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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 185 di lunedì 9 luglio 2007
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI
La seduta comincia alle 16.
TITTI DE SIMONE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 25 giugno 2007.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Amato, Bersani, Bimbi, Bindi, Boco, Bonino, Capodicasa, Cento, Chiti, Colucci, D'Antoni, Damiano, De Piccoli, De Zulueta, Di Pietro, Donadi, Duilio, Fioroni, Folena, Forgione, Franceschini, Galante, Gentiloni Silveri, Landolfi, Lanzillotta, Levi, Mantovani, Maroni, Melandri, Minniti, Morrone, Leoluca Orlando, Parisi, Pecoraro Scanio, Pinotti, Piscitello, Pisicchio, Pollastrini, Prodi, Ranieri, Realacci, Rutelli, Santagata, Tremonti, Visco, Elio Vito e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Annunzio di petizioni (ore 16,03).
PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura del sunto delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.
TITTI DE SIMONE, Segretario, legge:
PASQUALE IMMACOLATO CIUFFREDA, da Manfredonia (Foggia), e altri cittadini chiedono l'abrogazione del comma 218 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, concernente il riconoscimento dei servizi prestati nei comuni e nelle province per il personale ATA proveniente dagli enti locali (365) - alla XI Commissione (Lavoro);
ROBERTA BARTOCCI, da Roma, e numerosi altri cittadini, chiedono un provvedimento legislativo per la promozione e diffusione dell'alimentazione vegetariana e vegana (366) - alla XIII Commissione (Agricoltura);
MORENO SGARALLINO, da Terracina (Latina), chiede nuove misure riguardanti gli istituti di detenzione e per favorire il reinserimento sociale dei detenuti (367) - alla II Commissione (Giustizia);
GIUSEPPE RICCIONI, da Busto Arsizio (Varese), chiede l'integrale applicazione dell'articolo 1 della Costituzione ai fini dell'effettiva partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese (368) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
ANTONIO FORTUNATO, da Verona, chiede:
modifiche al codice civile relative al ruolo degli amministratori nelle società per azioni (369) - alla II Commissione (Giustizia) e alla VI Commissione (Finanze);Pag. 2
nuove norme a tutela dei soci di minoranza delle società per azioni (370) - alla II Commissione (Giustizia) e alla VI Commissione (Finanze);
nuove norme in materia di fusione di società per azioni (371) - alla II Commissione (Giustizia) e alla VI Commissione (Finanze);
MARINO SAVINA, da Roma, chiede:
un provvedimento legislativo per garantire maggiori facilitazioni per i portatori di handicap e per i loro familiari (372) - alla XII Commissione (Affari sociali);
misure per migliorare la gestione degli uffici del Ministero dell'Interno (373) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
nuove misure sul trattamento di fine rapporto (374) - alla XI Commissione (Lavoro);
misure per la ridefinizione delle norme riguardanti l'immigrazione (375) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
RAFFAELE MAISTO, da Aversa (Caserta), chiede l'istituzione di nuove province (376) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
MARCO GIUNTI, da Pistoia, chiede provvedimenti per migliorare la sicurezza stradale (377) - alla IX Commissione (Trasporti);
MARIO GIULIANO, da Rimini, chiede che una quota delle imposte sulle persone fisiche e giuridiche sia destinata all'istituzione di un Fondo per la casa (378) - alla VI Commissione (Finanze);
FRANCESCO FELICE PREVITE, da Castiglione di Sicilia (Catania), chiede norme per il recepimento della Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità (379) - alla XII Commissione (Affari sociali).
Discussione del disegno di legge: S. 1214 - Delega al Governo in materia di riordino degli enti di ricerca (Approvato dal Senato) (A.C. 2599) (ore 16,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Delega al Governo in materia di riordino degli enti di ricerca.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 2599)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Ghizzoni, ha facoltà di svolgere la relazione.
MANUELA GHIZZONI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Modica, ci accingiamo a discutere un provvedimento importante perché incide su un settore - quello della ricerca scientifica pubblica - strategico per l'innovazione, per la crescita e per lo sviluppo economico ed occupazionale del nostro Paese.
Solo facendo del sapere, della creazione di nuove conoscenze e della ricerca di base il perno sul quale innestare il sistema sociale e quello produttivo - in sintonia, peraltro, con l'impegno assunto dal Governo e dai sindacati nell'intesa per un'azione pubblica a sostegno della conoscenza, siglata il 27 giugno scorso - l'Italia potrà affrontare con sicurezza ed equità la sfida dell'innovazione, del trasferimento tecnologico e della competizione internazionale.Pag. 3
Il disegno di legge in discussione, infatti, conferisce una delega al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi al fine di promuovere, rilanciare e razionalizzare il settore della ricerca e di garantire maggiore autonomia, trasparenza ed efficienza nella gestione degli enti pubblici nazionali di ricerca vigilati dal Ministero dell'università e della ricerca.
Il provvedimento incide su alcuni temi di stringente attualità: innanzitutto su quello della libertà di ricerca, di profilo costituzionale, che ha risonanza diretta sia con l'individuazione del sistema di governance più efficace per gli enti pubblici nazionali di ricerca, sia con i rapporti tra ricerca pubblica e mondo della politica e tra ricerca pubblica e mondo produttivo, in una cornice di riferimento che non può più essere nazionale, ma necessariamente europea. Si tratta di questioni che potrebbero apparire molto specifiche e tecniche, e pertanto lontane dai problemi della quotidianità. Non vi è nulla di meno vero: i temi esposti, infatti, rappresentano le declinazioni del rapporto complesso tra politica, società e scienza, soprattutto in riferimento all'ammissione alle frontiere di quest'ultima, rispetto alle domande e ai bisogni crescenti dei cittadini, nell'epoca della mondializzazione e dell'internazionalizzazione delle comunità scientifiche.
La ricerca e la conoscenza, inoltre, sono essenziali alla crescita culturale e alla promozione della persona - così come rileva anche il dettato costituzionale, che ne tutela il valore intrinseco - e, al contempo, sono imprescindibili allo sviluppo della collettività, soprattutto in riferimento alle applicazioni tecniche e tecnologiche della ricerca di base.
A fronte di tali considerazioni, il disegno di legge delega al nostro esame, nel testo approvato dal Senato, delinea una riforma che concorrerà concretamente allo sviluppo del sistema nazionale della ricerca, perché ispirata ai principi di autonomia statutaria, di valutazione dei risultati conseguiti e di responsabilità dello Stato nel coordinamento e nell'incentivazione del settore.
Alcuni colleghi, facendosi interpreti di sollecitazioni giunte dalle organizzazioni sindacali e dalla comunità scientifica, opporranno al disegno di legge delega l'obiezione che esso limita la propria azione ai soli enti sottoposti alla vigilanza del Ministero dell'università e della ricerca, senza estenderla, quindi, a tutti gli enti e alle istituzioni pubbliche nazionali di ricerca e, in particolare, all'ENEA, vigilato dal Ministero dello sviluppo economico.
A tale specifico proposito, ricordo che il disegno di legge delega è stato presentato dal Ministro dell'università e della ricerca limitatamente agli enti sui quali esso esercita la diretta vigilanza, in coerenza con la delega contenuta nel decreto fiscale collegato alla manovra finanziaria del 2006. A quest'ultima il Governo non ha dato seguito, accogliendo l'ordine del giorno riferito all'atto Senato 1132 che impegnava l'Esecutivo a non procedere con regolamenti di delegificazione, bensì a presentare, in alternativa, un disegno di legge delega, che ora è oggetto della nostra discussione. Ritengo, pertanto, che su tale aspetto specifico non vi siano i presupposti giuridici, ma soprattutto che, in considerazione del punto avanzato raggiunto dall'iter legislativo, non vi siano in questo frangente le condizioni per estendere all'intero sistema degli enti pubblici di ricerca il contenuto normativo del provvedimento in discussione.
Tuttavia, al di là della vigilanza esercitata dai diversi ministri, credo che il Parlamento ed il Governo debbano assumere iniziative volte a garantire per tutti gli enti i principi che ispirano la proposta di legge delega e, in particolare, quello dell'autonomia statutaria. Consentire agli enti, infatti, di attingere alla propria esperienza per definire le regole più efficaci per il proprio funzionamento significa riconoscerne concretamente l'indipendenza e la libera attività di ricerca per l'avanzamento della conoscenza.
Pertanto, se è da respingere l'ipotesi di un intervento emendativo del testo su tale aspetto specifico, credo si possa optare,Pag. 4tuttavia, per la via interpretativa, nell'augurio che essa possa essere ampiamente sottoscritta.
Come accennato, tra i principi ispiratori ai quali il Governo dovrà attenersi vi è quello del riconoscimento dell'autonomia statutaria agli enti, nel rispetto dell'articolo 33, comma 6, della Costituzione. Sul punto, desidero richiamare l'attenzione dei colleghi, perché siamo di fronte a una vera innovazione, che finalmente riconosce autonomia agli enti e, pertanto, libertà individuale ai ricercatori e alle ricercatrici e piena assunzione di responsabilità, da parte delle comunità scientifiche, rispetto agli obiettivi conseguiti dalla propria attività.
L'autonomia statutaria è da anni attesa dal settore, poiché, sotto questo profilo, né la cosiddetta legge Ruberti - che pure ha sancito l'autonomia regolamentare - né le successive riforme dei Ministri Berlinguer e Moratti sono state decisive.
Ora occorre assicurare alla ricerca pubblica italiana autonomia nella definizione delle proprie regole e degli assetti organizzativi, affinché tengano conto della specificità della ricerca scientifica.
In sintesi, non si può procrastinare la possibilità per gli enti di determinare la governance più utile al raggiungimento della propria missione, in grado di mettere in valore le prassi di lavoro tipiche della comunità scientifica, prevalentemente fondate sulla libertà degli scienziati nella definizione dei progetti di ricerca e sulla collaborazione reciproca, sullo scambio dei saperi e sull'interazione delle informazioni.
Tali prassi negli ultimi anni, soprattutto in alcuni enti, sono state compresse, quando non compromesse, da vincoli burocratici e da una rigida impostazione verticistica dell'organizzazione del lavoro.
A tale proposito e coerentemente all'autonomia statutaria, il testo prevede, tra i principi della delega, anche l'adozione di misure organizzative finalizzate a valorizzare sia la professionalità e l'autonomia dei ricercatori, sia il ruolo dei consigli scientifici, affinché la comunità dei ricercatori possa essere realmente protagonista della vita e dell'attività degli enti.
Peraltro, l'opportuno richiamo ai principi della Carta europea dei ricercatori, introdotto nel testo durante la lettura al Senato, va in questa stessa condivisibile direzione. L'autonomia statutaria non consentirà solo nuove prospettive di sviluppo alla ricerca pubblica, ma soprattutto garantirà agli enti un assetto normativo in grado di sottrarli ai contingenti mutamenti dello scenario politico.
Infatti, il succedersi in tempi ravvicinati, nella XIII e nella XIV legislatura, di complesse riforme di riordino del sistema nazionale della ricerca scientifica e tecnologica, peraltro prive di ampie convergenze politiche, non ha certo creato quel clima di serenità e di stabilità di cui invece necessita il mondo della ricerca per poter conseguire concreti esiti di sviluppo e definire una proficua programmazione del lavoro.
Auspico, pertanto, che il prezioso lavoro svolto dai senatori nell'arricchire il testo originario del disegno di legge delega, con l'approvazione di emendamenti ampiamente condivisi dalle diverse forze politiche, possa essere preludio di una normativa che non sarà modificata a breve, perché rispondente ai bisogni del Paese e sancita dalla maggioranza più ampia possibile dello schieramento parlamentare.
Auspico, inoltre, che la convergenza ottenuta al Senato possa replicarsi anche in quest'Assemblea attraverso un dibattito che sappia espungere la polemica fine a se stessa, per lasciare spazio alla comune volontà di dare regole nuove e condivise alla ricerca italiana.
In quanto relatrice del provvedimento, so di avere una precisa responsabilità, affinché possa concretarsi un clima di serena partecipazione. Pertanto, desidero rassicurare i colleghi, in particolare quelli dell'opposizione, che non mi sottrarrò a tale responsabilità. Tornerò, però, su questo aspetto nella conclusione del mio intervento, che dedicherò all'analisi dei punti di maggiore criticità contenuti nel provvedimento.Pag. 5
Poiché ho accennato alle precedenti riforme di riordino ed in considerazione del titolo attribuito alla delega, che tradisce l'ampio respiro del provvedimento, riducendone il contenuto alla sola azione di riordino, ritengo opportuno precisare che il riordino è cosa ben diversa dalla definizione degli assetti e che l'ambito di applicabilità di riordino degli enti, previsto dal disegno di legge, è limitato specificamente ai settori della fisica della materia, dell'ottica e dell'ingegneria navale.
Si tratta dei settori che dall'intervento di riordino attuato dalla precedente legislatura non hanno tratto alcun beneficio in ordine alla capacità di progettualità, agli esiti conseguiti e alla resa scientifica ottenuta.
Nella legge delega, il principio dell'autonomia statutaria, come modificato dal Senato, si confronta con quello della valutazione. L'attività degli enti sarà sottoposta alla costituenda Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca, il cui varo chiediamo avvenga rapidamente con l'attuazione della delega attribuita al Governo. Le stesse risorse finanziarie saranno assegnate agli enti tenendo conto della valutazione ottenuta.
Ritengo che si tratti di principi importanti e molto innovativi per la ricerca italiana, perché mediante il giudizio sulla resa scientifica espresso da un soggetto terzo, l'ANVUR, sarà finalmente valorizzata l'efficienza organizzativa e l'efficacia progettuale delle comunità scientifiche dei singoli enti.
La delega prevede, inoltre, che ai principi di autonomia statutaria e della valutazione si affianchi la responsabilità del Governo nell'indicare la missione e gli obiettivi di ricerca degli enti, in raccordo con il programma nazionale della ricerca e con gli obiettivi strategici dell'Unione Europea.
La ragione di questa impostazione, introdotta al Senato e frutto di una larga intesa, risiede nell'incidenza che la ricerca pubblica esercita sullo sviluppo dell'intero sistema paese e, pertanto, essa va incentivata e coordinata.
Dal criterio ora esposto discende quello individuato per la selezione dei presidenti e dei membri di nomina governativa dei consigli di amministrazione, che saranno scelti tra una terna di candidati proposta da appositi comitati nominati dal Governo, ma rappresentativi - ed ampiamente partecipati - della comunità scientifica nazionale ed internazionale.
Questo metodo consente di porre il filtro della competenza e della trasparenza alle nomine del Governo riducendo sensibilmente la discrezionalità della politica a vantaggio della ricerca scientifica.
Infine, voglio ricordare, se pure per titoli, che la delega contiene l'opportuna previsione di norme antidiscriminatorie tra uomini e donne nella composizione degli organi statutari. Per avere cognizione del gravissimo squilibrio di genere, ovviamente a svantaggio delle ricercatrici e delle scienziate, presente negli organi degli enti italiani rinvio ai dati di uno studio reperibile sul sito web dell'associazione «Donne e scienza».
Spero che sia chiaro a tutti i colleghi non solo che tale condizione è riconducibile al persistere di pregiudizi culturali che mortificano il merito e il talento delle ricercatrici italiane (che peraltro hanno una media di conseguimento del PHD al di sopra di quella europea), ma anche che il perdurare di tale evidente disparità penalizza il rinnovamento e l'eccellenza dell'intero sistema della ricerca, oltre che disattendere l'articolo 51 della Costituzione e la stessa Carta europea dei ricercatori.
Concludo soffermandomi sulle norme previste ai commi 3 e 4 dell'articolo 1, introdotte al Senato, che prevedono, rispettivamente, l'emanazione degli statuti degli enti con decreto del Ministro dell'università e della ricerca e, in sede di prima applicazione, che il Ministro ricorra ad una o più commissioni di esperti espressione della comunità scientifica per la formulazione degli statuti stessi. Nei due commi si è trovata una sintesi ampiamente condivisa dalle forze politiche del Senato nella volontà di porre gli enti, nella fase di avvio della riforma che riconoscePag. 6la loro autonomia, al riparo sia dal commissariamento, sia dall'eventualità che i nuovi statuti siano redatti dai gruppi dirigenti nominati con i vecchi criteri.
Alla Camera tali norme sono state oggetto sia di un vivace dibattito in Commissione, sollecitato principalmente dai colleghi dell'opposizione e dalle organizzazioni sindacali sentite nel corso di un'audizione informale, sia di osservazioni e di condizioni espresse nei pareri della I Commissione e dal Comitato per la legislazione. In particolare questi ultimi pareri della I Commissione e del Comitato per la legislazione hanno evidenziato che le previsioni del terzo e del quarto comma appaiono in contrasto con l'articolo 33 della Costituzione e non pienamente coerenti con i principi espressi nel comma 1, lettera a), dell'articolo 1 dello stesso disegno di legge delega che riconosce agli enti, come già anticipato, l'autonomia statutaria.
Alla luce di tali rilievi e, non da ultimo, a fronte della mancata previsione del coinvolgimento delle comunità scientifiche dei singoli e specifici enti nella formulazione della prima stesura degli statuti, ritengo che nel corso della discussione in Assemblea potremo trovare un nuovo punto di sintesi che ottemperi ai rilievi mossi e risolva le criticità segnalate dalle forze politiche, sebbene gli stessi gruppi parlamentari nella discussione al Senato e in Commissione alla Camera abbiano palesato, a tale proposito, opinioni differenti se non contrastanti.
Signor Presidente, concludo nell'auspicare che sul provvedimento si possa trovare quell'intesa largamente condivisa necessaria alle riforme di ampio respiro di cui si è fatto interprete il Presidente della Repubblica nel suo messaggio in occasione della festa del 2 giugno, poiché il provvedimento consentirà a settori della ricerca regole durature, maggiore autonomia dalla politica, valutazioni dei risultati, dimensione europea ed internazionale, protagonismo della comunità scientifica.
È il Paese che chiede alla politica questa riforma urgente e noi non possiamo mostrarci sordi ad un appello così accorato (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
LUCIANO MODICA, Sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sasso. Ne ha facoltà.
ALBA SASSO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il disegno di legge delega di cui oggi comincia la discussione in Assemblea venne sollecitato da un ordine del giorno approvato dal Senato della Repubblica in occasione dell'approvazione del disegno di legge collegato alla finanziaria del 2007 che prevedeva un riordino per via regolamentare. In quell'ordine del giorno si sollecitava, però, una procedura diversa, e il Ministro Mussi lo accettò.
Molti colleghi affermano che gli ordini del giorno non servono a niente, ma in quel caso l'ordine del giorno è servito, e grazie ad esso è stato presentato il disegno di legge delega in esame, con l'obiettivo del riordino degli enti di ricerca e del riconoscimento agli stessi dell'autonomia statutaria - quella che, a mio avviso, è la vera ed innovativa riforma di questo testo - nel rispetto del principio costituzionale della libertà di ricerca, dei principi della Carta europea dei ricercatori e della raccomandazione della Commissione europea 2005/251/CE.
