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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 265 di lunedì 14 gennaio 2008
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI
La seduta comincia alle 16.
RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 9 gennaio 2008.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Amato, Aprea, Bersani, Bindi, Boco, Capodicasa, Cento, Chiti, D'Alema, D'Antoni, Damiano, De Castro, De Piccoli, Di Pietro, Di Salvo, Duilio, Fioroni, Folena, Forgione, Galante, Gentiloni Silveri, Giovanardi, Landolfi, Lanzillotta, Levi, Lumia, Mancini, Marcenaro, Maroni, Melandri, Meloni, Minniti, Morrone, Angela Napoli, Leoluca Orlando, Paoletti Tangheroni, Parisi, Pecoraro Scanio, Pellegrino, Pisicchio, Pollastrini, Prodi, Ranieri, Rutelli, Santagata, Sgobio, Siniscalchi, Soro, Tassone, Visco, Elio Vito e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Annunzio di petizioni (ore 16,02).
PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura del sunto delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sotto indicate Commissioni.
RENZO LUSETTI, Segretario, legge:
CARLO e SERGIO TAMBINI, da Gorgonzola (Milano), chiedono modifiche alla legge elettorale per garantire la governabilità del Paese senza penalizzare i piccoli partiti (574) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
EUGENIO GIULIANELLI, da Rimini, chiede l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta per l'accertamento di eventuali illegittimità nelle decisioni assunte dal comune di Rimini in merito alla realizzazione del sistema di trasporto rapido costiero e di altri interventi urbanistici (575) - alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e IX (Trasporti);
ALDO MARIO MARTELLO, da Milano, ed altri cittadini, chiedono la piena applicazione dell'articolo 67 della Costituzione attraverso una netta distinzione tra il ruolo dei partiti politici e quello del Parlamento e che siano istituite la festa della Repubblica e del libero Parlamento, in data 2 giugno, e la festa della democrazia, in data 25 aprile (576) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
GIAMPIERO TOLA, da Monserrato (Cagliari), chiede un incremento dei trattamenti previdenziali previsti per le personePag. 2disabili, da finanziare tramite la tassazione delle rendite bancarie - (577) alla XI Commissione (Lavoro);
DOMENICO SESSA, da Roma, chiede l'approvazione di una norma di interpretazione autentica dell'articolo 3 della legge 29 gennaio 1994, n. 87, in materia di indennità di buonuscita per i pubblici dipendenti cessati dal servizio prima del 30 novembre 1984 - (578) alla XI Commissione (Lavoro);
FRANCO QUINTI, da Firenze, chiede provvedimenti per interrompere e sanzionare gli interventi urbanistici del comune di Firenze che danneggiano i Parchi della rimembranza della prima guerra mondiale (579) - alla VIII Commissione (Ambiente);
PIERLUIGI MARTINEZ, da Collegno (Torino), chiede che tutte le petizioni presentate alla Camera dei deputati vengano rese pubbliche attraverso un apposito spazio nella programmazione della televisione di Stato, al fine di garantire che tutti i cittadini possano partecipare direttamente alle iniziative di democrazia popolare (580) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
MORENO SGARALLINO, da Terracina (Latina), chiede misure per ridurre l'eccessivo costo delle polizze di assicurazione per i neopatentati tra i 18 e i 25 anni e per le aziende che dispongono di un ampio parco macchine (581) - alla VI Commissione (Finanze);
VINCENZO RUGGIERI, da Torino, chiede modifiche alla normativa che disciplina la concessione di pensione privilegiata ai militari a seguito di malattia contratta in servizio o per cause di servizio (582) - alla XI Commissione (Lavoro);
BENITO SCUCCHIA, da Siena, chiede che le regioni si facciano carico del risarcimento dei danni per gli incidenti stradali provocati da animali selvatici (583) - alla IX Commissione (Trasporti);
FRANCESCO FELICIONI, da Foligno, e numerosissimi altri cittadini, chiedono l'equiparazione di trattamento dei terremotati umbri e marchigiani con altri cittadini italiani colpiti in anni diversi da calamità naturali, con particolare riferimento alla restituzione dei tributi sospesi a seguito degli eventi sismici (584) - alla VI Commissione (Finanze).
Discussione del disegno di legge e del documento: S. 1448 - Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2007 (Approvato dal Senato) (A.C. 3062-A); Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Doc. LXXXVII, n. 2) (ore 16,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta del disegno di legge e del documento, già approvato dal Senato: Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2007; Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 19 dicembre 2007.
(Discussione congiunta sulle linee generali - A.C. 3062-A e Doc. LXXXVII, n. 2)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Forza Italia e Partito Democratico-L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Ha facoltà di parlare la relatrice sul disegno di legge comunitaria, presidente della Commissione politiche dell'Unione europea, deputata Bimbi.
FRANCA BIMBI, Relatore sul disegno di legge n. 3062. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor Ministro, la discussione del disegno di legge comunitaria interviene inPag. 3un momento importante, in cui il nostro Paese si trova a dover assumere sempre maggiori responsabilità all'interno di un'Unione che deve far fronte a sfide globali.
Il Trattato firmato a Lisbona possiede in gran parte le qualità istituzionali per governare e implementare l'integrazione di un'Europa a 27 Stati, anche se in esso sembra mancare - come ci ha ricordato il Presidente Napolitano - una chiara visione, già contenuta nel passato progetto costituzionale, della volontà di costruire l'Europa politica, che resta però obiettivo al quale l'Italia non intende rinunciare.
Comunque, con la firma del Trattato di Lisbona si aprono nuovi scenari, sia per il funzionamento complessivo delle istituzioni comunitarie, sia per il loro rapporto con le istituzioni nazionali, a partire dai Parlamenti.
Per quanto riguarda la legge comunitaria, a tre anni dall'entrata in vigore della legge n. 11 del 2005, proprio l'uscita da una fase di prolungata transizione dell'assetto istituzionale dell'Unione determina la necessità di una valutazione compiuta dell'efficacia e della funzionalità dei meccanismi di trasposizione delle normative comunitarie nell'ordinamento nazionale.
A tale proposito, la Commissione che ho l'onore di presiedere ha anche avviato un'indagine conoscitiva, per effettuare una ricognizione dei rapporti tra ordinamento nazionale e comunitario e per valutare l'opportunità di eventuali modifiche della legge n. 11 del 2005 e di adeguamenti nella legislazione nazionale e nei regolamenti parlamentari.
Come sappiamo, vi sono luci ed ombre di cui deve occuparsi la legge comunitaria.
L'elemento non positivo è costituito dai procedimenti di infrazione aperti nei confronti dell'Italia: al 5 novembre 2007 risultavano aperte 223 procedure di infrazione, che però nel maggio 2006 erano 275.
La recente iniziativa della banca dati EUR-Infra da parte del Governo è sicuramente uno strumento che aiuterà a rendere non solo più celere la trasposizione e la risposta alla Commissione europea, ma anche la trasparenza delle informazioni.
Comunque, il tasso di recepimento delle direttive, quest'anno, è pari al 98,44 per cento (nel 1990 era appena dell'80 per cento).
Per quanto riguarda il contenzioso con le istituzioni comunitarie, il settore più toccato dalle procedure riguarda la materia ambientale: sono purtroppo sotto gli occhi dell'opinione pubblica gli effetti anche di una non tempestiva messa in atto delle disposizioni europee, che ci ha portato a trascinare da troppi anni una definizione di «rifiuto» non esclusiva di una regione, difforme da quella adottata da Paesi europei meglio attrezzati sull'argomento.
Risultano inoltre, rispetto all'attuazione delle direttive comunitarie, 22 direttive scadute o in scadenza entro il 2007, che non risultano inserite negli allegati del provvedimento in esame e ci aspettiamo, da tale punto di vista, la presentazione di emendamenti anche da parte del Governo per migliorarne la recezione, in vista del seguito di questa discussione.
L'attuazione delle direttive è piuttosto debole anche da parte delle regioni: in proposito disponiamo solamente dei dati di sette regioni.
Per quanto riguarda i suggerimenti che ci sentiamo di avanzare per migliorare i tempi e i modi del recepimento, ci pare che l'esame della relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea non dovrebbe coincidere con la discussione del provvedimento in esame: infatti, l'esame della relazione dovrebbe essere effettuato autonomamente all'inizio dell'anno, in modo da consentire l'approvazione tempestiva di indirizzi parlamentari.
Credo che dovremmo seriamente anche discutere e valutare l'opportunità di introdurre una sessione comunitaria che assicuri tempi certi, per un esame coerente con i tempi degli obblighi comunitari.
Ricordiamo che le difficoltà di recepimento delle normative comunitarie spesso rappresentano un segnale delle difficoltà di modernizzazione del sistema Paese ePag. 4che lo sviluppo del mercato unico, insieme a quello della piena libertà di movimento delle persone, costituisce uno dei pilastri della logica comunitaria, anche nell'ottica, per noi, dell'implementazione della capacità di prevenire e governare dinamiche complesse come le crisi finanziarie, l'incremento del fabbisogno di energia, i rischi ambientali, la crescita delle diseguaglianze e anche gli incipienti segnali dell'emergere di nuovi processi di discriminazione.
Passando a una sintetica e più puntuale disamina dell'articolato - a tale proposito rinvio comunque al testo scritto - nel capo I (articoli da 1 a 6), troviamo le disposizioni generali sui procedimenti per l'adempimento degli obblighi comunitari. Volendo sottolineare alcuni aspetti importanti, vi è da dire che all'articolo 1, ai fini di un più celere adeguamento della normativa italiana agli obblighi comunitari, si prevede che il termine per l'esercizio della delega debba di norma coincidere con la scadenza del termine del recepimento della direttiva; è, forse, un affaticamento per i lavori parlamentari, ma ci pare un principio di buona amministrazione.
Inoltre, l'articolo 2 detta un criterio di delega volto a prevedere una riassegnazione delle somme derivanti dalle sanzioni di nuova istituzione alle amministrazioni competenti per la loro irrogazione; anche questo è un incentivo alla buona amministrazione.
Infine, l'articolo 5 delega il Governo all'emanazione di testi unici o di codici di settore al fine di coordinare le norme comunitarie con le altre norme legislative vigenti nelle stesse materie.
All'articolo 6 è previsto un sostegno specifico al CIACE per personale altamente qualificato e specializzato nei temi dell'Unione europea.
Tutto ciò ci porta ad affermare l'esigenza di un profondo ripensamento del sistema amministrativo nazionale per l'attuazione del diritto comunitario. Si tratta solo di un piccolo sostegno in una direzione in cui l'implementazione dovrebbe essere molto più ampia.
Nel corso dell'esame in Commissione sono stati recepiti alcuni emendamenti approvati dalla I Commissione che precisano i termini dell'applicabilità alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano della disciplina sul diritto di rivalsa da parte dello Stato e sulla procedura relativa agli aiuti di Stato. Questo recepimento fa parte di un percorso di implementazione del federalismo nel nostro Paese, alla luce del dettato costituzionale, che non è facile ma che riguarda un riconoscimento sempre più ampio delle potestà e delle responsabilità non solo delle regioni e delle province a statuto speciale ma anche di quelle a statuto ordinario e dei poteri locali.
Nel capo II, gli articoli da 7 a 27 contengono, come di consueto, tutte le disposizioni particolari di adempimento (per le quali rimando al testo scritto) e i criteri specifici della delega. Questa è la parte che risponde specificamente sia alle ricezioni delle direttive e delle normative sia alla risposta alle infrazioni.
Un profilo particolarmente innovativo lo troviamo nell'introduzione di un capo III (articoli da 28 a 32) che raccoglie per la prima volta le disposizioni occorrenti per dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di una delega legislativa, alle decisioni quadro adottate nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, il cosiddetto ex terzo pilastro dell'Unione europea. Si tratta, in particolare, di quattro decisioni quadro relative alla lotta contro la corruzione nel settore privato, al riconoscimento e all'esecuzione dei provvedimenti di blocco o sequestro probatorio emessi da un altro Stato membro, al riavvicinamento delle normative nazionali in materia di confisca di beni, strumenti e proventi di reato e all'applicazione, anche alle sanzioni pecuniarie, del principio del riconoscimento reciproco.
In particolare, l'articolo 28 conferisce la delega al Governo per l'attuazione degli strumenti sopra indicati e ne prevede il termine di esercizio in dodici mesi. Stante il carattere sensibile della materia, il disegno di legge prevede sempre la sottoposizionePag. 5dello schema di decreto legislativo al parere dei competenti organi parlamentari, e l'obbligo per il Governo, nell'ipotesi in cui non intenda conformarsi a tali pareri, di ritrasmettere i testi alle Camere con le proprie osservazioni e con le eventuali modificazioni. Il termine per l'espressione del parere parlamentare è stato portato da quaranta a sessanta giorni nel corso dell'esame delle Commissioni, a riprova della cautela e della volontà di tutelare i diritti dei cittadini su questo terreno.
Fra i principi di delega è da ricordare la possibilità per l'autorità italiana competente di rifiutare l'esecuzione, relativamente alle sanzioni pecuniarie, qualora sussistano gli elementi oggettivi per ritenere che dette sanzioni si prefiggono di punire una persona per motivi di sesso, razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o orientamento sessuale, oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi. Come si può notare, i principi di non discriminazione di cui all'articolo 21 della Carta dei diritti possono e debbono incidere anche nella definizione dell'armonizzazione delle più specifiche politiche dell'Unione europea.
Circa i dibattiti che ha sollevato e sta sollevando questo capo III occorre sottolineare come la realizzazione e attuazione del terzo pilastro rappresenti una sfida che investe direttamente le diverse culture dei diritti fondamentali, l'integrazione tra i diversi livelli della sovranità e la visione della comune cittadinanza europea. Si tratta di una svolta rispetto a cui la legge comunitaria risulta un tassello per un diritto europeo integrato, che, nel raccordo tra i diversi livelli di costituzionalità, deve aiutare a sfuggire sia ai rischi delle parcellizzazioni identitario-localistiche che alle derive delle sintesi centraliste precostituite. In questa prospettiva appare auspicabile che tutti i livelli dei pubblici poteri, nazionali, regionali e locali si sentano sempre più coinvolti nell'impresa della comune costruzione della sintesi europea, anche dall'interno dei processi di implementazione del federalismo.
Concludendo, e rimandando al testo scritto della relazione, nella definizione della legge comunitaria 2007 Parlamento e Governo hanno svolto efficacemente, nei loro rispettivi ambiti di autonomia e di competenza, gli adempimenti agli obblighi comunitari guardando fisso all'idea di Europa cui si intende contribuire e al contributo da dare, in tal modo, ai processi di sviluppo e di modernizzazione del Paese. Anche nelle concrete specifiche politiche di trasposizione delle normative resta valida la lezione storica di Lucien Febvre del 1945: sfuggire ai rischi di un'integrazione europea che si svolga sotto un'egemonia centralizzatrice unilaterale, evitare le tentazioni di legittimare i particolarismi difensivi ripiegati su se stessi.
Mi sia consentito, infine, per sottolineare la rilevanza politica della legge comunitaria e per sfuggire alla routine attuale dell'approvazione della stessa, di avanzare un paragone ardito tra la libertà femminile e la costruzione di uno spazio europeo comune, di cittadinanza uguale e di libertà di movimento delle persone e delle merci. Dieci anni fa, a Parigi, moriva Alba De Céspedes, una grande scrittrice del Novecento, italiana e cosmopolita per nascita e respiro culturale. Nel suo Quaderno proibito, scritto nel 1952, alle soglie del processo d'integrazione europea, ci ha restituito la quotidianità, le aspirazioni e le delusioni di una donna, Valeria Cossati, nell'Italia di quel tempo.
Allora la legislazione nazionale, di tipo vincolistico, come non potremmo proprio pensarla oggi, sanzionava chi acquistasse un quaderno, in tabaccheria, in un giorno festivo, e restringeva le donne sotto l'autorità maritale in spazi vitali angusti, di minorità giuridica, economica e sociale.
Credo che, in un'Europa con 27 Stati membri e più ampia anche grazie all'allargamento recentissimo dell'area Schengen, al di là delle facili ironie degli euroscettici, vada notato come il percorso dell'integrazione europea sia servito anche a rendere più libere e più consapevoli di sé milioni di donne, ma anche milioni di uomini, che oggi, imitandosi le une con le altre e gli uni con gli altri, all'interno dellaPag. 6metafora vitale del «questa è l'Europa», possono comprare un personal computer, piuttosto che il famoso quaderno di Valeria, quasi in qualsiasi ora del giorno, ed in qualsiasi giorno della settimana, magari per tralasciare i consueti doveri della domenica mattina, semplicemente per raccontarsi.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della relazione (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico - L'Ulivo, Italia dei Valori e Verdi).
PRESIDENTE. Onorevole Bimbi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
In sostituzione del relatore sul Doc. LXXXVII, n. 2, deputato Frigato, ha facoltà di parlare la presidente della XIV Commissione, deputata Bimbi.
FRANCA BIMBI, Presidente della XIV Commissione. Signor Presidente, devo scusare l'onorevole Frigato, perché una congiuntura sbagliata tra Eurostar e aerei, dovuta al fatto che alcune corse di Eurostar non fermano più a Rovigo, fa sì che egli sia perso in qualche parte del cielo o della terra!
L'esame della relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea costituisce uno dei principali strumenti a disposizione delle Camere, sia per intervenire nella fase ascendente del processo decisionale comunitario sia per acquisire elementi di informazione e valutazione sulle posizioni assunte e gli obiettivi conseguiti dal Governo nelle competenti sedi europee.
In base all'articolo 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, la relazione deve distinguere chiaramente i resoconti delle attività svolte e gli orientamenti che il Governo intende assumere per l'anno in corso, offrendone una compiuta illustrazione.
La relazione relativa all'anno 2006 contiene numerosi ed importanti elementi di informazione e riflessione sui diversi aspetti. Peraltro, va sottolineato che l'esame del documento viene effettuato dall'Assemblea - come ho affermato in precedenza in altra veste - a lunga distanza dalla sua predisposizione, per cui molte delle indicazioni e degli orientamenti in esso contenute sono in parte superate.
Il ritardo è essenzialmente determinato dalla procedura in esame congiunto con il disegno di legge comunitaria, prevista dai Regolamenti di Camera e Senato: ciò impedisce ad almeno un ramo del Parlamento - quello che esamina il disegno di legge comunitaria per secondo - un tempestivo esame del documento.
Come già ho auspicato lo scorso anno in esito all'esame della relazione precedente, andrebbe avviata un'attenta riflessione su una possibile revisione delle attuali procedure, anche ai fini di un esame congiunto della relazione annuale e dei programmi della Commissione europea e del Consiglio dell'Unione europea, in modo particolare con le nuove regole previste dal trattato di Lisbona. Si potrebbe, così, concentrare in un'unica fase di inizio anno la definizione degli indirizzi di carattere generale da perseguire nella formazione delle politiche dell'Unione europea, configurando una vera e propria sessione in fase ascendente, per la quale, del resto, la XIV Commissione si sta attrezzando predisponendo un apposito Comitato.
Un secondo aspetto di criticità concerne il fatto che la relazione reca un resoconto accurato delle attività svolte nel 2006, ma solo in alcuni casi definisce gli orientamenti che il Governo intende seguire nel 2007, con riferimento alle politiche e ai principali provvedimenti all'esame dell'Unione europea.
Inoltre, benché la relazione contenga un apposito paragrafo relativo all'attività del Parlamento nella fase ascendente, solo occasionalmente essa precisa le iniziative assunte e i provvedimenti adottati dal Governo per dare attuazione ed osservazione agli indirizzi delle Camere. La mancata indicazione di questi elementi può sicuramente ridurre l'utilità della relazione, inficiare o diminuire l'incisività delPag. 7l'esame parlamentare e, più in generale, del ruolo delle Camere nella formazione delle decisioni europee.
Pertanto, va richiamata l'attenzione del Governo sulla necessità che le prossime relazioni, in conformità al dettato dell'articolo 15 della legge n. 11 del 2005, espongano in modo più sistematico ed organico gli orientamenti che intende assumere per l'anno in corso ed il seguito che intende dare agli indirizzi già espressi dalle Camere. Al riguardo, va tuttavia sottolineato che il Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee qui presente, nel corso dell'esame della relazione presso la XIV Commissione, ha offerto numerose ed importanti indicazioni sugli orientamenti dell'azione di Governo in merito alle principali questioni all'esame dell'Unione europea. Vorrei, pertanto, ringraziare il Ministro Bonino per la costante presenza ed il costante contributo dato al dibattito in Commissione.
La relazione della XIV Commissione si sofferma sulla partecipazione italiana al processo decisionale europeo e poi richiama, per ciascun settore e politica, le indicazioni della relazione del Governo, nonché i principali temi e proposte in discussione presso le sedi europee, come si vede nel testo scritto.
La ricognizione così operata potrebbe costituire anche la base per individuare iniziative e questioni su cui la Commissione politiche dell'Unione europea e le Commissioni di merito potrebbero avviare specifiche procedure di esame. A questo proposito, non posso che rinviare alla relazione scritta dell'onorevole Frigato.
Per quanto attiene, invece, al rafforzamento della partecipazione italiana al processo decisionale europeo e al ruolo del Parlamento, si sottolinea come la definizione di procedure e di strumenti per una partecipazione più efficace del nostro Paese nelle sedi decisionali europee costituisca una delle questioni prioritarie da affrontare in questa legislatura. Si tratta di una condizione imprescindibile per la tutela di interessi nazionali e per assicurare il più alto grado di conformità all'ordinamento nazionale europeo, nella prospettiva, appunto, di affrontare problemi di governance di tipo ormai globale.
A questo scopo, in primo luogo, è necessario e urgente rafforzare gli organi competenti e le strutture amministrative di supporto statale e regionale. In particolare, come ha rilevato spesso il Ministro nel corso dell'esame della relazione presso la nostra Commissione, vanno incrementate le strutture e le risorse a disposizione del comitato interministeriale per gli affari comunitari europei, anche per renderlo efficace al pari di altri organismi degli altri Paesi europei (ovviamente, quelli che seguono le migliori pratiche).
In secondo luogo, è necessario che gli organi parlamentari, avvalendosi della collaborazione del Governo, attivino tutti gli strumenti e le procedure a loro disposizione previsti dalla legge n. 11 del 2005, dal Regolamento e introdotti in via di prassi.
Nel corso di questo primo scorcio di legislatura si registrano alcuni segnali incoraggianti. Tuttavia, occorre ancora rafforzare l'effettività dell'intervento delle Camere, agendo essenzialmente in due direzioni.
Per un verso, bisogna rendere ancora più sistematico e tempestivo l'esame dei progetti di atti comunitari e di questioni prioritarie; ciò postula una riorganizzazione del nostro lavoro e un'attenta valutazione della possibilità di rivedere i meccanismi previsti dal Regolamento della Camera, con particolare riferimento al rafforzamento del ruolo della Commissione politiche dell'Unione europea, specie per quanto riguarda la fase ascendente.
Per altro verso, occorre continuare a sviluppare i rapporti con il Governo, che ha assicurato ampia disponibilità sia per quanto attiene all'informazione piena e tempestiva del Parlamento (così come recepito anche dalla legge comunitaria) sulle questioni principali sia con riguardo all'attuazione degli indirizzi definiti dalle Camere.
Si tratta di interventi che assumono importanza e urgenza anche alla luce del Trattato di riforma firmato a Lisbona, il quale reca numerose disposizioni relativePag. 8al ruolo e ai poteri dei Parlamenti nazionali. L'esercizio di queste nuove funzioni postula procedure più agili e realmente efficaci, che consentano un intervento tempestivo e mirato del Parlamento.
Sicuramente l'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge n. 11 del 2005, avviata dalla Commissione, consentirà di approfondire questi aspetti e lo stesso Ministro ha già formulato alcune importanti ipotesi di lavoro sulle quali si è già aperto il dibattito in sede di Commissione.
I temi indicati nella relazione sono molteplici e di primario rilievo: il Trattato di riforma, il processo di allargamento dell'Unione europea, le relazioni esterne, la politica estera e di sicurezza comune, la politica europea di sicurezza e difesa, la giustizia e gli affari interni, la politica economica e monetaria, la strategia di Lisbona, il mercato interno, l'agricoltura, le politiche del lavoro per l'inclusione, le politiche per le famiglie, le pari opportunità, la politica per la salute, le politiche per i beni e le attività culturali, l'istruzione e la formazione, la politica energetica, la ricerca e l'innovazione, i trasporti, le infrastrutture, l'ambiente e il cambiamento climatico, la politica commerciale, la politica fiscale, la lotta al riciclaggio e al terrorismo, e la politica di coesione.
Come si vede, i principali aspetti del rapporto con l'Unione europea «toccano», in realtà, i problemi di modernizzazione e di sviluppo del Paese. Si tratta di un complesso di questioni da cui emerge con chiarezza la necessità che il nostro Parlamento abbia più presente l'Europa se vuole davvero incidere efficacemente sui grandi e complessi processi che interessano i diversi livelli di Governo e le diverse comunità rappresentate (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-L'Ulivo e Verdi).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee. Signor Presidente, Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pili. Ne ha facoltà.
MAURO PILI. Onorevole ministro, onorevoli colleghi, questa è la seconda legge comunitaria di questa tormentata e, consentitemelo, anche precaria XV legislatura. I colleghi della Commissione e i colleghi del Parlamento mi consentiranno di esprimere senza troppi sotterfugi e con un'auspicabile reciproca franchezza un'opinione severa, ma quanto mai realistica: questa legge comunitaria è peggiore della precedente. Tenterò con poche riflessioni e sintetici concetti di spiegarne le ragioni. Prima di tutto un principio generale e fondante che sarebbe dovuto essere alla base di questa nuova legge comunitaria: gli Stati aderiscono all'Unione europea, ma conservano la prerogativa e la specificità nazionale, o meglio: l'Unione europea, oggi più che mai, deve essere intesa come adesione ai valori e alle regole fondamentali dell'articolazione comunitaria, ma nel contempo deve essere in grado di valorizzare e tutelare le prerogative degli Stati nazionali. Dunque, colleghi, non una visione limitante dell'aspirazione europea, non un freno alla coesione comunitaria, semmai il rafforzamento dei principi sovranazionali da perseguire attraverso il rispetto e la valorizzazione delle specifiche e peculiari identità nazionali.
