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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 229 di martedì 23 ottobre 2007
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI
La seduta comincia alle 14.
TITTI DE SIMONE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 17 ottobre 2007.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bonelli, Brugger, Castagnetti, Catone, Colucci, Cordoni, Del Mese, Fabris, Fallica, Galati, Gasparri, Giovanardi, La Malfa, Lion, Mazzocchi, Meta, Migliore, Oliva, Pagliarini, Piscitello, Ranieri, Realacci, Reina, Rigoni, Scajola, Stramaccioni e Villetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale Scotto; Bianchi; Boato; Bianco; Zaccaria ed altri; Franco Russo ed altri; Lenzi ed altri; Franco Russo ed altri; D'Alia; Boato; Boato; Casini; Di Salvo ed altri; Diliberto ed altri: Modificazione di articoli della parte seconda della Costituzione, concernenti forma del Governo, composizione e funzioni del Parlamento nonché limiti di età per l'elettorato attivo e passivo per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (A.C. 553-1524-2335-2382-2479-2572-2574-2576-2578-2586-2715-2865-3139-3151-A) (ore 14,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale di iniziativa dei deputati Scotto; Bianchi; Boato; Bianco; Zaccaria ed altri; Franco Russo ed altri; Lenzi ed altri; Franco Russo ed altri; D'Alia; Boato; Boato; Casini; Di Salvo ed altri; Diliberto ed altri: Modificazione di articoli della parte seconda della Costituzione, concernenti forma del Governo, composizione e funzioni del Parlamento nonché limiti di età per l'elettorato attivo e passivo per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Ricordo che nella seduta del 22 ottobre si è conclusa la discussione sulle linee generali e hanno avuto luogo le repliche dei relatori, che vi hanno rinunziato, e del Governo.
(Esame degli articoli - A.C. 553-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del testo unificato della Commissione.
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi degli articoli 86, comma 1, e 89 del Regolamento, gli identici articoli aggiuntivi Benedetti Valentini 01.061 e Capezzone 01.0100, già dichiaratiPag. 2inammissibili in Commissione, volti a disciplinare i partiti politici (materia, questa, non trattata nel testo).
La Presidenza, sempre ai sensi degli articoli 86, comma 1, e 89 del Regolamento, non ritiene ammissibili le seguenti ulteriori proposte emendative, anch'esse presentate in Commissione: Biancofiore 01.063, 01.070, 01.064 e Benedetti Valentini 01.062, tutte volte ad incidere sull'articolo 48, in materia di disciplina delle limitazioni del diritto di voto (Vedi l'allegato A - A.C. 553 ed abbinate sezione 1).
A tal riguardo, rilevo che tali proposte emendative erano state presentate in Commissione, e in quella sede ritirate, accogliendo l'invito in tal senso avanzato nella seduta del 25 luglio 2007 dal presidente della Commissione, che aveva segnalato profili di dubbia ammissibilità in considerazione del fatto che gli stessi riguardavano una materia estranea al testo base che, peraltro, non incideva, salvo che per ragioni di coordinamento formale, sugli articoli della Prima parte della Costituzione.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, intervengono brevemente sulla declaratoria di inammissibilità. Posso anche comprenderla per quanto attiene all'articolo aggiuntivo 01.062 da me presentato, riguardante le limitazioni al diritto di elettorato attivo e passivo, ma per ciò che concerne il mio articolo aggiuntivo 01.061, identico a quello del collega Capezzone 01. 0100, devo dire che una visione molto rigoristica ha ispirato la Presidenza nel dichiararli inammissibili; quand'anche sia una materia non direttamente trattata nel testo, è pur vero che, funzionalmente, nel momento in cui si va a incidere sulla composizione e sulla natura stessa del Senato e, quindi, anche sul modo di eleggere o designare i rappresentanti, la disciplina dei partiti politici sarebbe stata, a mio modesto parere, un presupposto logicamente, tecnicamente e costituzionalmente indispensabile.
Onorevole Presidente, aggiungo, infine, esprimendo il rammarico per il fatto che la declaratoria di inammissibilità preclude all'Assemblea (non solo a me stesso) la discussione su tali articoli aggiuntivi, che, forse, in questo modo deludiamo l'opinione pubblica, perché ci apprestiamo ad occuparci di aspetti significativi di riforma costituzionale; tuttavia, se non comprendiamo che la disciplina della vita dei partiti, la loro trasparenza e la loro regolamentazione sono la prima grande richiesta che proviene dal Paese, mi sembra che siamo assolutamente fuori dal passo di cui l'opinione pubblica ci chiederebbe di osservare la cadenza.
In tal senso l'incomprensione nei confronti delle attese dell'opinione pubblica, come modesto partecipe del progetto legislativo, mi mette molto a disagio. Esprimo, quindi, un certo rammarico rispetto alla declaratoria d'inammissibilità che considero rigoristica e non del tutto fondata.
GABRIELE BOSCETTO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, colleghi, sono stati dichiarati inammissibili gli articoli aggiuntivi Biancofiore 01.063, 01.070 e 01.064. È vero che l'onorevole Biancofiore aveva ritirato tali proposte emendative in Commissione, anche per le ragioni evidenziate al termine della sua dichiarazione di inammissibilità. Tuttavia, l'aver ripresentato in Assemblea gli stessi articoli aggiuntivi significa avviare di nuovo una discussione sugli stessi, eventualmente prendendo in esame un comportamento simile a quello tenuto in Commissione.
Sul piano dell'ammissibilità, con riferimento alla previsione di premettere all'articolo 1 una modifica all'articolo 48 (contenuto peraltro nel primo testo adottato in Commissione), ci risulta strana laPag. 3decisione adottata al riguardo, in quanto, a mio avviso, nulla vieta di presentare proposte emendative riguardanti un articolo precedente a quello previsto nell'ultimo testo base dei relatori e che presentano una stretta connessione con lo stesso e gli articoli successivi.
Pertanto, mi dolgo a nome della collega Biancofiore per la dichiarazione d'inammissibilità.
PRESIDENTE. Onorevole Benedetti Valentini, non compete alla Presidenza una valutazione di coerenza politica delle proposte emendative rispetto al testo base in esame, ma la Presidenza deve valutare, per quanto riguarda i profili d'ammissibilità, se la materia è trattata o meno nel testo giunto all'esame dell'Assemblea.
L'estraneità di materia è il motivo che ha portato a non ritenere ammissibile l'articolo aggiuntivo 01.061 da lei presentato sulla disciplina dei partiti politici. D'altronde, lei sa che sono state presentate da numerosi colleghi proposte di legge sulla disciplina dei partiti politici che non sono state abbinate al provvedimento in esame. Quindi, il motivo che ha ispirato l'inammissibilità, a mio avviso, è assolutamente chiaro. Peraltro, il suo articolo aggiuntivo e l'identico articolo aggiuntivo Capezzone 01.0100 erano stati già dichiarati inammissibili in Commissione per lo stesso motivo.
Onorevole Boscetto, come lei stesso ha ricordato, le proposte emendative Biancofiore 01.063, 01.070, 01.064 e Benedetti Valentini 01.062 sono volte ad incidere sull'articolo 48 della Costituzione. Il testo al nostro esame riguarda esclusivamente modifiche alla parte seconda della Costituzione e tale aspetto è stato rimarcato, inoltre, dal titolo ad esso attribuito dalla Commissione. Gli articoli aggiuntivi in questione, invece, dispongono modifiche alla prima parte della Costituzione, senza che vi sia un nesso di conseguenzialità, ovvero la necessità di prevedere un coordinamento di tipo formale - non sto parlando neanche in questo caso di coerenza o di conseguenzialità politica - con quanto previsto dal testo al nostro esame, o da una proposta emendativa ammissibile ad esso riferito.
Come lei stesso ha ricordato, tali proposte emendative erano state presentate in Commissione e, in quella sede, erano state ritirate, proprio perché il presidente aveva sollevato un dubbio di ammissibilità. Per tali ragioni, la Presidenza si è determinata in tal senso.
(Esame dell'articolo 1 - A.C. 553-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 e delle proposte emendative ad esso presentate (Vedi l'allegato A - A.C. 553 ed abbinate sezione 2).
Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative il deputato Giorgio Conte. Ne ha facoltà.
GIORGIO CONTE. Signor Presidente, non essendo intervenuto in sede di discussione sulle linee generali, mi sia consentito esprimere, senza ipocrisia, un sentito ringraziamento - peraltro già ampiamente formulato - al presidente della I Commissione (Affari costituzionali), l'onorevole Violante, per la determinazione con la quale egli ha inteso aprire un confronto e un dibattito sul tema delle riforme costituzionali, in un momento particolarmente delicato e difficile, nel quale - a pochi mesi di distanza dal referendum popolare sulla riforma elettorale approvata nella scorsa legislatura - sarebbe stato più facile prevedere un fallimento del percorso avviato, piuttosto che il suo successo.
Anche la nomina dei due relatori, uno di maggioranza e uno di opposizione, è sicuramente un segnale significativo, che sottolinea ancora una volta la necessità che la riforma appartenga propriamente a un percorso condiviso, che vada oltre gli steccati della contrapposizione politica che ha caratterizzato e, molto spesso, avvelenato il dibattito, nei numerosi anni in cui tale dibattito è stato aperto.
Ho vissuto questa esperienza proprio nella scorsa legislatura: l'opposizione di allora, in I Commissione come in Assemblea,Pag. 4non fece sconti, a mio avviso, boicottando ogni proposito riformatore della maggioranza di allora. Il centrosinistra, che oggi ci chiede di aprire il dibattito sulle riforme - è bene ricordarlo - nella XIV legislatura non si dichiarò altrettanto disponibile ad un confronto costruttivo, malgrado gli sforzi di una persona certamente equilibrata e moderata come il presidente Bruno, al quale vorrei rivolgere un sentito ringraziamento per l'attività svolta nella scorsa legislatura.
La scelta, operata allora dalla Casa delle libertà, di procedere - per così dire - «a colpi di maggioranza», fu dettata solo dal fatto che l'apposizione cercò con ogni mezzo, a mio avviso, di impedire non l'approvazione di quel testo, ma le riforme stesse, mentre il centrodestra aveva l'obbligo morale e politico, se non addirittura il dovere, di onorare un patto con gli elettori.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego di fare silenzio e di consentire all'onorevole Giorgio Conte di svolgere il suo intervento nelle modalità più giuste.
GIORGIO CONTE. Signor Presidente, la ringrazio per avere richiamato i colleghi all'attenzione.
Il centrodestra, nella scorsa legislatura, aveva il dovere di onorare un patto con gli elettori, che - come ribadito anche dal testo che stiamo per esaminare - era quello di ridurre il numero dei parlamentari, garantire l'efficacia e l'efficienza dell'azione di Governo e del suo Presidente del Consiglio, superare l'inadeguato bipolarismo (che ai nostri tempi sembra ampiamente superato per stare al passo - scusate la ripetizione - proprio con i tempi) e perseguiva molti altri obiettivi, sentiti e condivisi al di fuori e all'interno del Parlamento.
Questo, però, è un Paese strano: la sinistra, che nella scorsa legislatura impedì qualsiasi riforma, in questa esordisce, incoraggiando il Parlamento ad affrontare il tema.
Si tratta, forse - e vorrei dirlo quasi provocatoriamente - del fatto che la disponibilità del centrodestra è una sorta di atto dovuto e che in Italia le riforme condivise si devono varare solo quando la maggioranza e il Governo sono di centrosinistra? Francamente ciò è inaccettabile. Sia chiaro che il nostro partito si mostrerà disponibile nella misura in cui affronteremo con serietà i problemi della riforma costituzionale, e non certo con l'obiettivo di offrire all'attuale maggioranza l'opportunità politica di affermare che ha varato le riforme.
Il tema delle riforme costituzionali è un'esigenza ormai avvertita e sentita nel dibattito politico da lungo tempo, forse troppo, addirittura, perché sia ancora credibile agli occhi della pubblica opinione.
Per quanto riguarda la predisposizione del testo delle riforme, ritengo sicuramente corretta la scelta di un denominatore comune tra le molteplici e diverse forze politiche che compongono questo ramo del Parlamento che potesse fungere da testo base. Ma sia ben chiaro che, per essere una riforma credibile, seria ed efficace, occorre porre in essere un testo in grado di garantire all'Esecutivo la forza necessaria per rendersi responsabile della sua azione.
È bene ricordare che la Costituzione del 1948 era frutto di compromessi tra forze politiche spesso inconciliabili tra loro, le quali, all'atto della stesura di quel testo, probabilmente erano più attente ed orientate a perseguire l'obiettivo di interdire l'azione di Governo dell'avversario, piuttosto che a garantirne l'efficacia. Ciò, ovviamente, negli anni 2000 non può più esistere e di qui nasce la necessità, a mio avviso, di un'azione coraggiosa.
Attenzione, però, perché vi è un'altra insidia: ritoccare tutto affinché poi, sostanzialmente, nulla cambi, non costituirebbe solo un percorso inutile, ma anche pericoloso che potrebbe minare le basi della stessa democrazia, sull'onda anomala dell'antipolitica che distrugge tutto. Provate a pensare cosa potrebbe percepire l'opinione pubblica se, di fronte a tanti mesi, settimane e al tempo dedicato a un dibattito sulle riforme costituzionali, di fatto si partorisse il classico topolino, chePag. 5i cittadini non potrebbe cogliere in alcun modo né nell'azione del Parlamento, né nell'azione dell'Esecutivo né, ovviamente, di tutti i suoi membri.
Certamente, la scelta di procedere con riforme parziali può ottenere maggiori probabilità di successo, ma se ci pensate nasconde anche l'insidia di perdere di vista una visione di insieme necessaria, magari - perché no? - anche più ambiziosa. Ecco perché ho esordito operando un chiaro riferimento al coraggio: oltre al sano realismo, occorre proprio un atto di coraggio, che riesca a stupire e a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica.
Consentitemi un'altra riflessione: a mio avviso, in I Commissione abbiamo perso un'occasione importante per determinare la vera fine della lunga fase della contrapposizione pregiudiziale. A mio avviso, infatti, in Commissione avremmo potuto esordire, adottando proprio il testo base della riforma approvata nella scorsa legislatura, ma con tutte le modifiche necessarie per poterlo adeguare al nuovo spirito che anima il Parlamento. Quel gesto, di natura politica, avrebbe consentito anche all'opinione pubblica di ricevere un messaggio di distensione, rispetto alla contrapposizione e agli steccati politici che hanno caratterizzato il dibattito fino al momento attuale.
La riforma approvata nella precedente legislatura - è inutile nascondercelo - subì una campagna propagandistica senza precedenti, che non tenne conto dei suoi reali contenuti, ma solo della parte politica che la proponeva.
Emersero temi ed espressioni fuorvianti volti a suscitare timori infondati tanto che sentimmo parlare di disgregazione dello Stato unitario, di pericolo per la tenuta di una democrazia, di un presunto autoritarismo del Premier che non mi risulta peraltro che in altre democrazie europee abbia portato alla dittatura.
Per quanto riguarda l'adozione del testo probabilmente abbiamo perso un'occasione e per tale motivo mi auguro che la maggioranza non intenda portare avanti un'operazione di mera propaganda politica limitata alla demagogica, seppur condivisa, riduzione del numero dei parlamentari.
In questo testo vi sono luci ed ombre. Il testo coordinato rafforza timidamente i poteri del Presidente del Consiglio ed è sicuramente un aspetto che appartiene più alle luci che alle ombre, dato che si prende atto che si tratta di una necessità determinata dalla trasformazione in senso bipolare del sistema politico. In conseguenza di ciò il testo prevede che il Presidente del Consiglio proporrà al Capo dello Stato non solo la nomina, ma anche la revoca dei Ministri che attualmente è possibile soltanto attraverso lo strumento della sfiducia individuale. Il Governo potrà, inoltre, avere finalmente poteri di indirizzo dei lavori parlamentari, onde evitare che l'azione dell'opposizione si trasformi in una sorta di diritto di veto.
Un altro lato positivo risiede nel tentativo di superare, seppure parzialmente, il bicameralismo perfetto con un voto di fiducia previsto solo alla Camera e diretto al Presidente del Consiglio. Positiva è la trasformazione della Camera alta in un Senato federale della Repubblica anche se al Senato verrebbero assegnate competenze poco chiare. Meno condivisibile appare il sistema adottato per la composizione del Senato, suscitandoci forti perplessità un'elezione di secondo grado; presenteremo conseguentemente su tale aspetto delle proposte emendative. È un bene, invece, la riduzione del numero dei parlamentari, coerente peraltro allo spirito della riforma approvata nella scorsa legislatura.
Un altro elemento di interessante novità lo si trova nella modifica dell'articolo 70 che affida alla Camera, ai sensi dell'articolo 117, i disegni di legge relativi alle materie assegnate alle competenze esclusive dello Stato.
Vi sono dei punti di convergenza politica significativi, dei quali però non è stato tenuto conto. Mi riferisco in particolare all'istituto della sfiducia costruttiva, su cui hanno espresso un giudizio favorevole molti gruppi anche di maggioranza ma che - torno a dire - risulta clamorosamentePag. 6assente nel testo coordinato. Si tratta di un istituto utile e moderno che a nostro avviso dovrà essere legato ad una misura «antiribaltone», per impedire la pratica (di cui evidentemente qualcuno sente ancora la nostalgia) delle trasformazioni in corso delle maggioranze parlamentari.
Concludo, sottolineando che il testo in esame appare del tutto insufficiente per affrontare il tema complesso delle riforme necessarie a garantire al Paese ciò di cui ha veramente bisogno. In coerenza al nostro spirito riformatore non ci sottrarremo al dibattito, al confronto, all'attività emendativa per portare e rendere più vicine le istituzioni alle esigenze della gente e comunque per migliorare un testo che, come ho già detto, presenta luci ed ombre e, a causa di queste ultime, rischia di non vedere mai le prime (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cirino Pomicino. Ne ha facoltà.
PAOLO CIRINO POMICINO. Signor Presidente, esaminando l'articolo 1 tenterò di svolgere alcune considerazioni di carattere generale non avendo potuto partecipare alla stringata discussione sulle linee generali che, peraltro, è risultata inadeguata al tema della riforma costituzionale che stiamo affrontando. Su tale aspetto ho anche inviato una lettera di protesta al Presidente Bertinotti, perché abbiamo ricevuto il testo dalla Commissione affari costituzionali soltanto nel primo pomeriggio di venerdì. Alla luce di ciò cercheremo di recuperare il tempo svolgendo alcune riflessioni rivolte innanzitutto ai relatori, al presidente della Commissione affari costituzionali e più in generale ai gruppi parlamentari.
Vi sono tre questioni da approfondire. In primo luogo ritengo che il profilo del disegno di legge in esame sia improntato - lasciatemi motteggiare - al «vorrei, ma non posso».
Cominciamo subito con l'articolo 1 del provvedimento in esame, che istituisce il Senato federale. Si intende modificare il primo comma dell'articolo 55 della Costituzione sostituendo le parole «Senato della Repubblica» con le parole «Senato federale della Repubblica». Le banali regole della logica imporrebbero l'esistenza del Senato federale nel contesto di una Repubblica federale, ed una Repubblica federale sussiste nella misura in cui vi siano degli Stati che si sono federati, o che intendono federarsi.
Siccome le parole sono pietre e siccome gli atti della presente discussione poi rimarranno nella storia di questo Parlamento - in seguito tratterò, presidente Violante, le questioni di cui abbiamo discusso - vorrei lasciare proprio agli atti della Camera la dizione che l'enciclopedia Treccani riporta del termine federale: «Singolare maschile - naturalmente - che costituisce una federazione di più Stati; Stato federale è un'unione di Stati cui è attribuita personalità giuridica internazionale, mentre ai singoli Stati federati sono riconosciuti i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario nei limiti previsti dalla Costituzione; esempi di Stato federale sono gli Stati Uniti d'America, la Confederazione elvetica e la Repubblica Federale di Germania». È questa la dizione della enciclopedia Treccani, che ha una sua logica.
Come sa il presidente Violante io non sono un esperto di diritto costituzionale, ma sono uno specialista in malattie nervose e mentali, quindi mi trovo a mio agio a parlare naturalmente del disegno di legge in esame, ma vorrei sottolineare un dato elementare. Noi non siamo a favore dell'organizzazione federale della Stato; tuttavia rispettiamo naturalmente chi è dell'idea contraria, in particolare i colleghi della Lega Nord Padania.
D'altra parte, se deve istituirsi tale organizzazione è l'articolo 1 della Costituzione che va modificato, prevedendo dunque che l'Italia è una Repubblica democratica federale, e - caso mai - ritorniamo al Congresso di Vienna per ridisegnare gli Stati che si federano.
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, non è possibile proseguire la discussione in questo modo!
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PAOLO CIRINO POMICINO. Il dato sul quale vorrei attirare l'attenzione è che la questione del Senato federale non è legata all'eventuale diversa elezione dei senatori, come previsto nel proseguo del disegno di legge in esame. La riprova è che, ad esempio, i grandi elettori per le elezioni del Senato francese, che prevedono i gruppi, i deputati ed i rappresentanti locali, non garantiscono che il Senato francese diventi Senato federale; si tratta semplicemente del Senato della Francia.
Allora vi è un motivo per il quale noi siamo contrari all'organizzazione federale dello Stato. Vedete - abbiamo già discusso di questo aspetto con il presidente Violante - ho sempre visto Stati che si sono federati in uno Stato unitario. Non ho mai riscontrato il contrario.
Qualcuno potrebbe subito obiettare indicando il Belgio e l'Austria (Una voce dai banchi del gruppo Lega Nord Padania: la Cecoslovacchia!).
Perfetto! Vi sono il Belgio e l'Austria. Per quanto riguarda il Belgio, a prescindere dal fatto che l'orizzonte di questo Paese è complicato, come voi sapete e mi insegnate, in tale Stato vi sono due lingue, due religioni addirittura e una storia totalmente diversa tra fiamminghi e valloni. L'Austria - se mi consentite - è un Paese che ha una popolazione inferiore alla Lombardia, e non è paragonabile ad una grande democrazia costituita da quasi 60 milioni di abitanti.
Tuttavia il ragionamento politico alla base della nostra contrarietà all'organizzazione federale è che, quando si inverte il processo, cioè uno Stato unitario si federalizza, si frantuma territorialmente anche l'organizzazione politica. Mi rendo conto che i colleghi della Lega Nord Padania hanno nel loro bagaglio culturale questa proposta politica da tempo, infatti sono una forza pluriregionale collocata in una determinata area del Paese.
Le grandi democrazie federali, però, presuppongono grandi forze nazionali che tengono insieme le istituzioni, senza le quali la federazione di Stati autonomi rischia di trasformarsi in separatezza: la conferma sta proprio nelle grandi forze popolari che esistono in Germania, con i democratici cristiani e i socialdemocratici, e negli Stati Uniti d'America, con i due grandi partiti democratico e repubblicano. Naturalmente questa è la nostra ragione politica per la quale siamo avversi all'organizzazione federale dello Stato.
Vorrei dire a chi sostiene il contrario che, se proprio deve sostenerlo, lo sostenga «come Dio comanda». Inserite nell'ambito della Costituzione, all'articolo 1, una disposizione secondo la quale l'Italia è una Repubblica democratica federale. Diversamente finiamo per fare un'operazione semplice e, non suoni un'offesa per nessuno (come sapete non è mia cultura offendere chicchessia), offriamo soltanto l'utilizzazione politica del termine «federale» che poco o nulla ha a che vedere con l'organizzazione sostanziale di uno Stato federale.
Su questo aspetto abbiamo presentato un emendamento con il quale ritorniamo alla denominazione di Senato della Repubblica senza il termine «federale». Lo spirito costituente di cui ha parlato l'onorevole Conte - se ricordo bene il nome - deve tentare di farci ragionare con reciproche offensive di persuasione senza colpi né di maggioranza né di minoranza.
A chi sostiene l'organizzazione federale dello Stato vorrei dire che si faccia carico e modifichi l'articolo 1; diversamente accetti che resti in vigore la dizione «Senato della Repubblica».
La seconda questione riguarda l'elezione dei senatori. Anche in quest'ambito l'idea di avere un corpo elettorale composto dai consiglieri regionali rischia di aggiungere ulteriore confusione a quella dovuta alla varietà dei sistemi elettorali e alle competenze delle autonomie locali e delle regioni.
Facendomi carico, forse in maniera inadeguata, del famoso spirito costituente, posso comprendere una spinta affinché tra i grandi elettori del Senato ci siano anche i consiglieri regionali, ma che la maggioranza del Senato della Repubblica non debba essere eletta a suffragio universale - ripeto: la maggioranza del Senato della Repubblica non debba essere eletta aPag. 8suffragio universale - significa di nuovo ripercorrere l'ipotesi del Bundesrat che rappresenta una Repubblica federale nata dalla federazione di più Stati: come si vede, in politica, come al solito si tiene tutto. Di conseguenza diventa impossibile organizzare un Senato federale senza gli Stati autonomi e diventa difficile organizzare l'elezione di un Senato coinvolgendo e lasciando solo ai consiglieri regionali e alle autonomie locali l'indicazione dei senatori.
Proponiamo un'elezione mista a suffragio universale per la maggioranza, con l'indicazione da parte dei consiglieri regionali per ciascuna regione - non scendo adesso nel dettaglio lo faremo nella fase di illustrazione degli emendamenti - e riducendo il numero dei senatori, ma conferendo al Senato della Repubblica il respiro nazionale che soltanto il suffragio universale può determinare in uno Stato non organizzato in Stato federale.
Terza ed ultima questione, onorevoli colleghi e onorevole Bocchino, nella sua relazione che ho letto attentamente, anche se ieri ho passato una giornata nei soliti luoghi che amo frequentare, gli ospedali...
ITALO BOCCHINO. Gli ospedali psichiatrici!
PAOLO CIRINO POMICINO. No, ospedali, soltanto ospedali. Lei, onorevole Bocchino, ha indicato come elemento essenziale per l'eliminazione del bicameralismo il problema della lentezza del processo legislativo. Mi lasci dire che così non è.
Noi non vogliamo accelerare il processo legislativo. Il Presidente Bertinotti ed anche i colleghi presidenti di gruppo sono a conoscenza che, nella prima riunione cui ho potuto partecipare, ho sollecitato in maniera forte che la maggioranza dei provvedimenti legislativi venisse assegnata alle Commissioni in sede redigente, come avviene in tutti i grandi Paesi che conservano il bicameralismo (dalla Francia agli Stati Uniti). In tali Paesi, infatti, sono le Commissioni a organizzare i lavori in maniera accelerata, consentendo alle Assemblee del Senato e del Congresso dei rappresentanti o all'Assemblea francese di poter poi dibattere sul piano di un testo redatto dalle Commissioni. In questo modo non accade - consentitemi di fare un'ulteriore sottolineatura - quanto avvenuto la scorsa settimana, quando tutti eravamo bloccati in Assemblea, tentando di approvare un provvedimento di legge sulla modernizzazione della pubblica amministrazione, in cui nessuno seguiva nulla, tranne i colleghi che, giustamente, si erano interessati alla questione.
In altri termini, non è il monocameralismo ad essere la garanzia dell'accelerazione del processo legislativo: è un bicameralismo che, in particolare, noi riteniamo debba prevedere la riduzione (che condividiamo) dei parlamentari, sia alla Camera sia al Senato, e un'organizzazione dei lavori parlamentari, in cui la regola sia l'attività redigente.
Riteniamo, inoltre, che soltanto una maggioranza possa determinare l'invio di un provvedimento in Assemblea, senza che la Commissione abbia redatto un testo definitivo. Abbiamo l'esigenza di ritrovare un linguaggio costituzionale, che possa dare il segno del cambiamento e della direzione verso cui il cambiamento debba avvenire.
Mi avvio alla conclusione. Molti - sia l'onorevole Conte che mi ha preceduto, ma anche nel dibattito politico generale e nel «quartier generale» del Corriere della sera (noto «pensatoio» su questi provvedimenti) - ritengono che vi sia l'esigenza che sia il cittadino elettore ad indicare chi deve governare. Per carità, si tratta di un'esigenza assai legittima (e anche democratica), ma già esiste nella cultura costituzionale un modello che mette nelle mani del cittadino elettore l'indicazione del Capo del Governo e - piaccia o non piaccia - è il sistema presidenziale.
Non possiamo - e anche in questo caso torniamo al «vorrei, ma non posso» - mantenere in piedi una democrazia parlamentare, salvo tentare di introdurre surrettiziamente profili di carattere presidenzialistico, senza averne i pesi, i contrappesi e nemmeno i poteri. Era questo, onorevolePag. 9Conte, il problema vero della precedente riforma costituzionale, peraltro bocciata dal referendum popolare.
A tale proposito, vogliamo affermare con chiarezza che se vi è bisogno - per la crisi in cui si dibattono i partiti - di voltar pagina, ciò significherebbe ritornare ad una democrazia presidenziale (Applausi del deputato Bocchino), che è un assetto democratico, come dimostrano tutti i casi di democrazia presidenziale. Naturalmente, spetterà alle Camere decidere i poteri, i pesi e i contrappesi, per evitare che un sistema presidenziale si trasformi in qualcosa che - ahimè - questo Parlamento ha già avuto modo di vivere e di vedere diversi decenni fa.
Non vorrei che facessimo una riforma costituzionale - e mi riferisco, se mi posso permettere, al giovane relatore - per dare qualche «contentino» o per mantenere, come si dice dalle mie parti, il «carro per la discesa» o, al contrario, perché si sa che in sostanza non si realizza nulla e si licenzia, pertanto, un disegno di legge con tutte le contraddizioni alle quali ho fatto riferimento.
Ritengo, invece, che i gruppi parlamentari abbiano la possibilità di approfondire questi tre elementi in Aula e tentare di ripristinare o una democrazia parlamentare più agevole e più governabile o, al contrario, di fare la scelta di campo nei riguardi della democrazia presidenziale.
Non vorrei che, invece, ci limitassimo a licenziare - uso un termine forte e di ciò mi dolgo - un «pasticcio» costituzionale anziché far recuperare credibilità alla politica nel suo complesso e al Parlamento (che è il vero avversario da battere in questa stagione), di cui l'intero Parlamento credo abbia bisogno (Applausi dei deputati del gruppo DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI e di deputati dei gruppi Forza Italia e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bruno. Ne ha facoltà.
DONATO BRUNO. Signor Presidente, dopo la maratona di ieri ci accingiamo ad affrontare, in sede di discussione sul complesso degli emendamenti, il merito del provvedimento. Al fine di evitare duplicazioni, mi rifaccio alle considerazioni di carattere generale che ho svolto ieri e che sono contenute nel resoconto, ma credo sia doverosa, in questa sede, qualche ulteriore precisazione e considerazione.
Ricordo che durante la scorsa legislatura i colleghi dell'allora minoranza dicevano che la nostra riforma era complessa e disorganica, poiché toccava 55 articoli, e che proprio la corposità numerica era già un indice del fatto che probabilmente quel corpus normativo non andava bene.
La modifica del Titolo V della Costituzione - la legge costituzionale n. 3 del 2001 - era composta di 15 articoli, mentre il provvedimento oggi al nostro esame è formato da 22 articoli: dunque, siamo arrivati a 37 articoli senza dire nulla.
Mi sarebbe piaciuto - come a tutto il Parlamento e anche al corpo elettorale - discutere la riforma della vera modifica del Titolo V, partendo dall'articolo 114 per arrivare all'articolo 138: la riforma della seconda parte della Costituzione, infatti, è questa.
Invece, da un lato, si afferma di voler estrapolare una sola parte, che in qualche modo accontenta il «palato facile» dell'elettorato (la riduzione del numero dei parlamentari e la diminuzione dell'età per l'elettorato passivo) dall'altro lato, però, si tratteggiano solamente gli argomenti relativi al Senato federale e al Presidente del Consiglio.
Credo che chiunque si occupi di questa materia può ben comprendere che un anno e mezzo non è servito assolutamente a nulla. Forse sarebbe stato il caso di indugiare un po' di più in Commissione per discutere in maniera approfondita anche gli argomenti che l'onorevole Cirino Pomicino ha indicato nel suo intervento di oggi e che non sono secondari. Si tratta, infatti, di fare determinate scelte e di considerare determinati punti, che sono stati qui sottolineati, che in qualche modo avrebbero potuto anche far sì che taluni rivedessero la propria posizione.Pag. 10
Invece, si è voluto procedere nel peggiore dei modi, presentando un testo e coinvolgendo due relatori, uno di maggioranza e uno di opposizione (pensando che con tale scelta il Presidente Violante probabilmente avrebbe potuto accontentare le due parti politiche), mentre impattiamo con il nulla per quanto riguarda le modifiche, che sono state invocate e che la gente attende.
Come già abbiamo avuto modo di affermare più compiutamente ieri, infatti, le riforme costituzionali sono necessarie: abbiamo l'esigenza di ammodernare lo Stato. Lo vuole il Parlamento e lo vuole, in prima battuta, il Paese; quindi, è un compito cui non possiamo sottrarci.
La scrittura di tale modifica avviene, però, in un momento molto delicato in cui, proprio questa mattina, il Ministro guardasigilli si è recato dal Presidente del Consiglio forse per rassegnare le dimissioni. Non so come sia finita quella riunione né come continuerà, se sarà Prodi a dimettersi oppure Di Pietro o Mastella; la materia non ci interessa più di tanto in questa sede.
