finalità non giornalistiche, ma di natura spionistica.
Avuta la certezza del rapimento, si stabiliva la necessaria concertazione tra Presidenza del Consiglio, Ministero degli esteri, servizi di informazione e Difesa. Tale concertazione sarebbe rimasta operativa fino alla conclusione della vicenda. Uno stretto raccordo operativo veniva anche attivato con il quotidiano la Repubblica e con i familiari del Mastrogiacomo, puntualmente informati di tutti gli sviluppi del caso.
Avuta conferma del rapimento, a partire dal 6 marzo, il Governo italiano chiedeva la collaborazione del Governo afgano per assicurare una rapida e contemporanea liberazione dei tre ostaggi e perché venissero messe in atto tutte le possibili misure per assicurare la loro incolumità. L'ambasciatore a Kabul incontrava a questo fine il ministro degli esteri afgano, che assicurava il massimo impegno delle autorità. In modo conseguente il Governo afgano ha in effetti garantito piena collaborazione all'Italia in tutto il periodo, fino ovviamente alla liberazione dell'ostaggio Daniele Mastrogiacomo.
Sempre il 6 marzo, il SISMI informava il Governo di aver acquisito indicazioni precise dai servizi collegati circa la localizzazione degli ostaggi. Nelle ore immediatamente successive al sequestro il gruppo dei rapitori si era apparentemente spostato insieme agli ostaggi nella località Nadali, verso sud, a ridosso del confine con il Pakistan.Pag. 4
Nelle ore successive il SISMI segnalava inoltre la possibilità, offerta dalle forze della coalizione ISAF, di effettuare, previa autorizzazione da parte del Governo italiano, un'azione di forza con la partecipazione di forze speciali, anche del nostro paese, per tentare la liberazione dei rapiti prima che i sequestratori potessero, come si temeva, sconfinare in territorio pakistano.
Tale possibilità non veniva scartata del tutto dal Governo e, dunque, veniva anche predisposta successivamente. Tuttavia, in linea con la prassi seguita nei casi precedenti, si preferivano esplorare, intanto, gli spazi per una soluzione negoziale, così da non esporre a rischio la vita degli ostaggi. Il ricorso all'uso della forza sarebbe stato considerato solo in caso di fallimento o impossibilità di trattative. Allo stesso tempo, il Governo escludeva la via di trattative fino a quando non fossero state acquisite prove certe dell'esistenza in vita degli ostaggi, chiedendo agli organi di informazione di astenersi dal diramare notizie non accertate nel merito e nell'attendibilità delle fonti.
Dalle informazioni più attendibili raccolte, incluse rivendicazioni di portavoce dei talebani riprese dalla BBC, il sequestro sembrava riconducibile al gruppo facente capo al mullah Dadullah, responsabile delle operazioni militari dei talebani nelle province a sud-ovest dell'Afghanistan. Le informazioni indicavano che si trattava di un gruppo particolarmente determinato e addestrato in tecniche di guerriglia e combattimento, praticate in passato con particolare efferatezza. Il mullah Dadullah, nato nel 1966 e attivo fin dagli anni Ottanta, già prima del 2001 era una delle dieci personalità più importanti tra i talebani, ritenuto responsabile di numerose esecuzioni e capace di un uso spregiudicato dei mezzi di informazione.
Il 7 marzo, mentre il Governo cominciava a sondare con attenzione la possibilità di trattativa, avvalendosi della già citata rete del SISMI, emergevano canali in grado di stabilire contatti diretti con questo gruppo di talebani. Da una parte, l'organizzazione non governativa Emergency, che si dichiarava disponibile a mettere a disposizione, attraverso il personale operante presso l'ospedale di Lashkar-Gah, un canale utile ad avviare una trattativa per il rilascio degli ostaggi. Sondato dal Governo, Gino Strada assicurava il massimo impegno della sua struttura per la liberazione dei rapiti, pur esprimendo preoccupazioni per il rischio di interferenze da parte di attori locali o italiani. Dall'altra parte, la redazione de la Repubblica comunicava che attraverso canali giornalistici esisteva la possibilità di un'altra via di contatto con i rapitori. Questo canale è stato operante nel corso di tutta la vicenda e, dunque, contatti si sono svolti attraverso una pluralità di canali, anche allo scopo di controllare le informazioni, di controllarne la fondatezza, lavoro che è stato fatto, ovviamente, dall'Unità di crisi della Farnesina, ma con la presenza e la responsabilità del SISMI, che ha affiancato i canali esistenti in loco con proprie strutture e propri funzionari e tale affiancamento si è protratto fino al giorno del rilascio di Mastrogiacomo. Questi canali sono stati usati in modo costantemente complementare.
La prima richiesta dei talebani veniva resa nota proprio attraverso il canale alternativo a quello di Emergency: ci si informava da Kandahar che il portavoce Yusuf aveva richiesto per il rilascio degli ostaggi la liberazione di quindici detenuti, fra i quali tre definiti portavoce dei talebani. Il Governo replicava, per il medesimo tramite, che nessuna rivendicazione sarebbe stata presa in considerazione senza la prova dell'esistenza in vita degli ostaggi. Sia il canale di Emergency sia gli altri entravano in possesso di elementi sulla sopravvivenza degli ostaggi: ciò è avvenuto il 10 marzo. Alle condizioni inizialmente avanzate dai talebani per il rilascio degli ostaggi si aggiungevano, però, la richiesta del ritiro delle truppe italiane dall'Afghanistan e l'annuncio di un ultimatum.
Dopo le prime richieste dei talebani, il 13 marzo mi sono recato personalmente alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, dove ho incontrato il procuratore capo Ferrara e il sostituto Pag. 5procuratore Ionta, per informarli sugli sviluppi degli avvenimenti, per conoscere il mandato che era stato affidato, nel frattempo, ai carabinieri del ROS a Kabul, in relazione al rapimento in corso, e per sottolineare la necessità di un coordinamento dell'azione istituzionale, in particolare delle azioni istituzionali che si svolgevano all'estero, e cioè in Afghanistan.
La procura assicurava ampia collaborazione.
Il 14 marzo Emergency riceveva e recapitava un video di Mastrogiacomo e del suo interprete Adjmal, risalente al 12 marzo, ampiamente poi diffuso dagli organi di stampa. A quel punto il canale Emergency sembrava disporre dei contatti indispensabili per una mediazione sul rilascio, anche data la rete di conoscenze maturate dalla ONG nell'area per la sua opera umanitaria, nonché la collaborazione prestata in occasione del rapimento del reporter Torsello. Indubbiamente Emergency, essendo l'organizzazione che gestisce un importante ospedale nella periferia di Lashkargah, senza il minimo dubbio dispone dell'insediamento più significativo nell'area in cui si svolgevano i fatti e di collegamenti più ramificati, anche in ragione dell'opera assistenziale che viene svolta in quella provincia.
Restava parallelamente aperto il canale alternativo, utile a verificare via via le informazioni e a potere esercitare un controllo sullo sviluppo degli avvenimenti. La ricerca di una soluzione che garantisse la vita degli ostaggi finiva insomma per imporre come scelta preferenziale l'utilizzo del canale umanitario, come del resto era avvenuto in casi analoghi nel passato.
Il 15 marzo l'agenzia di stampa afghana Pajhwok diffondeva un messaggio audio, in cui Mastrogiacomo confermava l'esistenza di un ultimatum con scadenza dopo due giorni. Lo stesso 15 marzo il direttore de la Repubblica, Ezio Mauro, rivolgeva un appello ai rapitori, affinché venisse concesso tempo adeguato. Il giorno successivo poi io stesso ho rivolto pubblicamente un analogo appello.
Da diverse fonti intanto venivano resi noti tre nominativi di detenuti talebani, anziché i quindici originariamente richiesti. Nel frattempo la richiesta del ritiro delle truppe italiane dall'Afghanistan era caduta, richiesta peraltro che non avrebbe potuto essere considerata ricevibile, come da subito fu chiarito da parte nostra. Dunque si veniva precisando una base più realistica per un possibile negoziato.
Era nel frattempo continuato, attraverso l'ambasciata d'Italia a Kabul, il dialogo con le autorità afgane circa la disponibilità a collaborare per il rilascio degli ostaggi. I contatti con il Governo, con le autorità locali e con i servizi di sicurezza afgani, anche ad opera del SISMI, hanno coinvolto lo stesso Presidente del Consiglio, il quale ha più volte parlato con il Presidente Karzai, anche nel corso del viaggio di quest'ultimo a Berlino e a Parigi, che si è svolto tra il 17 e il 19 marzo. In tale contesto, l'ammiraglio Branciforte, direttore del SISMI, si era dimostrato fiducioso circa la possibilità di sensibilizzare anche il Presidente della Camera bassa del Parlamento afgano, Yunus Kanouni. Il 15 marzo, in occasione di una visita in Italia di una delegazione del Parlamento afgano, guidata dallo stesso Kanouni, io stesso, insieme al direttore del SISMI, in un incontro ristretto alla Farnesina, abbiamo chiesto il suo impegno e il suo interessamento per una soluzione positiva: impegno ed interessamento che ci sono stati garantiti e che vi sono stati.
A quel punto - ed è il passaggio che desidero sottolineare - il Governo ha dovuto compiere una scelta. Si trattava di scegliere se chiudere ogni spazio di mediazione o se trasferire al Governo afgano, quale unico potere legittimo in grado di decidere in merito alla scarcerazione di detenuti in Afganistan, la richiesta fatta pervenire dai talebani attraverso il canale umanitario. Ed è quello che noi abbiamo scelto di fare: trasferire al Governo afgano tali richieste, perché esse potessero essere valutate.
La situazione diveniva ancora più palesemente drammatica al momento in cui, il 16 marzo, un portavoce di Dadullah, Atal, attraverso l'agenzia pakistana Pajhwok annunciava Pag. 6la notizia della barbara uccisione, da parte dei talebani, dell'autista Sayed Agha, accusato di spionaggio.
Il 17 marzo, il Governo Karzai decideva il rilascio di due dei tre talebani di cui era stata chiesta la scarcerazione, i quali venivano consegnati direttamente dai servizi afgani al personale di Emergency, a Lashkargah. Il terzo risultava già essere libero e, probabilmente, in Pakistan, secondo quanto riferito dal capo dei servizi di informazione, mentre un altro detenuto, chiesto in sua sostituzione, si opponeva al provvedimento di liberazione, avendo pressoché ultimato il periodo di carcerazione ed essendo probabilmente preoccupato per la sua incolumità, in relazione alla collaborazione offerta alle autorità afgane.
Bisogna dire che la collaborazione del Governo afgano, che è stata pronta nel corso di tutta questa vicenda, è anche legata ad una valutazione circa la limitata pericolosità dei detenuti di cui si era chiesta la liberazione, diversi dei quali presentati come portavoce e non come forze combattenti del movimento talebano. Comunque, non spettava a noi - né avremmo avuto la possibilità di farlo - compiere tali valutazioni, che sono state effettuate dal Governo afgano. È apparso chiaro fin dal primo momento che le richieste non incontravano particolari difficoltà o problemi. Ciò appare chiaro da tutte le comunicazioni tra i Governi italiano e afgano, che sono, d'altro canto, ampiamente documentate.
Il 18 marzo, Gino Strada comunicava che da parte dei rapitori era stata avanzata la richiesta di liberare altri tre detenuti. Si innescava, così, un rischiosissimo gioco al rialzo. Il Presidente Prodi ne informava Karzai, il quale ritenne accettabile un ulteriore rilascio. A quel punto, tuttavia, il Governo italiano chiedeva a Gino Strada che la consegna effettiva dei tre rilasciati avvenisse, questa volta, in cambio della liberazione effettiva e contestuale dei due ostaggi - di entrambi, lo ripeto - ancora nelle mani dei rapitori. Parallelamente, il Ministero degli affari esteri chiedeva il silenzio stampa per non mettere in pericolo l'esito finale della liberazione.
Gino Strada comunicava, il 19 marzo, che gli ostaggi erano stati liberati e che sarebbero stati trasferiti all'ospedale di Emergency, a Lashkargah. Il rientro di Mastrogiacomo da Lashkargah a Kabul - dove, prima di essere consegnato all'ambasciatore italiano, avrebbe dovuto partecipare ad una conferenza stampa organizzata dallo stesso Strada - sarebbe dovuto avvenire a cura di Emergency per il tramite di un aereo messo a disposizione dalla ONG.
Nella prima mattinata del 20 marzo, l'ambasciata a Kabul informava di aver appreso dallo stesso Strada che l'aereo di Emergency non avrebbe potuto atterrare a Lashkargah. Il Governo riteneva di non poter attendere i tempi che la gestione da parte di Emergency avrebbe comportato, tempi quanto mai incerti anche a causa dell'assenza di voli civili che coprissero la tratta Lashkargah-Kabul e dei crescenti pericoli. Si chiedeva, pertanto, al SISMI di chiedere l'assistenza dei servizi collegati afgani ed alleati per organizzare, con mezzi militari, il trasferimento a Kabul dei due ostaggi appena liberati. Il SISMI, con la collaborazione delle forze armate britanniche, ne organizzava il trasporto in elicottero dal PRT inglese all'aeroporto Isaf sotto il comando britannico di Camp Bastion e di qui a Kabul con un C 130 dell'aeronautica militare italiana. A Kabul, Mastrogiacomo veniva imbarcato su un volo della Presidenza del Consiglio per Roma, dove giungeva a tarda sera.
Secondo quanto riferito dallo stesso Mastrogiacomo, al momento della sua liberazione era stato messo in libertà anche l'interprete Nashkbandi. Infatti, il giornalista de la Repubblica aveva dichiarato di avere personalmente visto i rapitori scioglierlo dalle catene e lasciarlo andare via. Solo successivamente emergeva che il Nashkbandi non solo non era stato condotto all'ospedale di Emergency, a Lashkargah, ma non aveva neppure fatto rientro dai propri familiari, come si era pensato in un primo momento.Pag. 7
Nei giorni successivi, si è fatto sempre più fondato il sospetto, poi confermato dalle stesse autorità afgane e dai familiari, che il rilascio dell'interprete fosse stato un falso rilascio o che egli sia stato successivamente catturato dallo stesso o da un altro gruppo. Il nostro ambasciatore a Kabul aveva successivamente appreso, nei frequenti contatti intrattenuti con i familiari di Nashkbandi, che l'interprete avrebbe fatto loro una telefonata, dichiarando di essere ancora nelle mani dei rapitori - ma questo dopo due giorni dagli avvenimenti che sto descrivendo - e chiedendo il massimo impegno per un suo rapido rilascio.
Questa vicenda appare, quindi, per il modo in cui si è svolta, abbastanza confusa e misteriosa, né noi abbiamo elementi per chiarirne l'effettiva dinamica, e cioè cosa sia accaduto dal momento in cui i due ostaggi sono stati formalmente liberati al momento in cui si è riscontrato - ripeto, dopo un periodo non di ore, ma di due giorni - che, invece, effettivamente l'interprete di Mastrogiacomo era ancora nelle mani di un gruppo talebano.
Tengo qui a ribadire che, in ogni momento di questa delicatissima vicenda, la liberazione dell'interprete afgano era considerata da parte nostra, così come da parte del Governo Karzai, elemento integrante della trattativa di Emergency con i talebani.
Il Governo italiano veniva poi a conoscenza dell'arresto da parte dei servizi segreti afgani, sempre nella mattinata del 20 marzo, del dipendente di Emergency, Rahmatullah Hanefi, del quale Strada si era avvalso per i contatti con il capi talebani. Per il tramite dell'ambasciata a Kabul, è stato da allora chiesto di conoscere i motivi della detenzione e le condizioni di salute del detenuto, su cui si erano diffuse notizie allarmanti. In varie occasioni, l'ambasciatore Sequi ha chiesto di poter visitare Hanefi, oltre ad elementi sulle motivazioni dell'arresto.
Pur nel rispetto della responsabilità primaria del Governo afgano nei confronti dei propri cittadini e della consapevolezza della delicatezza della situazione, in tutti questi giorni, da parte italiana, si è continuato a chiedere un chiarimento sulle ragioni che hanno condotto all'arresto del dipendente di Emergency, Rahmatullah Hanefi. In data 1o aprile, a seguito delle nostre pressioni, un rappresentante della Croce rossa internazionale ha ottenuto l'autorizzazione a visitare tra Rahmatullah in carcere. L'incontro si è svolto, come confermato dal rappresentante della Croce Rossa allo stesso ambasciatore italiano, nel pieno rispetto degli standard internazionali della Croce Rossa.
Siamo arrivati così agli sviluppi, anch'essi tragici, di questi ultimi giorni. Il 6 aprile, i talebani hanno fissato un ultimatum nei confronti del Governo Karzai per il rilascio di altri prigionieri, in cambio della liberazione di Adjmal Nashkbandi, con scadenza lunedì 9 aprile. La minaccia è stata ribadita l'8 aprile e, nel corso della stessa giornata, è stata diffusa dal portavoce del comandante talebano Dadullah, che si chiama Shahabuddin Atal, la notizia dell'esecuzione dell'interprete nel distretto di Garmsir, nella provincia di Helmand, prima della scadenza dell'ultimatum fissato dai talebani stessi.
Il Governo italiano ha appreso, con angoscia, la notizia della barbara uccisione dell'interprete. L'esecuzione è avvenuta prima della scadenza dell'ultimatum che i talebani avevano fissato e nonostante il fatto che, nelle intese raggiunte per la liberazione di Mastrogiacomo, fosse prevista ed accettata anche dal comandante Dadullah la liberazione dell'interprete. Il Presidente del Consiglio, inoltre, ha espresso, come sapete, alla famiglia dell'interprete e al popolo afgano la vicinanza del Governo e del popolo italiano.
Il 10 aprile, organi di informazione hanno ripreso nuove e pesanti accuse del capo dei servizi afgani, Amrullah Saleh, sia verso Rahmatullah Hanefi, sia verso la stessa Emergency, asserendone la complicità con i talebani.
Ieri, 11 aprile, il personale italiano di Emergency ha lasciato temporaneamente l'Afghanistan e Gino Strada ha reso noto, sia all'ambasciatore a Kabul che al capo dell'Unità di crisi, che il provvedimento di Pag. 8trasferire il personale internazionale fuori dal territorio afgano è al momento una misura temporanea e che la strategia dell'organizzazione, per quanto concerne le attività che svolge in Afghanistan, verrà definita nelle prossime ore.
Noi siamo ben consapevoli dell'opera preziosa svolta da Emergency in un contesto molto difficile ed anche pericoloso. Non possiamo che auspicare che possano presto ristabilirsi le condizioni per la ripresa della sua attività in territorio afgano. Nello stesso tempo, assicuro che il Governo italiano continuerà ad insistere - questo possiamo fare - perché siano rese note, in modo trasparente, le accuse rivolte a Ramatullah Anefi e perché egli possa essere giudicato, se sarà necessario, nel modo più rapido e con le garanzie previste in casi di questo tipo.
Questo può sostanzialmente fare il Governo italiano e non può certamente liberare Ramatullah Anefi, il quale è accusato dalle autorità del suo paese di reati. Tuttavia quello che potevamo fare, vale a dire assistere dal punto di vista umanitario, garantire che il detenuto fosse incontrato e visitato dalla Croce rossa internazionale, insistere perché contro di lui, se sarà necessario, si proceda con tutte le garanzie previste, lo abbiamo fatto con assoluta puntualità e direi anche con qualche, sia pure limitato, risultato.
Lasciatemi concludere con tre punti importanti. Il primo è il seguente: abbiamo agito in continuità con la scelta umanitaria prevalsa in casi analoghi nel passato. È vero che ogni vicenda delicata che riguarda gli ostaggi fa, in un certo senso, storia a sé e non esistono standard ottimali, ma oggi come ieri il Governo è stato guidato dalla volontà di salvare delle vite umane.
Fin dall'inizio il nostro Governo è stato consapevole dei costi che avremmo in ogni caso pagato. Lo abbiamo fatto oggi come i Governi precedenti lo hanno fatto ieri.
Quando si trova di fronte a passaggi del genere, un paese dovrebbe mostrarsi unito e solidale.
Confesso una certa «invidia» verso quei paesi nei quali, alla vigilia della liberazione di ostaggi, ne vengono liberati altri, allo scopo di favorire la liberazione di questi ostaggi, ma non vi è alcuna polemica o protesta; anzi, tutti sostengono che si tratta di una coincidenza casuale. Sono paesi che dimostrano un certo nerbo ed, infatti, sono anche paesi rispettati.
D'altra parte, è indubbio - questa è la mia seconda conclusione - il legame sempre più stretto fra missioni di pacificazione all'estero e problema degli ostaggi. Lo abbiamo riscontrato in Iraq ed in Afghanistan, ma le stesse criticità potrebbero riprodursi altrove dove operano missioni internazionali.
Credo sia evidente a tutti che siamo di fronte ad un problema di tale delicatezza e sensibilità per le opinioni pubbliche nazionali che non è in alcun modo immaginabile pensare, ogni qualvolta si propone un caso di rapimento, di privare del tutto gli Stati nazionali delle loro prerogative sovrane in questa materia.
Tuttavia, credo sia venuto il momento di esplorare la possibilità di guide lines condivise a livello internazionale, di codici di comportamento comuni: penso alla possibilità di discutere di questo tema sia in sede Nazioni Unite sia in sede Nato. Penso ad esempio, nel caso dell'Afghanistan, ad una discussione nella Nato. Abbiamo sollevato, in seno all'Alleanza, l'opportunità di cominciare a discutere di regole comuni su questa delicata materia. Lo stesso Segretario generale della Nato si è impegnato a predisporre nelle prossime settimane un suo documento di riflessione, perché possa essere esaminato dai paesi alleati.
Infine, non vi è dubbio che sia indispensabile una maggiore responsabilizzazione dei connazionali che operano a vario titolo nelle aree di crisi.
La Farnesina non cessa di mettere in guardia, anche attraverso warnings ufficiali, sui rischi esistenti, aumentati in questo caso da una esposizione mediatica senza precedenti.
È evidente ormai come il rapimento di un nostro cittadino in certe aree possa comportare costi a danno dell'intero paese ed è bene dunque che le scelte di ciascuno (singolo, azienda, testata giornalistica) tengano Pag. 9conto sempre degli interessi generali di tutti. Credo che su questo punto, come su tutti i punti, sia utile sviluppare un confronto politico. Certamente sarà prezioso il contributo del Parlamento, e lo sarà tanto più in quanto si muoverà su un terreno oggettivo e non su quello di polemiche, spesso a mio giudizio scarsamente motivate e pretestuose. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Italia dei Valori, La Rosa nel Pugno, Comunisti Italiani, Verdi e Popolari-Udeur).
(Interventi)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Mattarella. Ne ha facoltà.
SERGIO MATTARELLA. Signor Presidente, noi ringraziamo il Governo per la disponibilità manifestata anche in quest'occasione. Inoltre, lo ringraziamo per il merito delle comunicazioni, che apprezziamo interamente.
Condividiamo lo stato d'animo espresso poc'anzi dal ministro degli esteri. Il sentimento di grande soddisfazione per la liberazione di Mastrogiacomo era venato di tristezza per la morte dell'autista, Sayed Agha. A quel sentimento oggi si accompagna l'ulteriore dolore per il brutale assassinio del suo interprete, Adjmal Nashkbandi.
Il Governo ha confermato che la sua richiesta era volta al rilascio di tutti e tre gli ostaggi e, dopo l'assassinio dell'autista, al rilascio di Mastrogiacomo e del suo interprete. Il Governo ha poc'anzi ricordato la parte collaborativa svolta da Gino Strada e da Emergency, che vanno ringraziati sia per questo sia per l'attività umanitaria svolta in momenti ed in posti difficili. Il ministro ha ricordato la parte rilevante svolta dal SISMI, che va sottolineata con riconoscenza, e ciò che il Governo ha fatto e sta facendo nel seguire la situazione del dipendente di Emergency. Egli ha sottolineato come l'interlocutore del nostro Governo sia stato il Governo afgano, che ha assunto le decisioni definitive e decisive per il rilascio di Mastrogiacomo. Vorrei aggiungere senza alcuna polemica che ciò è avvenuto a differenza di altri casi, in cui l'interlocutore era soltanto uno sceicco o un esponente di altro genere, che viveva ai margini ed in contatto con i gruppi terroristici. Allora non si poteva fare diversamente ed anche allora fu bene far così.
A differenza di alcuni giudizi, vorrei ricordare in questa sede, come ha fatto poc'anzi il ministro degli esteri, che l'Italia ha sempre scelto, con qualunque Governo, di trattare con i rapitori per salvare la vita degli ostaggi. Qualche altro paese non lo fa o, per essere più esatti, afferma di non farlo. L'Italia lo ha sempre fatto. Se qualcuno pensa che non si debba fare, lo dica con chiarezza, senza rifugiarsi in distinguo inverosimili.