Voglio ricordare in questa sede come nella riunione del marzo scorso del Consiglio europeo si sia ancora una volta sottolineata la necessità per tutti i Paesi europei di rafforzare il cosiddetto «triangolo della conoscenza», formato da innovazione, ricerca ed istruzione, e si sia istituito il Consiglio europeo della ricerca. Essere in Europa significa dunque anche sviluppare innovazione, istruzione e ricerca, per crescere.Pag. 7
Ricordo altresì che la Carta europea dei ricercatori richiama un altro grande tema, oggi all'attenzione del Paese: come attrarre verso la ricerca i migliori talenti e i migliori giovani talenti, superando gli handicap rappresentati dalla precarietà e dai bassi salari. Precarietà e ricerca sono due termini in opposizione tra loro. In particolare, la precarietà è un tarlo per l'efficacia della ricerca, perché sicuramente non consente né di individuare né di premiare il merito. Si fa tanto parlare di merito e di meritocrazia nel nostro Paese, ma cominciamo a cancellare la precarietà.
Qualche giorno fa Pietro Citati lanciava una provocazione, dalle pagine del quotidiano la Repubblica: raddoppiate gli stipendi agli insegnanti, che sono il nuovo proletariato della società contemporanea. Suggerirei analogo appello per i lavoratori della ricerca. Abbiamo ascoltato in via informale, nella VII Commissione, una loro delegazione - lo ha ricordato la relatrice - in occasione della giornata di mobilitazione dei sindacati confederali contro la precarietà nella ricerca. È un tema che questo Governo deve al più presto affrontare.
È stato già sottolineato, sia nel dibattito in Commissione, sia in quello al Senato, come il disegno di legge in esame non sia solo un provvedimento di natura tecnica; esso, infatti, sollecita grandi questioni. Mi riferisco, ad esempio, alla libertà della ricerca, tema che riguarda in primo luogo sicuramente aspetti di natura giuridica - dall'autonomia alla governance - ma che investe altresì questioni antiche e modernissime insieme. Ne cito alcune: il rapporto tra libertà delle comunità scientifiche e l'importanza che ci sia un momento pubblico di definizione di obiettivi su cui la ricerca deve impegnarsi, soprattutto nel momento in cui la stessa si internazionalizza con sempre maggiore velocità; in altre parole, il rapporto tra politica e ricerca, tra responsabilità della politica e libertà della ricerca.
Ricordo altresì l'importanza del coordinamento dei vari enti di ricerca, che, come è noto, in Italia non sono solo quelli vigilati dal Ministero dell'università e ricerca, perché vi sono enti di ricerca che fanno capo al Ministero della difesa, al Ministero dell'ambiente, al Ministero delle politiche agricole ed al Ministero dello sviluppo economico. Come è norma in altri Paesi, ci sarebbe bisogno di un coordinamento dell'attività di ricerca di questi enti su grandi scelte e priorità nazionali, perciò mi auguro che, a questo proposito, altri progetti di legge prevedano analogo riordino, nel più breve tempo possibile.
Un altro tema importante concerne il rapporto tra ricerca e sviluppo complessivo del Paese.
Questo nodo ha un valore del tutto peculiare in Italia, in cui c'è con evidenza il problema di un sistema produttivo che ancora troppo poco incorpora conoscenza e innovazione nelle sue linee produttive. Nel bel libro di Paolo Sylos Labini Un paese a civiltà limitata si analizza proprio il tema di come tra i fattori di sviluppo della produttività ci sia appunto quell'investimento nella ricerca, non saltuario, che produca nel tempo e sia in grado di garantire efficacia e risultato.
L'ultimo problema riguarda la necessità di investire di più e con più convinzione, da parte del Governo, nella conoscenza quale leva essenziale e settore decisivo per la crescita del Paese (mi pare che il Documento di programmazione economico-finanziaria che ci accingiamo a discutere segnali a tale proposito un'inversione di tendenza). Si tratta di un obiettivo, peraltro, presente nel programma dell'Unione, che sicuramente non è il Vangelo, ma, altrettanto sicuramente, è il testo in forza del quale abbiamo vinto le elezioni. Perciò mi auguro che anche nella prossima legge finanziaria si vada in questa direzione, con la convinzione che investire di più nella ricerca possa significare anche innovare, cambiare, razionalizzare, essere al passo con l'Europa su questo terreno e non, come qualcuno pensa, mantenere burocrazia, privilegi o gente che lavora poco.
Il disegno di legge delega alla nostra attenzione succede ad altre fasi di riforma degli enti: un periodo di tempo che duraPag. 8da più di dieci anni, un susseguirsi di riforme senza tregua. Qualcuno ha sottolineato - ma credo che il buon senso parli da solo - come una continua ristrutturazione degli enti destinati a svolgere ricerche e a progettare nel tempo il loro lavoro sia dannosa per l'attività di ricerca, che ha bisogno, invece, di certezze, di continuità, di stabilità. Non si risolvono i problemi della ricerca con le ingegnerie istituzionali o con lo spoil system: abbiamo già provato, non funziona. Si tratta, però, nello stesso tempo, di superare l'assetto delineato nella precedente legislatura che, di fatto, ha reso i consigli di amministrazione pletorici e spesso incapaci di funzionare e la macchina amministrativa più gerarchica e maggiormente tesa al controllo che alla promozione della ricerca.
Il disegno di legge delega di cui stiamo discutendo ha precisi obiettivi e finalità delineati nell'articolo 1: promuovere, rilanciare, razionalizzare le attività del settore della ricerca, garantire autonomia, trasparenza ed efficienza nella gestione degli enti pubblici nazionali di ricerca. Credo che si tratti di temi importanti, e di conseguenza, al di là degli obiettivi, sono fondamentali i continui richiami all'autonomia statutaria degli enti, la necessità, ribadita più volte, del coinvolgimento della comunità scientifica nelle procedure di costituzione degli organi di governo, il potenziamento della professionalità e dell'autonomia dei ricercatori, la valorizzazione del ruolo dei consigli scientifici, l'adozione di misure che favoriscano la dimensione europea della ricerca, la cooperazione con gli altri Paesi - perché senza cooperazione non c'è ricerca -, la semplificazione, la sburocratizzazione, l'adozione di misure antidiscriminatorie. Non riprendo, a tale proposito, le osservazioni della relatrice Ghizzoni: le donne nella ricerca sono molte secondo i parametri europei, ma la loro presenza crolla in ogni posizione apicale.
Se mi permette, signor Presidente, vorrei sollevare un problema: nelle ultime settimane su ogni tema sensibile, dalla pedofilia all'immigrazione, su ogni tema che tocca, come dire, la qualità della vita e il suo sviluppo, intervengono quasi esclusivamente le donne, come lei oggi può vedere. Credo che questo vada rivendicato...
WALTER TOCCI. Allora posso andarmene!
ALBA SASSO. No, non te ne devi andare! Anzi, devi restare!
PRESIDENTE. Gli iscritti a parlare sono quasi in parità: quattro a tre!
ALBA SASSO. Quasi in parità: abbiamo, come dire, garantito la norma antidiscriminatoria, signor Presidente!
È un problema che intendevo segnalare, perché la questione della rappresentanza femminile e della presenza delle donne nel mondo della ricerca, così come nel mondo della politica, penso stia a cuore a tutto il Parlamento.
Il disegno di legge in esame non si propone di riordinare ancora una volta gli enti di ricerca (il riordino si limita allo scorporo dal CNR dell'Istituto nazionale di fisica della materia, e all'Istituto italiano per le tecnologie). Esso - lo affermavo in precedenza - mira soprattutto a riconoscere l'autonomia statutaria degli enti, mai garantita sin dai tempi della legge Ruberti: autonomia octroyée, sostengono i più critici; ma non lo credo.
Vedo con favore le aperture della relatrice, rispetto alle questioni più controverse, anche nel dibattito in Commissione, in particolare sulla prima elaborazione degli statuti. Dobbiamo sapere, tuttavia, che non bastano le leggi per modificare gli enti di ricerca, non bastano le ingegnerie istituzionali, come ho già sottolineato, se tutto questo non dà vita ad un processo che rappresenti anche un cambiamento di mentalità. Dobbiamo sapere che tutto ciò avrà efficacia se si avvierà questo processo, nel quale ognuno abbia l'azzardo di mettersi in discussione, la volontà di saper riconoscere e valorizzare la sua mission,Pag. 9distinguendo tra compiti della politica e compiti delle comunità scientifiche.
Il testo in esame contiene una novità importante: l'avvio dell'Agenzia per la valutazione del sistema, cioé di un'agenzia terza, con il compito di valutare i risultati della ricerca, anche definendo, in base ad essi, l'entità dei finanziamenti. Passare dalla cultura dell'adempimento a quella del risultato rappresenta un cambiamento profondo, che chiama in causa la capacità di saper scegliere e di essere responsabili delle proprie scelte.
Le misure contenute nel disegno di legge in discussione, i «paletti» ai decreti legislativi, sono tutti «segnavia» - come direbbe Tullio De Mauro - di una volontà di cambiare strada e di innovare profondamente il settore della ricerca. Programmazione, autonomia, valutazione possono costituire sicuramente gli assi portanti di un sistema della ricerca basato sul principio dell'indipendenza, della libertà, della responsabilità. Esiste anche la possibilità di adottare decreti correttivi entro dodici mesi o e ciò è sempre un elemento positivo in una legge.
Un'ultima questione: una maggiore autonomia significa migliore funzionamento? Lo sostenevo prima: ciò avverrà se si verificherà un'assunzione di responsabilità nei confronti non solo del lavoro della ricerca, ma anche della possibilità di rendere la stessa più trasparente e più efficace nello sviluppo del Paese. Non sarà certo facile, ma occorrerà farlo.
Qualche scienziato sostiene che la spinta della conoscenza è sempre l'elemento che vince, perché la ricerca non si può fermare né per legge né per precetto. Edoardo Boncinelli sostiene che continuerebbe negli scantinati. Ritengo, tuttavia, che garantire al mondo della ricerca risorse, semplificazione normativa, libertà dalla burocrazia, autonomia, autonomia e ancora autonomia, sicuramente gioverà al sistema. Prendiamo atto che questa è la strada che intende percorrere il disegno di legge in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo e L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Filipponio Tatarella. Ne ha facoltà.
ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Signor Presidente, sottosegretario Modica, onorevoli colleghi, non mi soffermerò, per quanto riguarda il disegno di legge in discussione, su ciò che funziona. Sono consapevole, infatti, che il testo che è pervenuto all'Assemblea è stato notevolmente ampliato e ha una conformazione abbastanza diversa rispetto a quella originaria, anche con l'apporto dell'opposizione.
Tuttavia, la consapevolezza che l'opposizione, vale a dire la mia parte, ha contribuito a licenziare il testo che oggi stiamo discutendo, non è un motivo per me sufficiente per non rilevare ancora quegli elementi, che a mio avviso non funzionano e sui quali mi soffermerò. Sia la relatrice Ghizzoni che il deputato Alba Sasso hanno esposto tutto ciò che si poteva su questo testo, ovviamente con descrizioni non neutre, ma ciò rientra nella natura delle cose, quindi va benissimo. Mi soffermerò, dunque, sul senso del disegno di legge in esame.
Come si sa, l'elemento più rilevante che una norma possiede è la sua ratio. Una norma giuridica non solo «ha» una ratio, ma «è» la sua ratio. Pertanto, la prima domanda verte esattamente su tale aspetto: qual è la ratio del disegno di legge al nostro esame? A mio giudizio essa consiste nel determinare i principi generali, che dovranno poi essere assorbiti e tradotti nei singoli decreti legislativi che il Governo dovrà adottare. Pertanto, il contenuto dei decreti legislativi dipenderà proprio nella parte più importante, quella relativa ai principi generali, dalla giustezza o meno dei principi contenuti nel disegno di legge. La giustezza di questi ultimi costituisce il presupposto per la giustezza dei susseguenti decreti legislativi. Il problema riguarda, quindi, la scelta dei criteri con cui verranno determinati, nel disegno di legge, i principi generali. Certamente, tali criteri andrebbero individuati non facendo ricorso alla nostra libera creatività,Pag. 10ma in modo molto più semplice (e anche più faticoso) seguendo due direttrici: la prima è segnata dalle norme costituzionali, la seconda dalla natura delle cose sulle quali stiamo cercando di introdurre una normazione.
Comincio dalla prima direttrice, vale a dire dalle norme costituzionali. In materia di ricerca scientifica, come è noto, ma come forse non è intempestivo ripetere, la Costituzione, all'articolo 9, come è stato già ricordato, prescrive che la Repubblica assuma un ruolo promozionale rispetto allo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica e, all'articolo 33, che nel fare ciò rispetti la libertà di ricerca, tramite la salvaguardia dell'autonomia delle istituzioni di alta cultura universitaria ed accademica, nei limiti stabiliti dalla legge.
La seconda direttrice per il rinvenimento dei principi generali che in questo disegno di legge dovranno essere determinati è indicata dalla natura delle cose, che, tra l'altro, mi sembra già recepita correttamente dalle norme costituzionali. La natura delle cose ci dice dunque che la ricerca è, per sua natura, libera. Una ricerca che non sia libera, francamente, mi sembra un ossimoro, che vanifica il concetto stesso di ricerca. Dall'altra parte, ci dice anche che lo Stato, rispetto a tale naturale libertà, interviene negli enti pubblici nazionali di ricerca - cioè quelli finanziati con soldi pubblici - sia nell'individuazione della missione dell'ente (si tratta di una questione alla quale in questa sede mi limito a fare cenno), sia nel ruolo di incentivazione e coordinamento, sia, soprattutto, nel controllo dell'effettiva efficienza degli enti stessi. Insomma, controlla se la ricerca si fa e se si fa bene.
Mi rendo conto che la libertà e l'autonomia sono un rischio e che esse non sempre sono state usate bene dagli enti di ricerca; ma la libertà è un rischio per tutti, al quale però, purtroppo, noi esseri umani non ci possiamo sottrarre, a livello né individuale, né collettivo. E quindi, che fare?
Occorre lasciarla perché, malgrado tutto, rappresenta un bene assoluto. Peraltro, mi rendo conto che è difficile controllare ciò che deve essere libero e che si tratta di un compito molto delicato, il quale si consuma su un crinale sottilissimo ove è facile propendere da una parte o dall'altra. Tuttavia, a mio avviso, ciò che è difficile richiede solo un maggiore sforzo intellettuale ed etico. Mi riferisco ad uno sforzo etico in quanto è etico affrontare i problemi come osservatori disinteressati, cioè senza pregiudizi ad esempio ideologici o, peggio ancora, di parte.
In ogni caso, ciò rappresenta il compito al quale siamo chiamati e che dobbiamo svolgere, semplicemente per osservare i principi fondamentali del nostro ordinamento. Pertanto, riepilogando, i principi che devono essere stabiliti nel disegno di legge in discussione sono costituiti dalla libertà e dall'autonomia degli enti di ricerca, che si realizzano da un lato nella formulazione degli statuti - in quanto autonomia vuol dire stabilire da se stessi le proprie regole - dall'altro, mediante l'incentivazione nella ricerca e il controllo sui risultati di tale ricerca da parte dello Stato. Ciò è quanto prescrive la Costituzione e, a mio avviso, rappresenta il senso delle cose. Ritengo che entrambi tali elementi costituiscano condizioni congiuntamente necessarie e sufficienti per la legittimità del provvedimento in discussione e di ogni altro eventuale provvedimento in materia di enti di ricerca o, in generale, sulla ricerca.
Pertanto, mi chiedo se il disegno di legge in discussione soddisfi le due condizioni di legittimità, appena indicate. Leggendo il comma 1 dell'articolo 1 del provvedimento e le successive lettere a), b), c) e d) sembra che la risposta possa essere affermativa. Infatti, nel comma 1 dell'articolo 1 è richiamato il rispetto dell'articolo 18 della legge 15 marzo 1997, n. 59. Nella lettera a) del medesimo comma è richiamato il rispetto dell'articolo 33, sesto comma, della Costituzione, nonché della Carta europea dei ricercatori in riferimento all'autonomia statutaria degli enti di ricerca. Nella lettera b) è previsto che venga affidato all'Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca ilPag. 11compito di valutare la qualità dei risultati della ricerca svolta dagli enti, nonché l'efficienza delle loro attività istituzionali. Alla lettera c) si prevede e si sottolinea, cioè si stabilisce per legge, l'attribuzione di risorse finanziarie da destinare a tali enti, nonché i criteri per destinare le relative somme. Alla lettera d) si prevede di riordinare gli organi statutari, con riduzione del numero dei loro componenti (saggia decisione) e si stabilisce che l'individuazione dei presidenti e dei componenti di nomina governativa dei consigli di amministrazione avvenga tramite scelte effettuate in rose di candidati proposte da appositi comitati di selezione nominati di volta in volta dal Governo. Pertanto, la lettera del testo normativo sembrerebbe seguire ed eseguire le due condizioni di legittimità indicate poc'anzi. Purtroppo, a mio avviso si tratta francamente solo di un'apparenza valida prima facie, perché il comma 1 dell'articolo 1 e la lettera a) del medesimo comma vengono clamorosamente contraddetti dai commi 3 e 4 nonché dalla lettera a) del comma 2 dello stesso articolo 1 del disegno di legge. Infatti, la lettera b) del comma 1 dell'articolo 1, sebbene preveda la valutazione dell'efficienza della ricerca, la affida ad un organismo i cui componenti sono scelti esclusivamente dal Ministero dell'università e della ricerca. La successiva lettera c) prevede l'attribuzione di finanziamenti, determinandone anche i criteri di attribuzione. Peccato che tali finanziamenti siano assolutamente insufficienti e che, pertanto, a mio avviso, è forse pleonastico indicarne i criteri. La successiva lettera d) attribuisce nuovamente al Governo pieni poteri, in quanto i comitati di selezione vengono tutti nominati dal Governo.
Pertanto, è già evidente che in questo disegno di legge le due condizioni di legittimità, indicate poc'anzi, vengono considerate più che altro come due rette parallele, che, come noto, sono destinate a non incontrarsi mai. Tuttavia, a mio avviso, ad uno sguardo più approfondito, una delle due condizioni, quella relativa all'autonomia statutaria dell'ente viene elusa ed elisa.