Un fatto è certo: da parte di questa maggioranza non si può pensare di discutere e argomentare con molta serenità una riforma costituzionale. Quello che viene offerto all'Assemblea è un prodotto che certamente è la sintesi e - oserei dire - l'accordo possibile e raggiungibile tra le forze che oggi costituiscono la maggioranza: togli di qua e metti di là, perché se si parla di Senato federale, l'amico Russo si inalbera perché ritiene che vada eliminato; quindi, alla fine, si tratta di accontentare un po' di qua e un po' di là.
Noi siamo stati tacciati, la scorsa volta, che la nostra riforma era la sintesi di un accordo sottobanco, raggiunto in montagna o al mare; però, credo che il testo di quella riforma, la cui lettura mi ha occupato nelle ore che precedono il mio intervento, avesse una organicità. Già l'ho detto ieri: l'odierna maggioranza ha sbagliato nel non approvare quella legge e nel non tentare di farla passare al referendum: in quella legge, infatti, esistevano delle norme transitorie che davano la possibilità, anche nel corso della legislatura successiva, di modificare, integrare, discutere eventuali lacune o vizi, perché tutto è perfettibile; invece, si è voluto dire «no» a quella riforma perché proveniva dal centrodestra.
Oggi dite di voler attuare un'ulteriore modifica del Titolo V, però, onestamente, non vedo, negli articoli che sono stati approvati in Commissione, anche a una lettura superficiale e non approfondita, come si possa parlare di riforma organica e funzionale del Premier e del Senato federale.
Se dobbiamo fare delle enunciazioni di principio, va anche bene; ma noi a questo gioco non possiamo partecipare. Se, come ho già avuto modo di dire ieri, si tratta di dare modo al Presidente della Repubblica di affermare che è iniziato l'iter costituente e che, quindi, forse non è il caso di arrivare anticipatamente alle elezioni, noi non possiamo stare a questo gioco. Noi abbiamo l'esigenza di rispettare gli elettori, rispetto che questa volta è mancato all'attuale maggioranza.
Sono andato a guardare gli emendamenti che, per esempio, l'onorevole Bressa, l'onorevole Boato, l'onorevole Leoni, l'onorevole Mascia e l'onorevole Amici hanno firmato in contrapposizione al testo che noi avevamo presentato la scorsa legislatura. Penso che anche loro, in quella fase, abbiano fatto uno sforzo ritenendo, in buona fede, che quegli emendamenti potevano essere discussi e, se votati da un numero maggiore di parlamentari, entrare nella nostra Costituzione. Sono convinto che essi, in perfetta buona fede, ritenevano che il modello che ci è stato rappresentato in sede emendativa fosse quello che allora (parlo di circa due anni e mezzo fa) il centrosinistra aveva maturato e ci aveva proposto.
Noi rigettammo quegli emendamenti: ci saremmo aspettati, in questa sede, che il testo sul Premier e sul Senato federale fosse lo stesso che loro avevano discusso e maturato in due anni di attività presso la Commissione affari costituzionali della Camera. Invece, ho notato che nessuna di quelle considerazioni, nessun emendamentoPag. 11di quelli che rappresentavano, oltretutto, la riformulazione di interi articoli, è stato riproposto.
Allora, mi domando: sbagliavano prima o mettevano in atto un'opposizione «sgangherata», quando noi discutevamo della nostra riforma, per cui c'era il cosiddetto muro contro muro, nel senso che, non potendo togliere niente, proponevate modifiche peggiorative? Altre motivazioni non riesco a trovarle, perché, se quelle proposte erano ritenute valide e se in quei termini volevate la parte seconda della Costituzione, mi meraviglio che quegli articoli oggi non facciano parte del testo proposto all'Assemblea.
Per tali motivi noi, coerentemente, abbiamo ripresentato gli emendamenti relativi alle parti che stiamo discutendo. Inoltre, abbiamo riproposto lo stesso testo, salvo qualche piccolo accorgimento, che avevamo già votato ed approvato quattro volte alla Camera e al Senato.
Mi auguro - l'ho detto anche ieri - che la maggioranza voglia riconsiderare qualche emendamento da noi proposto. Se, infatti, non si dovesse ritenere che i nostri emendamenti possano essere discussi, considerati ed eventualmente approvati ed il testo dovesse rimanere quello che è stato presentato all'Assemblea nella giornata di ieri, credo che, con riguardo al complesso ed alla strategia della riforma costituzionale, noi avremmo l'obbligo di non votare neanche quelle parti che facevano parte della nostra riforma costituzionale. Noi, infatti, riteniamo che si possa discutere del numero dei parlamentari (deputati e senatori) e dell'età per l'elettorato attivo e passivo, ma, se così non fosse, questa sarebbe sicuramente un'occasione sprecata!
Non so come si procederà da qui in avanti, però ho la sensazione che forse sarebbe opportuno svolgere un ulteriore approfondimento in Commissione sugli emendamenti presentati o su come si intenda procedere, in particolar modo, circa la riforma in senso federale del Senato, vale a dire se lo si vuole costituito secondo la composizione oggi prospettata.
Se la vostra fosse una risposta definitiva - così com'è definitiva quella sorta di figura di Premier che è stata abbozzata nella riforma in esame -, allora è bene farlo presente subito, perché noi saremmo contro ogni articolo ed emendamento da voi proposto. Noi sosterremo i nostri emendamenti, ma, lo ripeto, non potremmo votare assolutamente nulla del testo unificato delle proposte di legge al nostro esame.
Apro e chiudo una parentesi: non ho capito perché non si è partiti con la riforma dell'articolo 117 della Costituzione, giacché su quella questione avevamo raggiunto veramente l'accordo. Faccio riferimento, in particolare, a quali sono, più o meno, le materie che devono essere riviste ed espunte dalla competenza legislativa concorrente per essere ricondotte in quella statale o in quella regionale. Noi, invece, così facendo partiamo dal Senato federale, dimenticando che quest'ultimo si dovrà occupare anche di talune materie ed avrà determinate funzioni, e rinviamo a dopo la riforma dell'articolo citato. Anche questo - credo - è un segnale che non ci convince.
Se, infatti, avessimo avuto l'accortezza di iniziare dall'articolo 117, salvo magari fermarci e discutere un'altra parte e poi un'altra ancora della riforma, ma capendo che il processo è unitario e sapendo esattamente dove saremmo andati a parare con l'articolo 138 (quello finale), probabilmente taluni argomenti e riflessioni, che oggi siamo obbligati a fare, non le avremmo fatte, perché avremmo conosciuto la stesura finale di quella che era, più o meno, l'idea della riforma del Titolo V proposta dall'odierna maggioranza. Noi, invece, non abbiamo neanche la possibilità di vedere e valutare ciò. Ci viene detto solo come potrà essere il Senato; una scelta che non condividiamo, soprattutto per quanto attiene ai componenti (che sono eletti con elezioni di secondo e terzo grado). Inoltre, non siamo assolutamente d'accordo sulla figura del Premier che, così com'è stata indicata e descritta, appare addirittura meno premiante di quella attuale.Pag. 12
Cerchiamo, allora, di apportare aggiustamenti e modifiche, perché solo in questo modo ed in questo senso potrà continuare il dialogo, che potrebbe condurci a rivedere le nostre posizioni. Però, dai sentori che mi arrivano dai colleghi, credo che il patto che la maggioranza ha fatto sia ormai chiuso e definitivo.
Se così fosse, ripeto, il voto che abbiamo espresso in Commissione - un voto di astensione - non lo esprimeremo anche in Assemblea. Giunti a quel punto, il nostro voto contrario sarà espresso su tutto il complesso di questo articolato (si tratta di ventidue articoli). Si tratterebbe, lo ripeto, solo di una parte della riforma - che non è assolutamente convincente - e non comprendiamo, inoltre, ciò che potrà accadere dopo.
Sull'articolo 1 del testo unificato delle proposte di legge in esame, noi abbiamo proposto, in ordine ai criteri di elezione dei giudici costituzionali e del CSM, ciò che avevamo già previsto nella nostra riforma. In questo caso, questo argomento non è stato trattato in Commissione. Non so se lo dovremo discutere in Assemblea, quale luogo più adatto per svolgere considerazioni e approfondimenti. Non so neanche se il seguito dell'esame di tale provvedimento sarà spostato al mese di novembre - tanto per dirla tutta - in tal caso, eventualmente, avremmo la possibilità di approfondire per qualche giorno tale aspetto; tuttavia, non ho compreso il motivo per cui i due relatori non lo abbiano considerato e non è stato aggiunto nell'articolato. Personalmente, sono dell'opinione che, una volta esaminata la proposta di riforma del Senato della Repubblica, occorreva stabilire il ruolo di quest'ultimo con riferimento all'elezione dei giudici della Corte costituzionale e dei componenti del CSM. Inoltre, sarebbe stato opportuno fissare a quel riguardo anche l'eventuale proporzione quantitativa tra Camera e Senato, attesa la diversità che si vuole realizzare con questa riforma tra il Senato federale e la Camera dei deputati. Desidererei comprendere - mi rivolgo ai relatori e ai componenti della Commissione - se vi fosse ancora la possibilità di discutere e approfondire tale aspetto, che considero importante e fondamentale.
Da parte nostra, noi abbiamo offerto una nostra prospettazione, cui ho già fatto cenno, ed è quella che avevamo sancito con la riforma approvata nella scorsa legislatura.
Se vi fossero altre considerazioni, altre valutazioni, è bene che siano svolte in questa sede. Noi stiamo tentando, presentando emendamenti, anche con riferimento alla figura del Premier, di dare una sorta di organicità a tali tematiche. Il testo del provvedimento, al momento, ci appare però scarno e forse anche inutile.
In conclusione, se il testo dovesse rimanere così com'è pervenuto dalla Commissione, noi - lo ribadisco - non saremmo certamente favorevoli alla sua approvazione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, comprendo il collega Bruno che non riesce a capacitarsi dell'atteggiamento e dello spirito con cui abbiamo lavorato su tale riforma. Probabilmente, ci sono due questioni che ci dividono.
La prima è che, diversamente da Forza Italia, l'Unione sicuramente, ma credo che si possa dire la stessa cosa anche per altre forze politiche, ha cercato di affrontare il tema delle riforme costituzionali fuori dalla contingenza politica. L'approccio del collega Bruno conferma, invece, che loro non riescono a ragionare se non nell'ambito del braccio di ferro che cercano di continuare con il Governo. Noi riteniamo che questo non sia lo spirito giusto. Nessuno di noi, infatti, ha avviato la discussione sulle riforme costituzionali per tenere in piedi - come qualcuno sostiene - il Governo, ma per un motivo esattamente opposto, cioè per il fatto che il nostro Paese ha la necessità di ritoccare alcune parti - in particolare, la parte II - della Costituzione. Proprio per tale ragione chiediamo che di riforme costituzionali siPag. 13discuta e le si affronti al di fuori delle contingenze politiche e delle strumentalità.
Per tale ragione anche nel programma dell'Unione abbiamo indicato e abbiamo espresso la volontà politica di affrontare questo tema non facendo ricorso alla sola maggioranza dell'Unione, ma giovandoci di un consenso più ampio. Ciò è quanto avvenuto anche durante i lavori preparatori svoltisi in Commissione.
La seconda considerazione che ci distingue è l'idea e la contrarietà ad operare una grande riforma.
Partiamo non solo da una stagione lunghissima di tentativi attraverso sistemi bicamerali, Commissioni bicamerali e quant'altro (che riteniamo abbiano prodotto danni al nostro Paese e rischiato di intaccare la credibilità della nostra Carta costituzionale), ma anche da un referendum molto impegnativo che aveva ad oggetto moltissimi aspetti, praticamente tutta la seconda parte della Costituzione, con il quale il popolo italiano ha bocciato quella riforma e, con quel voto, ha chiaramente confermato la validità e l'impianto della nostra Legge fondamentale.
Partiamo da lì per verificare insieme quali punti della seconda parte della Costituzione meritino di essere ritoccati, ma con una chiarezza di fondo: gli interventi devono essere assolutamente mirati e puntuali, devono potersi reggere da soli. Difatti, se si affronta il tema, come abbiamo fatto, del ruolo del Senato, questo deve prescindere dalla necessità di modificare tutto il resto, salvo evidentemente il procedimento legislativo. Noi dobbiamo ragionare non soltanto sulla possibilità dei parlamentari di poter esprimere un voto valido, ma anche sulla garanzia di libertà di espressione di voto dei cittadini in caso di referendum.
Si tratta di un principio costituzionale che è stato contestato allo scorso Governo ed è ciò che non vogliamo fare per ragioni democratiche vere. Facciamo ciò sia per quanto è previsto dalla nostra Costituzione, sia anche perché pensiamo che solo dopo specifici e largamente condivisi ritocchi - e non dopo uno stravolgimento della Costituzione, come si avrebbe a seguito di una grande riforma come quella tentata dal centrodestra durante la scorsa legislatura - sia opportuno modificare anche l'articolo 138 per mettere in sicurezza la Costituzione stessa.
Noi abbiamo, con questo spirito, svolto questo tipo di lavoro, contribuendo alla riforma non soltanto in Commissione, ma anche in Assemblea con la presentazione di alcuni emendamenti. Naturalmente lo abbiamo fatto in modo tale che ogni intervento si regga da solo, all'interno di un'ipotesi di sistema che abbiamo considerato (ognuno nella propria testa, ma anche nei ragionamenti collettivi che sono stati svolti). È evidente, infatti, che un sistema costituzionale debba prevedere pesi e contrappesi senza i quali le garanzie costituzionali democratiche verrebbero meno e sarebbero messe in discussione.
La volontà di intervenire con un processo riformatore risponde dunque a necessità più volte dichiarate e di cui più volte si è discusso in Parlamento, ma anche a un sentimento e a una domanda che provengono dal Paese. Noi pensiamo, in particolare, che alla crisi della politica si debba rispondere con atti concreti, con l'efficacia dell'azione di Governo e del Parlamento, ma anche, per l'appunto, contrastando tale fenomeno nei fatti, intervenendo laddove effettivamente vi siano dei problemi, come abbiamo più volte riscontrato, di inefficienza o di inefficacia del sistema (in questo caso faccio riferimento del bicameralismo paritario) per cambiare ciò che non va.
Riteniamo, infatti, che l'approccio che noi seguiamo e la riforma che presentiamo partano dalla volontà di ridare forza e credibilità alle nostre istituzioni e, in particolare, al ruolo del Parlamento. Cosi facendo, credo si possa restituire fiducia ai cittadini nella rappresentanza politica, contrastando tutte le spinte populiste e di personalizzazione della politica.
Quelle spinte che in questi anni hanno cercato di mettere fortemente in discussione il ruolo del Parlamento. Spinte derivanti da un lato dalla logica che non bisognava perdere tempo, che bisognava avere fretta e che il dibattito parlamentarePag. 14sarebbe stato una perdita di tempo; dall'altro dall'esigenza di porre in essere azioni molto concrete, perché quelli che erano al centro del dibattito non erano certo i diritti sociali e politici dei cittadini, ma gli interessi di mercato e di pochi potenti nella nostra società.
All'interno di un contesto europeo e mondiale in cui i Parlamenti nazionali hanno visto ridimensionare i propri poteri e il proprio ruolo, noi vogliamo provare, attraverso questa riforma, ad intervenire per ridare credibilità e forza al Parlamento e alla sua capacità di rappresentare sia parti sia tutto l'insieme della società italiana.
Per tale ragione il lavoro che abbiamo svolto si basa e tiene conto della discussione che si è svolta in seno all'Assemblea costituente dove la sinistra, i comunisti, i socialisti e gli azionisti già chiedevano il monocameralismo, sulla base dell'assunto che la radice della sovranità è unica, ed unica deve essere la rappresentanza. In quella sede altri preferivano il sistema bicamerale, con posizioni diverse: i liberali pensavano ad una seconda Camera rappresentativa degli interessi delle categorie; altre forze politiche laiche avevano già in mente la rappresentanza delle regioni. La preoccupazione più forte che stava alla base della preferenza per il monocameralismo, da parte della sinistra, era che si potesse determinare un doppione, ciò che si è effettivamente realizzato e che ha dato luogo a numerose storture, tra cui l'attribuzione al Governo di determinati poteri, in nome di queste lungaggini che si determinavano tra Camera e Senato.
Oggi arriviamo a valutare tali modifiche dopo che si è prodotta una riforma importante, quella del Titolo V, che ha, di fatto, cambiato le cose nel nostro Paese. Dunque, noi - io in particolare - che siamo storicamente monocameralisti intendiamo modificare il ruolo e i poteri del Senato in nome di una situazione che, in questi anni, è di fatto mutata. Si richiede una Camera, come quella del Senato, con una funzione di incontro, di confronto e di composizione dei diversi livelli istituzionali, in ordine ai nuovi poteri delle regioni e per quella leale collaborazione che è sempre necessaria per far funzionare le istituzioni democratiche e uno Stato.
Il secondo livello che viene previsto - mi rivolgo, in particolare, al collega Bruno, facendogli notare che vi è coerenza non solo con le proposte dell'Unione, ma anche con il dibattito che abbiamo sostenuto nella scorsa legislatura - consiste nella necessità di diversificare i poteri di Camera e Senato, assegnando solo alla Camera dei deputati il potere della fiducia al Governo. Va da sé che il sistema elettorale per il Senato deve essere necessariamente diverso; su questo argomento ci sono fior di costituzionalisti che sostengono che non sarebbero sostenibili due Camere, elette a suffragio universale, con poteri diversi rispetto al rapporto con il Governo, in particolare con riferimento alla fiducia. Si tratta di elementi molto consolidati e da tenere necessariamente in considerazione, se si vuole mettere mano alla Costituzione, ponendo grande attenzione al rigore costituzionale e istituzionale.
Con lo stesso spirito proponiamo di ridurre il numero dei parlamentari, che si riducono a cinquecento. Vi è poi la questione dei deputati e senatori eletti all'estero che va discussa e verificata, ma lo faremo fuori da questa concezione un po' demagogica che tiene conto solo degli aspetti dei costi della politica, che noi pure consideriamo, ma avendo riguardo agli eventuali privilegi o alle spese inutili e ai risparmi possibili e non certo rispetto alla necessità di risparmiare tagliando i costi, ma sacrificando la democrazia.
Dunque, dal momento che noi riconosciamo al Parlamento una posizione di centralità anziché di subordinazione al Governo, riteniamo che la riduzione del numero dei parlamentari, per quanto possa produrre comunque un risparmio, non sia finalizzata a ciò, ma a incrementare sia l'efficacia del Parlamento, pur assicurando una adeguata rappresentanza - e i numeri, valutati anche in relazione alle esperienze degli altri Paesi, corrispondono a questo obiettivo -, sia l'autorevolezza dello stesso. Dunque, un organismo che non sia troppo ristretto, al fine di nonPag. 15negare o minare la sua rappresentatività, ma che, nel contempo, sia alquanto meno ampio, sicuramente giova al riconoscimento della centralità e dell'autorevolezza al Parlamento. Queste sono le ragioni che ci inducono a ridurre il numero dei deputati alla Camera e si tratta proprio degli stessi argomenti che portiamo contro la presenza di deputati eletti all'estero. Siamo sempre stati contrari alla modifica dell'articolo 48 della Costituzione; a maggior ragione lo siamo oggi ritenendo che, con un diverso ruolo delle due Camere, la fiducia al Governo, soprattutto con questi numeri, non possa essere affidata a cittadini eletti all'estero, che non vivono nel nostro Paese. Riteniamo, quindi, che gli eventuali problemi dei cittadini italiani all'estero si risolvano, forse, non con l'essere rappresentati in questa Camera ma trovando altre modalità per affrontare le difficoltà che incontrano nei loro Paesi di residenza. È un tema comunque importantissimo perché attiene anche agli equilibri della Camera dei deputati; pensiamo che debba essere assolutamente affrontato e, per tale motivo, è presente nei nostri emendamenti.
Con lo stesso spirito affrontiamo la questione del federalismo; abbiamo sempre affermato che al riguardo si pone non un problema ideologico, bensì di storia e concretezza: il collega Franco Russo, rappresentando la posizione del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, nella discussione sulle linee generali, ieri, ha già detto molto su questo punto e ha espresso la sua preferenza e la sua inclinazione verso una rappresentanza dal basso. Noi siamo molto sensibili ai temi della democrazia, persino a quelli della democrazia diretta per i quali diversi movimenti ed iniziative hanno occupato spazi ed esposto esigenze nel corso di questi anni. Il motivo per cui mettiamo in discussione il termine «federale» attiene alla storia italiana, al modo in cui è stata rappresentata anche sul piano simbolico e al fatto che la storia degli Stati federali è del tutto diversa da quella che, invece, viene «raccontata» nel nostro Paese.
La storia degli Stati federali corrisponde alla volontà di costruire un'unità ordinamentale, sociale e politica in situazioni in cui, partendo da enti preesistenti separati e divisi, si avvertiva l'esigenza di seguire un processo di unificazione, sacrificando, talvolta, anche pezzi della sovranità delle realtà territoriali interessate, per garantire e ottenere una gestione unitaria del Paese. Quindi i processi si svolti esattamente al contrario. Noi, infatti, ci troviamo in una situazione in cui si è utilizzato, peraltro anche a sproposito, il termine «devoluzione» e si è realizzata un'espropriazione, togliendo allo Stato funzioni che gli erano proprie per attribuirle alle regioni. Anche questa esigenza è presente in tutto il dibattito di questi decenni, dalla Costituente in poi, ma il punto è trovare il giusto equilibrio affinché si possano stabilire poteri, competenze e partecipazione a livello territoriale evitando la centralità o il centralismo regionale - un rischio possibile, verificatosi anche nel corso di questi anni - assegnando, quindi, gli adeguati poteri, anche legislativi, alle regioni ma riuscendo a garantire quel carattere unitario necessario a determinare le garanzie universali e i diritti fondamentali delle cittadine e dei cittadini.
Occorre, inoltre, evitare contrapposizioni, egoismi e frammentazioni che, invece, sono stati evocati ed invocati, con tentativi anche di determinarli sul piano legislativo o costituzionale; si avrebbe, come conseguenza, una contrapposizione tra regioni ricche e povere e tra situazioni diverse del Paese.
Noi pensiamo, invece, ad una competenza anche territoriale ma che sia il contrario della rottura della solidarietà sociale ed economica nel Paese; pertanto, guardiamo al concetto di federalismo con questo spirito, proprio per sottolineare che non vogliamo intraprendere battaglie o alzare bandiere ideologiche, ma vogliamo ripresentare i processi storici degli altri Paesi effettivamente federali e vogliamo ribadire le vere esigenze di decentramento dei poteri o delle competenze dello Stato (anche queste maturate e discusse nelPag. 16corso di decenni). Allo stesso tempo, vogliamo però contrastare sia il processo di frammentazione già in atto, sia la volontà (dichiarata da parte di alcuni) di porre elementi di contrapposizione. Tutto ciò è coerente con quanto è scritto nel programma dell'Unione e con quello che, per quanto ci riguarda, sosteniamo da moltissimo tempo.
L'ultimo aspetto, pur richiamato per ipotizzare l'incoerenza dei partiti dell'Unione rispetto alla battaglia da essi condotta contro la riforma del centrodestra nella scorsa legislatura, corrisponde invece esattamente a quell'idea di Stato, di democrazia e di repubblica in cui il Parlamento rimane centrale; di conseguenza, anche il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio, o, comunque, l'esigenza - di cui tanto si è parlato - di garantire la governabilità, vanno perseguiti non con forzature istituzionali, formali, con norme di irrigidimento del sistema - che nulla hanno da spartire con la politica e con le modifiche che si determinano nei momenti della vita politica e sociale di ogni Paese -, ma con un sistema flessibile in grado di adattarsi, come sempre è avvenuto nel corso di questi decenni (un sistema che è proprio della nostra Costituzione).
Quindi, è necessario tenere fede a questo impianto e a questa filosofia e, nello stesso tempo, agire per verificare se anche sul fronte dei poteri del Governo (o del Presidente del Consiglio, o della sua forma di elezione) sia necessario intervenire con qualche modifica.
Ribadiamo il principio della responsabilità collegiale nel Governo, la contrarietà a qualsiasi forma di elezione diretta del Presidente del Consiglio e, soprattutto, la scelta strategica della forma di governo parlamentare. Ciò, naturalmente, comporta una serie di conseguenze concrete quali la necessità di non intervenire su determinati articoli relativi, ad esempio, al Presidente della Repubblica, al ruolo del parlamentare senza vincolo di mandato e ai poteri del Presidente del Consiglio. Su tale ultimo versante, coerentemente con quanto da sempre dichiarato, siamo disponibili a riconoscere al Presidente del Consiglio il potere di nomina e di revoca dei Ministri, ma all'interno di questo meccanismo parlamentare ovvero di questa scelta strategica di un Governo parlamentare che non incide sulle altre funzioni e sugli altri poteri dello Stato ma, invece, si rapporta con il Parlamento coerentemente con quanto già avviene, di fatto, oggi, nel nostro Paese all'interno di un dialogo e di una scelta condivisa. Ciò appunto avviene già oggi anche se questo potere non è effettivamente previsto dalla Carta costituzionale.
Per tale ragione, differentemente da quanto previsto dalla precedente riforma costituzionale nella scorsa legislatura, pensiamo che il Governo deve essere sottoposto al voto del Parlamento e che gli iter legislativi previsti in tutti i loro aspetti devono riconoscere fino in fondo il ruolo del Parlamento e non devono concepire, viceversa, un Parlamento subalterno al potere politico del Governo e finalizzato a sostenere le scelte prioritarie dell'Esecutivo.
Immaginiamo, cioè, un Governo parlamentare basato sul rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo, senza alcuna forzatura sul conseguente meccanismo (non presente in Costituzione) della legge elettorale (bipolarismo, bipartitismo e via dicendo) - lasciando pertanto aperta la questione della legge elettorale, come è oggi, secondo la scelta operata dalla nostra Costituzione - e, soprattutto, assicurando che non vi siano momenti o passaggi nella storia del nostro Paese con vuoti di Governo, al fine di garantire una continuità di relazione e rapporti con il Governo, il Parlamento e i cittadini, ma senza, per questo, imbrigliare nessuno o costruire meccanismi che non avrebbero agevolezza o adeguatezza dal punto di vista costituzionale.
Per tale ragione, si è discusso anche di sfiducia costruttiva e sono stati presentati emendamenti in questa direzione; per quanto ci riguarda, però, tale istituto non può prevedere alcuna norma antiribaltone, altrimenti incontrerebbe non solo la contrarietà nostra, ma quella di qualunquePag. 17costituzionalista, che invece concepisce la flessibilità e la capacità di adattamento del sistema, senza irrigidirlo. In questo specifico caso, ragionando di sfiducia costruttiva, prevedere un irrigidimento e una norma antiribaltone significherebbe immaginare un Presidente del Consiglio inamovibile, che si potrebbe avvalere di una minoranza qualunque per mantenere saldo il suo potere, senza essere messo in discussione.
Anche con riferimento a tale aspetto, invece, riteniamo che il Parlamento sia sovrano, che il Presidente del Consiglio debba poter essere posto in discussione in qualsiasi momento, che i parlamentari non debbano avere alcun vincolo di mandato, che non vi possano essere parlamentari di serie «A» e di serie «B» e, quindi, che la maggioranza dei voti espressi dagli stessi debba poter essere riconosciuta utile a determinare eventuali maggioranze di governo in un Governo parlamentare: in ogni caso, l'istituto non può introdurre in tale contesto - perché si tratterebbe di questo - una norma antiribaltone, determinando una situazione blindata di inamovibilità del Presidente del Consiglio.
Per questa ragione, immaginiamo che tra tali piccole revisioni del ruolo e dei poteri del Presidente del Consiglio - che si conferma inserito in una forma di governo parlamentare - si introduca la sfiducia costruttiva che però deve mantenersi all'interno di un sistema di piena garanzia non solo della rappresentatività, ma anche dei poteri del Parlamento. Deve essere preservata, dunque, l'autonomia dal Governo in tutti gli aspetti e, in particolare, nel procedimento legislativo.
Abbiamo riflettuto, dunque, su punti specifici, proprio perché, come abbiamo più volte sottolineato anche in passato, senza porre attenzione ai dettagli e alle relazioni tra un articolo e l'altro della Carta, di fatto si rischia, anche intervenendo solo sulla seconda parte della Costituzione, di mettere in discussione la prima. Sappiamo, però, che la prima parte riguarda non solo i diritti sociali e i diritti politici, ma anche le questioni attinenti alle libertà delle persone e ai diritti civili: se questo Parlamento perde la sua funzione, sono i pilastri del costituzionalismo e dello Stato di diritto ad essere posti in discussione. Siamo fortemente convinti, dunque, e vincolati a tale impegno, che non solo noi ma la maggioranza dell'Unione ha assunto con i cittadini: ognuno di noi ha assunto con i cittadini tale impegno, quando è stato «bocciato» il referendum costituzionale sulla riforma approvata nella scorsa legislatura.
In questo quadro abbiamo ragionato, sono stati espressi molti contributi e punti di vista diversi, che hanno portato le forze politiche della minoranza, in questa fase, ad astenersi, ma anche molti dei loro esponenti hanno offerto un contributo vero e costruttivo, di cui non solo abbiamo tenuto conto, ma vogliamo tenerne conto anche nel prosieguo della discussione. L'unica condizione è, appunto, che tutti restiamo fuori dalle contingenze politiche.
Affermavo dianzi che nessuno di noi può concepire una riforma costituzionale, per quanto puntiforme, slegata da un sistema e da un'idea di insieme, perché siamo molto affezionati ai principi del costituzionalismo e ai pesi e contrappesi che devono essere previsti in qualsiasi Costituzione democratica. Per questa ragione, abbiamo cercato di immaginare la creazione di questo eventuale sistema, di cui stiamo discutendo in Assemblea, e naturalmente il sistema che viene in mente è quello tedesco; non è un caso: tale sistema ha garantito il bipolarismo, ma come scelta politica e non come opzione imposta e dettata da chissà quale vincolo o dettame formale scritto in Costituzione. Tale sistema ha garantito e garantisce la rappresentanza e assicura flessibilità e adeguamento alle fasi politiche, che mutano (e l'esperienza in corso ne è la conferma). Con tale sistema la governabilità è stata garantita senza porre in Costituzione norme che prevedessero i dettagli della disciplina; al contrario, è attraverso l'esperienza concreta che possiamo verificare come sia stata garantita tale governabilità. Quel sistema può favorire e incentivare, grazie ai previsti sbarramenti al 5 per cento, forme di aggregazione, maPag. 18senza costringere, senza che alcuna forza politica e alcuna espressione della società sul piano politico debba essere penalizzata. Di fatto, quel sistema sembra avere la capacità di rappresentare la realtà storica concreta del nostro Paese, che non è mai stata bipolare e non lo è neanche adesso (e la frammentazione che si registra è il frutto di questa nostra storia italiana), né tantomeno il nostro è un Paese bipartitico.
Quindi, siamo di fronte a un rischio, quello del referendum, nefasto dal punto di vista dei risultati, ma estraneo a qualsiasi contesto storico e alla storia del nostro Paese.
Dunque, abbiamo pensato il sistema tedesco perché è coerente con un sistema che funzioni e corrisponde alquanto - per quanto noi prevediamo ritocchi e modifiche, riguardanti il Senato della Repubblica: non è il loro Bundesrat - anche alla storia e alla cultura del nostro Paese, e soprattutto alle esigenze attuali.
Naturalmente, il nostro auspicio è che la proposta di legge costituzionale in esame possa essere approvata velocemente, e che la discussione che stiamo svolgendo possa aiutare la scelta in favore di tale legge elettorale.
Ciò che possiamo ribadire è la coerenza che ci vede avanzare le nostre proposte in Assemblea, con impegni recenti appunto, ma anche con la storia della sinistra in questi anni: continueremo a lavorare con tale spirito, ma in ogni caso con un grandissimo rigore, che non disperda gli insegnamenti che nei decenni abbiamo accumulato proprio in questo sforzo e in questi tentativi di «toccare» una Costituzione che, a nostro avviso, mantiene forza, validità ed efficacia e che, soprattutto, si conferma come una Costituzione assolutamente moderna e incisiva (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Holzmann. Ne ha facoltà.
GIORGIO HOLZMANN. Signor Presidente, nel mio intervento sul complesso, circa proposte che modificano radicalmente la nostra Costituzione, a partire dall'articolo 55 e successivi, non posso fare a meno di svolgere alcune brevi considerazioni.
Innanzitutto riguardo all'articolo 1, dove si supera il cosiddetto bicameralismo perfetto o bicameralismo paritario, per introdurre un sistema di «Senato differenziato», nelle competenze e anche nelle modalità di elezione, rispetto alla Camera dei deputati.
Affermo subito che personalmente nutro ampie riserve sul modello seguito dal disegno di legge presentato dal Governo, perché si è scelta un'impostazione di tipo tedesco, che prevede quindi, come avviene in Germania e in Austria, un'elezione indiretta.
MARCO BOATO. Non è presentato dal Governo, è di iniziativa parlamentare!
GIORGIO HOLZMANN. Ha ragione, collega. Questa impostazione, a mio avviso, allontana ulteriormente la cosiddetta società civile rispetto alla politica, e perciò avrei personalmente preferito un'impostazione più vicina a quella statunitense, in cui comunque non si rinuncia all'elezione a suffragio universale.
Premessa questa precisazione a titolo personale, sottolineo che nella proposta di legge in esame vi sono alcuni aspetti positivi, in virtù dei quali in Commissione le forze di centrodestra hanno garantito una benevola astensione sulla proposta stessa.