Colleghi, basta rileggere il resoconto del dibattito svoltosi presso questa Camera il 6 marzo scorso. L'obiettivo condiviso da tutte le parti parlamentari era la liberazione di Daniele Mastrogiacomo e dei suoi collaboratori. Al Governo questo è stato chiesto e questo il Governo ha fatto. Per questo scopo il Governo ha operato, muovendosi con responsabilità, senza finzioni e con senso di umanità. La realtà di questi giorni - mi duole dirlo, ma va detto - è che più di un esponente dell'opposizione ha perduto il senso della misura, lasciandosi andare ad attacchi al Governo sconcertanti e strumentali, per fini di politica interna.
Naturalmente, abbiamo apprezzato, doverosamente e volentieri, nell'opposizione settori ed esponenti che hanno avuto ed hanno manifestato senso di responsabilità. Tra questi siamo lieti di individuare in questa occasione importante l'onorevole Berlusconi, che ha definito queste polemiche sterili e prive di costrutto. Ma non si può tacere, colleghi, che a molti è mancato il senso della misura, il buon gusto e il senso di responsabilità.
Negli anni precedenti, negli anni del Governo di centrodestra, mai dalla nostra parte si è tentato di mettere in difficoltà il Governo Berlusconi nella difficile gestione dei sequestri. Mai noi, allora gruppi di opposizione, abbiamo fatto mancare la Pag. 10solidarietà al Governo chiamato ad operare per salvare vite umane, né durante i sequestri né dopo la loro conclusione. Mai! Neppure quando il responsabile della Croce rossa, Maurizio Scelli, si lasciò andare, nel febbraio del 2006, ad imbarazzanti affermazioni, della cui attendibilità non so nulla e su cui non mi pronunzio, come quella di avere curato spesso, presso ospedali italiani, terroristi iracheni o di aver speso fino a un milione di dollari al mese nei contatti con quegli ambienti iracheni, soldi del Governo italiano. Al contrario, abbiamo sempre espresso e confermiamo l'apprezzamento per la sobrietà e il senso di umanità manifestati in quelle circostanze dal dottor Gianni Letta.
Colleghi dell'opposizione - lo dico sommessamente -, il nostro non può divenire il paese dei paradossi in cui chi si proclama sostenitore delle missioni militari all'estero vota contro di esse in Parlamento, come è avvenuto in Senato pochi giorni addietro da parte della Casa delle libertà, o un paese in cui chi tuona contro le trattative per salvare Mastrogiacomo e i suoi collaboratori faceva parte di Governi che hanno trattato in occasione di sequestri precedenti in Iraq e in Afghanistan.
Signor ministro degli affari esteri, il fenomeno dei sequestri si va diffondendo nei teatri in cui si svolgono le missioni; lei poc'anzi lo ha richiamato. Ne va preso atto. È una buona posizione quella, che ella ha manifestato, di regole internazionali comuni di comportamento; così come quella, che anche lei ha indicato, di suggerire ai nostri connazionali di adottare criteri di comportamento di maggiore prudenza. Non si possono imporre proibizioni, ma va rivolto un appello a tutti perché, rispetto a pericoli fortemente aumentati, vi sia un'accresciuta prudenza e un accresciuto senso di responsabilità.
Signor Presidente, nei giorni scorsi in TV è stato mostrato il video dell'assassinio efferato dell'autista di Mastrogiacomo. Una scena orribile che motiva, più di tanti altri argomenti, perché il nostro paese è impegnato nel portare aiuto all'Afghanistan. Aiuti militari e aiuti civili per la ricostruzione e lo sviluppo di quel paese in una condizione che però non va migliorando ma, al contrario, si aggrava sempre di più e che richiede sforzi e strategie nuove. Quanto avvenuto ieri in Algeria ci richiama alla drammaticità della condizione che vive la comunità internazionale e alla difficoltà e agli impegni nella lotta al terrorismo.
Prendendo spunto da quel video, ancora ieri, da parte dell'opposizione, qualche esponente ha affermato che non ci si siede ad uno stesso tavolo con i «tagliagole». Non v'è dubbio, è così! Lo dico con fermezza: non si può fare e nessuno pensa di farlo! Vorrei suggerire però, se qualcuno ne avesse intenzione, di non riprendere anche qui stamattina l'argomento che l'onorevole Fassino ha proposto di aprire un dialogo con i talebani per la pace in Afghanistan. Colleghi, non è Fassino che l'ha proposto: venerdì scorso il capo del Governo afgano, Karzai, nel corso di una conferenza stampa ha affermato di avere da tempo, lui e il suo Governo, contatti con i talebani per trovare soluzioni di pace per il suo paese. La verità è che Karzai, che distingue tra i talebani con cui dialogare e gli irriducibili seguaci del mullah Omar - quelli appunto che possiamo definire tagliagole -, non è così grossolanamente superficiale da pensare che tutto ciò che si oppone al suo Governo, anche con la forza, sia uguale. E non si tratta soltanto di Karzai, ma anche negli Stati Uniti è in corso questo dibattito. Basta vedere come, a questo annunzio di Karzai, titolavano sabato scorso The New York Times e The Washington Post o come faceva rilevare venerdì scorso la CNN. Annunzio che trova un precedente illustre nell'ex ministro degli affari esteri americano, il Segretario di Stato Colin Powell, il quale tempo addietro, in un documento pubblicato poco tempo fa dal dipartimento di Stato, auspicava e progettava un dialogo con i talebani, in particolare con quella parte dei talebani con cui fosse possibile dialogare. Non è un capriccio: si tratta del ministro degli esteri americano e del Capo del governo dell'Afghanistan, quello che la Pag. 11NATO sorregge e sostiene, che ipotizzano un dialogo che possa agevolare la pace in quel paese.
La verità è, signor Presidente e colleghi, che questi problemi devono essere affrontati con saggezza e con senso della misura, con senso dello Stato, quelli che per l'appunto qui, questa mattina, ha manifestato adeguatamente il Governo (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Comunisti Italiani, Verdi, Italia dei Valori e Popolari-Udeur - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Elio Vito. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, la discussione di oggi, che noi abbiamo voluto, comporta per tutte le forze politiche presenti in Parlamento un dovere particolare di serietà, di sobrietà e di compostezza. È un dovere morale ed istituzionale che abbiamo prima di tutto nei confronti dei due collaboratori di Daniele Mastrogiacomo, barbaramente massacrati in Afghanistan. Le tragiche immagini che abbiamo visto martedì sera al TG1 hanno spento definitivamente la gioia, pure condivisa, per il ritorno a casa del giornalista di Repubblica. È un dovere che abbiamo anche verso l'intera popolazione di quel paese, colpita da decenni da una guerra crudele, vessata dall'integralismo fanatico, straziata da un terrorismo insensato. È un dovere, infine, verso i nostri soldati, che rischiano la vita in condizioni difficilissime per difendere la popolazione afghana, per contribuire alla rinascita di quel paese e per tutelare così i principi e i valori universali di libertà e di dignità umana dei quali l'Italia è portatrice.
Lo ha ricordato a tutti lunedì scorso, quando la polemica si era fatta troppo aspra, il Presidente Berlusconi, che ha giustamente richiamato gli esponenti di tutte le parti politiche al dovere della responsabilità e della misura, convinto che questo imponga il prestigio ed il buon nome dell'Italia nel mondo. Di fronte a tutto questo, le ragioni della polemica politica - pur legittime - devono farsi da parte.
Tutto ci divide dal Governo Prodi, che ci auguriamo possa essere sostituito al più presto, ma quando sono in gioco come questa volta la sicurezza del Paese e l'incolumità dei cittadini italiani, nonché la dignità della nazione, sappiamo qual è il nostro dovere: far prevalere il senso dello Stato sulle logiche di parte. Così abbiamo fatto in passato, onorevole D'Alema, e così continueremo a fare.
Sappiamo bene, d'altronde, quanto sia difficile la condizione nella quale deve operare chi ha responsabilità di Governo in situazioni così delicate. Anche il nostro Governo si è trovato a dover compiere scelte difficili e sofferte in circostanze come queste. Non sempre, da parte di tutti gli esponenti dell'allora opposizione, onorevole Mattarella, ci fu questo senso di responsabilità. Occorre in questi casi tenere conto di esigenze e di valori che possono sembrare - a volte possono persino essere - in contraddizione tra loro: la vita umana, la dignità nazionale, la fermezza nella lotta al terrorismo.
Sono momenti difficili per il Paese, nei quali è importante essere uniti ed è doveroso che l'opposizione offra collaborazione e solidarietà e che il Governo la coinvolga e la informi. Così abbiamo fatto noi in passato e così anche voi oggi - almeno in parte - avete fatto. Proprio questa consapevolezza e questo senso di responsabilità ci hanno indotto, onorevole Mattarella, a non sollevare, fino alla conclusione del caso, le perplessità che pure questa volta sono giustificate dalla conduzione della trattativa. Affidare la mediazione esclusivamente a Gino Strada e alla sua organizzazione, Emergency, per esempio, non si è rivelata una scelta felice.
Lo diciamo con serenità, senza farci condizionare dalle posizioni politiche che lo stesso Strada ha espresso più di una volta: posizioni che giudichiamo aberranti, per quanto accompagnate da un impegno umanitario del quale pure riconosciamo il valore. Se Emergency fosse stato l'interlocutore più adatto per risolvere il problema, saremmo stati i primi a chiedere Pag. 12che venisse coinvolto. Ma in questo caso, tale organizzazione non governativa si è trovata a gestire un ruolo improprio: dover garantire la trattativa degli accordi, senza averne gli strumenti.
Non possiamo nascondere, signor ministro, la sensazione che, questa volta, si sia peccato di superficialità e di tatticismo. Il risultato finale? L'uccisione di due ostaggi su tre e la liberazione di alcuni pericolosi terroristi. La difficoltà di rapporti con il Governo Kharzai certamente non è considerata neanche dal suo Governo, signor ministro, un successo. Le immagini orribili dell'uccisione del collaboratore di Mastrogiacomo rimarranno come l'emblema doloroso di questa vicenda. E i rappresentanti di queste bande feroci sono gli stessi che qualcuno, in modo improvvido, voleva pure invitare al tavolo della conferenza di pace!
Materia sulla quale discutere e polemizzare ve ne sarebbe, dunque, tanta; ma non è questa la sede né la circostanza adatta. Oggi è il giorno del dolore e del cordoglio, ma anche della tutela della dignità e della sicurezza del nostro Paese: dignità e sicurezza che passano anche - lo sappiamo - attraverso la giusta riservatezza, la necessità di non scoprire e mettere a repentaglio la vita di chi ha collaborato, in Afghanistan, per la soluzione del caso.
Anche per questo non ci siamo associati alla richiesta, pur comprensibile, di istituire una Commissione d'inchiesta. Il Parlamento ha il dovere del controllo democratico su questi episodi - dovere al quale non possiamo e non dobbiamo rinunciare -, ma esiste già una sede istituzionalmente preposta, il Copaco (il Comitato parlamentare di controllo), attraverso il quale le Camere sono nella condizione di svolgere i giusti e necessari approfondimenti, garantendo nello stesso tempo la doverosa discrezione. Noi non vogliamo fare, signori del Governo, speculazioni, processi al passato o alle intenzioni. La qualità di una classe politica si misura dalla compostezza con la quale sa rispondere a situazioni difficili o dolorose, ma anche dalla capacità di saperne trarre insegnamenti per il futuro.
Per questo, signor ministro, Forza Italia vorrebbe che dal dibattito di oggi nascesse un'indicazione condivisa, quella di costruire insieme un codice di comportamento comune da adottare in situazioni come queste, valido per il Governo del Paese, qualunque esso sia: così l'Italia si regolerà d'ora in avanti, chiunque abbia la responsabilità del Governo.
Purtroppo, l'evoluzione dello scenario internazionale, le tensioni che caratterizzano il vicino Oriente, il diffondersi del terrorismo, lo stesso impegno del nostro Paese in scenari difficili rendono altamente probabile che episodi simili possano ripetersi. È necessario, dunque, non arrivarvi impreparati. È necessario affrontare queste situazioni difficili con elasticità, ma in un quadro di regole certe e condivise: questo restituirà serenità a tutti, servirà a prevenire polemiche tra le forze politiche e consentirà al paese di affrontare davvero unito una difficile sfida.
Parliamo di regole volte ad affrontare i rapimenti, ma anche a prevenirli, a regolamentare in base a criteri di prudenza e di ragionevole sicurezza le presenze dei nostri connazionali in aree di crisi, soprattutto le presenze di civili - spesso non necessarie, spesso non concordate con le autorità italiane -, particolarmente esposti, proprio per questo, al rischio di diventare vittime di un sequestro e di un ricatto nei confronti dell'intera nazione.
Tutto questo, signor Presidente, signori del Governo - e concludo -, servirà ad evitare il sacrificio di qualche vita umana e certamente servirà a garantire la tutela della dignità delle istituzioni e la compattezza del nostro Paese nei momenti difficili. E questo è interesse di tutti: di un Governo serio e di un'opposizione responsabile. Noi siamo pronti a fare la nostra parte (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale e del deputato Ranieri - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gianfranco Fini. Ne ha facoltà.
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GIANFRANCO FINI. Signor Presidente, signor ministro, colleghi, anche da parte mia vi è una doverosa, ma sincera valutazione iniziale relativa al ringraziamento che Alleanza Nazionale rivolge al Governo - in modo non ipocrita, in modo sincero - per avere accettato la richiesta che da parte di tutta l'opposizione è giunta affinché esso riferisse in quest'aula in relazione alle ultime tragiche vicende che hanno accompagnato il sequestro, e poi la liberazione, del nostro connazionale Mastrogiacomo.
È un ringraziamento che, al di là, onorevole Mattarella, delle reciproche piccole intenzioni di dare bon ton parlamentare, spero venga apprezzato, anche in ragione di quello che dirò successivamente, non per amore di polemica bensì per una valutazione oggettivamente diversa circa quello che è accaduto.
Non vi è ombra di dubbio, onorevole D'Alema, che anche da parte nostra agire per tentare di salvare una vita umana rappresenta sempre un dovere; e proprio perché è un dovere - l'onorevole Bertinotti ha precisato al di là, come è naturale, di ogni appartenenza linguistica, di razza, di etnìa - salvare una vita umana, è meritorio il comportamento di chi si adopera per tentare di salvare una vita umana, al di là di quello che è l'esito del tentativo.
Ma proprio per questi motivi, e proprio perché non ho alcuna difficoltà, per le responsabilità pregresse che ho ricoperto, a dire che il ministro D'Alema ha ragione quando dice che è una priorità condivisa al di là del Governo di centrodestra o di centrosinistra - la priorità non può che essere, in caso di sequestro, fare tutto quello che si può per salvare il nostro connazionale -, proprio perché vi è una continuità tra l'azione di questo Governo con quella dei Governi precedenti, proprio per questo credo che sia apprezzabile e sincero ribadire che la gioia per la liberazione di Mastrogiacomo è per noi pari al dolore della morte dei due cittadini afgani.
Tuttavia, proprio perché l'esito di questa drammatica tragica vicenda non è stato fausto al cento per cento, proprio perché è stato doloroso per una quota consistente che sarebbe stupido quantificare, è doveroso chiedersi cosa sia accaduto senza strumentalizzazioni: onorevole Mattarella, le strumentalizzazioni ci sono state, vi è stata qualche polemica eccessiva, ma non lei doveva guardare soltanto verso i banchi del centrodestra, poteva guardare anche verso quelli della componente più radicale della sua maggioranza.
Se è giusto tentare di chiedersi che cosa sia successo senza strumentalizzazioni, lo è altrettanto chiedere da parte dell'opposizione che il Governo si rapporti con il Parlamento, e quindi con la pubblica opinione, senza reticenze, senza omissioni; e credo, onorevole D'Alema, che qualche reticenza nella sua relazione vi sia stata.
Il ministro D'Alema ha detto - e gli credo - che il Governo Prodi si è fin dal primo momento mobilitato per ottenere la liberazione di tutti gli ostaggi: sarebbe un processo alle intenzioni affermare il contrario! «Tutti gli ostaggi» perché del resto è dovere umano, prioritario tentare di salvare la vita di chiunque sia sequestrato al di là della nazionalità; e il ministro D'Alema ha anche detto che, di fronte ad un sequestro, l'unica via che deve essere presa in considerazione, almeno all'inizio, è quella della trattativa - come egli ha sostenuto - in continuità con quello che è accaduto nel passato. Non ho alcuna difficoltà a dire «in continuità con quello che è accaduto nel passato», anche perché l'onorevole D'Alema ha parlato correttamente della trattativa come via iniziale, senza però escludere a priori l'ipotesi di blitz militare.
Le cronache giornalistiche hanno riportato, con dovizia di particolari, vicende relative ad altri sequestri in cui l'allora Governo aveva fatto esattamente quello che oggi D'Alema ha rivendicato per il Governo Prodi: la trattativa come via principale ma al tempo stesso l'ipotesi di intervento militare, un'ipotesi che veniva esclusa nel passato, e che è stata esclusa in questa occasione, qualora avesse comportato seri rischi di vita per gli ostaggi.
Anche da questo punto di vista, quindi, non vi sono sostanziali motivi di discontinuità; Pag. 14ma, proprio perché di una trattativa si è trattato, proprio perché il negoziato ha rappresentato in qualche modo la via concreta per dare corso ad una trattativa, vi è da chiedersi - e questo è, onorevole D'Alema e colleghi, il punto di dissonanza radicale tra la sua analisi e le nostre valutazioni - da chi e con chi la trattativa sia stata condotta: non sono domande retoriche.
La trattativa è stata condotta principalmente - anche qui D'Alema è stato chiaro, tutt'altro che noioso - da un medico, Gino Strada, responsabile di una ONG, che ha un ruolo importante in Afghanistan. Sarebbe stupido negare la sua conoscenza di quel territorio e i rapporti che vi ha da tempo; egli è stato chiamato in altre occasioni ad assumersi delle responsabilità.
È stata certamente una scelta del Governo italiano quella di affidare in via principale a Gino Strada per i suoi contatti diretti - uso le parole di D'Alema - il compito di condurre la trattativa.
La trattativa è stata condotta da Strada: non ha senso dire se lo abbia fatto esautorando i servizi o meno. Il ministro D'Alema ha detto testualmente: Gino Strada rivendicava contatti diretti - sappiamo che li ha - e chiedeva che non vi fossero interferenze, che egli fosse in qualche modo il principale attore.
Anche alla luce di pregresse esperienze, credo di poter dire che si è trattato non di un intermediario, ma dell'unico interlocutore della trattativa. La trattativa è stata condotta da Gino Strada. E con chi? Onorevole Mattarella, qui c'è la differenza di fondo con il pregresso e con altre vicende. La trattativa è stata condotta con i talebani, ma - D'Alema lo ha detto molto chiaramente - è stata in qualche modo delegata al Governo afgano. Infatti, rispetto ad altre vicende, il prezzo della trattativa era elevato. E non era un prezzo in denaro, bensì un prezzo politico: era la liberazione di terroristi; liberazione di terroristi che era nella esclusiva competenza dell'autorità afgana. Le autorità afgane potevano o meno accettare la richiesta che i terroristi avevano avanzato tramite Gino Strada di scambiare prigionieri politici. Quindi, una trattativa condotta da Gino Strada con i talebani e con le autorità afgane.
Il Governo si è in qualche modo mosso all'interno di questo triangolo obbligato: da un lato, non un facilitatore, ma l'unico intermediario; dall'altro lato, i talebani; terzo e certamente principale soggetto del triangolo le autorità afgane.
Le autorità afgane - lo dico, in particolar modo, a qualche collega della sinistra radicale - non possono essere liquidate - come ha fatto l'onorevole Rizzo - con l'espressione «il Governo fantoccio di Karzai». Karzai è il Presidente di un paese che democraticamente e liberamente lo ha scelto come massima autorità. Del resto - anche qui D'Alema è stato chiaro - non poteva essere diversamente: non si poteva che delegare al Governo afgano la possibilità di rispondere positivamente o negativamente alla richiesta. Ciò perché la richiesta - lo ripeto - era di tipo politico: lo scambio di prigionieri. Non potevamo fare altro che chiedere al Governo afgano se fosse disponibile o meno ad accogliere la richiesta dei talebani; richiesta presentata al Governo italiano tramite Gino Strada e dal Governo italiano girata al Governo afgano.
In altre parole, solo Kabul poteva disporre o meno il rilascio dei terroristi, al di là di quanti fossero e del ruolo ricoperto nell'organizzazione talebana, perché si trattava di terroristi detenuti nelle carceri afgane.
Onorevole Mattarella, lei ha ricordato, secondo verità, che il Governo Karzai, proprio perché non è un Governo fantoccio, in più di un'occasione - a livello internazionale e, per quel che può contare, anche nei contatti diretti con chi all'epoca era ministro degli affari esteri - ha detto di essere disposto, nel clima della pacificazione nazionale che in Afghanistan è il valore cui tendere, ad avviare una discussione con i talebani, ma ha posto una condizione evidente. Mi riferisco alla condizione che sempre si pone, da parte di un Governo legittimo, nei confronti di chi ha preso le armi per contrastare quel Governo, Pag. 15vale a dire deporre le armi, proclamare una stregua, riconoscere il superamento di una fase, avviare attraverso la conferenza di pace un percorso per la pacificazione. Non mi risulta che il Governo Karzai abbia mai detto di essere pronto a discutere con i terroristi nel momento in cui i terroristi chiedono uno scambio tra prigionieri.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
GIANFRANCO FINI. Onorevole D'Alema, concludo. A noi risulta - ed ecco perché ho parlato di reticenze e di omissioni - che il Governo Karzai non fosse disponibile ad accogliere le richieste che i terroristi talebani avevano presentato tramite Gino Strada e tramite il nostro ambasciatore a quelle autorità.
Signor Presidente, Karzai lo ha detto chiaramente. Egli ha detto chiaramente: ho subito delle pressioni dal Presidente Prodi; ho subito delle pressioni da un Governo amico, da un Governo che ha i suoi uomini impegnati in Afghanistan per tentare di garantire la pace.
In conclusione, signor Presidente, credo di dire una cosa alla sua intelligenza politica che ha un certo rilievo. La mia conclusione è che, nel momento stesso in cui Karzai ha ceduto, nel momento stesso in cui Karzai si è piegato alla richiesta del Presidente Prodi, nel momento stesso in cui - mia malizia, onorevole D'Alema, che lei però non può liquidare con un'alzata di spalle - Karzai ha detto...
MASSIMO D'ALEMA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri. Non è vero! Sono in grado di documentare che non è vero!
GIANFRANCO FINI. Mi faccia finire! Potrà replicare dopo, se vorrà.
PRESIDENTE. Deve finire anche lei, però! La prego.
GIANFRANCO FINI. La semplice circostanza che mi abbia interrotto è già la dimostrazione del fatto che, forse, colpisco nel segno!
Se, come a noi risulta, Karzai ha manifestato il suo accordo perché Prodi ha vagheggiato l'ipotesi del ritiro - e so quello che dico! -, beh, non ci si può poi lamentare se subito dopo Karzai afferma la linea della fermezza. La fermezza e l'arresto...
PRESIDENTE. La prego, deve concludere! Il tempo a sua disposizione è scaduto da oltre un minuto (Commenti dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
GIANFRANCO FINI. ... Grazie ...
La fermezza - unitamente all'arresto di Hanefi, il quale, a tutti coloro che conoscono l'Afghanistan, risulta essere l'anello di congiunzione tra Emergency ed i talebani -, ebbene, tale fermezza emerge dalla reiezione dell'ultimatum che i talebani hanno rivolto alle autorità afgane...
PRESIDENTE. Ma la prego, deve concludere (Commenti dei deputati del gruppo Alleanza nazionale)!
GIANFRANCO FINI. ... per la liberazione di altri terroristi quale condizione per garantire la scarcerazione dell'interprete di Mastrogiacomo.
Ecco perché, assumendomene la responsabilità, parlo di omissioni: non vi accusiamo di non aver fatto tutto quello che era in vostro potere per salvare gli ostaggi; vi accusiamo di non avere detto che le autorità afgane non erano disponibili a rilasciare degli ostaggi per liberare coloro che erano prigionieri dei talebani (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) - Congratulazioni - Commenti del deputato Fabris).
PRESIDENTE. Rispetto alle proteste che ho testé constatato, devo però a mia volta protestare perché il Presidente si è visto costretto più volte a far notare che i tempi erano scaduti [Commenti dei deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale e UDC (Unione dei Democratici Pag. 16Cristiani e dei Democratici di Centro)]... No, no, le regole valgono per tutti, mi dispiace!