In sostanza i commi 2, 3 e 4 di questo disegno di legge stabiliscono, innanzitutto, che la formulazione degli statuti è riservata al Governo. A me pare che a niente valga la precisazione che il Governo si avvarrà di commissioni composte da esperti - questa precisazione, secondo me, è un po' un fumo negli occhi - perché esso si avvale sempre di esperti. Qual è la novità? In realtà, la titolarità della formulazione è - e rimane completamente - del Governo, ma anche l'emanazione è demandata al Governo! L'intera materia degli statuti, quindi, è totalmente nelle mani del Governo, che la determina - ripeto - nella fase sia della formulazione sia dell'emanazione. È in tale ambito che, secondo me, si consuma l'elisione dell'autonomia costituzionale degli enti di ricerca. Per questo motivo, a mio avviso, alcune norme - quelle da me indicate - contenute in questo disegno di legge sono doppiamente contraddittorie: sono in contrasto non soltanto con le norme costituzionali già citate, creando una sorta di contraddizione esterna, ma anche con il comma 1, lettera a) dell'articolo 1, producendo addirittura una contraddizione interna, che, come è noto, è un vizio logico che genera un non senso. La permanenza sic et simpliciter di questi due commi, secondo me, creerebbe seri problemi, perché da una parte determinerebbe un problema di costituzionalità, dall'altra causerebbe un problema - ripeto - di sensatezza dello stesso provvedimento che stiamo esaminando.
Potrei continuare l'analisi di questo disegno di legge, ma non lo farò, non tanto per non stancare gli uditori, che forse sono abituati alle «maratone», ma essenzialmente perché, avendo individuato i punti dolenti, francamente il resto mi sembra l'accidente rispetto alla sostanza. Cercherei, invece, di soffermarmi su quanto detto in precedenza.
Ritengo, quindi, che questa duplice violazione - quella di cui ho poc'anzi parlato - sia grave, anche perché questo disegno di legge, come è noto, è il presupposto della vera decretazione. Tutti gli errori di questo provvedimento si riverseranno inevitabilmentePag. 12sui successivi decreti legislativi delegati. Questo disegno di legge, come è già stato notato e come naturalmente è già noto, è di estrema importanza, sia per il suo oggetto sia per la sua operatività. L'oggetto è nientemeno la ricerca scientifica, cioè una delle dimensioni che decreta il tasso della cultura, della scienza, della tecnica, dell'economia, dello sviluppo e della competitività del nostro Paese. Questo provvedimento deciderà tutto ciò non solo per l'oggi, ma immediatamente per il futuro, coinvolgendo la nostra responsabilità per le generazioni future. Esso deciderà, in altri termini, della qualità della nostra vita: non nell'alternativa tra una vita buona e una vita cattiva, ma, secondo me, più radicalmente, tra una vita e una non vita. Se si pensa veramente all'incidenza decisiva che hanno oggi la scienza e la tecnica - questa è l'epoca della tecnica, come si sostiene abitualmente - davvero ci rendiamo conto di quanto ogni nostro legiferare in materia incida, poi, sull'effettiva operatività? Non sono norme che rimangono un flatus vocis, ma che operano immediatamente. Vorrei che di ciò ci rendessimo tutti conto!
Il disegno di legge in esame sembrerebbe non essere un maxi-disegno di legge (è composto da un solo articolo). A volte, invece, quelle che appaiono cose non grandissime, secondo me, possono decidere il nostro destino. E mi sembra appunto che questo sia il caso del disegno di legge che stiamo discutendo. Inviterei quindi tutti - come, del resto, è stato detto, lo apprezzo e naturalmente ricambio la disponibilità manifestata - a mettere da parte, almeno per il momento le rispettive posizioni politiche (che, com'è noto, non ho seguito, considerato che al Senato gli aspetti sono stati leggermente più attenuati). Pensiamo veramente al bene del Paese, perché la posta in gioco è molto importante. Ed è per questo motivo che invito il Governo, e tutti in quest'Assemblea, a riconsiderare con molta serenità, ma anche con molta serietà, i punti dolenti che ho indicato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Garagnani. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, colleghi, ho già espresso in Commissione, a nome del gruppo di Forza Italia, anche in sintonia con i colleghi della Casa delle Libertà, le nostre perplessità; o meglio, considerando che definirle così sarebbe un eufemismo, le ragioni della nostra ferma opposizione a un provvedimento, come quello che stiamo esaminando, che riteniamo profondamente inutile e soprattutto lesivo dell'autonomia, del ruolo fondamentale degli enti di ricerca come sono oggi strutturati. Soprattutto, ci ha lasciato sorpresi, nelle sedi competenti (ho letto e ascoltato la relazione della collega Ghizzoni) la sottovalutazione di quanto è stato operato dal precedente Governo. Non per una ragione di parte: credo che l'attuale Governo ed il relatore della maggioranza avrebbero dovuto effettuare una migliore valutazione dell'operato del Governo precedente in una materia come questa, in riferimento agli elementi di novità che sono stati inseriti ed alla necessità di farsi carico di una fase di transizione indispensabile più che mai in un progetto che riguarda gli enti di ricerca.
È bene ricordare in questa sede, proprio per giustificare anche il nostro atteggiamento, che il profondo riordino degli enti di ricerca vigilati dal Ministro dell'università e della ricerca ha recepito ampiamente le sensibilità e le richieste che provenivano dal mondo scientifico. Tale riordino si è sviluppato in tre distinte fasi: la prima, consistita nella configurazione della forma legislativa del riordino medesimo, ha comportato un ampio dibattito sia negli enti interessati (è bene ricordarlo) sia in Parlamento; e mi dispiace che anche nella relazione di maggioranza ciò sia stato accennato in modo eccessivamente superficiale, quasi demonizzante. Tutto ciò si è concluso il 4 giugno 2003, con l'emanazione di tre decreti legislativi: il primo recante il riordino del Consiglio nazionale delle ricerche, il secondo il riordino dell'Agenzia spaziale italiana, il terzo il riordino dell'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf). Un ulteriore decreto relativo all'istituzionePag. 13dell'Istituto nazionale di ricerca metrologica è stato emanato nel gennaio del 2004.
A tale attività legislativa è seguita una fase transitoria, della durata di un anno, durante la quale gli enti sono stati commissariati, in particolare al fine di agevolare le complesse (e sottolineo, complesse) azioni di accorpamento e trasferimento di reparti previste dalle nuove norme di legge. Dopo il periodo di commissariamento si è proceduto ad attivare negli enti nuovi organi di governance stabiliti dai decreti legislativi, e il riordino è così potuto entrare nella fase conclusiva caratterizzata dalla implementazione, in ciascun ente, delle profonde ristrutturazioni previste dai decreti. È bene rammentare che, a tutt'oggi, tale fase non è ancora stata completata, a causa della difficoltà del problema in sé e per sé, e soprattutto per la necessaria dilazione in un lasso di tempo ragionevole, per dare compiuta attuazione ai ricordati decreti. Ad esempio: nel CNR non è ancora operativa la fondamentale struttura dei dipartimenti, bloccata, tra l'altro, dal Governo mediante una incredibile disposizione contenuta nel decreto-legge, poi in parte modificato, cosiddetto «mille proroghe».
Da questi pochi cenni si intuisce - ho desiderato ribadirlo in questa sede - che il tempo necessario per questi processi di riordino è assai lungo: addirittura, non inferiore ai tre o quattro anni. Dal momento che si tratta di anni che costituiscono inevitabilmente una perturbazione dell'attività di ricerca, vi si deve ricorrere il meno possibile ed esclusivamente in presenza di esigenze veramente avvertite dalla comunità scientifica e dall'opinione pubblica.
In questa sede, è inoltre bene rammentare che, nel corso del dibattito sui decreti legislativi svoltosi nel 2003 nell'apposita Commissione bicamerale, le obiezioni avanzate da parte dei parlamentari e delle forze politiche che allora si trovavano all'opposizione e che oggi sono al Governo non riguardarono mai gli aspetti fondamentali del riordino. Né, peraltro, da allora ad oggi è accaduto alcunché che abbia potuto sovvertire o modificare le ragioni che avevano motivato allora il riordino e l'atteggiamento delle forze politiche presenti nella ricordata Commissione (un atteggiamento che, lo ripeto, era costruttivo e in larga parte benevolo verso gli aspetti fondamentali dei richiamati provvedimenti).
Lascia dunque stupiti ed allibiti il fatto che nel collegato fiscale approvato lo scorso novembre - è bene rammentare anche questo - fu inserita una norma che autorizzava il Governo a riordinare nuovamente gli enti di ricerca afferenti al Ministero dell'università e della ricerca, addirittura facendo ricorso allo strumento del regolamento governativo. A tale scelta, per il vero, il Governo decise in seguito di rimettere mano, di fronte alle proteste dell'opposizione ed all'approvazione di un ordine del giorno che lo invitava, almeno per senso della dignità e per rispetto verso le istituzioni, ad utilizzare lo strumento del disegno di legge delega: va detto, però, che originariamente l'ipotesi era quella che fosse un regolamento governativo a definire il riordino degli enti di ricerca. Ciò in barba alle osservazioni - che spesso vengono svolte in questa sede - sul rispetto della democrazia, della libertà, del ruolo e della centralità del Parlamento: tutte osservazioni che ci siamo sentiti ripetere spessissimo nella scorsa legislatura e su cui oggi - non solo attraverso il provvedimento al nostro esame, ma anche attraverso altri provvedimenti - la maggioranza «glissa» disinvoltamente e con una tranquillità che lascia davvero sbigottiti.
Un altro punto su cui desidero soffermarmi è quello relativo al riconoscimento dell'autonomia statutaria degli enti. Tale autonomia è, in sé e per sé, giusta: essa deve essere motivata, ma potrebbe rispondere ad una logica che potremmo ritenere valida, dal momento che gli enti di ricerca abbisognano di profonde modifiche (soprattutto della definizione di un ruolo e di obiettivi verso i quali essi debbono condurre le loro attività). Nel dire ciò, cito ancora la collega Ghizzoni, che, in questaPag. 14sede ma anche - e soprattutto - nella sua relazione, si è soffermata sul valore dell'autonomia statutaria. Su questo punto credo però che dobbiamo concentrare la nostra attenzione: noi del gruppo di Forza Italia siamo, infatti, particolarmente critici nei confronti della definizione dell'autonomia statutaria degli enti per come essa viene formulata in questo provvedimento (non mi riferisco, desidero essere chiaro, all'autonomia statutaria tout court). Ciò per una serie di motivazioni. La prima è che il compito di uno statuto è quello - è a tutti noto - di individuare la missione dell'ente: viceversa, il provvedimento al nostro esame, alla suddetta lettera a) (anche su questo punto, come si è già detto, il Senato ha svolto un lavoro di miglioramento del testo: ma si tratta di un miglioramento insufficiente a condurci a modificare la nostra valutazione complessiva del provvedimento), limita tale autonomia prevedendo la responsabilità del Governo nell'indicazione della missione e di specifici obiettivi di ricerca per ciascun ente. Anche su questo punto credo che dobbiamo essere estremamente chiari: la missione degli enti non può infatti essere lasciata all'arbitrio del Governo; tant'è che, nei decreti legislativi cui facevo riferimento in precedenza, essa veniva definita per legge ed in dettaglio attraverso appositi articoli (intitolati «finalità dell'ente» ed «attività dell'ente»).
Dunque, francamente, colleghi, vi è una notevole differenza di autorevolezza, di stabilità e di solidità tra una «missione» approvata dal massimo livello decisionale dello Stato ed una autoconfigurata dall'ente o eteroconfigurata dal Governo. Ed è proprio su tale ultimo punto che vorrei si soffermasse la vostra attenzione, quello, cioè, di una missione eteroconfigurata dal Governo, il quale avrebbe la totale autonomia e libertà di diversificare la missione stessa a seconda di convenienze momentanee e non in funzione di un progetto ben definito, reso pubblico e supportato da una serie di dati scientifici e, soprattutto, realizzato attraverso un confronto preciso nelle aule parlamentari e nelle Commissioni competenti.
Anche per tale motivo, dunque, il disegno di legge alla nostra attenzione rischia di determinare un declassamento degli enti di ricerca.
L'altro punto fondamentale - che ho richiamato in Commissione e richiamo ora in questa sede (come peraltro, con una certa insistenza, hanno fatto i nostri colleghi al Senato) - riguarda il problema della struttura di governance dell'ente. Anche con riferimento a tale aspetto, il testo originario, come abbiamo visto, è stato implementato, per così dire, al Senato con alcune modifiche ed osservazioni (e tutto ciò che può migliorare un testo è bene accetto), ma quando la sostanza del provvedimento non muta, perché le finalità alla base del medesimo rimangono le stesse, allora credo che i miglioramenti si rivelino insufficienti.
Come affermavo in precedenza, il disegno di legge al nostro esame, sulla governance dell'ente di ricerca, «dice» ancora troppo poco. Infatti, si stabilisce che i componenti del consiglio di amministrazione del CNR devono essere in maggioranza di nomina governativa, ma non vengono fornite indicazioni precise né in merito a chi competa la nomina dei consiglieri di amministrazione e dei membri dei consigli scientifici né per quanto concerne le competenze precise e definite dei consigli di amministrazione e dei consigli scientifici (anche alla luce di quanto avvenuto in un recente passato) e neppure, infine, con riferimento alla durata della permanenza nelle suddette cariche.
Questa evasività è, evidentemente, determinata dalla volontà di dare contenuti incerti alla formula dell'autonomia statutaria, di fatto esponendo l'ente a gravi rischi.
Desidero precisare che le modalità di governance di un ente non sono, infatti, sovrastrutturali, ma strettamente collegate alla missione che all'ente è stata affidata.
Una errata o diversa interpretazione di tale concetto è alla base dell'insuccesso relativo di alcuni enti di ricerca negli anni passati; in ogni caso, la governance di un ente di ricerca deve essere sufficientemente forte, a nostro modo di vedere, perPag. 15sapere resistere alle inevitabili pressioni corporative (e sottolineo l'espressione «corporative»): tutti noi sappiamo, infatti, quanto la storia di questi enti di ricerca e la storia dell'Italia repubblicana siano piene di questo tipo di pressioni e come tali enti, partiti con finalità ottime, si siano rivelati poi, alla fine, inutili carrozzoni burocratici per la gran parte (basti pensare all'ENEA, solo per non fare nomi!).
A tale riguardo, chiamo evidentemente in causa le responsabilità di tutti i Governi - non solo dell'ultimo -, ma è chiaro che, proprio alla luce di ciò, dobbiamo svolgere una approfondita riflessione e sottrarci alla naturale tendenza a condurre le attività di ricerca su troppe tematiche, una tendenza patologica che rischia di ingenerare una dispersione di risorse incredibile, tanto più che siamo in presenza di scarse risorse.
Di fronte a tali considerazioni, continuo a dubitare - l'ho già sostenuto in Commissione - che le governance configurate in base all'autonomia statutaria avranno una determinata caratteristica di forza che le renda in grado di imporsi e di definire alcune priorità.
È bene rammentare, peraltro, che altri compiti primari vengono usualmente definiti da uno statuto, quali, ad esempio, la struttura operativa dell'ente (i dipartimenti, gli istituti), le modalità di formulazione dei piani di attività (il piano triennale, il piano annuale, il bilancio preventivo), le modalità di presentazione dei risultati dell'attività, le modalità di approvazione dei regolamenti e via dicendo.
Lo statuto deve poi anche mirare a promuovere aspetti fondamentali della vita di un ente di ricerca, come un vigoroso spirito meritocratico (ed anche questo è un punto dolente che ha registrato, nel passato, varie e differenti interpretazioni o applicazioni), un forte collegamento internazionale (ho visto che anche nella nuova redazione del provvedimento vi è il riferimento al collegamento internazionale, richiamato anche dalla collega Ghizzoni, anche se, formulato in modo così generico, non è sufficiente), la cultura della proprietà intellettuale, la cultura del progetto, la cultura del risultato, la cultura, infine, del ritorno dell'investimento.
Mentre a tutte queste vitali esigenze prestano dovuta attenzione in modo ben preciso, nel loro articolato, i decreti legislativi sopramenzionati - invito i colleghi a rileggerli -, poco o nulla, al riguardo, anche con le modifiche introdotte recentemente al Senato, dice il disegno di legge delega in esame, evidentemente demandando tali ambiti alle autonomie statutarie.
Di conseguenza, non vi è la minima garanzia che gli statuti che saranno autonomamente stabiliti dai singoli enti presteranno un'adeguata attenzione a tali aspetti. Inoltre, la configurazione di una sostanziale autoreferenzialità degli enti di ricerca attraverso l'autonomia statutaria è completata e confermata dalla disposizione che affida all'ANVUR la valutazione dell'attività di ricerca, altro punto sul quale dissentiamo.
Temiamo, infatti, che l'attività di valutazione risulti essere, per così dire, a maglie troppo larghe in quanto viene definita in termini imprecisi e indeterminati ed inoltre si protrae troppo nel tempo, con la conseguenza che avrà una scarsa efficacia, mentre le disposizioni di cui ai decreti legislativi citati (approvati durante il Governo Berlusconi con il Ministro Moratti), avendo istituito, per ciascun ente di ricerca, un valido comitato di valutazione operante al suo interno, a nostro modo di vedere, avevano e avrebbero ancora oggi una loro intatta validità nel determinare la valutazione.
Di fatto, come dicevo prima, siamo in presenza di una autoreferenzialità ispirata ad una concezione in parte superata del ruolo della ricerca nella vicenda sociale ed economica del Paese.
L'altro punto, l'ultimo, sul quale vi è un profondo dissenso da parte del nostro gruppo, è relativo alla norma che consente al Governo, pur con alcune cautele - ho letto anche le modifiche apportate dal Senato -, di procedere ad accorpamenti e scorpori di enti o di loro reparti nei settori della fisica della materia, dell'ottica ePag. 16dell'ingegneria navale, con la possibilità di creare addirittura nuovi enti di ricerca.
È bene segnalare, per quanto riguarda l'accorpamento dell'Istituto nazionale di fisica della materia, quanto affermato dalla collega Ghizzoni nella relazione.
Da parte nostra segnaliamo che l'accorpamento di tale istituto nel CNR, disposto dal decreto legislativo n. 127 del 2003, ha perseguito l'importante obiettivo di concentrare le risorse di ricerca disponibili in Italia in questo fondamentale settore che sviluppa potenti sinergie con molti altri settori della ricerca presenti nel CNR. L'accorpamento in questione è stato allora ben motivato dalle prospettive di elevati benefici risultanti da tale concentrazione e da tale integrazione.
L'operazione inversa, di creare nuovamente l'Istituto nazionale di fisica della materia tramite eventuale enucleazione di reparti dal CNR (che con il provvedimento in esame velatamente, o di fatto, si autorizza) avrà solo, a nostro modo di vedere, conseguenze negative. Non ha, inoltre, alcuna motivazione se non quelle dettate da una logica politica che antepone intenti di parte - desidero dirlo! - agli interessi generali del Paese.