Modificando l'articolo 56 della Costituzione si passa da 630 a 500 deputati, oltre i dodici eletti nella circoscrizione Estero. È un fatto certamente importante e significativo, e ricordo che la riforma in senso federale dello Stato proposta dall'allora maggioranza di centrodestra aveva anch'essa inciso su tale aspetto, riducendo il numero dei parlamentari. Ritengo che ciò sia compatibile con le maggiori competenze attribuite alle regioni e alle province autonome, perché si delinea uno Stato con minori competenze e quindi con minore necessità di assemblee legislative così numerose.Pag. 19Nell'articolo 2 si disciplina l'elettorato passivo, abbassando i limiti di età e uniformando il Senato alla Camera. Anche in tal caso, si tratta certamente di un'innovazione positiva, e d'altra parte non si vede per quale ragione un diciottenne possa concorrere alla carica di presidente della regione ma non a quella di deputato. Tutto ciò, quindi, rappresenta sicuramente un aspetto positivo del provvedimento.
Ulteriori considerazioni riguardano il Senato, che non viene più eletto dal corpo elettorale ma viene scelto, attraverso un meccanismo di elezione indiretta, da parte dei consigli regionali e dei consigli delle autonomie locali. Mi sia consentita un'osservazione relativa alla regione Trentino-Alto Adige: il sistema proposto nel testo non garantirebbe alla minoranza del gruppo linguistico italiano l'elezione di un proprio senatore, così come invece era stato previsto dalla misura 111 del cosiddetto «pacchetto». Su tale questione prendo atto delle proposte emendative presentate anche dalle forze di maggioranza, e richiamo l'attenzione sull'emendamento del gruppo di Alleanza Nazionale di cui sono il primo firmatario. Esso prevede in primo luogo che i tre senatori spettanti alla provincia di Bolzano vengano eletti dal consiglio provinciale, e ciò renderebbe possibile, almeno a livello teorico, l'elezione di un senatore di lingua italiana, anche se non garantirebbe che quel senatore possa essere effettivamente l'espressione della volontà della maggioranza dei consiglieri provinciali del gruppo linguistico italiano, posto che potrebbe anche essere eletto con voto determinante di alcuni consiglieri del gruppo linguistico tedesco. Dunque, l'emendamento prevede che, così come accade per numerose altre fattispecie, l'elezione avvenga per gruppi linguistici separati, ovvero che il gruppo linguistico tedesco nel consiglio provinciale elegga i due senatori di lingua tedesca e i consiglieri del gruppo linguistico italiano, separatamente con voto limitato, eleggano il senatore di lingua italiana.
Questo è l'unico modo per garantire alla minoranza di lingua italiana della provincia di Bolzano, che ha una consistenza del 26 per cento, di poter avere, come suo diritto, un proprio senatore. Si tratta di un diritto che è stato negato nelle ultime due legislature, sulla base di patti elettorali intervenuti tra la Südtiroler Volkspartei e le forze di centrosinistra. Crediamo che questa sia un'ingiustizia, posto che il gruppo linguistico tedesco ha diritto ad avere garantita la propria rappresentanza (tre parlamentari alla Camera e due al Senato), ma non deve prendersi anche il terzo senatore.
Fatta questa doverosa precisazione, va anche sottolineata positivamente la riduzione del numero dei senatori, che passano da 315 a 180, eletti dai consigli regionali e dai consigli delle autonomie, cui si aggiungono i 6 della circoscrizione Estero. Anche in questo caso vi è una consistente riduzione, percentualmente molto superiore a quella della Camera.
Gli elementi richiamati sono sicuramente positivi. Gli articoli successivi del provvedimento in esame, il 5 e il 6, recano disposizioni - consentitemi la forse eccessiva banalizzazione - di natura tecnica, mentre l'articolo 7 riguarda la funzione legislativa. Si tratta, a mio avviso, dell'articolo più importante.
Il nuovo articolo 70 della Costituzione, come novellato dall'articolo 7 del provvedimento in esame, nel testo della Commissione, configura quattro distinti procedimenti legislativi. Il primo è un procedimento che potrebbe definirsi paritario, nel quale, non diversamente da oggi, Camera e Senato federale esercitano collettivamente la funzione legislativa, ma si tratta solo di ipotesi determinate, perché l'aspetto positivo del testo in esame è costituito proprio dalla fine del bicameralismo perfetto, e quindi di un sistema parlamentare piuttosto complesso e farraginoso, che ostacola anche l'attività di Governo, con la necessità di una doppia approvazione che ai giorni nostri appare abbastanza anacronistica. Vi è poi un procedimento bicamerale a prevalenza della Camera, nel quale il testo approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati può essere modificato dal Senato federale, ferma restando in capo alla Camera laPag. 20deliberazione definitiva. È previsto inoltre un terzo procedimento, secondo il quale, dopo l'approvazione da parte della Camera dei deputati, se le modifiche approvate dal Senato riguardano le materie di cui agli articoli 118, commi secondo e terzo, e 119, commi terzo, quinto e sesto, della Costituzione, la Camera può ulteriormente modificare o respingere le modifiche introdotte dal Senato solo a maggioranza assoluta dei propri componenti. Vi è infine un quarto procedimento, in virtù del quale è riservato al Senato l'esame del progetto di legge in prima lettura, spettando comunque alla Camera l'approvazione definitiva.
Il procedimento «bicamerale paritario» di cui al primo comma del nuovo articolo 70 non presenta differenze rispetto a quello oggi in vigore. Esso richiede che i due rami del Parlamento esaminino in successive letture il progetto di legge e lo approvino nel medesimo testo. Tale procedimento trova peraltro applicazione solo per alcune categorie di provvedimenti. Si tratta di quelli che direttamente incidono sull'assetto costituzionale o definiscono il quadro delle regole generali che presiedono ai rapporti tra Stato ed altri enti costitutivi della Repubblica: le leggi costituzionali, per le quali resta ferma la procedura di cui all'articolo 138, che richiede la doppia lettura, e quelle in materia elettorale; le leggi che disciplinano gli organi di governo e le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane; l'ordinamento di Roma, capitale della Repubblica; l'attribuzione alle regioni a statuto ordinario di forme e condizioni particolari di autonomia; le procedure per l'esercizio del potere sostitutivo con riguardo alla partecipazione delle regioni alla fase ascendente e discendente del diritto comunitario e all'esecuzione degli accordi internazionali; le procedure per l'esercizio dei poteri sostitutivi del Governo nei confronti di regioni ed enti locali; i principi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi d'ineleggibilità e d'incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali; i principi fondamentali per la formazione e la composizione dei consigli delle autonomie locali; il passaggio di province o comuni da una regione ad un'altra, il mutamento di circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province.
A questo riguardo, va sottolineato che nella nostra regione assistiamo da due anni ad un tentativo di «immigrazione» da parte di altri comuni, soprattutto della regione Veneto, che confinano con la nostra regione, i quali sono ovviamente attratti dalle diverse condizioni delle due province autonome di Bolzano e di Trento.
Questo fenomeno si è determinato perché, per troppo tempo, l'Italia è andata avanti a tre velocità. Alcune regioni sono di serie A: le regioni a statuto speciale come il Trentino-Alto Adige, e segnatamente le province autonome di Trento e di Bolzano, la regione Sicilia e la regione Valle d'Aosta, che godono di un'ampia autonomia, soprattutto abbondantemente sostenuta dalle risorse economiche, cioè dai trasferimenti da parte dello Stato. Vi sono regioni di serie B, ovvero le altre regioni a statuto speciale, la Sardegna e il Friuli-Venezia Giulia, dotate di minori competenze e di minori risorse finanziarie. Infine, vi sono altre quindici regioni di serie C, quelle a statuto ordinario, con competenze molto minori e, soprattutto, risorse finanziare di gran lunga inferiori. Evidentemente la disparità tra una regione di serie A come il Trentino-Alto Adige e una regione di serie C - soltanto da questo punto di vista, ovviamente - come il Veneto ha generato, in alcuni comuni confinanti, l'aspirazione a passare dalla regione Veneto alla provincia di Trento: il primo caso è stato quello del comune di Lamon, seguito dai comuni del cosiddetto Altopiano dei sette comuni e, per ultimo, da Cortina che, a breve, indirà un referendum per chiedere di passare alla provincia di Bolzano. Al di là del comune di Cortina, che può vantare anche ragioni di carattere etnico-linguistico e storico, vi sono soprattutto motivazioni di carattere economico.
Auspico, comunque, che una riforma in senso federale dello Stato possa farsiPag. 21strada in tempi brevi: questo, infatti, è soltanto il primo passo, ma occorre poi ridefinire il ruolo delle regioni a statuto ordinario e disciplinare il trasferimento di competenze e il trasferimento di risorse finanziarie. Ritengo che, vista la situazione politica che si percepisce in questi giorni, il percorso sia alquanto accidentato e, ben difficilmente, purtroppo, tale riforma vedrà la luce in questa legislatura.
Tornando all'articolo 7, quanto alle materie su cui è richiesta la maggioranza qualificata, esse riguardano il conferimento di funzioni amministrative diverse nei vari livelli territoriali di governo e il coordinamento dell'attività amministrativa tra Stato e regioni in determinate materie, l'istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale, gli interventi speciali dello Stato in favore di determinati enti territoriali, i principi generali di attribuzione del patrimonio a regioni ed enti locali.
Il secondo comma del nuovo articolo 70 della Costituzione individua una terza modalità di approvazione, riservata unicamente alle leggi che hanno lo scopo di determinare i principi fondamentali nelle materie rientranti nella competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione. I relativi progetti di legge sono individuati dai Presidenti delle due Camere d'intesa tra loro, per essere assegnati al Senato federale della Repubblica, che li esamina in prima lettura. Il testo esaminato ed eventualmente emendato dal Senato federale, dopo l'approvazione, è trasmesso alla Camera dei deputati, alla quale spetta l'esame in seconda lettura e l'approvazione in via definitiva. La Camera può modificare il testo approvato dal Senato, ma qualsiasi emendamento dovrà in tal caso essere approvato a maggioranza assoluta dei componenti.
In conclusione, osservo che una modifica in senso federale dello Stato non significa necessariamente una maggiore efficienza degli apparati pubblici: non sempre è stato così. Se guardiamo ad altri Paesi d'Europa, in cui esistono sistemi molto diversi dal nostro, possiamo facilmente rendercene conto.
Anche i sistemi centralisti funzionano bene: la Francia rappresenta un esempio in tal senso, mentre l'Austria e la Germania sono Stati federali. In realtà, a ben vedere, alla Germania il sistema federale è stato imposto con il trattato di pace e sta generando non pochi problemi, soprattutto nei conflitti di competenze fra Stato e länder. Le competenze sono molto diverse da quelle che stiamo pensando oggi di trasferire o delegare alle future regioni: i länder tedeschi, infatti, hanno competenza sulle forze di polizia, sulla scuola, sulla tutela dell'ambiente; hanno competenza concorrente con lo Stato su alcune attività economiche (soprattutto l'agricoltura), sui lavori pubblici, sul personale. Tuttavia, tale differenziazione di ruoli tra Stato e regioni non è così netta, e ciò crea non pochi problemi quando si tratta di recepire le normative di carattere europeo, per le quali, molto spesso, la Germania incorre in sanzioni proprio per la difficoltà di poter legiferare in tali materie, a causa della sovrapposizione di competenze tra Stato e regioni.
Il federalismo, quindi, va sicuramente interpretato come una svolta importante per il nostro Paese. La fine del bicameralismo perfetto o paritario certamente snellirà in futuro l'attività del Governo, porterà a un alleggerimento nel numero dei parlamentari, che è un fatto sicuramente positivo, e darà alle regioni e ai territori la possibilità di essere meglio rappresentati in maniera corale.
Da parte nostra, comunque, pensiamo ad un federalismo in cui fra le materie delegate o trasferite dallo Stato vi sia anche quella fiscale. Riteniamo che le regioni debbano avere una propria capacità impositiva e che il cittadino debba poter giudicare i propri rappresentanti sulla base delle tasse che prelevano e dei servizi che restituiscono. Oggi esistono situazioni paradossali, in cui anche le regioni a statuto speciale non hanno una propria autonomia fiscale e ricevono soltanto trasferimenti da parte dello Stato,Pag. 22che ha il compito di riscuotere le imposte; di conseguenza, lo Stato fa la parte del cattivo nei confronti del cittadino, mentre le autonomie locali fanno la parte di coloro che distribuiscono il danaro. È ovvio che tale dicotomia non può funzionare e che è necessario responsabilizzare meglio gli enti locali; per questo motivo, immaginiamo un federalismo in cui, fra le materie delegate o trasferite dallo Stato, vi sia anche quella fiscale. Siamo, altresì, per un federalismo di tipo solidale, in cui, accanto alla giusta rivendicazione del territorio di gestire le proprie risorse e di fornire sempre migliori servizi ai propri cittadini, vi sia anche la possibilità di intervenire sulle regioni più svantaggiate, per consentire ad esse di recuperare il ritardo rispetto alle altre. Ciò rappresenta un interesse generale sia dello Stato, sia, anche sul piano strettamente economico, delle regioni più ricche.
Questa è l'impostazione che ci guida, ed è anche la ragione per cui ci siamo astenuti in Commissione affari costituzionali sul testo in discussione. Riteniamo, infatti, che, accanto ad alcune novità certamente condivisibili, come quelle che ho enunciato, vi siano anche alcuni aspetti abbastanza problematici: il primo tra tutti consiste nel fatto che il Senato non viene eletto a suffragio universale, bensì con elezioni di secondo grado attraverso i consigli regionali e i consigli delle autonomie. Soprattutto questi ultimi potrebbero determinare situazioni grottesche: un piccolo comune, infatti, potrebbe far eleggere al Senato federale della Repubblica, in base ad accordi intervenuti anche su piani diversi, un proprio consigliere comunale con un pugno di preferenze. Riteniamo abbastanza singolare che mentre un deputato deve conquistare decine di migliaia di voti per essere eletto alla Camera dei deputati, a un senatore basterebbero poche decine di voti - e qualche accordo stretto con qualche comune importante - per accedere al Senato federale.
Questi sono aspetti problematici che, in coscienza, sentivo di dover sottolineare. Allo stesso modo, vorrei invitare tutti colleghi a prestare attenzione alla proposta emendativa presentata dal nostro gruppo della quale sono primo firmatario che incide soprattutto sulla questione relativa ai tre senatori eletti in provincia di Bolzano, perché riteniamo che la minoranza di lingua italiana (così come previsto dalla misura 111 del cosiddetto pacchetto a favore delle popolazioni altoatesine) abbia diritto ad un proprio senatore.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, desidero in primo luogo rivolgere un apprezzamento nei confronti del presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Luciano Violante, e dei membri della stessa, i quali si sono cimentati in un lavoro difficile e vischioso: proporre una riforma costituzionale su ciò che è possibile unire all'interno del Parlamento. Infatti, la premessa della maggioranza di centrosinistra, più volte ribadita, era evitare ulteriori riforme costituzionali a maggioranza e di coinvolgere in una riflessione comune anche le forze di opposizione le quali, per quanto mi consta, hanno collaborato all'interno della Commissione, per giungere in Assemblea con proposte concrete e hanno assunto un atteggiamento di non opposizione all'interno della Commissione stessa, proponendo eguale atteggiamento all'interno di quest'Aula. Certamente, tale impegno va apprezzato, anche se si colloca in un contesto politico precario, caratterizzato dalla difficile tenuta di questa maggioranza, alla luce delle sue profonde divisioni interne, dopo la manifestazione della sinistra comunista di sabato scorso, manifestazione di piazza riuscita, con centinaia di migliaia di lavoratori i quali sollecitavano - tale verbo è stato richiamato da questi ultimi, ma a mio giudizio protestavano contro - la politica economica del Governo del quale gli stessi fanno parte.
Inoltre, questi giorni sono stati caratterizzati dalla querelle tra il Ministro Di Pietro e il Ministro Mastella sul comportamento di quest'ultimo in relazione all'inchiestaPag. 23di Catanzaro. In questa circostanza desidero formulare al Ministro Mastella la mia solidarietà umana e politica, ma non posso non ricordare che si tratta di un conflitto grave, che coinvolge la tenuta stessa della maggioranza. Se a tutto ciò si sommano gli annunci di Berlusconi, che sostiene di avere «in tasca» 12 senatori della maggioranza, ne deduco la difficoltà di procedere con una riforma costituzionale bipartisan alla Camera e al Senato con una maggioranza minima dei due terzi (per evitare un referendum confermativo in una situazione caratterizzata da un quadro politico così precario e vischioso). Non vorrei che questa fosse l'ennesima di dimostrazione di impotenza, sia pur caratterizzata da un dibattito intenso, appassionato e forse anche produttivo, ma che non riesce a trasformarsi in nulla di concreto. D'altronde, è da decenni che nel nostro Paese si parla di riforma istituzionale e costituzionale. La prima volta è avvenuto quando il segretario del mio partito, Bettino Craxi, nel 1979 ha sottoposto all'opinione pubblica italiana e alle forze politiche l'urgenza di una grande riforma delle istituzioni. All'epoca, il tema della riforma istituzionale e costituzionale non era avvertito come una priorità tra le forze politiche, né della maggioranza di allora, né dell'opposizione comunista. Si pensava che le priorità e i problemi da risolvere fossero altri. Inoltre, all'interno della sinistra si guardava alla riforma delle istituzioni e della Costituzione con un duplice atteggiamento di riserva, da un lato perché si trattava di toccare un testo sacro (uscito da un dibattito nell'immediato dopoguerra che aveva coinvolto in un acceso e appassionato confronto le maggiori forze politiche della resistenza), dall'altro perché si trattava pur sempre di una sovrastruttura, cioè di un elemento che non avrebbe determinato cambiamenti nella società italiana, al contrario delle riforme economico-sociali.
Poi, invece, la sensibilità è venuta meno e tale questione è maturata e si è affacciata alla coscienza delle forze politiche come essenziale, ma alla sensibilità non ha fatto da contrappeso la capacità di realizzare le ricordate riforme. Sono state create alcune Commissioni: da quella Spadolini, del 1982, che prese la forma di un «decalogo», a quella Bozzi, alla De Mita-Iotti, alla Bicamerale di D'Alema, fino alla riforma del Titolo V della Costituzione (approvata da un referendum confermativo) per finire con il tentativo di una riforma organica che la maggioranza di centrodestra ha sottoposto al vaglio della Camera e del Senato, con un voto a maggioranza semplice e che è stata bocciata dal referendum confermativo. Quindi, l'unica riforma della nostra Costituzione che ha un minimo di organicità è quella del Titolo V, voluta dal Governo ulivista e approvata dal referendum confermativo. Si dà il caso, però, che tale riforma sia stata giudicata dagli stessi proponenti insufficiente e contraddittoria, a tal punto che il Ministro Chiti - Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali - nelle consultazioni svolte anche con il nostro gruppo, ha ritenuto di tracciare un percorso di riflessione e di riforma della Costituzione che partisse proprio dalla riforma del Titolo V.
Oggi ci troviamo di fronte ad alcune proposte concrete che la Commissione sottopone all'Assemblea e che però si scontrano con un atteggiamento - che mi pare sia emerso dal discorso dell'onorevole Bruno - non certo di apprezzamento, se non di preconcetta ostilità. Sarebbe interessante sapere quale sarà il pronunciamento sul testo al nostro esame da parte del gruppo di Forza Italia, che non è marginale per comporre quell'unità nazionale che si è invocata attorno ad un tema così delicato come quello della riforma costituzionale. Se il gruppo di Forza Italia assumesse un atteggiamento negativo (sappiamo che durante l'esame in Commissione tale gruppo è partito da un atteggiamento di opposizione al testo, poi mediato con gli altri gruppi dell'opposizione più favorevoli, che è sfociato in un'astensione collettiva delle minoranze), alla luce delle forti perplessità che ho colto nell'intervento dell'onorevole Bruno, e dovesse manifestare una contrarietà al testo al nostro esame, sarebbe interessante saperePag. 24quale sarà il comportamento della Commissione e del presidente Violante. Si procederà ugualmente al voto in Assemblea o si sospenderà, in questo caso, la votazione indicendo una nuova riunione della Commissione per elaborare un testo più confacente anche alle esigenze di tale importante gruppo dell'opposizione? Si tratta di domande che ritengo assolutamente legittime perché credo che i proponenti - in particolare il presidente della I Commissione, Luciano Violante - siano coerenti con l'assunto del procedere, per quanto riguarda il versante delle riforme costituzionali, con un'intesa bipartisan tra i gruppi o, almeno, tra i gruppi più rilevanti, più importanti, più significativi di questa Assemblea.
Diciamo la verità: avremmo preferito - non lo affermiamo da oggi - una riflessione organica sul modello di Stato che intendiamo costruire. Mi fa piacere che l'onorevole Bocchino, uno dei due relatori, abbia detto che, a suo giudizio, sarebbe stato più opportuno procedere attraverso l'azione di un'Assemblea costituente, ossia di un organo esattamente dello stesso tipo di quello che approvò il testo costituzionale elaborato nel 1947. Anch'io, come molti in quest'Aula, personalmente credo che sarebbe necessario un atto solenne e formale per ridefinire un testo costituzionale che sia complessivamente al passo coi tempi.
Un giornalista acuto e intelligente come Angelo Panebianco l'ha sollecitato recentemente dalle colonne del Corriere della Sera, sostenendo la necessità non solo di variare la parte seconda della Costituzione, ma di procedere anche a modifiche della parte prima, che appare superata, pur se solennemente sancita da un'Assemblea autorevole come fu quella del 1947, rispetto alle novità del nostro tempo. Basti pensare a quante volte sono state cambiate le Costituzioni nei Paesi dell'Europa occidentale, o a quante volte l'assetto costituzionale è stato variato in un Paese modello di democrazia come il Regno Unito. Pensare, quindi, ad una Assemblea costituente che possa riformulare il testo costituzionale, sia per ciò che riguarda la scala dei valori a cui si ispira la nostra Repubblica, sia per ciò che riguarda le istituzioni, cioè la parte seconda della Costituzione, mi pare sarebbe la via migliore, la strada maestra.
Si è scelto un nuovo metodo: anziché partire dal generale, ossia dal modello cui ci vogliamo ispirare, si parte da ciò che unisce le forze politiche, i gruppi di maggioranza ed opposizione e si è arrivati a concludere che ciò che unisce la maggioranza e l'opposizione, per ciò che concerne la materia in questione, sono soprattutto tre modifiche: la prima è la diminuzione del numero dei parlamentari; la seconda è la creazione del cosiddetto Senato federale; la terza è la modifica di alcune competenze del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio, per rafforzare soprattutto i poteri di quest'ultimo. Passo brevemente alle singole questioni che sono oggetto del nostro dibattito.
Per ciò che riguarda la riduzione del numero dei parlamentari, non posso che ricordare che la Camera dei deputati, le istituzioni democratiche non possono essere schiave del populismo, non possono adottare provvedimenti sull'onda dell'emozione generale determinata da qualche manifestazione e surrogata e ampliata dai giornali e dalle televisioni. È vero che il numero dei parlamentari italiani è superiore, sia pur di poco, a quello dei componenti di altri Parlamenti europei, ma è anche vero che il Parlamento italiano è un Parlamento bicamerale: oltre alla Camera dei deputati c'è il Senato. Dunque, se vogliamo ridurre il numero dei deputati e dei senatori o, addirittura, trasformare il Senato in Senato federale dobbiamo porci alcuni problemi. In primo luogo, dobbiamo porci il problema della gradualità di tale intervento «di forbice». Si parla tanto di «scaloni» e di «scalini», ma pensare ad una diminuzione drastica, ad un taglio «di forbice» di circa il 25-30 per cento dei parlamentari del nostro Paese forse mi sembra un po' utopico: non vorrei che, alla fine, qualcuno dei parlamentari si opponesse per non far nulla; preferisco un taglio graduale anziché un taglio complessivoPag. 25così consistente, che possa alla fine produrre il nulla di fatto di cui si è detto.
In secondo luogo, un Senato cosiddetto federale, eletto direttamente dai consigli regionali (questa è la novità più rilevante del testo che viene oggi proposto alla nostra attenzione), presupporrebbe, non solo dal punto di vista lessicale, colleghi, ma anche dal punto di vista politico-istituzionale, la trasformazione del nostro Stato, della nostra Repubblica in Repubblica federale. Non si può pensare di istituire un Senato federale in una Repubblica che resta priva di un'organizzazione federale: se vogliamo istituire il Bundesrat come in Germania dobbiamo varare una riforma della Costituzione che, a tutti i livelli, presupponga la trasformazione dell'Italia in Repubblica federale. Altrimenti, giochiamo sui nomi; per avere magari il consenso di qualche gruppo parlamentare incerto gli diamo lo zuccherino delle parole «Senato federale»; ma se non stabiliamo francamente che i poteri delle Regioni si trasformano in poteri federali, mi pare poi assolutamente superfluo affermare che trattasi di Senato federale: si tratterebbe di un Senato emanazione dei consigli regionali.
A meno che non si voglia cambiare il Titolo V della Costituzione già modificato dal centrosinistra, accentuando ancora di più i poteri delle regioni. Su quel punto però - e questa è una contraddizione, a mio giudizio, presidente Violante ed amici colleghi -, si ritiene di intervenire per attenuare ciò che è stato prodotto dalla riforma del Titolo V della Costituzione varata dalla maggioranza di centrosinistra, laddove sono state definite le materie di legislazione concorrente tra regioni e Stato che hanno determinato notevole confusione (sappiamo quale confusione e quale matassa complicata debba oggi essere dipanata). Ravviso, allora, una certa contraddizione tra la creazione di un Senato federale e la riforma della riforma del Titolo V della Costituzione in senso meno regionalista.
Dobbiamo incastrare questi due punti e vedere come procedere con la riforma del Titolo V della Costituzione, quali poteri attribuire alle regioni e, sulla base di tali poteri, creare un Senato delle regioni o un Senato federale.
Io preferirei in questo momento l'espressione «Senato delle regioni», considerato che la Repubblica italiana non è ancora una Repubblica federale; mentre creare il Senato federale, da questo punto di vista, mi sembra - anche nei termini - una contraddizione.
Per quanto riguarda, infine, la terza modifica concernente i poteri del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio, mi sembra abbastanza pleonastico affermare, attraverso una modifica della Costituzione, che il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio - cito testualmente - «valutati i risultati delle elezioni».
Quando mai il Presidente della Repubblica ha nominato il Presidente del Consiglio non valutando il risultato delle elezioni? Si tratta di un emendamento alla Costituzione, di una modifica costituzionale piuttosto pleonastica: solo il Presidente di una Repubblica non democratica potrebbe, una volta registrati i risultati elettorali, nominare un Presidente del Consiglio in controtendenza, senza valutare il risultato delle elezioni.
Si dice che il Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, nomina i Ministri - come avviene tuttora -, ma che li può anche revocare.
Quindi, l'aspetto di novità rispetto al testo attuale è non già il potere di nomina su proposta del Presidente del Consiglio (che è già previsto dalla Costituzione), ma il potere di revoca dei Ministri, i quali non dovrebbero più passare dall'istituto della sfiducia parlamentare, ma potrebbero essere revocati dal Presidente della Repubblica, su richiesta del Presidente del Consiglio.
Non abbiamo obiezioni di principio - come vede, presidente Violante - sul testo di riforma al nostro esame. Nutriamo, però, obiezioni di opportunità e perplessità per ciò che riguarda le definizioni, le procedure adottate e le richieste di coerenza che ci paiono assolutamente inevitabili. E - mi preme ricordare il punto diPag. 26partenza del mio intervento - abbiamo serie e fondate riserve per la situazione politica in cui tale proposta di riforma costituzionale si colloca.
Sappiamo che il terreno delle riforme costituzionali in Italia è tradizionalmente vischioso, ma il momento attuale mi sembra ancora più precario e difficile, tale da aumentare la difficoltà di realizzazione di un progetto di riforma, rendendolo, forse, utopistico.
Spero non sia così, ma non posso non registrare le perplessità che mi pare di aver colto anche negli interventi che mi hanno preceduto (Applausi dei deputati del gruppo DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Buontempo. Ne ha facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, il nostro sembra un Parlamento - una Camera dei deputati - da film di fantascienza, e ciò mentre il quadro politico è in putrefazione, il Governo ha le ore contate, e noi siamo prigionieri delle «Mastellate» di turno ed in attesa delle dimissioni del Ministro della giustizia (nel momento in cui non solo egli è indagato, ma hanno fatto scomparire le carte dalla cassaforte del pubblico ministero senza neppure avvertirlo, in violazione dell'autonomia e della separazione dei poteri).
Un pubblico ministero che indaga su un membro del Governo torna nel proprio ufficio e non trova i documenti dell'inchiesta.
Siamo in attesa di ciò che accadrà al Senato sulla pregiudiziale al decreto-legge, dove già da oggi potrebbe iniziare l'ultimo miglio del Governo Prodi. Quindi, discutere di riforme in tali condizioni sembra quasi un intervallo. Siamo dinanzi al Parlamento che rinuncia alla propria autonomia e alle proprie prerogative e si lancia sulle riforme quasi, appunto, per rappresentare un intervallo.
Qualcuno, invece, si illude che tra riforme costituzionali e riforma elettorale il Governo Prodi - lo stesso Esecutivo o un Prodi rimpicciolito - oppure un Governo Fassino temporaneo possano, in qualche maniera, scongiurare le elezioni anticipate che vengono richieste a gran voce dal Paese reale.
Inoltre, si procede verso queste riforme con una sorta di trasformismo. Ho notato che Alleanza Nazionale rinuncia alla Repubblica presidenziale. È una circostanza incredibile perché l'idea della Repubblica presidenziale appartiene alla storia politica di Alleanza Nazionale: il Capo dello Stato eletto dal popolo che assume anche il ruolo di Capo dell'Esecutivo, per governare il Paese e per mettere in piedi questo «papocchio», dove non si capisce bene quale debba essere il ruolo del Presidente del Consiglio.
In realtà, credo che questa non sia una bella pagina scritta dal Parlamento italiano. Dopo le varie esperienze, le Commissioni bicamerali, la Commissione Bozzi - chi ha più memoria può ricordare le varie tappe - è necessario (ma in realtà non si ha il coraggio di dirlo) varare riforme che durino qualche decennio, come dovrebbe essere, e non riforme adottate per la contingenza politica ed esclusivamente per accontentare una maggioranza politica nel Paese. Colleghi, vi prego di stare zitti ... Signor Presidente, vuole richiamare questo gruppo di «ragazzi della via Pal»?
PRESIDENTE. Colleghi, ha ragione l'onorevole Buontempo. La prego, onorevole Baldelli. Colleghi, per cortesia! Mi riferisco ai colleghi di Forza Italia che stanno svolgendo una riunione in parallelo. ... Onorevole Baldelli, per cortesia.
Può riprendere il suo intervento, onorevole Buontempo.
TEODORO BUONTEMPO. La ringrazio, signor Presidente. Stavo dicendo che non si rinuncia ad un disegno strategico dal punto di vista della riforma costituzionale. La Repubblica presidenziale, per la destra, era uno dei paletti cui non si doveva e non si poteva rinunciare. Invece, vediamo che ci accontentiamo di due relatori, uno di maggioranza e uno di minoranza, grazie all'abilità del presidente Violante al qualePag. 27poco interessa la riforma; egli, infatti, sa meglio di noi che una riforma che inizia in questo modo, in realtà, non arriva da nessuna parte. Però, giova certamente al suo prestigio personale (al quale egli tiene molto) far vedere che è in grado di avviare un processo di riforma che, in qualche maniera, può rappresentare una scialuppa d'attesa per una maggioranza traballante, e gli va riconosciuto il merito di questa sua capacità. Non si può dare lo stesso merito all'opposizione perché essa non deve far avviare alcun processo di riforma se non vi sono le condizioni per condurla a termine.
Non capisco perché l'attuale minoranza politica non si sia battuta e non si batta per un'Assemblea costituente eletta dal popolo con un sistema proporzionale puro, che vari solo una proposta di riforma e nella cui legge istitutiva si preveda la durata dell'Assemblea costituente e la previsione dello scioglimento automatico della stessa. È questa l'unica strada per non confondere il Parlamento che deve governare e legiferare e che ogni giorno deve affrontare la quotidianità con una Assemblea parlamentare che, con molta serenità e senza avere ripercussioni su ciò che avviene nell'agenda politica, possa predisporre una riforma sottoposta poi al referendum.
Non ne usciamo se non vi è una proposta della migliore riforma di Repubblica presidenziale possibile e della migliore riforma di Repubblica parlamentare possibile. Mettere insieme un «pezzo» di Repubblica parlamentare e un «pezzo» di Repubblica presidenziale, accontentare i singoli partiti sulle loro «cosucce» significa predisporre una riforma con le gambe corte, senza respiro, che non va da nessuna parte, che non approderà alla parte finale, cioè all'accettazione e che comunque non avrebbe il riconoscimento del Paese reale.
Una riforma costituzionale vera deve seguire un processo inverso: deve partire dalla consultazione dei cittadini i quali, votando l'Assemblea costituente con un sistema proporzionale, sceglierebbero i partiti in rapporto alla proposta di riforma presentata al Paese. Vi sarebbe, quindi, una campagna elettorale svolta con l'obiettivo delle riforme nella quale ogni partito si presenterebbe con la sua piattaforma di riforme in modo che nel Parlamento, che dovrebbe avere una durata limitata nel tempo, verrebbero rappresentate le opinioni dei cittadini; quindi, nel momento in cui quella riforma venisse approvata dal Parlamento, troverebbe più facilmente riscontro nell'opinione pubblica.