In linea di principio, per essere più espliciti, l'Europa condivide con gli Stati l'orizzonte, l'obiettivo della coesione, ma lascia in capo alla sovranità nazionale il governo e l'attuazione della specifica realizzazione degli obiettivi. Si tratta, insomma, onorevole Ministro, di perseguire un equilibrato rapporto tra ambizioni e regole, tra reciprocità e sussidiarietà nel governo del duplice, fondamentale valore della statualità e della coesione comunitaria. Oggi, invece, si registra - in conseguenza della debolezza politica del Governo Prodi e nell'assenza di un confronto critico e propositivo sul futuro europeo - un profondo sbilanciamento a favore della preminenza europea sui valori della statualità e dell'interesse nazionale.Pag. 9
Insomma, per dirla in sintesi, l'Europa «schiaccia» gli Stati, impone regole e burocrazia asfissianti, a prescindere dall'attuabilità nazionale, ignorando le specificità dei Paesi. Cercherò in questo mio intervento di segnalare tali limiti in tutta la loro preminenza ed evidenza, sottolineando i necessari e possibili rimedi. Tuttavia, ancora prima, credo sia utile segnalare il rischio, questo sì, di implosione di un sistema «impositivo» che, appunto, impone il livello europeo a scapito di un'evoluzione graduale e condivisa dell'Unione europea. In tutta Europa - e il ministro Bonino è buon testimone della sensazione diffusa a livello nazionale ed europeo - si registra una percezione delle politiche comunitarie in termini assolutamente di carattere impositivo; le ultime discutibili e non sempre condivisibili scelte espansionistiche europee hanno allargato ancora di più il solco tra le istituzioni e il comune sentire dei cittadini europei. L'Unione europea, insomma, ha tentato, con una visione burocratica e dogmatica, di fare il passo più lungo della gamba, rischiando, da una parte, di perdere il sostegno interno e, dall'altra, di espandere il proprio ambito d'azione su aree e Paesi ancora impreparati all'allargamento.
Insomma, bisogna pensare più al consolidamento interno degli Stati e dell'Unione europea piuttosto che a ulteriori mire espansionistiche da «basso impero» che hanno provocato e provocano un allarme sociale senza precedenti in Europa e in Italia.
Se potessi sintetizzare osserverei che siamo davanti ad un'Europa incapace di governare i grandi processi, ma che vuole tuttavia regolamentare - come si registra in questo «debole» disegno di legge comunitaria - sia i ciucci per i bambini sia le modalità di stampigliatura delle uova, che sono due dei perni del provvedimento in esame. Insomma, di tutto di più, ma senza strategia e senza visione sostanziale delle grandi questioni economiche e sociali.
In questo quadro di insieme, l'Italia e questo Governo - ma non sarebbe certamente una forzatura fare riferimento anche all'intero Parlamento (e quando parlo di intero Parlamento mi rivolgo a una parte e all'altra di quest'Aula) - svolgono un ruolo marginale e succube, incapaci come sono di proporre strategie e azioni in grado di contrastare le negatività e guidare, semmai, i processi di globalizzazione interna ed esterna dell'Unione europea.
Questa legge comunitaria, onorevoli colleghi, è la fotografia, la migliore rappresentazione dello status inerme del Governo italiano verso l'Europa: uno Stato sotto schiaffo europeo. Certamente il Ministro Bonino non può essere indicata come unica responsabile, anzi: tutt'altro!
Per spiegare l'involuzione italiana basterebbe considerare solo un elemento oggettivo. Il disegno di legge comunitaria deve essere, per legge, presentato entro il 31 gennaio di ogni anno. Se non fosse che questo disegno di legge è riferito all'anno 2007 sareste stati quasi in anticipo; in realtà, onorevole Ministro, il ritardo è ormai di oltre un anno! Vale a dire: il Governo Prodi, anche per le politiche comunitarie, ha inserito la retromarcia!
Tenterò di sintetizzare in tre grandi questioni il fallimento di questo disegno di legge comunitaria e di prospettare, con pochi concetti, i possibili apporti propositivi del Parlamento al processo europeo.
Innanzitutto illustrerò le tre fallimentari impostazioni del disegno di legge comunitaria oggi all'esame della Camera.
Prima grande questione: non esiste nessuna posizione italiana. La legge per così dire quadro la n. 11 del 2005, all'articolo 1 aveva così enunciato la primaria finalità: «La presente legge disciplina il processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell'Unione europea (...)». Dunque, si parla della formazione della posizione italiana: nel disegno di legge che avete presentato al Parlamento non vi è, invece, una sola parola sulla posizione italiana; anzi, in alcuni casi vi è l'abiura totale verso qualsiasi azione di contrasto allo smodato ed invasivo intervento comunitario anche nelle politiche interne del nostro Paese.Pag. 10
In secondo luogo, il Governo non solo accetta - senza colpo - ferire le imposizioni sostanziali, ma impone al Parlamento tempi e deleghe per ossequiare e subire le imposizioni comunitarie.
In terzo luogo, l'Unione europea, attraverso questa legge comunitaria, detta allo Stato italiano regole e dettagli e, con la complicità subalterna nazionale, ignora invece le grandi questioni della stessa Unione europea e dei singoli Stati.
Si tratta di tre questioni che consentirebbero da sole di esprimere un giudizio severo su una visione europea sempre più burocratica, incapace di far proprie le grandi emergenze che segnano sempre di più il solco tra le istituzioni comunitarie e le comunità nazionali.
Questo è un disegno di legge comunitaria che potrebbe elaborare qualsiasi ufficio distaccato di un Ministero senza portafoglio, un provvedimento che si potrebbe tranquillamente derubricare tra le norme senza anima e senza ratio. In questo disegno di legge, che oggi esaminiamo insieme alla relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, manca insomma la strategia complessiva di un Paese. Vi è la percettibile sensazione di dover adempiere alle disposizioni comunitarie più che per un obbligo per una manifesta incapacità di proposta.
Ed è proprio questa la filosofia di fondo che va rivista, non solo nell'ambito di tale quadro di norme, ma nell'approccio alle questioni europee.
Mi domando, e lo chiedo ai colleghi di una parte e dell'altra: quanto pesa l'Unione europea sulla legislazione italiana? Quanto è consapevole il Parlamento italiano di perdere ogni giorno di più il proprio fondamentale compito di organo che legifera? E quanto è consapevole il nostro Parlamento di essere inadeguato nei tempi, nelle procedure, nell'analisi e nella proposta, rispetto all'azione legislativa comunitaria?
Oggi, colleghi, esiste un argine sempre più alto e più invalicabile che sfugge al controllo dei Parlamenti e degli Stati: l'avanzata della normativa comunitaria è pari ad uno tsunami, uno tsunami legislativo che spazza via ogni prerogativa di Parlamenti e regioni. Il Parlamento vuole regolamentare l'attività venatoria nel nostro Paese? Non può farlo, se non entro certi limiti della direttiva habitat: così per la Svezia e la Germania, al pari dell'Italia e della Spagna, non è possibile alcuna articolazione differenziata ed alcuna autonoma regolamentazione. Siamo certi, cito l'esempio della caccia, che si tratti di un elemento fondamentale della coesione europea? Siamo convinti che anche piccoli dettagli di una regolamentazione così parziale possano essere fondamentali nella coesione europea, tali da esserci imposti, e da essere imposti anche al Parlamento, che potrebbe invece, nelle varie specificità e peculiarità, esaminarli e dare al proprio Paese la normativa che più gli si addice?
Cito il caso delle autonomie regionali: siamo certi che gli statuti autonomi, approvati e varati oltre cinquant'anni fa, possano essere vilipesi e cancellati da un'avanzata comunitaria che vorrebbe appiattire e uniformare tutto?
Nella precedente legislatura - lo voglio citare come un elemento che voi tecnici chiamate best practice, a modo di esempio positivo - vi è stato con l'Unione europea il problema della definizione del deficit in rapporto al prodotto interno lordo: la silente ma prevaricatrice burocrazia europea sosteneva nella precedente legislatura che per calcolare il deficit fosse necessario tener conto di tutte le voci del bilancio. Il Governo Berlusconi, con Berlusconi in testa, con un'azione decisa e senza tentennamenti sostenne la tesi che dovessero essere scomputate le spese per gli investimenti infrastrutturali: dunque, non una lettura asettica dei bilanci ma semmai la capacità propositiva di rendere l'Europa non freno, ma propulsore di sviluppo. La matrice burocratica, latente e rafforzata durante la guida Prodi della Commissione europea, oggi segna, con la legge comunitaria in esame, il suo epilogo. Verrebbe da dire: niente semina e niente raccolto.
Il Presidente della Camera mi consentirà di rivolgere a lui le mie ulteriori riflessioni, ben sapendo che non è a lui personalmente ma alla sua funzione chePag. 11rivolgo alcune mie personali e apolitiche preoccupazioni. Dobbiamo ripensare le funzioni del Parlamento e l'organizzazione stessa dell'Assemblea, non per difendere le prerogative e le funzioni del Parlamento, ma per attrezzarci a contenere e semmai rilanciare il ruolo propositivo dell'organo legislativo in ambito nazionale ed europeo. Tutto ciò con una duplice valenza: da una parte, la tutela e la valorizzazione delle imprescindibili peculiarità nazionali; dall'altra, per rilanciare l'immagine di un'Europa positiva e non limitante, di un'Europa che promuove lo sviluppo anziché frenarlo.
Credo che l'esempio francese sia dinanzi agli occhi di tutti, seppure con alcune implicazioni interne. Mi riferisco alla bocciatura del trattato costituzionale e dell'ipotesi di accordo tra Stati per rivedere la Costituzione europea: quel voto popolare è stato la rappresentazione europea del distacco e anzi dell'avversione popolare rispetto all'avanzare dell'Europa burocratica. Dunque quella disaffezione europea deve essere per noi, ancor prima che per gli altri, un campanello d'allarme.
Per salvaguardare l'Unione europea e per salvaguardare il suo progetto di coesione economica e sociale occorre mettere un argine alla persistente e debordante azione impositiva comunitaria: è per il bene dell'Europa che occorre frenare l'avanzata inspiegabile, ingiustificabile e, a volte, irragionevole della burocrazia europea.
In questi primi venti mesi della legislatura ho sentito più volte richiamare i dati relativi al numero delle procedure di infrazione: il «bollettino di guerra» va da 229 a 245 procedure avviate e ogni giorno vi è un aggiornamento dei dati: 61 per mancato recepimento di direttive nell'ordinamento nazionale, 168 per violazione del diritto comunitario, 153 relative al solo mercato interno; siamo in testa a tutti gli Stati europei!
Analizzando tali dati ci accorgiamo che 64 procedure riguardano la materia ambientale, 21 lo sviluppo economico e 18 gli affari interni. La mole di procedure di infrazione deriva dal solo fatto che l'Italia non recepisce la normativa comunitaria perché è incapace di promuovere un'azione legislativa di recepimento? O piuttosto dal fatto che vi sono ragioni oggettive che riguardano il nostro Paese, in cui singoli settori (dall'ambiente all'agricoltura) difficilmente possono recepire tali rigide disposizioni? Come si possono imporre alla Sardegna - cito una regione che conosco - gli ettari irrigabili, a una terra già condizionata dal mare e dalla quantità e dalla disponibilità delle aree irrigue? Si può limitare dall'Europa il numero degli ettari irrigabili? Appare davvero difficile pensare che tale elemento possa fungere da fattore di coesione comunitaria ed europea.
Dunque, l'Italia non recepisce, non propone e viola le norme. Di fatto vi è un circolo vizioso, di cui il primo artefice è proprio il nostro Paese. Alla data del luglio 2007 risultano scaduti ed applicabili in Italia 2.816 provvedimenti comunitari, tra direttive e regolamenti (è quanto viene riportato nella relazione).
Vorrei soltanto sapere quante leggi ha proposto e varato il Parlamento italiano in questi venti mesi: certamente non arriviamo a 2.816. Sappiamo che gran parte di questi provvedimenti sono stati approvati senza che noi potessimo dire nulla, né permetterci di esaminarli e di cogliere l'essenza fondamentale della nostra statualità e di essere davvero protagonisti della normazione nel nostro Paese.
In Europa non si è abbassato il dato relativo al mancato recepimento delle direttive - l'indice dell'1 per cento fissato dai Paesi come traguardo non solo non è stato raggiunto, ma è aumentato dello 0,4 per cento rispetto all'anno precedente - a significare che vi è una doppia marcia: l'Europa che avanza e gli Stati che retrocedono.
L'Italia ha un dato di mancato recepimento del 2,7 per cento. Si tratta di una corsa in affanno, colleghi, che ci sta facendo perdere di vista l'obiettivo fondamentale del Paese, quello di partecipare alla coesione europea con l'ambizione di produrre un vantaggio in termini di crescita economica e sociale per la nostra comunità. Dunque, il disegno di leggePag. 12comunitaria presentato non solo non attua in alcun modo la filosofia di uno Stato protagonista dell'Europa, ma semmai ne asseconda il ruolo subalterno e, in questo caso, rinunciatario.
Per queste ragioni, il primo giudizio negativo riguarda la cosiddetta fase ascendente del diritto comunitario. Mi rivolgo al presidente della Commissione, il quale ha tentato in tutti i modi, anche recentemente, di coinvolgere l'organismo preposto a promuovere un ruolo propositivo nella fase ascendente, il cosiddetto CIACE.
Tra l'altro si dovrebbe cambiare la denominazione, anziché «Comitato» sarebbe meglio dire «Gruppo» interministeriale, in questo modo risponderebbe meglio alla sua attuale condizione: non più CIACE, ma «GIACE»! Infatti, giace morto e sepolto, incapace di uscire dalle secche di una valanga di questioni per le quali il Governo non ha tracciato né un'agenda né una scala di priorità. Il Governo sul tema europeo è latitante, e nel momento in cui è latitante sulla questione europea è latitante sulle questioni interne; in quel dato delle 2.816 direttive e atti comunitari vi è infatti la dimostrazione di come non vi sia la capacità né di recepire, né di ascoltare, né tanto meno di proporre; una condotta che diventa asfissiante, e che schiaccia davvero qualsiasi azione parlamentare.
Il Governo taglia fuori completamente il Parlamento da qualsiasi possibile interlocuzione preventiva sulle disposizioni comunitarie. Mi sono permesso di ripresentare alcuni emendamenti proposti da Rifondazione Comunista (non so se l'abbiano fatto anche loro) che puntano a sottolineare l'esigenza che la contestualità di alcuni passaggi tra il Governo e la Commissione europea sia in grado di porre il Parlamento in un ruolo di verifica e di accertamento, con la possibilità di introdurre correzioni, anche in quelle procedure che l'Europa vuole imporci.
Mancano forse questioni che meriterebbero di essere sottoposte nella fase ascendente all'esame da parte di questo Parlamento? È una critica che rivolgo innanzitutto a me stesso, ma che vorrei rivolgere anche alla coscienza dei nostri colleghi della Commissione, dei gruppi parlamentari e dello stesso Governo. È possibile che l'Italia non sia in condizione di avanzare su alcuni temi strategici, così come ha ben fatto per la moratoria sulla pena di morte, una posizione ascendente capace di esercitare un ruolo guida anche su altri temi, campagne e battaglie rilevanti? Dall'energia all'occupazione, dalle politiche ambientali a quelle sociali, potrebbero essere avanzate proposte che facciano diventare il nostro Paese una guida nelle politiche europee. In tal modo non ci sarebbe un'imposizione europea verso gli Stati, ma un atteggiamento propositivo degli Stati verso l'Europa.
Questa della fase ascendente, cari colleghi, è la priorità principale. Il Governo e l'Italia devono poter riprendere il cammino dell'azione propositiva. Cito solo alcune questioni, a partire da quella dell'occupazione: è indispensabile che l'Italia si faccia artefice, anche per le condizioni di alcune regioni italiane, dell'introduzione del riconoscimento del parametro dell'occupazione come elemento di valutazione nelle politiche infrastrutturali e strutturali dell'Unione europea. L'occupazione non è un elemento secondario nella valutazione dei parametri comunitari, anzi è quello fondamentale, perché richiama il dato sociale - e non solo il mero dato statistico ed economico del PIL - che davvero rappresenta quelle fasce sociali che sono emarginate nel Paese, e che forse costituiscono un autentico elemento di valutazione degli interventi comunitari.
Si pensi all'energia: è possibile ipotizzare di avere un mercato interno europeo senza aver prima realizzato quelle politiche infrastrutturali che ci consentano di essere messi alla pari con gli altri Paesi? In Europa e in Italia esistono regioni ed aree geografiche, da quelle insulari a quelle ultraperiferiche, davvero condizionate dalla scarsità infrastrutturale, che dunque non possono entrare in un mercato di libera concorrenza e sono svantaggiate a tutti gli effetti. È indispensabile che l'Italia, sia per quanto riguarda alcuni settori merceologici, sia per quanto riguarda alcune categorie di territori, presentiPag. 13una propria proposta, nella fase ascendente, al Parlamento europeo, alla Commissione e all'Unione europea.
Sul tema dell'ambiente non possiamo essere assenti in termini di nuova visione, anzi di visione europea, dato che esso è presente in molti atti comunitari: le regioni e le autonomie locali devono essere protagoniste. Quando lo Stato, con il Ministro Pecoraro Scanio, emana un decreto che impone l'individuazione delle zone speciali previste dall'ordinamento comunitario - i siti di importanza comunitaria (SIC) e le zone di protezione speciale (ZPS) - e prevede che ne spettino un certo numero ad ogni regione, imponendo vincoli su aree che sono abitate e vissute, dove l'uomo è protagonista dell'ambiente, dice: «fuori tutti, perché qui c'è la norma comunitaria che deve prevalere».
Ciò non si può attuare e bisogna, proprio per tutelare l'ambiente, mettersi nelle condizioni di predisporre una normativa comunitaria che abbia l'Italia come protagonista e che veda davvero l'uomo protagonista dell'ambiente.
Quanto alla fiscalità di vantaggio, vi sono a livello regionale proposte in tal senso, bloccate dall'Unione europea (basta esaminare, come è stato fatto in Commissione, le singole infrazioni e le procedure avviate). Per quanto riguarda le zone franche, prima dovevano essere riferite alla produzione, adesso sono state limitate a quartieri di grandi città, dimenticandoci, invece, di quelle zone franche e di quei punti franchi già istituiti nella legislazione italiana sui porti e sulle aree produttive e che non possono trovare attuazione, perché l'Europa le blocca e perché, evidentemente, il Governo italiano e il Parlamento italiano (non guardo ai colori, né di destra né di sinistra) non sono riusciti, forse, a rappresentare l'esigenza, da parte di alcune aree del nostro Paese, di interventi e di incentivi fiscali capaci di sommarsi agli incentivi reali.
Deve essere avanzata una proposta italiana sulla mobilità interna: in Italia vi è un'emergenza di mobilità interna che riguarda le regioni insulari, ma anche le aree ultraperiferiche montane, per le quali è indispensabile porre in essere principi che riguardano il riconoscimento degli oneri di servizio pubblico, sia per le merci sia, soprattutto, per i passeggeri.
Si pensi, infine, al riconoscimento delle autonomie regionali differenziate. Si tratta di un tema previsto dal Titolo V della Costituzione e che non ha avuto ancora alcun riconoscimento a livello comunitario: è indispensabile che questo sia un passaggio fondamentale.
Le grandi questioni, dunque, hanno lasciato il passo alle piccole. Con questo disegno di legge comunitaria abbiamo disciplinato il tipo di «ciucci» per i bambini e la stampigliatura delle uova, ma ci siamo dimenticati di alcuni elementi, a partire dal trattato costituzionale (non c'è alcuna proposta in alcun documento, a partire dalla Presidenza tedesca per arrivare alla relazione italiana, che consenta di intravedere una ripresa verso l'orizzonte europeo).
Prevale ancora una politica espansionistica: non si riesce a definire un confine ottimale della nostra Europa e ci dimentichiamo di politiche fondamentali della coesione interna, dai fondi strutturali al rilancio della politica infrastrutturale. Con riguardo a quest'ultima, in virtù di alcune posizioni interne all'odierna maggioranza, l'Italia rischia di essere esclusa da alcune azioni che l'Europa avrebbe il compito di rilanciare.
Vi è un ultimo tema che voglio richiamare all'attenzione del Ministro Bonino: l'area di libero scambio del Mediterraneo. È indispensabile che questo Parlamento affronti tale tema, perché da esso l'Italia può davvero guardare ad un nuovo orizzonte o, altrimenti, essere relegata in una posizione marginale. È davvero un'occasione straordinaria: occorre attrezzare il sistema portuale nell'ambito comunitario e intravedere quelle procedure di fiscalità e di agevolazione per le autostrade del mare, che possono funzionare solo se tutta la portualità del Mediterraneo è messa nelle condizioni di competere, di essere agevolata e di essere, l'Italia in particolar modo, artefice di questo processo.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Ministro, se queste vi semPag. 14brano questioni estranee alla legge comunitaria e alla prossima fase ascendente, ne prendo amaramente atto, ma sono certo che molto prima di quanto possiamo pensare questi temi saranno oggetto di una nuova crisi dello scenario europeo, non per mancanza di concreta prospettiva, ma per l'insufficienza politica e progettuale degli Stati membri.
L'Italia, insieme ai suoi tanti primati, avrà anche quello della legge comunitaria meno propositiva e più subalterna dell'intera Europa. Anche questo, forse, potrà essere oggetto di sufficiente ilarità da parte di chi oggi guida il Paese, ma per l'Italia e per gli italiani sarà l'ennesima occasione persa per giocare, invece, un ruolo di primo piano in Europa e nello scenario internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Picano. Ne ha facoltà.
ANGELO PICANO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, per una fortunata coincidenza l'esame che oggi si sta svolgendo del disegno di legge comunitaria - ottimamente illustrato dall'onorevole Bimbi - avviene subito dopo la sottoscrizione da parte dei 27 Paesi membri del nuovo Trattato sull'Unione europea firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007. Questo evento ci permette di analizzare il disegno di legge comunitaria con maggiore concretezza, ma anche di delineare meglio le linee della partecipazione dell'Italia all'Unione europea.
Grande rilevanza assume l'attribuzione di valore giuridico vincolante alla Carta dei diritti fondamentali; inoltre, le disposizioni contenute nel Trattato riprendono in larga parte quanto previsto dal Trattato costituzionale e rappresentano una definitiva conferma degli assetti istituzionali voluti e negoziati nel 2004. Mentre la composizione del Parlamento europeo rispecchia quella prevista dal Trattato costituzionale (e lo stesso vale per la generalizzazione della codecisione, per la procedura di revisione del trattato e per la partecipazione del Parlamento alla procedura di bilancio), talune differenze rispetto al testo costituzionale sono riscontrabili nell'ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in particolare in merito alla cooperazione giudiziaria in materia penale.
Mentre i vecchi trattati parlavano ancora di un Parlamento composto dai rappresentanti dei popoli degli Stati, il nuovo Trattato di riforma dell'Unione afferma che il Parlamento è composto dai rappresentanti dei cittadini della stessa, nell'intento di configurarlo quale organo di rappresentanza del demos europeo.
Il Parlamento europeo vede accresciuti i suoi poteri e il suo ruolo nell'assetto istituzionale dell'Unione, grazie all'elevazione della procedura di codecisione a procedura ordinaria di approvazione degli atti comunitari. Introdotta per un numero limitato di materie dal Trattato di Maastricht, tale procedura è stata, infatti, progressivamente estesa ad altri settori con i Trattati di Amsterdam e di Nizza e diviene, dunque, la regola tendenzialmente generale applicabile a gran parte delle materie previste dai trattati vigenti e alle nuove competenze che il Trattato conferisce all'Unione.
Dal Trattato emerge un accresciuto ruolo assegnato ai Parlamenti nazionali; ciò richiede a noi di accelerare effettivamente il processo di adeguamento al diritto comunitario del nuovo ordinamento interno. È necessario, perciò, che si producano condizioni giuridiche nuove perché questo adeguamento, non certo automatico, avvenga con una rapidità tale da toglierci dalle ultime posizioni della classifica degli Stati inadempienti, dove siamo relegati per le numerose procedure di infrazione messe in atto dall'Unione europea nei nostri confronti. Basti ricordare che al 5 novembre 2007 risultavano ufficialmente aperte nei confronti del nostro Paese complessivamente 223 procedure d'infrazione, anche se è vero che il Governo Prodi ha accelerato la diminuzione di questo numero.
Il vero deficit democratico, molto spesso, risiede nel fatto che i Governi non sono perfettamente integrati con quantoPag. 15avviene a Bruxelles. D'altra parte, se valutiamo la struttura della strategia di Lisbona e la necessità in cui si trovano ogni anno i Governi di presentare un progetto nazionale di riforma, comprendiamo come questo progetto coincida, in pratica, con un programma globale di vita nazionale soggetto all'Unione, al giudizio reciproco tra gli Stati e a quello che la Commissione esprime sui vari progetti nazionali. Stiamo discutendo, perciò, della condizione del Paese Italia e la nostra responsabilità si estende anche a settori lontani da quelli economici e di mercato.
Sarebbe opportuno prevedere in futuro una vera e propria sessione parlamentare sul disegno di legge comunitaria - come hanno affermato anche la presidente Bimbi e il collega che è intervenuto - per un esame adeguato delle materie oggetto di revisione normativa e per una discussione di vero orientamento del Parlamento nei confronti del Governo sulle posizioni da assumere per l'Italia nella fase ascendente dei provvedimenti, come la relazione allegata al provvedimento in esame prevede e richiede.
Bisogna notare che il disegno di legge comunitaria 2007 introduce anche alcune modifiche alla recente «legge Buttiglione» riguardanti le novità in termini di recepimento delle direttive proprio all'insegna di una loro maggiore armonizzazione ordinamentale ed efficacia applicativa.
Tali novità possono essere riassunte nell'autorizzazione al Governo a recepire le disposizioni attuative adottate dalla Commissione europea tramite lo strumento del regolamento (con l'obbligo per il Governo di comunicare al Parlamento gli atti comunitari posti a base dei propri atti normativi) e nel fatto che il termine di delega legislativa debba coincidere di norma con la scadenza del termine di recepimento fissato dalle singole direttive, mentre sia di novanta giorni nel caso in cui lo stesso termine sia già scaduto o scada nei tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge comunitaria.
La relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, illustrata ottimamente dall'onorevole Frigato, costituisce parte integrante del disegno di legge comunitaria e fissa la cornice entro cui si svolge l'azione di governo nell'ambito dell'Unione europea. In pratica, nel consuntivo è implicito l'atto di indirizzo che il Parlamento fornisce al Governo in specie per la fase ascendente dei provvedimenti.
La relazione si articola in cinque punti. Il primo tratta gli aspetti di stringente attualità: dal processo di integrazione europea alle questioni istituzionali, dai profili inerenti le relazioni esterne all'Unione europea alla cooperazione interna nei settori della giustizia e della politica di sicurezza. Particolare risalto, inoltre, è dato agli aspetti connessi alle politiche economiche con riferimento al rilancio della crescita e della competitività.