In conclusione, ribadisco la netta contrarietà sul provvedimento in esame, soprattutto con riferimento all'ultima modifica introdotta, che concerne l'intento di riordino dell'Istituto italiano di tecnologia, di cui alla lettera b) del comma 2 dell'articolo 1 del disegno di legge.
L'Istituto italiano di tecnologia, a detta degli esperti e non certo del sottoscritto (che non lo è, ma fa il parlamentare ed ha parlato con molti di loro), costituisce, nel panorama della ricerca italiana, una coraggiosa novità, sia per le modalità di finanziamento (finora pubblico, ma strutturalmente aperto al privato), sia per la tematica di avanguardia scelta, sia per l'elevatissimo livello dei ricercatori, sia per l'eccezionale grado di internazionalizzazione.
Mi pare pertanto particolarmente grave che si intenda porre termine, di fatto, a tale sperimentazione.
Anche sulla base di un confronto avuto con esperti del settore, che hanno ribadito la notorietà di tale istituto negli altri Paesi d'Europa, devo osservare che tale ente è nato per dare dignità specifica alla ricerca di tipo tecnologico anche nel nostro Paese. In Italia, infatti, si è puntato moltissimo sulla ricerca fondamentale, mentre la ricerca tecnologica è stata di solito un sottoprodotto, al contrario di altri Paesi come Germania, Giappone e Stati Uniti, che hanno creato strutture fortemente orientate ad una ricerca più di tipo applicativo.
I risultati di tale scelta sono sotto gli occhi di tutti. L'Istituto italiano di tecnologia, per la prima volta in Italia, cerca di svolgere una ricerca, così come si dice in linguaggio tecnico, technology driven, che porti nel medio e lungo termine a qualcosa di avveniristico, di grande prospettiva. Questa ricerca, quindi, non solo creerebbe conoscenza, ma comincerebbe, nel breve termine, a dare dei risultati e a fornire applicazioni riferibili a diversi problemi e diverse tematiche industriali, sociali e così via.
Il cambiamento di rotta deciso dal Governo, a nostro modo di vedere, non si giustifica assolutamente, anche alla luce delle affermazioni e dei risultati conseguiti da questo istituto, che - lo dicevo prima, ma lo ribadisco, specificandolo ulteriormente - in settori come la robotica, le neuroscienze, la nanobiotecnologia, ha svolto un'opera proficua e apprezzata unanimemente. Su tale opera, sui risultati da questa conseguiti, credo che un'ulteriore riflessione da parte del Governo sarebbe stata opportuna.
Signor Presidente, in conclusione, desidererei svolgere un ultimo accenno al problema dei ricercatori. Ne abbiamo già parlato nel contesto della riforma universitaria. Tuttavia, è chiaro che quando si parla di riforma degli enti di ricerca non si può non fare riferimento a tale figura professionale, dotata di particolarità e specificità del tutto significative e che necessita anche di un riconoscimento che invece oggi non c'è. Infatti, la mia ultima considerazione è che l'autogoverno della comunitàPag. 17scientifica è una questione strettamente legata a quella dello status del ricercatore; infatti, esiste, purtroppo, nel sistema pubblico della ricerca, una notevole disparità fra ricercatori e docenti delle università, il cui status è definito da norme di legge che ne regolano tutti gli aspetti, e, viceversa, ricercatori degli enti di ricerca, il cui status è per molti aspetti indeterminato e talora, cosa del tutto inusuale nel panorama scientifico internazionale, definito presso i tavoli mutevoli della contrattazione sindacale, per di più indistintamente riferita a tutto il personale. Quest'ultimo aspetto può apparire marginale, ma è significativo.
Concludendo, queste considerazioni non hanno voluto soltanto essere un patetico richiamo al passato; esse sono motivate, pur con la povertà delle mie osservazioni, con i benefici che i tre decreti emanati, durante il Governo Berlusconi, dal Ministro Moratti hanno portato alla ricerca scientifica e con la necessità di individuare uno spazio di tempo ragionevole per fornire la possibilità, alla riforma degli enti di ricerca attuata da questi tre decreti, di ricevere piena attuazione soddisfacendo gli sviluppi richiesti. Tutto ciò non è avvenuto per una volontà univoca, anomala e prepotente di modificare il tutto facendo tabula rasa di quanto era stato compiuto dal Governo precedente, che non è stato ancora percepito fino in fondo.
Per tali ragioni, a nome del gruppo di Forza Italia, ma espliciteranno la nostra posizione anche colleghi che interverranno successivamente, preannuncio sin d'ora il nostro voto contrario, che si basa, peraltro, su riflessioni già svolte sia in Commissione sia nel dibattito presso il Senato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Simone. Ne ha facoltà.
TITTI DE SIMONE. Signor Presidente, vorrei anzitutto rispondere al collega Garagnani, ricordandogli che, per quanto mi riguarda, penso che in politica il legislatore, nelle iniziative e nelle riforme che porta avanti, debba agire soprattutto rispettando il principio del consenso.
Vorrei ricordare al collega Garagnani che le cosiddette riforme varate nel corso della precedente legislatura sono state introdotte in assenza di un essenziale meccanismo di consenso da parte del mondo accademico. Tutti ricordiamo, forse il collega Garagnani non lo ricorda, che il mondo dell'università fu attraversato da una mobilitazione eccezionale, proprio nel tentativo di modificare parti essenziali di quegli interventi. Pertanto mi sembra assolutamente necessario da parte nostra individuare gli elementi di discontinuità rispetto a quell'impianto, a partire dagli aspetti di metodo (perché anch'essi costituiscono sostanza), procedendo in una direzione diversa. In primo luogo, cercando di uscire da una situazione caotica nella quale, nella precedente legislatura, si era operato; in questo senso, il presente provvedimento ha lo scopo di intervenire attraverso il riassetto di un settore che è stato profondamente mortificato e penalizzato, io credo anche danneggiato per certi versi, da una lunga sequela di interventi legislativi di riforma e di controriforma nel corso degli ultimi dieci anni, che hanno trovato un apice nella precedente legislatura.
Mi sia permesso di fare una premessa, anche perché la discussione su questo provvedimento interviene in un momento in cui nel mondo dell'università e della ricerca vi è una mobilitazione in corso da parte del mondo dei precari, che non possiamo ignorare, non per ragioni corporative, che non interessano la nostra discussione (o, almeno, chi parla). Il problema è quello di cercare di individuare, anche in questo contesto, le priorità e i problemi reali che riguardano questo settore.
Il tema della precarietà, oltre a quello delle risorse, mi sembra cruciale. Avremo modo di affrontare il tema delle risorse successivamente, anche in sede di discussione del DPEF, dunque nei prossimi giorni, ma siamo ben lontani dalla media europea dei Paesi dell'OCSE (media del 2,5 per cento). Anche su questo tema, sappiamo che le riforme a costo zero sono piuttosto difficili da sviluppare; pertanto viPag. 18è la necessità, e lo faremo nell'ambito della discussione sul DPEF, di compiere uno sforzo importante per l'individuazione di risorse necessarie ad un investimento robusto in un settore che consideriamo strategico per il futuro del Paese.
Il problema della precarietà, come dicevo, è essenziale. Anche a tale riguardo non si può non vedere come, nel momento in cui parliamo di ricerca e di enti di ricerca, di fatto parliamo anche di condizioni di estrema precarietà e di precarizzazione. Si tratta di un problema molto grave: ritengo che sia necessario intervenire con delle robuste politiche di stabilizzazione. La nostra ricerca ha bisogno di stabilità, di certezze, di programmazione, e tutto ciò naturalmente non si può realizzare con una platea di ricercatori che sostanzialmente vive in condizioni di precarietà e di precarizzazione.
Abbiamo dunque bisogno di robuste iniezioni di risorse. Ritengo che, nell'ambito della discussione del DPEF, dovremmo dare delle risposte in questo senso, sia con il DPEF, sia con la nuova legge finanziaria per il 2008, proprio nella direzione di un superamento di questa precarizzazione e di una stabilizzazione delle diverse situazioni che comprendono contratti a tempo determinato scaduti all'interno delle università e degli enti di ricerca e anche la proroga dei contratti che non sono stati rinnovati dagli atenei, come viene denunciato in queste ore dalla mobilitazione.
Penso che il provvedimento in discussione, dunque, si prefigga degli obiettivi positivi e, certamente, importanti, relativi alla necessità di riassettare e di riordinare la situazione molto caotica e disagiata del mondo degli enti della ricerca, la cui autonomia - lo ricordo - ha subito nel corso della precedente legislatura dei colpi eccezionali.
Dunque, è molto importante che, da questo punto di vista, venga restituita alla comunità scientifica, nella sua interezza, la prospettiva e il ruolo pieno sottrattole dai diversi e maldestri tentativi di controriforma della precedente legislatura.
Ritengo che in questo testo vi siano molti elementi volti in tale direzione. L'impianto stesso, infatti, affronta la questione fondamentale degli statuti e dell'agenzia sulla valutazione che, finalmente, diventa uno strumento fondamentale, essenziale, autonomo e terzo sulla base di criteri assolutamente condivisi all'interno della comunità scientifica.
Nel mio intervento, tuttavia, devo sottolineare (naturalmente ciò sarà oggetto di riflessione nel prosieguo della discussione parlamentare) anche alcune carenze che, a nostro avviso, si ravvisano in tale provvedimento e che sono state segnalate anche dalle organizzazioni sindacali. Condividiamo tali elementi di criticità e, naturalmente, siamo soddisfatti che, nella sua relazione, la relatrice li abbia comunque indicati e abbia manifestato la disponibilità ad un confronto serio, preciso e puntuale su di essi. Ciò in quanto ritengo che il nostro lavoro si debba concentrare essenzialmente su tali elementi. Quindi, abbiamo voluto segnalare, con una serie di emendamenti presentati in Assemblea, alcuni strumenti che, dal nostro punto di vista e da quello delle organizzazioni sindacali e della comunità scientifica, costituiscono delle correzioni a tali aspetti.
La prima questione fondamentale è costituita dalla necessità di operare solo sugli enti di ricerca vigilati dal Ministero dell'università e della ricerca. È necessario, infatti, scongiurare qualsiasi pericolo e rischio di frammentazione, di divaricazione o di distinzione tra tutti gli enti pubblici di ricerca. Dunque, è necessario che il provvedimento in discussione non solo garantisca agli enti pubblici di ricerca vigilati dal Ministero dell'università e della ricerca i principi di autonomia previsti costituzionalmente e sanciti normativamente nell'articolo 8 della legge n. 168 del 1989, ma preveda anche la capacità di estendere tali principi a tutti gli altri enti ed istituzioni della ricerca pubblica, unitamente agli impegni di valorizzazione del personale e della comunità scientifica collegati al riconoscimento di tale autonomia e già in gran parte contenuti nel provvedimento stesso.Pag. 19
Dunque, ritengo necessario rispondere a tali esigenze e, in tal senso, abbiamo presentato un emendamento volto ad estendere il provvedimento a tutti gli enti, proprio per scongiurare il pericolo di una progressiva divaricazione tra i diversi enti a livello di finanziamenti, di modalità organizzative e, quindi, di autonomia.
Altri due aspetti, a nostro avviso, meritano una correzione.
Innanzitutto, con riferimento all'autonomia statutaria - obiettivo fondamentale ed importantissimo del provvedimento - il meccanismo individuato dà pochissima certezza rispetto all'esito di tale percorso. Le commissioni di nomina esclusivamente governativa, infatti, non aiutano, da questo punto di vista, a delineare un quadro di certezze: la strada del coinvolgimento della comunità scientifica e dell'assunzione di responsabilità - che fu indicata per gli statuti delle università e che ci sembrava giusto percorrere anche per gli enti di ricerca - non è stata proposta. Ne è stata proposta, invece, un'altra, e nei confronti di tale previsione muoviamo le nostre critiche, proponendo alcuni elementi correttivi.
Altra questione è il coinvolgimento del personale di ricerca degli enti, che è stato escluso, secondo l'impianto del provvedimento, dalle commissioni per l'individuazione dei rispettivi presidenti, non avendo alcuna possibilità di esprimersi al riguardo. Anche a tal proposito pensiamo che sia necessario garantire la massima partecipazione e la più ampia apertura possibili delle diverse rappresentanze ed espressioni del mondo scientifico (soprattutto di chi, negli enti, effettua la ricerca): anche questo, pertanto, costituisce un elemento, segnalato dalle organizzazioni sindacali, che deve essere sottoposto a correzione.
Scorrendo il testo del provvedimento, voglio soffermarmi su altri aspetti, come ad esempio il riordino degli organi statutari. Qualcuno, giustamente, ha pensato di inserire la norma sull'esclusione dei dipendenti dell'ente interessato e del personale del Ministero dell'università e della ricerca dalla partecipazione ai comitati per l'individuazione di rose di candidati per le nomine governative, al fine di evitare il rischio di un presunto corporativismo. Questo procedimento e questo percorso rischiano di produrre un risultato dannoso, perché possono provocare una pericolosa separazione tra la comunità scientifica interna e la comunità scientifica, universitaria, esterna all'ente, e quindi una possibile dipendenza della prima dalla seconda.
Anche a seguito del confronto con il personale, le organizzazioni sindacali e gli interlocutori auditi nelle varie Commissioni parlamentari, abbiamo maturato un giudizio non positivo sull'esclusione dei ricercatori degli enti dalla possibilità di esprimersi sull'individuazione dei presidenti e degli organi di governo di nomina governativa. Chiediamo, dunque, che tale previsione sia riformulata, rivista e riconsiderata.
Congiuntamente a tale questione, desideriamo sottoporre all'attenzione dell'Assemblea un altro punto, che riguarda l'adozione delle procedure di valutazione comparativa sulla base del merito scientifico, per l'individuazione dei direttori degli ordini di ricerca.
Anche su questo tema, siamo - lo dico molto chiaramente - per la massima apertura e la massima partecipazione. Prevediamo, dunque, con un nostro emendamento che vi sia un procedimento di valutazione del gradimento anche da parte del personale degli stessi enti di ricerca.
Allo stesso modo, con un altro nostro emendamento, abbiamo inteso segnalare un altro punto, che è forse quello che più ha destato critiche, riguardante le commissioni per la formulazione degli statuti.
Pensiamo che il percorso proposto dal Governo possa creare problemi sul piano dell'obiettivo di conferire autonomia statutaria agli enti. Vorrei, quindi, ribadire che, con l'applicazione della legge n. 168 del 1989 alle università, è stato chiesto a queste ultime, con elevato grado di autonomia ed assunzione di responsabilità, di formulare i propri statuti, anche in sede di prima applicazione.Pag. 20
Per gli enti di ricerca, invece, che spesso presentano, fra l'altro, modelli gerarchici e burocratici, la scelta di definire autonomamente gli statuti nella fase di prima applicazione richiedeva certamente una volontà di individuare procedure che coinvolgessero chi svolge attività di ricerca e non ricopre posizioni di governo e di direzione. Si pensi ai presidenti, ai membri dei consigli di amministrazione, ai responsabili dei dipartimenti o ai direttori degli istituti. Ci sembrava un percorso condivisibile, ma questa scelta, comunque, non è stata effettuata.
È stata avanzata, invece, la proposta di far riferimento a commissioni composte da esperti scientifici, ma nominati comunque dal Governo. Pensiamo anche noi che con questo meccanismo possa venir meno la certezza che i primi statuti rendano effettivamente autonomi gli enti e che, probabilmente, saranno necessarie ulteriori modifiche, che sottoporranno gli enti a successivi riordini, di cui, probabilmente, non si sente proprio l'esigenza, dopo troppi anni di piani di riordino già avviati, che si sono in qualche modo sovrapposti.
Anche su questo punto, quindi, abbiamo presentato un emendamento affinché in tali commissioni il Governo si avvalga, per almeno la metà dei componenti, di personale eletto dai ricercatori, indicendo un'apposita procedura di elezione.
Ho segnalato alcuni punti, che a noi sembrano essenziali. Presenteremo in Assemblea ulteriori emendamenti e, ovviamente, ci riserviamo di intervenire nel dibattito ancora domani e nei prossimi giorni. Ci sembra, però, che i punti citati siano quelli su cui è necessario un intervento correttivo.
Concludo, a nome del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, con una considerazione, che fa da sfondo. Sappiamo per esperienza che le riforme a costo zero in prospettiva non producono molto. Ci aspettiamo dal DPEF e dalla legge finanziaria consistenti investimenti sulla ricerca pubblica a cominciare dalla ricerca di base che rappresenta, come è stato detto ampiamente anche in questa discussione, il perno fondamentale, uno dei pilastri dello sviluppo del Paese.
Ritengo che questo sia il tema da consegnare con priorità e grande urgenza alla discussione parlamentare.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo nella discussione sulle linee generali iniziando con una annotazione di natura tecnico-regolamentare, ma anche politica, in ordine allo schema di ripartizione dei tempi che ella richiamava all'inizio del dibattito.
Vorrei rilevare un elemento curioso, su cui credo di poter sollevare a pieno titolo delle perplessità, in ordine alla ripartizione dei tempi previsti per la discussione sulle linee generali (11 ore e 30 minuti) e per il seguito dell'esame del provvedimento (8 ore). Tale discrasia emerge in maniera ancora più forte quando si guardano i tempi a disposizione dei gruppi: sono previste 8 ore e 38 minuti per la discussione sulle linee generali e 5 ore e 32 minuti per il seguito dell'esame. Ciò significa che abbiamo dei tempi molto ampi per la discussione sulle linee generali, cui partecipano pochi colleghi interessati alla materia, mentre al seguito dell'esame del provvedimento, che verterà sulle proposte emendative e che richiederà un dibattito più approfondito nel merito, verrà dedicato un tempo certamente minore. Questo è il primo rilievo che ritengo di dover lasciare agli atti con il mio intervento.
In secondo luogo, signor Presidente, vorrei svolgere una considerazione di carattere politico. Mi rivolgo a lei, al rappresentante del Governo ed alla relatrice per porre una domanda che, a mio avviso, ha natura più che altro retorica: in questa sede la Camera dei deputati ha la possibilità di modificare anche solo di una virgola il provvedimento? Il fatto che esso sia stato discusso al Senato della Repubblica e che abbia ricevuto dei contributi importanti da parte dei colleghi delle omologhe forze politiche ritengo che non comportiPag. 21di per sé l'esaurimento del dibattito in questo ramo del Parlamento.
Mi chiedo se non sia l'ennesimo provvedimento che ci viene presentato «pronto e impacchettato» dal Senato della Repubblica, che siamo costretti «ratificare» in questa sede. Lo ripeto: la mia è una domanda che lascia aperta una riflessione e sarà cura del Governo, della relatrice e della maggioranza approfondire questo aspetto nel concreto quando si esaminerà il provvedimento nel merito e quando verranno discussi gli emendamenti firmati dai colleghi dell'opposizione e anche da quelli del mio gruppo. Si tratta di proposte emendative probabilmente già presentate e respinte in Commissione; e vi è il sospetto che non siano state respinte soltanto per una questione di merito, ma che nel metodo, rispetto ad esse, non ci siano l'interesse, la volontà o - peggio ancora - addirittura che vi sia il timore di rinviare il provvedimento al Senato per ulteriori modifiche. Forse, non è tanto il caso del disegno di legge in esame, che non corre sull'orlo della fiducia come molti altri che abbiamo esaminato in Assemblea, ma comunque è bene svolgere questa riflessione.