Il deputato Gianfranco Fini sa bene che lo ascolto con il rispetto che porto ad ogni altro deputato, assolutamente! E so anche valutare l'autorevolezza con cui si interviene nel dibattito. Tuttavia, dinanzi a chi, invece, scompostamente fa notare che il Presidente semplicemente fa rilevare lo scadere dei tempi, protesto!
Ha chiesto di parlare il deputato Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, signor ministro degli affari esteri, colleghi e colleghe, il minuto di silenzio che abbiamo osservato poc'anzi è per noi anche un atto di protesta contro gli inqualificabili terroristi e i «tagliagole» che hanno ucciso due uomini innocenti per motivi che nessuno, da nessun punto di vista, in questa Assemblea come in questo paese, può condividere.
Proprio perché ritengo che tale giudizio su costoro sia condiviso, posso aggiungere che le nostre critiche ai sei anni di guerra in Afghanistan, alla strategia militarista dei Governi della Gran Bretagna e degli Stati Uniti ed alla stessa logica che presiede la missione ISAF sono fondate sulla necessità di raggiungere l'efficacia necessaria per combattere questi terroristi tagliagole e criminali e non su una diversa valutazione di queste formazioni. Mi riferisco ad Al Qaeda ed ai gruppi talebani che perseguono l'obiettivo di restaurare in Afghanistan una teocrazia ingiustificabile ed insopportabile sotto tutti i profili.
Ma, signor ministro degli affari esteri, è proprio per questo, proprio perché costoro sono così, che si è reso necessario trattare. Non sono forze che agiscono secondo le Convenzioni di Ginevra; non sono forze che combattono lealmente: proprio per questo bisogna trattare, per salvare delle vite umane.
Del resto, forze irregolari, asimmetriche, che hanno prodotto atti di terrorismo, sono sempre state interlocutrici di scambi umanitari. Così si chiamano, scambi umanitari, e non scambi di prigionieri di guerra.
Naturalmente, ogni situazione è specifica ed ogni trattativa ha, per l'appunto, la sua specificità; però, signor ministro degli affari esteri, voglio dirle con estrema chiarezza che ritengo necessario - su ciò, siamo d'accordo - discutere delle regole e dei comportamenti da seguire in queste circostanze.
Voglio dirle, però, che la sede opportuna per fare questo sono le Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza e le Agenzie delle Nazioni Unite che sono preposti ad occuparsi di questi problemi. Capisco che possano verificarsi degli scambi di opinioni o anche che possano essere prese delle decisioni circa una linea di condotta da tenere fra alleati, ma ciò non può pregiudicare e mettere in discussione una linea che i diversi Governi italiani hanno mantenuto in tutti questi anni: considerare prioritario salvare le vite umane, soprattutto quelle di civili, di giornalisti, di operatori umanitari inermi nelle mani di bande terroristiche. Poiché vi sono altri paesi che pensano che queste vite umane non valgano quasi nulla, rivendico che il nostro paese ha sempre fatto bene, sia con il Governo Berlusconi sia con il Governo Prodi, a tentare di salvare queste vite umane, e penso che non si possa derogare da questo principio.
Il Governo ha agito, come è stato spiegato bene dal ministro degli affari esteri, per salvare delle vite umane e ha fatto bene; coloro i quali contestano, in modo chiaramente strumentale, i canali utilizzati, quelli reali, disponibili e migliori per poter raggiungere questo obiettivo dovrebbero essere coerenti e dire che sarebbe stato meglio far finta di salvare quella vita umana e lasciare che anche Mastrogiacomo venisse ucciso, perché, a posteriori, se avessero trovato spazio, prima che questi fatti si sviluppassero, le critiche che avanzano ora le opposizioni avrebbero prodotto anche la morte di Mastrogiacomo. La nostra solidarietà, quindi, è totale nei confronti del Governo e del ministro degli affari esteri, per gli Pag. 17attacchi che, anche se in modo diverso, sono stati portati dai due interventi che mi hanno preceduto.
Gli attacchi ad Emergency sono totalmente ingiustificati. Emergency è un'organizzazione non governativa, che, come tutti questi tipi di organizzazioni che agiscono in territorio di guerra, deve avere lo status di organizzazione neutrale. Le speculazione fatte sono irricevibile e anche qui va la nostra solidarietà all'organizzazione per gli attacchi che le sono stati portati tanto dai servizi afgani quanto in questa aula dalle parole degli esponenti dell'opposizione.
Signor ministro degli affari esteri, noi non abbiamo da eccepire sulla sua ricostruzione dei fatti; voglio aggiungere, però, una riflessione di carattere politico. Certamente, la reazione del Governo degli Stati Uniti, all'indomani della liberazione di Mastrogiacomo, non ha contribuito a creare un clima favorevole alla prosecuzione della trattativa per salvare la vita umana dell'ostaggio che ancora si trovava nelle mani dei terroristi e, sicuramente, data l'influenza del Governo degli Stati Uniti sul Governo Karzai, ha contribuito a far sì che quest'ultimo colpisse colui il quale è stato impegnato dal Governo italiano in un'opera di intermediazione. Non è ammissibile, lo dico per il futuro, per la credibilità del nostro Governo, che quando una persona viene impegnata con un mandato da parte del nostro Governo a condurre, per conto del Governo stesso, una trattativa, non è ammissibile - lo ripeto - che questa persona venga sottoposta ad un sequestro, ad un arresto illegale, esattamente per i motivi per i quali è stato impegnato in quella operazione. Chi deve fare da intermediario deve avere contatti con la parte avversa; non è possibile che si faccia intermediazione senza avere questo requisito e poiché i servizi afgani - e vedremo in seguito cosa succederà -, allo stato accusano esattamente di questo Hanefi, è assolutamente intollerabile che egli si trovi nelle condizioni di privazione della libertà personale.
Il Governo italiano non può limitarsi semplicemente ad insistere, ma deve chiedere con fermezza, ed ottenere, che si eviti che una persona, da esso impegnata in questa difficile missione, subisca conseguenze per conto di altri!
Non è accettabile infine, signor ministro, che detta persona sia detenuta nelle condizioni in cui attualmente si trova. È vero che la Croce rossa internazionale ha avuto modo di visitarla, ma è altrettanto vero che essa si è impegnata a mantenere il segreto sulle sue condizioni di salute, nonché sullo stato della sua detenzione: quindi, noi sappiamo solo che questo incontro è avvenuto.
Forse il Governo avrà informazioni riservate, ma noi non ne disponiamo: pertanto, chiediamo che una delegazione dell'Esecutivo - ed in caso non si agisse in tal senso, preannuncio che sarà assunta un'iniziativa, da parte di parlamentari appartenenti a diversi gruppi, affinché ciò sia fatto - incontri Hanefi, accerti le sue reali condizioni di detenzione ed operi per la sua liberazione, non per un processo che, come sempre avviene in questi casi, sarebbe da considerarsi assolutamente illegittimo!
Da ultimo, signor ministro, signori del Governo, colleghe e colleghi, vorrei aggiungere un'ulteriore considerazione. L'Afghanistan si trova in una situazione ogni giorno più grave: la Conferenza internazionale di pace, quindi, deve rimanere l'obiettivo da perseguire, affinché quel paese sia pacificato ed anche i criminali che hanno ucciso i due collaboratori di Mastrogiacomo siano assicurati ad una vera e legittima giustizia (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, L'Ulivo, Comunisti Italiani e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli ministri, ieri i servizi segreti italiani hanno consegnato al Parlamento un rapporto molto preoccupante. Il pericolo del terrorismo islamico è alle porte - sarebbe meglio dire che è tra noi - ed è rivolto verso le nostre truppe, presenti nei teatri di guerra in Libano e in Afghanistan.Pag. 18
L'Italia è da tempo un obiettivo dell'offensiva, i cui propositi sono concreti, misurabili e non generici. Non è da sottovalutare la contemporanea presenza e riorganizzazione di gruppi islamici e delle brigate rosse, nonché i possibili obiettivi comuni tra «tagliagole» ed omicidi comunisti.
Nei giorni scorsi, in Marocco e in Algeria (vale a dire, sotto il balcone di casa nostra), diversi attentati sono stati compiuti da gruppi associati ad Al Qaeda, a riprova di un'offensiva su larga scala del terrorismo sanguinario di matrice islamica. Siamo in guerra, signori, nonostante la nostra volontà: siamo in guerra dall'11 settembre 2001!
Su tali premesse e su questo contesto è partita e permane la nostra azione in Afghanistan, a supporto della stabilizzazione e della ricostruzione, nonché dello sviluppo democratico di quel paese. Il rigurgito di attentati e le rinnovate minacce di questi giorni avvengono in un periodo cruciale, vale a dire quel 2007 in cui è partita e si svilupperà l'offensiva talebana e la conseguente azione dell'ISAF.
È interesse di tutti, in tali circostanze, salvaguardare l'unità della NATO e del Governo di Kabul, se si vuole difendere la sopravvivenza di speranze in tutta l'Asia centrale. Si tratta di un'azione militare alla quale si è adeguata anche l'Italia, con l'importante riunione del Consiglio supremo di difesa del 2 aprile scorso.
In Afghanistan non ci staremmo per qualche mese ancora. È più probabile che la nostra permanenza sia di lungo periodo ed autorevoli esponenti del Governo affermano, giustamente, che, dopo l'affaire Mastrogiacomo, dobbiamo ricostruire i nostri rapporti con tutti i paesi della grande alleanza presente in Afghanistan: Olanda, Germania, Francia ed Inghilterra, oltre a Stati Uniti e Canada. Abbiamo, cioè, dinanzi a noi la necessità e la volontà di dimostrare un'espressione forte di unità del paese, sia a fronte del pericolo di attentati, sia per la ricostruzione dei rapporti di amicizia con gli alleati europei ed atlantici.
Ministro D'Alema, noi non torniamo indietro: abbiamo dato «carta bianca» al Governo per la liberazione degli ostaggi fin dal primo momento. Non siamo gamberi e lo rifaremmo anche oggi. La linea da seguire da parte dell'attuale Governo, sia riguardo alle missioni militari di pace sia nei confronti dell'impegno per la liberazione degli ostaggi, deve essere, però, di assoluta continuità con i governi precedenti.
In questo caso, purtroppo, la continuità è stata un po' annacquata. In particolare, è stata errata la scelta di delegare per le trattative, in via esclusiva, Gino Strada e la sua organizzazione: che questa scelta sia stata un errore, lo dimostrano i fatti. La vita di Mastrogiacomo è stata salvata, ma purtroppo sono mancati i più stretti collaboratori del giornalista, acuendo l'idea di un'odiosa discriminazione tra l'ostaggio italiano e quelli afgani. Ma - si dirà - questo esito fa parte del gioco. È vero, ma non può far parte del gioco l'idea che l'uomo, cui il Governo italiano affida trattative così delicate e riservate, riveli particolari in ordine al pagamento del riscatto e ad altre modalità sui rapporti intercorsi tra il Governo italiano e quello di Kabul. Evidentemente, l'interlocutore non è affidabile, oppure è accecato da un'ideologia che gli consente addirittura di attaccare, a testa bassa, il Governo afgano - con cui lei, ministro D'Alema, ha ricordato l'ottima collaborazione - e lo stesso Presidente del Consiglio italiano. In questo caso, non ci interessa del signor Prodi, ma siamo preoccupati del fatto che il Presidente Prodi, oggi, rappresenti il Governo italiano; un grave pasticcio in cui solo il senso di responsabilità nazionale mi impone di non indulgere oltre.
Certo, nella sua coalizione, ministro D'Alema, qualcuno le rimprovererà tale continuità, ma una politica estera seria ed autorevole non si deve curare del pacifismo ad oltranza. La politica estera di un paese adulto è condivisa, viaggia nel solco della continuità e non può essere - come invece molti speravano in quest'aula - frutto di strappi e di urla. La politica estera è un bene prezioso, non da sotterrare, Pag. 19ma nemmeno da dissipare inutilmente. È logico che vi sia una zona grigia nelle trattative, nelle operazioni che portano alla liberazione degli ostaggi. Tale area di riservatezza deve rimanere tale; così accade, tra l'altro, in tutte le democrazie occidentali.
Un blitz salvò tre dei quattro bodyguard nel 2004, in Iraq, e ancora oggi ricordiamo con commozione la dignità del povero Quattrocchi. Ma in tutti gli altri casi, dalle due Simone, il 7 settembre dello stesso anno, alla vicenda Sgrena con la morte del povero Calipari, nel febbraio 2005 in Afghanistan, ai 23 giorni di Torsello fino all'affaire Mastrogiacomo si agì utilizzando canali diversi: si ottenne il rilascio attraverso una trattativa, a volte pagando, a volte pagando e curando. Tutto, assolutamente normale.
Noi non mettiamo in discussione un Governo che salva vite umane. Come mai, però, questa volta, il risultato è stato così limitato? Perché di tre ostaggi se ne è salvato solo uno? È stato saggio affidarsi solo ad Emergency ed esautorare, di fatto, i nostri servizi segreti? Non è forse per via della scelta di esclusiva che i talebani hanno potuto violare i patti per la liberazione di Adjmal? Come mai, per la prima volta, si è ceduto alla richiesta, di cambio di ostaggi? A chi sono stati affidati gli ostaggi liberati? Si è insistito a sufficienza sul divieto ai giornalisti di recarsi ancora in Afghanistan?
Alcune affermazioni pubbliche di Gino Strada degli ultimi giorni lasciano sconcertati e aumentano le perplessità sulla modalità della liberazione e della trattativa; tra l'altro, rivelano particolari, ci sembra, coperti dal segreto di Stato, come nel caso Torsello. Chiedere, inoltre, che sia liberato un sospetto agente dei terroristi, che il Governo legittimo di Karzai ha il dovere di trattenere, francamente è demenziale.
Certo, il Governo italiano ha il dovere di verificare le condizioni e la regolarità dell'eventuale processo e dello stato delle indagini, ma nulla più. L'Afghanistan è uno Stato sovrano.
Ministro D'Alema, qui non ci sono rimproveri per l'azione di liberazione di Mastrogiacomo. Ci sono perplessità sulle modalità attraverso le quali si è pervenuti a tale risultato. La confusione delle diverse e, a volte, contrastanti dichiarazioni di esponenti del Governo, della maggioranza, delle ONG non hanno fatto altro che accrescere le perplessità e le preoccupazioni nel leggere che l'esonero sostanziale dei nostri servizi segreti da alcuni è inteso come la vittoria della diplomazia dei movimenti; vittoria magra, visto il numero delle vittime.
In politica estera le ragioni di coalizione vengono dopo quelle dello Stato. In una situazione di gravi pericoli interni e di attentati verso le truppe all'estero nemmeno regge il paragone tra la sicurezza degli italiani e del paese e la tenuta di una coalizione.
Al di là delle benemerenze di alcuni, questa vicenda insegna molte cose: è indispensabile maggiore concertazione con i paesi dell'ISAF e una comune modalità di comportamenti; è necessaria una forte ed autorevole presenza operativa dei nostri servizi segreti nelle zone di guerra e un loro fattivo coinvolgimento in fasi delicate; è doverosa una forte coerenza nella nostra politica estera e di difesa per recuperare piena sintonia e credibilità nel rapporto con i paesi europei ed atlantici, impegnati come noi nella lotta al terrorismo.
I pericoli sono alle porte, anzi sono all'interno del territorio della nazione Italia. Abbiamo a che fare con tagliagola sanguinari, terroristi barbari, fondamentalisti islamici, tutti lanciati nella guerra santa. Evitiamo di farci prendere da giochini irresponsabili o da immagini caricaturali del pericolo sovversivo interno e terrorista internazionale; altro che avventurarsi in conferenze di pace con i tagliagola del Mullah Omar! Sono idee che si commentano da sole!
Siamo certi che delle nostre preoccupazioni, delle nostre perplessità sulle modalità della trattativa lei, signor ministro, farà tesoro ed è bene che delle notizie più approfondite della zona grigia venga informato il Copaco.Pag. 20
Si faccia tesoro del risultato, ma ancor più si traggano utili motivi per un rinnovato impegno in Afghanistan e per una rafforzata collaborazione nell'alleanza a fianco del Governo Karzai. Occorre essere seri, composti, coerenti ed uniti, solo così onoreremo la politica del nostro paese; si tratta di un dovere che riguarda tutti, per questo siamo determinati a svolgere la nostra parte (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), Forza Italia e Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Maroni. Ne ha facoltà.
ROBERTO MARONI. Signor Presidente, vorrei innanzitutto ringraziare il ministro D'Alema per essere venuto oggi in questa sede ad esporre i fatti. Una presenza importante, la sua, e immagino anche il suo imbarazzo nel venire a riferire su questa vicenda a causa del modo in cui la stessa si è svolta. Apprezzo pertanto il fatto che il ministro sia voluto intervenire, anche se devo esprimere rammarico per quanto ha affermato. Siamo rimasti delusi dalla sua relazione, signor ministro...
Se non intende ascoltare, la prego almeno di leggere poi il resoconto del mio intervento. Grazie.
MASSIMO D'ALEMA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri. Ma io l'ascolto: non deve sottovalutare le mie capacità!
ROBERTO MARONI. Dicevo che apprezziamo il fatto che lei sia venuto a riferire in questa sede, anche se devo esprimere rammarico e delusione per quanto ha affermato o, meglio, per ciò che non ha detto. Infatti, signor ministro, lei non ha chiarito i numerosi punti oscuri di questa vicenda, il ruolo dei servizi italiani e di quelli afgani, il ruolo di Emergency e quello svolto dal Governo afgano. Non ha avuto il coraggio - che in altre occasioni le abbiamo sempre riconosciuto - di ammettere gli evidenti errori commessi nella gestione di questa vicenda (e le parole del ministro Parisi, riportate da tutti i giornali, ne sono una chiara denuncia) e non ha avuto neppure l'onestà di ammettere il parziale fallimento della gestione di tale crisi.
È vero - e ne siamo tutti felici: lo abbiamo detto esplicitamente -, si è ottenuta la liberazione del giornalista de la Repubblica, ma il risultato complessivo segna sulla colonna delle negatività due vittime innocenti massacrate dai talebani.
I soldi pagati, che probabilmente saranno utilizzati per acquistare armi, i cinque terroristi liberati, una tensione nei rapporti con gli Stati Uniti, una crisi diplomatica con il Governo di Karzai e la messa in pericolo dell'attività umanitaria di Emergency in Afghanistan costituiscono i risultati di una gestione sbagliata e approssimativa di questa crisi, che hanno indotto una persona come Magdi Allam, che non si può certo accusare di simpatie o di antipatie sul piano politico, a esprimere sulla prima pagina del Corriere della sera un giudizio francamente molto negativo e sorprendente nei confronti dell'Italia. «Ormai l'Italia si contraddistingue come il paese occidentale che, più di altri, è pronto a cedere al ricatto»: al ricatto, ha usato questa parola. Non si tratta, quindi, di trattative per liberare gli ostaggi. Tutta la gestione della crisi ha portato a questa conclusione: l'Italia è il paese che cede ai ricatti!
Siamo delusi perché ora, dopo il suo intervento, ministro D'Alema, siamo di fronte a troppe verità diverse. Vi è la sua verità, raccontata minuziosamente nei fatti, che contrasta, però, con quella espressa da un collega del suo Governo, il ministro Parisi: «Grave errore far trattare Gino Strada». Ciò lo dice non l'opposizione, ma un membro del suo Governo! È una verità, la sua, signor ministro, che contrasta con quella del Governo afgano, non solo con quella del capo dei servizi, Saleh, ma con quella del presidente Karzai: «Liberai i talebani per salvare Prodi» - ha dichiarato quest'ultimo - «Ci siamo mossi su precisa richiesta italiana. Era Pag. 21una situazione difficile. Il Governo italiano poteva cadere in qualsiasi momento. Pur sapendo quali sarebbero state le conseguenze» - dice Karzai - «abbiamo concesso la liberazione di alcuni prigionieri talebani e permesso la liberazione dell'italiano». È un fatto così eccezionale e così grave che lo stesso Karzai si affretta a ribadire che tali trattative sono state eccezionali e non si ripeteranno in nessun caso, con nessun'altra persona e con nessun altro paese, a dimostrazione che quella presunta collaborazione o unità di intenti tra il Governo italiano e il Governo afgano che lei, signor ministro, ha citato non è la verità.
Vi è, infine, l'altra verità, ossia quella di Gino Strada, che dice, in sostanza: sono stato incaricato dal Governo italiano di svolgere le trattative, non solo come intermediario; ho avuto l'incarico da parte del Governo italiano e quindi chiedo, anzi pretendo, che il Governo italiano intervenga contro l'illegittimo governo afgano per ristabilire la verità e per liberare l'intermediario che è stato arrestato dal governo afgano. Questo è il risultato di una gestione poco trasparente, approssimativa, pasticciata, che non può continuare. È per questo motivo che noi abbiamo presentato una proposta di legge, depositata ieri, per chiedere l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta, non su questo fatto, ma su tutti i sequestri di cittadini italiani avvenuti in aree di tensione e di conflitto in territorio straniero dal 1o gennaio 2001. Quindi, non si tratterebbe di un «tribunale» nei confronti del Governo in carica.
MASSIMO D'ALEMA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri. Condivido quest'ipotesi, non sono ad essa contrario! I contrari sono lì, in quei settori (Il ministro D'Alema indica i settori centrali dei banchi dell'opposizione)!
ROBERTO MARONI. Abbiamo adottato, proprio perché tale proposta non fosse interpretata come un'iniziativa volta ad usare strumentalmente la vicenda in esame contro il Governo Prodi, il testo presentato al Senato da un suo collega di partito, ossia dal senatore Massimo Brutti, che ha, appunto, presentato contemporaneamente a me la suddetta proposta. Spero che il Parlamento la approvi rapidamente. Non è un «tribunale», come ho detto, ma uno strumento di informazione del Parlamento, perché è necessario, dopo questa vicenda, che il Parlamento stesso dia a questo Governo ed a tutti i Governi futuri direttive chiare, precise e trasparenti su cosa il Governo possa fare e su cosa non debba fare in presenza di situazioni di crisi come quella che abbiamo vissuto in questi giorni.
Mi auguro davvero, e concludo, che il Parlamento approvi rapidamente questa proposta di legge. Nella prossima riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo - mi rivolgo al Presidente - chiederò che venga immediatamente inserita nel calendario dei lavori. Un'identica iniziativa, lo ripeto, ha preso il Senato. Spero e mi auguro che da questa brutta vicenda possa almeno scaturire un'iniziativa del Parlamento, che è l'organo sovrano della democrazia italiana, per dare al Governo quelle direttive che lo stesso ministro D'Alema ha sollecitato, chiedendole alla Nato ed alle Nazioni Unite.
Io mi accontenterei che fosse il Parlamento italiano a darle, avendo come interlocutore il Governo, per evitare che in futuro possano verificarsi situazioni ed episodi come quello cui, purtroppo, abbiamo assistito in queste settimane (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Donadi. Ne ha facoltà.
MASSIMO DONADI. Signor Vicepresidente del Consiglio, credo che la sua presenza oggi in quest'aula ed il fatto che il Governo abbia ritenuto di accogliere le richieste che venivano dall'opposizione di riferire al Parlamento sulla vicenda del sequestro Mastrogiacomo rappresentino un atto non solo di grande trasparenza politica, ma quasi una forzatura istituzionale. Se vogliamo essere chiari, io credo Pag. 22che il Governo non fosse nemmeno tenuto a venire in questa sede, perché altra e competente era la sede in cui questi chiarimenti avrebbero dovuto essere dati: il Copaco.
Il fatto che si sia ritenuto di venire qui e di svolgere un dibattito pubblico è sicuramente un segno di forza e di grande responsabilità da parte dell'Esecutivo. È senz'altro la dimostrazione che questo Governo non ha nulla da temere, perché ha agito con chiarezza e con grande senso di responsabilità. Da parte nostra viene un ringraziamento serio e sincero al lavoro del Governo, che ha agito mettendo davanti a tutto un grande senso di responsabilità e di spirito umanitario. Ha lavorato per salvare vite umane. Il bilancio, purtroppo, lascia qualche amarezza, ma nessuno non può non riconoscere quale sia la situazione di particolare difficoltà e di particolare tensione che caratterizza oggi lo scenario afghano.
Detto questo, apro una piccola parentesi, uscendo dal discorso che sto facendo, per notare come dai banchi dell'opposizione, dove più volte si è rivendicata e pretesa l'attenzione sia del Governo sia dei gruppi parlamentari, conclusi gli interventi, se ne siano andati tutti. Evidentemente non hanno particolare interesse, se non quello di comunicare al Paese la loro posizione, ma non di sentire le posizioni diverse dalle loro. Credo sia doveroso stigmatizzarlo, ma detto ciò riprendo con la mia esposizione. Non c'è dubbio, l'Esecutivo ha agito salvaguardando un valore, che nel corso dei decenni ha sempre caratterizzato la linea di tutti i nostri Governi, la linea del Paese, la linea dell'Italia: quello di mettere davanti a tutto la vita e la salvezza delle persone.