Signor Presidente, una volta quando si parlava arrivava un bicchiere d'acqua, adesso non arriva più... Veda lei, grazie.
Abbiamo visto la fine della Bicamerale che, pure, vedeva impegnato D'Alema, il quale aveva maggiore autorevolezza di quanta non ne abbia oggi, dopo lo scandalo UNIPOL. Eppure D'Alema, al massimo del suo prestigio politico, non è riuscito a condurre in porto una riforma perché appunto, anche in quella circostanza, si è voluta percorrere una via parlamentare che non è quella adatta per le grandi riforme.
Abbiamo visto, anche durante la Bicamerale, che i suoi lavori erano condizionati da ciò che avveniva al mattino; se vi era stata una mattinata serena, allora il pomeriggio, quando il Parlamento si trasformava in Assemblea costituente, si lavorava con una certa serenità; quando, invece, al mattino vi era stato uno scontro politico, esso si ripercuoteva sulle norme che dovevano essere votate il pomeriggio.
Vorrei ricordare che si era entrati in Aula per cancellare le province e poi, nell'inciucio (che è inevitabile quando tali riforme devono essere fatte dal Parlamento che deve governare il Paese) le province, i comuni e le città metropolitane sono diventati gli elementi fondanti del nuovo Stato, equiparato ad un ente erogatore di servizi; quindi, le province rimasero nel testo che fu approvato.
Lo dico sinceramente: innanzitutto, credo che il centrodestra debba rilanciare il tema dell'Assemblea costituente non a chiacchiere, ma con proposte da sostenere in Parlamento e anche, se necessario, con una mobilitazione dell'opinione pubblica.Pag. 28
Da oltre vent'anni ogni altra strada non ha portato da nessuna parte. Abbiamo assistito ad una riforma che è durata un anno; è arrivata una nuova maggioranza e ne ha fatta un'altra; poi, è stato votato il referendum che ha bocciato la proposta. Ora, addirittura, si propone una riforma del Senato prima ancora di dire quali poteri avrà il Senato federale!
All'articolo 1 di questo testo unificato della Commissione si prevede che l'Italia dovrà avere un Senato federale, senza che siano indicati i poteri, il ruolo, le funzioni. Si decide che il Senato federale venga eletto solamente dalle regioni e dagli enti locali, senza che alcuna parte di esso venga eletto a suffragio universale, cosa che darebbe almeno un minimo di autorevolezza. Ma come facciamo, signor Presidente, a votare il Senato federale, se questo voto non è rapportato al ruolo e ai poteri che gli si vogliono attribuire? Anche questo mi fa capire che, in realtà, non si vuole andare da nessuna parte, perché non si è mai vista al mondo una riforma che cancella una delle Camere.
Nel sistema italiano che, nel bene e nel male, ha retto per oltre cinquant'anni basandosi sul bicameralismo perfetto, cancelliamo una delle Camere, facendola eleggere non dal popolo, ma con una votazione di secondo livello dalle assemblee delle regioni e degli enti locali. Inoltre, non è stato considerato quel dibattito, che fu molto difficile, sui poteri, sull'interesse nazionale, sulla questione di bloccare o meno una legge regionale qualora l'interesse nazionale venga pregiudicato: di tutto ciò non c'è alcuna traccia in questa riforma.
Vediamo, inoltre, che il centrodestra rinuncia all'Assemblea costituente. Alleanza Nazionale - lo ripeto - rinuncia alla battaglia per la Repubblica presidenziale, che non è solo una forma di governo diversa, ma rappresenta la democrazia diretta. Abbiamo visto che in Italia, delle tante riforme improvvisate, solo una ha avuto un significato e sta durando nel tempo, portando buoni frutti: l'elezione diretta dei sindaci. Quella riforma ha funzionato e sta funzionando egregiamente. Allora, perché se abbiamo avuto l'esempio della governabilità dei comuni con l'elezione diretta dei sindaci, non dovremmo arrivare ad un tipo di riforma costituzionale che veda l'elezione a suffragio universale, con una forma di democrazia diretta, del Capo dello Stato? In questo modo si avrebbe anche un risparmio: con l'eliminazione della figura del Presidente del Consiglio daremo un taglio alla spesa pubblica di non poco conto, perché le due cariche si ridurrebbero ad una.
Se gli Stati Uniti, la più grande democrazia del mondo, sono governati da un Presidente della Repubblica che è anche a capo del Governo, non vedo perché l'Italia non possa seguire questa strada. Certo, la partitocrazia in Italia è molto forte e preferisce la mediazione dei partiti: qualunque carica ai vertici dello Stato non deve avere suffragio diretto da parte dei cittadini perché ciò farebbe perdere ai partiti il potere di ricatto e di condizionamento.
Ma noi a destra - io parlo a nome del nuovo partito La Destra - non rinunceremo alla Repubblica presidenziale perché la riteniamo oggi, considerate le condizioni in cui è il nostro Paese, un vero cambiamento che può portarci all'avanguardia delle democrazie nel mondo. In un sistema nel quale il Presidente il Consiglio viene «ingabbiato» in un reticolo di condizionamenti, non avremo né una Repubblica presidenziale, né una Repubblica parlamentare, perché da questa scelta da effettuare a monte deriverebbe poi tutta una costruzione di architettura costituzionale. Se non facciamo questa scelta a monte e, quindi, se non sappiamo quale tipo di Repubblica vogliamo per il nostro Paese, come possiamo costruire la piramide dei poteri diretti, indiretti, e delegati?
Mi dispiace che il centrodestra abbia accettato di far pervenire all'esame dell'Assemblea questo testo e, caro Presidente, pur sapendo bene che sono i capigruppo a decidere l'ordine dei lavori dell'Assemblea e che la Commissione, nel momento in cui predispone un testo di sintesi, lo fa per l'Assemblea, mi rammaricoPag. 29anche del silenzio dei Presidenti della Camera e del Senato che non è assolutamente possibile nel momento in cui si mette in scena un'operetta con cui si vuole «spacciare» all'Italia l'idea che stiamo lavorando per varare la riforma. Invece, stiamo lavorando solo perché il presidente Violante vuol rendere quest'ultimo servigio a Prodi e alla sua maggioranza, dimostrando che è riuscito a imbrigliare l'opposizione in un dibattito che toglie tempo alle discussioni sulle leggi che il Parlamento deve approvare. Ma ci rendiamo conto di quanto tempo occuperà il dibattito odierno e di quanti provvedimenti che risponderebbero agli interessi dei cittadini rimarranno nei cassetti, perché nel frattempo discutiamo a vuoto di una riforma elettorale che non approderà in nessun luogo?
Quando si tratta di modificare la Costituzione, non è vero che i Presidenti dei due rami del Parlamento debbano fare i notai ed essere autorità terze che registrano solo quello che decidono di altri, perché in presenza di riforme costituzionali bisogna imporre serietà, profondità e certezza di percorso affinché la Camera e il Senato non cadano in balìa degli interessi, non sempre confessabili, dei partiti, che avviano questo processo esclusivamente per tentare di trovare un'ancora di salvataggio e far respirare qualche settimana in più il Governo che è profondamente in crisi.
Ma si è mai visto che un Parlamento che è alla vigilia dello scioglimento possa approvare delle riforme per il futuro di un Paese? È possibile varare delle riforme su sollecitazione del Governo quando questo non ha i numeri per governare; se finora si è retto - lo voglio dire con molta serenità - è stato per un imbroglio della democrazia che vede i sette senatori a vita, nominati per essere i padri della patria e un riferimento di grande equilibrio intellettuale e istituzionale, alterare il risultato delle urne? Quando vi è un sistema maggioritario ci si presenta agli elettori dicendo che in caso di vittoria si governerà con un determinato programma e con determinate forze politiche.
I sette senatori a vita non hanno sottoscritto il programma del centrosinistra e non si sono presentati nelle piazze d'Italia a dire che condividevano il programma. Dunque, nel momento in cui esce il risultato dalle urne non possiamo trovare sette persone... Se si rileggono gli atti parlamentari dell'Assemblea costituente, in cui vi fu un confronto-scontro sulla questione se nominare o meno i senatori a vita e su quale ruolo assegnare loro, ebbene, da tali atti si evince che i senatori a vita dovevano porsi al di fuori dell'agone politico e che venivano nominati affinché potessero rappresentare un momento di armonia e non di divisione.
Il fatto che l'Italia non vada al voto, perché sette persone, che non si sono sottoposte al giudizio degli italiani, decidono quando e come la maggioranza deve sopravvivere (nonostante non governi più il Paese), è un vulnus per la democrazia. Quei sette senatori stanno attentando alla vita democratica! Quei sette senatori oggi stanno offendendo anche il ruolo che la Costituzione ha dato loro. Avremmo voluto rispettarli, come abbiamo fatto in tanti anni di vita parlamentare, ma oggi non più.
Se, infatti, i senatori a vita divengono strumento di una parte politica, la vera riforma, che non ho trovato nel testo, dovrebbe prevedere la cancellazione dalla nostra Costituzione della nomina dei senatori a vita, in quanto hanno abdicato alla loro funzione. Il centrodestra, oltre ad affermarlo a parole, dovrebbe battersi dentro e fuori il Parlamento, affinché i sette senatori a vita provino un po' di vergogna, offendendo i padri della patria, che quando decisero...
PRESIDENTE. Onorevole Buontempo, la prego di usare un linguaggio più rispettoso.
TEODORO BUONTEMPO. Non ho offeso. Ho affermato che, quando fu prevista la possibilità della nomina dei senatori a vita, dagli atti che ho letto risulta che, durante un dibattito molto più caldo di questo, si definì il ruolo dei senatori a vitaPag. 30e venne giustificata la loro presenza in quanto non dovevano - come ricordavo - entrare nell'agone politico.
Ritengo che tale aspetto sia fondamentale per il futuro del nostro Paese. Se, infatti, torniamo a votare senza sapere cosa decideranno i sette senatore a vita, ancora una volta il loro ruolo sarà determinante. Quindi, credo che, se si debba realizzare una riforma, bisogna cancellarli per il diritto di eliminare un difetto nelle nostre regole. Non voglio offendere le singole persone. Tuttavia, se mi fermassi a riflettere, dovrei dire che Oscar Luigi Scalfaro impedì a Berlusconi, quando si dimise, di tornare alle Camere per verificare se vi fosse o meno una maggioranza. Altro è rispettare e non commettere vilipendio - giammai, è lontano da me! - altro è affermare che l'allora Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, consentì la formazione di ben quattro Governi (due presieduti da D'Alema, uno da Amato e uno da Dini) senza previo ricorso alle elezioni. Si verificò un vero e proprio colpo di Stato, in quanto la maggioranza, che aveva vinto le elezioni, divenne minoranza mentre la minoranza, che aveva perso le elezioni, ha potuto guidare ben quattro Governi senza il ricorso alle urne.
MARCO BOATO. Il colpo di Stato se lo è inventato lui. Non c'è stato alcun colpo di Stato.
TEODORO BUONTEMPO. Quindi, caro Presidente, altro è il rispetto per la persona e per l'incarico istituzionale, altro è un esame storico di quanto avvenuto nel Paese quando i cittadini sono stati privati per quattro anni del diritto di scegliersi una nuova maggioranza, magari la stessa, e un nuovo capo del Governo, magari lo stesso, ma eletto, però, dai cittadini e non deciso dall'alto, senza alcuna consultazione popolare.
Se il centrodestra non avesse il coraggio di denunciare con forza che tra quei sette senatori a vita ve ne è uno che ha imprigionato la democrazia ed ha impedito agli italiani di tornare al voto, non farebbe il proprio dovere.
In questi giorni ho avuto modo di lavorare con la Fondazione della Camera dei deputati e con l'attuale Capo dello Stato, persona molto corretta, egregia, gentile nei modi e nella sostanza, che ha anche un certo rispetto delle istituzioni. Non si può nascondere, caro Presidente - sempre con il riguardo dovuto - che vi sia un'invasione di campo: ho l'impressione che, quando il Capo dello Stato interviene sulla riforma elettorale e fa capire all'opinione pubblica, tra il dire e il non dire, che non si può tornare al voto senza una riforma elettorale, si vada fuori dalle prerogative previste dalla Costituzione: non si può «legare» il Parlamento a una riforma anziché a un'altra!
Tutti dicono che sia uno scandalo che deputati e senatori siano nominati e non eletti dai cittadini, ma tra tutte le proposte di riforma non ve n'è una sola che restituisca il diritto di voto agli italiani per scegliere deputati e senatori, eliminando il potere delle oligarchie dei partiti, che spesso hanno scelto e sceglieranno in rapporto alle proprie convenienze e alle disponibilità di chi è eletto deputato o senatore e non al consenso, al merito e all'onestà.
MARCO BOATO. Glielo avete dato voi questo potere, con la vostra legge elettorale!
TEODORO BUONTEMPO. Credo che in Parlamento non vi sarebbero molti senatori e deputati inquisiti, se essi avessero dovuto rispondere al voto degli italiani e non alle nomine delle oligarchie! Io ho la coscienza a posto, perché l'unico emendamento sul quale la Camera dei deputati votò in occasione di quella riforma elettorale fu il mio, che chiedeva il ripristino della preferenza.
Ora si parla del sistema tedesco, di quello spagnolo e di quello italiano, ma nessuno dice che, qualunque sia il tipo di riforma elettorale, dobbiamo ridare al cittadino la potestà e il diritto di scegliere il deputato e il senatore. Anche da questo punto di vista, credo che i Presidenti delle Camere debbano dire la loro, nonPag. 31per entrare nell'agone politico, ma per tutelare il Parlamento. Non possiamo avere un Parlamento di nominati, senza alcuna scelta, senza le primarie, senza una selezione e senza il consenso degli italiani: ciò significa mettere in ginocchio la democrazia!
Cari colleghi, se mettiamo insieme l'invasione di campo dei vertici istituzionali sulla riforma elettorale, il fatto che non si vuole che deputati e senatori siano eletti dal popolo e il ruolo - non normale e non costituzionalmente corretto - dei sette senatori a vita, ci si accorge che vi è un golpe strisciante e che la democrazia e la rappresentanza del popolo stanno arretrando. Abbiamo il dovere non di incardinare questa «riforma di intervallo», ma di pensare a quali necessarie riforme possiamo approvare, intanto per restituire il potere di voto ai cittadini.
Leggendo il testo del provvedimento, è raccapricciante quello che verrebbe fuori: una «Repubblica delle banane», né parlamentare né presidenziale, nella quale nessuno ha poteri e vi è un sistema ricattatorio e di condizionamenti che non porta da nessuna parte. Perché la destra e il centrodestra non vanno in sintonia con quanto i cittadini chiedono a gran voce: elezione dei deputati e dei senatori scelti dal popolo, chiarezza tra una Repubblica parlamentare e una Repubblica presidenziale, chiarezza sui ruoli e le funzioni del Capo dello Stato - se esso deve rimanere - e del Capo del Governo?
Tutto ciò, nel testo che ci viene presentato, manca del tutto. Infatti, nella riforma varata dall'allora maggioranza di centrodestra e poi «bocciata» dal referendum, era stata inserita la previsione di Roma quale capitale d'Italia, e non è cosa da poco. Era stata inserita anche la priorità dell'interesse nazionale rispetto agli interessi locali, di cui nella proposta di legge costituzionale sottoposta alla nostra attenzione non troviamo più traccia.
Possiamo noi approvare articoli della Costituzione, come quello relativo al Senato federale, senza sapere quali poteri concediamo a quella Camera e senza capire come essa possa ben rappresentare gli interessi locali evitando nel contempo di ledere gli interessi nazionali del Paese?
Credo che il centrosinistra sia giunto al capolinea: i suoi esponenti sanno bene che è questione di giorni o di settimane, sanno bene che l'attuale maggioranza ormai non regge più e non dispone più dei numeri necessari. Dunque, a parte la condanna verso i senatori a vita, credo che il centrodestra non debba offrire alcun aiuto e alcuna occasione all'attuale maggioranza: noi, questa maggioranza, la dobbiamo mandare a casa, per il bene dell'Italia!
Infatti, nel nostro Paese registriamo una povertà che si sta ingigantendo: le famiglie monoreddito stanno entrando nella fascia di povertà, e parliamo di migliaia di famiglie in Italia! Altro che, onorevole Bocchino, incardinare questa «cosetta da niente», quando viviamo in un Paese nel quale persino ottenere un posto in un asilo nido diventa una lotta, una battaglia e una sofferenza per migliaia e migliaia di cittadini. Altro che incardinare questi temi: non abbiamo insegnanti di sostegno a sufficienza per i portatori di handicap e anche in tal caso, anziché discutere su quelle disposizioni, che sono in attesa di approvazione, «facciamo l'intervallo» con questa specie di proposta di riforma costituzionale.
Di fronte al Paese, caro Presidente, chi ha votato l'indulto reciti il mea culpa e chieda scusa agli italiani: sono usciti 20.000 delinquenti comuni, che continuano ad uccidere e a rubare, e il Parlamento fa finta di nulla, pur essendo il responsabile di tale situazione; per gran parte di quei crimini gli «uomini in fax» - cioè le classi dirigenti dei partiti - diramano comunicati condannando Tizio che ha ucciso, Caio che ha stuprato e Sempronio che ha rapinato, ma poi si scopre che hanno potuto perpetrare tali reati perché il Parlamento, con la stessa superficialità, lo stesso pressappochismo e lo stesso scarso rispetto per la condizione degli italiani, ha rimesso in libertà 20.000 delinquenti comuni, trasmettendo un senso di impunità.
Ma cosa devono pensare quegli agenti di pubblica sicurezza, quei carabinieri,Pag. 32quei finanzieri che hanno rischiato la vita per assicurare alla giustizia un delinquente comune, quando poi se lo vedono passeggiare per il corso del paese o lo vedono sotto casa loro, a sbeffeggiarli?
Lo stesso Parlamento che ha creato un danno così grande per la comunità civile del nostro Paese, oggi ci vorrebbe imprigionare, per la decima volta, in un dibattito sulle riforme costituzionali e sugli articoli della Costituzione. Non posso pensare che il centrodestra voglia assicurare al testo in esame l'approvazione con la maggioranza dei due terzi dei componenti del Parlamento, impedendo così il ricorso al referendum. È questo infatti l'obiettivo del presidente Violante; spera che il testo venga approvato con la maggioranza dei due terzi del Parlamento perché ciò impedirebbe il ricorso al referendum e a tal fine sono stati nominati due relatori, rispettivamente esponenti uno della maggioranza e uno della minoranza.
Mi auguro e spero che il centrodestra non voglia fare un tale regalo, che sarebbe uno schiaffo in faccia dato agli italiani, che ci hanno chiesto e ci chiedono di cambiare la situazione attuale, di mutare la politica, di impedire che la sinistra, ogni giorno di più, occupi la RAI e tutti i mezzi di informazione (lo dimostra il fatto che, quando intervengono gli agenti di pubblica sicurezza, la RAI riporta la notizia che sono intervenuti picchiando indiscriminatamente donne, bambini e donne incinte: è accaduto anche in un servizio di ieri sera, in una rete nazionale).
Cosa dobbiamo dire a quegli agenti di pubblica sicurezza ai quali neghiamo persino di accedere alla liquidazione entro i primi otto anni di lavoro per comprare la prima casa (vi è una mia proposta di legge, per la quale mi batto da anni)?. Parliamo di soldi loro, di soldi che sono accantonati, del loro stipendio differito. Ciò che riconosciamo ai dipendenti privati non lo riconosciamo alle forze dell'ordine: al giovane carabiniere o al giovane poliziotto che viene trasferito a Roma o a Milano neghiamo l'anticipo sulla sua liquidazione. Vi rendete conto di quale ostilità dimostri la politica nei confronti dei servitori dello Stato? Un carabiniere o un poliziotto che deve vivere sulla Casilina o a Centocelle, che per andare a lavorare deve alzarsi alle cinque del mattino per raggiungere via Genova, che deve portare i figli a scuola quattro quartieri più in là, non ha diritto a nulla. Se sei figlio di un carabiniere che rischia la vita non ti danno l'asilo nido, che danno invece al figlio del rom, che poi a scuola non ci va, e non siamo in grado di togliere la potestà a quei genitori che vivono sfruttando in schiavitù i propri figli. Se si tratta di membri delle forze dell'ordine tali vantaggi non li hai; se non sei ex-tossicodipendente, ex-carcerato, ex-terrorista non puoi accedere a nessun servizio da parte dello Stato o degli enti locali.
Mentre vi è un Paese sommerso da tutto questo, e da numerose altre problematiche che la cronaca ci offre, guardate un po'....! Posso capire la sinistra, che sta con l'acqua alla gola ed è consapevole che se dovesse andare a casa oggi non governerebbe per i prossimi venti anni, ma non capisco il centrodestra. A nome della Destra, protesto con fermezza con il centrodestra, che invece di mandarli a casa sta facendo incardinare una riforma costituzionale solo per perdere tempo, e discute di una riforma elettorale volta solo a tentare di salvare questo Governo. Prodi potrebbe fare anche un Governo più snello con meno ministri e sottosegretari, oppure vi potrebbe essere un Governo Fassino, al quale, essendo in questo periodo disoccupato, si potrebbe far fare temporaneamente il Presidente del Consiglio: ma tutto ciò non è quello che gli italiani chiedono al centrodestra.
Concludendo il mio intervento, ribadisco che non si può procedere all'elezione di un Senato federale senza conoscere quali poteri gli si daranno, e che non si può procedere all'elezione di un Senato federale senza che ci sia una parte dei senatori che venga eletta a suffragio universale, perché essi devono rappresentare anche gli interessi della Nazione, e non soltanto quelli localistici. Un'Assemblea costituente rappresenta l'unica strada, mai percorsa, che potrebbe assicurare una seriaPag. 33stagione di riforme, non confondendo il Parlamento che deve legiferare con quello che deve fare le riforme su delega dei cittadini, i quali votano i partiti nella percentuale che ritengono, esprimendo in tal modo assenso o dissenso sulle proposte di legge presentate in vista dell'elezione dell'Assemblea costituente.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
TEODORO BUONTEMPO. Mi auguro che nelle prossime ore si metta fine a questa farsa. Vi rendete conto che stiamo discutendo gli articoli 1 e 2 del testo, su cui oggi si potevano presentare gli emendamenti, che discuteremo successivamente gli emendamenti all'articolo 3 e che non conosciamo ancora su quali articoli pezzi della maggioranza e pezzi dell'opposizione hanno trovato un'intesa o un accordo politico?
PRESIDENTE. La prego di concludere.
TEODORO BUONTEMPO. Li vogliamo conoscere prima, e anche il Presidente della Camera ci deve tutelare. Non si è mai vista al mondo una riforma della Costituzione realizzata separatamente, a distanza di settimane tra un articolo e l'altro, senza che si possa discutere l'intera proposta (Applausi di deputati del gruppo Forza Italia)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Alessandri. Ne ha facoltà.
ANGELO ALESSANDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho ascoltato con interesse gli interventi precedenti, e credo che si discuta di un tema importante, forse fin troppo per affrontarlo in questa maniera. Il federalismo è il principio di una democrazia basata sui popoli, e non di una democrazia che spesso si maschera come giustificazione, perché in realtà basata su grandi poteri calati dall'alto. foedus è un principio, ed è un prefisso che sta alla base di tutto quello che consegue a un ragionamento serio, compiuto e analitico su quello che è il federalismo.
Questa riforma sembra affrontare la questione come se si trattasse di un quadro astratto di Picasso, dove Violante butta pennellate di rosso per accontentare i comunisti, un po' di azzurro per accontentare Forza Italia, un po' di verde per accontentare la Lega Nord. Ne esce un quadro nel quale tutti riconoscono qualcosa di proprio, ma nel quale però faccio fatica, in modo compiuto, a riscontrare una riforma (secondo il significato proprio del termine) di questo Paese.
Affermo ciò con un certo rammarico, perché abbiamo perso una grande occasione, e l'abbiamo persa l'anno scorso. Vi sono stati cinque anni di dibattito serio, al contrario di quello attuale, e cinque anni di discussione mediata. Devo dire che a Lorenzago - ricordo che qualcuno ha anche osato prendere in giro le riunioni in quella sede - il buonsenso ha imperato più di quanto non abbia fatto all'interno delle Commissioni e all'interno di questo Parlamento. La scorsa legislatura si è trovata una quadra: era una quadra talmente buona che la riforma che stiamo analizzando oggi di fatto, per certi versi, scimmiotta la nostra riforma. Eravamo partiti affermando che i parlamentari andavano ridotti, 500 alla Camera e 250 al Senato, e oggi siamo a ribadire che i parlamentari debbono essere 500 alla Camera e 250 al Senato: dunque abbiamo perso non i cinque anni precedenti, ma, con la bocciatura al referendum dell'anno scorso, abbiamo perso un'opportunità che potrebbe non ripresentarsi per i prossimi trent'anni; è questa la verità!
Abbiamo ascoltato varie posizioni, secondo le quali il federalismo è semplicissimo, ma proprio perché è semplice e andrebbe a riformare in maniera completa questo Paese che non funziona, nessuno, alla fine della fiera, a parte la Lega Nord, lo vuole veramente. Tutti ammettono che se oggi parliamo di federalismo e se tutti lo reputano una soluzione, è grazie alla Lega Nord, che in modo insistente continuò a battere su questo tasto (ricordo che Umberto Bossi vent'anni fa fu il primo), arrivando alla consapevolezza che il federalismo è una soluzione ai tanti maliPag. 34del Paese. Però sono vent'anni che ne parliamo, ma non lo realizziamo. Badate che la gente non è stanca di politica, anzi partecipa volentieri, quando la politica prova a fare dei passi, ad andare in piazza e a chiedergli una mano: la gente è stanca di una politica che continua a promettere e a non mantenere.
Allora foedus - lo dico alle nostalgie democristiane alla Cirino Pomicino, che oggi abbiamo ascoltato - è un concetto molto semplice. Non è vero che non vi siano in Europa esempi di Stato all'interno del quale convivono valori separati: tali esempi vi sono. Tutti i Paesi federali sono così: foedus vuol dire patto tra cose divise, allora se cose divise devono essere, lo siano fino in fondo, e con serietà facciano un patto, ma siano prima di tutto loro i detentori di un potere legislativo, di un potere impositivo, di un rapporto diretto con i cittadini, di un potere di riforma al proprio interno, riforma che lo Stato nel suo complesso non riesce a realizzare, perché lo Stato centralista non riuscirà mai cambiare se stesso. A volte viene da ridere pensando a quanto siamo stati bravi a realizzare una riforma per cui i parlamentari in quest'Aula votarono per eliminare quasi 200 di loro.
Non è pensabile, sentendo anche oggi le varie posizioni, che si possa trovare in pochi mesi la stessa consapevolezza, per far votare a quest'Aula una norma per eliminare se stessi, e che questa consapevolezza arrivi addirittura ai due terzi della Camera e ai due terzi del Senato.
Dunque, quel quadro fatto di tanti colori mi sembra solo il modo per presentare ai cittadini una faccia che non è la propria, ma che è una sorta di maschera, nella quale si dice che abbiamo fatto il federalismo: questo non è il federalismo, purtroppo. È come mettere davanti all'orso un favo di miele: allo stesso modo, se alla Lega Nord viene presentata l'espressione «Senato federale» siamo sempre pronti a ragionare, siamo sempre pronti a cercare di migliorare un testo che riguardi questo argomento, siamo sempre pronti a procedere. Poiché oggi il Senato federale non esiste, ci piace ogni strada che possa portare alla sua costituzione, anche solo formale ed iniziale, ci piace poter collaborare, poter spingere, poter incentivare, poterlo realizzare: però ci piacerebbe anche che il Senato federale ci fosse per davvero. Nella riforma in esame, purtroppo, non è chiaro, se il Senato federale dovesse essere così configurato, quali competenze potrebbe avere.
Partiamo dall'inizio, per capire quali sono le competenze che un Senato federale potrebbe e dovrebbe avere. Innanzitutto dovrebbe essere rappresentativo delle regioni, per cui si dovrebbe eliminare il bicameralismo perfetto. Quest'ultimo proveniva da un'esigenza che conosciamo tutti: nel periodo post-fascista si aveva presente il monocameralismo, nel quale una sola Camera, in quel caso anche monopartitica, decideva tutto. Era necessario un modello diverso e si è creato il bicameralismo, con Camera e Senato. Nel corso degli anni tale sistema ha provocato una sorta di stortura, per cui una legge deve passare alla Camera, poi deve andare al Senato, spesso deve ritornare alla Camera e poi di nuovo al Senato, se non addirittura ricominciare l'iter un'altra volta: così finisce la legislatura, e spesso le leggi non vengono approvate. Ciò significa incentivare la burocrazia e i tempi lunghi, non dare risposte alla gente: vi è l'esigenza di eliminare questo tipo di rappresentatività.
Qual è un modello che può funzionare? Il punto di partenza può essere quello del Bundestag e del Bundesrat tedesco, con il Bundesrat come Camera della rappresentanza territoriale: noi abbiamo qualcosa di simile ai länder, vale a dire le regioni. A queste ultime, tuttavia, dobbiamo affidare materie esclusive, perché si capisca su quali ambiti possono legiferare. Nella nostra riforma, che lo scorso anno è stata bocciata, si prevedeva proprio questo, con l'indicazione di tre materie. Questa proposta arrivava finalmente dopo le storture della riforma del Titolo V, voluta per accontentare Rutelli e inserirlo in un diverso quadro impressionista prima delle elezioni del 2001, quando avrebbe dovuto presentarsi agli elettori affermando di averPag. 35introdotto il federalismo. Tale riforma ha provocato innumerevoli disastri e contenziosi Stato-regioni, nel quale non si capiva più cosa doveva fare lo Stato e cosa le regioni.
Volevamo semplicemente partire da quella riforma in modo semplice, iniziando con l'attribuzione alle regioni della competenza esclusiva su tre materie importanti, due delle quali già oggi attribuite in via non esclusiva (la scuola e la sanità), e un'altra inserita tenendo conto di quello che avviene in Germania, dove i länder hanno competenze esclusive sulla polizia locale: ci sembrava una risposta diretta ai cittadini. Tale progetto proveniva da una maggioranza di centrodestra che aveva precise esigenze, particolarità, valori e peculiarità che - mi rendo conto - non esistono all'interno del centrosinistra. Avevamo posto la sicurezza al centro della risposta dello Stato verso il cittadino.
Invece il centrosinistra ha formato un Governo che non ha la maggioranza al Senato, e forse, se andassimo a ricontrollare le schede, non l'avrebbe neanche alla Camera (infatti bisognerebbe dimostrare che esistono quei 24 mila voti che «ballavano»), e che ha cercato di investire in questo anno e mezzo sull'insicurezza. Anche una parte del centrodestra ha compiuto un errore (sicuramente non la Lega Nord): mi riferisco all'indulto, su cui verte una parte delle nostre proposte emendative. Dalla concessione dell'indulto in poi sono stati fatti uscire 27 mila criminali, dei quali si diceva che avrebbero trovato un posto di lavoro, una volta usciti dalle carceri nel periodo di Ferragosto. Di essi solo 96, un centinaio circa, hanno trovato lavoro, mentre 21 mila sono ancora in giro e non sappiamo cosa stiano facendo, perché non stanno lavorando; 7 mila sono ritornati in carcere.
La cosa grave è che sono rientrati in carcere stuprando, rubando e in qualche caso uccidendo. Lo Stato dovrà in qualche modo rispondere a chi ha subito questi nuovi reati: ai familiari della coppia uccisa a Treviso, a quelli delle ragazze stuprate da persone uscite grazie all'indulto, alle persone rapinate, violentate nella propria intimità, cosa risponde lo Stato? Risponde facendo il patto per la sicurezza e togliendo risorse alle forze dell'ordine: da agosto ad ottobre, si passa da 700 milioni a 100 milioni di euro.
A me viene il sospetto che vi sia, all'interno di questa maggioranza, l'intenzione di costruire un «pacchetto» di insicurezza, un po' in maniera sovietica: il cittadino deve avere paura, deve chiudersi in casa e deve blindarsi; si investa, dunque, nei criminali che restano liberi, si faccia in modo che le forze dell'ordine non dispongano dei mezzi sufficienti per agire, così, magari, il cittadino impaurito chiederà protezione maggiore a chi sta governando in quel momento. Ciò può anche essere vero dal punto di vista teorico. Ritengo, tuttavia, che la gente, ormai, sia talmente stanca che non si blinderà in casa dalla paura, ma inizierà a riprendere in mano le proprie città, le proprie vie, i propri territori e reagirà, individuando la responsabilità di quanto avvenuto nel frattempo, di come si sono trasformati in maniera scandalosa, irresponsabile e forse anche criminale, le nostre città e i nostri territori. Dobbiamo tornare ad avere nelle nostre case le porte aperte, non le inferriate, i cani da guardia e i sistemi d'allarme.
Si tratta di un'esigenza primaria e per tale motivo, con le nostre proposte emendative, l'indulto e l'amnistia non possono più essere realizzati in maniera irresponsabile. È, infatti, irresponsabile, e l'ho definito anche un crimine politico, che si adottino tali provvedimenti attraverso una semplice maggioranza parlamentare; preferirei un referendum popolare: la gente voterebbe sicuramente contro, e testimonierebbe che quel Parlamento che ha votato l'indulto non rappresentava nessuno dei cittadini; ma, almeno, si preveda una legge costituzionale. Questo sarebbe già importante, per «blindare» una questione così gravosa, in modo che non possa essere affrontata in maniera così leggera.