Da segnalare come il programma di Governo indicato nel DPEF 2007-2011, iniziato ad essere attuato con la legge finanziaria per l'anno 2007, risulta in significativa sintonia con le direttrici di sviluppo delineate.
Nel secondo punto si esamina lo stato dell'arte delle procedure d'infrazione aperte con l'elenco e i motivi, per la prima volta, delle impugnazioni e l'efficace strategia che il Governo si è dato per ridurre lo stock di infrazioni all'insegna della costruzione di una posizione unitaria, migliorando le procedure di coordinamento istituzionale in grado di rafforzare la capacità negoziale del nostro Paese con l'Unione europea.
Il terzo punto illustra le linee evolutive del mercato interno dell'Unione europea che tradizionalmente si concentrano nell'integrazione e nell'apertura dei mercati. Si tratta di un mercato interno che fornisce una scelta ampia di servizi di qualità con un'adeguata garanzia di protezione per il consumatore. Il completamento del mercato interno dovrà puntare al potenziamento e all'effettiva integrazione dell'infrastruttura a partire dai corridoi transnazionali unitariamente ad una comune politica energetica e per l'ambiente, prospettiva a cui il nostro Paese guarda con grande interesse.
Il quarto punto illustra le linee evolutive relative alle politiche comuni.Pag. 16
Il quinto punto, infine, analizza l'andamento delle politiche economiche e dei flussi finanziari provenienti dall'Unione europea all'Italia in relazione alle politiche di coesione sociale e della loro utilizzazione.
Tornando al nuovo Trattato dell'Unione europea occorre sottolineare che in esso rimangono acquisiti una serie di significativi progressi contenuti nel Trattato costituzionale, come, ad esempio, l'estensione di settori di voto a maggioranza qualificata, l'ampliamento degli strumenti di democrazia diretta, anche attraverso un rafforzamento del ruolo dei parlamenti nazionali, la costruzione della cittadinanza europea e la previsione di una cooperazione rafforzata permanente in materia di difesa.
La difesa delle riforme istituzionali, contenuta nel Trattato costituzionale, ha avuto un suo costo e ciò è stato ribadito molto opportunamente nel luglio scorso a Lisbona dal nostro Presidente della Repubblica, il quale ha affermato con chiarezza che si tratta di un prezzo pagato non solo in termini di riduzione delle ambizioni costituzionali dell'Unione europea, ma anche in termini di forza e di leggibilità del progetto europeo.
Gli aspetti più dolorosi dal punto di vista dei fautori del consolidamento della configurazione politica dell'Europa sono in effetti da ricercarsi in primo luogo nella rinuncia al termine «Costituzione» e ai simboli dell'Unione europea, con il mancato riferimento alla bandiera, all'inno e al motto europeo.
Particolarmente negativa, anche se messa in preventivo sin dalla fase iniziale dei negoziati, è stata la concessione dell'opt out alla gran Bretagna e alla Polonia, in relazione al nuovo regime della Carta dei diritti, che non sarà applicabile di fronte a tribunali nazionali.
La ferita inferta all'unitarietà dello spazio europeo di diritto, oltre che grave sul piano dei principi, è stata fortemente stigmatizzata da tutte le forze politiche del Parlamento europeo e rischia di generare possibili conseguenze nocive di dumping sociale. Resta comunque innegabile che i negoziati in tema di riforma del Trattato siano stati caratterizzati da un arretramento dell'anima e dello spirito europeo. Il nostro Paese, coerente con la sua storia, si è battuto con gli amici della Costituzione per preservare la sostanza dell'acquis costituzionale del 2004, nella convinzione che le istituzioni rappresentino l'essenza e non il mero strumento della politica.
Il nuovo assetto istituzionale potrà favorire l'azione europea, oltre che nell'energia, nell'ambiente e nell'immigrazione, in due temi essenziali per il progresso e per la pace nel mondo. Il primo tema riguarda l'azione per migliorare la governance mondiale della globalizzazione e per rafforzare le istituzioni internazionali, al fine di renderle anche rappresentative dei grandi mutamenti geopolitici. In questo quadro è urgente mettere ordine nella finanza mondiale, per evitare conseguenze nefaste che si ripercuoterebbero nell'economia di tutti i Paesi. Il secondo tema consiste nel concordare una strategia su base multilaterale, che possa contribuire a diminuire la violenza nel mondo, riducendo gli immensi squilibri esistenti e diffondendo valori comuni che possano «globalizzare» anche le nostre speranze.
Se, però, giudichiamo il Trattato alla luce delle grandi sfide globali che dobbiamo affrontare, non possiamo non sottolineare importanti riserve, tra cui in primo luogo il ritardo previsto per la modifica delle regole di voto e per l'ampliamento del voto a maggioranza. In un mondo caratterizzato da un rapido e significativo mutamento degli equilibri geopolitici, è assai grave avere rinviato al 2014 essenziali modifiche nelle procedure decisionali dell'Unione, assolutamente necessarie per un'efficiente partecipazione ai grandi temi dello sviluppo della società mondiale.
È necessario, perciò, che la vita politica e le grandi opzioni future del nostro continente si fondino su un irrinunciabile humus di valori - di ispirazione religiosa o laica che siano - e non siano arbitrate nello spazio asseritamente agnostico di un'Unione a disagio con la propria storia.Pag. 17Un tale approccio ci consentirà di affrontare con il dovuto equilibrio la futura scelta sulla Turchia e di impostare nei suoi corretti termini l'imprescindibile dialogo con l'Islam e con le altre grandi confessioni mondiali, in una fase storica che assiste al ritorno in forza dei convincimenti e della passione religiosa, tornata ad essere l'evento dinamizzante sulla scena internazionale.
È l'Europa l'alveo più stabile ove sviluppare pacificamente il nostro dinamismo economico e sociale; è sempre l'Europa il porto naturale per attrezzare una risposta positiva nei confronti delle sfide delle forze della globalizzazione. Il Trattato di Lisbona porterà ad una modernizzazione dell'Unione europea e dei suoi organi, ma il cuore dell'unificazione europea batte nella Carta, nei suoi diritti e valori fondamentali. In modo sempre più netto emerge nell'Unione il suo carattere di comunità di valori, in cui i valori comuni diventano un legame sempre più profondo per 500 milioni di cittadini.
Nella Carta è insita una dinamica in grado di imprimere all'identità europea, oggi ancora poco sviluppata, un impulso potente e contorni più precisi. Niente ci unisce più dei valori comuni. La Carta dimostra molto chiaramente che nell'Unione europea il diritto decide il potere e non è il potere a decidere il diritto. Sono convinto che il Governo italiano continuerà nella sua azione per rafforzare il ruolo dell'Europa nel mondo, ma soprattutto per rafforzare il ruolo dell'Italia nel contesto europeo (Applausi dei deputati dei gruppi Popolari-Udeur e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Falomi. Ne ha facoltà.
ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, Ministro Bonino, onorevoli colleghi, non sfugge a nessuno la circostanza che la nostra discussione si svolge il 14 gennaio 2008, ma riguarda una relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel corso dell'anno 2006. Il forte ritardo con cui affrontiamo il dibattito non è un fatto irrilevante.
Non si tratta, infatti, di effettuare, sia pure fuori tempo massimo, un semplice bilancio dell'attività svolta dal nostro Paese in Europa nel corso del 2006. Accanto a un giudizio sul lavoro svolto nel corso del 2006, la legge ci impone anche di discutere gli orientamenti con cui affrontare la partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel corso dell'anno 2007. Ciò sarebbe stato possibile se la discussione sulla relazione relativa al 2006 fosse avvenuta nei primissimi mesi del 2007, ma questo non è potuto avvenire per un complesso di ragioni legate alla complessità politica della definizione e della gestione dei calendari dei due rami del Parlamento. Ma non si tratta soltanto di questo. Come ricordava la presidente Bimbi, un peso rilevante ha avuto il Regolamento della Camera dei deputati, che impone che la discussione della relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea avvenga congiuntamente all'esame del disegno di legge comunitaria, che, come ci mostra l'esperienza, ha dei tempi di predisposizione e di presentazione alle Camere diversi.
È del tutto evidente che, se vogliamo che la Camera dei deputati svolga la funzione di indirizzo che le spetta, è necessaria una revisione delle procedure previste dal Regolamento, in modo da consentire un esame più tempestivo - collocato all'inizio di ogni anno - della relazione annuale, abbinandola magari alla discussione degli altri strumenti attraverso cui la Commissione europea ed il Consiglio europeo programmano ogni anno la loro attività politica e legislativa. È la sessione ad hoc di cui ha parlato la presidente Bimbi, introducendo il nostro dibattito.
Credo che questo sarebbe un modo concreto di attribuire alla fase ascendente quella funzione propositiva che solo in minima parte siamo stati in grado di esercitare. In questo senso vanno, peraltro, gli emendamenti approvati dalla Commissione affari europei per modificare la legge comunitaria varata nel 2005.
Nelle condizioni legislative e regolamentari odierne, se intendiamo svolgere laPag. 18nostra funzione di indirizzo, possiamo discutere soltanto degli orientamenti su cui impegnare il Governo nella formazione delle politiche europee nel corso dell'anno 2008, visto che il 2007 è già trascorso. A questo proposito, una delle questioni più rilevanti che abbiamo di fronte è la ratifica del Trattato, nel testo riformato, firmato a Lisbona il 13 dicembre scorso.
La questione che a nostro parere si pone in relazione a questa ratifica è se e come l'idea di una Costituzione europea debba essere rilanciata.
Considerato l'esito deludente, sia sotto il profilo del metodo sia dal punto di vista del merito, della vicenda del Trattato costituzionale europeo, siamo dell'opinione che il tema di una vera Costituzione per l'Europa vada rimesso all'ordine del giorno del dibattito europeo e che il Governo italiano possa e debba impegnarsi a svolgere un ruolo in questo senso.
Parliamo di esito deludente della vicenda del Trattato costituzionale se misuriamo - ne faceva un accenno nel suo intervento anche l'onorevole Picano - la distanza, che riteniamo notevole, tra il compromesso raggiunto a Lisbona e le questioni prioritarie da cui avevano preso le mosse i lavori della Convenzione.
L'ambizione dei membri della Convenzione era, infatti, quella di affrontare le grandi sfide che erano e continuano ad essere di fronte all'Europa: il deficit di legittimazione democratica e la scarsa efficienza, che tuttora caratterizzano le istituzioni europee; il rilancio del ruolo dell'Europa nel mondo; il miglioramento della capacità di integrazione in vista di ulteriori allargamenti; la necessità di dare basi più solide, sotto il profilo sociale e ambientale, all'integrazione economica, sottraendola così a ogni idea di dittatura del mercato.
Alla luce di tali obiettivi, possiamo parlare del testo di riforma dei trattati varato a Lisbona, come di un compromesso al ribasso.
Ciò non significa non valutare con attenzione la portata di alcune decisioni assunte a Lisbona: mi riferisco, in particolare, all'aver attribuito valore giuridico vincolante alla Carta dei diritti fondamentali adottata a Nizza nel 2001 e riproclamata solennemente nella sede del Parlamento di Strasburgo il 12 dicembre scorso.
Questo è il segno di una nuova visione dell'Europa, che comincia, pur tra tante contraddizioni, ad affermarsi: non più l'Europa guidata dalla pura logica economica, ma l'Europa la cui integrazione si costruisce sulla solida base dei diritti e non più attraverso un riferimento privilegiato al mercato e alla sua sacralizzazione.
L'Europa, in altre parole, reagisce a chi la vuole ridurre ad una semplice area di libero scambio, per manifestarsi - a se stessa e al mondo - come il luogo dove più alta è la tutela della libertà e dei diritti.
La Carta dei diritti fondamentali può diventare un riferimento importante e uno strumento di controllo significativo delle attività delle istituzioni europee.
La strada, tuttavia, è in salita, perché saranno forti i tentativi di dare alla Carta dei diritti fondamentali una lettura minimalistica o di rifiutarne l'applicazione: pensiamo, ad esempio, al rifiuto dei Governi di Gran Bretagna e di Polonia di renderla applicabile nei loro Paesi, nonostante le proteste di rilevanti settori sociali e culturali delle loro società. Pensiamo anche ai conflitti che, particolarmente qui in Italia, potranno insorgere con i vertici della gerarchia cattolica, in relazione all'articolo 21 della Carta (che vieta ogni forma di discriminazione basata sugli orientamenti sessuali delle persone) o in relazione all'articolo 9 della Carta (che fa cadere ogni riferimento alla diversità di sesso per la costituzione di una famiglia).
Anche le parti della Carta che si riferiscono ai diritti sociali potranno prestarsi a letture minimalistiche e fuorvianti, in conseguenza dell'ambiguità delle formulazioni in essa contenute. Infatti, parlare di diritto a lavorare e non di diritto al lavoro o di diritto di accesso alle prestazioni della sicurezza sociale e dei servizi sociali, anziché di diritto alla protezione sociale, può lasciare campo libero a interpretazioni riduttive.
Anche il riferimento - che è presente nella Carta - alla promozione della pace, senzaPag. 19però fare esplicito riferimento al ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, si presta a letture minimalistiche che, a mio avviso, ne indeboliscono l'impianto.
Se tali considerazioni sono valide, è del tutto evidente che con la Carta dei diritti fondamentali si costituisce un terreno di lotta, sul quale occorre impegnarsi per valorizzarne tutta la forza innovativa e per sciogliere, nel modo più avanzato possibile, le contraddizioni e le ambiguità che in essa sono ancora contenute.
È anche per questa ragione che va rilanciato con forza il progetto di dare all'Europa una vera Costituzione. Occorre, però, evitare un nuovo fallimento e avviare perciò un percorso completamente e radicalmente diverso da quelli che, fino ad ora, sono stati tentati senza successo.
Il metodo degli accordi intergovernativi o quello della convocazione di specifiche convenzioni hanno mostrato di essere costruiti sulla sabbia e hanno prodotto, il più delle volte, compromessi al ribasso, se non veri e propri fallimenti.
La storia delle conferenze intergovernative ci dimostra ampiamente che tutti gli accordi trovati in quella sede non hanno retto alla prova del tempo e sono stati rapidamente rimessi in discussione da nuove decisioni e intese dei Governi, le quali hanno sostituito la partecipazione democratica dei cittadini alle scelte fondamentali che li riguardano, con la trattativa diplomatica tra gli Stati.
Si tratta di accordi tra Governi che, quasi sempre, hanno messo su un piano fortemente privilegiato gli interessi di quei settori delle società nazionali che, per la loro forza, sono più in grado di condizionare le scelte degli Esecutivi. Anche il metodo della convocazione di una Convenzione con una forte presenza di membri del Parlamento europeo e di Parlamenti nazionali si è rivelato al di sotto delle aspettative e ha portato, nel caso del Trattato costituzionale, a un testo senza alcuna forza cogente, che non a caso è stato abbandonato.
L'assenza di legittimità democratica della Convenzione e la presenza massiccia in essa dei Ministri degli esteri hanno finito per far prevalere, nella sua attività, la logica del negoziato diplomatico, senza alcuna capacità di un vero coinvolgimento nel dibattito dell'opinione pubblica e dei cittadini.
In queste condizioni è stato un gioco facile da parte dei Governi liquidare il lavoro realizzato dalla Convenzione per ritornare ai soliti meccanismi delle trattative e delle conferenze intergovernative assegnando al Parlamento europeo e ai Parlamenti nazionali un ruolo del tutto marginale.
Anche il metodo delle cooperazioni rafforzate, rese più facili dal Trattato riformato varato a Lisbona, non è in grado di produrre, a nostro parere, quell'integrazione politica più avanzata che sarebbe necessaria per affrontare le sfide economiche, sociali, culturali e ambientali che la globalizzazione capitalistica impone.
Se si vuole uscire dall'impasse e riprendere il cammino della Costituzione europea occorre cambiare radicalmente strada e restituire ai cittadini quella sovranità costituente che appartiene loro e che sulle questioni fondamentali dell'Europa non hanno mai potuto veramente esercitare. Restituendo così ai cittadini la sovranità che a loro appartiene, contribuiremmo alla costruzione di un'immagine dell'Europa diversa da quella attualmente percepita ovvero dell'Europa delle oligarchie e delle burocrazie.
Una nuova strada potrebbe essere quella di un'Assemblea costituente scelta dai cittadini contestualmente alle elezioni del Parlamento europeo previste per il 14 giugno 2009. La forza politica di questa Assemblea, proprio per essere espressione della sovranità costituente dei cittadini, sarebbe tale da ridimensionare qualunque pretesa degli Esecutivi di essere l'esclusivo motore del processo costituzionale. L'elezione di un'Assemblea costituente in coincidenza con le elezioni del Parlamento europeo obbligherebbe, inoltre, i partiti a comunicare ai cittadini le loro opinioni, i loro orientamenti, i loro progetti concreti sull'avvenire dell'Europa, evitando così loPag. 20spettacolo di campagne elettorali europee tutte condizionate dalle vicende politiche interne ai singoli Stati.
Anche sotto il profilo formale, un'Assemblea costituente come quella ipotizzata, costituirebbe un'applicazione eccezionale e opportunamente adattata, delle norme vigenti nel Trattato di Lisbona che si riferiscono al modo di designazione e di composizione della Convenzione.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ANTONELLO FALOMI. Dovranno essere poi i cittadini a pronunciarsi con un referendum europeo sul testo definitivo che uscirà dall'Assemblea costituente e dai contributi che ad essa verranno dai Governi, dal Parlamento europeo e dai Parlamenti nazionali.
È per noi rilevante, perciò, che il Governo italiano si impegni a chiedere di allegare al Trattato di Lisbona una dichiarazione unilaterale che affermi che il processo di riforma costituzionale debba riprendere assumendo e rispettando il metodo democratico e il principio che caratterizza le Costituzioni di tutti gli Stati membri, ovvero che la sovranità appartiene al popolo. È per noi importante che il Governo si impegni ad avviare un negoziato o per l'attribuzione al Parlamento europeo di un mandato costituente o, in mancanza di un accordo unanime, per l'elezione di un'Assemblea costituente ad hoc da parte di tutti quei Paesi europei che lo vorranno.
Non si capisce perché per l'euro si è costituita una zona specifica e, invece, non si possa, con l'intesa di tutti i Parlamenti dei Paesi che lo vogliono, promuovere un'Assemblea costituente.
Siamo convinti che, sulle solide basi della sovranità popolare, il processo costituente possa riprendere e produrre risultati all'altezza dei compiti che stanno di fronte all'Europa.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pini. Ne ha facoltà.
GIANLUCA PINI. Signor Presidente, Ministro Bonino, cercherò di svolgere un breve intervento durante questa discussione sulle linee generali, tentando di dedicare più spazio agli approfondimenti tecnici per quanto riguarda i singoli argomenti ed articoli del disegno di legge comunitaria che stiamo per esaminare, anche se tali specifici argomenti onestamente hanno ben poco di politico, tranne l'ultima parte del provvedimento - ovverosia il capo III, quello che ci preoccupa di più - in materia di giustizia.
La preoccupazione non deriva tanto dal modo in cui tale materia è stata recepita all'interno del provvedimento in esame, considerato che la legge n. 11 del 2005 è stata scritta da noi, attraverso l'azione dello scorso Governo, quindi siamo noi - non lo neghiamo - ad aver voluto il recepimento delle norme comunitarie attraverso questo strumento più snello. Tuttavia ritenevamo, per gli argomenti che troviamo dall'articolo 28 all'articolo 32 del provvedimento in esame, che fosse più opportuno un dibattito a sé stante, proprio per l'importanza della materia e per la cessione di sovranità attuata dallo Stato nei confronti dell'Europa in tema di giustizia.
Per questo abbiamo presentato tutta una serie di emendamenti, certamente di tipo soppressivo, cioè diretti allo stralcio totale della situazione che si determinerebbe, ma che, in qualche modo, cercano anche di mitigare tale condizione e di riportare un po' di sovranità all'interno di quest'Aula. Infatti, ci sembra che, ogni qual volta affrontiamo temi di natura europea e ogni qualvolta parliamo di ordinamento europeo da armonizzare (o meglio, di ordinamento italiano da armonizzare con quello europeo), vi sia molta confusione dettata da volontà politiche ben specifiche. Quando si vuole essere assolutamente europeisti, perché fa comodo, si verifica questo tipo di accelerazioni, prevaricando un dibattito parlamentare che non necessariamente deve essere di natura ostruzionistica, e anzi potrebbe tranquillamente esprimere un atteggiamento di opposizione costruttiva, come la Lega ha sempre dimostrato di voler e saper tenere all'interno dei due rami del Parlamento. Tant'è; però, prendiamo attoPag. 21della volontà politica di questo Governo di marciare invece a testa bassa, sfruttando, in definitiva, norme scritte non più tardi di un paio di anni fa.
Non mi soffermerò più di tanto sugli aspetti tecnici del disegno di legge comunitaria perché - come ha affermato prima il collega Pili - esso riguarda il recepimento di direttive veramente de minimis: dai ciucci per i bambini a temi molto più futili.
Abbiamo presentato, signor Ministro, alcuni emendamenti sicuramente non ostruzionistici ma di merito, al fine di dare una risposta ai cittadini perché anche questi ultimi hanno bisogno di chiarezza, e mi riferisco soprattutto agli operatori economici in determinati settori.
Cosa succede nel momento in cui sussistono decisioni della Commissione europea ben specifiche, magari in attuazione di regolamenti comunitari, quindi immediatamente recepite all'interno del nostro ordinamento, che però poi vengono disattese da alcuni settori della pubblica amministrazione? Si crea una confusione enorme. Il cittadino, infatti, è costretto a ricorrere alla Corte di giustizia europea, se non addirittura ai vari gradi italiani di giudizio, per ottenere giustizia magari dopo tanti anni, vedendo la propria azienda e la propria posizione completamente svilite rispetto al loro valore iniziale.
È arrivato, a nostro avviso, il momento da parte del suo Ministero di fare chiarezza su tali questioni perché - lo ripeto - vi è tutta una serie di sentenze da parte dalla Corte di giustizia europea che condannano non solo i giudici che magari applicano normative italiane in contrasto con quelle europee, ma anche funzionari della pubblica amministrazione che disattendono completamente questo tipo di regolamenti e di decisioni.
A mio avviso, deve essere dato un segno di chiarezza: o le decisioni devono essere tutte recepite in via amministrativa oppure, come insegna il cosiddetto «primato» del diritto comunitario (non solo attraverso il Trattato, ma anche attraverso una serie di sentenze anche della Corte costituzionale), si intende che tali decisioni siano automaticamente recepite all'interno del nostro ordinamento italiano.
Ciò per fare chiarezza perché, signor Ministro, tutto nasce da una miriade di segnalazioni - pervenute al nostro gruppo, ai colleghi parlamentari della Lega Nord - di uffici appartenenti, magari, allo stesso Ministero: non fra Roma e Milano, ma, ad esempio per parlare di casa mia, fra Bologna e Forlì, un ufficio applica una decisione in un modo, mentre l'altro, a 60 chilometri di distanza, la applica in maniera assolutamente difforme, ma di fatto avendo ragione entrambi.
Pertanto, se si vuole veramente andare verso un'armonizzazione (questa parola «magica»!) dell'ordinamento, si diano segnali precisi e non si crei confusione. Quest'ultima, infatti, sicuramente fa perdere tempo alla pubblica amministrazione, ingolfa le aule dei tribunali, non dà certezze ai cittadini e li allontana dal concetto di certezza, non tanto della giustizia, ma se non altro dalle norme dell'ordinamento che devono essere applicate.
Il secondo aspetto relativo alla legge comunitaria che abbiamo sollevato, non in maniera provocatoria, ma cercando, anche in questo caso, di dare un segnale ed una risposta chiara a oltre seimila aziende - che lavorano quasi tutte (ma non tutte) nel nord del Paese e, quindi, in Padania - è relativo ad una richiesta di sospensione del pagamento delle multe relative alle «quote-latte».
Signor Ministro, so benissimo che si tratta di un problema di difficile soluzione, non lo nascondo. Tuttavia, voi avete creato un precedente, non più tardi di un mese fa, nella legge finanziaria; voi avete creato un precedente, non più tardi di sei mesi fa, con la questione dei contributi agricoli per il sud, arrivando addirittura a fare una sanatoria del 90 per cento, sapendo benissimo che, poi, il 10 per cento restante non lo potrete neanche ottenere.
Non discutiamo in questa sede che, tecnicamente, si tratti di una soluzione diversa, tuttavia si tratta di capire se da parte di questo Governo vi è l'intenzione di trattare tutti gli operatori del settorePag. 22dell'agricoltura come operatori di serie «A», o se esistano operatori di serie «A», di serie «B» e di serie «C». Questo è il punto. Poi, tecnicamente, per trovare una soluzione, siamo molto disponibili a riformulazioni e ad ascoltare le proposte di questo Governo.
Le faccio presente, signor Ministro - lo affermo non per fare sensazionalismo, ma è un dato di fatto - che con la modifica che avete apportato due o tre mesi fa in relazione all'assegnazione ad Equitalia della capacità di riscossione di tutte le multe che gli allevatori devono pagare, vi sarà - nell'arco di sessanta o novanta giorni al massimo - una mortalità di aziende del settore lattiero-caseario altissima. Sappiamo benissimo che questo, nonostante tutto, è un punto di eccellenza della nostra produzione e del nostro commercio, non solo interno ma anche esterno, non solo verso l'Europa ma verso il mondo.
Pertanto, se non si trova una soluzione, si mette in crisi un intero settore. A beneficio di chi? Questo Stato ha buttato via moltissimi soldi, troppi. Qui si tratta non di buttar via dei soldi, ma di sospendere delle cartelle, salvare delle aziende e trovare una soluzione, perché gli allevatori non dicono di non voler pagare le multe, ma che, per come gli sono state poste, non sono in grado di pagarle; che le pagherebbero molto volentieri, chiudendo completamente il proprio contenzioso con l'Europa e con lo Stato, ma che non sono in grado di farlo.
Fino ad ora, onestamente, abbiamo avuto come interlocutori dei sordi, perché quando si tratta di salvare persone che volutamente hanno evaso dei contributi agricoli, il Governo ha aperto le braccia e le ha salvate.
Ciò non accade, invece, quando si tratta di venire incontro ad esigenze di una parte fondamentale del Paese - quella che produce, ossia il nord - in un settore strategico anche per il commercio. Lei, Ministro, ha anche la delega importantissima per il commercio internazionale e si rende conto benissimo, durante i suoi spostamenti internazionali, di cosa significhi portare certi prodotti della nostra Padania in giro per il mondo: significa avere un prodotto d'eccellenza da spendere in maniera «pesante».