Un altro punto che va certamente messo in evidenza concerne il profilo di costituzionalità di tale provvedimento. Già l'onorevole Garagnani richiamava l'articolo 33 della Costituzione. In questa sede abbiamo sentito parlare di autonomia e ricordiamo che l'articolo 33 del Titolo II della nostra Costituzione recita: «Le istituzioni di alta cultura, di università ed accademie hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato».
È evidente che un provvedimento ricco di richiami all'autonomia che presta il fianco a numerosi interventi sull'importanza dell'autonomia degli enti di ricerca, rischia di suscitare da tale punto di vista delle perplessità per alcune ragioni già sottolineate dalla collega Filipponio Tatarella e, per altri versi, dal collega Garagnani che fanno riferimento sia ai comitati di selezione nominati dal Governo sia alla nomina governativa della metà dei membri del consiglio di amministrazione del CNR.
Vi è il rischio della costruzione di una sorta di scatole cinesi, che poi riconducono in realtà in capo al Governo le finalità, gli scopi e la mission degli enti di ricerca, e quindi li sottraggono a quella che dovrebbe essere la necessaria autonomia statutaria. Inoltre, è chiaro che ci si pone la domanda di quale possa essere il confine e il rapporto tra l'autonomia degli enti e la valutazione, e come tale rapporto debba essere declinato, salvaguardando l'autonomia, da un lato, ma, dall'altro, anche l'efficacia e l'efficienza della valutazione stessa.
Quindi, vi sono molte questioni in ordine al disegno di legge in esame, che aprono riflessioni importanti, non ultima il fatto che si inverte un po' la tendenza - a nostro avviso eccezionalmente virtuosa - che il collega Garagnani sottolineava essere stata intrapresa con i decreti di riforma del Ministro Moratti, sia in ordine ai comitati di valutazione interna, sia in ordine ad altri aspetti che abbiamo indicato. Ebbene, si tratta di numerose questioni cui dare risposta, e ci riserviamo di affrontarle con chiarezza nel prosieguo del dibattito.
Sottopongo all'Assemblea una riflessione sulla questione femminile, che in diversi, soprattutto colleghe, hanno sollevato: credo - rappresentando un'opinione piuttosto diffusa tra coloro che appartengono alla mia generazione e che non hanno vissuto il fenomeno del femminismo nel 1968 - che oggi non ci sia una questione femminile tout court, o che essa esista in termini di rappresentanza o in altri settori, e che, nell'ambito della ricerca, prima ancora della questione femminile, sia importante la questione della meritocrazia, al netto del genere. Su questo, intendiamoci: la questione femminile è importante, ma non può essere anteposta alla meritocrazia, che crediamo debba essere il faro che ispira provvedimenti come quello in esame, specie su temi così importanti come la ricerca. Ritengo infatti che il merito dei nostri giovani, capaci, meritevoli e intelligenti, con carriere brillanti riconosciute all'estero, i quali magariPag. 22in Italia hanno borse di studio da mille euro al mese, debba essere maggiormente premiato, riconosciuto e valorizzato.
Ci si pone una domanda, che rivolgo al rappresentante del Governo, il quale, in sostituzione del Ministro competente, è presente in aula, e lo ringrazio, ma speriamo anche di vedere in questa sede il Ministro stesso rispondere ad eventuali obiezioni e partecipare ad un dibattito che comunque deve essere, e certamente sarà, costruttivo: sarebbe interessante, in merito alla questione del monitoraggio delle spese degli enti di ricerca, capire quanto gli enti spendano in relazione al mantenimento delle strutture e degli apparati, e quanto invece riescano a spendere per la ricerca.
È pratica abbastanza diffusa fin dagli anni Novanta quella di assumere negli enti con contratti flessibili - che qualcuno, tra cui la collega De Simone, chiamerebbe precari - una quantità abbastanza rilevante di persone. Ciò chiaramente distoglie dalla destinazione alla ricerca molti fondi assegnati agli enti. Crediamo che su tale aspetto si debba fare molta chiarezza.
I commi 519 e 520 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007) riguardano rispettivamente il processo di stabilizzazione dei cosiddetti precari nelle pubbliche amministrazioni e lo stanziamento di 20 milioni di euro per il 2007 e di 30 milioni di euro a decorrere dal 2008, come fondo di garanzia per la stabilizzazione di tali precari negli enti di ricerca, ma vi è il problema che non si fa distinzione tra ricercatori e personale.
Quindi, con i fondi che servirebbero a dare impulso alla ricerca si rischia magari di assumere un amico di un amministratore di un ente di ricerca, con un contratto a progetto, con un contratto di collaborazione o con un contratto flessibile, invece di conferire ai ricercatori strumenti di solidità maggiore per procedere ad un percorso di ricerca finalizzato a obiettivi ben chiari.
Sarebbe dunque interessante monitorare quanti dei denari che si spendono per la ricerca sono impiegati per costi di gestione e di apparato.
L'altra sfida sarebbe quella di aprire finalmente la ricerca al contributo dei privati e fare in modo che esso sia importante, da incentivare, e che non si tema la partecipazione del mondo dell'impresa. Una certa parte politica chiede una sorta di cogestione, che non condividiamo, tra personale, sindacati e vertici degli enti di ricerca. Al contrario, crediamo che tale cogestione non debba esserci, ma che sia necessaria una partecipazione viva, vivace, concreta, anche economica, del mondo produttivo che alla ricerca è interessato. Crediamo che questo possa e debba essere un percorso fattibile.
Certo, al di là dell'ordine del giorno accolto dal Senato, che impegnava il Governo a prendere in considerazione la materia e a farsi promotore di un provvedimento su di essa, ci chiediamo anche se, forse, la delega non sia in qualche modo una forzatura, visto che era possibile proporre a questo ramo del Parlamento un disegno di legge su cui discutere e confrontarsi, approvandolo, stabilendo tempi certi e cercando un'intesa maggiore, senza tentare di trovarla su un disegno di legge di delega che in alcuni aspetti - l'ha fatto già presente nel merito il collega Garagnani - lascia aperta una certa vaghezza su come il Governo voglia interpretare alcuni spazi di manovra. C'è, quindi, il rischio e il sospetto che il Governo voglia mettere le mani sul settore della ricerca.
Esprimo l'augurio - non credo, infatti, che si debbano lanciare accuse tanto per farlo - che il Governo nel corso della discussione sappia chiarire e sfatare il sospetto di voler mettere le mani sulla ricerca, e che il Governo riesca a mettere le proprie mani altrove, purché, comunque, le tolga dalle tasche dei cittadini italiani.
PRESIDENTE. Circa l'obiezione sollevata dall'onorevole Baldelli, la Presidenza rileva che il contingentamento, che è stato comunicato all'Assemblea al termine della Conferenza dei presidenti di gruppo del 2 luglio scorso, è stato disposto in modo del tutto conforme alla prassi e ai precedenti.Pag. 23
Rispetto al fatto che il contingentamento dei tempi per la discussione generale sia particolarmente ampio, ciò discende dalla necessità di garantire, in questa fase, secondo quanto prescritto dal Regolamento, un tempo pari ad almeno trenta minuti per ciascun gruppo.
È iscritta a parlare l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.
PAOLA GOISIS. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il disegno di legge in esame, con il quale si conferisce una delega al Governo per il riordino degli enti pubblici nazionali di ricerca, vigilati dal Ministero dell'università e della ricerca, recepisce un ordine del giorno che era stato presentato proprio in questo ramo del Parlamento in occasione dell'esame del decreto-legge fiscale collegato alla manovra finanziaria, con il quale si chiedeva al Governo l'impegno a procedere a mezzo delega legislativa al riordino degli enti di ricerca. Il decreto-legge n. 262 del 2006, convertito nella legge n. 286 del 2006, aveva demandato tale riordino a regolamenti di delegificazione. Il testo del disegno di legge finanziaria per il 2007 aveva previsto il famigerato articolo 42, che, di fronte alla protesta spontanea e diffusissima del mondo scientifico, era stato cancellato dal Governo, poi impegnatosi a procedere al riordino degli enti di ricerca evitando atti di ingegneria istituzionale, attraverso i quali difficilmente si sarebbero potuti raggiungere gli obiettivi esplicitati nel provvedimento in itinere.
In ogni caso, qualora si fosse proceduto a detto riordino attraverso regolamenti di delegificazione, si sarebbe minata la tutela legislativa dell'autonomia degli enti di ricerca, che trova il suo fondamento nell'articolo 33 della Costituzione; sarebbero, altresì, sorti contenziosi tra lo Stato e le regioni, poiché l'articolo 117 della Costituzione affida alla competenza concorrente la materia relativa alla ricerca.
L'operazione, che inizialmente il Governo aveva cercato di attuare, non sembrava sorretta da una strategia efficace, volta al rilancio della ricerca pubblica italiana, che deve tendere alla valorizzazione del personale scientifico che in essa opera, piuttosto che ad uno spietato spoil system nei confronti di presidenti e membri dei consigli di amministrazione che non interagiscono positivamente con la maggioranza di Governo in carica.
Le linee guida di tale provvedimento non si discostavano da quelle attuate precedentemente. Si trattava, comunque, di un tentativo mistificatorio, con cui si intendeva occultare l'assenza di nuove risorse con fasulli cambiamenti organizzativi. Si trattava, quindi, di un processo di riordino che avrebbe inciso negativamente sui già critici squilibri degli enti di ricerca, ai quali non è stato mai concesso di partecipare a tale riassetto, attraverso l'inserimento dei ricercatori all'interno degli organi decisionali e consultivi.
Il Ministro Mussi ritiene che la situazione della ricerca in Italia sia critica, caratterizzata da una serie di contraddizioni. Da un lato - egli afferma - l'Italia occupa nella ricerca un numero di addetti per milione di abitanti assai inferiore rispetto agli altri Paesi europei e spende molto poco - qui è la contraddizione - rispetto al prodotto interno lordo; dall'altro lato, la produttività pro capite dei ricercatori italiani è estremamente alta.
Vi sono ristrettezze di bilancio, le quali hanno imposto una manovra finanziaria che ha sicuramente penalizzato gli enti di ricerca. Sono disponibili, tuttavia, cospicui finanziamenti per programmi e progetti, rispetto ai quali occorre che i ricercatori italiani possano e sappiano avanzare proposte innovative, competitive e coordinate. Il Ministro richiama la situazione conflittuale che caratterizza i rapporti fra il vertice e la comunità scientifica in alcuni importanti enti quali il CNR, o l'Istituto nazionale di astrofisica. Non vanno dimenticate - asserisce - le difficoltà conseguenti all'accorpamento nel CNR dell'Istituto nazionale di fisica della materia e dell'Istituto nazionale di ottica applicata, che ha provocato un aumento del personale amministrativo rispetto a quello scientifico. A tale riguardo, il Ministro ritiene che l'Agenzia nazionale di valutazionePag. 24del sistema universitario e della ricerca possa contribuire ad un miglior governo del sistema stesso.
Governo e Parlamento, secondo il Ministro, hanno il compito di indicare una missione agli enti di ricerca, in considerazione del consistente finanziamento pubblico. Occorre, quindi, definire i grandi settori strategici ed affidare alla comunità scientifica il suo autogoverno. Restano, tuttavia, alcune questioni aperte, che richiedono i dovuti approfondimenti. Tutti concordano sull'opportunità dello scorporo dei vari enti, ad esempio dell'INFIM dal CNR. Tuttavia, una parte della comunità scientifica ritiene che sia preferibile scorporare anche gli istituti del CNR che si occupano di fisica della materia.
Quanto alle criticità del provvedimento, pur esprimendo soddisfazione per il lavoro svolto al Senato dalla maggioranza con l'opposizione - che ha contribuito a stabilire principi e criteri direttivi non configurati nel testo originario del disegno di legge, tanto da far sospettare che il Governo volesse commissariare la ricerca italiana - va rilevato che restano alcune perplessità sul tenore di un provvedimento che non chiarisce taluni aspetti.
Entrando nel merito del provvedimento, non si può non notare il mancato raccordo con l'autonomia regionale, anche se nel testo si fa riferimento a misure volte a sostenere eventuali attività di interesse delle regioni. Vanno rilevate, inoltre, la scarsa attenzione al mondo imprenditoriale, nonché la vaghezza della copertura finanziaria.
Al riguardo, ricordo che il senatore Morando ha notato come, nonostante venga specificato che dall'attuazione della delega non debbano derivare maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, non sia stata fatta una pianificazione dei risparmi derivanti dal nuovo assetto degli enti di ricerca, mediante la loro eventuale soppressione, fusione e riorganizzazione, dalle modifiche statutarie volte alla riduzione del numero dei componenti degli organi istituzionali e dalle misure di semplificazione delle procedure relative alle attività di ricerca.
Dal momento che l'attuazione della delega è demandata ad uno o più decreti legislativi, occorreva conoscere la contestualità delle norme, vale a dire la previsione circa eventuali nuovi incentivi od eventuali risparmi. Non si può, in ogni caso, sottacere il rilievo della Corte dei conti, secondo cui lo scorporo o la fusione di enti di ricerca pregiudica l'ambito della stessa attività scientifica, dato che si tratta del terzo riordino in meno di dieci anni. In tal modo, osserva la Corte dei conti, non si consente ad alcun intervento riformatore di produrre i suoi effetti, al fine di una verifica dei risultati.
D'altra parte, l'audizione del presidente del CNR non lascia dubbi sulla preoccupazione dell'ente riguardo ad un ulteriore riordino. Quanto al riferimento relativo alla Carta europea dei ricercatori, essa prevede che gli Stati membri dell'Unione europea creino una sinergia tra autonomia, autogoverno e status del ricercatore. L'auspicio è che il Governo possa comprendere l'importanza di un intervento legislativo, per meglio definire lo status di ricercatore nei suoi aspetti essenziali di reclutamento, progressione in carriera, mobilità, diritti e doveri. Occorre, pertanto, che l'indipendenza e la libera attività di ricerca siano sostenute da finanziamenti ordinari adeguati.
Nonostante le dichiarazioni del Ministro dell'università e della ricerca, l'attività degli enti di ricerca dipende in misura preponderante da finanziamenti esterni - in larga misura privati - che condizionano l'indipendenza e la libertà nello svolgimento dell'attività di ricerca. Ad esempio, le dotazioni ordinarie stanziate dalla legge finanziaria 2007 si sono ridotte al livello di sussistenza. Per quanto attiene, poi, ai criteri di valutazione in termini di produttività e di efficienza, bisogna tenere conto che i parametri di quantizzazione adatti a classificare i soggetti di ricerca con un giudizio di merito espresso da uno o più indici numerici, sono validi solo se riferiti al lungo periodo. Gli scienziati devono essere giudicati in rapporto ai mezzi e alle strutture che hanno avuto a disposizione ed ai risultati ottenuti nelPag. 25lungo periodo. Otto o dieci anni possono essere considerati un lasso di tempo sostenibile per giudicare il valore sia di un giovane ricercatore, sia di un istituto scientifico, sempre che in quel periodo siano stati messi in condizione di operare in libertà, con l'unico vincolo di dover fare cose che abbiano un senso e di assolvere ai compiti istituzionali.
Va anche detto che a ciascun soggetto scientifico - persona, gruppo o istituzione - dopo un certo periodo di attività, deve essere accreditata una propria «potenza specifica», intesa come capacità di svolgere un certo tipo di lavoro in un certo tempo assegnato, e che tali potenzialità debbono essere valutate in rapporto alla fertilità e al dinamismo dell'ambiente che le accoglie e le caratterizza.
Queste due valutazioni - quella numerica e quella relativa all'humus scientifico - sono disomogenee, in quanto una ricerca non sempre può essere quantificabile o prevedibile. Le parole d'ordine per il successo della ricerca si identificano con i principi di produttività, massa critica e capacità di autofinanziamento.
La produttività di un ricercatore o di un gruppo di ricercatori rappresenta un concetto strettamente associato a quello di efficienza. Non vi può essere produttività elevata senza che le forze, i mezzi, gli apparati e la loro organizzazione siano efficienti. Non vi è dubbio che i grandi gruppi siano utili, specie se svolgono un lavoro adeguato in rapporto ai mezzi a disposizione e in quanto possiedono, per finalità principale, gli interessi della scienza e del Paese. I grandi gruppi importanti sono utili, e li vogliamo, ma riteniamo per lo stesso motivo che anche i piccoli gruppi, quando funzionano, siano altrettanto utili.
Inoltre, ciò che distingue l'Italia da altri Paesi industrializzati, oltre alla quota di spesa destinata alla ricerca, è la circostanza che gli assetti organizzativi penalizzano il settore. La dura realtà è che il nostro Paese è costituito da laboratori di ricerca dotati di una strumentazione obsoleta e che svolgono la propria attività in aree di ricerca che costano più di quanto si possa spendere. Gli scienziati sono di età media e costretti a confrontarsi con finanziatori privati che, specie se imprenditori, non possiedono né la capacità né, molte volte, il senso della ricerca industriale. Inoltre, non vi sono posti di lavoro a tempo indeterminato paragonabili a quelli di cui dispongono gli scienziati di altri Paesi.