Vi è un'altra presa in giro. L'anno scorso ho sentito parlare durante l'esame della legge finanziaria di «F-F», cioè di federalismo fiscale: io l'ho definito «F-F»Pag. 36nel senso di fregatura fiscale. Di fatto, lo Stato prelevava 100 dalle tasche dei cittadini; a noi del Nord, spesso, di quel 100 tornava indietro non più di 15-20; questo ci faceva veramente arrabbiare, perché non erano le risposte che volevamo, a fronte delle tante tasse che pagavamo. Con la legge finanziaria, lo Stato ha addirittura aumentato le tasse: da 100 si passa a pagare 150, con 67 nuove tasse. La fregatura è questa: lo Stato di quei 150 che si pagano non restituisce nulla, anzi, se proprio si vogliono reperire risorse per i comuni, le province e le regioni, si fa in modo che siano i sindaci, i presidenti di provincia e di regione ad aumentare le nuove tasse (le accise, le addizionali, l'ICI, le tasse di scopo). Questa è una fregatura, perché oggi invece di pagare 100 paghiamo 200 e la parte dei cattivi la stanno facendo gli enti locali, che sono costretti, sempre più spesso, anche per la normale amministrazione, ad aumentare le tasse ai cittadini.
Il federalismo fiscale è tutta un'altra cosa (anche su ciò è necessario intendersi, perché è questo che la gente si aspetta): significa che lo Stato non si prende 200, ma che se prima prendeva 100, domani prenderà 30, e quel 70 resta direttamente a casa nostra, perché dobbiamo tornare ad essere padroni in casa nostra, tenerci i nostri soldi, trattenerli sul territorio e dare le risposte alla nostra gente. In questo modo, l'Emilia-Romagna, ad esempio, potrebbe veramente fare politica sul territorio e dare risposte sulla sanità, sui servizi sociali, sulla scuola, sulla sicurezza, sulle infrastrutture. Se essa risultasse più brava della Toscana, sarebbero i cittadini toscani a dover pretendere che gli amministratori toscani forniscano gli stessi servizi che è in grado di fornire l'Emilia Romagna; se risultasse più brava la Lombardia, sarebbero, allora, gli emiliani a dover pretendere che i loro servizi siano pari a quelli lombardi. È così che si crea concorrenza e una scalata verso l'alto, non verso il basso. La situazione attuale è molto facile da descrivere.
Abbiamo uno Stato centralista nel quale, senza vergogna, con il pelo sullo stomaco, in maniera ancora irresponsabile e in modo politicamente criminale, a luglio avete regalato 3 miliardi di euro per tappare i «buchi» della sanità di quattro regioni (o per chiuderli, magari perché si trattava di amici degli amici politici). Questo non si fa! Così si allontanano le persone dal territorio! Poi manca il denaro necessario per fornire le risposte. Dovete assumervene la responsabilità. Non si possono tappare i «buchi» di Bassolino che non è in grado di risolvere il problema della spazzatura, esaurendo le autosufficienze provinciali al nord perché, per solidarietà, ogni anno, dobbiamo prendere la spazzatura della Campania. La solidarietà può farsi per un anno, per essere persone solidali, per il secondo anno, poi ci si gratta la testa. Quando anche al decimo anno non vengono realizzati gli impianti, reputo che o ci si debba considerare stupidi oppure occorra provare ad agire.
Questo non è più federalismo! Cose separate fanno un patto, un foedus: questo è il federalismo! Abbiamo perso una grande opportunità quando venne realizzata l'unità d'Italia: nel 1861 e negli anni seguenti se avessimo ascoltato Cattaneo e i grandi padri del federalismo (Ferrari e Proudhon) avremmo potuto non commettere questo grande errore, si sarebbero potuti prendere gli Stati allora esistenti o creare allora le entità regionali o, meglio ancora, fare un patto e sarebbe potuto nascere lo Stato federale, ove ognuno avrebbe potuto fare come in Trentino (trattenendo il 90 per cento delle proprie imposte dirette e indirette e il 75 per cento della propria IVA e fornendo risposte ai cittadini) Oggi non avremmo avuto tutto questo marasma, il debito pubblico più alto d'Europa, una macchina burocratica inefficiente e un Paese che fa scappare da ridere a tutti! Questo sarebbe stato il passo da compiere: non lo abbiamo fatto allora e abbiamo perso un'occasione. Insieme al centrodestra, nella scorsa legislatura ci siamo impegnati per porre un po' di rimedio, questa volta in maniera responsabile, e siamo arrivati al referendum costituzionale. Una parte della riformaPag. 37sarebbe entrata in vigore nel 2011, per cui si sarebbe anche potuto agire e interagire per migliorarla. Tuttavia, era importante approvarla. Invece, per interessi di bottega, il centrosinistra ha fatto esprimere voto contrario sul Senato federale (che aveva anche competenze chiare e che oggi non sono previste ed era dieci volte migliore rispetto a quanto è previsto nel testo predisposto dalla Commissione dell'onorevole Violante), alla riduzione del numero dei parlamentari (500 alla Camera e 250 al Senato) che oggi essi stessi ripropongono. Vorrei chiedere perché hanno fatto esprimere un voto contrario sul punto ricordato. Si attribuivano competenze al Premier e al Governo: oggi loro stessi stanno cercando di riproporle. Allora, vorrei chiedere perché hanno fatto esprimere un voto contrario su quanto detto: addirittura avevamo previsto cose che loro non hanno neanche il coraggio di inserire. Oggi si prevede la riduzione dell'età prevista per l'elettorato passivo alla Camera a 18 anni: noi prevedevamo in relazione all'elettorato attivo un'età inferiore, sia alla Camera sia al Senato, sia ancora in relazione al Presidente della Repubblica. Si trattava di un segnale nei confronti dei giovani e delle generazioni future. Ciò era previsto nel provvedimento sulla devolution che è stato bocciato. Oggi chiediamo che ci si ripensi. Prevedevamo tre materie di legislazione esclusiva. Il problema non era solo gestirle, ma era dovuto al fatto che tali materie richiedevano denaro che avremmo dovuto trattenere a casa nostra, non inviandolo più a Roma: Così avremmo aperto la strada al federalismo fiscale! Noi eravamo consapevoli - voi, invece, non lo eravate - che se ciò fosse avvenuto, le persone avrebbero mangiato (l'appetito vien mangiando) e si sarebbero rese conto (perché no?) che sulla devolution un domani si sarebbero potute inserire anche le infrastrutture, l'ambiente, e tutte le altre materie relative al sociale. Allora, pian piano avremmo realizzato il vero federalismo; attraverso passaggi di federalismo fiscale, il nostro sarebbe diventato un Paese federale. Certamente, so che vi avrebbe dato fastidio che tutto ciò fosse stato merito della Lega Nord Padania.
Ma, d'altronde, se non fossimo noi a spingere su questi temi, immagino voi a farlo! Sentir parlare la collega di Rifondazione comunista, onorevole Mascia, fa capire come lo Stato centrale unisca Rifondazione Comunista ai nostalgici come Cirino Pomicino! Ma è facile anche capire perché. Diventa, invece, difficile capire un altro punto contenuto nella bozza di riforma in discussione, relativo al problema del voto. Ho ascoltato parlare Mascia, di Rifondazione comunista, ed affermare che Rifondazione Comunista è contraria al voto degli italiani all'estero (su questo punto ci trova anche d'accordo) in quanto, non vivendo nel nostro Paese, gli italiani all'estero non sanno nulla di casa nostra.
Benedetta Rifondazione Comunista! È lo stesso identico motivo per cui vorreste dare il voto agli extracomunitari senza cittadinanza. Allora, decidetevi perché siete ipocriti, incoerenti e state facendo anche molti danni. La cosiddetta Amato-Ferrero prevede di dare il voto agli immigrati senza cittadinanza con un permesso di soggiorno da almeno cinque anni, ma cosa ne sanno loro di casa nostra? Si tratta di gente che viene qui per lavorare e appena guadagna due soldi se ne torna a casa sua. Tali soggetti non hanno neanche i doveri imposti dalla cittadinanza, ma solo il diritto di essere extracomunitari e voi volete regalare loro il voto mentre siete - giustamente, dico io - contrari a riconoscerlo a chi nel nostro Paese non abita più da tanti anni? C'è molta ipocrisia e credo ci sia anche la difficoltà di mettere insieme una serie di posizioni che sono per certi versi inconciliabili. Credo che la Commissione farebbe bene a prendersi un po' di tempo per riflettere, ripartendo dagli aspetti condivisi (che sono alcuni, non tutti) e cercando di ritrovare una quadratura.
Se, infatti, l'obiettivo è non tornare al referendum costituzionale, ma cercare di ottenere i due terzi della maggioranza alla Camera e al Senato, mi sembra di aver capito che in questo momento le condizioni politiche per poter ottenere talePag. 38risultato non ci sono. Allora, mettiamo anche mano all'istituto dei senatori a vita: lo prevede un altro degli emendamenti presentati dalla Lega Nord Padania. Non si tratta tanto dei sette senatori a vita in sé, ma il problema che si è evidenziato durante la corrente legislatura è che - fatto inaudito - i sette senatori a vita (che dovrebbero essere in Senato solo per meriti rappresentativi o perché ex Presidenti della Repubblica) per la prima volta vanno a votare la fiducia ad un Governo e ciò è davvero inconcepibile! Dovevano trovarsi in Parlamento per motivi di vanto, mentre così facendo sono diventati l'oggetto dello scherno, del pubblico ludibrio dell'intera cittadinanza italiana. Gente come la Montalcini, che doveva essere in Senato per il proprio lavoro, a coronamento di un'intera carriera (per cui, solo come icona), credo che oggi, quando cammina per la strada, incontri qualche difficoltà perché i cittadini inveiscono vedendola. Una persona come Ciampi che, come Presidente della Repubblica, si era costruito una certa immagine, l'ha rovinata il giorno dopo le sue dimissioni da Presidente, andando a votare la fiducia al Governo Prodi e passando immediatamente come un personaggio impresentabile. Ci vuole esattamente il buon senso di dire che queste sette persone non debbono andare a votare e infatti Ciampi, con un po' di buon senso, ha smesso di andare a votare: vi ha tenuto in piedi per troppo tempo!
Credo che occorra un po' di sano realismo... (Commenti dei deputati De Zulueta e Cassola) Se ciò che sto dicendo vi fa arrabbiare vuol dire che sto colpendo nel segno e che anche voi siete, come si dice dalle nostre parti, un po' «con la pataia sporca»! Si tratta di un modo di dire tradizionale perché sapete... (Commenti) guardate che i detti popolari sono quelli migliori!
PRESIDENTE. Onorevole Alessandri, la prego di rivolgersi alla Presidenza.
ANGELO ALESSANDRI. Signor Presidente, se permette mi rivolgo anche a loro, dal momento che si rivolgono a me e considerato che stanno inveendo. Comunque, mi fa piacere, perché quando si arrabbiano vuol dire che sanno di avere la coscienza sporca, di essere in difetto e che qualcosa non funziona. Allora mi farebbe piacere che, a volte, si alzassero in piedi arrabbiati (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania) perché sono loro ad aver creato un vulnus che i cittadini italiani ritengono completamente scandaloso. Dovreste vergognarvi di tenere in piedi un Governo che al Senato non ha i numeri, dovreste fare come credo avrebbe già dovuto fare oggi Mastella - se avesse avuto un po' di coscienza - preannunciando delle dimissioni che poi ha ritirato, allo stesso modo della Bonino!
Questo è un Governo che non funziona; il vero problema di questa riforma è che prevede la parola Senato federale - e ci piace - e tutta una serie di misure che c'entrano «come i cavoli a merenda», ma che poi, alla fine, non avrà forse uno sbocco finale perché questo Governo e questa legislatura sono quanto di più ambiguo, di più incerto e di meno duraturo possa esistere. Credo ci siano passaggi che vanno fatti, ma occorre spiegare bene agli elettori cos'è il federalismo: parlandone troppo spesso, infatti, si rischia solo di fare confusione. Dobbiamo dire chiaramente alla gente che se vogliamo responsabilizzare, modernizzare, avere una maggiore efficienza, avere concorrenza e un potere locale legislativo e anche esecutivo vicino ai cittadini in positivo, bisogna attuare il federalismo, dando per scontato che devono esserci entità divise che, sedute ad un tavolo, stipulano un foedus. Potete chiamare tutto il resto «Pinco Pallino», comunismo, fascismo - non ci interessa - ma non chiamatelo federalismo! Il federalismo significa entità divise che si autogestiscono, che pretendono la concorrenza e che, attorno al tavolo ricordato, si riuniscono solo per discutere le materie principali. In ciò deve avere un senso la Camera dei deputati - magari più snella e meno pesante, questo sì - come Camera che tratta le materie nazionali.
E il Senato deve essere un'altra cosa: deve essere una Camera tipo Bundesrat,Pag. 39che riunisce solo la rappresentanza regionale, se vogliamo partire dal presupposto che siano le Regioni il nostro livello di riferimento, e può legiferare esclusivamente sulle materie regionali; però in questa riforma non è chiaro quali siano le materie di esclusiva legislazione del futuro Senato federale. Allora, ribadisco a Violante che noi siamo disponibili a ragionare su questo tema, siamo disponibili a dare il nostro contributo, però chiariamo quali sono le materie che vogliamo attribuire alle regioni. Altrimenti davvero stiamo parlando del nulla, rischiamo che ogni legge approvata dalla Camera di rappresentanza delle regioni, venga poi ribaltata dalla Camera dei deputati. E allora abbiamo fatto un esercizio inutile, abbiamo fatto un altro bel quadro di Picasso con tanti bei colori, nel quale però la gente non capirebbe più niente.
Ci vuole un po' più di serietà. Ci vuole, per fare una simile riforma, forse un Governo diverso; forse ci vuole una maggioranza diversa. Forse sarebbe opportuno, per poterla fare, tornare anche il prima possibile alle urne. Mi rendo conto che mandare a casa centotré tra ministri e sottosegretari, che non mollano la sedia - guai a mollarla - è difficile; e allora proviamo a fare in modo almeno - siamo consapevoli che più in là non andremo - che possa svolgersi il dibattito sulle riforme. Provengo da una terra che ha visto nascere il riformismo, quello reggiano di fine Ottocento-primi Novecento: personaggi come Sichel e come Prampolini in particolare, ci hanno insegnato che riformare vuol dire cambiare ciò che non funziona per farlo funzionare, vuol dire avere il coraggio, che è la cosa più importante che esista, di attaccare gli interessi consolidati, le forze che si mettono di traverso, il sistema burocratico, che da noi è pesantissimo, e fare le riforme andando fino in fondo. Lo dico alla I Commissione: se questo coraggio non si ha, è inutile parlare di riforme, è inutile andare in piazza e dire: noi siamo i democratici riformisti. Ma riformisti di cosa? Ma cosa volete riformare? Non siete in grado neanche di tenere insieme il vostro Governo, figurarsi se siete in grado di riformare il Paese! Prima di tutto, fate un esame di coscienza! Capiamo, e dovete dircelo voi, fin dove siete in grado di arrivare, vediamo di non fare proclami inutili; se è poca la riforma che possiamo fare, impegniamoci per fare quel poco di riforma, e su ciò la Lega, se si parla di riforme, non si tirerà mai indietro. Non prendiamo in giro la gente, però, con falsi proclami, con riforme mascherate che, alla fine, mettono insieme tutto e il contrario di tutto, perché rischia di diventare ciò che, sempre dalle mie parti, è un piatto tipico: d'inverno si mettono insieme tanti ingredienti, carne e verdure, e si fanno bollire; mia nonna lo chiamava lo sfrichendaio, che vuol dire tutto e il contrario di tutto. Diventava anche una pietanza calorica e nutriente, però non una pietanza che si potesse in qualche modo definire, poi si beveva col lambrusco: abbiamo anche le nostre tradizioni da difendere! Credo che il Paese non abbia bisogno dello sfrichendaio: ha bisogno di coerenza - è difficile, me ne rendo conto -, ha bisogno di responsabilità, di capire dove vogliamo andare. L'invito è dunque leggere attentamente gli emendamenti della Lega Nord. Sono emendamenti per la maggior parte puntuali, coerenti e che vanno nel senso (lo so, dispiace dirlo) della devolution che ci avete bocciato. A me dispiace che molte chiacchiere siano state propinate alla gente: credo che molti dei cittadini che hanno votato contro la devolution in effetti non sapessero cosa andavano a votare. Andavano a votare un testo che era meglio di quello che state proponendo voi oggi. Ci sono passaggi sulla funzionalità del Senato federale che voi non avete avuto il coraggio di inserire, che introducevano molti miglioramenti rispetto al vostro testo. Andavano a toccare il rapporto fra cittadini e regioni, prevedevano una Camera e un Senato più snelli. Mi chiedo perché ciò non si voglia fare; ma l'invito principale è pensare anche all'inserimento di una norma restrittiva sull'indulto, perché in questo momento credo che sia quanto di meglio i cittadini possano richiedere.Pag. 40
Senza una simile operazione, credo che sarà difficile condurre in porto le riforme.
L'invito che rivolgo è dunque quello di guardare ad un percorso (che ci convincerebbe) che muova da due o tre punti fermi che vadano nel senso del federalismo. Per giungere ad esso, sarebbe necessario non un percorso di consultazione, come amate chiamarla (per cui lo Stato, le province o i comuni, comunicano ai cittadini quel che hanno già deciso), ma un percorso attraverso il quale si verifichino le riforme che i cittadini desiderano. Da un simile percorso, emergerebbero risposte assolutamente diverse da quelle che voi fornite con questo testo. I cittadini chiederebbero infatti maggiore dialogo, maggiore vicinanza dei luoghi delle decisioni, maggiore responsabilità del corpo politico, uno snellimento degli organi decisionali, magari magistrati eletti dal popolo e magari di poter tenere i propri soldi a casa propria. Se le richieste della gente fossero queste, vi sentireste in grado di procedere con questo tipo di riforma?
La verità è che quelle sono le riforme che la Lega chiede da vent'anni. Abbiamo perso vent'anni dietro ai centralisti, alle spinte dei grandi poteri, alle resistenze della macchina burocratica. Ma questa macchina - come dicono gli esperti - alimenta se stessa, mangiando ed ingrassando sempre più: dobbiamo dunque mettere a dieta questa bestia, questo mostro che è la macchina burocratica del nostro Paese. Per farlo, occorre avere il coraggio di dire che il Senato, in quanto seconda Camera, non esiste più, e che vi è invece un organo di rappresentanza federale: le nostre regioni siano come i länder tedeschi, si lascino i loro soldi a casa loro, lo Stato non trattenga più nulla. È così che funzionano gli Stati federali: non stiamo investendo nulla. Negli Stati federali, i soldi rimangono sul territorio e al Governo centrale resta il 15, 20, 30, o 35 per cento degli introiti per gestire la politica estera, le grandi dinamiche, la sicurezza interna, l'immigrazione e poco più. Tutto il resto deve essere di competenza esclusiva del territorio (Commenti). Ho ascoltato qualcuno fischiare: evidentemente è contento! Non so se lo sia perché forse (non abbiamo ancora notizie) si è dimesso Mastella (Commenti). Non si è dimesso? Allora c'è poco da esser contenti.
Ci sembra giusto rimarcare che, per quel che riguarda, la coerenza ci chiede di costruire una nuova maggioranza che sia espressione del voto degli elettori. L'impegno che chiediamo dunque a questo centrosinistra ormai agonizzante è prender atto che non è più in grado di dare al Paese e le risposte e gli input di cui il Paese stesso ha bisogno per andare avanti.
Da parte nostra, naturalmente, le riforme sono sempre il primo punto all'ordine del giorno. Se me lo permettete, anzi, vorrei concludere il mio intervento facendo riflettere la classe politica su di un aspetto: se continuiamo a non dare risposte alla nostra gente, se continuiamo a tassarla e a non garantirle sicurezza; se continuiamo a far scomparire le nostre tradizioni e a non far riconoscere le persone in qualche valore condiviso; se non diamo una speranza certa ai nostri giovani e una garanzia di assistenza sicura ai nostri anziani; se non diamo aiuto a chi investe sul lavoro, nonostante tutto e nonostante il Governo; se non assicuriamo la certezza di viver sicuri a casa propria; ebbene, se facciamo tutto ciò, badate che la gente è così stanca che, prima o poi, con o senza la politica e i politici, si rischia che essa farà da sola. Credo che l'imperativo per la politica e per i politici sia evitare con tutti i mezzi che la gente si senta abbandonata dallo Stato e dai politici e che debba un giorno dover ricorrere a se stessa, per far da sola. La politica ha dunque ancora quest'ultima chance: dare risposte urgenti, rapide, concrete, facendo capire che lo Stato è vicino, facendo sì che le tasse diminuiscano immediatamente e che si cominci a sentirsi più sicuri. Altrimenti, la responsabilità non sarà nostra, ma sarà tutta vostra e noi saremo con la nostra gente a far da soli contro uno Stato sempre più lontano (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bressa. Ne ha facoltà.
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GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, ho ascoltato con molto interesse gli interventi che fino a questo momento si sono succeduti su una questione così delicata ed importante quale è quella all'attenzione dell'Assemblea.
Vorrei cominciare con un'osservazione molto semplice ma molto vera, che invece, in qualche modo, è stata elusa un po' da tutti gli interventi dei rappresentanti dell'opposizione.
Come abbiamo ripetuto fin dall'inizio della legislatura, noi intendiamo le riforme costituzionali come un patrimonio del Parlamento, non della maggioranza e del Governo.
Quindi, la responsabilità è del Parlamento; è il Parlamento - ed i gruppi che in esso sono rappresentati - a dover dire se vuole o meno la riforma.
Non vi è nessun nesso di continuità tra la riforma che stiamo proponendo e la durata della vita del Governo in carica: abbiamo inteso fin dal primo momento dire, in maniera esplicita, che questo Parlamento non avrebbe votato riforme costituzionali che coincidevano con i confini della maggioranza parlamentare che sostiene il Governo.
Vi è, pertanto, un certo stupore nell'osservare come questo dato - che dovrebbe essere il dato politicamente più importante - venga sistematicamente eluso dai rappresentanti dell'opposizione: ed è un fatto non positivo, perché il testo che abbiamo sottoposto all'esame dell'Assemblea rappresenta una vera svolta nel panorama istituzionale e costituzionale italiano. L'onorevole Bruno ha detto che, se vi fosse tempo per discutere, si potrebbe anche ragionare di riforme: rispondo all'onorevole Bruno che non solo il tempo c'è stato, ma che esso non è scaduto, e che c'è ancora tempo per discutere e per decidere insieme i contenuti di una riforma importante, solo che lo si voglia.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 17,33)
GIANCLAUDIO BRESSA. Il problema - mi pare di capire - non è avere, da parte nostra, la disponibilità alla discussione, ma cercare, da parte vostra, di avere un confronto vero, serio e reale su questi temi.
Le decine e decine di iscritti a parlare sembrerebbero appartenere più ad un gioco di interdizione fine a se stesso, che non ad una volontà di confronto concludente (e di ciò ci dispiaciamo).
Ci dispiaciamo, soprattutto, perché il testo che abbiamo portato in Aula è un testo di riforma vera.
Nel suo intervento l'onorevole Cirino Pomicino ha in qualche modo cercato di spiegare come non fosse possibile - per il nostro Parlamento e per la nostra Repubblica - parlare di federalismo e di Senato federale. Egli, infatti, sostiene che la Repubblica non nasce come federale e che, quindi, tutto ciò che in qualche modo cerca di introdurre tale dimensione culturale ed istituzionale è costituzionalmente falsato ed improbabile.
Mi permetto, però, di far osservare all'onorevole Cirino Pomicino - e con lui a tutto il Parlamento - che con la riforma del Titolo V vi è stata una fortissima discontinuità rispetto al testo costituzionale approvato oltre cinquant'anni fa. Una forte discontinuità che ha introdotto elementi di federalismo autentico nella nostra Carta costituzionale. Cito su tutti l'articolo 114, laddove si dice in maniera esplicita che «la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato».
Abbiamo, cioè, ricostruito l'assetto istituzionale della nostra Repubblica, mettendo sullo stesso piano tutti i soggetti istituzionalmente e costituzionalmente rilevanti: dai comuni allo Stato essi sono equoordinati. Noi comprendiamo, allora, come l'articolo 114 costituisce, in qualche modo, la piena attuazione della previsione costituzionale di cui all'articolo 5, laddove i padri costituenti scrissero che «la Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali». A oltre cinquant'anni di distanza, si invera un dato fondamentale del nostro assetto costituzionale.Pag. 42
È un assetto costituzionale che mette sullo stesso piano tutti i soggetti costituzionalmente riconosciuti. La riforma del Titolo V è stata importantissima ed ha spalancato una nuova dimensione, una nuova fase di storia costituzionale del nostro Paese. Quando si cerca di avviare un processo di federalizzazione in uno Stato unitario vi deve essere l'elemento fondante, il cosiddetto foedus, il patto da cui trae origine l'assetto federale.
Proprio il foedus, il patto di cui abbiamo bisogno, è lo strumento in grado di mettere insieme nell'organizzazione federale dello Stato, lo Stato stesso, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni che sono, come ho ripetuto prima, soggetti e coordinati; essi sono i soggetti che stringono tale patto. Pertanto, non è sbagliato ma è costituzionalmente corretto e costituzionalmente progressivo chiamare l'altro ramo del Parlamento «Senato federale».
La necessità di stringere questo patto non deriva solo da valutazioni astrattamente costituzionali, di dottrina costituzionale, ma dalla necessità stringente di decidere se vogliamo che la riforma del Titolo V possa trovare compimento oppure debba essere definitivamente abbandonata.
Nemmeno voi, nella vostra sciagurata riforma della passata legislatura, avete voluto abbandonare la riforma e i principi fondanti della modifica del Titolo V. Pertanto, a questo punto, abbiamo il dovere, politico e istituzionale, di portare a compimento quel disegno e, a tal fine, dobbiamo guardare alla realtà del nostro Paese, che esprime elementi fondamentali. Infatti, dopo la riforma del Titolo V sono state istituite quasi 300 unità di cooperazione tra Stato, regioni ed enti locali nel tentativo di portare razionalità e coordinamento istituzionale tra i vari soggetti. Infatti, mentre la riforma del Titolo V costruiva un assetto federale, dal punto di vista del processo legislativo, non era stata capace di individuare l'altra grande e sostanziale novità che rende uno Stato uno Stato federale: la Camera di rappresentanza territoriale.
La stessa Corte costituzionale, nel corso di questi anni (la giurisprudenza costituzionale è ormai consolidata), ha dimostrato come una norma costituzionale non può definire in maniera netta, cercando quasi di costruire delle gabbie, la separazione delle competenze e i rapporti tra Stato e regioni. Quando parliamo di articolo 117 e di legislazione concorrente mettiamo sul piatto una partita straordinariamente interessante e innovativa, ma perché questa dispieghi i propri effetti deve essere accompagnata, necessariamente, dalla riforma del Senato in senso federale. La Corte costituzionale ha innovato profondamente, nel corso degli anni, il concetto stesso di materia. Basti pensare all'interpretazione estensiva che è stata fornita dalla Corte a proposito delle cosiddette materie e non-materie; basti pensare anche ad alcune pronunce di merito in cui, ad esempio, ha fatto esplicito riferimento al caso delle infrastrutture e delle telecomunicazioni e in cui la Corte stessa afferma che è indispensabile un'intesa. Questa è la situazione del nostro Paese oggi. Dobbiamo decidere se vogliamo governare tale situazione e razionalizzarla, dal punto di vista costituzionale, oppure se intendiamo abbandonare quel progetto.
La proposta che è stata presentata dalla Commissione affari costituzionali e dall'eccellente lavoro dei due relatori, Amici e Bocchino, fornisce tale tipo di risposta. Non costruisce fantasie, non sono pennellate di colore astratto senza un disegno al di sotto.
L'ipotesi di Senato federale che abbiamo proposto e che abbiamo portato alla discussione in aula rappresenta un Senato federale che funziona, una Camera territoriale vera, una Camera territoriale che risponde alle esigenze poste dalla riforma del Titolo V, ossia l'esigenza di una Camera territoriale che sia luogo della corresponsabilizzazione delle funzioni indivisibili tra centro e periferia.
È stato detto che la nostra ipotesi di riforma è, in qualche modo, una scimmiottatura della riforma adottata nella passata legislatura. È facilissimo dimostrare l'infondatezza di tale tesi. Il SenatoPag. 43che voi avevate pensato nella passata legislatura era composto da 252 persone elette, che manteneva funzioni politiche e che aveva un legame pallidissimo con il territorio.
Bastava essere residenti al momento della propria candidatura per certificare l'appartenenza ad un territorio. Eravamo, pertanto, ad un livello che definirei «patetico» di Camera territoriale. Noi, invece, nel formulare la nostra ipotesi, abbiamo tenuto conto della dottrina costituzionale che si è occupata di Camere federali nel corso del Novecento.
La prima importante teoria costituzionale, che ha portato alla razionalizzazione del parlamentarismo e di cui l'esponente più interessante era un costituzionalista francese di origine russa, Mirkine Guetzevitch, sosteneva che è fondamentale la separazione tra le competenze e le funzioni se vogliamo parlare di razionalità parlamentare nella nostra epoca e nel nostro tempo.
È ciò che abbiamo fatto: siamo usciti dalla logica del bicameralismo perfetto, abbiamo differenziato in maniera precisa e puntuale le funzioni tra la Camera e il Senato e lo abbiamo fatto - lo vedremo in seguito più compiutamente - in maniera tranquillamente razionale e chiara.
Vorrei ricordare che nella vostra riforma, che secondo alcuni di voi avremmo «scimmiottato», avevate partorito un sistema parlamentare talmente complicato che vi erano cinque diversi procedimenti legislativi per arrivare all'approvazione della legge. Non solo: non contenti di questo, avevate affidato al Governo un potere sostanziale di commissariare il Parlamento quando erano in gioco punti che facevano riferimento all'attuazione del programma di Governo. Avevate, cioè, svuotato il sistema parlamentare e non riformato il bicameralismo. Avevate trasformato il Parlamento in un fantasma. Noi, invece, abbiamo definito in maniera chiara le competenze tra Camera e Senato. Abbiamo fatto il primo passo verso una forma di razionalizzazione del sistema parlamentare che Mirkine Guetzevitch raccomandava ancora negli anni Trenta.
Ma la scelta più importante che abbiamo compiuto è stata ispirata da un altro costituzionalista (di origine tedesca e americano) il quale, negli anni Cinquanta, di fronte alla crisi del sistema federale statunitense, ha elaborato una teoria straordinariamente importante: la teoria delle salvaguardie politiche. Wechsler ha sostenuto che la modernità del federalismo doveva contemplare non più un federalismo di tipo competitivo, ma un federalismo di tipo cooperativo. Non dovevano, quindi, essere la divisione delle competenze e il ruolo arbitrale della Corte suprema a decidere se la competenza fosse dello Stato federale o di uno degli Stati che compongono la Repubblica federale statunitense, ma doveva esservi un luogo di confronto, una stanza di razionalizzazione, una stanza di compensazione: il luogo politico dove, anziché competere, si prendevano, assieme, decisioni importanti.
È questo il motivo dell'importanza della scelta che facciamo perché ci si avvia lungo la strada della modernità del federalismo di tipo cooperativo. Oggi, se vogliamo essere moderni e avveduti dal punto di vista costituzionale, dobbiamo garantire il rapporto tra Stato e regioni non attraverso procedure giurisdizionali, ma attraverso processi decisionali comuni, in cui regioni, autonomie e Stato possano insieme decidere l'attività legislativa del nostro Paese.
Abbiamo, quindi, scelto di muoverci lungo due direttrici fondamentali: la differenziazione delle funzioni e quella di lavorare sul numero dei rappresentanti. La proporzione della rappresentanza, nelle Camere federali, è fondamentale. Le Camere federali vere (quelle che funzionano) sono piccole, perché nella Camera federale non devono essere presentate le istanze politiche, ma i territori e, affinché questi siano rappresentati, non vi può essere diversità tra uno Stato grande e uno piccolo.
Il Montana ha due senatori come la California; ma lasciamo perdere il modello statunitense che, nel corso di questi anni, ha subito un'evoluzione che potrebbe anche non definirlo più una Camera federale.Pag. 44Prendiamo il modello del Bundesrat tedesco: il land di Brema, che ha 660 mila abitanti, manda tre senatori al Bundesrat.
La Baviera, che ha 11 milioni di abitanti, ne manda sei. Il motivo è che si tratta di Camere che devono rappresentare i territori e non la politica di quei territori. Le istanze del Molise equivalgono alle istanze della Lombardia, dal punto di vista della rappresentanza dei territori, perché i cittadini del Molise e quelli della Lombardia non sono cittadini di serie «A» o di serie «B».