Pertanto, lo ripeto, noi siamo qui e attendiamo un cenno da parte vostra: siamo disponibilissimi a riformulare qualsiasi tipo di proposta emendativa e ci auguriamo che, magari, il Governo presenti un emendamento che trasli nel tempo la decorrenza e dia così maggiori possibilità a questi operatori. Non vogliamo la primogenitura di nessuna battaglia, vogliamo solo risolvere dei problemi per i cittadini.
Cercherò di essere breve, tuttavia consentitemi un accenno alla relazione annuale, che, così come è formulata, onestamente (e mi dispiace per il collega e amico Frigato), facciamo molta fatica a sostenere e a votare favorevolmente. Anche in questo caso, non scendo nei vari dettagli; tuttavia mi soffermo su due questioni che riteniamo fondamentali.
In primo luogo, si compie un passo indietro rispetto alla relazione dell'anno precedente, la quale stabiliva il coinvolgimento popolare attraverso una consultazione negli Stati membri nel momento in cui si sarebbe dovuto ratificare il Trattato. Quella era una previsione che ci piaceva. Noi, infatti, abbiamo sempre sostenuto che è il popolo a dover decidere; è il popolo che, in una democrazia, ha la sovranità e deve decidere se accettare o meno una Costituzione imposta dall'alto.
Visto che il popolo non ha potuto partecipare alla costruzione di questo testo, se non altro occorre fargli esprimere un parere. Almeno lasciategli questo potere, dal momento che ogni sovranità, all'interno degli Stati membri, sembra ormai «scippata» dalla «eurocrazia» o dagli «eurocrati» che siedono fra Bruxelles e Strasburgo. E invece no: al contrario, assistiamo ad una spinta a portare all'esame delle Camere il Trattato per ratificarlo immediatamente. Questo non ci piace!
Il secondo aspetto che non ci piace - lo abbiamo detto l'anno scorso, lo ribadiamo quest'anno e lo ribadiremo fintantoPag. 23che qualcuno cercherà di compiere questo passo che riteniamo assolutamente sbagliato - è la spinta verso l'ingresso della Turchia in Europa, verso l'adesione della Turchia all'Unione europea. Si tratta di un errore strategico pesantissimo, ripeto, pesantissimo!
Lo abbiamo sottolineato in quest'Aula, come Lega, almeno due o tre volte all'anno, nelle occasioni in cui si discute di politica estera o di Europa. Tuttavia, evidentemente, anche in questo caso, abbiamo a che fare con dei sordi; infatti, le problematiche che un'adesione di questo tipo creerebbe a tutta l'Europa (sicuramente non solo all'Italia) sono enormi, ma, in qualche modo, si fa finta di non vederle.
Questi sono già due motivi per noi abbastanza gravi per non votare a favore sulla relazione annuale. Tuttavia, ci troviamo all'interno di un Parlamento: si parla, si dibatte, si discute e ci si confronta. Se arrivano segnali in senso più democratico da parte della maggioranza e del Governo, siamo dispostissimi anche a rivedere la nostra posizione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gozi. Ne ha facoltà.
SANDRO GOZI. Signor Presidente, ascoltando gli interventi di alcuni colleghi e dell'onorevole Pini, ho avuto l'impressione di andare indietro di venti, venticinque anni. Abbiamo ascoltato la descrizione di un'Europa che non esiste più, lontana «tre trattati» da quella con cui ci dobbiamo confrontare ogni giorno. Abbiamo ascoltato critiche all'Europa che non credo si sentano più nemmeno nel Parlamento di Westminster, il quale non si è mai qualificato, da questo punto di vista, come particolarmente «eurofilo».
Stiamo andando con fatica, ma con determinazione, verso l'Europa dei diritti e della democrazia, verso un'Europa in cui il Parlamento europeo - espressione massima della democrazia - ha un ruolo più ampio e ancora dobbiamo ascoltare le critiche all'Europa dei burocrati che si muovono tra Strasburgo e Bruxelles!
Non credo sia questo un modo molto costruttivo - né per l'Italia, né per questo Parlamento - di affrontare le tematiche molto serie con cui, al contrario, ci dobbiamo confrontare e che, ovviamente e inevitabilmente, visto il calendario, «legano» il disegno di legge comunitaria e la relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea con l'attualità europea e quindi con il recente Trattato di Lisbona.
Su questo credo che non dovremmo aspettarci ulteriori accelerazioni che in Europa non sarebbero oggi possibili. Abbiamo appena firmato un trattato, ci avviamo ad aprire le relative procedure di ratifica: ritengo che dovremmo verificare come funzioni il nuovo trattato, sapendo che esistono aspetti su cui dovremo lavorare di più e sapendo, altresì, che le elezioni europee del 2009 dovranno essere finalmente utilizzate per promuovere una certa visione dell'Europa e, soprattutto, per rafforzare la dimensione democratica della stessa, anche mediante la partecipazione dei cittadini e degli elettori al processo europeo. A tale riguardo, Presidente, dovremmo pensare ad una modifica della legge per le elezioni al Parlamento europeo - peraltro, credo che in I Commissione siano stati avviati i relativi lavori -, legge che risale a trent'anni fa, quando il Parlamento europeo era un'Assemblea consultiva. Si tratta di una normativa che non corrisponde affatto alle esigenze di una presenza più qualificata, più efficiente e più forte dell'Italia in seno allo stesso Parlamento europeo.
Sono temi sui quali dovremmo riflettere allo scopo di promuovere, al termine della prossima legislatura europea, un dibattito serio e approfondito su come il Trattato di Lisbona funzioni e su quali parti vadano riconsiderate. È chiaro che l'Europa che si delinea sulla base del suddetto Trattato è molto diversa da quella che in parte abbiamo conosciuto. Ritengo che su tale base si svilupperà un'Europa a densità variabile, in cui si potrà essere membri con modalità e con intensità diverse. Già oggi si stanno lentamente delineando, tra gli attuali Stati membri, diversi modi di partecipazione. Trattato dopo trattato, ad esempio, il RegnoPag. 24Unito si è andato ritagliando uno status speciale all'interno dell'Unione europea: è fuori dalla Carta dei diritti fondamentali, fuori dall'euro, fuori dagli accordi di Schengen, con una opzione per quanto riguarda il settore degli affari interni. Allo stesso tempo, in questa Europa che giustamente e fortunatamente sta diventando una unione continentale, ci sono Stati non membri dell'Unione europea che partecipano ad alcune delle sue più grandi realizzazioni. La Norvegia e l'Islanda, ad esempio, sono nello spazio Schengen, la Svizzera probabilmente li raggiungerà: tali Paesi condividono con noi l'intero mercato interno. Alla densità variabile al suo interno, quindi, l'Europa sta aggiungendo frontiere mobili, frontiere intese in maniera molto diversa da quelle cui si può pensare per uno Stato nazionale, dosando apertura, cooperazione e controllo. L'apertura ad est delle frontiere dell'Unione europea, completata con l'allargamento dello spazio Schengen, ha definitivamente sconfitto l'idea di un'Europa chiusa, arroccata in difesa, che volta le spalle ai suoi vicini e rinuncia ad assumersi le sue responsabilità continentali e globali. Ora, anche sulla base del Trattato di Lisbona, l'Unione europea dovrà mostrare più coraggio e determinazione nello sviluppare la sua politica di vicinato, soprattutto nel Mediterraneo, predisponendo anche forme di adesione differenziata e status speciali per i Paesi non membri. Il Trattato di Lisbona consentirà quanto richiamato in quanto reca due disposizioni alle quali, come Italia, dovremo fare grande attenzione: la prima è la previsione che stabilisce che l'Unione europea potrà avviare rapporti speciali con i Paesi vicini - e la nostra priorità, in tal caso, dovrà essere quella di sviluppare tali rapporti speciali con i paesi del Mediterraneo -; la seconda è la disposizione che stabilisce la necessità di facilitare il ricorso a cooperazioni rafforzate. Per questo motivo parlavo di un'Europa che sarà sempre più, a mio parere, flessibile e a densità variabile. Il nuovo Trattato introduce l'idea che per uno Stato non basterà voler essere nei gruppi di avanguardia, dovrà dimostrare di averne la capacità e le risorse. Ritengo, pertanto, che sia interesse nazionale del nostro Paese ragionare su come intendiamo partecipare a questa Europa che sarà un'Europa della differenziazione e della differenziazione selettiva. In altre parole, occorrerà dimostrare di avere la piena capacità istituzionale, politica e finanziaria per fare parte dei gruppi dei Paesi più avanzati, gruppi che varieranno secondo le politiche. Ritengo, quindi, che il nostro sistema, a partire dal Parlamento, ma anche con riguardo al sistema amministrativo, dovrà diventare più competitivo in quanto in un'Europa più flessibile e più selettiva chi è lento perde la sfida.
Questo, a mio parere, è il quadro in cui dobbiamo inserire, ad esempio, il dibattito sull'attuazione della legge n. 11 del 2005 e sulla qualità, oltre che sulla tempestività, dei meccanismi nazionali di recepimento. Questa necessità, però, è resa ancora più urgente proprio dal Trattato di riforma di Lisbona che apre nuovi scenari, non solo per il funzionamento complessivo delle istituzioni comunitarie, ma anche per il loro rapporto con le istituzioni nazionali. Ciò a partire, appunto, dai Parlamenti, anche con riguardo alla tutela dei diritti connessi al conferimento di efficacia giuridica vincolante alla Carta dei diritti.
Risulta del tutto evidente che l'attuazione del diritto comunitario sarà ancora più agevole ed efficace qualora ad essa corrisponda un adeguato esame in fase ascendente e, d'altro canto, è proprio la fase ascendente che rappresenta uno dei cardini per qualificare il ruolo dei Parlamenti nazionali nell'ordinamento comunitario.
Credo che da questo punto di vista il nostro Governo abbia fatto grandi passi in avanti rispetto ad una situazione disastrosa e disastrata con la quale si è dovuto confrontare all'inizio di questa legislatura. Oggi parliamo delle questioni delle infrazioni, ma potremmo certamente allargare il discorso riferendoci alla situazione dei conti pubblici dalla quale questo Governo è dovuto partire visto il disastro lasciato dal Governo precedente.
Credo che gli apprezzamenti di questi ultimi giorni per lo sforzo di risanamentoPag. 25alla luce dei cosiddetti criteri di Maastricht dimostrino che le cose non stanno esattamente come sono state descritte oggi e che il nostro Governo abbia riacquisito un suo ruolo e una sua credibilità a livello comunitario.
Del resto, per quanto riguarda il disegno di legge comunitaria, possiamo esaminare anche la questione delle infrazioni: nel maggio 2006, all'inizio di questa legislatura, le procedure di infrazione a carico dell'Italia erano 275 mentre oggi sono scese a 223. Si tratta già di un dato numerico importante, un dato quantitativo al quale si aggiunge un aspetto qualitativo di particolare rilievo: infatti, a testimonianza dello sforzo del Governo, vi è la diminuzione del numero di procedure per violazione del diritto comunitario che dimostra una rinnovata sensibilità per la materia comunitaria.
Certo resta ancora molto da fare anche per continuare a recuperare il ritardo accumulato nel periodo dal 2001 al 2006. Occorre certamente un ulteriore sforzo del Governo e del Parlamento nel migliorare e accelerare la predisposizione della normativa di attuazione. In tal senso è fondamentale la scelta, sancita dal comma 1 dell'articolo 1 del disegno di legge al nostro esame, di far coincidere, di norma, il termine per l'esercizio della delega con la scadenza del termine di recepimento della direttiva.
Tale soluzione contribuirà sicuramente a ridurre i ritardi nel recepimento delle direttive, ma richiede che le competenti amministrazioni avviino la predisposizione dei decreti di recepimento tempestivamente, anche prima dell'approvazione del disegno di legge comunitaria.
Vale la pena poi sottolineare un dato già ricordato dal presidente Bimbi: anche quest'anno, come già nel 2006, la relazione governativa al disegno di legge fornisce alcuni elementi circa l'attuazione delle direttive da parte delle regioni.
PRESIDENTE. Deputato Gozi, concluda.
SANDRO GOZI. Concludo, Presidente. Si tratta di dati che devono essere comunicati annualmente e che certamente dobbiamo pretendere dalle varie regioni.
Per concludere rapidamente, Presidente, vorrei sottolineare che non è il Governo a tagliare fuori il Parlamento dall'attività comunitaria, ma è il Parlamento che, per così dire, taglia fuori se stesso ed è evidente che dobbiamo avviare un dibattito approfondito sulla riforma dei Regolamenti.
Sono convinto - e sono perciò d'accordo - del fatto che occorre introdurre una sessione comunitaria con procedure analoghe a quelle della sessione di bilancio e credo anche che sia fondamentale un abbinamento della relazione annuale...
PRESIDENTE. Deputato Gozi, deve concludere.
SANDRO GOZI... con quella dei programmi della Commissione europea e del Consiglio dell'Unione. Tale abbinamento e tale sessione comunitaria potrebbero veramente contribuire a sollevare un dibattito, non solo tempestivo, ma anche approfondito sulle questioni europee, dibattito che mi sembra mancare in questo Parlamento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cassola. Ne ha facoltà.
ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, Ministro, onorevoli colleghe e colleghi, per come si è svolto il dibattito da ambo le parti, mi sembra che concordiamo tutti sul fatto che occorre cominciare a separare l'esame del disegno di legge comunitaria da quello della relazione annuale dell'anno precedente. Fino ad oggi, invece, tutti e due sono stati esaminati congiuntamente.
Mi rallegro di vedere da parte del Governo, in particolare da parte del Ministro Bonino, che vi è la ferma volontà di procedere in tale direzione per approdare, eventualmente, ad una sessione comunitaria in Assemblea, concetto ribadito da tutti i colleghi ma soprattutto dalla relatrice, la presidente Bimbi.
È anche vero che oggi stiamo vivendo una situazione surreale, non so se più kafkianaPag. 26o più fantozziana. Oggi, 14 gennaio 2008, mentre i Parlamenti degli altri ventisei Paesi stanno discutendo il programma dei loro Governi per il 2008 noi stiamo invece discutendo il programma del 2007, anno che è passato, «morto e sepolto».
Mi riallaccio così a quanto sostenuto dal collega Pini che ha attribuito tale vicenda al Governo Prodi, che sarebbe assolutamente impotente e in balia dell'Europa. Come affermato dal collega Gozi, non è così. Se siamo in ritardo è perché questo Parlamento ha delle regole, dei Regolamenti e delle procedure antiche, antiquate e anacronistiche, non solo in ordine alla legge comunitaria ma anche in altri settori e pertanto servono delle riforme urgenti.
Il collega Pili, che mi sembra più appartenente al gruppo degli euroscettici di Bonde nel Parlamento europeo che al Partito popolare europeo, ha giustamente evidenziato la necessità di tutelare la sovranità nazionale. Ma con il Trattato di Lisbona, i Parlamenti nazionali non hanno più potere? Si tratta di un passo in avanti. Forse non è tutto quello che vorremmo, ma andiamo avanti.
È giusto che sia tutelata la sovranità nazionale, però quando dobbiamo affrontare dei problemi a livello nazionale, onorevole, l'Italia non deve dividersi in venti regioni e in cento province! Quando vi è un problema nazionale, non può essere che qualche regione o qualche provincia si considerino estranee alle questioni trattate. Chi risolve i problemi? Dobbiamo necessariamente tornare all'Europa per risolvere qualcosa ed esportare i nostri problemi all'estero? Non è possibile!
Un altro punto su cui si è concentrata la mia attenzione si riferisce a quanto evidenziato sempre dal collega, che ha criticato il Ministro Pecoraro Scanio, il quale sotto l'imposizione dell'Europa e quasi con la pistola puntata alla testa, istituirebbe le zone ZPS, i siti di importanza comunitaria e altro ancora. Cosa c'è di male in ciò? Noi tuteliamo proprio la biodiversità italiana, l'agricoltura biologica, quella estensiva, l'agriturismo, il turismo culturale. Tutti questi settori sono il frutto di tale azione e non si tratta solo di una questione ambientale, ma anche di natura economica perché sono attività che creano posti di lavoro e, con il turismo, portano introiti all'Italia. Pertanto, si potrebbe dire: ben venga l'Europa se impone un tale modo di agire!
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 18,05)
ARNOLD CASSOLA. Tuttavia, tornando al provvedimento in esame, siamo in ritardo nel discutere la legge comunitaria e tale ritardo è penalizzante principalmente in fase ascendente, come tanti hanno già affermato prima di me, in quanto il Parlamento non è riuscito finora a dare un contributo significativo alla formulazione della posizione del Governo in merito alle varie tematiche, prima della discussione del Consiglio dei ministri a Bruxelles. Il ritardo nell'agire in fase ascendente ha fatto sì che l'Italia non abbia, finora, influito a dovere sulla formulazione delle varie direttive europee. Inoltre, la parziale assenza dell'Italia in fase ascendente comporta una forte ricaduta nella fase discendente, in quanto diventa più difficile recepire le direttive su cui non si è potuto influire in fase ascendente. Ciò è tanto vero che nei cinque anni della legislatura precedente l'Italia è scesa con rapidità «supersonica» in fondo alla classifica dei venticinque Paesi, arrivando alla vergognosa cifra di 275 infrazioni. Alla fine dell'anno vi è stato qualche progresso, grazie anche al lavoro del Ministro e del suo staff, perché finalmente l'Italia ha stabilito un record europeo positivo divenendo il Paese che nel corso dell'anno 2007 ha chiuso con il maggior numero di processi di infrazione rispetto a tutti gli altri ventisette Paesi membri. Pertanto, qualcosa si sta muovendo.
Concordo con il Ministro Bonino e la presidente Bimbi che per continuare su questa strada virtuosa sarebbe di grande utilità che l'amministrazione italiana, che fa capo al Ministero per le politiche europeePag. 27e al CIACE, privilegiasse l'assunzione di personale che abbia maturato un'esperienza lavorativa nelle istituzioni europee. Si tratta di una ricchezza e di risorse che non devono essere buttate via. È inutile mandare le persone a lavorare a Bruxelles presso la Commissione, il Parlamento o le altre istituzioni europee per alcuni anni e poi, al ritorno in Italia, affidare loro compiti che nulla hanno a che fare con le istituzioni europee.
Riepilogando, se vogliamo che il contributo di questo Parlamento all'attività comunitaria di Governo sia veramente efficace dobbiamo, in primo luogo, far sì che vi sia una netta separazione tra l'esame della Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea di un dato anno (in questo caso il 2006) e l'esame del programma di Governo per l'anno successivo (il 2007).
In secondo luogo, occorre anticipare i tempi dell'esame dei testi della Relazione e del programma, se veramente vogliamo influire in modo positivo. È quindi ovvio che per raggiungere i suddetti obiettivi il Parlamento debba rivedere i meccanismi e le procedure previsti dal Regolamento della Camera, che attualmente nocciono ad un esame tempestivo dei disegni di legge. Direi di più, il Regolamento della Camera deve essere riesaminato in toto perché ormai - come la legge finanziaria docet - vi sono troppe norme e procedure datate e anacronistiche che, piuttosto che aiutare, ostacolano il buon lavoro della Camera stessa.
Vi sarebbero tante materie da ricollegare alla legge comunitaria; mi limito a due argomenti che hanno a che fare con la ratifica del trattato di Lisbona. In parte in senso contrario a quanto affermato dal collega Falomi, il quale muove dal concetto che il Trattato di Lisbona sia imperfetto - siamo assolutamente d'accordo sul punto - e che, quindi, bisognerebbe già cominciare a parlare della revisione dello stesso, ritengo che occorra ratificarlo. Infatti, se cominciamo a mettere in dubbio, già da ora, un Trattato che ancora non è stato ratificato - dobbiamo ricordare che siamo fermi al Trattato di Nizza del 2000 - non riusciremo a migliorarlo in futuro.
Lo dico anche perché, effettivamente, sono già sorti alcuni problemi. La Presidenza slovena, ad esempio, ha fatto notare che vi sono diverse difficoltà ancora da risolvere al tavolo tecnico di Bruxelles. L'Italia, però, deve essere proattiva e protagonista nell'affrontare i nodi da risolvere al tavolo tecnico. In particolare, occorre risolvere, ad esempio, i nodi interpretativi che riguardano il funzionamento del neo-istituito ufficio degli affari esteri dell'Unione europea, con l'alto segretario. Questo ufficio si occuperà esclusivamente di futuri allargamenti dell'Unione europea? Della politica di vicinato? Della politica per lo sviluppo e la cooperazione? Esattamente, fino ad oggi, non si sa, perché alcuni Paesi forniscono un'interpretazione diversa delle funzioni di tale ufficio. Inoltre, anche gli altri commissari europei che si occupano di commercio dovranno occuparsi di aiuto allo sviluppo? Che ruolo avrà lo staff militare di stanza nel Consiglio? Si tratta di nodi da sciogliere.
Un ulteriore dubbio che sorge, già ricordato, riguarda il numero dei componenti della Commissione europea. Il Trattato di Lisbona prevede, dopo il 2014, un numero di commissari pari a due terzi del numero degli Stati membri, secondo un sistema di rotazione indipendente dalla grandezza o dall'importanza dei Paesi. Invece vi sono politici, come Valéry Giscard d'Estaing, personalità come Pietro Calamia, che è stato presidente del Coreper, studiosi come Philippe de Schoutheete, che già cominciano a mettere in dubbio il principio della uguale rotazione fra i Paesi membri. Valéry Giscard d'Estaing afferma che non è possibile avere una Commissione europea senza un commissario britannico, tedesco o francese; Calamia si domanda se sia possibile dare un commissario a Malta, Cipro, Montenegro, magari al Kosovo, quando non ne ha uno un Paese grande.
Questi sono problemi di cui si potrà parlare in un futuro anche abbastanza ravvicinato, ma se già cominciamo a portare a galla questi dubbi adesso, non pensando all'effetto che possono avere nei Paesi piccoli e in quelli meno importanti,Pag. 28rischiamo di mettere in pericolo la ratifica del Trattato di Lisbona. Poi altro che migliorarlo, se saremo di nuovo al Trattato di Nizza!
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 18,10)
ARNOLD CASSOLA. Ritengo, per concludere, che sia nell'interesse di tutti che questi nodi vengano risolti pienamente prima dell'entrata in vigore del Trattato, così potremmo anche evitare problemi interpretativi nel futuro (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e Partito Democratico-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pettinari. Ne ha facoltà.
LUCIANO PETTINARI. Signor Presidente, signor Ministro, credo che l'argomento che stiamo trattando non si presti alla logica del tutto positivo contrapposto al tutto negativo. Credo più opportuno sottolineare luci e ombre della legge comunitaria di quest'anno, anche perché - lo ha rivelato peraltro il dibattito fin qui svoltosi - si avverte qualcosa di stridente tra le ottime intenzioni e i risultati effettivi.
Da una parte, positivamente, abbiamo la forte, e a mio avviso ben riposta, enfasi nei riguardi dell'Unione europea e delle politiche europee e gli sforzi fatti per giungere ad un'ottimizzazione dei rapporti tra l'ordinamento nazionale e quello comunitario, tra il Parlamento nazionale e le articolazioni territoriali; vengono introdotti, anche da questo provvedimento, nuovi meccanismi di recepimento, e vengono ampliati i contenuti della legge comunitaria. Tutto ciò è positivo.
D'altra parte, occorre guardare alla realtà, e anche questo è stato sottolineato nel dibattito. La legge comunitaria 2006, presentata a giugno, è stata approvata in terza lettura nel gennaio dell'anno successivo; la legge comunitaria 2007, presentata a marzo, nel gennaio del 2008 si trova in seconda lettura, e l'iter non si è ancora concluso. Il documento che accompagna la legge comunitaria 2007 che esaminiamo in questa sede si riferisce alla partecipazione italiana all'Unione europea nel 2006. Mi pare che questi siano dati contraddittori, e non certo positivi, sotto gli occhi di tutti.
Al di là di quanto concorre a tali ritardi e incongruenze, varrebbe la pena di riflettere - e del resto lo si sussurra da molti anni - sull'introduzione di un'unica sessione parlamentare dedicata alle politiche comunitarie, in particolare alla loro fase ascendente. Questa sessione dovrebbe concentrarsi all'inizio di ciascun anno, con una discussione che possa durare il tempo necessario, per entrambi i rami del Parlamento, e che comprenda gli orientamenti del Governo e i programmi della Commissione e del Consiglio europeo, diventando una sorta di documento programmatico in chiave comunitaria.
Non occorre ricordare che la fase ascendente del diritto comunitario è il punto cardine per il ruolo dei Parlamenti nazionali; tuttavia, nonostante gli sforzi e le modifiche legislative, qualcosa nel meccanismo continua ad incepparsi. Non si riesce a dare certezza e tempestività alla volontà di recepimento, e ciò rappresenta un limite tecnico, oltre che politico, dei nostri meccanismi. Non si riesce ancora, in un senso soddisfacente, a consentire l'approvazione tempestiva di indirizzi parlamentari finalizzati alla definizione della posizione del nostro Paese nell'ambito europeo. È da segnalare che analogo disagio si riscontra in altri Paesi europei di primo piano, riguardo alle dinamiche e agli sviluppi dell'Unione europea. Questo elemento spinge ad ampliare e a sottolineare ancora di più la riflessione, che già appare dovuta, in proposito.
I disegni di legge comunitaria che si susseguono anno dopo anno, come ricordava la presidente Bimbi, non impediscono l'alto numero di procedimenti di infrazione aperti nei confronti del nostro Paese.
A novembre 2007 risultano aperte complessivamente 223 procedure di infrazione, 168 per violazione del diritto comunitario e 55 per la mancata attuazione di direttive nel nostro ordinamento.Pag. 29
Tale situazione - è stato ricordato dalla presidente Bimbi - appare in miglioramento, ma è evidente che i numeri testé ricordati la rendono lontana da quello che può dirsi un buon risultato, a fronte, soprattutto, degli sforzi profusi. Negli ultimi anni - qui sta il miglioramento - sono stati compiuti passi in avanti verso la riduzione dell'elevato numero delle procedure di infrazione a carico dell'Italia e il Governo - va ricordato - è intervenuto spesso, anche con procedure di urgenza, al fine di evitarne le conseguenze. Tuttavia, sarebbe opportuno prevedere meccanismi diversi, quali quello di istituire specifici uffici comunitari presso gli uffici legislativi dei dicasteri (va ricordato che in questo senso il Governo ha accettato un ordine del giorno).