D'altra parte, bisogna parlarsi con chiarezza. Il ministro lo ha detto in modo inequivoco: i nostri servizi non avevano contatti né canali per aprire una trattativa. Le alternative quindi erano due: o nessuna trattativa oppure una trattativa attraverso Emergency. Io credo che la scelta sia stata giusta e che non ci fossero alternative, proprio sulla base della prassi, dell'azione e delle scelte del nostro Paese.
Quello che invece trovo veramente difficile da comprendere, ma ancor più trovo impossibile da accettare, è il fatto che da parte del centrodestra, nei giorni successivi al rapimento, sia arrivato soltanto ed esclusivamente un fuoco di fila di attacchi e di critiche, che non avevano altra ragione di essere se non quella di uno strabismo, che con un occhio guardava all'Afghanistan, ma con l'altro, molto più attento e presente, guardava sempre e solo alla politica interna. Un'opposizione che ha dato ancora una volta, chiara e forte, la dimostrazione di non avere a cuore, come elemento primario, il valore del senso dello Stato, il valore dell'unità del Paese, il valore di una rappresentanza unitaria del nostro Paese nei confronti del resto del mondo.
Tardive - avrei detto al collega Elio Vito, se non se ne fosse già andato - sono state le resipiscenze del centrodestra; tardiva è stata la presa di posizione di Berlusconi; tardive sono state anche oggi, da parte dello stesso onorevole Vito, le attestazioni di rispetto e di riconoscimento di una coerenza nell'agire del Governo italiano.
Quello che, soprattutto, trovo difficile da accettare - ed è stato ribadito anche oggi, in questa Assemblea - è che, nel momento in cui è in gioco la linea politica di un Paese, la sua chiarezza e la sua autorevolezza di fronte ai propri interlocutori stranieri, tutto ciò che siamo capaci di fare, di dire e di produrre, anche in quest'aula, sono sempre e solo sterili polemiche. Avrei ribadito all'onorevole Fini - se fosse stato presente e se non si fosse già allontanato - che, se in quest'Assemblea, oggi, c'è stata reticenza, tale reticenza è soltanto la sua, perché non si può costruire un dibattito parlamentare sulla base di illazioni giornalistiche: o non sapeva di che cosa stesse parlando oppure, se lo sapeva, avrebbe dovuto spiegarlo a tutti noi. Ne sono risultate soltanto affermazioni strumentali, da parte sua come da parte di tutti gli altri esponenti del centrodestra.
Ancora una volta, noi riconfermiamo al Governo il nostro pieno apprezzamento. È Pag. 23stato fatto tutto quanto si potesse fare. Ci conforta sapere - il ministro degli affari esteri ha già dato indicazioni in tal senso - che il Governo italiano farà qualcosa che noi riteniamo assolutamente fondamentale. Ad oggi, infatti, un mediatore, il collaboratore di Emergency, Hanefi, è trattenuto dal legittimo Governo afgano. Sicuramente, le accuse ci sono e dovranno essere verificate. Tuttavia, credo che da parte del nostro Governo sussista un dovere nei confronti di chi ha aiutato il nostro Paese, in più di una occasione e coinvolgendo direttamente la propria vita e la propria sicurezza. Il Governo italiano, cioè, ha il dovere di chiedere al Governo afgano che, pur nel rispetto delle sue leggi e dell'accertamento della verità, siano eseguite indagini chiare, con garanzie certe, e che tali indagini si concludano il più rapidamente possibile, affinché quella persona, se innocente, possa tornare in libertà e riprendere la propria attività (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Villetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, ministro D'Alema, non c'era e non c'è alcun mistero da svelare attorno al dramma che abbiamo vissuto con il sequestro ed il rilascio del giornalista de la Repubblica, Mastrogiacomo, e con l'uccisione del suo autista e del suo interprete. Se ne è avuta conferma, oggi, con l'informativa prontamente fornita dal ministro degli affari esteri, D'Alema. Osservo soltanto che siamo, forse, l'unico paese nel quale anche le questioni più delicate e degne di rimanere riservate, per ragioni di sicurezza nazionale, sono messe sulla pubblica piazza. Sconsiglio di perseguire questa via con l'istituzione di una commissione d'inchiesta, come suggerito dal collega Maroni, su tutti i sequestri e su tutte le trattative. È assolutamente evidente, dalla ricostruzione meticolosa e scrupolosa compiuta dal ministro degli affari esteri, che c'è stata una trattativa con i rapitori allo scopo evidente di salvare la vita agli ostaggi, a tutti gli ostaggi. Infatti, non si può fare differenza di nazionalità quando è in gioco la vita di una persona. In questi casi, possono essere compiuti alcuni errori e qualche errore non sarà mancato neppure in questa occasione. L'intento, però, è comunque volto ad evitare epiloghi tragici.
In ben altra situazione, in occasione del rapimento e del rilascio di Giuliana Sgrena, morì, come un eroe, Calipari. A nessuno venne in mente di affermare che non erano state adottate le necessarie precauzioni per evitare che si consumasse quella tragedia. Mi ha davvero sorpreso che da parte degli esponenti dell'opposizione non si sia osservata neppure una pausa, per raccogliersi tutti nel dolore dopo l'uccisione dell'interprete, e che si sia sferrato subito un attacco al Governo al limite dello sciacallaggio. Invece, ho apprezzato gli inviti alla moderazione che sono stati rivolti da Berlusconi, il quale ha corretto il tiro e ha gettato acqua sul fuoco.
Mi ha sorpreso, tuttavia, oggi l'intervento dell'onorevole Fini, che ha accusato il Presidente Prodi di aver minacciato il Governo Karzai di ritirare le truppe italiane dall'Afghanistan, se non fossero stati rilasciati i prigionieri richiesti dai talebani. Questa è un'accusa fatta in Parlamento, alla Camera dei deputati. Mi chiedo come si possa pensare che il Governo italiano arrivi ad una simile determinazione, contraddicendo tutto ciò è stato detto pubblicamente, anche in quest'aula. Si tratta soltanto di un clamoroso falso, di cui non deve rispondere il Governo, ma l'allora ministro Fini, che deve personalmente rispondere per le cose che ha detto qui in Parlamento e che non corrispondono alla verità dei fatti.
Mi stupisco molto che, neppure in queste situazioni di emergenza, così delicate, non si riesca a creare una situazione di collaborazione tra maggioranza e opposizione. Dobbiamo recuperare tutto il senso dell'unità nazionale, il che non significa appiattire il confronto e sottacere le critiche. È necessario trovare una misura Pag. 24giusta che riesca a mettere insieme cooperazione nazionale e competizione politica.
Molti sono stati gli aspetti, in questa vicenda, che meritano di essere discussi, così come si fa in un paese democratico. Tra di essi, l'accento è andato soprattutto al ruolo di Emergency e del suo principale animatore. Si può comprendere che, allo scopo di salvare vite umane, si utilizzino i mediatori che si riescono a trovare, i quali possono svolgere questo ruolo. Talvolta, questi mediatori sono molto più imbarazzanti di quello che può essere stato Gino Strada, con le sue posizioni politiche, dalle quali siamo ben distanti.
Può, comunque, capitare che, in organizzazioni umanitarie, si annidino quinte colonne, ma, da qui ad accusare Emergency di essere stata una centrale spionistica dei talebani, ce ne corre! La posizione politica di Strada è ambigua e non condivisibile e può essere stata all'origine dell'ostilità di Karzai, ma a pagare il prezzo del ritiro, speriamo temporaneo, come ha detto il ministro degli esteri, di Emergency dall'Afghanistan sarà soprattutto il popolo afgano, che non avrà più questo importante sostegno umanitario. E lo diciamo con una netta distinzione dalle posizioni politiche che sono state espresse da Strada, che è apparsa, come ha notato il viceministro Intini, una persona esasperata.
La nostra impostazione è nota: noi abbiamo sempre abbracciato, nel caso dei sequestri, una linea umanitaria, come avvenne anche all'interno delle questioni nazionali, nel caso Moro, pur sapendo che tale impostazione comporta dei rischi e delle conseguenze per il futuro. L'abbiamo fatto ogni qualvolta il Governo italiano ha trattato per il rilascio di ostaggi. Questo nostro convincimento nasce dal primato che diamo alla vita umana.
La Camera ha discusso oggi sulla linea di condotta del Governo. Le opposizioni possono avere una diversa visione delle cose e valutare in maniera differente quanto è stato fatto. Tuttavia, dobbiamo evitare una demonizzazione reciproca. Un paese che si divide, in questi momenti così drammatici, dimostra tutta la sua debolezza.
Avere il senso dello Stato significa essere consapevoli di appartenere ad una medesima comunità nazionale e mantenere un atteggiamento responsabile, al di fuori di qualsiasi speculazione politica. È ciò che ci si deve attendere da tutti, Governo ed opposizione, per dimostrare che l'Italia è un paese molto migliore di quanto viene descritto dai nostri detrattori e che gli italiani - e la principale dimostrazione deve darla proprio la Camera dei deputati - non si dividono, ma sono uniti e forti nei momenti di lutto e di dolore.
Ci dispiace veramente che in questa vicenda sia stata scritta una pagina che non è tra le migliori della nostra storia politica e parlamentare. C'è sempre tempo per riflettere - e lo dico rivolto in particolare ai banchi dell'opposizione - e per pensare che qualche volta - questa è sicuramente l'occasione - bisogna essere uniti, perché ad essere uniti non si fa l'interesse di una parte, ma si persegue l'interesse nazionale (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Venier. Ne ha facoltà.
IACOPO VENIER. Signor Presidente, a nome del mio gruppo, voglio ringraziare il Vicepresidente D'Alema per l'importante, argomentata e precisa relazione letta al Parlamento. Come il ministro degli esteri sa, noi non avremmo chiesto, come gruppo parlamentare, questo dibattito, nel mezzo di una vicenda complessa e terribile, che tuttavia deve ancora concludersi con la liberazione di Rahmatullah Hanefi, dirigente di Emergency, oggi prigioniero del Governo Karzai. Non avremmo chiesto questo dibattito, ma non abbiamo alcun timore di affrontarlo, forti delle nostre opinioni e dei fatti, descritti in modo molto dettagliato dal nostro Governo. Quindi, vogliamo approfittare dell'occasione per fare finalmente chiarezza e respinge al mittente lo sciacallaggio tentato dalla destra.Pag. 25
Su quanto accaduto durante e dopo il rapimento, sappiamo ormai tutto. Pertanto, i fatti ci consentono di ricostruire il quadro di ciò che oggi sta accadendo. In Afghanistan c'era un giornalista italiano coraggioso, che voleva documentare direttamente ciò che gli altri descrivono basandosi solo sulle fonti militari. Mastrogiacomo è stato rapito - come è accaduto a tanti altri, da Baldoni a Giuliana Sgrena - per impedire alla stampa indipendente di poter documentare la realtà sul campo e di fornire a tutti noi le informazioni necessarie per poter formare la nostra libera opinione. È evidente ormai che sia i talebani che il Governo Karzai vedono come fumo negli occhi la presenza di giornalisti che potrebbero documentare gli errori, ma anche gli orrori e le bugie che ognuno di loro sparge a pieni mani.
Questa vicenda ci ricorda però anche che, oltre ai combattenti, in Afghanistan ci sono persone che vogliono una vita normale, che vogliono fare gli autisti, gli interpreti, i giornalisti, i dirigenti di ospedale. Queste persone, gli afgani, sono oggi i veri ostaggi di una guerra importata e sporca, dove è molto difficile capire il vero confine tra amici e nemici.
In Afghanistan c'era però anche una struttura umanitaria. C'era, perché purtroppo le decisioni degli ultimi giorni sono state quelle di dover abbandonare quel paese. Si tratta di una struttura umanitaria, un'organizzazione non governativa, al punto di rifiutare per principio i soldi e la protezione del suo stesso paese, l'Italia. Emergency stava in Afghanistan da ben prima della caduta del governo del mullah Omar ed era là perché, prima che Bush e soci accendessero i riflettori su questo paese, aveva capito che gli afgani avevano un disperato bisogno di aiuto. Emergency non cura combattenti e non guarda al colore dei turbanti o della pelle; non chiede ai bambini, esplosi sulle mine, a quale tribù appartengano. Emergency cura uomini e donne che non hanno nulla. Per questo Emergency è stata ed è un vero canale umanitario, il solo che poteva garantire la piena neutralità e quindi la possibilità di salvare gli ostaggi.
Il nostro Governo ha fatto bene, quindi, a chiedere a Gino Strada di attivarsi per la liberazione di Mastrogiacomo e lo ha fatto con il consenso di tutte le forze politiche e parlamentari, con l'accordo del Governo Karzai che ha consentito la liberazione di alcuni detenuti.
Abbiamo fatto benissimo, invece, a rifiutare l'idea di un'azione militare e non solo per l'incolumità degli ostaggi. L'azione militare sarebbe stata assurda, dal momento che l'Italia dichiara di essere in Afghanistan non per guerra, ma per pace.
Dopo il successo straordinario della liberazione di Mastrogiacomo si sono però verificati fatti gravissimi che oggi dobbiamo affrontare. Subito dopo la liberazione di Mastrogiacomo, il Governo Karzai prendeva il suo ostaggio, catturando senza accuse e senza garanzie Hanefi. Poche ore dopo, il Governo degli Stati Uniti attaccava l'Italia, usando questa volta modi apparentemente meno cruenti di quelli utilizzati in occasione della liberazione di Giuliana Sgrena. I talebani poi uccidevano barbaramente l'interprete di Mastrogiacomo, dopo averne già decapitato il suo autista.
Queste terribili uccisioni sotto i riflettori sono un messaggio chiaro e terroristico agli afgani ed a tutto il mondo. Nessuno deve farsi intimidire, ma tutti dobbiamo cercare i mezzi efficaci per sconfiggere questi talebani e tra i mezzi efficaci non vi è certo la guerra, dato che sei anni di occupazione e combattimenti non hanno risolto nulla, tranne che restituire agli occhi di una parte non marginale del popolo afgano legittimità a questi assassini. Il cosiddetto Governo legittimo, infine, diretto da un ex funzionario delle multinazionali, ha immediatamente sventolato come una bandiera, sotto le pressioni degli Usa, tentando di scaricare sull'Italia le responsabilità che Karzai si era autonomamente preso.
Se Karzai vuol essere un presidente autorevole, deve assumersi le proprie responsabilità personali e quelle delle strutture che controlla. E Karzai deve rispondere all'Italia delle gravissime dichiarazioni del capo dei cosiddetti servizi di Pag. 26sicurezza afgani che si è permesso addirittura di accusare Emergency di essere al soldo di terroristi.
Purtroppo, con buona pace del sottosegretario Vernetti che farebbe meglio a sentire cosa ne pensa il suo ministro prima di parlare, Karzai non è il presidente di un paese, ma, al massimo, il capo di una piccola tribù e noi ci chiediamo con sempre maggiore angoscia perché i nostri soldati dovrebbero rischiare di morire per Karzai.
Signor Presidente, noi Comunisti Italiani chiediamo poche, ma chiare cose al nostro Governo. La prima è di fare di tutto per ottenere l'immediata scarcerazione del dirigente di Emergency, catturato dal Governo Karzai. Noi siamo in Afghanistan per contribuire a realizzare un sistema giudiziario - dovremo ricordarcelo - e dovremmo forse spiegare con maggiore determinazione al Governo afgano che la detenzione senza accuse e la tortura non sono proprio le caratteristiche di uno Stato di diritto. Dobbiamo ottenere la liberazione di Hanefi, perché ha fatto da mediatore per conto anche del nostro Governo e per questo motivo deve essere tutelato nella sua azione.
La seconda cosa che chiediamo al Governo è di protestare duramente con il Governo Karzai per le infamanti accuse rivolte ad Emergency; folli accuse che hanno provocato il ritiro di Emergency dall'Afghanistan. Far rimanere Emergency in Afghanistan è un obiettivo fondamentale, dato che questa organizzazione è una delle pochissime strutture di cooperazione di aiuto presenti, ad ulteriore dimostrazione dell'inutilità dell'intervento militare.
La terza cosa che chiediamo al nostro Governo è di non cadere nell'illusione che, per garantire la sicurezza dei nostri soldati, servano più armi, più mezzi e più libertà di sparare. In Iraq gli americani hanno tutte le armi del mondo, ma non riescono ad uscire dal pantano.
Ai nostri militari, al nostro paese, ai nostri straordinari operatori umanitari servirebbe il ritiro immediato delle truppe.
Lavoriamo per questo e per questo chiediamo al Governo uno sforzo straordinario per ottenere la conferenza di pace, la fine dell'illusione militarista ed un approccio multilaterale che chiuda con la missione NATO e riconsegni davvero la questione in sede ONU (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata De Zulueta. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Desidero innanzitutto ringraziare il signor Vicepresidente del Consiglio dei ministri, onorevole D'Alema, per la sua dettagliata esposizione, che è stata un vero sforzo di trasparenza e di lealtà nei confronti del Parlamento. Ricordo però, a tutti noi, che la crisi che è iniziata con il sequestro di Daniele Mastrogiacomo e dei due suoi collaboratori e drammaticamente continuata con la morte di questi ultimi non è ancora conclusa. Lo dimostra la decisione presa l'altro ieri di Emergency di ritirare tutti i suoi operatori stranieri dall'Afghanistan. Questa decisione è un colpo durissimo per la popolazione afgana; si calcola che un milione e mezzo di afgani abbiano beneficiato delle cure gratuite offerte dagli operatori di Emergency in situazioni dove non sono presenti altre strutture sanitarie. Tale decisione è il risultato di pressioni inaccettabili di cui essi sono stati oggetto.
In un momento molto delicato per il nostro paese, che il signor Vicepresidente del Consiglio dei ministri ci ha descritto, ci saremmo aspettati un linguaggio misurato da parte di tutti e volto a quell'unità che lo stesso Vicepresidente D'Alema ha invocato. Mi hanno pertanto spiacevolmente sorpreso le accuse, assolutamente infondate e sicuramente indimostrabili, rivolte dall'onorevole Fini in questa sede. È necessaria da parte di tutti assoluta lealtà anche nei confronti di quelli che ci hanno aiutato, in particolar modo gli operatori di Emergency.
Dopo il sequestro, il Governo in questa sede ha ricevuto un mandato unanime da tutte le forze politiche di fare tutto il necessario affinché Daniele Mastrogiacomo potesse tornare vivo. Mi sembra, pertanto, davvero strano che ora al suo Pag. 27operato si muovano critiche, che trovo un po' speciose. Data l'enorme pericolosità della situazione in Afghanistan, che il signor Vicepresidente del Consiglio dei ministri ci ha illustrato e che è stata drammaticamente mostrata anche da un video mandato in onda su RAI 1 l'altra sera, il fatto che Daniele Mastrogiacomo sia ritornato vivo è da considerarsi quasi un miracolo, sebbene il prezzo pagato sia stato alto, troppo alto: erano partiti in tre, ma uno solo è ritornato! A questo proposito, desidero ringraziare il Presidente della Camera, onorevole Bertinotti, per il minuto di silenzio che ci ha invitato ad osservare in onore di queste due vittime innocenti.
La crisi ha provocato difficoltà - lo sappiamo - sia per il nostro Governo sia anche per quello afgano. C'è poi questo capitolo tuttora drammaticamente aperto: la scomparsa, all'inizio misteriosa perché non si sapeva dove si trovasse, di Rahmatullah Hanefi, direttore dell'ospedale di Emergency a Lashkargah.
Ricordo - nessuno ne ha parlato - che in Afghanistan vi sono ancora dei sequestri in corso. Faccio riferimento agli operatori sanitari francesi (tuttora nelle mani dei sequestratori) sequestrati nella zona sotto comando italiano, di cui non sappiamo nulla.
In questa situazione, ritengo opportuno che si faccia chiarezza su due aspetti. Il primo di essi riguarda Emergency. Considero infelice, se non irresponsabile, sostenere oggi che scegliere loro come canale di intermediazione sia stata una scelta sbagliata. È stato scelto un canale umanitario, l'unico presente in quella zona del paese. Faccio osservare, infatti, che la Croce rossa internazionale dovette ritirarsi dal sud dell'Afghanistan e non è potuta ancora ritornarvi. Non solo, ma Emergency osserva con grande attenzione un codice di assoluta neutralità, quello delle organizzazioni umanitarie impegnate in zone di guerra e di tutte le ONG. Parlare di ambiguità è assolutamente fuori luogo: quelle regole sono le stesse di quelle della Croce rossa.
Pertanto, sono contenta che il ministro D'Alema abbia ringraziato Emergency. Tuttavia, io credo che dobbiamo fare di più, e il di più è sperare che Emergency possa tornare in Afghanistan. Innanzitutto, dobbiamo chiedere al Governo afgano di ritirare quella infamante accusa rivolta a Emergency dal direttore dei servizi di sicurezza Amrullah Saleh. Io credo che ciò necessiti di un passo diplomatico preciso, una protesta, ma soprattutto la richiesta di un chiarimento. Per quanto riguarda Hanifi, sappiamo dal Governo italiano che fu quello ad interessarsi della vicenda e non il contrario; non ci fu volontà di protagonismo da parte di quella organizzazione.
Dice la signora Teresa Strada, presidente di Emergency, che Hanefi non voleva, ma lo fece proprio per salvare una vita italiana. Il ministro ci ha detto oggi che Hanefi è accusato dalle autorità del suo paese di reati. Io voglio ricordare a quest'Assemblea che qualunque cosa Hanefi abbia fatto in questi frangenti, lo ha fatto per una precisa richiesta del nostro Governo. Gino Strada lo ha chiarito: lui fu un tramite, cioè portò avanti e indietro le richieste delle rispettive parti. Pertanto, noi abbiamo una precisa responsabilità: avendo egli salvato la vita di un italiano, noi italiani dobbiamo far sì che Hanefi sia liberato. Io credo che non sia sufficiente un interessamento umanitario per seguire le vicende di Hanefi. Possiamo e dobbiamo fare di più: dobbiamo chiedere la sua liberazione!
Due parole sui giornalisti, una categoria di cui ho fatto parte per diversi anni. La loro presenza in Afghanistan è preziosa: sono i nostri occhi, sono i testimoni e i controllori dell'azione svolta anche dalla comunità internazionale, oltre che dal Governo afgano. Tuttavia, io credo che la richiesta di maggiore responsabilità, o almeno di una riflessione, debba essere accolta anche dagli stessi giornalisti, nella sede appropriata. Poi, dobbiamo anche pensare di aiutare i giornalisti afgani: di quella categoria faceva parte anche il giornalista Adjmal.
So che è stato creata, su iniziativa della corrispondente della RAI, una fondazione Pag. 28in sua memoria. Badate, fare il giornalista in Afghanistan è estremamente pericoloso e non solo per le minacce poste dai talebani. Sono ancora in atto politiche di censura che, forse, non corrispondono ad uno Stato di diritto.
Ricordo anche che la vicenda di Hanefi è un banco di prova per noi, che siamo in prima linea nella collaborazione. Su questo, abbiamo impegnato 50 milioni di euro. Hanefi ha diritto di essere trattato secondo i canoni della legge. Noi siamo i consulenti del Governo afghano su questo punto e dobbiamo essere sicuri che quello che succede a quella persona sia veramente degno di uno Stato di diritto. Ne va della nostra credibilità (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi, L'Ulivo e Popolari-Udeur)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Rocco Pignataro. Ne ha facoltà.
ROCCO PIGNATARO. Signor Presidente, signor ministro, colleghi deputati, nel Talmud, il testo sacro ebraico, è scritto: «Chi salva una vita, salva il mondo intero». Il senso di questa frase è pienamente condivisibile soprattutto quando la vita in pericolo è quella di un connazionale, un giornalista che, da una terra lontana e martoriata come l'Afghanistan, compie il suo lavoro di cronista alla ricerca della verità, benchè sia vero il fatto che sarebbe stata necessaria un poco più di prudenza e di attenzione in considerazione dei rischi che si corrono in prima persona e che si fanno correre al proprio Paese.
Signor ministro, la sua relazione, che ci soddisfa in pieno, è apprezzabile per la chiarezza, la precisione e la trasparenza dei contenuti e per la lealtà con la quale lei onora questa Camera.