Ecco perché abbiamo fatto questa seconda grande e importante riforma: un Senato con numeri piccoli, con pochi rappresentanti. Anche su questo punto, non c'è stata alcuna scimmiottatura. Voi avevate proposto 252 senatori elettivi, mentre con questo meccanismo ci sono 184 senatori che non vengono eletti, ma sono rappresentanti di secondo livello, sono nominati dai Consigli regionali e dai Consigli delle autonomie. Il calcolo vero va fatto cancellando l'intera rappresentanza elettiva del Senato. Sono stati cancellati 315 senatori e i 184 senatori che sono qui previsti non sono rappresentanti eletti, sono rappresentati di secondo grado. Si tratta di un elemento importante e fondamentale, perché nella costruzione di questo Senato c'è un equilibrio di rappresentanza tra i territori: tra il Molise e la Lombardia non ci sono quelle differenze folli che pensavate voi, per cui la prima aveva due senatori mentre la seconda ne aveva trenta. In questo caso il range va da cinque fino a dodici; c'è la rappresentanza vera dei territori, e non quella degli interessi politici degli stessi.
La cosa più importante è che questo Senato federale dà una risposta autentica al problema del federalismo nel nostro Paese, passando ad una forma di cooperazione al centro che avviene prima e non dopo. È essenziale «cucire» prima e non fare ricorsi alla Corte per decidere dopo chi ha ragione e chi ha torto. C'è la necessità di definire questo interesse al centro, che in questo caso non rappresenta la centralità dello Stato, ma rappresenta un luogo istituzionale in cui Stato, regioni e autonomie locali si confrontano; è il luogo della responsabilizzazione, della capacità di decidere sugli interessi che sono indivisibili perché appartengono a tutto il Paese; sono interessi di tutti i cittadini ma che hanno, dal punto di vista delle competenze legislative, attribuzioni diverse.
Vi è un altro aspetto di grande e sostanziale importanza nella riforma che noi proponiamo. La funzione legislativa è stata modificata, non solo perché è prevista una competenza legislativa primaria in capo alle regioni ed una residuale in capo allo Stato, ma perché anche l'amministrazione dello Stato nel nostro Paese, l'amministrazione della Repubblica, è cambiata. Essa non è più prevalentemente statale, ma è oramai regionale, provinciale e comunale. Si tratta, però, di una materia concorrente e, per tale ragione, è necessario trovare il luogo dove deve avvenire il confronto, se vogliamo dare efficienza al sistema. Se non procediamo in questo modo, se non troviamo il luogo della corresponsabilizzazione di funzioni indivisibili, che non possono che essere centrali, continueremo nell'equivoco che è andato avanti nel corso di questi anni. Lo testimoniano i quasi trecento comitati istituiti per cercare di tenere insieme le istanze statali, regionali e comunali.
Questo è un Senato autentico. Ecco perché, onorevole Bruno, la nostra non è una proposta scarna e inutile. Sostanzialmente, si tratta della stessa proposta che avevamo presentato nella passata legislatura. L'unica differenza rispetto ad allora è che a quel tempo, nel tentativo disperato di convincervi del fatto che il nostro modello era migliore del vostro, avevamo previsto l'elezione diretta, perché non eravate riusciti a convincere il Senato a rinunciare all'elezione diretta dei propri rappresentanti. Ma se si eccettua questo particolare - spiegabile solo nel tentativo disperato e disperante che facemmo nella passata legislatura di convincervi a votare il nostro modello anziché il vostro - a parte questo passaggio, tutto il resto è esattamente come l'avevamo pensato allora. Quindi, non c'è nessuna dimostrazione di incoerenza.Pag. 45
Ritengo che avevamo ragione allora, così come abbiamo ragione adesso quando ci avviamo lungo questa strada. Si propone un Senato vero, una Camera territoriale vera, per un federalismo che prende sostanza e prende corpo. Non è quel «pasticciaccio brutto» del vostro Senato, che era una Camera semi-politica e territoriale solo per scommessa.
Allora, siete voi a dover dare un chiarimento all'Assemblea, perché la riforma in discussione in questi giorni è reale e non appartiene a questa maggioranza politica, bensì alla responsabilità del Parlamento.
In Commissione molti di voi si sono pronunciati a favore di gran parte delle istanze contenute nel testo giunto all'esame dell'Assemblea. Chiedo, allora, all'Assemblea di essere ugualmente responsabile, di non guardare alle vicende politiche generali ma, anche se nessuno di noi può essere distratto o far finta che non accada nulla al di fuori di quest'Aula, far sì che quando si discute di riforme la bussola sia orientata a dare una riforma al Paese.
Questa riforma non è nell'interesse del Governo Prodi o dell'attuale maggioranza, ma è nell'interesse dei cittadini, perché fornisce risposte certe a problemi altrettanto certi che ci portiamo avanti da troppi anni. È la sfida dell'efficienza del Parlamento, della sua centralità e della sua capacità di dare, finalmente, risposte alle domande dei cittadini. È la sfida che ciascuno di noi dovrebbe avere chiara in testa e che dovrebbe farci uscire da questa strana (e anche fiacca) forma di ostruzionismo, per consentirci in sede di Comitato dei nove di confrontarci concretamente sugli emendamenti che sono stati presentati e di vedere se quest'Assemblea è capace davvero di fare ciò che è chiamata a fare; vale a dire, riformare il Paese e approvare una nuova Costituzione che non stravolge quella che è stata approvata sessant'anni fa, ma che ne rappresenta la modernizzazione, l'attualizzazione e la razionalizzazione necessaria, della quale il Paese in questo momento ha tanto bisogno (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Carfagna. Ne ha facoltà.
MARIA ROSARIA CARFAGNA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, dopo la discussione generale di ieri, siamo entrati oggi nel merito dell'articolato.
L'articolo 1 che è all'esame della seduta odierna, è apparentemente un piccolo aggiustamento formale all'articolo 55 della Costituzione, ma in realtà apre la grande questione del superamento del bicameralismo perfetto e della nascita del Senato federale. Conviene, forse, ricordare che l'Italia è uno degli ultimi Paesi al mondo ad aver conservato un Parlamento con due Camere, alle quali sono affidate sostanzialmente le stesse funzioni. Si tratta di un istituto anacronistico, retaggio di un Paese che usciva da una guerra civile e che temeva colpi di Stato e ritorni a dittature ed autoritarismi. Oggi, dopo sessant'anni, l'Italia non è più quel Paese, non corre più quei rischi e, soprattutto, ha ben altre esigenze come, ad esempio, quella di velocizzare i processi decisionali. Ma, paradossalmente, il rafforzarsi della nostra democrazia senza un parallelo cambiamento, né una modifica delle regole fondamentali che sono alla base del nostro ordinamento costituzionale, ha reso debole il sistema; è debole perché non decide, e non decidendo crea una paralisi istituzionale, scontenta i cittadini elettori, provoca i giudizi negativi di opinionisti e intellettuali e lo sconfinamento di altri poteri, come la magistratura, nonché le reazioni del modo economico. Serve pertanto più decisionismo, più immediatezza tra il dire e il fare; occorre sicuramente superare l'inutile bicameralismo perfetto, dare più poteri al Premier e ridurre il numero dei parlamentari. Ecco perché dal punto di vista teorico - lo sottolineo: dal vista teorico - siamo favorevoli all'introduzione del Senato federale della Repubblica, formula che, peraltro, noi stessi avevamo introdotto nella Costituzione con la riforma approvata nella scorsa legislatura e,Pag. 46purtroppo per il Paese, «bocciata» con il referendum voluto e sostenuto dal centrosinistra.
Oggi chiedete al centrodestra la disponibilità a tornare su quelle questioni, tanto se il Paese perde tempo a voi non è che importi più di tanto! Chiedete al centrodestra di proporre pochi cambiamenti, ma quando la Casa delle libertà era pronta a varare una grande riforma - quella sì, ne siamo convinti, era una bussola per il percorso di riforma costituzionale che il Paese aveva bisogno di affrontare; non questa di oggi, come invece ha affermato l'onorevole Bressa -, avete ben pensato di opporvi a prescindere, per ragioni puramente ideologiche e senza volere neanche entrare nel merito delle questioni.
Se anziché urlare al colpo di Stato e parlare di attentato e di oltraggio alla Costituzione, vi foste seduti al tavolo della discussione e aveste partecipato alla riforma, probabilmente avremmo potuto, allora, realizzare una riforma ampia e condivisa e, oggi, vederla già applicata e occuparci di aspetti ben più urgenti e attuali, sui quali il Paese aspetta delle risposte da mesi.
Dunque, ribadisco - come ho detto prima - che il nostro «sì» è solo teorico, in quanto siamo fortemente perplessi, ad esempio, sul modo di elezione che avete introdotto e sulle competenze che volete riservare al nuovo Senato federale della Repubblica. Pensare, infatti, ad un ramo del Parlamento eletto esclusivamente dai consigli regionali e dai fantomatici consigli delle autonomie - quindi, dar vita ad un'elezione indiretta o di secondo grado - ci sembra, da una parte, un errore politico e, dall'altra, un peccato di ingenuità.
L'errore politico sta nel fatto che, mentre gli italiani chiedono più democrazia diretta e più partecipazione, con questa riforma riducete il ruolo dei cittadini elettori e comprimete il loro diritto di scegliersi i propri rappresentanti. Non saranno loro, infatti, ad eleggere i senatori, ma i consigli regionali e i consigli delle autonomie, dove - lo sappiamo benissimo tutti - prevalgono accordi politici e partitici a discapito degli interessi e della volontà dei cittadini. Insisto, quindi, che l'errore politico sta nel fatto che limitate la partecipazione proprio in un momento storico e politico in cui i cittadini chiedono che sia aumentata.
Il peccato di ingenuità, invece, è di pensare che un solo senatore possa essere d'accordo su una modifica così sostanziale del Senato. Nell'altro ramo del Parlamento avete vita difficile già dall'aprile dello scorso anno: vi mancano i voti per la finanziaria e per il provvedimento sul welfare. Pensate e immaginate, dunque, cosa accadrà quando la riforma sarà all'esame della vostra risicatissima maggioranza, che tale non è più. Questa finta maggioranza si vedrà arrivare un assetto parlamentare che comporta un forte mutamento del ruolo e dei poteri del Senato e che, di fatto, fa scomparire i senatori eletti dal popolo.
È facile prevedere, quindi, che l'ennesimo tentativo di riforma della Costituzione si avvia, purtroppo, ancora una volta su un binario morto. Allora, conviene forse che ammettiate che, per voi, questa non è un'occasione di cambiamento e di modernizzazione, ma un ultimo e disperato mezzo per tenervi in piedi e di arrampicarvi sugli specchi per trovare qualche argomento e qualche tema in grado di sostenere una legislatura che ormai volge al termine.
Quando parliamo della vita siamo, naturalmente, contro l'eutanasia e l'accanimento terapeutico e lo stesso pensiamo anche a proposito delle maggioranze che sostengono i Governi (anche a proposito della vostra maggioranza). Tuttavia, in questo caso è inutile parlare sia di eutanasia, sia di accanimento terapeutico, perché il vostro è stato un vero e proprio suicidio politico. Solo così, infatti, si può definire la vostra scelta di provare a governare un grande Paese avendo la maggioranza elettorale per poche migliaia di voti alla Camera, mentre al Senato rappresentate la minoranza degli italiani dal giorno delle elezioni.
Aggiungiamo a ciò il peso dannoso, per l'interesse del Paese, delle politiche che vi impone la parte massimalista della vostraPag. 47coalizione (ovvero la sinistra radicale) e risulta evidente l'impossibilità per la vostra maggioranza di continuare a governare il Paese e, soprattutto, la necessità di voltare pagina. Eppure, l'occasione per non sprofondare nel baratro e per evitare di offrire al Paese l'immagine di un Governo incapace, sostenuto soltanto da una maggioranza rissosa ed eterogenea, vi si era presentata. All'indomani del voto, infatti, di fronte a un Paese sostanzialmente spaccato in due, prevedendo uno stallo istituzionale come quello che stiamo affrontando da un anno e mezzo, Silvio Berlusconi vi propose un Governo di larghe intese, registrando, purtroppo per l'Italia, un vostro sdegnato diniego.
Se avessimo fatto come in Germania, prendendo atto del pareggio elettorale e varando un Governo sostenuto veramente da un accordo bipartisan, con l'obiettivo di riscrivere le regole fondamentali della nostra vita politica, di cambiare e di modificare la Costituzione con un ampio accordo e di modificare la legge elettorale e gli organismi di garanzia, avremmo fatto un buon servizio al Paese. Subito dopo la stagione delle larghe intese e delle riforme, però, probabilmente avremmo avuto una democrazia moderna e competitiva, con due coalizioni che si confrontano elettoralmente, ma con la possibilità, per chi vince, di governare senza trappole e senza intoppi e, per chi perde, di svolgere un'efficace azione di controllo, preparandosi all'alternanza.
Da un anno, invece, assistiamo all'attività di un Governo che si distingue soltanto per inefficienza, per liti da cortile, per la fame bulimica di poltrone, per la rapacità con la quale ha occupato tutti i posti di potere, per l'ossessione di cancellare tutte le riforme varate dal centrodestra, per l'incapacità di varare le proprie e per la volontà con la quale si ostina a governare contro la stragrande maggioranza degli italiani.
ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, il Governo ha già abbandonato...!
PRESIDENTE. Relatore Bocchino!
MARIA ROSARIA CARFAGNA. In sostanza, un Governo che dimostra di non avere a cuore il bene comune, che non ha alcuna voglia e capacità di agire nell'interesse del Paese e che resta incollato alle poltrone, perché questo è l'unico modo che ha per gestire quel potere che tanto è necessario per mantenere in vita tutto il sistema clientelare che sorregge i partiti di centrosinistra. Un Governo che sta facendo perdere al Paese occasioni importanti - come, ad esempio, quella di agganciare una ripresa economica straordinaria - e che rischia di perdere un'altra occasione importante, ossia quella di varare una grande riforma istituzionale: una riforma vera, non fittizia come questa, coraggiosa e in grado di modernizzare veramente il Paese e di snellire la vetusta burocrazia italiana.
Ritornando al merito del provvedimento in esame e, quindi, all'elezione indiretta del Senato e alla compressione del diritto di partecipazione dei cittadini, vorrei sottolineare che si rischia di aumentare pericolosamente quel sentimento di sfiducia dei cittadini, nei confronti delle istituzioni e di chi le rappresenta, che ormai serpeggia da mesi negli animi e nelle coscienze degli italiani. Sentimento che voi avete alimentato con la vostra «cattiva politica» - permettetemi il termine - e con i vostri atteggiamenti ambigui.
Come si fa a spiegare che quella che state presentando all'attenzione dell'Assemblea è semplicemente la copia - anzi, la brutta copia - della riforma che il centrodestra ha varato nella scorsa legislatura e che voi avete osteggiato e fatto «bocciare», promuovendo un referendum un anno e mezzo fa? Come si fa a spiegare agli italiani che abbiamo perso quasi due anni per motivi che ancora oggi, nel 2007, afferiscono semplicemente alla lotta fra diversi schieramenti politici?
L'Italia è, sì, un grande Paese, ma è un grande Paese in un grande mondo oggi: per essere competitiva in un grande mondo, ha bisogno di uscire dalle contrapposizioni politiche - alimentate dall'odio ideologico di una certa parte politicaPag. 48- e, soprattutto, ha bisogno di volare alto, su grandi temi che non sono né di sinistra né di destra, ma sono semplicemente ed esclusivamente del Paese, che non può sottostare ai giochetti politici di chi si arrocca sulle proprie posizioni per portare acqua al suo mulino.
La nostra era una riforma ambiziosa e coraggiosa, che sicuramente poteva essere migliorata in questa legislatura (senza partire dall'anno «zero», come si fa oggi) e che solo degli irresponsabili - quegli stessi che oggi proclamano a gran voce l'esigenza delle stesse condizioni che quella riforma determinava - potevano accusare, nel migliore dei casi, di inadeguatezza o, nel peggiore, di oltraggio alla Costituzione. Giustamente, pertanto, i cittadini perdono fiducia nelle istituzioni e in chi le rappresenta; arriva il momento in cui la politica ha bisogno di riformare se stessa, all'insegna di concetti che devono diventare parole chiave per l'attività politica: produttività, sobrietà, rappresentatività. Si tratta di parole chiave che, purtroppo, vengono snobbate da questa vostra riforma.
Vi è un'ultima questione che vorrei sottoporre all'attenzione dell'Assemblea: mi chiedo come si possa delineare la composizione del Senato, senza determinarne la sfera di competenza in relazione e in riferimento ai poteri delle regioni. Mi chiedo come si possa soltanto immaginare una riforma costituzionale, senza modificare quel pasticcio dell'articolo 117 della Costituzione, che è la causa di innumerevoli controversie, che la Corte Costituzionale ormai non riesce più a dirimere. Praticamente, è come iniziare a costruire un edificio o una casa partendo dal tetto: tecnicamente impossibile e sostanzialmente sbagliato.
Pertanto, stabilire come sistemare meglio, dal punto di vista tecnico, il Titolo V della Costituzione e quindi sciogliere il nodo della legislazione concorrente, in maniera tale da stabilire con certezza quali siano le materie di competenza dello Stato, quelle di competenza delle regioni, e quelle che appartengono alla legislazione concorrente, è un lavoro che deve precedere quello che delinea la composizione del Senato (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Menia, che aveva chiesto di parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà.
MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, ci troviamo un po' in difficoltà a dover discutere il provvedimento in esame. Se ne leggiamo il titolo, dovrebbe trovare subito il pieno appoggio del gruppo della Lega Nord Padania, in quanto noi siamo stati i primi, nel Paese, a parlare di federalismo, mentre tutti gli altri ci schernivano, ci prendevano in giro e ci apostrofavano come ignoranti e rozzi.
Oggi, ancora una volta, il federalismo - pur in maniera molto soft, per così dire - torna all'esame dell'Assemblea, con una proposta molto fumosa: non vi è «l'arrosto», è un contenitore vuoto, un grande scatolone dove all'esterno è scritto «riforma federale» e «Senato federale», ma poi, quando lo si apre, di tutto ciò vi è nulla o assai poco.
Pertanto ci troviamo da un lato contenti, perché ancora una volta si parla di federalismo, all'interno di quest'Assemblea, seppure in tempi troppo tardivi; dall'altro lato però, quando analizziamo il provvedimento in esame, notiamo molte lacune e manca la sostanza di quello che è, secondo la Lega Nord Padania, il federalismo.
Partiamo dall'inizio: Gianfranco Miglio affermava che federalismo significa stare con chi si vuole e con chi ci vuole; in pratica, affermava che alla base del federalismo vi è il principio di autodeterminazione dei popoli, per cui un popolo, una regione o una comunità decide di stare con chi vuole, e può stare con un'altra comunità solo se essa la vuole. È questo il principio cardine che Gianfranco Miglio attribuiva al federalismo. Partendo da tale principio, il tipo di federalismo indicato dalla proposta di legge costituzionale in esame è logicamente un federalismo «all'acquaPag. 49di rose», diciamo così (e lo stesso può dirsi anche di altri tipi di federalismo, di cui la Lega Nord Padania è stata costretta a discutere in questa Assemblea).
Ci hanno fatto riflettere molto le parole del collega Pomicino, che prima ha affermato un concetto veritiero: solitamente il federalismo lo si attua quando alcune regioni o alcune entità decidono di federarsi, cioè decidono di mettersi insieme e di avere in comune alcune funzioni e alcuni ruoli, mantenendone tanti altri di propria competenza. Il federalismo è una forma di aggregazione, in cui si mantiene la propria autonomia e si attribuiscono all'entità federale alcune competenze. In questo caso, stiamo percorrendo la strada opposta: siamo di fronte ad uno Stato fortemente centralista e vorremmo mantenerlo unito dandogli le sembianze di uno Stato federale.
È il processo opposto, rispetto a quello che solitamente si compie quando si realizza il federalismo: non si uniscono entità diverse tra loro, ma si vuole arrivare al federalismo partendo da un'unità già esistente. In ciò risiede l'errore originario di questo Stato così com'è stato costruito, pensato e unito: è l'errore di questo Stato unitario, nel quale dopo diversi decenni ci si accorge - noi ce ne siamo accorti molto tempo prima - che così non può andare. Si prova a fare marcia indietro e ad inserire qualche aspetto positivo all'interno dello Stato unitario, ma sempre nella direzione opposta di quello che dovrebbe essere il vero federalismo.
Forse è per tali motivi, e perché esiste un errore nella costruzione di questo Stato, che non si riesce realmente ad andare verso un federalismo vero, o forse perché manca ciò di cui parlava Gianfranco Miglio, ovvero il principio di autodeterminazione dei popoli. Se tale principio fosse stato applicato, probabilmente oggi l'Italia non sarebbe questa e non staremmo a discutere di tali argomenti, ricercando delle soluzioni temporanee per uno Stato che così com'è strutturato non sta più in piedi, ma che afferma di voler realizzare il federalismo e che allo stesso tempo non concede il federalismo reale, quello economico e fiscale. È su questo punto che la Lega interviene con una posizione forte e sostiene che questo Stato non lo si può più riformare.
Quando qualche settimana fa il segretario federale della Lega Nord diceva che lo Stato non si può più riformare partiva da un elemento molto chiaro: la Casa delle libertà realizzò una riforma federale che aveva aspetti molto positivi, anche se la Lega l'avrebbe sicuramente voluta ancora più ampia e federalista (all'interno di una coalizione si è costretti a mediare), e che ha prodotto l'importante innovazione della devolution. Cosa è accaduto successivamente? Il referendum confermativo ha bocciato la devolution. Non sono stati in questo caso i partiti a bocciare la devolution, ma è stato il Paese, perché esiste una parte del Paese che nel momento in cui vede messi a rischio alcuni suoi interessi o clientele o una particolare gestione del denaro interviene tramite il referendum confermativo e non permette la riforma federale dello Stato. Tutto ciò è accaduto con la riforma della Casa delle libertà, ed è per tale motivo che la Lega sostiene che lo Stato probabilmente non è riformabile.
Oggi ci viene presentata una proposta di federalismo che però di federalismo non ha niente, e sulla quale non servirà un referendum confermativo perché saranno tutti d'accordo, non avendo nulla di federalismo reale (quello fiscale, quello che riguarda i soldi, quello che realmente conta). Il problema è che nel momento in cui ci troveremo un'altra volta a parlare di un federalismo fiscale serio e proveremo a fare marcia indietro rispetto a quello che è stato fatto nel 1861, vedremo che una parte di Paese, soprattutto il Centro e il Sud, bloccherà tale riforma. Ecco il motivo per cui il Paese non è riformabile, e anche se siamo qui a discutere con i metodi democratici, che ci contraddistinguono, abbiamo forti perplessità, perché quanto è accaduto probabilmente accadrà di nuovo, dato che in caso contrario cadrebbe un sistema diPag. 50potere e una gestione del denaro pubblico che hanno sempre contraddistinto l'Italia.
La riforma della Casa delle libertà è stata un'occasione sprecata: essa poteva rappresentare il modo per arrivare ad un federalismo veramente compiuto e ad un federalismo fiscale, attribuendo responsabilità amministrativa ed economica alle regioni e agli enti locali, ma i partiti del centrosinistra e quella parte del Paese che non vuole le riforme si sono messi contro. Abbiamo perso un'occasione, forse l'ultima, che il Paese aveva per provare ad autoriformarsi. Chi oggi viene in quest'Aula a proporre questa riforma, deve prima assumersi le responsabilità politiche verso il Paese per non aver fatto passare quella riforma, che sul federalismo era molto più ampia e compiuta rispetto al testo di cui stiamo discutendo, che in seguito affronteremo nel merito.
Vediamo certo con favore questo aspetto della riforma, perché trattandosi di federalismo la Lega non può che vedere in modo positivo la forma del provvedimento, però quando ne verifichiamo la sostanza abbiamo molti dubbi.
Si parte infatti dalla riforma del Titolo V della Costituzione, realizzata dal centrosinistra nel 2001, che ha creato una sorta di ingorgo costituzionale per quanto riguarda il riparto di competenze tra Stato e regioni. La competenza legislativa concorrente, così come era stata pensata dall'articolo 117 della Costituzione, ha creato un ingorgo in tema riparto di attribuzioni per materia, per cui ancora oggi è oggettivamente problematico cercare di dirimere le relative controversie. La riforma della Casa delle libertà cercava di rimuovere, seppur parzialmente, questi limiti, perché attribuendo alle regioni la competenza esclusiva per quanto riguarda la scuola, la sanità e la polizia locale, si cominciava a conferire attribuzioni importanti, non acqua fresca (sappiamo infatti che la sanità e la scuola costituiscono competenze rilevanti), ed in seguito si sarebbe ottenuta la gestione finanziaria relativa a tali materie, ed è lì - in materia sanitaria soprattutto - che si verificano gli sprechi importanti all'interno di questo Paese. Si trattava di un inizio, è stato bocciato, siamo ritornati al Titolo V del centrosinistra e siamo ancora di fronte ai problemi di riparto di competenze per quanto riguarda la legislazione concorrente, per cui non si sa chi debba legiferare tra regioni e Stato, e così si provoca un ingorgo.
Il progetto di riforma che oggi discutiamo non si occupa degli aspetti che secondo la Lega Nord sono importanti. Non si modifica l'articolo 117, in altre parole non si indicano con chiarezza le competenze esclusive delle regioni, e non si parla di federalismo fiscale. Infatti, alla fine - come ho già affermato - si deve contare sui soldi per tentare di riformare questo Paese.
D'altronde, è difficile pensare che si possa parlare di federalismo fiscale. Citiamo solo alcuni dati che possono far capire per quale ragione questo Paese è irriformabile. La base imponibile IRAP evasa è in Lombardia del 13 per cento, in Veneto del 22 cento, in Sicilia del 66 per cento, in Calabria del 94 per cento: federalismo fiscale vuol dire che se si evade il 94 per cento di IRAP non si possono gestire le competenze in materia di personale pubblico, di sanità e di scuola. Come si può gestire il personale pubblico, considerato che in Lombardia vi sono 0,6 impiegati su mille abitanti, mentre nel Sud vi sono 2,25 impiegati su mille abitanti? Il federalismo fiscale significa gestire le proprie funzioni con i propri soldi. Se si evade (quindi non c'è nessuno che paga) e vi è un maggior numero di dipendenti pubblici, mi chiedo come si faccia a mantenere in piedi questa struttura: non la si può mantenere in piedi con il federalismo fiscale Lo si può fare solo con un federalismo fiscale bluff, una presa in giro (Applausi dei deputati della Lega Nord Padania)! Tutto ciò, senza accennare, in materia di sanità, ai nove miliardi con cui abbiamo coperto il buco sanitario del Lazio. Di fronte a queste cifre si capisce perché il Paese è irriformabile, e perché, nel momentoPag. 51in cui si è realizzata una riforma federalista veramente seria, il referendum confermativo, previsto dalla Costituzione, chiesto dal centrosinistra, ha bocciato la riforma.
Dobbiamo riflettere molto seriamente, perché possiamo costruire il Senato federale, come stiamo facendo in questo momento, però se non si attribuiscono competenze e risorse, è uno scatolone vuoto, è fumo e non c'è arrosto. Vi è quindi un problema di sostenibilità dello Stato, nel momento in cui si dà vita ad un reale federalismo fiscale: da una parte si spende e non si paga, dall'altra si paga e si spende poco (mi riferisco chiaramente ad una parte del Paese). È oggettivamente molto difficile mettere insieme tutti questi aspetti.
Sarebbe stata necessaria un'assunzione di responsabilità politica, nel giugno 2006, quando si votò il referendum confermativo per la devolution, da parte di coloro che hanno invitato a votare no. Infatti, si trattava certamente di una riforma migliorabile, con aspetti che potevano anche non essere condivisibili; però, si è persa un'occasione storica. Oggi siamo a discutere di questi argomenti con un Governo che non si sa quanto resterà in carica, a discutere di un Senato federale al quale non diamo competenze, a tentare di fare qualcosa per mostrarci belli di fronte al Paese, perché è in atto la crisi della politica.
Dobbiamo riflettere sulla storia, per individuare i motivi per i quali siamo giunti a questo punto. Un parlamentare come il sottoscritto, che viene da una regione ad autonomia speciale e, quindi, conosce le differenze tra chi ha l'autonomia e chi non ce l'ha e vede il problema dei comuni confinanti, sa che non si può pensare di mantenere Cortina o Lamon nella regione dove sono adesso concedendo qualche milione in più, come si fa con la legge finanziaria, e non si può pensare di foraggiare i comuni confinanti. Questi ultimi vedono veramente qual è il vantaggio di avere l'autonomia: non è concedendo due lire che si convincono a rimanere nella regione dove sono.
Se non arriviamo al federalismo fiscale, e questa Assemblea non ci arriverà, sarà il popolo a sceglierlo. I referendum che sono partiti da Lamon e ci saranno a Cortina, come ci sono stati in altri comuni, dimostrano che se lo Stato è irriformabile - come stiamo dimostrando - ci penserà il popolo. Auspichiamo che quello che sta accadendo nei comuni confinanti vada avanti: non perché vogliamo l'attacco alle autonomie, come qualcuno dice, ma perché vogliamo che la stessa autonomia sia riconosciuta a tutte le regioni e a tutte le province che la possono avere.
La riforma, inoltre, prevede la diminuzione del numero dei parlamentari, che anche noi avevamo previsto: era sufficiente votare sì al referendum del giugno 2006 e si sarebbe avuta. Prevede la fine del bicameralismo perfetto, così come era previsto anche nella riforma costituzionale della Casa delle libertà.
Si prevede, inoltre, il Senato federale. Entriamo nel merito di questo Senato federale, per capire per quale ragione affermiamo che è una scatola vuota dove c'è molto fumo e poco arrosto. Il Senato federale viene eletto, così come prevede il testo, dai consigli regionali, e può legiferare su una serie di materie tra le quali le modifiche costituzionali, la legge elettorale, i comuni e gli organi dello Stato, e sulle materie di cui all'articolo 117, concernente la legislazione concorrente ed esclusiva. Al riguardo vi è qualcosa che ci fa riflettere: se il Senato modifica l'articolo 117, cioè le competenze delle regioni - infatti, il Senato federale è composto dai rappresentanti delle regioni e all'interno di esso si discute dei problemi delle regioni e, perciò, anche dell'articolo 117 - la Camera, come prevede il testo in esame, può modificare a maggioranza assoluta quello che ha previsto il Senato. Cioè il Senato, che dovrebbe essere l'organo principale di discussione del federalismo all'interno di questa nuova organizzazione statale, vede bloccate le proprie riforme dalla Camera a maggioranza assoluta: è un aspetto che abbiamo criticato.
Riteniamo che si debba stabilire una maggioranza più ampia, per poter inciderePag. 52sulle scelte del Senato federale e sulle materie che riguardano prettamente l'autonomia delle regioni. Crediamo che un Senato così configurato sia stato costruito con una valenza solo consultiva: si prende atto di ciò che in esso si pensa, ma poi altri decidono. Se la Camera ha un'opinione diversa, non su materie dello Stato ma su materie delle regioni, viene a essere bloccato quello che aveva stabilito il Senato. Ci sembra, dunque, che sia delineata soltanto una valenza consultiva: al Senato viene chiesto un parere. Se la Camera è d'accordo, la legge è approvata, altrimenti il Senato ha espresso un parere inutile, perché non ha effetto. Quindi, il Senato è svuotato delle competenze che dovrebbe avere per rappresentare realmente le istanze delle regioni e quindi il federalismo, l'autogoverno e l'autonomia.
Ci sembra, pertanto, che vi sia un utilizzo politico dello Stato federale, per mostrare al Paese che è stato realizzato un federalismo, ma poi, di fatto, di federale non resta nulla, se non una scatola vuota.
In merito alla questione dei senatori a vita, la Lega non è contraria alla loro nomina in sé, ma al fatto che essi, pur non essendo stati eletti dal popolo, possano votare - soprattutto quando i loro voti contano e sono determinanti per costituire la maggioranza - sulla base di una decisione personale e non di un'investitura popolare, qual è un'elezione (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Avverto che assistono ai nostri lavori le classi della scuola media di Grottolella (Avellino) e dell'Istituto paritario arcivescovile «Celestino Endrici» di Trento. La Presidenza e l'Assemblea vi salutano (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.
JOLE SANTELLI. Signor Presidente, sembra quasi anomalo in un momento politico così confuso in Italia - forse uno dei più confusi, almeno degli ultimi anni - trovarsi a discutere in questa Camera niente meno che di riforme costituzionali. La replica a questa obiezione è evidente: politicamente si ritiene che, nel momento in cui ci troviamo in una fase di difficoltà e di fibrillazione, tanto politica quanto, soprattutto, di disagio nel rapporto che dovrebbe collegare la politica al popolo, niente di più che un processo realmente costituente, cioè un momento in cui i partiti prendono atto delle proprie responsabilità e si mettono insieme per riscrivere alcuni punti fondamentali della struttura dello Stato, potrebbe rappresentare una risposta migliore. Se ciò fosse vero, forse veramente ci staremmo incamminando verso un percorso diverso. Purtroppo non è così.
Evito di fare riferimento a tutto ciò che viene scritto sulla stampa, attenendomi ai lavori di quest'Aula e delle commissioni. Credo che siamo partiti con il piede sbagliato, muovendoci anche al di fuori delle responsabilità di quanti lavoravano direttamente sui testi, e che abbiamo finito per commettere errori nel metodo. Ritengo, colleghi, che quando un Parlamento, per l'ennesima volta, si pone l'obiettivo di riformare la Carta costituzionale, debba farlo con una grande assunzione di responsabilità, sapendo che troppe volte ha fallito e che, prima o poi, di questo i cittadini italiani chiederanno il conto.