In ogni caso, per quanto attiene alla ricerca di base, ritengo che la sua evoluzione sia legata allo svincolo dei finanziamenti pubblici dai criteri burocratici, a vantaggio di quegli organismi capaci di rappresentare un autentico fattore di sviluppo nell'ambito della produzione scientifica. La Lega Nord Padania ritiene debba esserci un confronto più stretto e serrato fra università ed enti di ricerca, mondo imprenditoriale e sistema politico, con l'obiettivo di intraprendere un percorso virtuoso che consenta di ravvivare e riavviare le ricerche scientifiche e tecnologiche in Italia. Il compito del ministro competente non può essere individuato nel solo finanziamento, bensì, soprattutto, nella promozione della medesima utilità e nel coordinamento dei vari enti coinvolti, così da formare un sistema organico che unisca il mondo scientifico, industriale e produttivo. I legami tra industria e ricerca, pubblica o privata che sia, in Italia sono, comunque, insoddisfacenti e sottoposti, da una parte - il finanziamento pubblico - a regolamentazioni anacronistiche, dall'altra - quello privato - a mancanza di cultura. Pensiamo, ad esempio alla parte riguardante il costo e la proprietà dei brevetti. I nostri imprenditori in generale non sono avvezzi, per struttura mentale, per tradizione e per costituzione fisica, né ad investire con un margine di rischio, né a documentarsi, né a riconoscere e, pertanto, valutare situazioni di mercato a scopi aggressivi, né, tanto meno, a stanziare una giusta e necessaria percentuale delle loro entrate per l'innovazione. A tale fonte inesauribile di ricchezza, messa a disposizione di chi è in grado di sfruttarla, nella maggior parte dei casi, le imprese hanno guardato con diffidenza, quasi con paura fin dall'inizio della rivoluzione industriale,Pag. 26contribuendo a consegnarla al solo finanziamento pubblico. Dal punto di vista della strategia legislativa, l'allora Ministro Moratti aveva cercato di promuovere una maggiore capacità a fare ricerca, attraverso l'aumento degli investimenti nei programmi di ricerca di interesse nazionale e le agevolazioni fiscali, mediante il decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, attraverso l'introduzione di misure riguardanti la detassazione degli investimenti nella ricerca e sviluppo e delle spese sostenute per stage aziendali, destinati a studenti di corsi di istruzione secondaria o universitaria, prevedendo persino incentivi per il rientro in Italia di ricercatori residenti all'estero. In seguito, la legge finanziaria per l'anno 2005 ha incluso, tra le spese deducibili ai fini dell'IRAP, il costo sostenuto dalle imprese per il personale addetto alla ricerca e allo sviluppo. Si ricorda, inoltre, che la legge finanziaria per l'anno 2006 ha previsto la destinazione di una quota pari al 5 per mille dell'imposta sui redditi delle persone fisiche, alla ricerca scientifica e all'università, nonché alla ricerca sanitaria, oltre che al volontariato e alle attività sociali.
La medesima legge finanziaria aveva inoltre previsto la totale deducibilità dal reddito delle società, senza alcun limite di importo, dei fondi trasferiti per il finanziamento della ricerca a favore di atenei, fondazioni universitarie, istituzioni universitarie pubbliche, enti di ricerca pubblici o sottoposti a vigilanza ministeriale - fondazioni, associazioni riconosciute - aventi, nel progetto statutario, lo svolgimento e la promozione di attività di ricerca scientifica.
La finalità, perseguita dal Governo della Casa delle libertà nell'ambito del riordino degli enti, è stata un'improrogabile esigenza di adeguare la missione e la struttura organizzativa del sistema pubblico di ricerca, al mutato contesto europeo, così da favorirne l'inserimento nelle reti di ricerca europea e internazionale. Infatti, le linee guida per la politica scientifica e tecnologica del Governo Berlusconi avevano recepito il sesto programma quadro dell'Unione europea, che prefigurava la realizzazione di un sistema europeo della ricerca e concentrava i finanziamenti su reti di centri di eccellenza e su programmi integrati a carattere interdisciplinare.
Ricordiamo che il riordino attuato dal Governo Berlusconi aveva riguardato tre enti di ricerca, in particolare il Consiglio nazionale delle ricerche, l'Istituto nazionale di astronomia ed astrofisica, l'Agenzia spaziale italiana e l'Istituto nazionale di ricerca meteorologica. Il contributo fornito dal Governo Berlusconi nell'ambito del suddetto sesto programma quadro dell'Unione europea è stato davvero incisivo, riuscendo a colmare una lacuna importante rispetto agli interessi del nostro Paese, fra cui, in particolare, gli investimenti per le piccole e medie imprese. Si ricorda il nuovo modello di investimenti - introdotto dal Governo Berlusconi - sui distretti industriali ad alta tecnologia: si tratta di un'innovazione che coinvolge, in un disegno strategico e unitario, le imprese, il mondo scientifico e gli operatori della finanza privata, nonché le amministrazioni locali, che assumono un ruolo determinante nella proposta e nell'attuazione dell'iniziativa.
Il gruppo della Lega Nord, a questo proposito, ritiene che debba esservi un confronto più serrato tra università ed enti di ricerca, mondo imprenditoriale e sistema politico, con l'obiettivo di intraprendere un percorso virtuoso che consenta di riavviare le ricerche scientifiche e tecnologiche in Italia. Il compito del ministro competente non può essere individuato nel solo finanziamento, ma soprattutto nella promozione della medesima utilità e del coordinamento dei vari enti coinvolti.
Passo ad un altro argomento. L'esempio dell'ENEA - dove si è proceduto ad assunzioni a tempo determinato, la cui risoluzione determina l'interruzione dell'attività di ricerca, la dispersione delle esperienze reinvestite - è già sufficiente ad evidenziare le carenze strutturali del comparto, per il quale si richiederebbero,Pag. 27invece, caratteristiche di agilità tali da corrispondere adeguatamente alle esigenze poste dal mercato.
L'aspetto più rilevante, secondo il gruppo della Lega Nord e tutti gli altri componenti della Casa delle libertà, è sicuramente rappresentato dal ruolo che il mondo produttivo svolge all'interno della ricerca. Gli stessi criteri ai quali dovrebbe ispirarsi il finanziamento delle attività di ricerca, dovrebbero essere commisurati alla disponibilità delle imprese a partecipare, a loro volta, alle spese finalizzate all'innovazione scientifica e tecnologica.
È infatti indispensabile l'acquisizione dell'orientamento dei grandi industriali, dei rappresentanti delle piccole e medie imprese, nonché degli artigiani esperti in quest'ambito, in considerazione dei rappresentanti e del panorama essenziale del sistema produttivo italiano, caratterizzato da una preponderante presenza di piccole e piccolissime imprese - particolarmente al nord - al fine di creare un utile collegamento tra il mondo della ricerca e la struttura economica del Paese. Il centrodestra plaude all'avvio del Governo Berlusconi che si era avvalso dei distretti industriali esistenti in alcune aree del Paese, dove si registra un'alta concentrazione di imprese in territori ristretti e dove, pertanto, si manifesta il massimo della concorrenza e della competitività. Si tratta di un territorio in cui prevale l'associazionismo artigiano, che offre alle imprese preziose informazioni, servizi, consulenze e forme di rappresentanza.
Secondo il nostro punto di vista, è dunque nella virtuosa collaborazione tra enti di ricerca e mondo imprenditoriale che va individuata la strategia che sarà in grado di trarre l'attività di ricerca in Italia fuori dalla sua attuale crisi. Nella regione Veneto, nel nostro Veneto, ad esempio, è stata avviata un'iniziativa, promossa dall'Università di Padova, dal Ministero della pubblica istruzione e da quello dell'università e della ricerca, diretta a sviluppare un distretto tecnologico sulle nanotecnologie. Questa esperienza potrebbe rappresentare una delle strade percorribili per il futuro della ricerca, soprattutto sotto il profilo del coinvolgimento di tutti gli enti interessati.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tocci. Ne ha facoltà.
WALTER TOCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, avanzerò due soluzioni, una l'opposto dell'altra, e per entrambe illustrerò aspetti di inadeguatezza. Svolgerò quindi un intervento contorto - me ne scuso in anticipo - perché da un lato svilupperò una determinata argomentazione, ma successivamente svilupperò anche l'argomentazione contraria. Mi trovo, quindi, a presentare un discorso bizzarro, ma la bizzarria non è tanto nel discorso e neppure - spero - nel proponente, ma è nella situazione e nel contesto nel quale ci troviamo ad operare.
In meno di un anno questa è la terza proposta del Governo sugli enti di ricerca che giunge all'esame di quest'Assemblea. La continua attività legislativa ha, nel frattempo, determinato un disorientamento, uno sconcerto, comunque una situazione di quasi paralisi negli enti di ricerca, che sono bloccati in attesa di questi annunciati provvedimenti legislativi. Un anno non sarebbe molto se non ci fosse alle spalle un altro decennio di sconvolgimenti normativi. Infatti, gli enti di ricerca sono stati - come è noto - sottoposti in entrambe le legislature precedenti a provvedimenti organici di revisione normativa. Questo provvedimento - ripeto, il terzo - è, a mio avviso, il migliore tra quelli presentati in quest'aula nell'anno trascorso, anche se contiene errori tecnici e sostanziali di cui parlerò in seguito.
Nonostante ciò, propongo - tengo a dire: a titolo personale - ai colleghi, alla mia parte, al centrosinistra, di approvare questa proposta di legge così com'è, perché almeno, in questo modo, si può dare una certezza ai ricercatori. Ulteriori modifiche di questo testo, infatti, porterebbero di nuovo la discussione al Senato, in una situazione politicamente difficile ed incerta, e ciò potrebbe provocare tempi ancora lunghi per la conclusione dell'iter legislativo.Pag. 28
Non credo che ci possiamo permettere di trascinare la proposta legislativa in esame per molto tempo. Non possiamo permetterci di tenere gli enti di ricerca ancora in una situazione di paralisi per mesi e forse per anni.
Il meglio è nemico del bene, diceva un vecchio adagio popolare. Certo in questo caso l'asticella del bene dovremmo sistemarla piuttosto in basso, ma penso che il ricordato adagio popolare ci aiuti a individuare ciò che dobbiamo fare. In questo senso, avevo condiviso l'approccio della relatrice, l'onorevole Ghizzoni, nella presentazione del testo legislativo in VII Commissione; e in ogni caso apprezzo il lavoro che la relatrice sta portando avanti con equilibrio, con saggezza e con molta passione. Credo che tutti noi, soprattutto noi di centrosinistra, dovremmo avere un senso del limite: abbiamo avuto un anno a disposizione per varare un'ottima legge e - diciamolo francamente - non ci siamo riusciti. È stato presentato un provvedimento con errori e con difetti. Ma, a questo punto, il tempo è scaduto; a mio avviso: non possiamo permetterci di proseguire così perché questa incertezza, lo ripeto, pesa negativamente sulla vita quotidiana degli enti pubblici di ricerca.
Se devo scegliere quindi tra il correggere alcuni errori (ciò però, come abbiamo detto, comporta l'allungamento dei tempi) oppure tenermi il provvedimento così com'è ma approvarlo subito, sono decisamente per la seconda opzione. Certo - lo dico con amarezza, non posso nasconderlo - non posso essere contento del contrasto che si determina tra l'urgenza dei tempi e il varo di un'ottima legge. Perché siamo arrivati a tale contrasto, a questo groviglio di problemi? Forse è il caso di tornarci sopra, e cercare di spiegarne le ragioni.
Il Governo ha presentato, come ricordavo, ben tre proposte: la prima con il noto articolo 42 della legge finanziaria per l'anno 2007, elaborata dal Dipartimento della funzione pubblica, che affidava tutto il potere ai direttori generali degli enti, dimenticando che in alcuni casi la figura del direttore non esisteva e in altri era ricoperta da burocrati di chiara fama, chiara fama certo non scientifica. Dopo le proteste il Governo è tornato indietro ed ha presentato nel decreto fiscale collegato una delega a se stesso a scrivere i regolamenti degli enti per via amministrativa. Anche in questo caso si è dovuta ingranare la retromarcia, impegnandosi a non applicare la norma, pur essendo stata approvata a suon di voti di fiducia, sia alla Camera sia al Senato. A quel punto, si è pensato di risolvere il problema chiedendo al Parlamento una delega «in bianco», che affidava, sempre al Governo, il compito di scrivere i decreti legislativi degli enti senza però definire, in tale sede, né i criteri né i principi ispiratori. Di nuovo, si è dovuto correggere il testo, e lo ha fatto, ripeto, positivamente il Senato della Repubblica, introducendo nella delega una serie di paletti e definendo alcuni obiettivi.
Per questo motivo affermo che, comunque, ciò che abbiamo davanti è il testo migliore tra tutti quelli apparsi nel dibattito parlamentare. Ma, quasi inconsapevolmente, tale tortuoso itinerario ci ha condotti nella direzione opposta a quella che avevamo previsto nel nostro programma elettorale, come centrosinistra, come avviene, cioè, quando si sbaglia strada diverse volte di seguito e non ci si accorge che si sta tornando al punto di partenza. Infatti, siamo arrivati a fare ciò che dicevamo di voler evitare, la terza riforma degli enti, dopo quella di Berlinguer e della Moratti, di nuovo con decreti legislativi delegati, che a loro volta richiederanno una serie di adempimenti normativi e che sconvolgeranno nuovamente la vita degli enti, già seriamente provata e logorata.
Di nuovo, siamo riusciti a compiere quel che non volevamo e che non dovevamo fare, cioè avviare riforme senza soldi. Non siamo invece riusciti a realizzare la cosa più semplice: puntare a cancellare tutte le leggi e ad affidare definitivamente la gestione degli enti alle rispettive comunità scientifiche, riservando al centro del sistema della ricerca l'indirizzo ed il controllo dei risultati invece che quello dei procedimenti.Pag. 29
La mia riserva su questa proposta è dunque una riserva di fondo, nel senso che avrei preferito un'altra legge. Dopo dieci anni di sconvolgimenti normativi, infatti, e dopo un'«alluvione» normativa come quella che vi è stata, la vera riforma degli enti consisterebbe nel lasciarli in pace per un po' di tempo: consisterebbe nel garantire serenità ai ricercatori, lasciarli lavorare come meglio credono, dando loro fiducia, valutandoli per i risultati raggiunti, per poi finanziare in modo crescente i più meritevoli. In altri termini, la vera riforma che avremmo dovuto portare avanti sarebbe stata una legge per cancellare le leggi: non per aggiungerne di nuove.
In sintesi, la direzione che avremmo dovuto intraprendere, con grande decisione e coerenza, si potrebbe riassumere con tre verbi: delegificare, valutare e investire. Si tratta di una linea semplice: semplice e semplificatrice. Devo dire che, nel corso del dibattito su questo argomento, non ho mai trovato alcuno in grado di confutare questa linea: di fatto, però, essa non procede, poiché è evidente che toglie poteri e competenze alle burocrazie ministeriali, e tali burocrazie, indipendentemente dai Governi, sono forti nell'impedire una linea di semplificazione. Eppure, questa linea semplice ha molte conferme empiriche che ne dimostrano la validità: intendo sottolinearne tre.
In primo luogo, si fatica oggi ad immaginare enti senza una legge che ne regoli i minimi dettagli. Noi legislatori fatichiamo infatti a immaginare un vuoto legislativo: ormai le leggi sono entrate prima di tutto nelle nostre menti e non riusciamo a pensare alla realtà senza di esse. Eppure, negli anni Cinquanta il CNR non era regolato da alcuna legge organica: esso era, come si direbbe oggi, una comunità scientifica di fatto. Gli anziani dicono però che esso funzionasse piuttosto bene, operando sulla base quindi dei criteri propri della ricerca e non di paradigmi estranei, di tipo normativo o aziendalistico. Forse questo giudizio sarà condizionato dalla nostalgia, che ci fa apparire sempre migliori le cose del tempo che fu. Ma è vero che, da allora, noi - cioè il potere politico - siamo stati colti da un vero e proprio horror vacui della norma, che ci ha portato a costruire un complesso apparato burocratico sempre più soffocante per i ricercatori.
In secondo luogo, anche i consigli di amministrazione sono oggi considerati organi essenziali alla vita degli enti. Viceversa, l'esperienza, i fatti e la vita quotidiana di tali enti ci insegnano e confermano che la logica di funzionamento dei consigli di amministrazione è ortogonale rispetto all'organizzazione della scienza. Essi sono cioè dannosi rispetto alla sua vita quotidiana: se fossero aboliti, la situazione potrebbe solo migliorare, e si potrebbe finalmente affidare la gestione della ricerca a chi se ne intende davvero, cioè ai rappresentanti eletti delle rispettive comunità scientifiche. È questo il salto da fare: eliminare i consigli di amministrazione ed affidare la designazione dei presidenti all'elezione da parte della comunità scientifica. Invece, col testo al nostro esame si propone di perfezionare l'attuale procedura di nomina governativa chiedendo un parere ad un comitato di saggi: si tratta certamente di un'intenzione positiva; tuttavia, invece di allungare le procedure, talvolta occorrerebbe avere semplicemente il coraggio di cancellarle.
D'altronde, abbiamo l'esempio dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN) che, fin dalla sua nascita, funziona senza consiglio di amministrazione e con il presidente designato dalla comunità secondo procedure elettive, ed è ritenuto da tutti uno dei migliori enti di ricerca in Europa.
Se abbiamo un meccanismo che funziona bene, perché non estendere la sua regola a tutti gli altri soggetti? Applichiamo il modello INFN, senza consiglio di amministrazione e chiamando la comunità scientifica ad eleggere i suoi presidenti.
In terzo luogo, la valutazione da sola è sufficiente a organizzare la ricerca scientifica. Basta considerare come Zapatero ha affrontato il problema dello CSIC, il CNR spagnolo: non si è messo a scrivere decreti, come abbiamo fatto noi, ma ha chiamato uno scienziato di valore il quale, a sua volta, ha organizzato panel di valutatori,Pag. 30coinvolgendo ricercatori da tutto il mondo; in sei mesi sono stati valutati i singoli istituti, un centinaio come da noi, e si è proceduto a premiare i migliori e ad indurre cambiamenti seri nelle situazioni meno brillanti.
Si sarebbe potuto agire nello stesso modo per il nostro CNR: sarebbe stata anche l'occasione buona per chiamare la comunità scientifica internazionale a valutare l'operato del presidente Pistella, e non è difficile immaginare come gli scienziati avrebbero giudicato un presidente che ha dichiarato pubblicazioni scientifiche inesistenti ed ha aumentato la burocrazia interna, unico caso in Europa.
L'onorevole Garagnani, in questa sede, ha sostenuto che la legge Moratti sugli enti aveva il pregio di suscitare un principio di valutazione interna. Se andiamo a vedere come ha interpretato il presidente Pistella questo principio di valutazione, constatiamo che egli ha riorganizzato gli istituti sulla base di tre parametri: il numero dei dipendenti di ciascun istituto, i soldi di cui dispone ciascun istituto e i soldi che assume dall'esterno.
Come si può vedere, nessuno di questi criteri attiene all'attività scientifica, ma, anzi, sono criteri che dipendono tutti dalle decisioni stesse del presidente: non ci troviamo di fronte, dunque, ad un principio di valutazione, poiché in nessuna parte del mondo verrebbero adottati criteri di questo tipo.
A ben vedere, in realtà, la linea di delegificare, valutare ed investire, sebbene io ne stia parlando con riguardo agli enti di ricerca - suggerendo, appunto, di applicare tale approccio a questi enti - più che agli enti medesimi si riferisce a noi stessi, si riferisce, cioè, alla politica ed al suo modo di funzionare. Una linea di delegificazione e di valutazione significa proprio che noi dobbiamo pensare ad un modo diverso della politica di guardare alla realtà della ricerca.
La politica dovrebbe, cioè, fare un passo indietro e due passi avanti: un passo indietro nel senso di rinunciare alla gestione, a nominare i consigli di amministrazione, a controllare con norme «pesanti» la gestione degli enti; due passi avanti, invece, nel senso di allocare le risorse secondo il merito e di indirizzare i contenuti della ricerca mediante il piano nazionale e bandi di ricerca orientati al raggiungimento di determinati obiettivi.