Per quanto riguarda il disegno di legge comunitaria 2007, comunque, consideriamo positive alcune novità e alcune innovazioni. Mi riferisco al diritto di rivalsa dello Stato nei confronti dei soggetti, che possono essere istituzioni, organismi pubblici e territoriali, responsabili dell'inadempimento degli obblighi comunitari e internazionali, che comporta, come ricordato, sanzioni pecuniarie.
Per la prima volta vengono introdotte norme per dare attuazione, anche mediante delega al Governo, alle decisioni quadro adottate nell'ambito della cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale (il cosiddetto terzo pilastro). Si tratta, in particolare, delle decisioni quadro che riguardano la lotta contro la corruzione, il mandato di arresto europeo, la confisca di beni, il riconoscimento reciproco delle sanzioni pecuniarie. Questi sono aspetti che comportano l'introduzione nel nostro ordinamento di nuove fattispecie criminose.
Così come mi paiono interessanti, nella proposta di quest'anno, le novità, alcune delle quali vengono anche dalla discussione al Senato, in riferimento ai decreti delegati per il recepimento delle direttive di cui all'Allegato A, inclusa la previsione, se il Governo non intende conformarsi alle condizioni formulate dalle Commissioni competenti per i profili finanziari, di un nuovo parere delle stesse, che va espresso entro venti giorni (con l'introduzione, quindi, di un doppio parere, che può essere utile).
È stato inoltre inserito il principio dell'attuazione unitaria delle direttive che riguardano le stesse materie e di quelle che, pur concernendo materie diverse, comportino modifiche degli stessi atti normativi.
La stessa relazione governativa allegata alla legge comunitaria dovrà contenere una nota aggiornata su ciascun anno precedente riguardante alcune questioni fondamentali: i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e lo stato delle eventuali procedure d'infrazione; l'elenco delle direttive attuate e da attuare in via amministrativa; l'eventuale omissione dell'inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto; l'elenco delle direttive attuate con regolamento nonché di quelle già eventualmente adottate.
La relazione sulla partecipazione italiana all'Unione europea dovrà contenere anche notizie, dati e risultati del Comitato interministeriale per gli affari comunitari ed europei.
Il Governo sarà altresì obbligato a trasmettere tutta la documentazione intercorsa con l'Unione europea a proposito di procedure di infrazione in corso, nonché nelle fasi di precontenzioso e nelle procedure giurisdizionali.
Viene introdotto, come già ricordato, il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di soggetti (istituzioni e organismi pubblici) responsabili dell'inadempimento degli obblighi comunitari e internazionali.
Tutto questo per dire che, evidentemente, si cerca di fare dei passi in avanti. Lo sforzo viene fatto e ciò rende ancora più cogente la necessità di un salto in avanti e di una strada nuova nella nostra discussione su questi temi.
In particolare, per quanto riguarda la relazione sulla partecipazione italiana all'Unione europea nel 2006, credo che - è stato già detto, ma è importante sottolinearlo - occorra tener conto del fatto che la relazione in esame è stata presentata nel marzo 2007. Quindi, considerato che è trascorso del tempo e sono anche cambiate diverse situazioni, con un certo imbarazzoPag. 30la Camera sta discutendo sulla relazione con un anno di ritardo. Si tratta di una questione che, a mio avviso, sarebbe opportuno affrontare e risolvere, come è stato affermato nella relazione introduttiva della presidente Bimbi, e ripreso da numerosi colleghi nei loro interventi.
Sulla base dei rilievi svolti, ritengo che appaiano più che evidenti l'inadeguatezza e l'anacronismo delle procedure per il completamento della funzione di indirizzo, senza contare la diversità delle due «anime»: amministrativa e attinente alla fase discendente del disegno di legge comunitaria, politica e attinente alla fase ascendente della relazione. Occorre, dunque, evitare uno sfasamento temporale così marcato della relazione, che rende la stessa anche abbastanza obsoleta rispetto alla realtà, ipotizzando - come è stato già prospettato - una disgiunzione del disegno di legge comunitaria, per affiancarlo all'esame dei programmi annuali della Commissione e dei Consigli europei.
Sono stati compiuti passi in avanti, ma occorre individuare procedure e strumenti che rafforzino e diano maggiore incidenza al ruolo dell'Italia, e in particolare del Parlamento, nella fase ascendente di formazione degli atti comunitari e, soprattutto, delle politiche europee.
Il mio gruppo, Sinistra Democratica, a nome del quale sto intervenendo, condivide l'ipotesi, avanzata anche al Senato, di riesaminare la previsione del Regolamento della Camera, che ad oggi dispone la discussione congiunta del disegno di legge comunitaria e della relazione annuale, al fine di separare l'esame dei due documenti. Tuttavia, occorre anche che lo stesso Parlamento italiano rivolga un impegno maggiore verso gli affari comunitari e le mozioni sul processo di riforma dei trattati, che hanno avuto un percorso sempre molto travagliato. È necessario che il Parlamento senta una maggiore responsabilità verso le politiche comunitarie, proceda con più efficacia e fornisca con maggior vigore al Governo gli indirizzi che lo riguardano.
Sentiamo di dover segnalare che appare oscurato il ruolo dei Parlamenti in merito all'elaborazione dei trattati di riforma, che riflettono una dimensione completamente intergovernativa. Non appare opportuno limitare la partecipazione democratica su temi di tale valenza, che investono i ranghi costituzionali e i diritti individuali; questo è uno degli aspetti più negativi, con riferimento al quale è necessario compiere un passo in avanti anche riguardo alla relazione, perché così si è aperta un'enorme questione democratica del Trattato. La stessa relazione sulla partecipazione italiana appare quanto meno reticente sotto tale profilo, e credo sia opportuno inserire nella stessa un riferimento esplicito alla necessità che il processo di riforma costituzionale preveda un procedimento democratico e di partecipazione.
In questa sede sono state avanzate alcune proposte (mi riferisco all'intervento del collega Falomi); credo che non si possa prescindere dal prendere in considerazione queste o altre proposte (possiamo discuterne) che siano in grado di far percorrere strade nuove al processo di formazione della Costituzione europea. In caso contrario, quasi certamente ci ritroveremo nelle impasse che tale processo ha già vissuto e che, se ripetute, porterebbero ad un danno irreparabile per l'intero processo d'integrazione europea.
Ritengo che il Parlamento italiano non possa permettersi di concorrere a favorire questa nuova impasse, ma debba anzi sentire fortemente l'impegno per un processo che favorisca una partecipazione e un concorso popolare alla decisione di arrivare alla Costituzione europea, proprio per dare maggiore forza ad un processo che è tanto importante, ma che ha marcato il passo pesantemente fino ad oggi (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tondo. Ne ha facoltà.
RENZO TONDO. Signor Presidente, innanzitutto desidero dare atto al presidente della Commissione, oltre che della suaPag. 31relazione, della gestione dei lavori della Commissione completamente aperti anche al contributo dei commissari. Allo stesso modo credo sia corretto dare atto al Ministro della sua costante presenza ai lavori della Commissione; anche la sua presenza oggi in aula rappresenta un segno di rispetto verso il dibattito, a cui non tutti i Ministri ci hanno abituato. Quindi, ringrazio davvero il Ministro Bonino.
L'onorevole Pili ha già svolto una sorta di «contro relazione» rispetto alla posizione del partito di Forza Italia in ordine al merito del disegno di legge comunitaria. L'onorevole Gozi si è espresso in maniera critica rispetto all'intervento di Mauro Pili, affermando che parliamo di un'Europa che non c'è. Forse è anche vero, tuttavia noi vogliamo parlare di un'Europa che vogliamo costruire e non è l'Europa a cui guarda una parte di questo dibattito molto autoreferenziale.
Vorrei davvero che ci interrogassimo se i cittadini che ci stanno ascoltando (probabilmente molto pochi) riescono a capire di cosa stiamo parlando. Credo che abbiamo il dovere di porci questo interrogativo, anche perché questo è il terzo disegno di legge comunitaria che affrontiamo. Sappiamo che la legge comunitaria consente di adeguare l'ordinamento nazionale a quello comunitario, ma riteniamo che ciò non sia sufficiente. Riteniamo, infatti, che la legge comunitaria e in genere qualsiasi strumento attenga alla valutazione del rapporto tra il Governo nazionale, il Parlamento nazionale e l'Europa non possano rappresentare solamente un aspetto di carattere burocratico, come invece rischia di essere questo disegno di legge e come sicuramente (al di là di ciò che rischiano di essere) la relazione e il disegno di legge di fatto sono (lo ha già sottolineato Mauro Pili).
Non vi è, infatti, alcuna partecipazione - almeno noi non la cogliamo - del Governo o del Parlamento italiano nella fase ascendente. A maggior ragione ciò, invece, si dovrebbe verificare nel momento in cui, facendo riferimento all'ampliamento dei temi che la revisione del Titolo V ha comportato, avremmo davvero maggiori opportunità per contribuire a dare una nostra idea di sviluppo.
Il collega Pili ha già sottolineato la grande carenza del Governo e dell'Italia nella parte ascendente, ovvero nella parte di formazione del processo normativo. Non mi soffermo sulla carenza altrettanto consolidata - ne hanno già riferito anche i commissari di maggioranza intervenuti - in ordine alla fase attuativa, in quanto è sufficiente pensare alle numerose procedure d'infrazione.
A me interessa porre attenzione sul fatto che della fase attuativa, formativa e di predisposizione da parte del Governo e del Paese delle politiche che vorremmo attuare in Europa, nel disegno di legge comunitaria non si trova nulla; non si trova nulla in termini di energia, di sicurezza e di trasporti.
Parecchi interventi ricordavano il tema, ad esempio, della montagna, ovvero se non sia giunta l'ora di porre in termini molto forti all'attenzione dell'Europa - regione che ha molte aree montane che si stanno spopolando, creando grandi rischi anche per l'intero assetto della comunità - la necessità di ragionare in termini di fiscalizzazione di vantaggio rispetto a tali aree.
Credo che il nostro principale motivo di astensione in sede di Commissione come gruppo di Forza Italia rispetto al disegno di legge attenga al fatto che non abbiamo trovato, non dico un'anima, ma neanche una serie di proposte minimali rispetto alla politica del Governo.
Facendo riferimento al dibattito ritengo che ciascuno di noi abbia il dovere di interrogarsi anche su ciò che stiamo facendo. È necessario domandarsi quale sia il compito dell'Europa, della Commissione europea, dei Parlamenti nazionale ed europeo, dei Governi nazionali, delle regioni e degli enti locali.
Credo che a noi si impongano politiche di coerenza e di concretezza, e che dobbiamo realizzare esattamente il contrario di ciò che ha fatto il Governo Prodi rispetto non alle politiche comunitarie, ma al suo programma di lavoro, ovvero esattamente il contrario dell'elenco diPag. 32tutto ciò che vorremmo e che potremmo fare - come elencava precedentemente l'onorevole Gozi - ma cercare di individuare un numero ristretto di obiettivi strategici, precisi e realistici su cui cercare di lavorare.
Onorevole Ministro, oggi non siamo in grado di percepire, né in questo dibattito, né dalla sua relazione, né dal dibattito precedente, quali siano gli obiettivi del nostro Governo. Non lo percepiamo noi e non lo percepiscono i cittadini, che guardano con freddezza ai nostri dibattiti, che spesso - con riferimento all'Unione europea - sono a rischio di autoreferenzialità.
Davanti a ciò possiamo comportarci in due modi: o chiudere gli occhi davanti a tutti i problemi e far finta che non esistano, come fa il Presidente del Consiglio (e noi non siamo tra quelli che agiscono in tal modo) oppure affrontare i nostri problemi. A noi piace affrontarli: siamo consapevoli che dobbiamo interrogarci su questa strada. Abbiamo il dovere di farlo, perché altrimenti affossiamo un'idea di Europa (e noi crediamo nell'Unione europea), non riusciamo a trasmetterla ai cittadini e non siamo in grado di fare intelligere alla nostra comunità le proposte e le prospettive che forniamo.
Se oggi qualcuno è convinto oggi che ciò venga percepito, lo dica: io sono convinto del contrario e sono altrettanto convinto che, se non cominciamo (a livello parlamentare, di Commissione e di Governo, ma anche di enti locali e di regioni, attori istituzionali sostanzialmente impegnati oggi nella costruzione del processo europeo), produciamo un danno nei confronti di quell'idea in cui tutti, almeno a parole, affermiamo di credere.
In tale contesto, non troviamo un ruolo dell'Italia. Ma non stiamo parlando, ad esempio, della normativa che riguarda lo stoccaggio delle pile a discarica (l'onorevole Pili faceva riferimento ai ciucci per i bambini); non si tratta di questo. Al nostro gruppo non sarebbe dispiaciuto avviare un dibattito, a livello molto elevato, sugli argomenti più importanti. Abbiamo appena registrato, proprio in queste settimane, l'allargamento dell'area di Schengen: il Ministro Amato è venuto in Friuli Venezia Giulia, la mia regione, ad incontrare i rappresentanti del Governo sloveno in relazione all'ingresso della Slovenia e di alcuni Paesi dell'est nell'area di Schengen. Credo che il Ministro Amato abbia potuto vedere cosa viaggia sulle autostrade del Friuli Venezia Giulia (e non solo): automobili, macchine, corriere, pullman, TIR totalmente fuori regola, non solo per ciò che trasportano, ma anche con riferimento alla sicurezza sulle strade.
Avremmo voluto concentrarci sulla politica dei trasporti e dell'ambiente: ci sarebbe piaciuto conoscere le proposte e le politiche in materia. Sono convinto che, se riusciamo a concentrarci su tali obiettivi, diamo ai nostri cittadini un senso della partecipazione all'Europa, altrimenti rischiamo davvero di cadere in un'autoreferenzialità che ci danneggia.
Signor Ministro, potrebbe farsi raccontare dal Ministro Di Pietro che Autovie Venete (la prima società di gestione autostradale per chi entra dai Paesi dell'est) registra mediamente il mancato pagamento di 700 mila euro di ticket all'anno. Gli stranieri, infatti, non hanno i soldi per pagare, ma entrano comunque e non si sa più a chi inviare le multe. Non si tratta solo di soldi che non entrano: molte di queste persone, infatti, vengono fermate perché le loro automobili, i loro pullman, le loro corriere e le loro macchine sono fuori regola; una volta abbandonati, essi necessitano di essere trasportati in discarica, a carico del nostro Governo o, comunque, del contribuente italiano. Questi sono i problemi veri che ci troviamo ad affrontare: ripeto, sarebbe quanto mai necessario concentrarsi nella fase ascendente di questi problemi, che possono sembrare minimali, ma fanno percepire ai nostri cittadini l'assenza di una politica europea.
Non voglio polemizzare sul fatto che il Paese, il nostro Governo e il nostro Parlamento abbiano subito una serie di procedure di infrazione: ciò fa parte delle regole e, anzi, credo che, per alcuni aspetti, sia stato un bene infrangere alcune normative di carattere europeo. Non saràPag. 33su questo aspetto, pertanto, che concentrerò, almeno personalmente, le nostre critiche, ma le concentrerò proprio sull'assenza totale di proposte, ad esempio sul tema dell'energia. Il disegno di legge comunitaria, ad esempio, fa riferimento al modo in cui i prodotti residui dell'energia nucleare devono essere smaltiti e trasferiti da un Paese all'altro.
Non vi è, però, una politica energetica comune: non sappiamo se l'Italia intenda puntare su politiche nuove sull'energia (evidentemente no, da quanto si capisce, anche in ordine alle scelte sciagurate del Governo, e in particolare del Ministro dell'ambiente e delle tutela del territorio e del mare). Se sul disegno di legge comunitaria dovessimo esprimere un voto per l'attività del Governo, ovviamente esprimeremmo un voto contrario. Abbiamo, però, senso di responsabilità, contrariamente a quanto qualcuno ha cercato di affermare nel suo intervento e, probabilmente, ci asterremo.
Vorremmo davvero, però, che alcune questioni importanti, citate anche negli interventi precedenti, fossero affrontate. Per esempio, come ha affermato anche il collega Cassola, a fronte della previsione contenuta nella strategia di Lisbona sull'incoraggiamento della piccola e media impresa come fattore di sviluppo della nostra comunità, qual è il tipo di incoraggiamento che noi diamo? Qual è la politica fiscale del nostro Governo? Come possiamo presentarci coerenti con gli altri partner rispetto alla strategia di Lisbona quando le politiche fiscali del nostro Governo rispetto alla piccola e media impresa sono sotto gli occhi di tutti?
Vorremmo poter dare un contributo rispetto a questo, ma siamo poco interessati a un contributo di carattere formale, mentre siamo favorevoli a un contributo di carattere sostanziale. Se si creano le condizioni per farlo, lo faremo. Dovremo lavorare anche nei confronti delle regioni. Alcune regioni, come quella che rappresento, che non è governata dal centrodestra, ma dal centrosinistra, possono essere un esempio positivo. La mia regione, infatti, ha dato un forte impulso alla propria partecipazione in Europa. È evidente che, se oggi dovessimo parlare di ambiente, come faremmo a presentare la Campania come regione di riferimento o, comunque, a portare l'esempio che proviene dalla Campania per quanto riguarda la tutela dell'ambiente? Rispetto a tutto ciò, all'incapacità e all'assenza propositiva da parte del Governo, che cosa si conclude alla fine? Andiamo a creare il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei, il CIACE. Tutto lì!
A fronte di tutto ciò, la proposta finale politica che si coglie in questa relazione è il fatto che il CIACE comincerà a lavorare. A prescindere da tutte le nostre remore di carattere politico (perché è evidente che le divisioni all'interno del Governo, percepibili quotidianamente, non consentiranno neanche a questo organismo di lavorare), siamo molto perplessi non sul fatto che il disegno di legge comunitaria sia ancora una volta un provvedimento che approderà al voto dell'Assemblea in maniera formale, ma soprattutto sul fatto che i contenuti che vorremmo assicurare ai nostri cittadini, rispetto a un percorso di integrazione europea sempre più allargata, vengano oggi a mancare.
Se potessi - e concludo - riassumere in una frase o in uno slogan i nostri auspici, direi che vorremmo rilanciare l'Unione europea e passare da un sistema politico di governance al governo. Oggi abbiamo tanta governance, nel senso che abbiamo tante carte, tanti documenti, tanti livelli di dibattito, di confronto e di valutazione, ma non abbiamo politiche vere comuni. Questo è il vero problema che i nostri cittadini percepiscono e questo è il problema che noi, come rappresentanti parlamentari di Forza Italia, sentiamo nostro dovere portare avanti nei prossimi atti politici in quest'Aula e complessivamente nel Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Anna Maria Cardano. Ne ha facoltà.
ANNA MARIA CARDANO. Signor Presidente, Ministra Bonino, colleghe e colleghi,Pag. 34colgo anch'io l'occasione di questo dibattito, vista la sua sfasatura temporale, per dare alcune indicazioni di lavoro relative, ovviamente, non al 2007, ma al 2008. La prima questione che vorrei ricordare è quella della conciliazione tra i tempi di lavoro e di cura. È un recente documento del Governo la nota aggiuntiva «Donne, innovazione, crescita: Iniziative per l'occupazione e la qualità del lavoro femminile nel quadro degli obiettivi europei di Lisbona», che, nell'ambito della valutazione sull'attuazione della strategia di Lisbona, ha mostrato una fotografia impietosa della realtà italiana: troppe donne inattive (le occupate avrebbero dovuto essere, secondo la strategia di Lisbona, il 60 per cento entro il 2010, mentre sono solo il 46 per cento, con variazioni territoriali fortissime nell'ambito del nostro Paese: dal 31 per cento del sud, dove molte donne, anche le più giovani, hanno rinunciato a cercare un lavoro, al 57 per cento del nord); una scarsa valorizzazione del lavoro femminile, con un differenziale retributivo di genere di circa un quarto rispetto agli uomini; difficoltà a utilizzare i congedi parentali, che andrebbero utilizzati anche per più anni rispetto a quelli per ora previsti rispetto all'età dei figli; una scarsa diffusione dei servizi per l'infanzia e per gli anziani, la cui cura continua a gravare sulle donne; una disparità nella suddivisione delle responsabilità familiari.
La diagnosi del Governo è giusta e le Ministre sostengono che occorra una terapia shock. Allo stesso modo, sono utili le statistiche di genere di cui anche la recente legge finanziaria ha ribadito l'importanza.
Sono però ancora insufficienti le risorse che sono state riservate, anche nelle più recenti manovre, a questa conciliazione tra tempi di cura e lavoro.
Se la strategia di Lisbona prevedeva che nel 2010 il 33 per cento dei bambini avrebbe dovuto poter fruire, nella fascia d'età 0-3 anni, di servizi educativi, e l'Italia partiva da un dato del 7,4 per cento nel 2000, oggi esso si attesta al 10 per cento.
Dunque, la cura prevista nella recente manovra finanziaria è insufficiente e il Paese non è consapevole di questo grave problema. Per fare un esempio, in Danimarca la quota di bambini serviti da servizi di questo tipo è del 68 per cento.
Vorrei richiamare, a tal proposito, le conclusioni del Consiglio dell'Unione europea, del maggio 2007, sull'importanza delle politiche favorevoli alle famiglie in Europa e sulla creazione di un'alleanza per le famiglie. Dico «famiglie», come nel testo originale inglese - che parla appunto di alleanza, alleance for families, a differenza della traduzione italiana, che curiosamente ha invece riportato il dato al singolare -, per sottolineare le seguenti indicazioni: in primo luogo, l'elevata occupazione femminile, e più in generale la parità di genere, è strettamente collegata a maggiori tassi di fertilità femminile. In secondo luogo, occorre sviluppare anche indicatori di qualità sulle strutture di custodia per bambini e altri soggetti non autosufficienti: in altre parole, sono necessari servizi accessibili e di qualità elevata. In terzo luogo, va perseguita la via dell'apprendimento per tutto l'arco della vita. In quarto luogo, vi è un problema di povertà infantile, in Europa e in Italia, per la cui risoluzione non è affatto secondaria la questione della condizione lavorativa femminile.
A tal proposito, credo che andrebbe richiamata anche la discussione sul Libro verde della Commissione europea sulla modernizzazione del diritto del lavoro: il concetto, dato come indiscutibile, per cui la flessibilità - che trasforma il lavoro in merce - sia necessaria per garantire la sicurezza di poter lavorare (non di avere un lavoro, che è ben altra cosa) si accompagna, nel dibattito comunitario, alla nozione di «flessicurezza», che dovrebbe mitigare le conseguenze, riconosciute quindi come dannose, della precarietà di vita che si accompagna spesso a una continua flessibilità. È un tema che ha una sua particolare declinazione al femminile e per accorgersene basterebbe osservare il precariato delle donne, quando si unisce a responsabilità familiari.Pag. 35
Ma se, invece di curare le conseguenze di tale flessibilità, ci avviassimo a riconsiderarne e metterne in discussione le cause?
La seconda questione che vorrei riportare, sempre come orientamento per il futuro, è quella dell'Europa multiculturale, anzi interculturale. «Europa delle culture» è un'espressione che indica la pluralità di orientamenti e di modelli culturali da sempre presenti in Europa, e oggi ancora di più, con l'arrivo di migranti di varia provenienza, che noi consideriamo una risorsa civile e culturale, prima che economica.
Occorrono nuovi modelli di convivenza e una modifica dell'idea di cittadinanza, non più basata sui tradizionali modelli di sangue e/o di suolo, ma aperta a diversi percorsi individuali, in grado di coniugare valori universali e diritti individuali. Le culture e le persone comunicano, non sono entità separate e monolitiche. Gli scontri di civiltà mascherano, in realtà, interessi particolari.
Il 2008 come anno del dialogo interculturale - così come vuole l'Europa, non secondo il modello di culture che si ghettizzano, senza relazioni fra loro - deve servire a valorizzare le diversità culturali originarie dell'Europa e quelle recentemente acquisite con la presenza dei nuovi cittadini migranti. L'impegno del nostro Paese deve essere forte, attraverso la scuola, la cultura e il mondo dell'informazione.
L'Agenzia europea dei diritti fondamentali ha presentato al Parlamento europeo il suo primo rapporto sul razzismo e la xenofobia relativo al 2006: in tutta l'Unione aumentano i casi di razzismo nei settori del lavoro, della casa e della scuola. Basti considerare, peraltro, le recenti notizie provenienti dal comune di Milano, che limita l'iscrizione alle scuole d'infanzia, gestite dal comune, per i figli di migranti non in regola con i permessi oppure, ancora, ricordiamo la più recente «caccia al romeno», e poi al rom, che ha portato a campagne dei media - e a volte della politica, purtroppo - dichiaratamente razziste, accompagnate da decretazione d'urgenza sulla sicurezza che hanno comportato anche crisi nei rapporti tra il nostro Paese e la Romania. Solo a quel punto ci si è ricordati che esiste una direttiva europea sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e ci si è interrogati sul suo senso.
È un'Europa dove le merci hanno diritto alla piena circolazione, mentre le persone incontrano difficoltà ad ottenerla. Occorre un'opera di prevenzione e rimozione delle discriminazioni e di proposizione di azioni positive.
La via dell'inclusione sociale verso i migranti, comunitari o non comunitari che siano, non è una concessione da fare obtorto collo, ma una necessità. Questa via va perseguita attraverso risorse che favoriscano la stabilizzazione dei migranti, il ricongiungimento dei loro familiari, la presenza nelle scuole e la padronanza della lingua italiana come strumento educativo comune.
Sulle politiche per l'inclusione, peraltro, le più recenti statistiche vedono il nostro Paese in coda rispetto agli altri Paesi europei e tutto ciò avviene anche perché per noi è un fatto più recente, più veloce, più composito e più complesso.
In conformità, inoltre, con i contenuti della recente Agenda europea della cultura del 2007 in un mondo in via di globalizzazione, la promozione della diversità culturale e del dialogo interculturale deve diventare tanto più strategica nell'ambito del Mediterraneo, che deve essere un crocevia di genti e non una frontiera da difendere mettendo in conto, ogni anno, un certo numero di morti nei barconi che cercano di raggiungere la nostra penisola o le altre coste europee.
L'ultima osservazione che vorrei svolgere riguarda l'attuazione della fase discendente per via regolamentare e amministrativa. Come ha fatto notare la Ministra Bonino recentemente in una seduta della XIV Commissione, nonostante l'attuazione con decreto ministeriale possa apparire, in un primo tempo, come la soluzione più semplice e la meno burocratizzata, è invece spesso lo strumento del decreto legislativo, che passa per ilPag. 36parere della Conferenza Stato-regioni o della Conferenza unificata, delle Commissioni parlamentari e per due approvazioni del Consiglio dei Ministri, che si rivela più agile - e aggiungerei - anche più democratico in assenza di altre esplicite indicazioni del Parlamento.