È necessario, tuttavia, ricordare che nelle occasioni precedenti si era iniziato almeno su basi diverse: le Commissioni bicamerali erano partite da un processo riformatore abbastanza sentito. Esso, forse, è stato avvertito più dagli intellettuali e dall'intellighenzia che dalla gente, e per tale motivo - mi riferisco alla cosiddetta prima Repubblica - abbiamo registrato alcuni fallimenti. Vi è stato un momento della vita politico-parlamentare, che considero importante: il confronto avvenuto nella Commissione bicamerale. Troppe volte, forse, si è accantonata quella pagina ritenendola un errore o una trappola. Giorni fa ho ascoltato una frase che non conoscevo - per ignoranza, spero scusata in parte dall'età - e che mi ha colpito. Si tratta di una frase chePag. 53amava ripetere De Gasperi: il politico pensa alle elezioni future, lo statista al futuro.
Con gli occhi al futuro, forse l'esperienza della Bicamerale - non tanto per il risultato, quanto per l'interesse al confronto che vi è stato in tale fase - è stato un momento politico importante. Sappiamo tutti come è andata a finire. Nella scorsa legislatura, da coloro che allora si collocavano all'opposizione e che oggi costituiscono la maggioranza, è stato detto che vi è stato uno strappo, durato due anni e mezzo di confronto approfondito sui temi discussi, dove vi era un'idea sebbene contrastabile (tutto ciò che è politica può essere contrastato, ma rimane un obiettivo politico). Oggi torniamo su questi temi, dopo un momento in cui forse avremmo dovuto riflettere tutti, perché si trattava di una riforma che avrebbe potuto presentare luci ed ombre - mi riferisco ovviamente a quella del centrodestra - ma che forse è stata difesa ad oltranza - da parte nostra, ovviamente - con la soddisfazione di chi riesce, con un Governo che è durato una legislatura, a portare a casa una riforma costituzionale. Quest'ultima, forse col senno di poi, è stata troppo esposta al ridicolo o allo scandalo da parte di chi, in un certo qual modo, aveva deciso di non aderirvi, pur scorgendo qualcosa di molto buono da ciò che è stato un errore, perché, alla fine, gli italiani hanno detto «no».
Quest'ultimo è un punto di partenza sul quale dobbiamo necessariamente tornare e riflettere. Come ci troviamo oggi? Alcuni giorni fa, insieme ad alcuni membri della Commissione e al presidente Violante, abbiamo discusso di diritto costituzionale con allievi universitari - il presidente Violante lo ricorderà - ai quali lo stesso presidente Violante ha detto che, sebbene molte delle norme scritte in questo testo fossero già scritte nella riforma di centrodestra, una parte del centrodestra non vuole approvarlo (si tratta di Forza Italia). Un giovane allievo (devo anche dire con coraggio, perché quando si ci si trova nelle aule parlamentari è bello vedere uno studente che ha la franchezza di dire ciò che pensa e non la diplomazia propria di queste aule, spesso forse troppo paludata) ha affermato: se avete previsto le stesse cose degli altri, perché ci avete condotto in piazza, sostenendo che si stava «strappando» la Costituzione? Presidente Violante, le è stato chiesto ciò, ma è quello che era nato e sorto. Pertanto, nel metodo, in primo luogo mi sarei aspettata una discussione, che oggettivamente è necessaria nel Paese, poi può essere verificata o no, decisa in un modo o in un altro. Tuttavia, forse, è il momento di abbattere i tabù, iniziando a verificare, mettendo mano alla Costituzione, cosa sia realmente valido e cosa sia da ridiscutere. Personalmente, con onestà, ritengo che da parte delle forze politiche, dopo sessanta anni di democrazia, sia arrivato il momento di discutere e confrontare le rispettive idee sulla prima parte della Costituzione, i principi fondamentali, in quanto vi sono aspetti che rimangono anche con l'usura nel tempo (cioè appartengono ad una storia che è stata) e magari dal passato possiamo imparare per il futuro, ma dovremmo tentare di evitare che rimanga un fardello pesante sul presente e sul futuro.
Una volta stabilito chi siamo è facile, o diventa più semplice, scrivere le regole su come dobbiamo organizzarci. Tuttavia, anche questa volta abbiamo deciso di affrontare l'unico passaggio sul quale ci è consentito di discutere in qualità di parlamentari, perché - per carità! - se parlassimo di prima parte della Costituzione, ci troveremmo contro - prendo in prestito una frase di Pansa - i guardiani della memoria, i quali affermano che nulla si tocca. In politica, di solito, tutto si può toccare o meglio di tutto si può discutere. Dopo aver detto ciò, iniziamo a discutere su come ci dobbiamo organizzare. Nella prima discussione - lo avranno già detto i relatori, ma lo ribadisco - abbiamo cominciato a discutere su come lavorare.
Lavoriamo su vari argomenti, che riguardano sostanzialmente le nostre aspettative sul Paese. La prima domanda èPag. 54come far recuperare l'efficienza ad una politica che è diventata ormai una locomotiva ottocentesca in un mondo che viaggia su Internet. Cosa facciamo? Chi siamo? Siamo sicuri che la famosa anomalia italiana, l'esasperato parlamentarismo italiano di cui siamo così fieri (perché ciascuno di noi può dire quel che vuole, ma nessuno può fare alcunché) serva a questo Paese? Con la prima domanda decidiamo su quale binario metterci: vogliamo che il parlamentarismo, così come disegnato dalla nostra Carta costituzionale sia ancora valido oppure scegliamo un modello diverso come il premierato, il semipresidenzialismo alla francese o il presidenzialismo americano, la grande bandiera dei colleghi di Alleanza Nazionale? Tali sistemi non sono mere formule organizzative, ma rappresentano la natura di un Paese, cos'è e cosa vuole: a ciò dovremmo avvicinarci. Credo che il discorso, a questo punto, divenga abbastanza confuso: durante la discussione in Commissione le varie forze parlamentari si esprimono: si sente già il timore delle riforme da parte di alcuni, la necessità di dare alcune risposte, da parte di altri e il tentativo, tutto italiano, di cambiare tutto perché nulla cambi, da parte di altri ancora.
Penso che il compromesso consista nell'ascoltare le ragioni di tutti per poi scegliere una soluzione coerente che eviti errori. Quando il compromesso si riduce ad accontentare per forza o, meglio, a tentare di far sì che nessuno sia scontento - tentativo molto tipico della politica italiana - rischiamo di non scegliere nulla. Ciò per quanto riguarda il metodo. Inoltre, quando si mette mano alle riforme è doveroso che ci siano un dibattito di legittimazione reale, una volontà reale da parte di tutti. Il percorso, infatti, è già irto di ostacoli ed è difficile portarlo a termine se già i pregiudizi sono esasperati. Lo dico con rispetto: credo che in questa fase abbiano prevalso, in gran parte, il tatticismo ed i momenti di interesse peculiare. Non penso che esaminando i singoli aspetti di questa riforma si possa affermare che essa esisterebbe realmente e se dovesse essere approvata oggi, mi chiedo quanti gruppi politici con responsabilità la voterebbero, forse pochi, forse molto pochi, quasi nessuno, presidente Violante, lei lo sa. Almeno nel dialogo ho avvertito che non c'è stata partecipazione. Alcuni affermano che bisogna rifarsi al dibattito che c'è stato nelle precedenti legislature, senza cominciare tutto da capo. Alcuni colleghi avevano la fortuna di essere presenti in Commissione a seguire la predetta discussione, ma io non c'ero ed un dibattito così franco e diretto sul provvedimento che poi è stato presentato onestamente, forse per mio errore, non l'ho riscontrato già dalla base di partenza. Ritengo quindi che questa sia una colpa originaria sul metodo, che dipende soprattutto dal quadro politico in cui operiamo: non vivendo ovviamente su Marte, mentre gli altri agiscono sulla Terra, risentiamo di tutto ciò che accade intorno a noi. Sicuramente non si tratta dell'atmosfera migliore per approvare un provvedimento, un'opera di questo livello.
Passiamo ora ad esaminare il merito che forse, anzi sicuramente, è la parte più delicata. Credo che il provvedimento al nostro esame, almeno secondo la mia opinione, pecchi, in alcuni aspetti, per insufficienza e per mancanza di coraggio, mentre in altri perché la materia non è proprio stata affrontata.
Ammesso di scegliere di toccare esclusivamente la parte seconda della Costituzione, riteniamo veramente che questo - non so come chiamarlo: chiamiamolo premierato, per comodità terminologica e per distinguerlo da quanto attualmente vigente - sia un premierato convincente? Abbiamo discusso una norma che ha più valore nella forma che nella sostanza. La riforma del centrodestra stabiliva: il Presidente della Repubblica, sulla base dei risultati elettorali, nomina il Presidente del Consiglio e poi quest'ultimo e il Governo giurano dinanzi al Presidente della Repubblica. Oggi torniamo alla vecchia formula, che il Presidente del Consiglio dei ministri indica i nominativi dei ministri che vengono nominati dal PresidentePag. 55della Repubblica. Probabilmente nella sostanza poco cambia, nel senso che l'elenco che è presentato dal Presidente del Consiglio, in una Repubblica come quella che immaginiamo e con un Presidente della Repubblica con i poteri che immaginiamo, dovrebbe essere semplicemente «vidimato». Formalmente cambia tutto: cambia l'idea - se ancora siamo a questo punto, forse dobbiamo interrogarci sul nostro concetto di democrazia - che dopo che una maggioranza eletta dal popolo ha indicato un Presidente del Consiglio dei ministri, quel signore deve andare al Quirinale e trattare la lista dei ministri con il Presidente della Repubblica, che dovrebbe avere esclusivamente la rappresentanza istituzionale del Paese. Cambia molto. Quando mi si dice che bisogna bilanciare i poteri, credo che dobbiamo piuttosto essere certi del criterio di responsabilità: il Presidente del Consiglio si assume la responsabilità di indicare i ministri, essi giurano poi dinanzi al Presidente della Repubblica, ossia nel momento in cui assumono l'incarico nei confronti dello Stato italiano, ma è responsabilità del Presidente del Consiglio la politica del suo Governo e dei membri del suo Governo. Su questo punto occorre essere chiari: ritengo, da cittadina, lo ribadisco, che un potere che è comunque irresponsabile politicamente, come quello del Presidente della Repubblica, non ha assolutamente titolo, e sarebbe grave se lo avesse, a giudicare su quanto hanno stabilito gli italiani con il proprio voto.
Da ciò deriva un piuttosto scarno contenuto di riforma sui poteri del Governo. Occorre distinguere tra Costituzione formale e Costituzione sostanziale. Spesso ascoltiamo da alcuni nostri colleghi parlamentari l'elogio del parlamentarismo, elogio che oggettivamente, facendo parte da un anno e mezzo del Parlamento di questa legislatura, vorrei capire da cosa nasca: perché, nella sostanza, abbiamo un Governo che decide, viene in aula, detta legge e non ascolta nessuno. Forma maggiore di premierato e di strapotere del Governo come quella che stiamo vivendo è difficile da trovare in qualsiasi Costituzione. Il testo di legge in esame è ancora meno avanzato di quanto già accade. Inserire all'ordine del giorno un disegno di legge non cambia assolutamente nulla: quali sono i poteri reali di questo Governo e i contrappesi che deve dare la Camera di rappresentanza politica? Alla domanda non c'è una risposta chiara, non si capisce, rimane tutta nell'ombra. Poi si fa una sorta, ritengo, di «regalo», se mi consentite il termine, ai colleghi della Lega, che capisco che abbiano votato questo testo in Commissione. Ritengo, infatti, che sia per loro una grande vittoria politica aver sentito finalmente il centrosinistra che parla di Senato federale e federalismo: una vittoria politica che inizia nel 1992. Qualcuno, nella scorsa legislatura, accusava la Casa delle Libertà e Berlusconi di essere prigioniero di Bossi e della Lega, di svendere l'Italia. Oggi, il regalo viene tutto dal centrosinistra, nella prossima legislatura potranno dire ben poco.
Ma a quale tipo di Senato stiamo pensando? Tutto si può fare. Si può decidere che il Senato viene eletto dai consigli regionali al loro interno; ma allora chiedo: se i senatori sono i rappresentanti dei governi regionali, allora non hanno forse ragione i colleghi della Lega a chiedere che essi vengano nominati dai governi, cioè dalle giunte, e non dai consigli regionali? Mi pare che questa strada abbia più senso. Ancora: siamo sicuri che, nell'architettura costituzionale italiana, abbia senso includere nel Senato i rappresentanti delle autonomie locali? Che sistema stiamo costruendo: l'anomalia totale italiana?
Non sono una federalista spinta (provengo dal sud, ove difficilmente si trova una simile impostazione: forse perché al sud non abbiamo sperimentato una gran buona politica regionale e dunque, non avendo avuto il merito di crearcela, non ne conosciamo i benefici); so però che, se la struttura funziona, qualunque sia il sistema, le cose vanno bene. Cosa avremmo dovuto rinvenire in questa proposta di legge costituzionale? In primo luogo, come ha già detto il collega Fugatti, avremmoPag. 56dovuto trovarvi una rivisitazione dei poteri delle regioni. Il problema da affrontare sono infatti i molti problemi che sono derivati dalla riforma del Titolo V, specialmente per il nostro Governo. In proposito, infatti, si deve osservare come da parte delle Regioni «rosse» vi sia oggi minore tendenza a ricorrere alla Corte costituzionale: un dato che, del resto, emerge anche se si confrontano i risultati delle Conferenze Stato-Regioni svoltesi sui medesimi temi oggi e allora. In questo senso, sarebbe interessante domandare a taluni «governatori» per quale ragione, se il governo di centrodestra faceva un piccolo passo, si ricorreva alla Corte, mentre oggi, ad esempio sulle leggi cosiddette Bersani, che si collocano totalmente fuori dal quadro del Titolo V, si ritiene di tacere perché il Governo è di un certo «colore». Federalismo e principi assai spesso trovano un freno quando è in gioco è un interesse di Governo.
In secondo luogo, avremmo dovuto trovare - ed è questa la grave mancanza - un'indicazione non solo dei poteri, ma anche delle responsabilità da attribuire alle Regioni. Provengo da una regione i cui fondi sono destinati, al 90 per cento, alla sanità, dove vi è una continua situazione di deficit che viene ripianata dal Governo centrale, e in cui il servizio sanitario è il peggiore in assoluto. Ebbene, chiedo che la Regione e i politici che hanno determinato tali situazioni paghino. Chiedo che vi sia responsabilità delle Regioni: non solo che le Regioni abbiano i poteri e poi vi sia uno Stato che fa il padre gentile e risolve i problemi. Come si implementa la responsabilità delle Regioni? Nel corso della visita condotta in Germania, ci è stato spiegato il funzionamento del federalismo tedesco: ci è stato spiegato quali sono gli strumenti di compensazione e ci è stato detto che si era immaginato che, laddove vi fosse uno «sforamento» del bilancio, vi sarebbe stata poi una compartecipazione al pagamento del debito pubblico. Una simile strada ha un senso. Se si afferma che non si può perseguirla, poiché non bisogna penalizzare i cittadini, vi possono sempre essere i commissariamenti. In ogni caso, però, vi debbono essere momenti di responsabilità: invece, di essi, in questo testo, non si trova traccia.
Proseguo parlando per spot, considerato che nel prosieguo vi sarà il tempo per esaminare, in sede di discussione dei singoli emendamenti, i vari aspetti del provvedimento. Il grande problema di questo provvedimento è che - come ho già detto - mancano taluni elementi essenziali e non si danno così risposte sufficientemente convincenti da delineare un sistema coerente ed efficiente da presentare agli italiani. Uscendo da quest'Aula, se i cittadini ci chiedono se abbiamo recuperato in efficienza, saremmo in grado di rispondere in senso affermativo? Probabilmente no. Se poi ci si chiede se abbiamo recuperato in termini di responsabilità? Nemmeno. Cosa abbiamo fatto, allora? Siamo arrivati in Aula.
È evidente che il percorso è ancora lungo e sarà, probabilmente, determinato anche da eventi che spesso saliranno molto al di sopra delle nostre teste. Qualcosa può nascere male e poi può cambiare, ma deve esserci la volontà di cambiamento e soprattutto - da parte, ritengo, di tutti i gruppi - la chiarezza di intenti: occorre chiedersi che cosa si vuole veramente, senza il timore che, dicendo cosa si vuole, si rischi di scardinare qualche equilibrio.
L'unica cosa che non possiamo consentirci, infatti, è in primo luogo di fallire nuovamente - mentre probabilmente ci stiamo avviando ad un nuovo fallimento -, ed in secondo luogo, soprattutto, di «ritoccare», poiché siamo diventati ormai un Parlamento che legifera sulla Costituzione come su leggi ordinarie, salvo accorgersi quotidianamente di sbagliare qualcosa.
Forse un momento di chiarezza potrebbe già arrivare - lo dico a coloro i quali hanno oggi la responsabilità, essendo maggioranza che sostiene il Governo - da un'assunzione, in parte, di colpa sull'atteggiamento tenuto nei confronti del vecchio testo di riforma costituzionale della Casa delle libertà.
È, infatti, legittimo affermare che vi erano aspetti che non convincevano, o sostenere che vi erano punti che potevanoPag. 57creare confusione, ma dire che si era costituito uno stato di ritorno dittatoriale con uno sfascio del sistema Italia (cosa che tutti abbiamo ascoltato nei dibattiti televisivi e dai palchi) non era politicamente corretto! Quello è l'errore, quello è il dramma che, di fatto, diventa un macigno anche in questo percorso riformatore.
Colleghi, credo che oggi noi dobbiamo, da opposizione, imparare molto dagli errori che voi avete compiuto quando eravate all'opposizione. Quando si è da questa parte è facile demonizzare tutto e dire: «questa legge è una diavoleria e noi la cambieremo!». Ma poi si arriva al Governo e si scopre che in fondo quella legge, tutto sommato, era meglio di quanto avessimo riconosciuto, anche se ci troviamo a disagio con i nostri elettori ai quali abbiamo raccontato altre cose.
Questo è il problema di un'opposizione che oggi diventa maggioranza, e questa forse è la lezione che anche noi dobbiamo imparare da questa parte per evitare di trovarci, in futuro, nella stessa situazione.
Ciò è successo con mille leggi (lo vedremo con la legge Bossi-Fini e lo abbiamo visto con la legge Biagi): esse erano tutte la tragedia dell'Italia, ma oggi che non si smontano - perché in fondo fornivano risposte migliorabili, ma corrette nell'impianto - esse diventano un problema da gestire. Lo stesso problema grava anche sulla proposta di riforma in esame, perché è difficile spiegare come una serie di risposte siano sostanzialmente identiche (con qualche mutamento), quando il contrasto nel dibattito è stato di una ferocia come quella che abbiamo visto.
Presidente Violante, lei scuote spesso la testa, ma i comitati per la difesa della Costituzione non li abbiamo inventati noi.
LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Neanche noi.
JOLE SANTELLI. Neanche voi, però c'erano anche molti personaggi dei vostri. Quando si arriva a momenti di urto così violento nel dibattito, poi è difficile tornare indietro e appianare nuovamente le strade. Questo è il problema di metodo politico che oggi abbiamo davanti.
Mi auguro che, recuperato un attimo di serenità, si possa superare oggettivamente la forzatura di portare il dibattito in Aula nel momento in cui si sta iniziando l'esame del disegno di legge finanziaria; un momento, come tutti sappiamo, di grande precarietà secondo quanto dicono gli esponenti della maggioranza (non noi che non sappiamo cosa accade a casa loro). Oggettivamente, non credo che diamo un bello spettacolo alla gente (che si aspetterebbe altro), se in un momento di tale precarietà, mentre al Senato si palpita per vedere se il Governo regge, alla Camera discutiamo di riforme costituzionali.
Quando si chiede un momento di riflessione non è per perdere tempo, ma per cercare di capire come ricostruire - se è possibile ricostruirlo - un clima costruttivo e chiaro che regali non una medaglia alla maggioranza pro termine, ma un futuro al nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gamba. Ne ha facoltà.
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in effetti la discussione che si sta svolgendo oggi in Assemblea, sebbene sia riferita al primo articolo del progetto di legge di modifica costituzionale, comporta, evidentemente, una valenza di carattere più ampio anche nell'ambito della discussione sul complesso degli emendamenti perché, come correttamente è stato sottolineato anche questa mattina all'inizio della discussione e nel primo pomeriggio, i tempi della discussione sulle linee generali, pur giustamente per certi versi contenuti per ragioni di speditezza dei lavori parlamentari, non potevano considerarsi sufficientemente adeguati vista la vastità, l'importanza e i termini dello stesso testo unificato e della materia che stiamo affrontando.
Il dibattito effettivamente presenta caratteri un po' surreali se riflettiamo su quanto sta accadendo intorno a noi, nella vicina piazza Colonna, nel palazzo in cuiPag. 58ha sede il Governo della Repubblica e nell'aula di palazzo Madama, del Senato della Repubblica. Infatti, assistiamo ormai quotidianamente alle manifestazioni più disparate dello sfaldamento, dello «spappolamento» della maggioranza che sostiene il Governo Prodi e dello stesso Esecutivo che non fa mancare allo spettacolo, spesso indecente per i cittadini, le ultime puntate incentrate sugli insulti e le contumelie, quasi si trattasse di una lite da cortile, fra Ministri dello stesso Governo.
Si tratta di una situazione un po' surreale. Infatti, la discussione sulle modifiche alla Carta costituzionale - che, come tutti sanno, a causa della natura rigida della Costituzione italiana entrata in vigore nel 1948, sono sottoposte ad un procedimento di per sé complesso, che prevede doppie letture da parte di ciascun ramo del Parlamento, maggioranze qualificate o un intervento successivo per eventuali votazioni referendarie - comporta di per sé una prospettiva che non dovrebbe essere di breve periodo; invece, tutto milita per la prossima fine della legislatura (molto anticipata e, forse, la più anticipata fra quelle repubblicane). Trattenersi in questa sede a discutere di argomenti, peraltro così seri ed importanti, può suscitare forti perplessità anche in chi, eventualmente, ascolti o assista al nostro dibattito attraverso i mezzi di comunicazione.
Viceversa, dobbiamo considerare che, al di là di ciò che avverrà, di quale sarà il destino della legislatura e del progetto di legge di modifica della Costituzione al nostro esame, anche questo episodio, che è importante nell'ambito del dialogo parlamentare, si fonda su una certezza, una condizione obiettiva: ormai da tre decenni il Parlamento italiano sta affrontando, in forme diverse, l'esigenza sempre più sentita di modifiche, più o meno profonde e radicali, al sistema, all'organizzazione dello Stato e al disegno contenuto nella Carta costituzionale del 1947-1948.
Tale esigenza è talmente avvertita che gli strumenti che si sono succeduti, pur senza esiti fortunati e positivi da quasi 30 anni, hanno visto la sperimentazione, da parte del Parlamento, delle forme più diverse: Commissioni monocamerali e bicamerali (a partire dal tentativo presieduto dall'onorevole Bozzi), la Commissione Iotti-De Mita e la più recente e per certi versi famosa Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema. Infine, vorrei ricordare la riforma costituzionale ampia, profonda e molto dettagliata approvata nella scorsa legislatura seguendo i meccanismi previsti dall'articolo 138 della Costituzione, che ha riguardato non più soltanto piccole modifiche, come era avvenuto nelle occasioni precedenti, ma gli assi portanti dell'organizzazione dello Stato e dell'ordinamento della Repubblica, come è intitolata la seconda parte della Costituzione.
Se questa esigenza è tanto sentita da aver prodotto gli sforzi di tanti aspiranti costituenti, è altrettanto evidente che l'ultimo episodio, quello della riforma approvata per quattro volte dai rami del Parlamento nella scorsa legislatura, non poteva essere oggetto di quella serie infinita di falsità e di meccanismi di propaganda e demagogia sparsa a piene mani, come viceversa è successo, e che ha portato alla mancata approvazione da parte del corpo elettorale, in una vicenda referendaria comunque non sufficientemente posta all'attenzione dell'elettorato per le vicende contingenti che hanno preceduto e che hanno seguito quelle votazioni.
Certamente, quell'ambito così ampio di riforme - che comunque il Parlamento aveva approvato su cui ci si era misurati e che potevano e avrebbero dovuto essere migliorate, anche attraverso un esame puntuale in una successiva occasione, che ben poteva essere costituita dalla nuova legislatura - viceversa ha costituito oggetto di uno scontro frontale assolutamente diverso da quello che dovrebbe essere riferito a un tentativo di riforma nell'ambito costituzionale.
Tutti, anche in maniera quasi stucchevole, parlano, ad ogni piè sospinto, della necessità di un confronto tra la maggioranza e l'opposizione del momento, per la ricerca di convergenze in ambiti come quelli delle riforme costituzionali piuttosto che della legge elettorale. Tuttavia, in seguito,Pag. 59quando si giunge finalmente, nella maggior parte dei casi, al confronto sui temi, quando si arriva all'esame degli aspetti puntuali di questa decisiva vicenda non si ottengono risultati. Ciò pur con la consapevolezza della assoluta necessità di modificare una Carta costituzionale ormai risalente nel tempo, frutto dell'esame immediatamente successivo alla sconfitta militare dell'Italia nella seconda guerra mondiale e alla conclusione di una guerra civile, in seguito alla caduta di un regime autoritario certamente molto diverso dal sistema che i componenti dell'Assemblea Costituente di allora volevano riprodurre successivamente. Una Carta costituzionale che, come noto a tutti quelli che hanno seguito un banale corso di diritto costituzionale, è certamente stata frutto di un compromesso a vari livelli che, per alcuni versi, ha poi garantito una certa stabilità delle istituzioni nei decenni successivi, pur nelle temperie più diverse dell'avvicendarsi della storia, ma che ha anche costituito motivo (per certi versi ancora lo costituisce) di blindatura, di ingessatura, con l'impossibilità di completare quel processo di transizione di cui pure tanto si è parlato questa mattina e ieri in quest'Aula. Mi riferisco al mancato compimento di una riforma complessiva che consentisse il definitivo passaggio ad un'altra forma di governo, ad un altro sistema, ad un meccanismo complessivo di organizzazione dello Stato e degli organi costituzionali più consono ai tempi attuali, più moderno, più conforme a quelli della stragrande maggioranza dei Paesi occidentali ed europei e, comunque, più adeguato alla diversa sensibilità che pure nel corpo elettorale è maturata, non soltanto a seguito di fatti epocali a cominciare dal crollo del muro di Berlino e dalla fine della situazione geopolitica fondata sulla contrapposizione dei blocchi.
Pertanto questa esigenza, questa necessità, questa sensibilità è stata, e continua ad essere, molto avvertita da tutti i fronti. Mi è parso di capire che gli unici pretoriani, gendarmi difensori della Carta costituzionale del 1948, integerrimi sostenitori della non necessità di modifiche e, addirittura, della pericolosità di alcune delle proposte che sono state avanzate (anche in settori della maggioranza da forze politiche molto vicine a quelle di coloro che, solitari, sostengono questa tesi), siano rimasti gli esponenti del Partito dei comunisti italiani.
Ho sentito, all'inizio di questo dibattito, l'onorevole Licandro sostenere che in quest'aula si erano dette, a suo dire, molte sciocchezze in ordine alle riforme costituzionali, nel corso del dibattito in sede di discussione sulle linee generali. Non vorrei utilizzare gli stessi termini da lui adoperati, in maniera irriguardosa nei confronti dei colleghi, ma mi sembra che viceversa di assurdità e di tesi per lo meno peregrine e del tutto infondate fosse pieno il suo intervento. In particolare, quando si è scagliato contro la riforma costituzionale approvata nella scorsa legislatura dalla Casa delle libertà, ha parlato di attentati, di pericoli per la democrazia e di tutta un'altra serie di nefandezze di tal genere. Si tratta di una posizione che, come giustamente ricordava la collega Santelli poco fa, in qualche modo fa il paio con quella del campione della difesa integerrima della Carta costituzionale del 1948, forse anche perché rappresenta uno degli esponenti che quella Carta votarono: il Presidente emerito della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, che ha percorso in lungo e in largo il Paese alcuni mesi fa, nonostante l'età suggerisse più miti consigli, per capitanare i comitati per la difesa della Carta costituzionale del 1948.
Ebbene, ciò nonostante, la maggioranza attuale del Parlamento - una maggioranza che sostiene il Governo Prodi ormai agonizzante - ha ritenuto, attraverso l'iniziativa di alcuni suoi esponenti certamente lungimiranti, di riproporre questo tema, di riproporlo anche nella situazione attuale, forse cominciando da tempi meno grami per la maggioranza e per il Governo, ma certamente in una congiuntura non molto favorevole. Questo provvedimento ci consente di evidenziare che molte delle norme che erano contenute nel progetto di legge costituzionale approvato nella scorsa legislatura non erano poi così devastanti ePag. 60non costituivano per nulla attentati alla Costituzione, e che la necessità di queste riforme costituzionali continua ad essere avvertita anche, come non potrebbe essere diversamente, da molte delle forze del centrosinistra.
Certo, discuterne ora appare, come si diceva all'inizio di questo intervento, piuttosto singolare. Ma dobbiamo evidenziare anche le ragioni della posizione di Alleanza Nazionale che nei lavori della Commissione ha portato il suo contributo, non soltanto attraverso l'opera del collega onorevole Bocchino, relatore del provvedimento insieme all'altra eccellente relatrice onorevole Amici, ma con la convinzione che quando si discute, quando ci si confronta, ciò non può mai essere di per sé negativo (anche se siamo certi che questo nostro dibattito non si concluderà con l'entrata in vigore effettiva di queste o delle modifiche costituzionali che alla fine dell'iter saranno delineate).
Dunque, sottolineo che, in ogni caso, vi è l'opportunità di discutere e di confrontarsi perché, come ha affermato nell'intervento conclusivo svolto in sede di I Commissione il presidente, l'onorevole Violante, a cui si deve la gran parte dell'iniziativa del dibattito e del confronto odierno, seppure non si riuscirà ad arrivare a delle effettive modifiche, ciò potrà costituire un'ottima base per il confronto successivo che, per le ragioni indicate nella prima parte del mio intervento, sicuramente non si esaurirà, atteso che l'esigenza di una riforma è continuamente avvertita e lo sarà ancor di più proprio in conseguenza dell'esito conclusivo negativo dell'attuale legislatura. Proprio per questo, è in relazione al confronto sui punti di merito che i componenti della I Commissione e gli altri esponenti di Alleanza Nazionale si sono già espressi manifestando le loro posizioni anche attraverso l'opera emendativa, o costruttiva (che dir si voglia), del testo unificato sottoposto all'esame dell'Assemblea.
Molte delle soluzioni sono emerse da un confronto sul quale si è registrato il voto favorevole di quasi tutte le forze politiche della maggioranza di sinistra (con l'unica eccezione, che ho ricordato prima, del partito dei Comunisti Italiani che, mi pare, non ha partecipato al voto), e l'astensione di tutti i gruppi della Casa delle libertà per le diverse ragioni indicate da molti colleghi già intervenuti, ma che, per quanto riguarda Alleanza Nazionale, non costituiscono un ostacolo alla prosecuzione del cammino, pur nella consapevolezza che esso è destinato a proseguire in tempi diversi e nelle successive legislature.
Alcune delle soluzioni contenute nel testo proposto all'esame dell'Assemblea non ci convincono in alcun modo; anzi, insisteremo attraverso la presentazione di opportuni emendamenti affinché vengano adottate altre soluzioni, a cominciare, ad esempio, da quelle riferite al meccanismo di elezione del Senato della Repubblica, sulla cui definizione: «Senato federale della Repubblica», non abbiamo nulla da obiettare perché in tal modo era definito anche dalla riforma approvata nella scorsa legislatura.
Questa mattina qualche illustre esponente della Camera ha svolto delle considerazioni critiche, anche di natura nominalistica, riguardo al fatto che un Senato federale potrebbe esistere soltanto in una Repubblica federale, mentre quella italiana non sarebbe individuata e definita come tale nel progetto di modifiche costituzionali in esame. Non condividiamo tale posizione innanzitutto perché non è stabilito da nessuna parte che questa sia una Repubblica federale né, quindi, che il Senato sia il Senato della Repubblica federale; in secondo luogo perché le stesse indicazioni e gli esempi addotti dall'onorevole Cirino Pomicino leggendo la definizione di Stato federale della Enciclopedia Treccani, pur condivisibili dal punto di vista generale, dottrinario e, per certi versi, di scuola, riguardano anche alcuni Stati federali, tra i quali la Germania, che certamente non possono di per sé corrispondere a quel modello che sarebbe determinato dalla successiva aggregazione di Stati precedentemente indipendenti che poi si sono confederati. Non è così per laPag. 61Germania, lo può essere molto parzialmente per la Confederazione elvetica, lo è stato certamente per gli Stati Uniti d'America.
Tuttavia, in ambito di riforme costituzionali riteniamo che non ci si debba limitare alle disquisizioni di natura nominalistica. Se, come era già previsto nella riforma approvata dalla Casa delle Libertà nella scorsa legislatura, sono attribuiti poteri diversi agli organi dello Stato e, in particolare, al nuovo Senato, facendo cessare la ormai antistorica forma del bicameralismo perfetto, ben si può individuare nel termine federale il meccanismo di maggiore attribuzione dei poteri, da una parte, alle regioni e, dall'altra, al Senato in ordine ad alcune materie legislative specifiche.