Cosa c'è di più bello che premiare il merito e definire le strategie degli enti di ricerca?
La politica dovrebbe, quindi, appassionarsi a questi due «mestieri», mentre invece si appassiona all'altro, francamente meno affascinante, di gestire la burocrazia degli enti.
La proposta di cui parlo attiene più alla politica che agli enti e richiede una riforma della politica e del nostro modo di operare nella società, nel caso specifico in un comparto strategico quale è la ricerca.
Questo approccio non «passa» proprio perché riguarda noi e l'esigenza di riformare la politica, ma è anche per questo motivo che insisto nel parlarne, perché ritengo non sia possibile nel nostro Paese - e ciò vale in generale, non solo per gli enti di ricerca - una vera azione riformatrice se non cambiano il modo di agire della politica ed il nostro approccio ai problemi.
In conclusione, il disegno di legge al nostro esame rappresenta francamente un'occasione mancata e si colloca lontano dall'approccio che ho appena riassunto; tuttavia, si tratta del disegno di legge oggi in discussione.
Vorrei sottolineare anche alcuni aspetti positivi del provvedimento, già messi in rilievo dall'ottima presentazione della relatrice. È molto importante, ad esempio, la revisione del ruolo dell'Istituto italiano di tecnologia, uno strano Istituto abituato all'autocertificazione di eccellenza (come si fa all'anagrafe), senza mai sottoporsi ad una valutazione esterna.
È molto importante il recepimento della Carta dei diritti dei ricercatori che inverte una direzione di marcia seguita da tanti anni la quale aveva portato a creare «forche caudine» sempre più complesse e difficili nell'accesso alla ricerca per i giovani ricercatori. La Carta, invece, afferma concetti diversi, e cioè che la ricercaPag. 31rischia di diventare un mestiere raro e che quindi dobbiamo curare le risorse umane, favorire - tramite il merito, ma farlo - l'accesso dei giovani di talento all'attività scientifica. Quindi, è molto importante che i principi europei contenuti nella Carta dei diritti dei ricercatori siano inseriti organicamente nella legislazione italiana, come lo è la questione dell'INFN. Lo scioglimento dell'Istituto è ritenuto da tutti un errore: da tutti i ricercatori, i commentatori, gli organi di stampa, i sindacati e da Confindustria. È rimasto solo l'onorevole Garagnani a sostenere che sciogliere l'INFN sia stata una buona scelta. Proprio come l'ultimo giapponese al fronte, oggi l'onorevole Garagnani ha fatto l'apologia dello scioglimento dell'INFN. È molto importante, invece, ricostituirlo. Non deve tuttavia trattarsi di un'azione soltanto burocratica, ma, a mio avviso, deve essere accompagnata da un programma strategico nel settore della fisica della materia e, soprattutto, dal coinvolgimento di tutti gli attori in un'attività coordinata e integrata, che comprenda non solo l'INFN, ma anche il CNR, l'ENEA ed anche la rete universitaria organizzata nel CNISM.
Penso sia molto importante - mi rivolgo al rappresentante del Governo, sottosegretario Modica - attivare anche un tavolo di confronto tra tutti i protagonisti perché, effettivamente, la ricostituzione dell' INFN sia l'occasione per un salto di qualità dell'intera politica nel settore della scienza della materia.
Ho fatto riferimento agli aspetti positivi, ma vi sono anche degli errori, meramente tecnici. Quando, all'inizio, nel comma 1 dell'articolo 1, il disegno di legge, nel definire le finalità, inserisce il riordino degli statuti, commette un errore perché gli statuti non ci sono ancora e pertanto non vi può essere il riordino.
Inoltre esiste una contraddizione palese tra l'autonomia statutaria ed il fatto che, sia pure in prima approvazione, è il Governo che emana lo statuto. Per essere molto franchi, ho ascoltato l'intervento della collega Titti De Simone che ha molto criticato questo punto. È effettivamente criticabile anche se - giova ricordarlo in questa sede - la norma è il risultato di un emendamento presentato proprio da Rifondazione Comunista al Senato; quindi, sono contento che oggi vi sia un ripensamento da parte di Rifondazione perché è evidente che anche nella prima formulazione dello statuto bisogna coinvolgere la comunità scientifica.
Si tratta di errori tecnici che meriterebbero sicuramente una correzione, ma torno a ciò che dicevo all'inizio: il gioco vale la candela? È questa la domanda che pongo. Per fare delle mere correzioni ad alcuni errori pur importanti, ci possiamo permettere di tenere il provvedimento in esame ancora per mesi nell'incertezza? Credo di no. Lo ripeto (con sofferenza): preferirei conservare simili errori, ma completare l'iter di discussione alla Camera. Se però tale decisione non fosse condivisa da tutti (e, soprattutto, dalla maggioranza), e si dovesse procedere, durante l'esame, ad una modifica del testo legislativo, credo che dovranno essere corretti non soltanto gli errori tecnici, ma anche quelli sostanziali del provvedimento. Se si devono allungare i tempi, che almeno il gioco serva a migliorare la sostanza del provvedimento, non solo alcuni aspetti tecnici marginali!
Pertanto, mi sono permesso di presentare tre proposte emendative, sulle quali mi soffermo rapidamente, per poi concludere, signor Presidente.
Abbiamo tutti parlato di «autonomia statutaria», ma senza riflettere sul significato di tale espressione. «Autonomia statutaria» significa che l'ente è autonomo nel darsi i suoi ordinamenti interni, ma ciò è possibile se la legge non interviene sull'ordinamento interno degli enti. Quindi, significa che una vera autonomia statutaria si deve accompagnare ad una delegificazione, cioè alla abrogazione di tutte le norme vigenti che, in qualche modo, interferiscono nell'organizzazione interna degli enti. Se l'autonomia statutaria non è accompagnata da una corrispondente delegificazione, non è un'autonomia statutaria, è nei fatti un'autonomia regolamentare, ovvero quella già attribuita agli enti da tanto tempo. Per essere più chiari,Pag. 32se vogliamo l'autonomia statutaria, è necessario abrogare tutta la legislazione varata dal Ministro Moratti che reca prescrizioni sulle modalità organizzative dell'ente, con dipartimenti ed organigrammi. In caso contrario, non si può parlare di autonomia statutaria. Ancora di più, le norme concernenti le assunzioni che abbiamo inserito nella legge finanziaria invadono l'autonomia statutaria.
Mi sono, pertanto, permesso di proporre anche l'abrogazione di norme, in vigore dal 1997, che, per esempio, costringono un ente di ricerca, che vuole attivare una procedura concorsuale di assunzione a chiedere l'autorizzazione al Ministero. Se è autonomia statutaria, tali norme vanno cancellate. Quindi, con la mia proposta emendativa si delega il Governo a prevedere nel decreto legislativo l'abrogazione di norme che interferiscono, lo ripeto, nell'organizzazione interna, ferme restando evidentemente le altre norme, che agiscono all'esterno degli enti. Tutto quello che interferisce all'interno deve essere cancellato.
La mia seconda proposta emendativa concerne la nomina governativa dei consigli di amministrazione. Ho parlato in precedenza delle ragioni di contrarietà. Abbiamo l'esperienza positiva dell'INFN, possiamo semplicemente applicarla così com'è a enti simili, cioè corrispondenti ad una sola comunità scientifica, ad esempio all'INAF o al costituendo INFN. Se funziona bene per la fisica nucleare, sicuramente può funzionare bene per istituti che hanno un modello organizzativo simile. Secondo me, l'elezione diretta da parte della comunità scientifica può essere applicata anche al CNR, se non nel suo complesso, perlomeno a ciascun dipartimento, cioè per quei livelli organizzativi ai quali corrisponde una determinata ed unica comunità scientifica.
Infine, per quanto concerne la terza proposta emendativa, la tematica è stata già sollevata anche dalla relatrice, che ha detto cose importanti sul punto. Stiamo esaminando un disegno di legge sugli enti, ma in realtà restringiamo molto il campo di applicazione ad alcuni enti, neppure a quelli sottoposti alla vigilanza del MIUR. Infatti, ce ne sono altri sottoposti a quella vigilanza che non vengono qui contemplati. Ciò accade perché il Governo non ha saputo coordinare i diversi ministeri. Francamente, non riesco a capire le ragioni per cui ciò si sia potuto verificare.
Ricordo che il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, Luigi Nicolais, aveva annunciato con una certa soddisfazione, che era di tutti noi, l'istituzione di un comitato di coordinamento, con il Ministro Mussi e il Ministro Bersani. Se esisteva, come esiste, formalmente quella sede di coordinamento, era quello il luogo nel quale il disegno di legge in esame doveva essere coordinato, in maniera tale da estendere tutte le norme in esame anche agli enti di ricerca afferenti ad altri ministeri. Altrimenti, a cosa serve quel comitato di coordinamento se non svolge una funzione come quella in esame, che sarebbe stata molto utile? Se il Governo non è riuscito a coordinarsi è perché, evidentemente, la parcellizzazione delle competenze lo ha impedito, ma noi che, per quanto riguarda le diverse funzioni e competenze, siamo un legislatore unitario, seppure secondo un modello bicamerale, possiamo dare un contributo di coordinamento, estendendo queste norme a tutti gli enti. Sicuramente all'ENEA, ma anche all'ISTAT, e così via. Stiamo, infatti, parlando dell'autonomia statutaria, cioè di una norma di semplificazione, stiamo prevedendo che la legislazione nazionale non debba invadere il campo dell'organizzazione interna degli enti.
Ma questo è un criterio che vale per tutti gli enti, non solo per il CNR, ma anche per l'ENEA, per l'ISTAT e per tanti altri. Vale a dire: stiamo definendo sostanzialmente il confine della legislazione nazionale per quanto riguarda la funzione di ricerca intesa in senso lato, non riferita a questo o a quel Ministero. Il confine dovrà limitarsi alle funzioni esterne, non potrà riguardare le funzioni interne. Ritengo che così il suddetto confine sia facilmente estendibile (direi, anche con buoni risultati) a tutti gli enti di ricerca. InPag. 33tal caso, la legge avrebbe un valore aggiunto, perché diventerebbe una legge organica, di cornice. Mi sono permesso di definire un elenco di questi enti, perché è sempre un po' aleatorio nella legislazione italiana. Pertanto, ho fatto riferimento agli enti individuati nel 2002 nel contratto quadro...
PRESIDENTE. Onorevole Tocci, la invito a concludere.
WALTER TOCCI. Concludo, Presidente. In quel contratto quadro successivamente è stato inserito anche l'ENEA, ma si è trattato sempre di una questione un po' controversa, pertanto mi sono permesso di esplicitarlo. In questo modo, comprendiamo tutti gli enti del MIUR: l'ENEA, l'ASI, l'ISTAT ed altri.
Infine, mi rivolgo alla relatrice, sarebbe il caso di accompagnare il provvedimento con alcuni ordini del giorno su alcune questioni molto urgenti, in primo luogo lo sblocco dei finanziamenti per l'assunzione dei ricercatori. Nella legge finanziaria è presente uno stanziamento che ancora non è stato ripartito tra gli enti, così come i fondi per la stabilizzazione. Il sottosegretario Modica sa, poiché se ne sta occupando con grande impegno, che è molto atteso il bando dei PRIN (Progetti di ricerca di interesse nazionale), che dovrebbe essere pubblicato in questi giorni, per un finanziamento pari a novanta milioni di euro. Tuttavia, considerata la crisi del finanziamento delle risorse che interessa tutta la ricerca pubblica, proporrei di destinare tutto il Fondo FIT di quest'anno, vale a dire trecento milioni...
PRESIDENTE. Onorevole Tocci, la pregherei di concludere.
WALTER TOCCI. ... ai bandi di ricerca pubblici. Infine, proporrei di cominciare a fare valutazioni fin da subito, senza attendere il lavoro dell'ANVUR e quindi di sbloccare l'attività del CIVR, introducendo un maggior coordinamento, una maggiore integrazione tra enti di ricerca e università. Non si riforma la ricerca italiana senza stimarla. I nostri ricercatori sono tra i migliori del mondo, mettiamoli nelle condizioni di lavorare, senza burocrazia. (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2599)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Ghizzoni.
MANUELA GHIZZONI, Relatore. Signor Presidente, le chiedo quanto tempo ho a disposizione.
PRESIDENTE. Lei ha ancora sei minuti a disposizione, considerato che ne aveva complessivamente trenta.
MANUELA GHIZZONI, Relatore. Mi era stato detto che ne avevo venti. Comunque, va bene.
Vorrei iniziare la replica con alcune considerazioni di carattere generale. In primo luogo, mi ha molto colpito il modo in cui questo dibattito si è svolto, sia in Commissione, sia in Assemblea. Mi è parso che si sia svolto un po' stancamente. Ciò è accaduto anche in Commissione, credo che i colleghi possano concordare. Peraltro, ciò è avvenuto nelle settimane in cui la Lega Nord non poteva partecipare ai lavori, quindi abbiamo avuto diversi gruppi che non hanno preso parte alla discussione ed alla elaborazione del testo in Commissione. Anche oggi molti gruppi non hanno avuto iscritti a parlare. La cosa mi colpisce perché ritengo, come ho detto all'inizio della mia relazione, che oggi ci stiamo occupando di un tema strategico per lo sviluppo del Paese e per l'innovazione. Inoltre, si tratta di un settore che riguarda i giovani e quindi, davvero, il futuro del nostro Paese.
Un altro elemento di straniamento che mi ha colpito molto, forse anche in considerazione del fatto che sono alla miaPag. 34prima esperienza di parlamentare ed anche alla prima esperienza di relatrice, è rappresentato dal fatto che ho ascoltato autorevoli esponenti di gruppi parlamentari smentire completamente propri colleghi di partito che siedono nell'altro ramo del Parlamento. Mentre ascoltavo con attenzione questi interventi, che certamente mi interessano molto, non potevo fare a meno di riflettere sul fatto che deve essere molto difficile per un cittadino che ci sta seguendo in questo momento, o che magari ha seguito il dibattito in Senato, capire realmente gli estremi del nostro dibattito: di cosa stiamo parlando e chi sta dicendo cosa.
È vero che i partiti non sembrano più in grado di rispondere ai problemi della società contemporanea ma, certamente, oggi abbiamo mostrato come, più che di partiti - quali intesi dalla nostra Costituzione, cinghie di trasmissione che consentono la partecipazione popolare -, forse si può parlare di gruppi di individui dei quali, francamente, non si comprendono gli obiettivi e le strategie perseguite. Il collega Tocci ha fatto riferimento alle parole della collega Titti De Simone che, di fatto, ha smentito proposte emendative presentate dalla sua collega di partito Rina Gagliardi. Il medesimo episodio è avvenuto, ad esempio, nel gruppo di Forza Italia dove il collega Garagnani - in linea, in realtà, con il pensiero del senatore Possa - ha smentito l'attività che in Commissione il collega di partito Asciutti ha svolto insieme agli altri membri della Commissione.
Se mi permette, signor Presidente, tenterei invece una replica tenendo il filo inverso degli interventi, iniziando dal collega Tocci che ha lavorato tanto - questo è un tema a lui carissimo - anche nella passata legislatura, mentre lo seguivo, allora, da cittadina e da elettrice. Credo, però, rispetto alle parole del collega Tocci, che questo sia un buon disegno di legge, in quanto fornisce finalmente qualche certezza agli enti pubblici. Ritengo, inoltre, che la domanda con cui il collega ha concluso l'intervento fosse retorica e che, quindi, valga la pena effettuare qualche modifica e proseguire i lavori.
Sarà forse per l'ottimismo della volontà, però, tra il non fare alcunché o il cambiare tutto, sono per una terza via anche in questo in caso, ovvero procedere speditamente. Possiamo agire in tal modo, infatti, pur rivedendo, magari insieme, con una larga intesa che potremmo trovare in sede di Assemblea (ma anche in Commissione), le maggiori criticità del testo che - continuo a ritenere - si trovano, come molti interventi hanno confermato, soprattutto nella formulazione dei commi 3 e 4 dell'articolo 1 (non ne riprendo i contenuti perché ne ho parlato anche nel mio intervento a cui rimando). Ritengo, quindi, che si debba intervenire in tale modo. Con queste parole, peraltro, rispondo anche al collega Baldelli, sottolineando che il testo non è blindato e convenendo con il collega Tocci sul fatto che si debba andare avanti, pur modificando i punti veramente più difficili e meno felici nella formulazione data al Senato. In tale modo, si potrà approvare il disegno di legge, anche se in terza lettura, e dare seguito ai decreti legislativi attuativi, così da attribuire finalmente agli enti uno strumento straordinario, che attendono da sessanta anni, ovvero l'autonomia statutaria, esattamente come previsto dal dettato costituzionale all'articolo 33. Peraltro, intervenendo sui comma 3 e 4 risolveremmo quel profilo di incostituzionalità che qualcuno ha rilevato...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MANUELA GHIZZONI, Relatore. Signor Presidente, ho già concluso i sei minuti a disposizione?
PRESIDENTE. Concluda pure il pensiero.
MANUELA GHIZZONI, Relatore. Signor Presidente, in realtà ho perso il filo del mio pensiero, ma leggerò il resoconto stenografico. Dunque, concludo con unaPag. 35battuta. Il collega Tocci ha fatto riferimento ad un passo indietro nella gestione da parte della politica. Sono assolutamente d'accordo e credo che questo provvedimento aiuti la politica a compiere un passo indietro sul versante della gestione e, quindi, esprimo un pensiero esattamente contrario a quanto, invece, illustrato dalla collega Goisis. Comunque, credo che avrò modo di tornare su questi temi durante l'iter parlamentare.
PRESIDENTE. Nel corso dell'esame del provvedimento, lei avrà modo sicuramente di completare il discorso che non è riuscita a concludere oggi.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
LUCIANO MODICA, Sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca. Signor Presidente, è mio compito replicare brevemente agli interventi svolti nella discussione sulle linee generali che, sebbene non abbia avuto una grande partecipazione di onorevoli deputati, ha, comunque, avuto il merito di entrare con molta franchezza - e mi riferisco a tutti gli intervenuti - nei punti forti e deboli del disegno di legge in esame.
Ripercorrerò brevemente, nel mio intervento, lo stesso ordine con cui si sono svolti gli interventi precedenti, ad iniziare da quello della relatrice, l'onorevole Ghizzoni: condivido tutto quello che la stessa ha affermato, ma vorrei focalizzare l'attenzione su due aspetti. Il Governo auspica che anche alla Camera si possa realizzare un'intesa larga, con un voto ben oltre i limiti dell'attuale maggioranza, perché il tema non riguarda questo od un altro Governo, ma il futuro del Paese.