L'opera di strumentalizzazione di alcune forze politiche dell'opposizione è veramente censurabile, soprattutto quando si tenta di coinvolgere l'operato del Governo nei tristi ed inaccettabili assassinii dell'interprete afgano e dell'autista di Mastrogiacomo. In un momento così delicato, il dovere dell'opposizione avrebbe dovuto essere quello di non alimentare polemiche, di non mettere in difficoltà il Governo, ponendo al primo posto le ragioni umanitarie e, insieme, il prestigio ed il buon nome dell'Italia. Le polemiche a posteriori sono sempre strumentali e prive di costrutto, anzi dannose; in questo caso, potrebbero essere un boomerang per chi le ha alimentate. A tale proposito, per onestà intellettuale, dobbiamo apprezzare l'intervento del Presidente Berlusconi, il quale, alcuni giorni fa, ha invitato i suoi alleati ad abbassare i toni della polemica.
Il lavoro di alta diplomazia svolto dal Presidente Prodi e dalla sua persona, signor ministro, è lodevole e non presenta lati oscuri. Il successo dell'operazione, almeno per quanto riguarda la liberazione del giornalista, richiesta a gran voce e ad ogni costo, in quei momenti concitati, sia da tutte le forze politiche sia dall'opinione pubblica, è il frutto della credibilità di questo Esecutivo e della sua capacità di incidere sulle decisioni di un Governo amico quale quello presieduto dal Premier Kharzai. Ci dispiace per chi sperava di cogliere in fallo questo Governo: ciò non è accaduto e non accadrà e la liberazione di Daniele Mastrogiacomo, come quella di Gabriele Torsello, rimangono esempi di efficienza diplomatica dell'Esecutivo in carica in uno scenario complesso come quello afgano. L'opposizione, dunque, ha perso una buona occasione per distinguersi in termini positivi e per dimostrare senso di responsabilità, di coesione e di maturità. Il modus operandi dei nostri Governi in zone di guerra, sia stato Premier Berlusconi o Prodi, è sempre stato finalizzato ad ottenere la liberazione degli ostaggi, a salvare una vita, prima di tutto. Quindi, si è sempre scelta la strada umanitaria della trattativa. Dunque, siamo indignati e contestiamo le dichiarazioni rese da alcuni esponenti dell'opposizione, a partire da quelli vicini all'ex ministro Fini, fino ad arrivare a quelle con le quali è stato addirittura chiesto l'impeachment del Presidente Prodi.
Ricordo a noi tutti che, durante il Governo Berlusconi, in situazioni analoghe in cui erano a rischio vite umane di connazionali, il centrosinistra ha sempre Pag. 29dimostrato spirito di collaborazione e di solidarietà nelle scelte e nelle decisioni prese, sebbene i dettagli ed i particolari di alcune operazioni di liberazione siano stati di sicuro meno trasparenti. Ad ogni modo, mai il centrosinistra ha strumentalizzato tali situazioni, anche quando, come nel caso del rilascio di Giuliana Sgrena, è stato ucciso, ad opera degli alleati americani, un eroico servitore dello Stato italiano come Nicola Calipari.
Ben venga, allora, per porre fine a polemiche strumentali e pretestuose, l'istituzione, come lei ha proposto, signor ministro, di una Commissione d'inchiesta su tutti i sequestri avvenuti in Afghanistan ed in Iraq, di un organismo parlamentare che verifichi tutte le procedure seguite nei rapimenti che, dal 2001 ad oggi, gli italiani hanno dovuto affrontare: penso al rapimento, in Iraq, di Salvatore Stefio, Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Fabrizio Quattrocchi, che vide quest'ultimo trucidato barbaramente; penso al sequestro, sempre in Iraq, del giornalista Enzo Baldoni, anche lui ucciso nonostante la trattativa condotta dal Governo Berlusconi e dal commissario della Croce rossa, Maurizio Scelli; ancora, penso, infine, ai sequestri di Simona Pari e Simona Torretta, quando fu la Croce rossa, non lo Stato, ad intervenire, di Clementina Cantoni, di Giuliana Sgrena e di Gabriele Torsello. In tutti questi casi, l'obiettivo delle trattative è stato lo stesso: fare di tutto pur di salvare la vita di un nostro connazionale.
Per questo - lo ribadisco - le polemiche a posteriori sono inutili, come inutile è la pretesa, insistente e strumentale, che il Governo venga a riferire alla Camera, pretesa che non è stata esercitata dalle opposizioni parlamentari in altri paesi nostri alleati alle prese con casi analoghi.
Anche le accuse giunte all'indomani dell'uccisione del povero interprete di Mastrogiacomo - evento incontrollabile da parte del Governo italiano e indipendente rispetto alle condizioni del negoziato per il rilascio del giornalista - evidenziano la debolezza e la fragilità degli argomenti di critica dell'opposizione, visto che se il Governo italiano avesse condotto un negoziato indipendente per il rilascio dell'interprete avrebbe compiuto, a nostro parere, una ingerenza nella sovranità del governo afgano.
Altrettanto inutile è gettare ombre sulla figura di Gino Strada e di una organizzazione non governativa come quella di Emergency, che ha svolto fino ad ora un'opera meritoria in tutte le parti del mondo dove si soffre.
Nel caso della liberazione di Mastrogiacomo il ruolo di Gino Strada e dei suoi collaboratori è stato fondamentale, anche grazie alla sua conoscenza profonda del territorio e dei costumi del popolo afghano. Noi però contestiamo Emergency quando ritiene che il nostro Governo sia corresponsabile del mancato rilascio del loro collaboratore, perché la liberazione di un cittadino afghano, arrestato ad opera dei servizi segreti afghani, non è una decisione che è nelle disponibilità del Governo italiano. Possiamo solo auspicare che venga fatto tutto il possibile affinché ciò avvenga.
Noi Popolari-Udeur vogliamo chiedere oggi che in futuro, nella malaugurata ipotesi di rapimenti di nostri connazionali, le trattative per la liberazione degli ostaggi siano condotte esclusivamente dai servizi segreti, per non prestare il fianco ad equivoci spiacevoli e per non creare successivi protagonismi dannosi per l'immagine e la credibilità del nostro Paese. Non dimentichiamoci le drammatiche immagini mandate in onda dal TG1 sulla morte dell'autista di Mastrogiacomo e del grave allarme lanciato dai nostri servizi segreti sulle possibili minacce di attentati alle nostre truppe, specialmente in Afghanistan e in Libano.
Quindi, in futuro - lo ribadiamo -, bisognerà affidarsi al lavoro dell'intelligence che ha sempre dato ottima prova di sé e, ancora meglio, se, come da lei suggerito, signor ministro, ci sarà sintonia con l'ONU per stabilire comportamenti e codici comuni a livello internazionale.
Alla luce di quanto oggi lei ci ha riferito, signor ministro, dobbiamo essere tutti solidali ed evidenziare proprio in queste occasioni collaborazione e unità Pag. 30di intenti, anche perché la politica estera coinvolge gli interessi di tutto il Paese e non di un solo schieramento politico. In occasioni future - e speriamo che non ve ne siano - non dovremo farci cogliere indeboliti e divisi, ma coesi e determinati.
Concludo con un appello, affinché in questo Parlamento in politica estera sull'etica del convincimento, quell'etica che differenzia gli schieramenti politici e fisiologicamente ne alimenta le contrapposizioni, prevalga l'etica della responsabilità, che ci ricorda che siamo il Parlamento italiano che ha deciso di assumersi le responsabilità d'intervento per favorire la pace nello scenario internazionale; etica della responsabilità che ci ricorda che siamo il Parlamento di una grande democrazia e di un grande Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Popolari-Udeur, L'Ulivo e Rifondazione Comunista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, onorevole ministro degli esteri, onorevoli colleghi, a parlare troppo, talvolta, si finisce per combinare dei pasticci e lei, signor ministro, oggi ha parlato troppo ed è troppo intelligente per credere veramente a quello che ci ha raccontato.
Certo, l'eccessiva enfasi con cui il Presidente Prodi e lei, signor ministro degli esteri, hanno voluto, da un lato, festeggiare il successo della liberazione del giornalista de la Repubblica e, dall'altro, enfatizzare l'accoglienza non ostile ricevuta da Washington ha finito per provocare la reazione di sbugiardamento di tutti i governi impegnati nella missione afgana e tutti, in modo più o meno diretto, hanno dichiarato che non vi è alcuna armonia con questo Governo italiano riguardo ad una questione centrale, quale è quella della lotta contro il terrorismo.
Va detto subito che la questione del riscatto politico (e non) pagato per il giornalista de la Repubblica è estremamente incresciosa per una serie di motivi: innanzitutto, perché si è delegato ad una organizzazione privata di gestire in proprio e in esclusiva l'intera operazione, con un pasticcio incredibile che ha spento tutti i toni trionfalistici della prima ora. Sotto questo profilo, la nostra simpatia va tutta alla posizione del silenzioso dissenso assunta da subito dal ministro della difesa, Parisi.
In secondo luogo, abbiamo dimostrato non solo che i nostri soldati non sono in grado di controllare e gestire la missione della lotta contro il terrorismo con tutta la loro capacità professionale e logistica, ma addirittura che i nostri alleati rischiano, combattono e prendono prigionieri che poi gli italiani, che non possono combattere e che non possono nemmeno prendere prigionieri, liberano per avere indietro il proprio giornalista.
Per quanto riguarda la domanda: «allora, dovevamo o no salvare una vita italiana?», dovrebbe essere chiaro a quest'Assemblea che il tema in discussione non è centrato sulla sacralità della vita umana e sul dovere che lo Stato ha di difenderla.
Noi socialisti siamo i primi ad essere consapevoli che una delle priorità fondamentali e più definite dell'essere umano è la vita. L'uomo è homo vivens: egli è umano finché è vivo. Ogni aspetto della vita è caratterizzato dall'incessante idea della salvezza, della conservazione della vita: si lotta, si mangia, ci si riposa, si pratica sport, si lavora, si prega per la vita, non solo la nostra, ma anche quella di altri che magari lavorano per noi; e questa è un'altra nota dolens.
Hominum causa omne ius constitutum est: tutto il diritto è stato fatto per essere al servizio dell'uomo. Esiste, quindi, una verità sull'uomo e sul valore della sua vita che si pone al di là delle barriere di lingue e culture diverse e che rappresenta il fondamento di qualsiasi Stato che voglia dirsi laico e civile.
Naturalmente, ho ribadito questi aspetti per un semplice motivo, ossia perché oggi non sono in discussione i principi che appartengono alle radici della nostra civiltà, ma i metodi con cui, nella Pag. 31vicenda di Mastrogiacomo o, meglio ancora, di Ezio Mauro, direttore de la Repubblica, il Governo ha cercato di affermare questi principi.
Quindi, termini come «sciacallaggio» o espressioni come «noi siamo per salvare la vita umana» e tante altre usate dalla maggioranza che sostiene la parte avuta dal Governo, in realtà, lasciano il tempo che trovano. Sono ovvietà mediatiche, non impressionano nessuno, non convincono gli italiani e, soprattutto, eludono i veri quesiti: il metodo usato in questa vicenda è stato quello giusto? Le conseguenze sono o non sono state politicamente corrette? E, soprattutto, non si sono lesi i diritti di altre vite?
In questa vicenda ci sono due cadaveri di troppo e non è possibile tacere ed occultare. Li abbiamo abbandonati per strada, come si fa con i cani quando pensiamo che non possono più servirci adeguatamente. Ce li siamo dimenticati per un dilettantismo in mezzo alla polvere, perché «adesso vi faccio vedere come si salva un italiano».
Sarà un caso, ma Emergency per cinque anni si è inserita senza problemi in mezzo mondo, Afghanistan e Iraq compresi, con la discreta e attenta protezione degli uomini del SISMI e del generale Pollari. Poi, grazie ai magistrati della procura di Milano - iattura per l'Italia e gli italiani! - il generale è stato coinvolto con grave danno per l'interesse nazionale. Sono parole della stessa Avvocatura dello Stato nel fantomatico caso Abu Omar: questa è veramente una vergogna! Da quel momento la situazione sul campo è precipitata tra diffidenze e sospetti degli alleati e dei loro servizi.
Non giudico i meriti umanitari di Strada, che sono grandi, e riconosco la difficoltà ambigua di vivere in certe aree di confine tra bene e male. Ma, certo, è un dilettante per quello che riguarda il grande gioco dell'intelligence.
Sia chiaro: sappiamo benissimo per esperienze già provate in passato con il Governo Berlusconi (si veda la morte di Calipari e di Quattrocchi) che certe situazioni sono maledettamente complicate. Trattò Berlusconi ed ha trattato Prodi: quella di trattare è, del resto, una scelta italiana, un sentimento che nasce dal senso comune della nostra gente che spesso non riflette mai sulle conseguenze future. Ovviamente - e mi rivolgo all'onorevole Mattarella, che ha svolto il suo intervento con 29 anni di ritardo - su Aldo Moro non si è voluto trattare. Bloccare i beni dei rapiti in Italia va bene; pagare con i soldi pubblici per i giornalisti rapiti in luoghi dove chi vi si reca lo fa a suo rischio e pericolo va altrettanto bene.
Soffermiamoci un attimo sul mediatore di Emergency, Rahmatullah Hanefi: egli sarebbe ritenuto un complice dei talebani, addirittura accusato di aver venduto Mastrogiacomo ai talebani. La domanda ovvia è la seguente: il giornalista Mastrogiacomo e il suo direttore Ezio Mauro quale grado di conoscenza e di informazione avevano su quel maledetto scoop giornalistico mondiale che dovevano fare nell'Afghanistan del sud? Ci devono dire la verità e, allora, capiremo perché l'interprete e l'autista sono stati sgozzati e cinque terroristi liberati, perché forse è stato pagato il riscatto e perché il giornalista de la Repubblica - se Dio vuole! - è stato rilasciato illeso.
Soprattutto, Ezio Mauro ci deve raccontare come, e su sollecitazione di chi, Mastrogiacomo e, in generale, il giornale la Repubblica siano stati indotti a ritenere di essere in grado di ottenere uno scoop giornalistico di valore mondiale e di grande ritorno economico in modo da rappresentare forse, senza ovviamente volerlo, la merce di scambio per la liberazione di assai ambiti prigionieri talebani in mani afgane.
Lo spirito, invocato da Berlusconi, di avere a cuore l'amore e l'onore dell'Italia è responsabile e saggio; tuttavia, è certo che Berlusconi, quando era Presidente del Consiglio, ebbe, per così dire, dalla sua il grande apporto del SISMI e di Pollari, una rete di donne e uomini di valore riconosciuta all'estero e da tutti gli alleati.
Con Prodi e con lei, signor ministro degli affari esteri, l'Italia ha perso prestigio Pag. 32internazionale; quanta nostalgia abbiamo, noi socialisti, di Bettino Craxi Presidente del Consiglio e di Gianni De Michelis ministro degli affari esteri! Sicuramente, l'avrebbero giocata meglio, questa partita!
La trattativa è stata influenzata e demandata a Strada e a tutto un sotterraneo movimento estremista che ha, di fatto, indebolito le nostre legittime istituzioni e la nostra credibilità estera, la nostra intelligence. Si è avuto un duro confronto con l'alleato principale, gli Stati Uniti, vi sono state tensioni con la Merkel in Germania, e ora anche con i francesi, a loro volta coinvolti nella terribile guerra dei rapimenti. Un disastro su tutta la linea, di cui il Governo dovrà dare conto.
Basta guardare le immagini del servizio presentato dal TG1 - di cui, tanto per cambiare, il ministro degli affari esteri non sapeva niente: non sa mai niente, niente su Karzai; quando poi sa, viene contraddetto entro un'ora, come nel caso della Rice - per capire una volta per tutte che l'idea di Fassino di far sedere al tavolo della pace questa gente era davvero una colossale sciocchezza!
Abbiamo la sensazione che Prodi sia una sorta di Tom Hanks, l'attore ingabbiato nel suo terminal senza potersi allontanare, prigioniero cioè della propria politica interna dalla quale non può e non riesce proprio ad uscire.
Del resto, la stesso Karzai ha scritto l'epitaffio della politica estera di questo Governo; mai più trattative con i talebani: è stata fatta una eccezione per Prodi e per salvare il suo Governo; non accadrà più.
Prodi è inaccettabile come capo di un Governo che rischia di perdere ogni giorno di più la sua credibilità politica ed internazionale in balia di eventi più grandi di lui...
PRESIDENTE. Deve concludere...
LUCIO BARANI. ...che non è in grado di gestire se non con sotterfugi, crogiolandosi nei meandri infiniti della propria demagogia e costantemente sull'orlo del pasticcio politico. Essere presi per i fondelli non piace a nessuno, tanto meno agli alleati.
In conclusione, stando ai fatti, è ancora più paradossale che siamo nelle mani di Gino Strada dopo che il Governo ha messo fuori uso...
PRESIDENTE. Deve concludere...
LUCIO BARANI. ...i nostri servizi segreti. In pratica - ho concluso, signor Presidente -, a questo punto sarebbe davvero opportuno riflettere sul senso della nostra missione in Afghanistan per non rischiare alla fine di diventare complici di una pagliacciata che sta durando anche troppo (Applausi dei deputati dei gruppi DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI e Misto-Repubblicani, Liberali, Riformatori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Nucara. Ne ha facoltà, per tre minuti.
FRANCESCO NUCARA. Signor Presidente, signor ministro, siamo tutti consapevoli della necessità di salvare le vite umane quando è possibile e tutti avvertono il bisogno di mostrare un'alta coesione nazionale di fronte alla minaccia del terrorismo. Ma, a volte, abbiamo il dubbio che nella maggioranza non si comprenda a fondo, da parte di tutti i suoi esponenti, quale sia davvero la posta in gioco in frangenti tanto drammatici e che altresì non si comprenda come, se abbiamo salvato la vita di Mastrogiacomo - e ne siamo felici! -, non possiamo tuttavia salvare la vita del suo interprete, del suo autista e di altri cittadini afgani che il terrorismo talebano continuerà a colpire finché non sarà estinto.
Per quanto riguarda le modalità della liberazione del giornalista Mastrogiacomo, riteniamo indispensabile che il paese sappia quale sia l'insieme delle condizioni che i talebani hanno posto per il rilascio del giornalista italiano in quanto, sulla base della seguente dichiarazione resa dal rappresentante del Governo alla Camera all'indomani della liberazione: «noi abbiamo Pag. 33adempiuto a tutte le condizioni dei talebani», viene da pensare che tra le condizioni non ci fosse, certo, solo quella della liberazione dei prigionieri talebani. Ci chiediamo quali fossero, allora, tutte le condizioni per il rilascio di Mastrogiacomo e se fra queste ve ne fosse anche una relativa alla richiesta di un riconoscimento politico: la proposta di un'eventuale futura iniziativa di pace rivolta al gruppo fondamentalista in questione.
Dobbiamo dire che, per un partito forgiatosi nell'antifascismo, signor Presidente, onorevoli colleghi della sinistra, non si può istituire una Conferenza di pace con i talebani; con i talebani si istituisce un processo di Norimberga.
L'onorevole D'Alema ha detto che la decisione di liberare i talebani è stata una decisione autonoma del Governo Karzai e che il Governo italiano non ha avuto contatti diretti con i talebani. Sulla base delle dichiarazioni rese dallo stesso Karzai dovremmo credere invece che non sia andata affatto così e, cioè, che, al contrario di quanto affermato dall'onorevole D'Alema, le pressioni del Governo italiano siano state tali da indurre il Governo afgano a liberare i prigionieri talebani, perché come Karzai ha appunto dichiarato venerdì scorso, se il Governo afgano fosse stato davvero autonomo nelle sue decisioni, consapevole dei rischi a cui si sarebbe esposto, mai avrebbe liberato i prigionieri talebani. Se sostenere la tesi di un collegamento tra Emergency e i talebani è un madornale errore del Governo afgano, la decisione del Governo italiano di appoggiarsi ad una struttura come Emergency è stata peggiore di questo madornale errore.
Signor Presidente, concludo cogliendo l'occasione di questo dibattito per ricordare alla Camera dei deputati che Israele non è un luogo dello spirito, ma una democrazia reale in una regione dominata da dittature e fondamentalismi (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Repubblicani, Liberali, Riformatori e DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI).
PRESIDENTE. È così esaurita l'informativa urgente del Governo.
Sospendo la seduta fino alle 14,30.
La seduta, sospesa alle 14,15, è ripresa alle 14,30.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati già in missione sono trentaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Svolgimento di interpellanze urgenti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Iniziative conseguenti alla dichiarazione conclusiva dell'Assemblea generale della Pontificia accademia per la vita svoltasi nel mese di marzo 2007 - n. 2-00434)
PRESIDENTE. La deputata Poretti ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00434 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
DONATELLA PORETTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, tengo a ricordare come, lo scorso 17 marzo, sia stata resa nota la dichiarazione conclusiva dell'Assemblea generale della Pontificia accademia per la vita. Successivamente, organi di stampa hanno pubblicato l'appello delle gerarchie ecclesiastiche, nel quale si invitava al «doveroso esercizio» di una «coraggiosa obiezione di coscienza i medici, infermieri, farmacisti e personale amministrativo, giudici e parlamentari, ed Pag. 34altre figure professionali direttamente coinvolte nella tutela della vita umana individuale, laddove le norme legislative prevedessero azioni che la mettono in pericolo».
Tali pubbliche dichiarazioni potrebbero integrare il reato previsto e punito dal codice penale all'articolo 414, in quanto istigazione alla commissione di uno o più reati e, in particolare, quello previsto e punito dall'articolo 328 dello stesso codice (rifiuto e omissione d'atti d'ufficio).
L'istigazione pare tanto più grave in quanto è rivolta ad una categoria di pubblici ufficiali e funzionari quali i magistrati, soggetti, per il dettato dell'articolo 101 della Costituzione, esclusivamente alla legge.
La Corte costituzionale, del resto, ha chiarito, in più occasioni, che l'obiezione di coscienza dei giudici è in netto contrasto con la tutela dell'ordine giuridico. Pare evidente che una disobbedienza civile degli organi dello Stato, deputati proprio a far rispettare quella legge a cui disobbediscono, si tradurrebbe nella morte dello Stato di diritto e della legalità.
Ciò considerato anche che invitare i magistrati a disapplicare la legge italiana quando in contrasto con i principi della fede cattolica, così come affermato dallo Stato del Vaticano, costituisce una violazione del Concordato lateranense fra la Repubblica italiana e la Chiesa cattolica (legge 20 marzo 1985, n. 121) e, in particolare, proprio del suo primo articolo, il quale recita: «La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del paese».
Con tali esortazioni - quelle formulate, per l'appunto, dalla Pontificia accademia per la vita -, lo Stato del Vaticano non ha semplicemente espresso un'opinione su norme che non condivide (cosa assolutamente legittima), ma si è adoperato affinché la legge - e, quindi, «l'ordine» prima richiamato nel Concordato - della Repubblica italiana fosse trasgredita. Tutt'altro che un esempio di quel «pieno rispetto» per l'ordine, l'indipendenza e la sovranità dell'Italia previsto dal citato Concordato!
Tali dichiarazioni costituirebbero, anche in assenza di un patto concordatario, una grave offesa alla sovranità dello Stato italiano. Se ad invitare i magistrati italiani a non applicare la legge fosse stato un qualsivoglia altro paese, si sarebbe immediatamente aperta una grave e duratura crisi diplomatica.
Ebbene, chiedo se, a fronte di quella che si palesa come una chiara ed evidente violazione del Concordato, il Governo italiano non ritenga di poter ravvisare in essa gli estremi per un sostanziale superamento del Concordato stesso, in riaffermazione di una piena indipendenza e sovranità della Repubblica italiana.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Paolo Naccarato, ha facoltà di rispondere.
PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Ricordo preliminarmente (lo accennava poc'anzi anche l'onorevole Poretti) che in Italia i rapporti tra Stato e Chiese sono regolati anzitutto dagli articoli 7 e 8 della Costituzione.
L'articolo 7, primo comma, della Costituzione, che la Santa Sede ha riconosciuto, firmando, nel 1984, l'Accordo di revisione del Concordato lateranense, sancisce il principio secondo il quale lo Stato e la Chiesa sono indipendenti e sovrani, separando espressamente l'ordine dello Stato e l'ordine della Chiesa. Principio, questo, ripetuto anche nelle intese stipulate con diverse confessioni religiose, a reciproca garanzia delle parti.
Con l'articolo 8, primo comma, si è stabilito che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Queste disposizioni hanno permesso, nel corso di decenni di storia repubblicana, di mantenere distinti i due piani, temporale e spirituale, e contemporaneamente Pag. 35hanno consentito un fecondo dialogo tra lo Stato, la Chiesa cattolica e le altre Chiese e confessioni religiose.
In questo contesto di pluralismo religioso e di libertà, le autorità della Chiesa cattolica e delle altre religioni presenti nel paese sono pienamente libere di manifestare il proprio pensiero e di fornire insegnamenti ai loro fedeli che, ovviamente, non possono essere vincolanti nell'ordine dello Stato.