È questo il caso, ad esempio, della direttiva 2006/141/CE, del 22 dicembre del 2006, che prevede una normativa organica sugli alimenti per lattanti e bambini che gli Stati membri avrebbero dovuto recepire entro il 31 dicembre del 2007. Tale direttiva non è stata inserita nell'elenco delle direttive per il cui recepimento la legge comunitaria conferisce un'apposita delega al Governo e avrebbe dovuto essere adottata, quindi, per via amministrativa. Tutto ciò, per ora, non è avvenuto, ed è, inoltre, mancata alle Commissioni parlamentari la possibilità di approfondire alcuni aspetti importanti di tale direttiva e del suo recepimento anche in relazione al codice internazionale emanato nel 1981 dall'Organizzazione mondiale della sanità e dall'UNICEF sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno sottoscritto dai Paesi dell'Unione europea, Italia compresa, e alla recente risoluzione della Commissione bicamerale per l'infanzia sull'alimentazione ed educazione alimentare, sui disturbi alimentari dei bambini, degli adolescenti e in particolare sull'allattamento materno.
Ritengo, dunque, che - come ho avuto modo di indicare - questa ed altre direttive di simile peso avrebbero potuto più opportunamente essere discusse in un altro modo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Franci. Ne ha facoltà.
CLAUDIO FRANCI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, vorrei cogliere l'opportunità che l'esame dei provvedimenti alla nostra attenzione ci offre per compiere un complesso di valutazioni sulle politiche agricole comunitarie che hanno determinato e determineranno un forte impatto nell'economia agricola del nostro Paese. In questo modo, cercherò di riportare il discorso su vicende e fatti concreti, sulle azioni che concretamente si determinano con l'iniziativa europea.
È evidente il peso che l'agricoltura assolve nel contesto europeo, lo ha assolto negli anni di costruzione del processo di integrazione, del formarsi e del definirsi delle politiche dell'Unione europea e lo ha oggi nell'Europa a 27 Stati membri. Quasi la metà, infatti, del bilancio dell'Unione europea è destinato alle politiche agricole.
Se per un lungo periodo la politica agricola comune ha avuto come obiettivo fondamentale la risposta al problema dell'autonomia alimentare di questa parte del mondo, sempre più oggi è chiamata ad assolvere ad un ruolo di valorizzazione e difesa dell'ambiente e del paesaggio. La politica agricola costituisce un presidio territoriale senza il quale più gravi risulterebbero i rischi di degrado ambientale e dell'assetto idrogeologico. Essa è chiamata a rispondere alla domanda di sicurezza alimentare, di salubrità delle produzioni e, in un sistema globalizzato, è chiamata sempre più a difendere la sfida competitiva sui mercati, alla difesa dei nostri marchi dalle tante imitazioni presenti in giro per il mondo. Questo è tanto più necessario per il nostro Paese dove le scelte compiute negli ultimi anni a sostegno della qualità delle produzioni, delle certificazioni e della tracciabilità hanno rafforzato il peso che il settore agroalimentare ha nella caratterizzazione del made in Italy nel mondo.
Ecco perché, oltre ad esaminare i singoli articoli contenuti nel disegno di legge comunitaria e la relazione che lo accompagna, che giudichiamo positivamente, intendiamo svolgere un ragionamento che riguarda le politiche in atto di revisione della politica agricola comune e della pesca, che è un altro pilastro fondamentale dell'identità agro-alimentare e socio-culturale del nostro Paese.
Se nella storia della politica agricola comune il sostegno al reddito agricolo era strettamente legato alle produzioni effettuate, le riforme sull'organizzazione comune di mercato, intervenute in questi ultimi anni, capovolgono i criteri di assegnazionePag. 37dei contributi, impegnano l'azienda agricola nelle sfide di mercato, prescindono largamente dalle produzioni effettuate e chiamano in causa fattori ambientali e standard di qualità nelle produzioni animali e vegetali. È questo il significato del disaccoppiamento degli aiuti introdotto e dei cambiamenti che esso determina.
Siamo di fronte ad un'innovazione radicale che chiama in causa non solo i fattori economici di costruzione del reddito dell'azienda, ma anche il modo di intendere l'impresa e il suo collocarsi nel mercato.
Il mondo agricolo italiano ed europeo è chiamato a ridefinire così la propria funzione, sapendo che gli strumenti dei quali oggi parliamo avranno validità fino al 2013, dopodiché saranno più accentuati i processi di liberalizzazione dei mercati agricoli. Dobbiamo farlo pensando al 2010, data nella quale il Mediterraneo diverrà una grande area di libero scambio, nella quale la produzione agroalimentare e della pesca e le risorse marine assumeranno una funzione significativa.
È guardando a questi processi che riteniamo che l'agricoltura italiana, in e con l'Europa, potrà continuare ad assolvere un ruolo centrale nello sviluppo economico del Paese.
In questi ultimi due anni si sono chiusi alcuni processi di revisione delle organizzazioni comuni di mercato e di regolamenti che hanno coinvolto settori come il bieticolo-saccarifero, l'ortofrutta, il vino, l'agricoltura biologica, i piani di sviluppo rurale e il set-aside, ed è ancora aperta la discussione sulle quote latte.
Per quanto riguarda il settore bieticolo-saccarifero occorre ricordare - e ciò che intendo fare, colleghi del centrodestra - che la riforma approvata dal precedente Governo Berlusconi prevede la chiusura di dieci impianti su sedici nel nostro Paese e la riduzione di oltre il 50 per cento delle coltivazioni.
Riteniamo che una significativa azione di stimolo vada condotta nelle singole realtà territoriali dove erano presenti gli impianti di produzione dello zucchero, affinché celermente possano andare avanti i programmi di riconversione.
Giudichiamo positivamente l'azione condotta in sede europea dal nostro Governo sul contributo ai coltivatori che intendano uscire dalla produzione della barbabietola e sulla previsione di interventi perequativi per chi già si è ritirato dalla produzione.
Il confronto è aperto in materia di quote latte, ove si prevede, da un lato, l'ampliamento del 2 per cento del plafond complessivo, mentre un altro aspetto riguarda l'assegnazione agli Stati membri, nella prospettiva di giungere, dopo il 2011, ad una completa liberalizzazione delle quote stesse.
La strada da seguire, a nostro avviso, dovrebbe essere quella di riconoscere una percentuale maggiore di quote a quei Paesi dove più alto è lo squilibrio tra capacità produttiva, quote assegnate e consumo nazionale, e, nell'ambito di questo meccanismo, nel nostro Paese privilegiare, nell'assegnazione di nuove quote, quelle imprese che hanno esercitato la loro attività nel rispetto delle regole. Questo Parlamento ha già realizzato sanatorie e gli atti assunti nella legge finanziaria e nelle leggi precedenti da questo Governo non vanno nella direzione ricordata dal collega della Lega in questa sede.
La riforma del settore ortofrutticolo, approvata con il concorso positivo e determinante del nostro Governo, rivede alcuni elementi della proposta iniziale della Commissione europea nel senso auspicato anche dal nostro Parlamento, in particolare per quanto concerne il mantenimento di un aiuto alla produzione dei prodotti destinati alla trasformazione. Ciò è stato sottolineato più volte nei documenti approvati dalla XIII Commissione, e l'introduzione immediata di un aiuto disaccoppiato avrebbe determinato il rischio di una forte riduzione della produzione con gravi difficoltà per le nostre industrie di trasformazione.
Non possiamo perciò che esprimere il nostro apprezzamento per la riforma approvata e per l'azione condotta dal GovernoPag. 38in sede comunitaria, che vi ha inserito il principio della tracciabilità delle produzioni, che può risultare utile anche per altri comparti, non ultimo quello dell'olio d'oliva. Il decreto sulla tracciabilità dell'olio extravergine, attualmente all'esame di Bruxelles, trova un precedente proprio nelle regole contenute nella riforma del settore dell'ortofrutta: auspichiamo la rapida approvazione di tale provvedimento.
Stabilire la provenienza delle olive, i luoghi di molitura e l'eventuale miscelazione non solo contribuisce a determinare un elemento di corretta informazione del consumatore, ma aiuta anche a conferire trasparenza ad un settore nel quale continuano ad essere troppe le sofisticazioni che penalizzano i produttori onesti e maggiormente impegnati nella qualità.
La riforma del regolamento sulla produzione biologica e sull'etichettatura dei prodotti ha registrato giustamente il voto contrario del nostro Governo. Secondo il nuovo regolamento, l'uso del logo biologico sarà obbligatorio, ma non escluderà l'esistenza di marchi nazionali. Gli alimenti biologici potranno essere contaminati accidentalmente da OGM con il limite fino allo 0,9 per cento (la stessa soglia prevista per la contaminazione di alimenti convenzionali). Queste norme hanno destato grande preoccupazione nei nostri produttori e anche la nostra Commissione, in più occasioni, si è espressa contro un limite così elevato.
Il Parlamento è impegnato ad approvare una riforma del biologico in Italia che sostenga la produzione nazionale e stabilisca una soglia accettabile di contaminazione; essa è, ormai, in una fase avanzata di discussione presso la XIII Commissione.
Un'altra decisione importante assunta con il concorso decisivo del nostro Governo è relativa alla riduzione dal 10 allo 0 per cento della percentuale dei terreni agricoli da mettere a riposo obbligatorio nel 2008. Tale misura ha già consentito per la campagna 2008 di rimettere a coltura terreni idonei alla produzione cerealicola; ciò va tenuto in considerazione nell'ambito dell'aumento e del difficile mercato dei cereali, che ha determinato vari squilibri nel prezzo mondiale.
L'altro grande capitolo è rappresentato da quello che viene chiamato il secondo pilastro della politica agricola: lo sviluppo rurale. La programmazione per gli anni 2007-2013 vedrà destinare all'Italia 8,292 miliardi di euro e fondamentale sarà il ruolo svolto dalle regioni nell'applicazione e nella rapida spendibilità di essi.
Una misura particolarmente significativa è la nuova norma relativa agli aiuti di modesta entità alle imprese, che porta a 7.500 euro per beneficiario in un triennio il massimale individuale degli aiuti di Stato - i cosiddetti aiuti de minimis - in favore delle imprese agricole. Fino ad oggi, tale beneficio era pari a tremila euro.
La riforma sulla quale era, però, concentrata in questo anno la più grande attenzione è quella relativa all'OGM del vino. Credo che sia chiara a tutti l'importanza che gli esiti di essa abbiano nel sistema agricolo del nostro Paese. Il vino rappresenta la punta di diamante della nostra presenza nei mercati internazionali. La riforma approvata a fine anno ci propone un quadro fatto di luci ed ombre: un risultato fortemente condizionato dagli Stati membri del nord Europa (e non solo) e che, comunque, consente di parlare di una soluzione non negativa per la viticoltura italiana. Abbiamo ottenuto risultati significativi nella riduzione degli ettari di vigneto da estirpare...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
CLAUDIO FRANCI. ...passando - mi avvio a concludere, signor Presidente - da 400 mila ettari a 175.
Abbiamo ottenuto un surplus sull'arricchimento dei mosti. Non siamo riusciti, tuttavia, a battere l'arricchimento con lo zuccheraggio dei vini. Vi sono, però, le condizioni perché la nostra viticoltura possa svilupparsi.
Avrei voluto accennare ad alcune questioni relative alla pesca, che rimando - se il Presidente me lo consente - al testo dell'intervento che vorrei consegnare.Pag. 39
Vorrei concludere affermando che l'azione svolta in sede comunitaria e ciò che il Governo sta realizzando sul piano delle relazioni internazionali, le norme contenute nella legge finanziaria ed i suoi collegati, hanno offerto al mondo agricolo punti importanti di riferimento, sui quali abbiamo espresso il nostro apprezzamento. Occorre andare avanti con decisione...
PRESIDENTE. Deve concludere.
CLAUDIO FRANCI. ...per operare una profonda riorganizzazione degli strumenti nazionali che agiscono in campo agricolo. È questo il lavoro che ci aspetta e che abbiamo davanti.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Franci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare il deputato Razzi. Ne ha facoltà.
ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, intervengo sulla discussione del disegno di legge comunitaria per il 2007 esprimendo soddisfazione, soprattutto perché ritengo che il lavoro della XIV Commissione abbia conseguito risultati importanti.
L'approvazione della legge comunitaria rappresenta anche il momento in cui si tirano le somme, si fa un bilancio della nostra capacità di stare insieme in Europa. È un momento importante, nel quale dimostriamo che l'appartenenza ad un progetto - quello dell'Europa unita - è per noi cosa seria e consapevole; è l'attimo in cui con le azioni concrete e con l'adeguamento delle nostre regole rendiamo i nostri cittadini italiani membri effettivi della comunità più ampia; è il momento istituzionale in cui l'appartenenza ad una comunità sollecita il nostro massimo impegno con il massimo senso di responsabilità.
La diminuzione delle infrazioni nei confronti dell'Italia ci conforta sul lavoro svolto e ci convince che, nel 2007, abbiamo conseguito risultati incoraggianti. Le stesse recenti dichiarazioni del Presidente Almunia sul piano finanziario, ci devono spingere a ritenere che la strada virtuosa che abbiamo imboccato è quella giusta.
Sul piano delle regole, abbiamo tanto da fare e le riflessioni che ha indicato la presidente Bimbi nella sua relazione sono da me pienamente condivise. Il carattere innovativo su alcune regole e soprattutto sull'inserimento del Capo III, che contiene le norme-quadro relative alla lotta contro la corruzione nel settore privato, così come gli adeguamenti alle direttive riguardanti la salute pubblica nel settore della politica agricola, fanno sì che questo disegno di legge ponga al centro l'interesse concreto dei nostri cittadini: interesse nello stare insieme in Europa con certezza e lealtà.
Ho imparato molto in questa mia attività nella XIV Commissione. Ho certamente appreso di più rispetto a quello che ritengo di aver dato. Ho certamente compreso che l'importanza e il rispetto dei tempi formali sono fondamentali e credo che il lavoro ben svolto su questo disegno di legge comunitaria ci spinga in questa direzione.
Il fatto che il tasso di regole non recepite dall'Italia sia diminuito è un segnale positivo che deve spingerci ad un maggiore impegno. Anche il rapporto tra Stato e regione nell'adeguamento alle direttive comunitarie deve ricevere, con l'approvazione di questo provvedimento, un maggiore impulso.
Siamo tutti protesi in un cammino difficile ma obbligato. Siamo parte di una comunità nella quale è importante che il benessere dei cittadini sia al primo posto, e per fare questo dobbiamo saper essere forti e umili allo stesso tempo. Dobbiamo accettare regole condivise anche quando sono diverse dalle nostre abitudini. Dobbiamo far valere la nostra voce quando crediamo che alcuni valori siano prioritari rispetto a quelli determinati dal mercato e dall'economia. Dobbiamo stare insieme in Europa con la voglia e l'entusiasmo da protagonisti quali siamo - umili protagonisti, distanti da arroganza ed egoismi - così potremo anche utilizzare quella capacità,Pag. 40che in molti ci riconoscono, di creare amicizie e dialogo. Sì, se riusciremo ad essere buoni costruttori di amicizie e di dialogo, potremo ritenerci buoni costruttori del futuro.
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Narducci, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.
(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3062-A e Doc. LXXXVII, n. 2)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la deputata Bimbi, presidente della Commissione politiche dell'Unione europea, relatrice sul disegno di legge n. 3062.
FRANCA BIMBI, Relatore sul disegno di legge n. 3062. Signor Presidente, intervengo molto brevemente poiché vorrei lasciare un po' del mio tempo all'onorevole Frigato.
Innanzitutto, desidero ringraziare tutti i colleghi di maggioranza e opposizione, perché credo che la discussione abbia dimostrato che in Commissione, indipendentemente dai meriti personali, stiamo lavorando su tutti e due i versanti: il tema dell'identità nazionale e degli interessi nazionali, sollevato dall'onorevole Pini, e quello della democratizzazione, sollevato dall'onorevole Falomi.
Non mi sembra che questa sia una «piccola comunitaria». Infatti, è vero che nei 20 articoli che riguardano misure specifiche vi sono le tettarelle e le uova (che, peraltro, rappresentano un capitolo importante della nostra alimentazione), tuttavia mi sembra che il Governo stia lavorando essenzialmente per rendere sempre più diligente l'Italia, non nell'obbedienza alla burocrazia europea, ma nell'essere un partner attendibile dell'Europa, proprio puntualizzando gli interessi nazionali.
Tuttavia, quando diciamo «interessi nazionali» - credo che l'onorevole Pili lo abbia detto - ritengo che tali interessi vadano considerati a partire dai livelli locali, come ha detto anche l'onorevole Tondo. Pertanto, proprio in questo disegno di legge comunitaria, facendo attenzione al coordinamento tra norme di tipo nazionale e rispetto degli statuti, abbiamo richiamato il Governo alla necessità di costruire un percorso federalista che sia sostanzialmente un vero modello di integrazione europea e di democratizzazione. Infatti, poiché rispetto alla democratizzazione tutti abbiamo dato importanza alla Carta dei diritti, occorre che la stessa sia presente, come nelle misure di tipo nazionale, anche nel più piccolo dei municipi italiani e delle circoscrizioni.
Ritengo sia importante lavorare insieme affinché il Parlamento abbia più forza nel processo ascendente, a partire dall'utilizzo degli strumenti che già ci sono, come l'early warning, nonché da un sostegno al rafforzamento del CIACE che dia la possibilità di un controllo maggiore sul Governo, ottenendo da quest'ultimo un'efficacia sostanziale e non formale.
Non voglio aprire una polemica dicendo che la vera politica europea si fa con il piano strategico nazionale, con le misure di risparmio energetico, con le misure di pari opportunità e così via. Democratizzazione significa anche la ricerca di un'associazione che vada dai poteri locali al livello nazionale nel percorso della decisione europea.
Ritengo che in questa specificità della legge comunitaria abbiamo molti punti in comune per poter continuare il lavoro al quale richiamiamo non solo l'attenzione del Governo, ma anche del Parlamento. Cambiare il Regolamento parlamentare non è competenza di una sola Commissione, tuttavia è quanto a noi sembra più importante e su cui ci siamo tutti espressi. La distinzione tra la relazione e la legge comunitaria è un altro tra i punti da noi acquisito e, al di là del merito nei confronti dei contenuti della legge comunitaria, è contenuto nel percorso da noi fatto dall'anno scorso a quest'anno. Vorrei ora lasciare, signor Presidente, qualche momento per la replica dell'onorevole Frigato che prima ho indegnamente sostituito.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore sul Doc. LXXXVII, n. 2, deputato Frigato.
GABRIELE FRIGATO, Relatore sul Doc. LXXXVII, n.2. Vorrei lasciare agli atti le mie scuse per il mio ritardo dovuto ad un disservizio ferroviario. Vorrei aggiungere, oltre al ringraziamento alla presidente Bimbi per la puntuale sostituzione, solo qualche brevissima riflessione, raccogliendo certamente le preoccupazioni espresse da più parti. Stiamo esaminando una relazione rispetto alla partecipazione del nostro Paese all'Unione europea che porta la data del 2006, mentre oggi siamo nel 2008; questo solo elemento ci porta a considerare che l'idea, da più parti emersa anche in questa occasione, ma che in sede di Commissione abbiamo più volte sottolineato, che il Parlamento possa distinguere il proprio lavoro in due fasi, una relativa alla legge comunitaria ed un'altra alla relazione della nostra partecipazione all'Unione europea, possa trovare velocemente concretezza.
Anche il fatto che questo Parlamento possa darsi una sessione proprio rispetto alle tematiche, al sentire e all'agire europeo mi pare un elemento che debba emergere dai nostri dibattiti, ma nella misura in cui venga tradotto in qualche atto ed in qualche procedura concreta.
Anch'io, se devo essere sincero, ho ascoltato delle parole che mi hanno lasciato perplesso: l'Europa non è solo burocrazia, collega Pili, ma è un qualcosa che, dal mio punto di vista, negli anni passati - l'ho affermato altre volte in quest'Aula durante il Governo Berlusconi - veniva considerato un qualcosa che purtroppo avevamo tra i piedi.
Noi siamo dalla parte di chi pensa che l'Europa sia stata, nel dopoguerra, una grande intuizione che ha avuto anche momenti di difficoltà, che continua ad avere qualche passaggio che tutti vorremmo fosse più veloce e più pregnante, ma che rappresenta un grande momento di democrazia, è una grande regione dei diritti e l'area che maggiormente e velocemente si è sviluppata in un quadro di grandi opportunità offerte a tutte le cittadine ed a tutti cittadini europei.
Credo che nessuno di noi potrebbe e sarebbe in grado di immaginare cosa sarebbe successo nei Paesi dell'ex Unione sovietica se non ci fosse stata l'Europa, oggi apprezzata nei suoi valori tanto nell'ovest - nei Paesi storicamente europei, diciamo così - quanto nell'est europeo.
Tale integrazione, che probabilmente presenta anche difficoltà e lentezze, è tuttavia il percorso, il sentire, la direzione di marcia che ci convince che siamo nella giusta direzione.
D'altronde consentitemi di ricordare che in Europa mettiamo in gioco la credibilità internazionale del nostro Paese: è stata l'Italia, per prima insieme all'Europa - il Ministro Bonino lo sa certamente meglio di me -, ad essere protagonista sulla moratoria sulla pena di morte: siamo stati protagonisti noi come italiani, ma anche come europei.
Ricordo un'altra questione sicuramente importante: i numeri delle infrazioni, se prendiamo come riferimento novembre, sono di una certa entità, che è diversa se ci riferiamo a gennaio. Tuttavia anche in questo caso c'è una tendenza da valutare: con il Governo Prodi e con il Ministro Bonino c'è stata una costante diminuzione del numero delle infrazioni, elemento che non riguarda solo la maggioranza e non l'opposizione, ma il lavoro di questo Parlamento e la credibilità del nostro Paese.
Anche con riferimento al grande tema della pace nell'area del Mediterraneo, nel Medio oriente, l'Italia è stata in prima fila per fare la propria parte, non da sola, come Europa in Libano, e noi oggi ci siamo - ripeto, non da soli - con una volontà che ha avuto un punto di riferimento essenziale nell'Unione europea.
Consentitemi di dire che anche la migliorata situazione dei nostri conti pubblici mostra che riteniamo che l'Europa non sia un peso che ci portiamo appresso, ma un elemento che ci aiuta, che qualifica, che ci consente di essere meglio e più chiaramente presenti nello scenario nazionale.
Lasciatemi ricordare che nel 2007 abbiamo celebrato con diverse manifestazioniPag. 42il programma Erasmus. Che cos'è stato Erasmus? Non è stato un dato burocratico perché decine di migliaia di studenti - il numero esatto non lo conosco e chiedo scusa - oggi in Europa hanno un'apertura diversa.
Questi studenti conoscono la cultura del proprio Paese, ma la hanno accostata a quella di altri Paesi. Hanno certamente una propria filosofia di vita, ma hanno avuto modo di verificarla insieme ad altri. Magari hanno una fede religiosa, ma hanno avuto l'opportunità di conoscere e di rispettare altre fedi religiose. Questa è l'Europa, con tutte le difficoltà del caso e i problemi che conosciamo, ma noi - lo ribadisco - apparteniamo a quell'area e a quelle forze politiche che non solo vi hanno creduto in passato ma che vi continuano a credere, non per non riconoscere problemi e situazioni da migliorare, ma per essere dentro un grande cammino che è quello dell'Europa, che ha una responsabilità da giocare sul piano internazionale.
Pertanto, consentitemi di dire che molti dei problemi qui sottolineati sono obiettivamente di natura politica e faremmo un «giochino» non positivo se mettessimo insieme aspetti tecnici, burocratici e istituzionali con situazioni e passaggi di natura politica.
Ebbene, se è vero quanto è stato più volte affermato da tutti, che vogliamo migliorare tale percorso, credo che le elezioni europee della primavera del 2009 costituiranno davvero il banco di prova e allora misureremo la nostra volontà democratica e quanto vogliamo condividere i valori e i diritti e quale Europa abbiamo in testa e vogliamo realizzare.
Non voglio addentrarmi nello specifico. Nella giornata di domani ci addenteremo nella riflessione e nel confronto sui singoli articoli e sugli emendamenti presentati, ma penso che il dibattito di oggi sia stato importante perché esprime quanto l'Europa rappresenti parte della nostra storia e al contempo quanto l'Europa possa - e penso che sicuramente rappresenterà - in buona parte anche il futuro del nostro Paese e quello dei nostri ragazzi.
Signor Presidente, con riferimento alla presentazione della risoluzione sulla relazione annuale relativa alla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2006, sperando di non disturbare i lavori e i tempi di nessuno, necessiterei di cinque, dieci minuti al massimo, di sospensione dei lavori, al fine di presentare una risoluzione che, come mi auguro, possa raccogliere il consenso di molti presidenti di gruppo e molti gruppi presenti in Aula.
PRESIDENTE. È stata avanzata dal relatore una richiesta di sospensione di dieci minuti per presentare la risoluzione. La Presidenza la accorda. In seguito vi sarà l'intervento in replica del Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee con cui si concluderà il dibattito odierno.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 19,30.
La seduta, sospesa alle 19,20, è ripresa alle 19,35.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signora relatrice, volevo fare soltanto poche osservazioni a conclusione di questo dibattito, partendo dalla constatazione che in realtà, da quando ero deputata (giovane, e poi meno giovane) e sedevo sui vostri banchi, in occasione della «discussione comunitaria» - comunque si sia articolata o definita nei trent'anni scorsi - si ripetono gli stessi problemi.
Le diverse amministrazioni, quando cambiano, si accusano di essere in ritardo e sempre ci si trova nella stessa situazione. Da tempi immemorabili il recepimento delle direttive e l'approvazione della legge comunitaria (o come si chiamava prima lo strumento legislativo deputato a tale fine) avvenivano sempre in situazioni come quelle odierne: completamente fuori fase ed in ritardo, rispetto non tanto al recepimento delle direttive quanto, soprattutto,Pag. 43alla relazione annuale e quindi al dibattito politico che sarebbe invece utile ed è invocato da tutte le parti politiche.
Certamente non è competenza del Governo sollecitare le modifiche o procedere alle modifiche dei Regolamenti parlamentari che, peraltro, vengono invocate da un largo spettro di forze politiche per disgiungere, perlomeno, l'esame della relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea da quello del disegno di legge comunitaria in modo da poter consentire un dibattito sulla relazione, cioè sugli impegni del Governo, in tempo utile e non così «fuori fase».