Eventualmente, se proprio si vuole disquisire in termini nominali, credo che l'accento debba esser posto sul termine federale, che deriva dal latino foedus che di per sé significa patto. Quindi, è sul patto - quale che sia, in particolare quello previsto dalla Carta costituzionale tra soggetti diversi che possono, in questo caso, essere anche le regioni ovvero, piuttosto, le forme diversificate di autonomia e di enti territoriali - previsto dalla Carta costituzionale che si fonda e si può fondare il federalismo, anche in una forma che di per sé potrebbe essere innovativa e che, viva Iddio, può ben derivare da un processo di modifica costituzionale italiano e, quindi, essere successivamente indicato nei nuovi aggiornamenti della Enciclopedia Treccani, anche come una forma parzialmente nuova di federalismo e di struttura federale. Un federalismo che, quindi, potrebbe fondarsi non sulla definizione di poteri diversificati del Senato federale della Repubblica - aspetto su cui maggiormente vertono le nostre perplessità e su cui intendiamo, quindi, impegnarci (come già abbiamo fatto insieme agli altri colleghi in sede di Commissione affari costituzionali) per apportare miglioramenti anche in sede di esame in Assemblea - bensì, ad esempio, sul meccanismo di elezione e di composizione del Senato federale della Repubblica, che costituirà oggetto della discussione sull'articolo 3.
In ordine a tale aspetto, come più volte abbiamo sostenuto con gli altri colleghi di Alleanza Nazionale - per la verità non solitariamente nell'ambito della Commissione affari costituzionali - bisogna tornare ad un'elezione non indiretta, bensì diretta da parte dei cittadini, con la caratterizzazione, però, di una maggiore attinenza al territorio (ovvero alle regioni), con un meccanismo di formazione certamente diverso da quello della Camera dei deputati e, ancor più, con competenze del Senato federale della Repubblica diverse, attinenti maggiormente ai rapporti tra gli enti territoriali che divengono ancor più complessi in base a materie che dovranno essere riviste, come già sappiamo, nell'ambito del famoso o famigerato articolo 117 della Costituzione.
Tale articolo non è trattato in questo ambito per una decisione concordata tra i componenti della Commissione affari costituzionali, ma dovrà, comunque, come già previsto, essere affrontato separatamente, perché non vi è dubbio che le materie riferite alla formazione e alla composizione del Senato - o di qualunque altro organo costituzionale - non possono essere scisse e, anzi, sono solitamente intersecate e strettamente connesse con quelle riferite alle funzioni, alle competenze e segnatamente, in questo caso, alla competenza legislativa precipua del nuovo Senato federale della Repubblica.
Sono largamente insufficienti nel testo in esame le parti relative al meccanismo di attribuzione della fiducia e alla cosiddetta mozione di sfiducia costruttiva, questione largamente dibattuta in Commissione e che, alla fine, si è deciso di rimettere direttamente all'Assemblea, vista la complessità e la diversità di posizioni manifestate.
Su tale aspetto, certamente, dovremmo insistere nel dibattito presso i due rami del Parlamento.
Non vi è dubbio, tuttavia, che Alleanza Nazionale, per la sua impostazione tradizionalmente ispirata a un modello presidenziale, non possa che guardare conPag. 62favore a tutte le modifiche che tendono - come quelle introdotte dalla riforma costituzionale approvata dalla Casa delle libertà - a rafforzare e distinguere i poteri dell'Esecutivo (che, peraltro, sono attribuiti, seppure in misura inferiore a ciò che avevamo previsto, al Presidente del Consiglio dei Ministri), ma, certamente - questa è una preoccupazione specifica di Alleanza Nazionale - a preservare il bipolarismo: si tratta di quelle che sono state definite, un po' giornalisticamente, «norme antiribaltone», che non potranno che essere discusse in Aula se si cercherà un consenso ampio, che coinvolga Alleanza Nazionale e la destra, nella composizione politica dei diversi gruppi. Riteniamo che molte altre parti siano state gradualmente migliorate dal dibattito in Commissione, ma che ancora dovranno essere migliorate, nel corso del dibattito in Aula e in occasione della votazione delle proposte emendative. È evidente, ad esempio, che potranno trovare cittadinanza anche nuovi meccanismi riferiti all'iter legislativo - sul quale pure si è molto dibattuto - più aderenti alle necessità di speditezza dei lavori parlamentari, in particolare della Camera dei deputati, la quale, inoltre, potrà avere, come il Senato, una riduzione dei suoi componenti: norma, questa, largamente condivisa (anche se forse è la più «demagogica»), ma che, in qualche modo, ha costituito una ripetizione di quanto già previsto nell'ampia riforma costituzionale che questo ramo del Parlamento aveva approvato, ma non è stata poi suffragata dal consenso nel referendum confermativo.
Con la volontà di non ostacolare e di partecipare, ma nella consapevolezza che questo processo, quasi certamente, proseguirà nelle legislature successive, ci apprestiamo a continuare quest'opera. Dal momento che si tratta di discussioni finalmente serie e di un confronto su temi che in ogni caso saranno utili per lo svolgimento delle vicende politiche successive della nostra patria, Alleanza Nazionale affronterà con serenità il dibattito e la discussione sulle proposte emendative presentate, non facendo mancare il suo apporto in termini propositivi (come è avvenuto in Commissione affari costituzionali), riconoscendo che l'impegno è stato proficuo da parte di tutti. Ancora una volta, ringrazio sia i relatori, gli onorevoli Bocchino e Amici, sia il presidente della Commissione, l'onorevole Violante, che ha consentito di predisporre un testo per la discussione: in ogni caso, come affermavo in precedenza, il confronto e il dialogo, non la ricerca dell'unanimismo (che non deve di per sé costituire un Moloc al quale riferirsi sempre e che, tra l'altro, in questa materia sarebbe assolutamente impossibile raggiungere) costituiscono piccoli passi avanti che riteniamo saranno utili, quali che siano gli sviluppi delle vicende (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Segnalo che, per dare ordine ai lavori dell'Assemblea, di intesa con i gruppi, la Presidenza interromperà i lavori intorno alle 20.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, è quanto mai significativo il modo in cui la proposta di legge costituzionale in discussione è stata inserita nell'agenda della politica del Parlamento, ma anche dell'informazione. La generalità dei cittadini italiani non è stata informata sui contenuti, peraltro discutibili (di alcuni dei quali parleremo brevemente), del provvedimento in esame, né sulle forme, ancora più discutibili, con le quali la maggioranza ha inteso accelerarne l'elaborazione in Commissione. Quanto i cittadini, invece, hanno saputo - e la maggioranza ha provveduto a sbandierare ai quattro venti - è stato che, a fronte di un'ampia convergenza bipartisan, il gruppo di Forza Italia impediva la riduzione del numero dei parlamentari e imponeva lo stop a un processo di riforma utile e necessario, richiesto a gran voce dall'opinione pubblica.
Che l'atteggiamento del gruppo Forza Italia avesse una motivazione - come tutte - discutibile, ma certo non riassumibile inPag. 63quei termini caricaturali e contrari alla verità dei fatti, come vedremo, poco importa, così come poco importa che, in realtà, la richiesta di Forza Italia fosse quella di riflettere, prima di avviare un procedimento di riforma costituzionale, e di operare una verifica della tenuta del quadro politico ed istituzionale (tenuta che è ormai affidata alla «guerra per bande» a cui continuiamo ad assistere e a cui abbiamo assistito anche oggi, all'interno del Governo). Iniziare una stagione di riforme istituzionali al termine di una stagione politica, anziché all'inizio, per dissimularne o ritardarne la definitiva conclusione, non è solo inutile, ma dannoso per la vita delle istituzioni; allo stesso modo, è fondamentalmente disonesto, dal punto di vista intellettuale, agitare il problema della riforma elettorale, con il duplice fine di ritardare lo scioglimento delle Camere (che sono la conseguenza necessaria della conflagrazione dell'Unione) e di sabotare l'assetto bipolare del nostro sistema politico, pur di impedire al leader dell'opposizione di tornare a Palazzo Chigi, con un'investitura politicamente diretta ed istituzionalmente indiscutibile.
Trovo francamente ridicolo discutere oggi di una riforma costituzionale, che comporta o comporterebbe mesi di impegno parlamentare, quando non sappiamo se il Governo arriverà a «passare la nottata». Ancora più ridicolo è che il Governo tenti di accreditare la tesi che una parte delle sue difficoltà dipendano dall'attuale legge elettorale, approvata al termine della scorsa legislatura, sapendo benissimo che grazie a tale legge elettorale il centrosinistra, pur in presenza di un «pareggio» alle elezioni, dispone, almeno in un ramo del Parlamento, (non a caso, il ramo del Parlamento da cui avete voluto avviare l'esame della riforma costituzionale), di una grande maggioranza; ed è ridicolo - è stato sostenuto da molti colleghi, ma voglio ripeterlo anch'io - che si arrivi alla presente discussione poco più di un anno dopo che il centrosinistra ha scelto la via di chiamare gli elettori a bocciare la riforma costituzionale del centrodestra, che era un'eccellente riforma costituzionale, per quanto riguarda le principali modifiche che introduceva e che oggi, con il testo sottoposto alla nostra attenzione, si cerca in qualche modo di riprodurre, con molta meno ambizione, con molta meno forza e con obiettivi molto più limitati.
Credo che la misura della credibilità di una classe dirigente e di una classe politica non possa che essere un elemento centrale, nel momento in cui si avvia o si vuole avviare una stagione di riforme costituzionali e credo che la misura della classe dirigente del centrosinistra, a partire dal Presidente del Consiglio Romano Prodi, sia proprio nella miopia dimostrata poco più di un anno fa: non ero parlamentare e non avevo partecipato ai lavori per la stesura della riforma costituzionale, ma ho partecipato alla campagna referendaria e in quell'occasione si è misurata la miopia di una classe dirigente che, forse cercando una patetica rivincita nei confronti di un risultato elettorale deludente, ha scelto la bocciatura di una riforma costituzionale che ci avrebbe posto tutti, oggi, in condizioni completamente diverse. Credo che questa credibilità, scarsa o nulla, sia il macigno più grave che pesa sull'attuale tentativo di riprodurre, rincorrendoli in qualche modo, alcuni principi che erano stati affermati dalla precedente riforma costituzionale.
Avete scelto di seguire Prodi nel suo livoroso tentativo di dare, in qualche modo, una lezione postuma a Berlusconi e al centrodestra, bocciando la riforma costituzionale che prevedeva la fine del bicameralismo perfetto, il rafforzamento serio dei poteri del Premier, la revisione del Titolo V elusa in questo testo e la riduzione del numero dei parlamentari non solo proforma, al contrario di quanto sta avvenendo oggi. Si trattava delle norme scritte di una legge grazie alle quali oggi saremmo stati in grado di discutere su come anticipare alcuni aspetti della riforma o di come modificarne altri che andavano appunto modificati, ma il tutto sarebbe avvenuto al riparo dell'affermazione definitiva di quei principi, ossia la fine del bicameralismo perfetto, la diminuzione del numero dei parlamentari, ilPag. 64rafforzamento dei poteri del Premier. Tutto ciò, cari colleghi, pesa sulla credibilità di questo tentativo e non è che si può - me ne rendo conto - pensare che la partita sia chiusa. Al di là del tentativo grossolano e propagandistico di affermare che Forza Italia ha votato contro la diminuzione del numero dei parlamentari, sapendo benissimo che è una argomentazione risibile dal punto di vista politico e fattuale, tentare di ripresentare ciò che si è distrutto un anno e mezzo fa significa pensare che l'opinione pubblica non abbia alcuna attenzione a ciò che davvero succede e quando il tentativo fallirà verrete misurati su tale aspetto. Nelle ricordate condizioni avete cominciato a pensare di riformare la Costituzione da soli, senza metabolizzare, elaborare, spiegare perché un anno e mezzo fa avete detto «no» alla riforma con toni da crociata, salvo poi tornare oggi esattamente sugli stessi elementi, e per molti aspetti in maniera peggiore.
Gli onorevoli Bruno e Brancher hanno già ampiamente spiegato le ragioni che portano a giudicare inadeguato e insufficiente il merito della proposta giunta all'attenzione della Camera. Avete usato lo «specchietto» del numero dei parlamentari per cercare di «vendere» propagandisticamente la posizione di Forza Italia, ma sapete benissimo che la nostra posizione è motivata oltre che dal merito politico, dalla credibilità politica e dai tempi politici con cui volete far decollare questo tentativo - che parte con la zavorra e che non decollerà mai -, dal fatto che esistono lacune enormi nel merito. Se si fosse pensato di provare a riprendere il cammino delle riforme costituzionali non frettolosamente, ma cercando magari di trovare una possibile coesione, non mirando ad altri obiettivi e usando strumentalmente questo provvedimento per altri fini politici che non c'entrano nulla con l'obiettivo finale, si sarebbe potuti arrivare all'elaborazione di un testo sul quale le convergenze sarebbero potute essere effettive.
Partendo dall'articolo 1, che riguarda la questione del federalismo e del Senato federale - l'ho affermato e lo ribadisco - ritengo che pensare che sia ciò che serve oggi in Italia per qualche ulteriore passo avanti nella direzione di un più compiuto ed efficiente federalismo rappresenta chiaramente - e sfido chiunque di voi a sostenere il contrario - un errore. Mi spiace inoltre che il collega Bressa abbia parlato di una sciagurata riforma del centrodestra, considerato che poi ne segue, in alcune parti fondamentali, le indicazioni. Dobbiamo dire che la ricordata riforma, introducendo il Senato federale, metteva mano al fondamento di un Paese federale, ovvero alla distribuzione dei poteri tra Stato centrale e regioni.
Pensate che questo Titolo V, mi riferisco a quello «sgangherato» - poi leggerò la definizione, perché deve essere letta, del costituzionalista Barbera su questo aspetto - possa essere mantenuto, nel momento in cui si mette mano ad una revisione della Costituzione e si definisce un Senato federale? Credo che tutto ciò, di per sé, già rappresenti un vulnus che impedisce di sostenere, al di là dello «specchietto per le allodole» della diminuzione del numero dei parlamentari, il testo in esame, così come voi lo avete presentato. Avete sostenuto che il Titolo V, così come riformato dal centrodestra, avrebbe spezzato l'unità del Paese, avrebbe seguito le derive secessioniste della Lega Nord, avrebbe distrutto l'impianto unitario solidaristico della Repubblica italiano e altre amenità di questo tipo. Al riguardo, cito il giudizio del costituzionalista Augusto Barbera che affermava testualmente, scrivendo sul Sole 24 ore: «Il testo della CDL, anche se è spesso contorto e farraginoso, è attento alle esigenze unitarie e si muove nella prospettiva di un regionalismo forte, adeguato alla realtà italiana. È paradossale, ma bisogna riconoscere che è toccato ad un Ministro leghista come Roberto Calderoli rimediare ai pericoli per l'unità nazionale del federalismo sgangherato del Titolo V dell'Ulivo, di cui tra l'altro nel centrosinistra si fa a gara per disconoscere la paternità. Con il recupero dell'interesse nazionale, l'introduzione dellaPag. 65clausola di supremazia, la riattribuzione della competenza statale in materie come trasporti ed energia, si sono salvaguardate le esigenze unitarie». È chiaro allora che quel Titolo V rappresentava un punto di equilibrio decisamente più avanzato da tutti i punti di vista, da quello di chi spinge per una accelerazione nella chiave federale, e da quello di chi ragionevolmente non pensa che tale possa essere la via per distruggere l'unità nazionale.
Voi non solo non avete recepito, come forse sarebbe stato serio recepire, questo punto di equilibrio che superava il Titolo V sgangherato, ma inoltre, proprio sul tema, scivolate via, e ciò rappresenta un fattore dirimente, nonché uno degli elementi che ci fa tornare alla questione del referendum e alla scarsa credibilità politica che oggi presenta questo vostro tentativo. Potremmo poi discutere sul fatto che al federalismo italiano non manchi tanto il ruolo del Senato federale, quanto molti altri aspetti, anche per quanto riguarda l'articolazione di competenze all'interno, ad esempio delle stesse Regioni, nonché l'articolazione di poteri e di competenze nell'ambito delle realtà locali infraregionali. Invece sembra che l'unico aspetto che manchi ad un assetto federale italiano difendibile sia il Senato federale, peraltro con un sistema di nomine che a breve analizzerò.
Credo che ciò rappresenti un elemento centrale perché se l'articolo 1 - considerato che peraltro stiamo formalmente discutendo di ciò - stabilisce semplicemente che il Senato è federale, significa che voi non avete avuto la forza e l'intelligenza di tornare sugli errori del passato e non avete avuto il coraggio e l'onestà intellettuale di riprendere, così come era, il testo della riforma varata dal centrodestra che era stato licenziato da questa Camera, e che quindi pensate che l'unico elemento necessario - il minimo comune denominatore per accelerare in questo modo compulsivo i tempi per la revisione costituzionale - sia apporre l'etichetta di «Senato federale». Peraltro ciò avviene stabilendo meccanismi di nomina assolutamente discutibili. La previsione della proposta di legge in esame, secondo la quale i membri del Senato sono nominati dai consigli regionali (si tratterebbe di una nomina di secondo grado o addirittura di terzo grado) e dai consigli delle autonomie locali, è chiaramente una disposizione senza alcuna chance di essere approvata al Senato, a meno che non si tenga conto della realtà e dei dati politici e non si pensi che i senatori intendano suicidarsi in massa, attraverso una riforma che sostanzialmente non consentirebbe ad alcun membro di quel ramo del Parlamento di essere rinominato (non rieletto, bensì non più rinominato senatore) la volta successiva. Ritengo infatti che, a meno che dietro tale previsione non vi sia qualche furbizia tattica per «alzare l'asticella» e contrattare poi con i senatori qualche clausola diversa, sia chiaro che tale sistema di per sé costituisce un ulteriore elemento di vulnerabilità di tutto questo quadro posticcio.
Tuttavia, nel momento in cui si scegliesse di non eleggere i senatori - a differenza della scelta operata dalla Casa delle libertà che preferì la modalità di un'elezione contestuale a quella regionale per far convergere le due rappresentanze - stabilendo per loro una nomina di secondo grado da parte delle entità regionali, sarebbe meglio seguire in toto il modello tedesco prevedendo che i membri del Senato federale non siano espressione dei consigli, ma dei governi. In Germania, infatti, i membri del Senato tedesco sono nominati con vincolo di mandato dai governi, dai länder e non dalle assemblee legislative dei länder stessi.
È un dato di razionalità: il centrodestra aveva scelto una via diversa. Se, invece, si sceglie questa strada è necessario che abbia una sua capacità di tenuta, una sua razionalità. Pertanto, se gli interlocutori devono essere le regioni, il potere di nomina deve essere direttamente assegnato ai governi regionali e non alle assemblee elettive, perché è con i governi regionali che si trattano le questioni e si possono definire i problemi.Pag. 66
Il secondo punto di cui volevo trattare è la questione dei poteri del Premier. Anche su tale tema manca l'elemento vero: la nomina o revoca dei ministri è di fatto un orpello che non ha molto significato. Oggi la revoca dei ministri è resa impraticabile, come stiamo sperimentando, da ragioni politiche e non da ragioni formali e dall'impossibilità di proporre la revoca.
In questo quadro, manca totalmente qualsiasi riferimento ai poteri di scioglimento, che anche alla luce dell'esperienza di questi giorni - non dico di questi anni, ma di questi giorni - costituirebbero l'unico vero mezzo di rafforzamento del Premier e di stabilizzazione dell'Esecutivo, nell'ambito di una democrazia che resta parlamentare. Tali poteri di scioglimento sono adottati con varie formule in tutte le repubbliche parlamentari che vogliano sfuggire al rischio dell'assemblearismo, rimanendo repubbliche parlamentari.
Manca nel nostro caso il potere di scioglimento della Camera che è un potere che rafforza il Premier, stabilizza gli esecutivi e che può essere declinato: a tal proposito, vorrei ricordare due proposte di legge, una dell'onorevole Tonini e una dell'onorevole Malan nella scorsa legislatura al Senato, che si ispiravano al modello svedese.
Il potere di scioglimento rafforza il Premier e ci può avvicinare a quanto succede nella prassi della democrazia del Regno Unito dove il Premier è titolare del potere di scioglimento, ma lo esercita quando sa che lui sarà il successivo candidato. Quindi, esercita tale potere - come nel caso di questa situazione politica del centrosinistra - sapendo di potersi presentare agli elettori e riottenere il mandato, escludendo una parte della sua maggioranza che gli sta facendo la fronda.
Questo è il senso che si poteva dare alla riforma in esame, introducendo tale elemento centrale; ma ne tratteremo se questa discussione dovesse proseguire.
Nel merito si potevano prevedere poteri di scioglimento veri in capo al Premier - con un meccanismo come quello svedese con elementi di salvaguardia - tali da consentire veramente il rafforzamento dell'Esecutivo.
Del resto - e concludo - che il potere di scioglimento, anche a Costituzione vigente, sia in modo così sacrale - come ormai è nella prassi politica da una parte e dall'altra - nelle mani del Presidente della Repubblica è elemento su cui discutere. Ho con me alcune fotocopie di grandi quotidiani - come il Corriere della Sera o l'Unità - del 1953. Il Corriere della sera il 2 aprile del 1953 titolava: «Imminente decisione del Governo sull'eventuale scioglimento del Senato»: vi era il problema di rendere simmetrico lo scioglimento delle Camere. L'Unità riportava nei titoli: «Il Governo è deciso a sciogliere il Senato». L'interpretazione iniziale era, in altre parole, che fosse il Governo ad essere titolare dei poteri di scioglimento e che al Capo dello Stato spettasse un compito di verifica formale. Sappiamo che, invece, la situazione è arrivata al punto in cui siamo oggi, in cui nessun potere di scioglimento fa capo all'Esecutivo. Si tratta - lo ripeto e, se la discussione dovesse continuare, ci torneremo - di un altro elemento centrale.
Anche prescindendo dal metodo - e concludo - con un'analisi nel merito (di quel poco che c'è e di quel troppo che non c'è), non resta che fotografare un tentativo goffo di accelerare strumentalmente un percorso di revisione della Costituzione e di avviarlo in modo altrettanto strumentale: che tale tentativo sia strumentale è chiaro anche dalla lettura di quanto scritto. Se questo fosse davvero il testo di revisione costituzionale su cui la maggioranza dell'Unione chiamasse tutto il Parlamento a discutere, ritenendo che queste (e solo queste poste in tale modo) e non altre fossero le modifiche necessarie alla Costituzione italiana, ritengo che noi tutti faremmo torto all'intelligenza di coloro che nell'Unione si occupano di tali argomenti (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Murgia. Ne ha facoltà.
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BRUNO MURGIA. Signor Presidente, in pochi minuti cercherò di esporre ciò che penso, per consentire eventualmente anche ad un altro collega di intervenire. Ritengo, tra l'altro, che questo intervento non passerà alla storia, data la scarsa presenza dei deputati in aula; inoltre, è stata una giornata stranissima e assurda, con un Governo che non riesce nemmeno ad andare in crisi, con una serie di riforme che oggi sono al nostro esame e che, seppure confusamente, erano già state proposte da una maggioranza - la nostra - cioè quella del centrodestra, e che, poi, un referendum assolutamente demagogico ha «falciato» dietro istigazione delle forze del centrosinistra. Chi ieri, dunque, ha bocciato tali contenuti, li ripropone oggi quasi uguali e dà vita ad una specie di ballo incomprensibile. Oggi discutiamo di modificare il Senato della Repubblica in Senato federale, di modificarne le modalità di elezione, portandolo da un'elezione a suffragio universale diretto di primo grado ad una di secondo grado, affidata alle autonomie locali e ai consigli regionali. Si tratta di una norma assai discutibile, su cui ci asterremo. Il concetto, tuttavia, è che queste norme, in realtà, appaiono un po' copiate dalla precedente riforma del centrodestra.
Qualcosa, quindi, non quadra nella proposta avanzata ed è anche difficile spiegare all'opinione pubblica che questo lavoro, sicuramente, non approderà quasi a nulla. Non credo che ci saranno colleghi che mi vorranno smentire, perché non ci sono i tempi, non mi sembra vi sia l'animo né la vis costruttiva per affrontare una doppia lettura da parte di entrambi i rami del Parlamento, approvare una riforma e renderla produttiva di effetti. Queste sono le classiche questioni che alimentano l'antipolitica, che fanno in modo che un comico sia addirittura in grado di dettare l'agenda politica nazionale. Ovviamente, il Parlamento deve trovarsi nelle condizioni politiche di essere operativo e deve meritarsi il rispetto - che oggi forse gli manca - che è sacrosanto che gli venga accordato dalla Nazione. Dobbiamo, pertanto, affrontare discussioni efficaci, forse anche meno noiose di quella avvenuta oggi in quest'aula, operare su riforme possibili, coscienti che vi è una grave crisi politica e istituzionale, mentre il Presidente del Consiglio si abbandona ad un incredibile silenzio. Vorrei citare il Santo Padre che, appellandosi ai laici non credenti, ha chiesto loro di agire come se credessero.
Mi adeguo a questa lectio e intervengo sul provvedimento in discussione come se fosse vero e possibile che, alla fine, la discussione possa consentire di pervenire ad una riforma costituzionale, cosa che ovviamente non avverrà. Il bicameralismo perfetto è insostenibile. Lo abbiamo affermato più volte: non è utile, ovviamente sono cambiate le condizioni che spinsero i padri costituenti a costruire e promulgare la nostra Costituzione, le cose sono diverse e cambiate. Ciò che emerge è soprattutto la richiesta - lo affermano in particolare i ceti produttivi - di una società che si muove nell'ambito della nazione, di celerità e modificabilità delle decisioni: decidere in fretta e con efficacia. Si tratta di esigenze di modernità alle quali non possiamo contrapporre questo sistema lento e costruito su perdite di tempo, «rimasticazioni» e «palleggi» di decisioni già assunte. Non c'è dubbio che, però, il sistema democratico italiano debba orientarsi e avere la propria sovranità, soprattutto in Parlamento.
Si tratta, quindi di una sola Camera, eletta direttamente dai cittadini a suffragio universale e diretto e composta da un giusto numero di rappresentanti popolari. Sono personalmente favorevole alla diminuzione dei parlamentari, ma non ne farei un cavallo di battaglia, quasi per assecondare gli umori del cosiddetto popolo. Ovviamente, dobbiamo anche cercare di non assecondare il pericolo centrifuga regionalista e questa specie di doppia direzione che viene a prefigurarsi e che vede, da un lato le regioni e le autonomie locali - che hanno già molti poteri -, dall'altro uno Stato centrale che in realtà potrebbe sembrare sordo alle esigenze del Governo.
L'idea del centrodestra, che oggi ripeto, in maniera confusa, viene avanzataPag. 68dal centrosinistra è quella di una sola Camera e di un'altra Camera di compensazione che debba coordinare le politiche delle autonomie e delle regioni. Occorre, quindi, sveltire il processo decisionale mediante una sola Camera e far fare altro alle regioni e alle autonomie locali. Particolare attenzione dovrà essere ovviamente dedicata alla modalità di elezione del Senato federale, che non può rischiare, comunque, di diventare un organismo a parte rispetto alla Camera dei deputati o al Governo stesso, ma deve essere eletto in modo da rispettare l'autonomia dei consigli regionali e la centralità delle autonomie locali. Ovviamente, la funzione legislativa rimane sempre affidata alle due Camere per materie di particolare delicatezza ed importanza, quali interventi in materia costituzionale, elettorale e di libertà fondamentali e civili. Condivido ovviamente, le norme che riguardano il seppur tardivo adeguamento dell'età per l'elettorato passivo al Senato, precluso - come è noto - a coloro che sono più giovani ed ai quali ora si conferisce il diritto di elettorato passivo e attivo. Inoltre, vorrei spiegare rapidamente la nostra astensione, rivolgendomi anche ai bellicosi tra i nostri amici che hanno condiviso l'esperienza dello scorso Governo e con i quali speriamo presto di condividerla ancora.
Abbiamo alcune ragioni di cultura politica cui non vogliamo rinunciare e non ci pare sia certo in discussione la ferma contrarietà a questo Governo del disastro, come non può esser oggetto di dubbio la nostra vocazione alla dura lotta politica. I provvedimenti che si condividono almeno in parte vanno esaminati nella giusta luce, tanto più se vanno nella direzione comunque di cambiare, di riformare e di togliere quella cappa di polvere che hanno sopra. È già emerso nella discussione che la formulazione del Senato federale che scaturisce dal testo non è chiara e non è adeguata a creare un vincolo forte tra le autonomie regionali, mentre l'interesse nazionale non appare precisato e chiaro. Siamo - come ho detto in precedenza - favorevoli, senza essere troppo spinti, alla riduzione del numero dei parlamentari.
Non diremo «sì», quindi, per consentire a questo Governo fantasma l'approvazione di una legge fondamentale come la riforma della Costituzione. Ci asterremo: la maggioranza, se rischia ancora, avrà i numeri per approvare la riforma che non sarà legge, ovviamente, in questa incredibile legislatura che, a nostro parere, volge alla fine (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Secondo quanto preannunziato, il seguito dell'esame è rinviato alla seduta di domani.
Proposta di trasferimento a Commissione in sede legislativa di una proposta di legge (ore 19,58).
PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, della seguente proposta di legge, della quale la sotto indicata Commissione permanente, cui era stata assegnata in sede referente, ha chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che propongo alla Camera, a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento:
Alla VII Commissione permanente (Cultura):
LUSETTI ed altri: «Disposizioni concernenti la Società italiana degli autori ed editori » (2221) (La Commissione ha elaborato un nuovo testo).
Annunzio della convocazione del Parlamento in seduta comune.
PRESIDENTE. Ricordo che alle 12 di domani, mercoledì 24 ottobre 2007, è convocato il Parlamento in seduta comunePag. 69per l'elezione di un giudice della Corte costituzionale. La chiama avrà inizio dai deputati.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Mercoledì 24 ottobre 2007, alle 10,40:
(ore 10,40 e ore 17)
1. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale:
SCOTTO; BIANCHI; BOATO; BIANCO; ZACCARIA ed altri; FRANCO RUSSO ed altri; LENZI ed altri; FRANCO RUSSO ed altri; D'ALIA; BOATO; BOATO; CASINI; DI SALVO ed altri; DILIBERTO ed altri: Modificazione di articoli della parte seconda della Costituzione, concernenti forma del Governo, composizione e funzioni del Parlamento nonché limiti di età per l'elettorato attivo e passivo per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (553-1524-2335-2382-2479-2572-2574-2576-2578-2586-2715-2865-3139-3151-A).
- Relatori: Amici e Bocchino.
2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Modernizzazione, efficienza delle Amministrazioni pubbliche e riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese (2161-A);
e delle abbinate proposte di legge: PEDICA ed altri; NICOLA ROSSI ed altri; LA LOGGIA e FERRIGNO (1505-1588-1688).
- Relatore: Giovanelli.
3. - Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge n. 2221.
4. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
FOTI ed altri; IANNUZZI ed altri; IANNUZZI ed altri: Riqualificazione e recupero dei centri storici (550-764-824-A).
- Relatore: Bocci.
5. - Seguito della discussione della proposta di legge:
DELFINO e FORLANI: Differimento del termine di scadenza dell'incarico all'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) per l'attuazione del programma di aiuto alimentare dell'Unione europea in favore dei Paesi in via di sviluppo, di cui all'articolo 3 della legge 29 dicembre 2000, n. 413 (2197-A);
e dell'abbinata proposta di legge: LION e FUNDARÒ (1123).
- Relatore: Forlani.
6. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1800 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo che modifica l'Accordo di partenariato a Cotonou tra i membri del gruppo degli Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall'altro, con allegati, dichiarazioni e Atto finale, firmato a Cotonou il 23 giugno 2000, fatto a Lussemburgo il 25 giugno 2005; dell'Accordo interno tra i rappresentanti dei Governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, che modifica l'Accordo interno del 18 settembre 2000 relativo ai provvedimenti da prendere ed alle procedure da seguire per l'applicazione dell'Accordo di partenariato ACP-CE, fatto a Lussemburgo il 10 aprile 2006; dell'Accordo interno tra i rappresentanti dei Governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, riguardante il finanziamento degli aiuti comunitari forniti nell'ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2008-2013 in applicazione dell'Accordo di partenariato ACP-CE e lo stanziamentoPag. 70degli aiuti finanziari ai paesi e territori d'oltremare ai quali si applica la parte quarta del Trattato CE, fatto a Bruxelles il 17 luglio 2006 (Approvato dal Senato) (3116).
- Relatore: Paoletti Tangheroni.
7. - Seguito della discussione delle mozioni Rigoni ed altri n. 1-00225 e Turco ed altri n. 1-00237 sulla promozione dei diritti umani e della democrazia nel quadro della Convenzione europea per i diritti dell'uomo e delle iniziative del Consiglio d'Europa.
8. - Seguito della discussione delle mozioni Lulli ed altri n. 1-00030, D'Agrò ed altri n. 1-00034 e Pedrizzi ed altri n. 1-00230 sulle iniziative per favorire la «tracciabilità» di prodotti importati.
9. - Seguito della discussione delle mozioni Volontè e D'Agrò n. 1-00174, Rampelli ed altri n. 1-00173, Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00235, Maroni ed altri n. 1-00236 e Sereni ed altri n. 1-00238 sulle iniziative in materia di divieto di importazione di prodotti cinesi in relazione alle condizioni della manodopera impiegata.
(ore 15)
10. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.
PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA
VII Commissione permanente (Cultura):
LUSETTI ed altri: «Disposizioni concernenti la Società italiana degli autori ed editori» (2221) (La Commissione ha elaborato un nuovo testo).
La seduta termina alle 20.