In particolare, per quanto riguarda i rapporti con la Chiesa cattolica, con la revisione del Concordato lateranense del 1984 è stato riaffermato e concretamente articolato il principio costituzionale dell'assoluta distinzione, indipendenza e autonomia dei due ordini della Chiesa e dello Stato, che si impegnano ad una reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e del bene del paese.
A questo si aggiunge, nel protocollo addizionale, il venir meno del principio originariamente richiamato dai Patti lateranensi della religione cattolica come religione dello Stato, in conformità al dettato della Costituzione, ispirata al principio supremo di laicità dello Stato.
L'azione del Governo si è costantemente attenuta, di fronte al libero esplicarsi del fenomeno religioso, a tale principio, alla luce dell'interpretazione data dalla Corte costituzionale, la quale afferma che la laicità dello Stato implica non indifferenza nei confronti della religione, ma garanzia dello Stato stesso per la tutela della libertà religiosa in un regime di pluralismo confessionale e culturale.
Il Presidente della Repubblica Napolitano, nel suo discorso rivolto al Pontefice Benedetto XVI in occasione della sua visita in Vaticano, avvenuta lo scorso novembre, ha riaffermato che in Italia l'armonia dei rapporti tra Stato e Chiesa è garantita dal principio laico di distinzione sancito dalla Costituzione e dall'impegno alla «reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e per il bene del paese».
Il Capo dello Stato ha inoltre sottolineato che, pur se esistono scelte che appartengono alla sfera statale, alla responsabilità e all'autonomia della politica, viene avvertita come esigenza pressante ed essenziale il richiamo al fondamento etico della politica. La libertà della Chiesa cattolica e lo svolgimento della sua missione pastorale, educativa e caritativa di evangelizzazione e di santificazione è riconosciuta dall'articolo 2 dell'Accordo del 1984, che garantisce, inoltre, «ai cattolici e alle loro associazioni ed organizzazioni, la piena libertà di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Apparirebbe pertanto contraddittorio riconoscere la libertà di opinione, di espressione e di manifestazione del pensiero alla Chiesa cattolica e alle altre confessioni religiose se poi volessimo limitare o negare o escludere questa libertà quando il contenuto riguarda atti che sono oggetto di dibattito pubblico. Questi non si sottraggono, anche sui temi eticamente rilevanti, ai giudizi espressi in una prospettiva religiosa, alla quale si può liberamente aderire o con la quale, altrettanto liberamente, si può essere in contrasto.
Nella libertà della Chiesa è quindi compreso il pieno diritto di esprimere valutazioni e formulare giudizi, di parlare alle coscienze dei cittadini e dei politici. Spetta poi a questi ultimi e alla loro coscienza valutare, accogliere, seguire oppure ignorare tali dichiarazioni.
Nell'autonomia dello Stato rientra, ovviamente, il pieno diritto di elaborare norme e leggi sulla base di liberi orientamenti degli organi di Governo e legislativi. Ciò avviene, d'altra parte, in tutti i paesi democratici ad ispirazione laica, dove non mancano le discussioni di carattere etico e religioso.
La Dichiarazione finale della XIII Assemblea generale della Pontificia accademia per la vita si inserisce nel contesto della diffusione dei risultati del lavoro di studio e di ricerca legato alla Santa Sede e rientra nella libera espressione del magistero e del ministero della Chiesa.
La predetta Dichiarazione è, quindi, un documento di sintesi che serve a presentare i risultati delle sessioni di lavoro e i membri si impegnano ad agire in conformità con il magistero della Chiesa.Pag. 36
D'altro canto, la stessa Pontificia accademia per la vita, nei giorni scorsi, ha formulato precisazioni in merito ad alcune interpretazioni apparse sugli organi di informazione proprio sui contenuti della predetta Dichiarazione, specificando che il documento ha carattere di indirizzo universale e, pertanto, non è rivolto ad una nazione in particolare. Posizione, questa, di cui ha tenuto conto il Consiglio superiore della magistratura che, in una nota, in occasione dell'apertura di un dibattito interno sul delicato tema dell'obiezione di coscienza, ha fatto sapere che «non vi è alcuno scontro fra il Consiglio superiore della magistratura e la Chiesa sull'obiezione di coscienza dei giudici, ma solo una decisione dell'organo di autogoverno di approfondire le tematiche della deontologia professionale».
Pertanto, si può affermare che la libertà religiosa e di coscienza garantita dalla Costituzione, da un lato, assicura alla Chiesa cattolica e alle confessioni religiose la libertà di esprimere in ogni forma il loro insegnamento e, dall'altro, garantisce a ciascun individuo la libertà di agire secondo i dettami della propria coscienza.
Per queste ragioni non c'è motivo per ritenere che una discussione come quella che si sta sviluppando in Italia in questi mesi possa, in qualche modo, mettere in crisi i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, che poggiano su basi solide e sull'idea condivisa dell'applicazione del dettato costituzionale.
PRESIDENTE. La deputata Poretti ha facoltà di replicare.
DONATELLA PORETTI. Signor Presidente, non mi posso ritenere soddisfatta della risposta.
Lungi da me l'intento di voler limitare la libertà di espressione e ringrazio il sottosegretario per questa piccola lezione riassuntiva del principio della laicità dello Stato e di quello della separazione tra lo Stato e la Chiesa.
In realtà, ci troviamo in un momento politico assai delicato e, per quanto si voglia chiamare coraggiosa disobbedienza civile, l'appello contenuto nel documento della Pontificia accademia per la vita costituisce un'istigazione a violare le leggi. D'altra parte, disobbedienza civile, vuol dire proprio violare le leggi e assumersene pubblicamente la responsabilità penale, civile o amministrativa, anche a fini di lotta politica.
Ricordo per inciso la vicenda della disobbedienza civile posta in essere da un giudice, il dottor Luigi Tosti di Camerino che, proprio appellandosi alla laicità dello Stato, si è rifiutato di svolgere la propria funzione giudicante perché nell'aula di giustizia dove si svolgeva il rito non veniva rimosso un crocifisso appeso al muro. Per tale motivo, il suddetto magistrato è stato condannato dal tribunale dell'Aquila a sette mesi di reclusione per omissione d'atti d'ufficio. Questo vuol dire dar vita ad una disobbedienza civile!
Inoltre, ricordo le disobbedienze civili praticate dai radicali per ottenere l'obiezione di coscienza in caso di servizio militare, alle quali seguì l'arresto dell'allora segretario del partito radicale, Roberto Cicciomessere. Pochi mesi dopo il suo arresto, grazie ad una mobilitazione dell'opinione pubblica promossa dal partito radicale, il Parlamento italiano approvò, il 15 dicembre del 1972, una legge che riconosceva il diritto civile all'obiezione di coscienza nel servizio militare.
Simili iniziative, del resto, sempre da parte dei radicali, furono svolte anche in Belgio dove, Olivier Dupuy, che poi fu segretario del partito radicale transnazionale, fu condannato a due anni di carcere per aver disubbidito alle leggi in materia di leva obbligatoria.
Queste sono obiezioni di coscienza praticate con la disobbedienza civile e, quindi, con l'autodenuncia e con la richiesta di condanna per aver violato una legge ritenuta ingiusta di cui si sollecita una modifica; vi sono poi casi di obiezione di coscienza previsti dalla legge e praticati, perciò, nel pieno rispetto della normativa vigente, come nel caso del servizio civile svolto al posto di quello militare fino a quando la leva era obbligatoria, o, ancora, come nel caso previsto dalla legge n. 194 Pag. 37del 1978 sull'aborto, che costituisce tuttavia reato laddove il medico eserciti la propria disobbedienza al di fuori dai casi tassativamente previsti dalla citata legge.
La disobbedienza cui si riferisce, invece, il documento in questione, che, non a caso, la definisce «coraggiosa», inequivocabilmente non rientra fra i casi tassativamente previsti dalla legge, perché si riferisce anche a categorie professionali che non hanno alcuna possibilità legale di obiettare alla legge secondo la propria coscienza, quali, ad esempio, i magistrati. L'istigazione in questione appare tanto più grave in quanto è rivolta ad una categoria di pubblici ufficiali e funzionari quali i magistrati, soggetti, secondo il dettato dell'articolo 101 della Costituzione, esclusivamente alla legge e la Corte costituzionale ha chiarito in più occasioni che l'obiezione di coscienza dei giudici è in netto contrasto con la tutela dell'ordine giuridico. Appare evidente che una disobbedienza civile degli organi dello Stato deputati proprio a far rispettare la legge cui disobbediscono si tradurrebbe nella morte dello Stato di diritto e della legalità, nonché nell'imposizione della propria scelta «disobbediente» a chi si era, invece, rivolto al magistrato proprio perché agisce in nome del popolo italiano. La forza dell'appello - e sul punto si torna all'appello, signor sottosegretario -, la sua diffusione mediatica, le sue potenzialità, il seguito dello stesso, che derivano dalle indubbie capacità delle gerarchie vaticane di influenzare i cittadini, oltre che una massa generalizzata di persone potenzialmente recettrici dell'istigazione, rendono probabile la sussistenza del reato di istigazione a compiere atti contrari ai doveri del proprio ufficio, così come previsti e imposti dalle leggi vigenti.
Per mio conto, oltre a questo atto di sindacato ispettivo, presentato con il gruppo de La Rosa nel Pugno, con i compagni radicali, con il presidente di gruppo Villetti, ho inviato a quaranta procure un esposto-denuncia in cui chiedo di verificare la sussistenza dei reati di istigazione a delinquere e di violazione del Concordato. Altrettante procure sono state, per il momento, raggiunte da esposti di cittadini che, attraverso il sito dell'associazione per i diritti degli utenti e consumatori - www.adoc.it - hanno scaricato il facsimile e lo hanno inviato alle procure.
In attesa di una risposta dalle aule della giustizia, è urgente una risposta politica. Ogni giorno che passa l'Italia appare sempre più «supina» ed «inginocchiata» alle gerarchie vaticane. I diktat si susseguono con una frequenza ed una veemenza sempre più impressionanti. Dopo la dettatura dell'agenda politica, ormai dal Vaticano arrivano anche dettagliati e puntuali emendamenti alle leggi che il legislatore è in procinto di scrivere, sempre che abbiano superato il veto iniziale. Così: Pacs no, Dico neppure, testamento biologico sì, ma solo a certe condizioni, e così via. Dopo l'esposto alle procure, in attesa che un giudice decida di dar corso alla giustizia e di applicare la legge, rivolgo un appello in quest'aula, signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, a rispettare la nostra Costituzione ed il nostro essere Stato laico. «A Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio», che, a mio avviso, è la miglior garanzia per la stessa religione, per i fedeli ed anche per le gerarchie ecclesiastiche, e le scritte che in questi giorni compaiono sui muri delle nostre città ne sono anche la testimonianza: se la Chiesa diventa un attore politico ne subisce anche le peggiori conseguenze.
Iniziative per ammettere alle agevolazioni previste dal decreto del Ministro dei trasporti del 31 gennaio 2007 anche le merci trasportate sulle tratte marittime tra la Sardegna e il resto d'Italia - n. 2-00399)
PRESIDENTE. Il deputato Cicu ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00399 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).
SALVATORE CICU. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, la Sardegna, per i collegamenti con la Penisola, può utilizzare due sole modalità di trasporto: Pag. 38quello aereo e quello marittimo, e naturalmente è fortemente penalizzata a causa dell'assoluta mancanza di possibilità di modalità di trasporto su ferro e su gomma.
La situazione che riguarda la continuità territoriale è disastrosa in tutti i sensi, anche con riferimento all'ultima norma contenuta nella legge finanziaria, che vede il trasferimento totale di costi e di oneri ancora una volta sui cittadini sardi, che vengono così ulteriormente penalizzati. Peraltro essi vengono penalizzati rispetto a criteri, valutazioni e presupposti, che sono stati individuati anche a livello europeo; si sottolinea infatti come l'articolo 158 del Trattato di Amsterdam abbia considerato l'insularità come una valutazione definitiva rispetto alla possibilità di ottenere finanziamenti e agevolazioni.
Il decreto emanato il 31 gennaio 2007 dal ministro dei trasporti ha individuato delle tratte marittime incentivabili per il trasporto di merci in ambito mediterraneo, partendo da quelle rotte che sono considerate le tratte tra gli archi tirrenici nord e sud, dimenticando però che in mezzo a questi archi, tra i porti francesi e spagnoli del Mediterraneo, c'è una regione, un'isola italiana, la Sardegna, che viene completamente esclusa dagli incentivi. Tutto ciò contro ogni valutazione, criterio e presupposto - come dicevo prima - considerato che la Sardegna si trova in una posizione strategica, al centro del Mediterraneo, ha una riferibilità, per aver consentito lo sviluppo della civiltà già in età preistorica, senza dimenticare che la regione vive in gran parte di turismo, e si appresta ad avere crescente importanza con la riapertura del polo energetico e quindi dell'utilizzo delle miniere carbonifere del Sulcis ai fini della produzione di elettricità ed i lavori per la costruzione del metanodotto per il collegamento tra l'Algeria e l'Europa centromeridionale.
Di tutto questo sembra non si accorga il Governo nazionale, né tanto meno quello regionale, perché, al di là di una laconica e melanconica dichiarazione dell'attuale assessore ai trasporti, altre prese di posizione mi sembra che non ve ne siano state, se non quelle di tutti i parlamentari sardi, che hanno sottolineato con interpellanze e interrogazioni questo rilevante problema.
Riteniamo che il contenuto del citato decreto sia ancora più stupefacente se si considera, come abbiamo sottolineato nella nostra interpellanza, che l'allegato 2 alla delibera CIPE n. 121 del 2001 e l'intesa generale quadro relativa alle autostrade del mare dell'11 ottobre 2002, richiamata nell'accordo di programma quadro viabilità del 2003, considerano strategico «completare e qualificare la rete di infrastrutture di mobilità, di persone e di merci tra i principali hub portuali e interportuali e tra le principali aree urbane, al fine di valorizzare la potenzialità strategica dell'isola come grande piastra logistica del Mediterraneo inserita nei grandi flussi di mobilità delle autostrade del mare e nei cicli di produzione legati a questi flussi».
Sulla base di queste considerazioni riteniamo opportuno, fondamentale e centrale modificare tale decreto nel senso di ammettere alle agevolazioni anche e soprattutto le merci trasportate sulle rotte tra la Sardegna e il resto d'Italia, oltre che tra la Sardegna, la Francia e la Spagna.
PRESIDENTE. Il viceministro dei trasporti, Cesare De Piccoli, ha facoltà di rispondere.
CESARE DE PICCOLI, Viceministro dei trasporti. In merito alle questioni poste dall'interpellante, vorrei precisare che con il decreto ministeriale 31 gennaio 2007 si è data attuazione al disposto del decreto del Presidente della Repubblica 11 aprile 2006, n. 205.
Con l'articolo 3, comma 1, sono state individuate le tratte marittime da finanziare al fine di incentivare il trasferimento modale dalla strada al mare nel rispetto dei criteri stabiliti dalla Commissione europea, secondo la quale una tratta marittima può essere finanziata in presenza di un itinerario stradale alternativo che renda, quindi, comparabili i due percorsi e permetta di calcolare i costi delle due Pag. 39diverse modalità di trasporto. L'esclusione delle rotte tra la Sardegna e il resto d'Italia, oltre che tra la Sardegna e la Francia e la Spagna, aveva trovato, quindi, una giustificazione nella non perfetta comparazione tra l'itinerario stradale e quello marittimo. Tuttavia, al fine di riscontrare pienamente le esigenze dell'utenza, in data 26 marzo 2007 il Ministero dei trasporti ha emanato il decreto integrativo del citato decreto del 31 gennaio 2007, inserendovi anche le rotte tra i porti della Sardegna, benché ricomprese all'interno di rotte di provenienza continentale, meritevoli di incentivazione.
PRESIDENTE. Il deputato Cicu ha facoltà di replicare.
SALVATORE CICU. Signor Presidente, mi ritengo assolutamente insoddisfatto della risposta perché mi sembra che proprio a causa della sua insularità, e contravvenendo al criterio riconosciuto quale presupposto dall'Unione europea, la Sardegna sia stata ulteriormente penalizzata. Mi pare di capire che si può rientrare nella configurazione delle autostrade del mare soltanto quando non si tratti di isole. Infatti, per le isole non c'è la possibilità di rappresentare una alternativa stradale. Questa è una aberrazione, un paradosso che non trova alcuna giustificazione o motivazione.
Soprattutto, questo Governo ancora continua a ritenere la Sardegna una terra priva della necessaria dignità. Si consideri, anzitutto, lo stato di depressione economica che essa vive: negli ultimi due anni i disoccupati sono aumentati di 24 mila unità e si registra una situazione di povertà diffusa nella quale i piccoli e medi imprenditori e l'industria sono allo sbando, non c'è alcuna soluzione e le crisi non sono affrontate. Inoltre, non si dà alcuna indicazione per risolvere in qualche modo i gravissimi e drammatici problemi di questa terra.
Si aggiunga a tutto ciò la negligenza del Governo, il quale ritiene di non dover attuare un confronto vero con l'Unione europea e ritiene di non dover aprire un contenzioso su una situazione che in nessun modo può essere tollerata ed accettata. Non è pensabile, infatti, che laddove esistano le alternative stradali e autostradali vi sia la possibilità di ottenere finanziamenti e sostegni e che laddove questa possibilità non ci sia, così come accade per le isole, non possa esistere alcun sostegno finalizzato al trasporto merci, che può avvenire soltanto - come dicevo all'inizio del mio intervento - per mezzo di aerei o di navi. Le autostrade del mare, guarda caso, riguardano i territori in cui ci sono già le autostrade terrestri ed è possibile effettuare il trasporto su gomma o con modalità alternative. Le autostrade del mare dovrebbero riguardare le isole, mentre da questo Governo, per le isole, non sono state previste e non sono assolutamente sostenute.
Quindi, la risposta mi lascia totalmente insoddisfatto.
(Definizione del ruolo del Formez nell'ambito del riordino delle organizzazioni strumentali in materia di formazione nella pubblica amministrazione - n. 2-00432)
PRESIDENTE. Il deputato Martusciello ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00432 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3).
ANTONIO MARTUSCIELLO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, a distanza di un anno, ormai, dall'insediamento del Governo Prodi si è delineato un quadro di presunta razionalizzazione delle organizzazioni strumentali nell'ambito della formazione nella pubblica amministrazione. Tale processo noi riteniamo sia del tutto eccepibile sia sul piano del metodo politico, sia sul piano tecnico. In primo luogo, per la creazione della Agenzia nazionale per la formazione, recentemente istituita con la legge finanziaria per il 2007, ancora non sono stati emanati i decreti di attuazione, che pure erano stati previsti per il mese di marzo. Sappiamo che la data della emanazione Pag. 40del regolamento dell'istituenda Agenzia è stata spostata al 15 giugno, perché ancora non era pronto.
È quindi in corso un processo di presunta razionalizzazione in termini di organizzazione della formazione pubblica e di riordino delle scuole, che in essa sono confluite. Si accampano delle giustificazioni, come, ad esempio, la necessità di riqualificare le strutture di formazione della pubblica amministrazione. Noi riteniamo che questo processo, del tutto nebuloso, avrebbe dovuto essere semmai proposto a valle di un percorso di rivisitazione dell'intero sistema della formazione pubblica del nostro Paese che, in questi anni, ha visto impegnate cospicue risorse finanziarie, oltre che tante risorse umane e professionali.
Il Governo Prodi, invece, ha deciso di procedere unificando sotto la regia di un soggetto unico - la costituenda Agenzia per la formazione - le diverse scuole che poi dovranno confluirvi, svuotandole di attribuzioni programmatico-operative e bloccando, nei fatti, alcune delle attività loro attribuite.
Fra i soggetti interessati al presunto piano di riordino, figura anche il Formez, che - va ricordato - ha visto crescere il proprio portafoglio progetti in misura considerevole di anno in anno. Il Formez, struttura localizzata prevalentemente nelle regioni del Mezzogiorno, nel corso di questi ultimi anni, è divenuto un istituto che ha coperto tutto lo spettro di attività previste dal dettato normativo, contenuto nell'articolato della legge n. 285 del 1999. Esso ha operato sul piano del raccordo strategico con quello operativo, per quanto attiene allo sviluppo delle politiche pubbliche di multilivello, dalle politiche centrali e locali a quelle nazionali ed internazionali. Purtroppo, le considerazioni del ministro della funzione pubblica all'indirizzo dell'istituto sono state focalizzate, nel corso del tempo, in larga misura su temi di concentrazione, espungendo dalla missione del Formez la formazione e approfondendo, invece, i temi dell'accompagnamento al sistema pubblico in termini di organizzazione e di innovazione della comunicazione pubblica e delle attività internazionali a sostegno del Ministero degli affari esteri, della Commissione europea e delle agenzie internazionali.
Appare evidente che, in questo modo, il percorso di rilancio per una struttura come il Formez, che opera attraverso commesse pubbliche per la conduzione di attività progettuali a supporto dell'inquadramento programmatico centrale, sarebbe evidentemente molto problematico e del tutto in salita. In quest'ultimo anno, inoltre, c'è stata un'attività di attacco politico al Formez. In occasione della preparazione della legge finanziaria per l'esercizio 2007, infatti, esso è stato spesso al centro di tutte le iniziative volte al commissariamento dei vertici dell'istituto ad opera di alcuni esponenti della maggioranza. Ricordo, tra l'altro, che il Presidente del Senato ha espunto, dall'articolato del disegno di legge finanziaria, il comma che ad esso si riferiva, per palese incostituzionalità e per la sua inapplicabilità, ai sensi della disciplina in materia di contabilità pubblica.
A nostro avviso, appare evidente la volontà di procedere in maniera non adamantina nella necessità del riordino del Formez, intervenendo anche sulle chiare attribuzioni del consiglio d'amministrazione previste a norma statutaria in tema di funzionamento della macchina operativa stessa. Ci riferiamo, per esempio, all'applicazione di modalità di spoil system in tema di attribuzioni o conferma di incarichi dirigenziali, che sanno tanto di epurazione: solo alcuni tra i dirigenti, infatti, sono stati convocati dal presidente del consiglio di amministrazione ed è stata loro comunicata una difficoltà politico-gestionale nel mantenimento del loro ruolo dirigenziale.
È evidente il contrasto con quanto avvenuto nella precedente legislatura, quando il Governo, all'indomani del suo stesso insediamento, si era speso per varare un programma quadro, denominato governance per la funzione pubblica, che è stato presentato in Parlamento e che ha operato in pieno raccordo con gli indirizzi comunitari espressi nel libro bianco della Pag. 41Commissione europea in tema di governance. Il Governo Berlusconi ha lavorato per fare in modo che potessero crescere le commesse a favore del Formez che, invece, nel corso di questi ultimi mesi, registrano una contrazione.
La riduzione delle commesse porterebbe ad una conseguente riduzione degli organici, da quelli dirigenziali fino a quelli impiegatizi. La contrazione delle risorse produce una contrazione degli investimenti e non dà continuità all'azione dell'istituto né dà luogo ad una rinnovata mission che invece potrebbe accompagnare la riforma delle amministrazioni pubbliche in termini di cambiamento, innovazione, qualità, sostenibilità e condivisione del processo della formazione pubblica.
Da parte del Governo manca una politica rapida, seria e trasparente che possa stabilizzare i precari, presenti in misura cospicua all'interno del Formez e che rappresentano un patrimonio professionale del Formez stesso. I dipendenti del Formez corrono il serio rischio di perdere il posto di lavoro. Manca insomma un progetto di valorizzazione del patrimonio professionale dell'istituto, alla luce di una gestione che deve essere orientata a criteri di professionalità e di competenza tecnica. Siamo fortemente preoccupati per l'operato del Governo Prodi e per quello del ministero della funzione pubblica. Per tale motivo ci rivolgiamo al Governo affinché dia risposte credibili e serie su questo problema, che riguarda un ente strumentale così importante come il Formez.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, Gian Piero Scanu, ha facoltà di rispondere.
GIAN PIERO SCANU, Sottosegretario di Stato per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione. Signor Presidente, onorevoli deputati, onorevole Martusciello, se lei mi permette, prima di dare lettura di un dettagliato appunto che volentieri porrò alla sua attenzione e a quella dei presenti nel corso di questa seduta, vorrei svolgere qualche considerazione per rispondere ad alcune sue osservazioni di carattere politico. Vorrei infatti rassicurarla sull'intenzione del Governo in merito al futuro del Formez. Il ministro in primo luogo, prima di quanto avrei potuto fare personalmente, ha colto il significato della sua preoccupazione e di quella degli altri interpellanti. Si teme che sia in atto un'azione di smantellamento del Formez, che la nascita dell'Agenzia della formazione possa costituire un magnete capace di attrarre a sé l'intera materia gestita attualmente dal Formez e che pulsioni politiche governative possano indurre i rappresentanti del Governo, ed in primo luogo il ministro della funzione pubblica, ad attuare un sistema delle spoglie, a danno dei lavoratori del Formez.