Rimane, però, il fatto che forse una soluzione pragmatica potrebbe presentarsi già nelle prossime settimane nel senso che, come sapete, secondo i termini di legge, in qualità di Ministro competente, ho già portato nel Consiglio dei Ministri di venerdì scorso la bozza del disegno di legge comunitaria e della relazione per il 2007, la quale sarà sottoposta al parere della Conferenza Stato-regioni (spero già nella seduta del 24 gennaio) per tornare poi in Consiglio dei Ministri. Quindi, ho la speranza che possa arrivare sui vostri banchi agli inizi di febbraio.
Si potrebbe pensare ad un impegno politico per evitare che, in occasione dell'esame del disegno di legge comunitaria 2008, si ripeta la stessa situazione ovvero che ci si ritrovi, a gennaio 2009, a rivolgersi reciprocamente le accuse di ritardo. Ciò, non tanto per quanto riguarda le direttive, ma soprattutto con riferimento al dibattito sulla relazione e quindi sugli indirizzi da fornire al Governo.
Un'altra questione che volevo sottolineare è che voglio considerare le critiche mosse e la frustrazione espressa, almeno per certi aspetti, come un dato positivo, ovvero nel senso che lo stesso Parlamento, da febbraio, avrà gli strumenti sia per accelerare i tempi della discussione in oggetto sia per accelerare altre discussioni che riguardano l'Europa.
Infatti, al collega Pili e agli altri vorrei far osservare che bisogna augurarsi che il dibattito relativo alle materie europee - che sono trasversali perché, come è stato fatto notare, attengono all'energia, ai trasporti, alle infrastrutture, a Lisbona e a quant'altro - non rimanga confinato solamente alla discussione annuale sulla legge comunitaria o solamente alla sede della XIV Commissione, ma possa diventare di interesse anche per le altre Commissioni di merito (congiuntamente alla XIV Commissione, per esempio) in modo da consentire un rapporto con il Governo e le varie amministrazioni governative più puntuale rispetto ad una serie di dossier.
Ad esempio, è chiaro che presentando la relazione a febbraio dell'anno scorso, nel 2007, era assolutamente non pensabile che fosse di attualità la decisione dei Vertici europei sul «venti-venti-venti» di energie rinnovabili, efficienza energetica e riduzione della CO2.
Perché l'Europa sarà pure lenta, però sta al passo con i tempi, e non è detto che quello che presentiamo a gennaio esaurisca tutte le iniziative che poi l'Unione europea prenderà nel corso dell'anno; ritengo anzi che attivare le Commissioni di merito, insieme con la Commissione XIV, potrebbe consentire anche uno scambio in fase ascendente più puntuale rispetto a vari temi di grande rilevanza. Da questo punto di vista saluto con piacere la richiesta fatta dalle Commissioni ambiente, sviluppo economico ed affari europei del Senato per un'audizione, prevista la settimana prossima, per quanto riguarda la posizione assunta dal Governo italiano sulle riduzioni delle emissioni di CO2, proprio perché la Commissione ancora non si è espressa con una proposta di direttiva ma, come tutti sappiamo, la sta discutendo. Si tratta di un tema che vede le posizioni dei vari Stati membri molto diversificate, perché è chiaro che anche gli interessi dei vari Stati sono diversi a seconda della loro struttura industriale.
Pertanto, in attesa che si arrivi ad accelerare il processo per renderlo più efficace, mi permetto di dire al Parlamento che un'interlocuzione nel merito sui vari temi più diretta con il Governo può anche avvenire a livello di Commissioni competenti, coordinate con la Commissione XIV. Ciò consentirebbe un'informazionePag. 44più puntuale, anche nei tempi. Non è con un unico strumento e con un unico dibattito annuale che si risolve e si esaurisce il nostro rapporto dinamico e dialettico - non succube, ma dinamico e dialettico - con la casa comune europea.
È piuttosto facile fare delle ironie, peraltro a volte a ragione, sul livello di micro-legislazione che in alcune occasioni arriva dall'Unione europea. Faccio però presente, anche per esperienza diretta, che spesso queste micro-legislazioni sono spinte in modo forte da categorie specifiche, a volte da Stati membri specifici, e non sono il risultato folle di qualche burocrate, perché molto spesso hanno a che vedere con l'armonizzazione di regole di mercato interno. Si può fare dell'ironia sulla lunghezza dei cetrioli o sulla grandezza delle mele, rimane però il fatto che, a ben vedere, queste decisioni hanno un'influenza abbastanza evidente sulle regole del mercato interno.
In ogni caso, la Commissione stessa e noi con lei siamo convinti che le grandi regole quadro del mercato interno sono ormai stabilite ed è in corso, a partire dall'Unione europea, una procedura, come i colleghi sanno, di semplificazione e anche di delegificazione. Infatti, ad esempio, spesso, grazie all'evoluzione tecnologica, alcune direttive che erano adeguate e ottime negli anni Ottanta sono oggi completamente obsolete, perché magari sono disponibili strumenti tecnologici all'epoca non pensabili.
Dico questo perché la delegificazione costituisce un fattore importante, serve anche a diminuire i costi amministrativi (come è noto, ogni Stato membro è chiamato a contribuire, da questo punto di vista). Il nostro Paese si trova in una situazione un po' particolare: noi siamo culturalmente abituati a introdurre norme per via di legge. Stiamo imparando dall'Unione europea, ma siamo poco abituati a decreti di natura amministrativa o di altro tipo, e anche quando li adottiamo poi li carichiamo di procedure per cui persino i decreti legislativi diventano più pesanti di una norma primaria.
Comunque siamo andati avanti per anni con norme primarie, vale a dire con leggi. Per delegificare serva un'altra legge: è chiaro, quindi, che ci troviamo in una situazione piuttosto complicata, ma è impegno del Governo andare in questa direzione.
Aggiungo due ulteriori considerazioni. Da una parte, la legge comunitaria non è la sede - se non nella relazione, se fosse nei tempi giusti - del grande dibattito politico di indirizzo europeo. La legge comunitaria è uno strumento di recepimento di direttive, e l'idea era di accompagnarla con la relazione perché, essa sì, doveva essere il forum di dibattito di prospettiva. Questo abbinamento oggi risulta controproducente ed inefficace per le ragioni che abbiamo appena ricordato; scorporare i due strumenti è sicuramente una proposta utile.
Si può anche ovviare utilizzando nel frattempo altri strumenti. Esistono mozioni di indirizzo, di politica estera o in qualunque altra materia, che possono supplire nelle more di una decisione regolamentare che non so quando verrà. Per esempio, sulle prospettive future del Trattato, piuttosto che su altri temi rilevanti, anche mozioni di indirizzo specifiche, al di là della relazione annuale, possono in questo momento e in questo periodo essere usate, e il Governo si presterà molto volentieri a questo tipo di esercizio.
Voglio anche fare chiarezza su una serie di cifre. Immagino che l'impegno di tutti i colleghi relativo alla finanziaria nell'ultima fase del 2007 sia stato particolarmente assorbente, e quindi, probabilmente, è passata sotto silenzio la situazione delle infrazioni, e ciò determina una disparità di cifre. Colgo questa occasione per fare il punto della situazione. Alcuni di voi si sono riferiti ai dati di ottobre 2007. Vi ho comunicato che nell'ultima decisione del dicembre 2007 abbiamo avuto un altro passo positivo. Dunque, a fronte delle 275 infrazioni ereditate a maggio 2006 siamo oggi a 198: 35 per mancata attuazione delle direttive (questa legge comunitaria, peraltro, sarebbe di aiuto, perché attua una serie di direttive)Pag. 45e 163 per violazione del diritto comunitario. Le abbiamo anche classificate per settori ed è stata inviata un'informativa alle varie amministrazioni, perché procedano e prestino attenzione per le infrazioni di loro competenza, anche se molte, in particolare quelle ambientali, attengono alle regioni (la competenza regionale pone un altro tipo ancora di problematica).
Spero che lo strumento, che abbiamo presentato insieme e che sarà a disposizione delle amministrazioni e dei deputati, possa aiutare, nel suo obiettivo di trasparenza, ad avere un quadro monitorato quasi giorno per giorno, per sapere esattamente a che punto siamo.
Sempre per quanto riguarda questo argomento, non ho l'ossessione delle infrazioni, però va detto che se si vuole andare a negoziare in Europa su temi di vario tipo - credo sia capitato anche a voi nella legislatura precedente - o si è credibili o non lo si è. Non è proprio pensabile - lo dico per esperienza - che si vada a negoziare l'antidumping, o altre questioni importanti come ad esempio le emissioni di CO2, in una situazione in cui poi non si è credibili per quanto concerne il recepimento.
È un dato semplicemente di credibilità, né ho il feticismo delle direttive, per le ragioni che dicevo prima. Constato, però, che questa legge comunitaria recepisce le direttive negoziate dall'amministrazione precedente: sono quasi tutte dell'amministrazione precedente o negoziate dall'amministrazione precedente e portate a termine nella seconda parte del 2006. Posso assicurare i colleghi che non c'è nessuna deriva ossessiva burocratica dell'Unione europea.
Onorevoli colleghi, a me non pare che il vero problema dell'Europa sia l'ossessione burocratica. Badate bene che stabilire delle regole di mercato interno per 500 milioni di persone, con una diversità così evidente tra 27 Paesi e tra regioni dello stesso Paese, implica obiettivamente una legislazione abbastanza «puntuta» e non fatta solo di leggi quadro. Il problema non è se si tratta diversamente l'agricoltore di serie A, B o C, ma è che la politica di coesione, per quanto riguarda le aree come il nostro Sud, prevede una legislazione diversa rispetto a quella di un'altra parte del territorio nazionale. Ciò vale per i fondi strutturali di cui ha beneficiato, ad esempio, la Sardegna, piuttosto che altre zone, quindi non si tratta di una differenziazione di categoria di lavoratore, ma di territorio dove si trova ad operare. Non dico che sia giusto o sbagliato, sottolineo solo la complessità di una normativa che deve tenere conto non solo di 500 milioni di persone, ma anche del fatto che queste producono in situazioni e in territori completamente diversi, per cui lo sforzo di armonizzazione certamente non è semplicissimo.
Tuttavia, credo che il problema più grande sia un altro. La ratifica del Trattato non ha entusiasmato molti, neanche in Italia, a livello governativo o parlamentare, ma si è deciso un po' di fare di necessità virtù. Ritengo che oggi sia arrivato il tempo di una pausa dei trattati e, forse, di dedicarsi di più alle politiche, che sono quelle che interessano i cittadini; è necessaria, insomma, una politica di risultati. La preoccupazione che sento più forte a livello politico generale è quella di una ripresa, a tamburo battente e con grande forza, dei nazionalismi, e di vederci avviare con grande forza verso un'Europa delle patrie di degaulliana memoria, invece che verso la costruzione della patria europea. Credo che questo ci debba in qualche modo tenere attenti, al fine di dare il nostro contributo, per quanto possiamo.
L'Unione europea rappresenta una famiglia che, almeno per quanto riguarda le regole, decide all'unanimità, quindi ognuno deve fare la sua parte anche in termini di rapporti di forza e di pressione, facendo però attenzione a non bloccare il processo. Non è vero, infatti, che l'Europa ormai è costruita e non esiste alternativa; ritengo, invece, che la preoccupazione dei nazionalismi, dei protezionismi e del gioco delle capitali (come si vede, ad esempio, in politica estera, ma non solo) sia una preoccupazione che ci deve tenere svegli.
Ringrazio il Parlamento per averci consentito di rafforzare il Comitato intergovernativoPag. 46CIACE (che, peraltro, è stato istituito dalla cosiddetta legge Buttiglione), che stiamo cercando di far funzionare e che credo stia dando risultati notevoli in funzione di coordinamento, ad esempio, dei documenti relativi al risparmio energetico, alle fonti rinnovabili e alle emissioni di CO2. È uno strumento sufficientemente nuovo, che solo ora sarà rafforzato da risorse umane di alta specializzazione, perché - anche sotto questo profilo ha ragione il collega Cassola - un funzionario, magari bravissimo su tutti gli altri temi, ma con scarsa dimestichezza con le istituzioni europee, non ci può aiutare in questa direzione.
Abbiamo anche provveduto ad un'iniziativa che ritengo importante, la cosiddetta «bollinatura» europea dei disegni di legge di iniziativa governativa. A tal riguardo, vi sarà ed è già in atto uno screening di «aderenza» europea, che verrà effettuato prima che un disegno di legge arrivi in Parlamento, analogamente a quanto si verifica con riguardo alla tesoreria e, quindi, alla copertura finanziaria. Credo che si tratti di uno strumento di prevenzione di violazioni comunitarie piuttosto importante.
Informo anche che abbiamo rivitalizzato il Comitato antifrode, il quale comincerà, a mio avviso, a dare buoni risultati già da marzo. Probabilmente riusciremo a chiudere un centinaio di procedure di frode (o meglio di denunce, in quanto le procedure non si aprono mai), con un recupero finanziario di una certa entità.
La casa europea è complessa, in quanto per funzionare necessita dell'apporto di tutti: del Parlamento, delle regioni (come è stato sottolineato), dell'opinione pubblica e del Governo. Credo che ci stiamo muovendo nella giusta direzione, cercando contemporaneamente di far valere le nostre ragioni e di mantenere vivo l'ideale europeo.
Qualunque cosa si voglia dire, io non conosco altro progetto in giro per il mondo che sia stato portatore di pace, nella sicurezza e nello Stato di diritto: ciò con tutti i limiti e l'imperfezione che sono tipici del mondo (non conosco cose perfette!), tuttavia non conosco altro progetto in giro per il mondo che abbia dato questi risultati con lo strumento del diritto e non della potenza, dell'arroganza e della soverchieria.
Questo dobbiamo amare, questo dobbiamo curare, sebbene a volte ci secchi a causa delle sanzioni, delle quote latte e quant'altro. Tuttavia, credo che lo spirito di fondo sia quello cooperativo, che dobbiamo davvero tenere prezioso come elemento costitutivo di una cittadinanza europea (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-L'Ulivo, Verdi e Italia dei Valori).
(Annunzio di risoluzioni - Doc. LXXXVII, n. 2)
PRESIDENTE. Avverto che, ai sensi dell'articolo 126-ter, comma 6, del Regolamento, sono state presentate le risoluzioni Pini n. 6-00026, Frigato ed altri n. 6-00027 e Falomi ed altri n. 6-00028 concernenti la Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Vedi l'allegato A - Risoluzioni sezione 1).
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sull'ordine dei lavori (ore 19,55).
SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo per lasciare agli atti della seduta la solidarietà al direttore de Il Sole 24 Ore Ferruccio De Bortoli e ai giornalisti Nino Amadore e Roberto Galullo per le minacce e per i gesti vili di cui sono stati oggetto a seguito della linea editoriale del giornale e delle sue inchieste. Esprimiamo la nostra solidarietà, da amanti della libera stampa e da convinti sostenitori. Auspichiamo che questi gesti vengano puniti e che queste limitazioni della liberaPag. 47stampa, in un Paese che ha il diritto e il dovere di vivere nel diritto e nella democrazia, siano condannate.
Oggi è stata manifestata la solidarietà dell'intero mondo politico, istituzionale, sociale, sindacale, e di altri esponenti della società civile. Crediamo sia opportuno in quest'Aula ribadire la nostra solidarietà al direttore della testata e a tutti i giornalisti che in questo giornale libero, che affronta battaglie coraggiose, lavorano ogni giorno, con responsabilità e serietà.
ARNOLD CASSOLA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, intervengo per associarmi alle parole dell'onorevole Baldelli a nome del gruppo dei Verdi, che ha già manifestato la propria solidarietà tramite la stampa, con la collega Balducci.
GABRIELE FRIGATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, come gruppo del Partito Democratico-L'Ulivo ci associamo alle parole, alle preoccupazioni e alla solidarietà espresse dal collega Baldelli di fronte ad atto che non può trovare assolutamente alcuna giustificazione e che aumenta la nostra preoccupazione. Ci faremo carico come parlamentari (ma il Governo, a mio avviso, farà la propria parte) affinché nel Paese sia fatta chiarezza e, soprattutto, non si ripetano simili atti.
ANTONELLO FALOMI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, ritengo sia importante, in questo momento, far sentire ai giornalisti minacciati tutta la vicinanza e la solidarietà del Parlamento e far capire che la battaglia contro la penetrazione della criminalità organizzata e della mafia nel settore dell'imprenditoria in Sicilia, che gli stessi stanno svolgendo, è una battaglia importante: per tali ragioni, mi associo alle parole dell'onorevole Baldelli e manifesto la solidarietà del mio gruppo nei confronti di quanti stanno svolgendo un compito importante, di libera informazione e di battaglia contro la criminalità organizzata.
ANTONIO RAZZI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, anch'io, a nome del gruppo Italia dei Valori, mi associo alle parole del collega Baldelli per quanto è accaduto nei confronti di organi della stampa.
PRESIDENTE. Lo spettro dei gruppi politici intervenuti per esprimere la solidarietà nei confronti del direttore e dei giornalisti de Il Sole 24 Ore dimostra che è l'intera Assemblea a rivolgere tale attestato di solidarietà.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 15 gennaio 2008, alle 14:
1. - Discussione delle mozioni Maroni ed altri n. 1-00261, La Russa ed altri n. 1-00265 e Cirino Pomicino ed altri n. 1-00266 sulla vicenda della cessione della compagnia aerea Alitalia.
2. - Seguito della discussione del disegno di legge e del documento:
S. 1448 - Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2007 (Approvato dal Senato) (3062-A).
- Relatore: Bimbi.
Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Doc. LXXXVII, n. 2).
- Relatore: Frigato.
3. - Seguito della discussione dei disegni di legge:
Ratifica ed esecuzione del III Protocollo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, relativo all'adozione di un emblema aggiuntivo, fatto a Ginevra l'8 dicembre 2005 (2782).
- Relatore: Khalil detto Alì Rashid.
Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione internazionale per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991 (2861)
e delle abbinate proposte di legge: ZELLER ed altri; ZELLER ed altri; BOATO (583-661-188).
- Relatore: De Brasi.
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Consiglio federale svizzero relativo alla non imponibilità dell'imposta sul valore aggiunto dei pedaggi riscossi al traforo del Gran San Bernardo, firmato a Roma il 31 ottobre 2006 (3094).
- Relatore: Narducci.
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Moldova per l'assistenza giudiziaria e per il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze in materia civile, fatto a Roma il 7 dicembre 2006 (3095).
- Relatore: Cioffi.
S. 1602 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Bulgaria sul trasferimento delle persone condannate alle quali è stata inflitta la misura dell'espulsione o quella dell'accompagnamento al confine, fatto a Sofia il 22 novembre 2005 (Approvato dal Senato) (3081).
- Relatore: Picchi.
Ratifica ed esecuzione del Trattato per l'assistenza giudiziaria in materia penale tra la Repubblica italiana e la Repubblica del Cile, fatto a Roma il 27 febbraio 2002 (3022).
- Relatore: Ranieri.
La seduta termina alle 20.
TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO FRANCA BIMBI IN SEDE DI DISCUSSIONE CONGIUNTA SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 3062-A E DELLA RELAZIONE DOC. LXXXVII, N. 2
FRANCA BIMBI, Relatore sul disegno di legge n. 3062. Onorevoli colleghi, la discussione del disegno di legge comunitaria per il 2007 interviene in un momento importante, in cui il nostro Paese si trova a dover assumere sempre maggiori responsabilità in un'Unione che deve far fronte a sfide globali. Il Trattato firmato a Lisbona possiede in gran parte le qualità istituzionali per governare ed implementare l'integrazione di un'Europa a 27, anche se in esso sembra mancare, come ci ha ricordato di recente il Presidente Napolitano, la chiara visione, contenuta nel passato progetto costituzionale, «della volontà di costruire l'Europa politica», che resta «obiettivo al quale l'Italia non intende rinunciare».
Comunque, con la firma del Trattato di Lisbona si aprono nuovi scenari sia per il funzionamento complessivo delle istituzioni comunitarie sia per il loro rapporto con le istituzioni nazionali, a partire dai Parlamenti, anche con riguardo alla costruzione di una cittadinanza europea, tutelata dal conferimento di efficacia giuridica vincolante alla Carta dei diritti. La Carta diventa il punto di riferimento deiPag. 49principi regolatori dello spazio giuridico comune, per un'Europa più ampia, più unita, più sicura.
Per quel che riguarda la legge comunitaria, a tre anni circa dall'entrata in vigore della legge 4 febbraio 2005, n. 11, proprio l'uscita da una fase di prolungata transizione dell'assetto istituzionale dell'Unione europea determina la necessità di una valutazione compiuta dell'efficacia e della funzionalità dei meccanismi di trasposizione delle normative comunitarie nell'ordinamento nazionale.
È dunque necessario avviare, nelle idonee sedi parlamentari, una riflessione sull'attuazione della legge n. 11 e sulla qualità, oltre che sulla tempestività, dei meccanismi nazionali di recepimento. Su questo punto, si è registrata una larga convergenza di tutte le forze politiche.
Questa linea di sviluppo - che interessa nel complesso le attività della XIV Commissione Politiche dell'Unione europea - dovrà delinearsi con progressiva chiarezza nel futuro più prossimo.
A questo proposito la XIV Commissione ha anche avviato un'indagine conoscitiva proprio al fine di effettuare una ricognizione dei rapporti tra l'ordinamento nazionale e quello comunitario, dopo l'entrata in vigore della legge n. 11 del 2005, e per valutare l'opportunità di eventuali modificazioni ed adeguamenti relativi alla legislazione vigente ed ai regolamenti parlamentari.
La stessa Commissione ha inoltre intenzione di procedere alla costituzione di Comitati permanenti, in maniera da potere seguire in modo più sistematico e puntuale sia la fase ascendente nel suo complesso sia le principali tematiche di interesse comunitario.
La legge n. 11 interessa una vasta area di rapporti tra l'ordinamento nazionale e quello comunitario: la fase ascendente come la fase discendente, i vari livelli di governo statale, regionale e locale, i rapporti con la società civile, la stessa forma di governo.
Se l'esame del disegno di legge comunitaria annuale costituisce un momento particolarmente qualificante per porre in essere in concreto e con efficacia l'attuazione del diritto comunitario, un adeguato esame delle proposte e delle normative in fase ascendente, deve dar corpo alla autorevolezza ed all'efficacia del ruolo dei Parlamenti nazionali nell'ordinamento comunitario, così come previsto anche dai testi di riforma dei Trattati dell'Unione.
Il disegno di legge annuale con cui il Parlamento recepisce la normativa nazionale evoca in primo luogo un elemento non positivo connesso: i procedimenti di infrazione aperti nei confronti dell'Italia. Sulla base delle informazioni fornite dal Governo, al 5 novembre 2007 risultano ufficialmente aperte nei confronti del nostro Paese complessivamente 223 procedure di infrazione: 168 riguardano casi di violazione del diritto comunitario, 55 la mancata attuazione di direttive nell'ordinamento italiano.
Nel maggio del 2006, le procedure a carico dell'Italia erano 275 (206 per violazione del diritto comunitario e 69 per mancato recepimento). In particolare, è da sottolineare la diminuzione del numero di procedure per violazione del diritto comunitario. Il risultato positivo viene confermato anche dall'Internal Market Scoreboard (pubblicato dalla Commissione nel gennaio 2007), anche con riguardo alle procedure per mancato recepimento di direttive. Il tasso di direttive non recepite da parte dell'Italia è infatti diminuito dal 3,8 per cento al 2,2 per cento: è il risultato più consistente tra tutti gli Stati membri.
Per quanto riguarda la legge n. 11, oggi, dopo una prima fase di rodaggio, appaiono chiari i meriti, ma anche i limiti, del quadro normativo utilizzato per trasporre in ambito nazionale i principi normativi sovranazionali. In questo scorcio di legislatura si è infatti iniziato a cogliere alcune inadeguatezze della «via italiana» all'integrazione comunitaria, tra cui le questioni legate al coordinamento tra i diversi livelli di governo, il permanere di un pur sempre elevato contenzioso a nostro carico, il funzionamento parziale di un meccanismo di trasposizione che ha proprio nella legge comunitaria il suo fulcro essenziale.Pag. 50
La stessa tempistica della sua approvazione parlamentare appare collegata, in modo non del tutto razionale, all'esame della Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, che dovrebbe invece essere effettuato autonomamente all'inizio di ogni anno, per consentire l'approvazione tempestiva di indirizzi parlamentari finalizzati alla definizione della posizione italiana di fronte alla Presidenza di turno - o alle presidenze in corso d'anno - del Consiglio dell'Unione europea, particolarmente con i nuovi assetti istituzionali previsti dal Trattato di Lisbona.
Soprattutto occorre valutare l'opportunità di introdurre una sessione comunitaria che assicuri tempi certi, per un esame coerente con i tempi degli obblighi comunitari, delle disposizioni di recepimento delle norme comunitarie.
Si tratta di nodi problematici che rinviano da un lato alla contrastata accettazione dei princìpi di funzionamento di un ordinamento sovranazionale da parte della cultura giuridica e politica nazionale, per molti aspetti legata, per lunghi decenni, ad una visione univoca ed autocentrata della sovranità statuale e, dall'altro, alla natura stessa del fenomeno dell'integrazione giuridica comunitaria, che richiede la verifica continua delle distinzioni e dei legami fra interno ed esterno all'ordinamento giuridico statale, nonché il pieno coordinamento tra le competenze e le responsabilità statali, regionali, locali.
La legge comunitaria annuale resta ancora lo strumento normativo privilegiato per il recepimento della normativa comunitaria nell'ordinamento interno e per la modifica di norme nazionali contrastanti o non armonizzate rispetto agli obblighi ed alla disciplina europea. La sua introduzione ha infatti consentito di arrivare ad un tasso di recepimento delle direttive che quest'anno è pari al 98,44 per cento (nel 1990, all'indomani dell'approvazione della legge La Pergola, la percentuale era dell'80 per cento). Nonostante questo incoraggiante risultato, l'Italia si colloca tra gli ultimi posti nella graduatoria dei 27 Stati membri (al ventitreesimo posto, prima di Grecia, Lussemburgo, Portogallo e Romania), in base all'ultimo scoreboard fornito dalla Commissione europea.
Uno specifico elemento di riflessione attiene al contenzioso con le istituzioni comunitarie. Il Governo, oltre ai dati già richiamati, fornisce altresì la classificazione per settori delle procedure: il maggior numero di procedure riguarda la materia ambientale (64 procedure), seguita dal settore economia e finanze (41), dal settore sviluppo economico (21) e dal settore affari interni (18). Per quanto riguarda il solo mercato interno, sulla base dei dati della Commissione europea risulta che l'Italia, alla data del 1o ottobre 2006, con 153 procedure, rimane il Paese con il maggior numero di procedure di infrazione.