La ricerca, l'innovazione e la cultura sono temi talmente trasversali che dovrebbero sempre vedere l'accordo almeno della gran parte del Parlamento - se non è possibile di tutto - nello stabilire le regole fondamentali. Il Governo dà, sin d'ora, la disponibilità ad esaminare proposte emendative del testo che possano migliorarlo, ben sapendo, ovviamente, che non si deve inseguire - come sosteneva poc'anzi l'onorevole Tocci - il testo perfetto, che è irraggiungibile: si possono realizzare miglioramenti che diano maggiore coerenza e leggibilità al testo stesso e che, se limitati agli aspetti di cui si è parlato, possono trovare in Senato un'altrettanto rapida approvazione in terza lettura.
Riprendo un aspetto fondamentale, dapprima sottolineato dall'onorevole Sasso nel suo intervento, ma poi ripreso da tutti gli altri colleghi intervenuti: la vera novità è rappresentata dall'autonomia statutaria. Non mi stanco di dire - ma credo che siamo tutti d'accordo, ad eccezione, forse, dell'onorevole Garagnani - che questo è il vero punto di innovazione del disegno di legge in esame, un punto atteso, importante, che fornisce - e mi auguro che sia così - spunti di innovazione ancora maggiori rispetto a quelli che il provvedimento stesso sembra fornire. Sono d'accordo con l'onorevole Sasso: se non si riesce in questo momento, certamente a questo provvedimento dovrà seguire un'altro, riguardante anche gli enti di ricerca non vigilati dal Ministero dell'università e della ricerca, perché il comparto della ricerca è unitario, anche se sottoposto alla vigilanza di differenti Ministeri.
Il comparto degli enti di ricerca, inoltre, dal punto di vista dell'organizzazione del personale, comprende anche enti non strettamente di ricerca, i quali, oltre alla ricerca, hanno compiti maggiori, più ampi e anche diversi: occorre avvicinarsi a questo tema, pertanto, con grande attenzione. Riporto l'esempio, sollevato dall'onorevole Tocci, dell'ISTAT, che è certamente un ente di ricerca: il suo personale appartiene al comparto degli enti di ricerca, ma non credo che esso possa essere considerato, anche per ragioni di normativa europea, esclusivamente come un ente di ricerca con autonomia statutaria. L'ISTAT, oltre ad avere compiti propri degli enti di ricerca, ha anche, nei confronti dello Stato, compiti diversi da questi. Lo dico per sottolineare la difficoltà di affrontare un tema generale con un'unica normativa.
L'onorevole Filipponio Tatarella, nel suo intervento, ha notato per prima - ma lo hanno fatto anche molti altri e, daPag. 36esponente del Governo, riconosco che c'è qualche ragione in ciò - la differenza tra l'autonomia statutaria, come affermata dal comma 1 dell'articolo 1 del disegno di legge in esame, e quanto disposto dai commi 3 e 4 del citato articolo, che non introducono contraddizioni all'autonomia, ma - come hanno rivelato la Commissione Affari costituzionali ed il Comitato per la legislazione - introducono fuori delega argomenti che dovrebbero, più ragionevolmente, essere inseriti nella delega, oltre a contenere - riconosco che l'onorevole Tocci ha ragione - alcuni errori tecnici.
Dico subito - anche se ciò farebbe parte della replica all'onorevole Tocci - che è vero che, in un regime di autonomia statutaria, l'emanazione degli statuti spetterebbe al presidente dell'ente, mentre per le università dovrebbe essere garantita, come avviene, l'approvazione degli statuti da parte del Ministro. Non vi è contraddizione, quindi, nell'approvazione degli statuti con autonomia, bensì un leggerissimo - ma, lo riconosco, esistente - contrasto, che potrebbe essere risolto anche in via interpretativa, sull'istituzione che deve emanare lo statuto. Tutto ciò potrebbe avvenire più facilmente se la relativa norma fosse contenuta nella delega e non, curiosamente, fuori dalla stessa.
Non vedo, invece, a differenza dell'onorevole Filipponio Tatarella, contraddizione tra il fatto che sia il Governo a nominare i comitati di selezione. L'autonomia statutaria, laddove prevede nomine governative di componenti o di presidenti degli enti, necessariamente ha bisogno di comitati di selezione che vengano nominati dallo stesso organo che poi effettuerà la nomina. Infatti, si fa riferimento esclusivamente ai componenti di nomina governativa.
Del lungo, documentato e appassionato intervento dell'onorevole Garagnani non riesco a condividere l'aspetto fondamentale. Egli descrive il mondo scientifico come entusiasta della riforma Moratti e contrario ad ulteriori chiarimenti. Francamente, non ho visto questo entusiasmo qualche anno fa e non vedo nemmeno adesso un così ampio consenso a lasciare tutto allo stato attuale.
Semmai, anzi, vedo una continua richiesta da parte degli enti di ricerca di un'organizzazione interna diversa da quella stabilita con i decreti delegati emanati in attuazione della legge delega Moratti.
Fra l'altro, l'onorevole Garagnani fa osservare, giustamente, che gli enti hanno compiti, una missione, un'organizzazione interna, ma l'autonomia statutaria è tale se tali compiti non vengono stabiliti da una legge delega o da una qualunque altra legge, bensì dall'ente stesso, che gode dell'autonomia statutaria.
È curioso, quindi, che l'onorevole Garagnani insista nel dire che il provvedimento in esame manchi di indicazioni fondamentali sugli statuti, perché l'autonomia è tale quando, come prevede la Costituzione, sono stabiliti con legge solo i principi generali, che il provvedimento in discussione prevede. Occorre evidenziare, in particolare, che, nella fase di transizione a cui stiamo contribuendo, è una garanzia che la missione dell'ente, cioè la definizione del compito principale dell'ente, continui ad essere affidata al Governo, piuttosto che all'ente stesso, in una fase di passaggio da statuti interamente definiti dalla legge a statuti che saranno definiti dagli organi di governo dell'ente.
È giusto affermare che il sistema di governo dell'ente è collegato alla missione, ma non è corretto, a mio giudizio, sostenere che per questo motivo spetti al Governo anche indicare la struttura di governo. Al contrario, il Governo indica la missione e gli enti, con loro autonomia, si costruiscono il loro sistema di governo. Questo è il nocciolo dell'autonomia statutaria, che mi sembra di dover difendere con forza, credendo di incontrare anche il favore del mondo della ricerca.
L'onorevole Garagnani ha, infine, descritto il sistema della ricerca, così come modificato dai decreti legislativi emanati dal Governo nella XIV legislatura, a tinte molto rosa. Gli consiglierei amichevolmente, come ho già fatto al Senato, di nonPag. 37pronunciare la parola «reparti» o l'espressione «trasferire reparti». Gli enti di ricerca non sopportano di essere considerati come reparti che si trasferiscono, si uniscono e si accorpano. Un ente è molto più complesso. La libertà di ricerca, come diceva l'onorevole Filipponio Tatarella, è qualcosa di più profondo e connaturato al lavoro di un ricercatore di quanto non sia la visione un po' «industriale» - l'industria peraltro è qualcosa di diverso - di chiamare reparti le parti del CNR accorpate o disaccorpate.
A parte questa battuta, che riguarda forse un lessico che giudico non perfettamente felice, come ha già affermato l'onorevole Tocci, l'onorevole Garagnani è rimasto l'ultimo a difendere l'accorpamento dell'INFN con il CNR. Lo stesso suo collega, onorevole Asciutti, presidente di Commissione nella scorsa legislatura, ha firmato un ordine del giorno in cui ha sostenuto, già nella precedente legislatura, l'inopportunità di far confluire l'INFN nel CNR. Questa scelta, quindi, è curiosa.
Sull'Istituto italiano di tecnologia, affinché rimanga anche agli atti, vorrei ricordare all'onorevole Garagnani che il Governo non ha intenzione di chiudere tale Istituto, ma di riordinarlo, in quanto rappresenta una vera anomalia: è un ente di ricerca che dipende dal Ministero dell'economia e delle finanze ed è una fondazione che riceve un finanziamento stabile dallo Stato, normalmente maggiore di quello di tutte le unità del settore ricerca messe insieme, che non ha affatto ricercatori né una sede, che non ha quindi natura di ente di ricerca, che si dedica a un tema importantissimo, come la robotica umanoide, ma che è solo un tema, e che non è assolutamente - mi dispiace che lo dica l'onorevole Garagnani - l'unico ente di ricerca che sia technology driven, cioè guidato dalla tecnologia, in quanto vi sono decine di enti di ricerca e di laboratori universitari e non universitari, che fanno ricerca guidati dalla tecnologia. Non è l'unico modo di fare ricerca, ma è assurdo affermare che solamente l'Istituto italiano di tecnologia lo faccia.
Infine, un tema che è tornato più volte anche in altri interventi è lo stato giuridico - così chiamato - dei ricercatori. Si chiede, da parte dell'onorevole Garagnani, ed è più che legittimo, che i ricercatori degli enti abbiano uno statuto giuridico definito per legge e non per contratto. È un tema aperto e il Parlamento può naturalmente legiferare nel merito. Mi preme però affermare che non è vero che in Europa avviene sempre così, anzi siamo l'eccezione al contrario, normalmente - come è scritto nella Carta dei ricercatori - lo stato giuridico del lavoro di un ricercatore è definito da un contratto e non da una legge, è il contrario! Semmai, l'anomalia in campo europeo è quella dei ricercatori universitari non quella dei ricercatori degli enti e, comunque, non credo sinceramente che questo sia il punto cruciale della riforma per il miglior funzionamento degli enti.
L'onorevole De Simone ha presentato una serie di proposte emendative volte a garantire più spazio - sono d'accordo - alla democrazia all'interno degli enti. Sono meno convinto che ci debba essere un gradimento del personale di ricerca di un ente rispetto al direttore. Si possono trovare metodi più validi del gradimento, che riescano a far esprimere i ricercatori riguardo ai direttori (almeno a certi livelli) degli organi di ricerca.
Rispondo subito all'onorevole Baldelli che la Camera naturalmente ha la possibilità di modificare il provvedimento - l'ho già detto, ma lo voglio ripetere a lui direttamente - e trovo, a differenza di quanto ritiene lo stesso onorevole Baldelli, che non c'è affatto contraddizione tra autonomia e valutazione, anzi c'è una concordanza: l'autonomia si fonda sulla valutazione e la valutazione per essere significativa ha bisogno di essere fatta nei confronti di enti che hanno autonomia di ricerca, altrimenti non ci sarebbe nulla da valutare.
Sulla meritocrazia, sul merito da anteporre a qualunque altro ragionamento sono d'accordo ma non posso dimenticare che le norme antidiscriminatorie tra uomini e donne non riguardano il merito oPag. 38la meritocrazia, riguardano l'effettiva presenza negli organi di governo e nelle strutture direttive degli enti di esponenti dell'uno e dell'altro genere.
Trasmetterò con piacere al Ministro Mussi il desiderio dell'onorevole Baldelli di una partecipazione diretta del Ministro al dibattito.
Inoltre vorrei ricordare in questa sede che purtroppo i costi di gestione di apparato degli enti di ricerca sono veramente esigui, in quanto l'intero pianeta statale è quasi interamente assorbito dagli stipendi del personale degli enti stessi; è un dato negativo non è positivo, ma chi immagina chissà quale specie di apparato esistente si sbaglia. Devo, al contrario, ricordare all'onorevole Baldelli che il denaro che la legge finanziaria stanzia per l'assunzione di personale non riguarda personale a contratto, ma personale a tempo indeterminato, i 20 e i 30 milioni di euro del 2008 non sono un Fondo di garanzia di stabilizzazione, ma un fondo per assumere persone attraverso concorso. Giustamente - colgo l'occasione per dirlo in questa sede - l'onorevole Tocci ha sollecitato - sarà mia cura farlo nei confronti del Ministero dell'università e della ricerca - ad operare la ripartizione dei fondi agli enti perché si possa procedere alle ricordate assunzioni.
L'onorevole Goisis ha esposto varie perplessità, alcune sinceramente non le condivido: ad esempio, non condivido l'affermazione che è stato vietato ai ricercatori di partecipare ai consigli degli enti; questa norma non esiste. È stata posta la regola che i ricercatori degli enti non possano partecipare ai comitati di selezione che scelgono la terna delle persone su cui poi il Ministro sceglierà il presidente, ma non ai consigli degli enti, ai quali possono benissimo partecipare (dipenderà dai singoli statuti stabilirlo). Sinceramente, non mi sembra neppure di poter condividere - pur in un anno difficile come l'attuale - l'idea che nel 2007 si siano ridotti di molto i finanziamenti degli enti di ricerca, perché in realtà tali fondi sono aumentati più di qualunque altro anno precedente, certo non abbastanza, ma certamente non sono diminuiti come affermato dall'onorevole Goisis.
Meriterebbe tutto un altro e più ampio dibattito - ma non è questo il momento di farlo, però mi piace citare questa possibilità - l'idea interessante dell'onorevole Goisis sul rapporto tra valutazione quantitativa e valutazione «di contesto» - come si dice in gergo - che dipende dalle condizioni e dall'humus, come diceva l'onorevole Goisis, ovverosia dalle condizioni in cui un ricercatore lavora: è molto interessante e sono anche molti gli studi sull'argomento.
Dissento invece dall'onorevole Goisis sul fatto che servano non meno di otto-dieci anni per stabilire se un ente o una persona siano produttivi o meno: se così fosse, non saremmo in grado di fare una valutazione stringente, perché i tempi di risposta, di feedback, come si dice in gergo, sarebbero talmente lenti da risultare totalmente inutili. Vi è il problema opposto, di accelerare i tempi di risposta alle valutazione delle strutture di ricerca. Sono d'accordo comunque con l'onorevole Goisis, sul fatto che vi è un problema di infrastrutture, certamente non tutte aggiornate, e che vi è anche un problema di burocrazia che purtroppo ci ostacola.
Sugli interventi che i Governi Berlusconi hanno compiuto a favore della ricerca devo solo ricordare che nessuno degli interventi citati dall'onorevole Goisis ha provocato grandi vantaggi: la detassazione non è stata praticamente usata, così come molte altre scelte. Alcune di tali scelte, poi, appartenevano al Governo precedente: i distretti tecnologici e di eccellenza erano frutto di interventi dei Governi della XIII legislatura e non di quelli della XIV; si tratta di interventi che comunque i Governi Berlusconi - meritoriamente - hanno continuato.
Infine, l'onorevole Tocci ha esposto una serie di argomentazioni, alcune delle quali pienamente condivisibili. Sono sinceramente meno convinto, onorevole Tocci, del fatto che non si possa produrre una legge discreta con il testo in esame, e che non si possa correre anche l'alea - se così devoPag. 39chiamarla - di un passaggio breve al Senato, quando il provvedimento in esame fosse migliorato e tale miglioramento avesse ad oggetto soltanto alcuni punti tecnici. Certamente si poteva fare diversamente, si poteva emanare una legge ordinaria, si poteva intervenire in altra forma, ma non sono sicuro, sinceramente, che un'altra forma avrebbe avuto tempi di esame più brevi. Ritengo che una legge ordinaria, in cui tutti dati fossero stati, per fortuna, «messi in fila» e avessero riguardato l'intero sistema, avrebbe avuto grandi difficoltà nel suo iter all'interno del Parlamento, sia alla Camera sia al Senato.
Sono comunque d'accordo sul trinomio formato dal delegificare, valutare ed investire, ma sulla delegificazione vorrei affermare - almeno, spero di non sbagliarmi - che i decreti delegati dovranno abrogare - ed automaticamente abrogheranno - le norme in contrasto con l'autonomia statutaria: se faccio l'esempio, che conosco meglio, dell'autonomia statutaria delle università, l'approvazione degli statuti ha automaticamente generato l'abrogazione delle norme in contrasto con l'autonomia stessa. Quindi i decreti legislativi - che hanno valore di legge come ognuno di noi sa - opereranno quella delegificazione che giustamente l'onorevole Tocci chiede con grande forza.
È vero che il tempo è stato - ed è ancora - lungo, e tutti i nostri tempi sono molto lunghi (su tale argomento dobbiamo fare una riflessione generale come politici); non so però se il sistema spagnolo, che pur tanto ammiriamo, avrebbe funzionato in Italia e - lo sa, onorevole Tocci - lo abbiamo già verificato in Italia: il ministro Moratti con il suo primo atto faticosamente si liberò, se mi permette il verbo che non è elegante, del presidente, professor Lucio Bianco, e pose, esattamente come il Governo spagnolo, un commissario, una persona fuori dalla politica, un ex-rettore, un grande tecnologo come il professor De Maio per operare la riforma del CNR. Dopo un anno di commissariamento ciò che si ottenne anche allora - questo forse è l'errore ma non so se era possibile ripercorrere perfettamente la stessa strada - è stato operare ed indirizzarci verso una legge delega, i decreti legislativi, e quanto ne è seguito.
Comunque, per quanto riguarda gli INFM, considerato che l'onorevole Tocci ha chiesto che si apra su tale argomento un tavolo di confronto...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
LUCIANO MODICA, Sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca. ...comunico che questo tavolo già esiste e concludo, signor Presidente. Credo che esso si sia già riunito (o si riunirà nei prossimi giorni); non ne faccio parte, ma sono sicuro che è stato già convocato dal Ministro.
Infine, concludendo, volevo ricordare che nulla osta - come sostiene l'onorevole Tocci, a mio parere giustamente - al fatto che gli enti di ricerca che non abbiano una pluralità di campi di interesse possano avere consigli scientifici o di amministrazione di natura scientifica. Nel disegno di legge in esame la nomina governativa della metà dei membri è prevista solo per il CNR; per gli altri enti è affidato all'autonomia degli statuti il compito di stabilire come saranno organizzati i consigli di amministrazione. Quindi, è una soluzione ancora aperta, che speriamo di potere introdurre al più presto.
(Annunzio di una questione pregiudiziale - A.C. 2599)
PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata, a norma dell'articolo 40, comma 1, secondo periodo del Regolamento, la questione pregiudiziale Leone ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 2599 sezione 1), la quale sarà discussa e votata nella seduta di domani.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 10 luglio 2007, alle 10:
1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.
(ore 15)
2. - Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale presentata):
S. 1214 - Delega al Governo in materia di riordino degli enti di ricerca (Approvato dal Senato) (2599).
- Relatore: Ghizzoni.
3. - Seguito della discussione della proposta di legge:
FRANCESCHINI ed altri: Norme in materia di conflitti di interessi dei titolari di cariche di Governo. Delega al Governo per l'emanazione di norme in materia di conflitti di interessi di amministratori locali, dei presidenti di regione e dei membri delle giunte regionali (1318-A).
- Relatore: Violante.
4. - Seguito della discussione della mozione Leoni ed altri n. 1-00159 sulle iniziative in favore del popolo saharawi.
La seduta termina alle 19,15.