Desidero volentieri chiarire che la situazione è del tutto diversa rispetto a quella che lei paventa e che con indubbia passione politica ha testè espresso. Vorrei subito affermare che la costituzione dell'Agenzia della formazione non determinerà alcuna rivoluzione a danno dell'assetto complessivo, sviluppato a beneficio non soltanto della formazione dei dirigenti e dei lavoratori della pubblica amministrazione, ma anche dell'accompagnamento che deve essere garantito nei confronti delle regioni, delle province e dei comuni, in un clima assolutamente nuovo - o comunque rinnovato - grazie al quale la pubblica amministrazione sia considerata come un fattore di produzione e come un elemento rivitalizzante dell'economia e della società civile, piuttosto che come un peso.
Per semplificare, per restituire vigore alla pubblica amministrazione e per rispondere ad un bisogno fortissimo che non soltanto la stampa esprime, ma che è presente in maniera molto radicata nell'immaginario collettivo, si avverte il bisogno di restituire dignità ad una pubblica amministrazione che, spesso, in maniera demagogica, populistica e qualunquistica, è stata criminalizzata.
Si tratta, dunque, di razionalizzare la formazione e ciò sarà demandato all'Agenzia della formazione che, come giustamente Pag. 42lei ha ricordato, ha tempo fino al 15 giugno per dotarsi, con relativo decreto attuativo, del regolamento.
Il Formez, per evitare commistioni, sovrapposizioni o conflitti di competenza che possono determinare, come contraccolpo, lacune e latitanze, è chiamato ad assolvere, cedendo la propria parte in verità minima relativa all'esercizio della formazione, altre funzioni che sono quelle da lei richiamate, non paventandone l'eventuale realizzazione: mi riferisco all'accompagnamento delle pubbliche amministrazioni nella creazione di una nuova stagione di iniziative che valgano a valorizzare il territorio, partendo soprattutto dalla volontà di svilupparlo.
Per quanto riguarda l'eventuale temuta, paventata, attuazione dello spoil system, vorrei tranquillizzarla. Le posso anticipare, onorevole Martusciello, se crede a questa mia affermazione - che peraltro non ritengo possa o debba avere, per la solennità dell'aula nella quale la declino, minore dignità rispetto a quanto andrò successivamente a leggere - che non mi è stato impossibile e direi neppure difficile apprendere che il consiglio di amministrazione del Formez, che, come lei ben sa, non è stato nominato da questo Governo ma dal Governo precedente, nell'ultima sua seduta ha confermato sino al mese di settembre, quindi per altri sei mesi, tutti i dirigenti; il che significa che presunte forme di discriminazione o, peggio ancora, di persecuzione nei confronti di quanti venissero ritenuti non in linea con la politica del Governo, non solo non sono state attuate, ma non sono neppure state pensate.
Certo è che, come avrò modo di spiegare, dando lettura del documento che sottoporrò alla vostra attenzione, vi è necessità di giustificare e legittimare, in un contesto di rinnovata attenzione sul significato della spesa pubblica, la presenza dei dirigenti e dei dipendenti che, per le peculiarità del Formez, dovranno essere incardinati temporaneamente o definitivamente, a seconda dei progetti che verranno realizzati.
Quindi, se posso definire questa mia prolusione di carattere politico e se la sua generosa attenzione vorrà rendermene merito, mi pare che certe preoccupazioni relative, da una parte, allo smantellamento e, dall'altra, a possibili azioni di vessazione nei confronti dei lavoratori del Formez non siano state concretizzate né vi è l'intenzione di farlo da parte di nessuno, tanto meno da parte del ministro Nicolais che, oggettivamente, ha dimostrato il massimo dell'attenzione per la problematica in questione.
Desidero ora, per completezza dell'informazione, leggere alcuni riferimenti che sono sicuro risulteranno a lei ed agli altri interpellanti quanto meno sufficientemente utili.
Come è noto, con la legge finanziaria 2007, sono state approvate disposizioni concernenti il riassetto complessivo del sistema della formazione dei dirigenti e dei dipendenti pubblici, nonché il sostegno all'innovazione ed alla modernizzazione delle amministrazioni pubbliche.
In particolare, al fine di ottimizzare la qualità delle attività formative pubbliche, nonché di garantire una selezione rigorosa della dirigenza dello Stato, anche in considerazione della centralità dei temi emergenti, quali l'internazionalizzazione e l'informatizzazione, l'articolo 1, comma 580, della legge finanziaria 2007, ha istituito l'Agenzia per la formazione dei dirigenti e dipendenti delle amministrazioni pubbliche - Scuola nazionale della pubblica amministrazione come strutture di Governo e coordinamento unitario del sistema della formazione pubblica.
Nell'ambito di tale opera di razionalizzazione la legge finanziaria prevede anche l'accorpamento delle strutture nazionali preposte a funzioni coincidenti o analoghe con eliminazione di sovrapposizioni e duplicazioni e la precisa indicazione delle missioni e dei compiti di ciascuna struttura.
Nell'ottica di un riassetto generale delle strutture formative, il Governo, consapevole del ruolo significativo che il Formez svolge nel settore della pubblica amministrazione, ha ritenuto necessario puntualizzarne Pag. 43la missione operativa, anche per renderla coerente con il mutato contesto istituzionale in cui viene chiamato ad operare.
La rifocalizzazione della missione del Formez, nel contesto della razionalizzazione delle strutture interessate all'innovazione delle amministrazioni pubbliche, tiene conto, in particolare delle profonde modifiche che hanno interessato nell'ultimo decennio il sistema delle amministrazioni pubbliche, e, in particolare, l'organizzazione e la gestione del personale delle amministrazioni centrali e locali; dell'utilizzo crescente delle tecnologie informatiche applicate alle attività e ai servizi della pubblica amministrazione e, soprattutto, delle enormi potenzialità che derivano dall'utilizzo della banda larga; dell'evoluzione qualitativa e quantitativa della domanda di servizi da parte dei cittadini e delle imprese con effetto sulla qualità dei servizi erogati; degli strumenti della comunicazione delle pubbliche amministrazioni e degli strumenti che garantiscano la partecipazione dei cittadini e delle imprese alle scelte politico-amministrative; dell'accresciuta consapevolezza che un'amministrazione competente di qualità riveste un ruolo strategico nel sostenere la competitività del paese; dell'accelerazione dei processi di globalizzazione che ridefiniscano continuamente il peso e il ruolo degli elementi che concorrono ad accrescere la competitività del paese.
Tenendo conto delle competenze già stabilite dal decreto legislativo n. 285 del 1999, il Governo intende, dunque, rifocalizzare la missione del Formez, valorizzando, in particolare, le seguenti attività: accompagnare le amministrazioni pubbliche, in particolare le amministrazioni regionali e locali, nello sviluppo di progetti di innovazione organizzativa e amministrativa e nel monitoraggio delle politiche dei processi di innovazione, anche attraverso lo sviluppo di programmi finalizzati a sviluppare la qualità della regolazione e la semplificazione amministrativa, nonché promuovere l'impiego delle nuove tecnologie per il miglioramento delle risorse umane e dei processi organizzativi; fornire alle amministrazioni pubbliche assistenza tecnica e tecnico-formativa per migliorare la qualità dei servizi e l'efficacia delle politiche, avendo come particolare riferimento le politiche regionali e locali e gli interventi finalizzati ad accrescere la competitività dei territori e del paese; fornire alle amministrazioni pubbliche il supporto, l'assistenza tecnica ed i contenuti utili a migliorare la comunicazione delle stesse tra di loro, nonché verso i cittadini e le imprese; sviluppare, anche d'intesa con altre amministrazioni ed organizzazioni italiane e di altri paesi, progetti di cooperazione internazionale finalizzati alla crescita dei sistemi amministrativi anche attraverso l'attivazione di processi di scambio di esperienze e di «buone pratiche»; supportare il percorso di internazionalizzazione delle amministrazioni pubbliche, in particolare le amministrazioni regionali e locali; svolgere ogni altra attività devoluta, mediante apposito accordo, dal dipartimento della funzione pubblica, da altri associati o da altre amministrazioni pubbliche.
Va, inoltre, segnalato che le predette linee strategiche della nuova missione del Formez - già oggetto del necessario confronto con regioni ed autonomie locali mediante gli strumenti a ciò preposti dal decreto legislativo n. 285 del 1999 - sono state, infine, approvate all'unanimità dall'assemblea dei soci in data 11 aprile 2007.
In conclusione, il Governo si propone, attraverso la ridefinizione della missione del Formez, di garantire che lo stesso continui ad essere parte integrante ed essenziale di un sistema coordinato di governo della formazione della pubblica amministrazione e a svolgere un ruolo precipuo di assistenza tecnica e di accompagnamento alle riforme e all'innovazione della stessa pubblica amministrazione, conservando la sua specificità, il patrimonio di conoscenze ed esperienze e la sua autonomia gestionale.
Pertanto, il Formez vedrà rafforzato il suo ruolo di supporto alle amministrazioni nei temi connessi, da un lato, all'innovazione amministrativa e tecnologica ed alla semplificazione amministrativa e, dall'altro, Pag. 44alla comunicazione pubblica e alle attività internazionali in ausilio sia del Ministero degli affari esteri che delle regioni.
Per quanto concerne le attività più propriamente formative di studio e di ricerca sul sistema formativo svolte dal Formez, le relative competenze - peraltro già fortemente ridimensionate negli ultimi anni - passano ora alla costituenda Agenzia per la formazione, fermo restando che il Formez potrà operare nella fase di implementazione dei modelli in stretto raccordo con l'Agenzia stessa.
Ne consegue che le risorse umane organizzative stabili del Formez resteranno dedicate allo svolgimento della sua attuale missione, come sopra precisata, con la sola esclusione delle risorse dedicate alle predette attività specificamente formative, il cui eventuale trasferimento all'Agenzia, peraltro, sarà comunque subordinato all'esercizio di un diritto di opzione da parte degli interessati.
Per quanto concerne, invece, le altre risorse utilizzate dal Formez, va precisato che quest'ultimo svolge buona parte delle proprie attività mediante commesse conferite da amministrazioni pubbliche ed enti territoriali con durata limitata nel tempo e con risorse finanziarie variabili, aggiuntive a quelle previste nella tabella C allegata alla legge finanziaria. Pertanto, esso recepisce ed impiega le risorse umane ed organizzative necessarie ad assolvere tali compiti con meccanismi flessibili mediante chiamata diretta, previa valutazione selettiva delle professionalità richieste e per il tempo strettamente necessario ad assolvere le esigenze contingenti determinate dai contratti che disciplinano le relative commesse.
PRESIDENTE. Il deputato Martusciello ha facoltà di replicare.
ANTONIO MARTUSCIELLO. Signor sottosegretario, volevo brevemente ricordare soltanto alcuni aspetti.
Il Formez ha lo scopo di accompagnare, attraverso la produzione e la diffusione delle conoscenze, i processi di trasformazione e di innovazione del sistema amministrativo italiano, secondo il principio di collaborazione tra le amministrazioni pubbliche, centrali e territoriali, in un'ottica di federalismo cooperativo. Quanto detto, avviene nella direzione del miglioramento continuo della capacità di rispondere alle domande dei cittadini, delle imprese e dello sviluppo.
Questa è la mission del Formez. Attendiamo che il Governo determini oggi una nuova necessità strategica per il Formez, vale a dire non soltanto quella di accompagnare, in termini consulenziali, le attività di internazionalizzazione della pubblica amministrazione, espungendo dalle funzioni del Formez quella della formazione.
Ciò detto, poiché verba volant et scripta manent - stamane, infatti, il sottosegretario ha avuto l'amabilità di affermare che le cose che sono state dette prima, non soltanto in termini personali, ma anche istituzionali, assumono un doppio carattere di sacralità -, ci auguriamo che il Formez non perda quella sua funzione così importante, cioè di essere un patrimonio che ha caratterizzato il quadro della formazione pubblica in Italia nel corso di questi ultimi anni.
Dal 1999 ad oggi - vorrei ricordarlo - le commesse pubbliche e l'attività di formazione del Formez sono cresciute in maniera continuativa e quindi hanno migliorato il know-how della professionalità dei dipendenti stabili e anche di quelli occasionali del Formez stesso. Naturalmente, ciò anche con riferimento al suo management.
Riguardo, poi, al fatto che il Formez vive di commesse, si tratta di un dato acquisito. Noi ci preoccupiamo, evidentemente, di un aspetto molto più politico: alcuni contratti, che naturalmente hanno una scadenza, sono legati a determinate funzioni e, magari, anche a determinate persone.
Poiché i manager in questione hanno dato dimostrazione, nel corso degli anni, di grande professionalità, tanto da meritarsi un giudizio di eccellenza ed addirittura un premio di produttività, ci auguriamo Pag. 45che, in occasione delle prossime valutazioni che dovranno essere effettuate dal consiglio di amministrazione, si tenga conto dell'aspetto professionale e non, invece, dell'appartenenza politica.
(Funzionamento dei servizi di terra dell'aeroporto di Fiumicino e rispetto della «Carta dei diritti del passeggero» - n. 2-00448)
PRESIDENTE. L'onorevole Meta ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00448 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
MICHELE POMPEO META. Signor Presidente, mi limiterò, per ora, ad ascoltare la risposta del Governo, riservandomi di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Sta bene.
Il sottosegretario di Stato per i trasporti, Andrea Annunziata, ha facoltà di rispondere.
ANDREA ANNUNZIATA, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Signor Presidente, le problematiche afferenti l'attività aeroportuale sono già state oggetto di discussione in una seduta della Commissione trasporti dedicata allo svolgimento del sindacato ispettivo. D'altra parte, non si può non ricordare che la medesima Commissione ha approvato una risoluzione finalizzata all'intero settore del trasporto aereo.
Anche in quell'occasione il Governo ha posto in evidenza come, fin dal suo insediamento, abbia posto in essere valide iniziative nel settore del trasporto aereo: particolare attenzione è stata posta alla vigilanza che l'Ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC) deve operare sull'attività del trasporto aereo in qualità di unica autorità di regolazione tecnica, di coordinamento e di vigilanza nel settore dell'aviazione civile, così come individuata dal decreto legislativo n. 96 del 2005, recante la revisione della parte aeronautica del codice della navigazione.
Tra le azioni di competenza dell'ENAC, l'adozione della «Carta dei diritti del passeggero»- consultabile peraltro sul sito istituzionale dell'ente -, che raccoglie in un testo unico, sulla base della normativa vigente, nazionale, comunitaria ed internazionale, tutte le forme di tutela rivendicabili oggi dal viaggiatore in caso di disservizi, consente al passeggero, appunto, di conoscere e, quindi, di mettere in pratica ogni azione volta a rivendicare i suoi diritti di utente.
Peraltro, sul sito medesimo sono pubblicate tutte le informazioni necessarie nonché gli appositi moduli per l'inoltro dei reclami nei confronti degli operatori aeroportuali inefficienti.
Ad ulteriore garanzia dell'utente è stato emanato il decreto legislativo n. 69 del 2006, recante la disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 261 del 2004, che prevede, altresì, l'obbligo per il vettore di informativa ai passeggeri.
Come detto anche in Commissione trasporti, deve essere inoltre riconosciuto che, fin dal suo insediamento, il Governo ha mostrato la massima attenzione nei confronti di tutti gli operatori e dell'utenza, dei passeggeri. Tra le iniziative volte a garantire l'offerta di vettori affidabili in termini di qualità e sicurezza deve essere citata l'istituzione di un gruppo di lavoro interministeriale, con la presenza di personale dell'ENAC, per disciplinare gli ambiti operativi dei tour operator del settore del trasporto aereo.
A rafforzare ulteriormente l'intendimento che il Governo si è prefisso, si ricordano l'atto di indirizzo del Presidente del Consiglio dei ministri, Prodi, del 12 dicembre 2006 ed il successivo disegno di legge delega al Governo per la riforma del trasporto aereo nazionale che, tra l'altro, prevede la revisione e l'integrazione del sistema sanzionatorio nonché la ridefinizione dei ruoli, delle funzioni e delle competenze dei soggetti interagenti nel settore aeronautico. Al riguardo, la Commissione trasporti, di cui è presidente l'onorevole Meta, svolge attualmente un ruolo di primaria importanza.Pag. 46
In particolare, tale disegno di legge contiene esplicito riferimento alla qualità del trasporto aereo in un'ottica di allineamento agli standard comunitari che, oltre ad assicurare la prioritaria tutela dei passeggeri, possa innescare prassi autoregolative capaci di premiare quei comportamenti maggiormente volti all'incremento qualitativo del servizio.
Si segnala inoltre che è in fase di definizione il contratto di programma tra il Ministero dei trasporti e l'ENAC, che individua funzioni e fissa obiettivi dell'ente. In particolare, in linea con i principi fondamentali relativi all'erogazione dei servizi pubblici, di cui alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994, l'articolo 10 individua una serie di obblighi che impegnano l'ENAC a mettere in atto tutte le azioni necessarie a realizzare gli obiettivi di qualità prefissati.
A titolo esemplificativo, si ricorda l'avvio di un sistema di monitoraggio per verificare l'efficacia e l'efficienza dei processi individuati nella Carta dei servizi, adottata dai singoli gestori aeroportuali e dai vettori aerei ed approvata dall'ente medesimo, nonché le iniziative volte al miglioramento del livello dei servizi offerti, anche attraverso l'applicazione di idonei meccanismi correttivi nei confronti degli operatori aeroportuali.
Nel dettaglio di quanto rappresentato nell'atto ispettivo, l'ENAC ha riferito che in data 26 marzo 2007, in considerazione dei consistenti ritardi in partenza dei voli assistiti da EAS spa ed Alitalia Airport spa è intervenuto il proprio personale ispettivo al fine di accertare le cause delle criticità.
Per quanto riguarda i voli EAS, i disservizi, che hanno causato ritardi in partenza, quantificabili tra i venti e i quarantacinque minuti, e nella riconsegna bagagli tra i venticinque e i sessanta minuti, sono stati provocati dal disallineamento tra il nuovo operativo dei voli (stagione estiva) e risorse umane inferiori al fabbisogno. La società ha effettuato i relativi interventi ripristinando la situazione intorno alle ore 10,30.
I ritardi alle partenze dei voli Alitalia Airport sono invece stati causati dalla carenza improvvisa di personale dedicato alle operazioni di pulizia di bordo e di sicurezza che ha impedito la costituzione di due squadre di intervento. La situazione è rientrata intorno alle ore 11. Ciò non significa che non rimane attuale uno stato di attenzione e di criticità nei confronti di chi ha comunque creato disservizio.
Per quanto riguarda l'utilizzo degli ascensori, l'impianto di collegamento al parcheggio multipiano era sottoposto a manutenzione ordinaria, mentre risultavano regolarmente funzionanti gli ascensori adiacenti (140 e 141).
Da ultimo, l'ENAC, nell'ambito dell'attività ispettiva della direzione aeroportuale di Fiumicino, ha elevato otto sanzioni agli handlers totali presenti in aeroporto dal mese di marzo ad oggi.
A tale riguardo, per rendere più incisiva l'attività di vigilanza espletata dall'ENAC, è necessario procedere ad una sistematica revisione ed integrazione del sistema sanzionatorio, aspetto che, come detto in precedenza, è oggetto del disegno di legge presentato in Parlamento.
Infine, si rappresenta a questo Parlamento e a tutta l'opinione pubblica che ci ascolta la massima attenzione di questo Governo, come non mai verificatosi in questi anni, per la sicurezza e per il trasporto in genere di tutti i vettori e di tutti gli utenti.
PRESIDENTE. Il deputato Meta ha facoltà di replicare.
MICHELE POMPEO META. Signor rappresentante del Governo, devo confessare che trovo la sua risposta soddisfacente. Mi pare, infatti, che da essa emerga chiaramente la volontà di questo Governo di intervenire per modificare la situazione in essere e per migliorare l'intero settore del trasporto aereo.
Anche l'aumento dei controlli, ai quali ella si riferiva, da parte dell'ENAC sia sui vettori che sulle società di gestione aeroportuale sta producendo risultati positivi. È necessario, a mio avviso, che tali controlli siano intensificati ulteriormente anche in vista dell'arrivo della stagione turistica.Pag. 47
Emerge, tuttavia, l'esigenza di definire un più articolato sistema sanzionatorio rispetto a quello vigente. È evidente come sia insufficiente la minaccia della revoca di una concessione ad una società solamente per alcuni disguidi. Si potrebbe, però, graduare una serie di multe rispetto all'entità delle inefficienze e dei disagi sistematicamente provocati. Questo, a mio avviso, porterebbe a risultati concreti, ma anche immediati, sia come risarcimento al passeggero per i disagi subiti sia come deterrente verso quelle società rispetto a comportamenti non consoni in merito ai servizi che dovrebbero offrire.
Signor rappresentante del Governo, per un turista, come sappiamo, l'immagine che si conserva di un paese deriva dalle impressioni che si hanno al momento dell'arrivo e al momento della partenza. Noi tutti sappiamo quanto sia importante il turismo nella nostra economia e quali sforzi compiano sia il Governo nazionale sia quelli regionali e comunali per incrementare l'offerta turistica e la qualità dell'accoglienza delle nostre splendide città.
Pertanto, riteniamo necessario ed urgente che tutte le iniziative da lei annunciate vengano prontamente attuate e che il settore del trasporto aereo raggiunga i livelli di qualità da noi e dal Governo auspicati.
(Tempi di realizzazione della terza corsia dell'autostrada A4 - n. 2-00450)
PRESIDENTE. Il deputato Viola ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00450 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
RODOLFO GIULIANO VIOLA. Signor Presidente, ascolterò la risposta del rappresentante del Governo, riservandomi di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Sta bene.
Il sottosegretario di Stato per le infrastrutture, Luigi Giuseppe Meduri, ha facoltà di rispondere.
LUIGI GIUSEPPE MEDURI, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture. Signor Presidente, il progetto preliminare relativo all'adeguamento dell'autostrada A4 a tre corsie per senso di marcia, nel tratto compreso tra Quarto d'Altino e Trieste, per uno sviluppo complessivo di chilometri 112, unitamente allo studio di impatto ambientale predisposto dalla Società Autovie Venete, è stato approvato dall'ANAS nel 2003, avviandosi poi le procedure previste dalla legge obiettivo per l'ottenimento del parere di compatibilità ambientale e di localizzazione urbanistica.
La regione Friuli, pur esprimendosi favorevolmente sul progetto, ha chiesto che la realizzazione della terza corsia fosse limitata fino alla stazione di Villesse, dalla quale prende avvio il raccordo autostradale Villesse-Gorizia, evitando, così, di interessare il tratto carsico della A4 compreso tra Villesse e Sistiana.
A seguito del recepimento di tale indicazione da parte del Ministero delle infrastrutture, l'intervento risulta ad oggi limitato a 94 chilometri, di cui 54 ricadenti nella regione Veneto e circa 40 nella regione Friuli-Venezia Giulia.
Il progetto preliminare è stato quindi definitivamente approvato con prescrizioni dal CIPE con delibera del 18 marzo 2005. In tale delibera il CIPE, tra l'altro, ha prescritto di garantire l'armonizzazione dell'opera con la linea ferroviaria alta velocità/alta capacità nella tratta Venezia-Ronchi dei Legionari, al fine di ottimizzare le interferenze fra le due opere, con particolare attenzione alla realizzazione dei sovrappassi e dei sottopassi ed alle opere di mitigazione e di compensazione.
La concessionaria ha quindi avviato la progettazione definitiva dell'opera, che ha subìto un notevole rallentamento per ottemperare alla citata prescrizione, atta a conseguire la compatibilità tra la progettazione autostradale e quella ferroviaria Venezia-Trieste, che ad oggi non è stata avviata.
In particolare, al fine di effettuare le necessarie valutazioni connesse al parallelismo con la linea ferroviaria alta velocità/alta capacità, si è giunti, in data 13 Pag. 48giugno 2006, con atto di indirizzo della regione Veneto, alla definizione del tracciato per il tratto veneto compreso tra Quarto d'Altino ed il confine regionale (fiume Tagliamento). Con tale atto di indirizzo sono state fornite le indicazioni inerenti al corridoio ferroviario, al fine di non compromettere la realizzazione di quello autostradale, stabilendo, tra l'altro, che la linea ferroviaria non si affiancherà alla rete autostradale nel tratto Quarto d'Altino-San Donà di Piave.
ANAS Spa, pertanto, ha impartito disposizioni alla società Autovie Venete affinché la stessa procedesse con urgenza alla redazione della progettazione definitiva per l'ampliamento a tre corsie del tratto Quarto D'Altino-San Donà di Piave, con carattere di priorità. Tale tratto è da intendersi prioritario, in quanto andrà a confluire nel passante autostradale di Mestre, attualmente in corso di costruzione.
Per quanto attiene alla copertura finanziaria dell'intera opera, la stessa viene realizzata senza contributo pubblico, così come risulta dal piano economico finanziario della società, già approvato da ANAS con prescrizioni e che dovrà comunque essere rivisitato alla luce della sopravvenuta normativa che disciplina l'intero settore autostradale.
Al riguardo, ANAS ha già inviato alla società Autovie Venete lo schema di convenzione unica, che prevede la realizzazione per stralci attuativi della terza corsia per l'intera tratta da San Donà di Piave a Villesse da inserire nei successivi aggiornamenti di piano economico finanziario.
Il completamento del progetto è previsto per il prossimo mese di settembre.
Per quanto attiene alla tratta ricadente nella regione Friuli, rimangono ancora in sospeso alcune problematiche relative al parallelismo con l'alta capacità-alta velocità ferroviaria, in particolare per la tratta San Donà di Piave-Gonars, per la soluzione delle quali è stato istituito apposito tavolo tecnico presso il Ministero delle infrastrutture, anche alla presenza di Rete ferroviaria italiana Spa. Per la tratta Gonars-Villesse, non sussistono problematiche di tale genere.
Con riferimento, quindi, all'istanza relativa agli interventi, a breve e medio termine, legati alla sicurezza dell'autostrada, si rappresenta che gli stessi sono allo studio di ANAS e della società concessionaria.
Il Ministero delle infrastrutture, per quanto di propria competenza, garantisce il suo pieno impegno al completamento di tutte le fasi attualmente in corso. La terza corsia, si conferma, va fatta tutta ed in tempi brevi, non avendo alcuna controindicazione di tipo politico, ponendosi esclusivamente la necessità di chiarimenti dal punto di vista finanziario e progettuale, che sono tuttavia in fase di definizione.
PRESIDENTE. Il deputato Viola ha facoltà di replicare.
RODOLFO GIULIANO VIOLA. Signor Presidente, sono soddisfatto della risposta, ma vorrei interloquire con il sottosegretario circa le indicazioni fornite sulla questione sollevata con l'atto di sindacato ispettivo. Non ho riproposto, in fase di illustrazione, il contenuto dell'interpellanza urgente, che però è frutto di una situazione assolutamente grave nel territorio della provincia di Venezia ed in tutto l'asse che va da Trieste a Venezia. Ancora ieri si è registrato l'ennesimo incidente; si tratta, a volte, di microtamponamenti che tuttavia provocano code lunghe centinaia di chilometri, con riversamento del traffico sulle strade locali. Si possono ben immaginare, quindi, le conseguenti difficoltà per tutto il sistema socioeconomico di quel territorio, a prescindere, ovviamente, dall'evenienza più grave della perdite di vite umane.
Da tale punto di vista, prendo atto favorevolmente dell'impegno del Ministero a fare in modo che la terza corsia venga realizzata al più presto; prendo atto altresì del fatto che, come è stato chiarito nella risposta, non sussistano ostacoli di natura politica all'avanzamento del progetto ed alla sua realizzazione.
Nella risposta, peraltro molto importante ed articolata, del sottosegretario, onorevole Meduri, viene fatto riferimento Pag. 49ad alcune problematiche intercorse in questo periodo compreso tra l'avvio della fase di progettazione e la progettazione stessa; faccio in particolar modo riferimento all'interconnessione con la progettazione dell'alta capacità-alta velocità, che ancora non è avviata ma che - considerato il transito del corridoio n. 5 (che dovrà collegare Kiev a Barcellona) su questa parte del territorio - costituisce già, in prospettiva, uno degli elementi di prossimo intervento.
Da tale punto di vista, esprimo gravissima preoccupazione per il riferimento che viene fatto alla delibera regionale con la quale, sostanzialmente, la regione Veneto determina già, in qualche misura, i percorsi della nuova alta velocità senza che abbia svolto al riguardo alcuna attività di concertazione né con la provincia di Venezia né con i comuni interessati. Questi ultimi sono venti, rappresentati peraltro da una conferenza dei sindaci istituita, con legge regionale n. 16 del 1993, dalla stessa regione Veneto; conferenza che non è stata minimamente sentita, sebbene proprio sui territori di tali enti locali inciderà questa importante opera.
Premesso che noi siamo assolutamente favorevoli alla realizzazione dell'alta velocità come sistema di sviluppo anche di questo territorio, va ricordato che questa non può ricadere, come è stato fatto in altri territori, sugli enti locali interessati senza che si sia svolta alcuna concertazione.
Il parallelismo tra l'alta velocità e lo sviluppo della terza corsia deve essere a nostro parere riconfermato e, quindi, va rivista le delibera emanata dalla regione Veneto che disallinea il percorso dell'alta velocità rispetto a quello dell'autostrada. In questo senso, ringraziando ancora il sottosegretario Meduri per il suo intervento, chiedo che il Ministero delle infrastrutture si impegni affinché la progettazione, che ci viene detto sarà pronta per settembre, tenga conto anche di questi rilievi, impedendo di fatto di mettere delle precondizioni che costringerebbero la successiva progettazione dell'alta velocità ad invadere territori, tra l'altro, di particolare pregio ambientale (mi riferisco in particolare a tutto l'asse litorale della provincia di Venezia).
(Posizione dell'Italia riguardo al progetto statunitense di realizzazione di un sistema di intercettazione missilistica con basi in Europa - n. 2-00452)
PRESIDENTE. La deputata Deiana ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00452 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6).
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, la questione posta nell'interpellanza è di grande rilievo politico ed investe le scelte di destinazione dei fondi pubblici, le strategie militari del nostro paese ed anche la qualità dei rapporti tra le istituzioni dello Stato.
Qualora il contenuto nella nostra interpellanza corrispondesse a verità - in tal senso attendo la risposta del sottosegretario - significherebbe che vi sono stati dei meccanismi di indebolimento della trasparenza che su una materia di questo genere deve essere assicurata sia all'interno del Governo sia nel rapporto tra Governo e Parlamento.
Già nei mesi scorsi la stampa internazionale aveva veicolato all'attenzione pubblica la vicenda del sistema antimissilistico, riportando la notizia secondo la quale l'amministrazione Bush ha riesumato il progetto dello scudo spaziale, questa volta, a differenza che nel passato, con l'intenzione di allargare la protezione anche alla Polonia e alla Repubblica Ceca, nell'ambito, evidentemente, di una geopolitica orientale tendente ad inglobare nei meccanismi di autotutela dei paesi occidentali della NATO porzioni dell'ex impero sovietico.
La questione ci riguarda perché la stampa nazionale nelle ultime settimane ha dato notizia non solo del progetto statunitense per un sistema di intercettazione missilistica con basi in Europa orientale, ma ha rivelato l'esistenza di un coinvolgimento dell'Italia in questo progetto. Ne hanno parlato diversi organi di Pag. 50stampa nazionale, Il Manifesto con ricchi particolari, ma anche altri giornali, tra cui Il Messaggero di Roma.
In particolare, la stampa che si è occupata della questione ha riportato la notizia che la fonte di queste informazioni è il comandante dell'Agenzia missilistica del Pentagono, generale Henry Obering, il quale avrebbe affermato che il Governo italiano ha siglato un accordo quadro che definisce linee principali e meccanismi sulla base dei quali l'Italia collaborerà al progetto. Si tratta di una fonte ufficiale di grande autorevolezza e autorità, espressione dell'establishment statunitense che praticamente è stata veicolata a livello internazionale senza che il Governo italiano abbia avuto nulla da ridire.
Il quotidiano Il Manifesto, in un articolo a firma Manlio Dinucci e Tommaso Di Francesco del 1o aprile 2007, come già detto, arricchisce di particolari la vicenda, precisando che il memorandum di accordo quadro sarebbe stato siglato, al Pentagono, lo scorso febbraio, probabilmente dal sottosegretario per la difesa Giovanni Forcieri. Si fa riferimento ad un viaggio effettivamente compiuto dal citato sottosegretario - si tratta di una notizia ufficiale - per firmare l'assunzione di ulteriori impegni, da parte del nostro paese, nel programma del caccia statunitense F-35. Probabilmente, quindi, tale memorandum sarebbe stato siglato dallo stesso sottosegretario Forcieri.
Il problema, ovviamente, non è chi abbia firmato tale atto, ma se detto documento sia stato effettivamente firmato, nonché come si sia potuta adottare una scelta di questo genere senza che - come ci risulta - la questione sia stata discussa nel Consiglio dei ministri (come, del resto, richiederebbe l'articolo 2, lettera h), della legge 23 agosto 1988, n. 400), o tanto meno in Parlamento.
Ribadisco che si tratta di una questione che solo il dibattito provinciale del nostro paese sulle questioni internazionali e della difesa (ridotte a vicende che vengono continuamente derubricate a «faccenduole» del cortile di casa o dei rapporti tra maggioranza e minoranza) può ignorare! Insomma, siamo di fronte ad un tema di grandissima portata, che riguarda la nostra politica europea ed i nostri rapporti con la Russia.
Non è un caso, infatti, che la Federazione russa abbia sollevato, più volte, critiche rispetto a tale progetto, minacciando l'uscita dal trattato per l'eliminazione dei missili nucleari e richiedendo agli Stati Uniti, successivamente, la firma di un trattato di non aggressione. Ebbene, tale paese ha recentemente annunciato un programma di rinnovo di circa la metà del proprio arsenale ed equipaggiamento militare.
Vorrei segnalare che io stessa ho partecipato ad un incontro svolto con una delegazione di parlamentari russi dell'Assemblea della NATO, i quali hanno fatto di tale questione il tema centrale del confronto con la delegazione italiana. Siamo di fronte, dunque, ad un problema tutt'altro che secondario.
La scusa addotta dagli Stati Uniti per installare, già in fase sperimentale, questa protezione antimissilistica in Polonia e nella Repubblica ceca è l'esistenza del pericolo che proverrebbe dai futuri arsenali nucleari iraniani. Desidero osservare, tuttavia, che tutti i calcoli matematici circa la possibilità che si tratti di un'effettiva difesa contro l'Iran dimostrano che è solo una scusa: in realtà, si tratta di un riordinamento strategico, al fine di condizionare la Russia. Ciò pone notevoli problemi e rischia di far diventare l'Europa, qualora si portasse a termine un progetto di questo genere, una sorta di continente «cuscinetto».
Insomma, desidero sottolineare tale questione al di là dei problemi relativi agli aspetti di trasparenza, democrazia e onestà tra le istituzioni dello Stato, nonché agli impegni finanziari. Sussiste, infatti, l'esigenza di capire in cosa consisterebbe, laddove fosse stato firmato, un accordo di questo genere, poiché, come è evidente, non si può prescindere, di fronte a scelte così impegnative, dai contesti geopolitici e dalle strategie internazionali e militari del nostro paese.Pag. 51
Chiedo al Governo, quindi, se corrispondano al vero le notizie riportate dalla stampa in ordine alla decisione italiana di aderire a tale progetto; se così fosse, vorrei sapere per quale motivo una scelta così impegnativa sia stata assunta all'oscuro del Parlamento, sottraendola anche alla discussione in seno allo stesso Governo.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, Marco Verzaschi, ha facoltà di rispondere.
MARCO VERZASCHI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, l'interpellanza in discussione affronta la questione del progetto statunitense di installare un sistema di intercettazione missilistica in Europa che sta avendo particolare evidenza mediatica. Infatti, nell'ambito della stessa interpellanza vengono citate diverse testate giornalistiche che riportano, tra l'altro, la notizia che ipotizzerebbe la decisione italiana di aderire a tale progetto.
In senso generale è opportuno considerare che la difesa missilistica si inquadra nel più generale concetto di «deterrenza» e prende spunto dalla natura imprevedibile ed asimmetrica delle nuove minacce provenienti dal terrorismo internazionale e dagli Stati potenzialmente ostili proliferatori di armi di distruzione di massa.
In questo quadro concettuale si collocano i programmi portati avanti in ambito NATO e quelli sviluppati sul piano bilaterale con gli Stati Uniti da alcuni paesi europei.
Ciò detto, il sistema progettato dagli Stati Uniti prevedrebbe, in particolare, l'installazione di un sistema radar nella Repubblica Ceca e di batterie di missili intercettori in Polonia.
L'amministrazione americana ha dato nuovo slancio ai programmi nazionali di difesa missilistica in un quadro concettuale che attribuisce maggior peso alla «deterrenza negativa», vale a dire alla vanificazione degli obiettivi dei potenziali aggressori. Il progetto americano, inizialmente concepito in funzione della difesa nazionale, è evoluto a programma volto a tutelare anche i territori e le popolazioni dei paesi alleati e amici.
Gli Stati Uniti hanno avviato il rafforzamento dei loro sistemi operativi dislocando sistemi di missili intercettori, sensori e radar in Alaska e California.
Analogamente, Washington intenderebbe dispiegare sistemi di difesa (prevalentemente radar per allertamento rapido, ma anche sistemi per l'intercettazione dei missili offensivi nella prima fase del lancio) anche in Polonia e nella Repubblica Ceca.
I principali alleati sono stati incoraggiati ad associarsi ai progetti americani e sono state avviate cooperazioni, oltre che con il nostro paese, anche con altri paesi, fra i quali Giappone, Regno Unito, Danimarca, Australia, Israele, Olanda e Russia.
La difesa contro la proliferazione della minaccia missilistica è avvertita in seno all'Alleanza atlantica come un'esigenza soprattutto protettiva.
Da parte italiana, è stato recentemente firmato un Accordo quadro di cooperazione Italia-USA che amplia il perimetro di tale cooperazione al settore della difesa da missili balistici.
Si ricorda che con gli Stati Uniti esistono già da tempo rapporti di collaborazione industriale nel settore missilistico, tra i quali emerge per importanza quello per la progettazione e lo sviluppo del sistema Medium Extended Air Defence system (MEADS), sistema che gli Stati Uniti intendono utilizzare in sostituzione del sistema di difesa denominato Patriot, utilizzato da numerose nazioni europee e non.
Il citato Accordo quadro di cooperazione si inserisce nelle molteplici iniziative intraprese in ambito NATO, dove, fin dal 1996, sono state avviate varie attività volte alla realizzazione di idonei strumenti a protezione dell'Alleanza dal rischio derivante dall'uso di missili balistici equipaggiati con armi di distruzione di massa (WMD) da parte di nazioni ostili o gruppi terroristici.
L'Accordo in questione è giustificato dalla volontà dei due paesi di creare un quadro normativo che consenta alle due nazioni di rafforzare la cooperazione in Pag. 52ambito bilaterale in tale specifico settore, per consentire di dare l'avvio a scambi di informazioni propedeutici a eventuali successive collaborazioni.
In particolare per l'Italia appare infatti necessario avviare uno scambio di informazioni per supportare lo sviluppo di una policy nazionale, basandosi anche sull'attività in corso negli Stati Uniti con il programma di difesa del territorio e della popolazione da missili balistici ed un vista della possibilità che la NATO decida di dotarsi di un sistema similare in grado di difendere territori e popolazioni dell'Alleanza.
L'accordo non determina impegni e/o oneri finanziari tra le parti. È infatti demandata alla stipula degli accordi attuativi successivi, ciascuno finalizzato allo specifico settore di collaborazione, la definizione delle caratteristiche e delle modalità per la suddivisione dei costi associati. Anche in ambito NATO esistono avanzati programmi di cooperazione in materia di difesa antimissile, che mirano alla protezione di tutti i territori e delle popolazioni alleate.
A questo riguardo, l'Italia, unitamente ad altri alleati, ha sollecitato l'avvio di una riflessione sulle opportunità di integrazioni fra i due progetti NATO ed USA, anche in riscontro alle recenti sollecitazioni delle stesse Repubbliche Ceca e Polacca, che in relazione alle sopracitate installazioni, hanno fatto stato della loro volontà che esse diventino parte di un sistema di protezione «alleato».
È fuor di dubbio che la difesa missilistica abbia eminentemente una finalità protettiva, ma nuovi programmi sono suscettibili di alterare equilibri strategici consolidati, in particolare con la Russia.
Conseguentemente, il ministro degli affari esteri, onorevole D'Alema, unitamente a esponenti di altri paesi partner, tra i quali il primo ministro tedesco Merkel, hanno convenuto sull'opportunità che tale materia sia affrontata in ambito NATO, anche nel formato Consiglio NATO-Russia, così come anche nella dimensione dell'Unione europea.
Il Governo americano ha, peraltro, più volte sottolineato, sia nell'ambito dell'Alleanza atlantica che nel corso di contatti bilaterali con la Russia, le finalità prettamente difensive di tali sistemi, collegandole esclusivamente a potenziali minacce provenienti dal quadrante orientale e mediorientale.
Nelle ultime settimane poi, da parte americana è stata manifestata ampia disponibilità ad inserire a pieno titolo la difesa missilistica tra le questioni in discussione nel quadro del Consiglio NATO-Russia.
L'Italia auspica che questo confronto possa continuare ed anzi rafforzarsi, in uno spirito costruttivo e senza preclusioni pregiudiziali, poiché esso valorizza il ruolo di strumento di dialogo politico (oltre che di cooperazione pratica) del Consiglio NATO-Russia, soprattutto in materia di sicurezza.
Esso inoltre giova a dissipare timori da parte di Mosca, che appaiono ingiustificati, ma che meritano tuttavia di essere tenuti in debita considerazione e riscontrati.
L'Italia è da sempre impegnata, con coerenza, nella promozione degli strumenti multilaterali di non proliferazione, di controllo degli armamenti e di disarmo nonché nella ricerca di soluzioni pacifiche e negoziali delle controversie internazionali. Aspetti questi che costituiscono un caposaldo della politica estera del nostro Governo.
PRESIDENTE. La deputata Deiana ha facoltà di replicare.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, non sono soddisfatta della risposta. D'altra parte, l'ammissione del sottosegretario Verzaschi è molto chiara e, tra l'altro, contrasta con le dichiarazioni rese dal sottosegretario Forcieri ad un giornale a seguito di una mia critica in ordine alla mancanza di trasparenza relativamente a tale vicenda. In quell'occasione, il sottosegretario Forcieri aveva dichiarato che non era vero nulla e che avrebbe smentito tutto, mentre lei, sottosegretario Verzaschi, nella sua risposta ammette ogni cosa. Pag. 53Pertanto, prendo atto che, attraverso questo memorandum di cooperazione, siamo entrati all'interno di un piano, al quale gli Stati Uniti stanno lavorando da tempo e al quale attribuiscono una grandissima importanza.
Sono insoddisfatta nel constatare come, nell'assunzione di decisioni di questo genere, le regole non abbiano alcun valore. Infatti, la scelta di firmare questo memorandum d'intesa - mi piacerebbe sapere chi lo ha firmato e quando ciò è avvenuto e chiederò che sia messo a disposizione delle competenti Commissioni - non è passata neanche attraverso il Consiglio dei ministri. Quindi, si tratta di decisioni assunte in un ambito assolutamente separato, senza la possibilità di una discussione né in sede governativa né in sede parlamentare.
Pertanto, si modifica strada facendo la logica sottesa alla politica internazionale, alle alleanze ed alle preoccupazioni tattiche della politica internazionale senza che il Parlamento ne sia informato.
Voglio sottolineare l'enfasi con cui il generale Obering ha dichiarato, il 27 marzo di quest'anno, che aveva il piacere di annunciare che nello scorso febbraio era stato definito un memorandum di accordo-quadro con l'Italia, grazie al quale l'Italia e gli Stati Uniti avrebbero potuto iniziare a condividere tecnologie di difesa missilistica, analisi e altre forme di collaborazione.
Quindi, secondo queste dichiarazioni, si tratta di un passo importante, decisivo, che probabilmente non comporterà soltanto la disponibilità a fungere da lato sud-orientale della difesa missilistica, ma anche che l'Italia farà parte della linea difensiva e quindi, sostanzialmente, si troverà a dover ulteriormente sviluppare quel profilo di «colonia militare», continuando ad accogliere basi militari.
L'Italia infatti non soltanto continuerà ad ospitare le basi già esistenti, senza rimetterne in discussione assolutamente la logica, ma sembra condividere l'opportunità di un loro ampliamento, indispensabile per le strategie statunitensi.
Si tratta di una idea di difesa del nostro Paese che andrebbe discussa seriamente in sedi pubbliche, nelle sedi istituzionali della rappresentanza, e non negli stati maggiori o in sedi separate.
Sembra infatti che si accentui questo carattere di «colonia militare», accogliendo la collocazione di questi missili. Questa è una probabilità insita nelle parole del generale Obering e nella logica dell'accordo, perché non si tratta soltanto di scambi tecnologici e di cooperazione «letteraria».
Oltre a questo aspetto poi, evidentemente, se ci sarà possibilità di condivisione di tecnologie e di ricerche, è chiaro che ci saranno anche impegni di tipo economico. Tutto questo, ripeto, avviene in senza il coinvolgimento del Parlamento e questo non può essere assolutamente accettato.
Tornerò a chiedere spiegazioni su questo aspetto, chiederò che il memorandum sia messo a disposizione e, laddove non avvenga, chiederò se esso sia classificato, riguardando una materia che dovrebbe essere di dominio pubblico, oggetto di discussione pubblica.
Ciò in ragione della delicatezza politica immediata della materia, che non ha nulla a che vedere con questioni di difesa o di pericolo nazionale, perché si tratta invece di una questione di strategia, di programma, che dovrebbe seguire tutt'altro iter, laddove fosse deciso democraticamente di accedere ad una impostazione di questo genere.
Voglio sottolineare che si tratta di un sistema di difesa offensiva e non difensiva - lo ripeto, offensiva e non difensiva - che sostanzialmente garantirebbe agli Stati Uniti un first strike contro un paese nemico, un sistema che comporta un forte condizionamento nei confronti del lato orientale dell'Europa, in particolare della Russia.
Accolgo positivamente le preoccupazioni che sono state espresse dal Governo, in particolare, per quello che ho capito, dal ministro D'Alema, che su questi aspetti dimostra sempre delle sensibilità positive nei confronti delle preoccupazioni della Russia.Pag. 54
La Russia ovviamente non spreca occasione per criticare questa impostazione, così come continuamente critica l'espansione a est della NATO. Uno dei motivi ricorrenti negli incontri con la delegazione dei parlamentari russi è esattamente questo: vi è sostanzialmente - come dire - la percezione di essere sottoposti ad un accerchiamento da parte della NATO.
Non entro nel merito delle ragioni per cui il Governo russo solleva continuamente tale questione. Indubbiamente però, il fatto che la sollevi costituisce un problema e il fatto che lo scudo missilistico venga concepito e collocato sul versante orientale con la scusa dell'Iran, ma in realtà con un evidente, fattuale condizionamento nei confronti della Russia, costituisce un problema di politica estera, che sarà affrontato dal Governo italiano - come lei, sottosegretario, ha detto - in sede Nato, in sede di Consiglio di sicurezza, in sede europea, nei rapporti in questo istituito organismo della Nato che comprende la Russia. Sta di fatto però che il problema rimane in tutta la sua gravità e in tutto il suo peso.
Accolgo dunque il chiarimento fornito circa l'esistenza di questo memorandum di intesa. Dunque, le notizie che ci sono venute dalla conferenza stampa del generale Obering sono vere. Rilevo che il Governo italiano non aveva fatto nulla per informare...
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Deiana.
ELETTRA DEIANA. ...né la stampa, ma soprattutto il Parlamento, e rilevo che lo stesso Governo ha preso le decisioni senza un coinvolgimento di tutto il Governo.
Resto in attesa di poter leggere il memorandum e mi auguro che tutte le questioni di politica internazionale che ho sollevato possano essere oggetto di discussione e di approfondimento adeguati.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Lunedì 16 aprile 2007, alle 15:
1. - Discussione della proposta di legge:
CAPEZZONE ed altri: Modifiche alla normativa sullo sportello unico per le imprese e in materia di dichiarazione di inizio attività (1428-A);
e dell'abbinata proposta di legge: ALLASIA ed altri (1543).
- Relatore: Capezzone.
2. - Discussione del testo unificato delle proposte di legge:
ZELLER ed altri; BRUGGER ed altri; BENVENUTO e VANNUCCI: Modifiche alla legge 8 luglio 1998, n. 230, in materia di obiezione di coscienza (197-206-931-A).
- Relatore: Pinotti.
La seduta termina alle 16,15.