Per quel che riguarda l'ambiente, sono purtroppo sotto gli occhi dell'opinione pubblica gli effetti anche di una non tempestiva messa in atto delle disposizioni europee, che ci ha portato a trascinare da troppi anni una definizione di «rifiuto» (non esclusiva di una Regione!) difforme da quelle adottate dai Paesi europei meglio attrezzati sull'argomento.
Del resto lo stato di attuazione delle direttive comunitarie nell'ordinamento italiano offre diversi elementi di riflessione. Per quanto il disegno di legge comunitaria 2007 sia volto a recepire un numero elevato di direttive (16, con gli allegati A e B), cui occorre aggiungerne 40 da attuare in via amministrativa, ne risultano 22 scadute ovvero in scadenza entro il 2007, che non risultano inserite negli allegati del provvedimento.
A tale proposito occorre evidenziare l'opportunità di provvedere quanto prima ad un loro tempestivo recepimento, al fine di evitare di incorrere in eventuali procedure di infrazione a livello comunitario.
Merita poi richiamare l'attenzione su un dato: anche quest'anno, come già per il disegno di legge comunitaria 2006, la relazione governativa al disegno di legge iniziale forniva alcuni elementi circa l'attuazione delle direttive da parte delle regioni,Pag. 51un ulteriore aspetto disciplinato dalla legge n. 11 che meriterà una specifica tematizzazione in sede di indagine conoscitiva.
Si tratta di dati che devono essere comunicati annualmente (entro il 25 gennaio) al Dipartimento per le politiche comunitarie da parte della Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome. Il disegno di legge comunitaria per il 2007 evidenzia che sono pervenuti i dati delle seguenti regioni: Abruzzo (1 direttiva recepita); Friuli Venezia Giulia (10 direttive recepite); Liguria (1 direttiva recepita); Lombardia (4 direttive recepite); Puglia (1 direttiva recepita); Provincia autonoma di Bolzano (4 direttive recepite); Provincia autonoma di Trento (3 direttive recepite).
Il nostro sistema deve senz'altro spingere le regioni ad attuare le direttive nelle materie di propria competenza.
Ricordiamo che le difficoltà di recepimento delle normative comunitarie è un segnale spesso grave delle difficoltà di modernizzazione del sistema-Paese e che lo sviluppo del mercato unico, assieme a quello della piena libertà di movimento delle persone, costituisce uno dei pilastri della logica comunitaria, anche nell'ottica dell'implementazione delle capacità di prevenire e governare dinamiche complesse, come le crisi finanziarie, l'incremento del fabbisogno di energia, i rischi ambientali, la crescita delle disuguaglianze, gli incipienti segnali dell'emergere di nuovi processi di discriminazione.
Passando ad una disamina più puntuale dell'articolato, il Capo I riunisce le disposizioni generali sui procedimenti per l'adempimento degli obblighi comunitari che riproducono in larga misura le previsioni recate dalle leggi comunitarie degli anni precedenti e che potrebbero forse opportunamente confluire in una versione «consolidata» della legge n. 11 del 2005, così come ha prospettato lo stesso relatore del provvedimento al Senato.
L'articolo 1 disciplina il procedimento per la emanazione dei decreti legislativi delegati all'attuazione delle direttive contenute negli allegati A e B. Come di consueto, per le direttive contenute nell'allegato B e per quelle contenute nell'allegato A che recano disposizioni sanzionatorie, è previsto il parere delle competenti Commissioni parlamentari. Ai fini di un più celere adeguamento della normativa italiana agli obblighi imposti in sede comunitaria, il comma 1 prevede che il termine per l'esercizio della delega debba, di norma, coincidere con la scadenza del termine di recepimento della direttiva.
Tale soluzione dovrebbe ridurre i ritardi fisiologici nel recepimento delle direttive che scadono anteriormente al termine della delega legislativa: ciò appare quanto mai opportuno se si considera l'accelerazione recente della Commissione europea nel dare avvio alle procedure d'infrazione per mancata attuazione, anche dopo solo due settimane dalla scadenza del termine di recepimento.
Si muove nella stessa direzione la disposizione successiva che prevede, per le direttive il cui termine di recepimento sia già scaduto o scada nei tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge comunitaria, che il Governo adotti i decreti legislativi di attuazione entro e non oltre novanta giorni dall'entrata in vigore della legge. Viene altresì confermato, dal comma 4, l'obbligo di accompagnare con la relazione tecnica gli schemi di decreto legislativo comportanti conseguenze finanziarie, già contemplato in via generale dalla legge n. 468 del 1978.
Il comma prevede altresì che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate al fine di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, debba sottoporre i testi (corredati delle necessarie informazioni integrative) a un nuovo parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro 20 giorni, introducendo il cosiddetto «doppio parere», limitatamente ai provvedimenti di recepimento delle direttive indicate. Analoga disposizione è prevista con riguardo alle disposizioni recanti sanzioni penali.
La XIV Commissione ha altresì recepito una condizione contenuta nella relazione della Commissione Bilancio, volta a garantire il rispetto dell'articolo 81, quartoPag. 52comma, della Costituzione: la procedura aggravata connessa ai profili finanziari dovrà comunque essere applicata a tutta una serie di schemi di decreti legislativi in attuazione di direttive specificamente individuate.
Viene parimenti riproposta la cosiddetta clausola di cedevolezza, di cui all'articolo 11, comma 8, della legge n. 11 del 2005, secondo cui i decreti legislativi di attuazione di direttive, adottati nelle materie riservate alla competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, ai sensi del quinto comma dell'articolo 117 della Costituzione, qualora queste ultime non abbiano provveduto ad emanare proprie norme attuative, costituiscono un intervento «suppletivo, anticipato e cedevole», nel senso che entrano in vigore solo alla scadenza del termine per l'attuazione stabilito dalla stessa direttiva e perdono efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa attuativa regionale o provinciale.
Con riguardo alle Regioni, occorre ricordare che il disegno di legge comunitaria 2007 non reca più il capo riguardante i princìpi fondamentali della legislazione concorrente, inserito, quale Capo III, nella legge comunitaria per il 2006 in attuazione dell'articolo 9, comma 1, lettera f) della legge n. 11 del 2005. Nel corso dell'esame preliminare in sede di Conferenza Stato-Regioni del presente disegno di legge, i rappresentanti regionali avevano infatti sottolineato il nodo irrisolto della definizione dei princìpi fondamentali ai quali devono attenersi le regioni nell'attuazione delle direttive comunitarie in materia di legislazione concorrente regionale.
Accanto a tale nodo problematico, occorre segnalare che la struttura ed i contenuti del disegno di legge in esame non sembrano ancora rispondere compiutamente a quanto stabilito dall'articolo 9 della legge n. 11 del 2005. Il provvedimento infatti, al pari delle leggi comunitarie degli anni precedenti, non contiene le disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, delegano il Governo ad adottare decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni, emanate nell'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 117, quinto comma, della Costituzione.
Sono poi previsti: obblighi di informazione al Parlamento da parte del Governo, nel caso di mancato esercizio di deleghe in attuazione dei vincoli comunitari; un obbligo di relazione semestrale dal Governo al Parlamento sullo stato di attuazione da parte di Regioni e province autonome.
L'articolo 2 detta princìpi e criteri di carattere generale per l'esercizio delle deleghe ai fini dell'attuazione delle direttive comunitarie, in gran parte già contenuti nelle precedenti leggi comunitarie. È stato introdotto, alla lettera c), relativa alle sanzioni, un ulteriore criterio di delega volto a prevedere la riassegnazione delle somme derivanti dalle sanzioni di nuova istituzione alle amministrazioni competenti per la loro irrogazione. Tale disposizione nasce dall'esigenza, più volte rappresentata dalle amministrazioni competenti in sede di attuazione della delega, di poter usufruire degli introiti, sia pure eventuali, delle sanzioni che le medesime sono chiamate ad irrogare.
L'articolo 3 conferisce una ormai consueta delega biennale ad adottare sanzioni per la violazione di disposizioni comunitarie, mentre l'articolo 4 riproduce, senza modifiche sostanziali, una disposizione già contenuta nelle precedenti leggi comunitarie in materia di oneri relativi a prestazioni e controlli da eseguire da parte di uffici pubblici in applicazione delle normative comunitarie. Esso prevede la riassegnazione delle entrate derivanti dalle tariffe - determinate ai sensi dell'articolo 9, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11 - alle amministrazioni che effettuano le prestazioni ed i controlli.
La Commissione ha valutato anche un'osservazione contenuta nel parere del Comitato per la legislazione, volta a riformulare la disposizione come periodo o comma aggiuntivo alla citata norma dellaPag. 53legge n. 11 del 2005, in modo da farle acquisire una valenza generale. Infine si è ritenuto di accogliere l'indicazione del Governo, alla luce delle lievi differenze lessicali riscontrate nelle formulazioni adottate in ciascun anno.
L'articolo 5 delega il Governo all'emanazione di testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dalla presente legge per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le altre norme legislative vigenti nelle stesse materie. In particolare, si fa riferimento ai princìpi ed ai criteri previsti dall'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, così come modificata, tra le altre, dalla legge 28 novembre 2005, n. 246 (legge di semplificazione per l'anno 2005).
La previsione di tale delega può sicuramente rappresentare uno strumento utile per operare un'azione periodica di coordinamento e di riordino del sistema normativo nazionale. La novità del presente disegno di legge consiste nella previsione dello strumento dei codici di settore accanto a quello dei testi unici, al fine di operare un assestamento della materia dando luogo, in singole materie, ad un complesso di norme stabili ed armonizzate. A tal fine è stato inoltre eliminato il limite della mera raccolta delle norme esistenti, prevedendo la possibilità di introdurvi anche disposizioni innovative.
In particolare è stata accolta un'osservazione del Comitato per la legislazione, riferita al comma 2 dell'articolo 5, ove si riaprono i termini di esercizio della delega prevista dall'articolo 8, comma 1, della legge comunitaria 2005 (legge n. 29 del 2006). Poiché non si procedeva alla modifica testuale della relativa norma, la Commissione ha valutato positivamente l'opportunità di riformulare la disposizione in termini di novella.
Il Capo I si conclude con l'articolo 6 che, nel testo trasmesso dal Senato, introduce delle modifiche alla legge n. 11 del 2005.
In particolare, introduce alla lettera a) il comma 4-bis all'articolo 2 della legge n. 11 del 2005 secondo cui il CIACE (Comitato interministeriale per gli affari comunitari) può avvalersi, entro un numero massimo di 20 unità, di personale appartenente alla terza area o qualifiche equiparate, in posizione di comando, proveniente da altre amministrazioni, con preferenza per coloro che abbiano lavorato come esperti distaccati per l'Unione europea o presso organismi dell'Unione. Entro il 31 gennaio di ogni anno dovrà essere indicato il limite di queste unità.
In questo caso, contro le eventuali obiezioni incentrate esclusivamente sui costi di tali operazioni, merita precisare che la misura introdotta appare assolutamente condivisibile perché mira a rafforzare una struttura essenziale per l'efficacia funzionale del Dipartimento per le politiche comunitarie, con personale particolarmente qualificato e competente. Di fronte ai rischi di una crescente «rinazionalizzazione» delle politiche legislative comunitarie ed alla crescente necessità di «comunitarizzazione» di tanti settori della legislazione nazionale, occorre puntare decisamente alla formazione di personale che divenga altamente qualificato e specializzato, per sopperire alla scarsa presenza di funzionari italiani nelle istituzioni dell'Unione europea come nella costellazione di organismi, associazioni, reti d'interessi organizzati che operano quotidianamente a Bruxelles.
Occorre anche affermare l'esigenza di un profondo ripensamento del sistema amministrativo nazionale preposto alla formazione ed all'attuazione del diritto comunitario. Si tratta di produrre meccanismi d'intervento nella fase preparatoria ed esecutiva del processo decisionale comunitario, con particolare riferimento alle Amministrazioni che partecipano ai comitati di «comitatologia» che assistono la Commissione nell'esercizio delle competenze di attuazione ad essa delegate, di monitorare le attività di recepimento delle singole Amministrazioni con particolare riferimento alle direttive attuate in via amministrativa, di rafforzare ulteriore il Dipartimento delle politiche europee dotandolo di una rete di dirigenti responsabili degli affari europei per i diversi settoriPag. 54e capaci di interagire con analoghe competenze presenti anche all'interno di ogni Ministero.
Sul tema del CIACE e del personale specializzato nelle questioni comunitarie potrà quindi essere importante rivalutare le misure previste dall'articolo 19, commi 1 e 2, del testo originario del disegno di legge finanziaria per il 2008, intese a promuovere lo scambio di esperienze tra la pubblica amministrazione italiana e le istituzioni comunitarie, anche nella fase di accesso agli uffici delle stesse, attraverso l'organizzazione di seminari per la formazione specifica in materie comunitarie rivolti a cittadini italiani vincitori di concorsi banditi dalle istituzioni comunitarie, e con l'attivazione di tirocini finalizzati all'inserimento di tali vincitori presso le singole istituzioni comunitarie o presso uffici delle pubbliche amministrazioni italiane, anche delle regioni e degli enti locali, preposti alla cura dei rapporti istituzionali con i servizi della Commissione europea e del Consiglio dell'Unione europea.
Nel corso dell'esame in Commissione è stata inserita una nuova disposizione volta a modificare l'articolo 3, comma 5, della legge n. 11, sì da prevedere termini certi per le comunicazioni del Governo alle Camere circa l'attività del Consiglio dell'Unione europea. Si è quindi previsto che il Governo, prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, debba riferire alle Camere, illustrando la posizione che intende assumere in quella sede, almeno quindici giorni prima. Si è altresì previsto che il Governo debba, su richiesta delle Camere, riferire ai competenti organi parlamentari prima delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, almeno quindici giorni prima.
Particolare rilievo assume altresì la lettera c), introdotta nel corso dell'esame in sede referente al Senato, a seguito di una proposta emendativa del relatore, che modifica l'alinea del comma 5 dell'articolo 8 della legge n. 11 del 2005, prevedendo che alcune informazioni, ora contenute nella relazione governativa allegata al disegno di legge comunitaria, vengano inserite in una apposita nota aggiuntiva, aggiornata al 31 dicembre di ogni anno, per accrescere la «leggibilità» del testo normativo.
Si tratta, in particolare, dei seguenti elementi informativi: i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione, con riguardo in particolare alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana; l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa; l'indicazione dell'eventuale omissione dell'inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l'esercizio della delega legislativa; l'elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 11 del 2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d'attuazione già adottati; l'elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome attuativi delle direttive comunitarie, anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome.
La lettera d) inserisce il nuovo articolo 11-bis che reca, in via generale, un'autorizzazione permanente al Governo all'attuazione in via regolamentare - ex articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988 - delle disposizioni adottate dalla Commissione europea in attuazione di direttive recepite con decreto legislativo. Viene in tale modo recepita un'esigenza già espressa nel corso dell'esame del disegno di legge comunitaria per il 2006 presso la XIV Commissione. La Commissione ha approvato una riformulazione più precisa della disposizione.
Nel corso dell'esame in Commissione sono state poi introdotte - oltre ad una modificazione dell'articolo 15, con un richiamo espresso all'attività del CIACE quale oggetto della relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea - due disposizioni all'articolo 15-bis della legge n. 11 del 2005, concernenti le informazioni dal Governo al Parlamento suPag. 55procedure giurisdizionali e di precontenzioso riguardanti l'Italia. La Commissione ha ritenuto di contemperare due esigenze: l'esigenza di una più ampia disponibilità di elementi informativi da parte del Parlamento circa le procedure di infrazione in corso e quella relativa ai limiti dati dalla tutela della riservatezza dei terzi. In questo senso, è stato introdotto l'obbligo per il Governo di trasmettere al Parlamento - unitamente agli elenchi semestrali delle procedure in atto - anche la documentazione intercorsa con la Commissione europea, relativa alle procedure di infrazione in corso, nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale relativa alla tutela della riservatezza nonché del segreto professionale e d'ufficio.
Sempre nella prospettiva di migliorare la fruibilità del testo della legge comunitaria e di esplicitare gli obiettivi di superamento del contenzioso presso le istituzioni comunitarie, il testo approvato dal Senato prevede l'inserimento di un comma 3-bis all'articolo 15-bis della legge n. 11 del 2005, integrandone il dettato con la previsione di un ulteriore obbligo informativo in capo al Governo nei confronti del Parlamento. In forza di tale disposizione, il Governo ha l'obbligo di comunicare al Parlamento tutte le informazioni inerenti gli atti avviati dagli organismi comunitari nei confronti dell'Italia (sentenze della Corte di Giustizia e degli altri organi giurisdizionali, cause sollevate in via pregiudiziale, procedure di infrazione, procedimenti di esame di aiuti di Stato) che siano alla base di disegni di legge, di decreti-legge o di schemi di decreti legislativi presentati in Parlamento.
La lettera i) inserisce nella legge n. 11 del 2005 un nuovo articolo, il 16-bis, che riproduce il contenuto dei commi da 1213 a 1223 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), che vengono abrogati. Si tratta di misure concernenti l'adempimento degli obblighi comunitari ed internazionali dello Stato derivanti, in particolare, dalle procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea, dalle sentenze di condanna della Corte di giustizia, dalle sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo originate dalla violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (e dei relativi Protocolli addizionali). In particolare, il testo del disegno di legge trasmesso dal Senato riproduceva - riportandola nella sede propria della legge n. 11 - la disciplina, già contenuta nella legge finanziaria per il 2007, concernente il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti di Regioni o altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto comunitario.
Nel corso dell'esame in XIV Commissione sono stati recepiti alcuni emendamenti approvati dalla I Commissione, volti a precisare i termini di applicabilità alle Regioni speciali ed alle province autonome di Trento e di Bolzano della disciplina sul diritto di rivalsa da parte dello Stato e sulla procedura relativa agli aiuti di Stato.
In primo luogo, è stato previsto che, qualora l'obbligato sia un ente territoriale, i decreti ministeriali che fissano la misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa sono emanati previa intesa sulle modalità di recupero con gli enti obbligati e soprattutto che, in caso di mancata intesa, provveda il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. In tal modo, tra l'altro, potrà prendere parte al Consiglio dei ministri il presidente della Regione interessata.
Infine è stato poi deciso di rinviare alla normativa di attuazione statutaria la definizione delle procedure relative al diritto di rivalsa nei confronti di Regioni speciali e province autonome. Per ragioni di continuità ordinamentale è stato peraltro previsto che, fino all'entrata in vigore delle specifiche norme di attuazione, anche a Regioni speciali e province autonome si applichino le disposizioni relative alle regioni ordinarie.
Analogamente è stata inserita una disposizione sulle procedure da seguire nella dichiarazione preventiva richiesta ai destinatari degli aiuti di Stato, quale condizione per potersi avvalere degli aiuti medesimi. La disposizione introdotta dallaPag. 56XIV Commissione stabilisce pertanto che, per gli aiuti di Stato istituiti dalle regioni e dalle province autonome, le modalità per la dichiarazione nonché le procedure di recupero dei medesimi aiuti di Stato individuati quali illegali o incompatibili dalla Commissione europea sono disciplinate nell'esercizio delle competenze legislative ed amministrative ad esse spettanti. Fino all'effettiva adozione di tali disposizioni da parte delle regioni e delle province autonome si applicano le disposizioni di legge statale che riguardano in via generale le procedure sugli aiuti di Stato.
Il Capo II contiene, come di consueto, le disposizioni particolari di adempimento e i criteri specifici di delega. Si tratta di due tipologie di norme: le prime sono quelle di diretta esecuzione degli obblighi comunitari predisposte per provvedere ad un'attuazione immediata di una direttiva (o di una parte di essa), ovvero per porre fine ad una procedura d'infrazione o per ottemperare ad una sentenza della Corte di giustizia; le seconde sono quelle che recano criteri specifici di delega, ad integrazione di quelli generali di cui all'articolo 2.
L'articolo 7, in materia di controlli e di frodi alimentari, è stato modificato con una disposizione che, recependo una condizione contenuta nel parere della Commissione bilancio, prevede che il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali volto ad aggiungere altri settori merceologici oltre all'ortofrutta per i controlli di conformità alle norme di commercializzazione deve essere adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
La modificazione approvata dalla XIV Commissione al comma 6 dell'articolo 8 sulle norme di commercializzazione applicabili alle uova, recepisce un'osservazione presente nel parere del Comitato per la legislazione, che ha rilevato la presenza di richiami a disposizioni comunitarie non più vigenti.
L'articolo 9, introdotto dal Senato, è volto a modificare due disposizioni della legge comunitaria per il 2006 concernenti rispettivamente le procedure di trasformazione delle olive e l'istituto per gli studi sulla sicurezza ed il centro satellitare dell'Unione europea. L'articolo 10 riguarda la classificazione delle carcasse bovine.
Particolare rilievo assume l'articolo 11 che modifica l'articolo 150, comma 2, lettera a), della legge 22 aprile 1941, n. 633, come sostituito dall'articolo 8 del decreto legislativo 13 febbraio 2006, n. 118, in materia di protezione del diritto dell'autore di un'opera d'arte e di un manoscritto sulle successive vendite dell'originale. La disposizione in esame modifica l'articolo 150, comma 2, lettera a), rendendo più aderente la formulazione della normativa nazionale alla normativa comunitaria di riferimento.
L'articolo 12 introduce la definizione di «articoli di puericultura» nel vigente decreto del Presidente della Repubblica n. 904 del 1992. La nozione di articolo di puericultura comprende, ai sensi di tale disposizione, «qualsiasi prodotto destinato a conciliare il sonno, il rilassamento, l'igiene, il nutrimento e il succhiare dei bambini, ovverosia destinato alla cura delle attività giornaliere dei bambini e le cui parti accessibili possono essere messe in bocca». Merita richiamare la particolare delicatezza della disposizione, finalizzata ad ottemperare alla procedura di infrazione n. 2006/0792 avviata dalla Commissione europea, con relativa lettera di messa in mora, nei confronti del nostro Paese per la mancata attuazione di una specifica direttiva comunitaria. La definizione di tali prodotti, contenuta nel presente articolo, risulta prima facie più estesa rispetto a quella contenuta nella suddetta direttiva.
L'articolo 13 è stato inserito durante l'esame in sede referente presso la 14a Commissione al Senato; esso novella l'articolo 2449 del codice civile, modificando la disciplina prevista per la nomina delle cariche sociali in società per azioni partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici. Il testo vigente è attualmente oggetto di una procedura d'infrazione avviata dalla Commissione europea (procedura n. 2104 del 2006). La modificazione apportata recepisce, anche in questo caso, un'osservazionePag. 57contenuta nel parere del Comitato per la legislazione per un migliore coordinamento del testo.
L'articolo 14 conferisce la delega al Governo, da esercitarsi entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge per apportare le opportune modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 214, con il quale è stata recepita la direttiva 2002/89/CE concernente le misure di protezione contro l'introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità.
Durante la discussione al Senato si è notato come la relazione illustrativa del Governo si limiti a considerare tale delega «necessaria al fine di un più corretto adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa comunitaria», senza specificare quali siano gli aspetti della normativa attuativa che andrebbero migliorati e senza proporre principi e criteri di delega. Inoltre l'articolo in questione non precisa le modalità procedurali per l'adozione delle disposizioni legislative integrative e correttive.
Appare pertanto auspicabile la formulazione di princìpi e di criteri specifici di delega. Dovrebbe altresì risultare chiaro che le disposizioni di cui al comma 1 siano adottate nel rispetto dei principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 2, nonché nel rispetto delle procedure indicate nei commi 2, 3 e 4 dell'articolo 1, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.
L'articolo 15 conferisce al Governo una delega di sei mesi per adottare uno o più decreti legislativi recanti norme correttive di numerose disposizioni normative relative alla materia valutaria, alla luce delle norme introdotte dal regolamento (CE) n. 1889/2005, del Parlamento e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativo ai controlli sul denaro contante in entrata nella Comunità o in uscita dalla stessa.
L'articolo 16 contiene la delega al Governo di un anno per l'emanazione di un decreto legislativo per l'attuazione del regolamento (CE) n. 2173/2005, relativo all'istituzione di un sistema di licenze per le importazioni di legname nella Comunità europea, denominato FLEGT (Forest Law Enforcement Governance and Trade). Il citato regolamento si propone di contrastare il fenomeno dell'importazione illegale di legname e prodotti derivati nella Comunità da Paesi terzi. Il regolamento prevede la firma di accordi bilaterali tra l'Unione europea e i singoli Paesi esportatori, a seguito dei quali si introdurrà un sistema di licenze di esportazione tale da assicurare che il legno ottenuto legalmente, in conformità alla legislazione nazionale del Paese produttore, possa essere introdotto nell'Unione europea. Questa è anche la strada per evitare ricorsi all'Organizzazione mondiale del commercio che prevede, invece, l'eliminazione di qualsiasi ostacolo o barriera alla libera circolazione delle merci.
L'articolo 17 sostituisce il vigente articolo 2 del decreto legislativo n. 273 del 2003, prorogando al 31 dicembre 2008 il regime temporaneo IVA, instaurato dalla direttiva 77/388/CEE, applicabile ai servizi di radiodiffusione e di televisione e a determinati servizi prestati tramite mezzi elettronici. La Commissione ha modificato la rubrica dell'articolo, accogliendo un'indicazione contenuta nel parere del Comitato per la legislazione.
L'articolo 18 delega il Governo a modificare la disciplina sanzionatoria per l'indebito conseguimento di misure di sostegno dello sviluppo rurale al fine di applicare i principi di proporzionalità della sanzione in base alla gravità, entità e durata dell'inadempienza, in applicazione del regolamento (CE) n. 1975/2006.
L'articolo 19, anch'esso introdotto durante l'esame al Senato, sostituisce la lettera d) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 504 del 1995, ampliando la possibilità di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate nella circolazione di prodotti sottoposti ad accisa. In questa ipotesi la novella è determinata dall'esigenza di conformarsi ad una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 12 dicembre 2002, n. C-395/2000.Pag. 58
L'articolo 20 contiene una delega di sei mesi al Governo, per l'emanazione di un decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 196, che ha dato attuazione alla direttiva 2002/59/CE relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio e di informazione sul traffico navale. Le disposizioni correttive si rendono necessarie al fine di rispondere ai rilievi di compatibilità comunitaria sollevati dalla Commissione europea con la lettera di messa in mora del 12 ottobre 2006, nell'ambito della procedura d'infrazione n. 2006/2316.
L'articolo 21 conferisce al Governo apposita delega legislativa di sei mesi per apportare integrazioni e modifiche al decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, attuativo delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti, al fine di correggere le disposizioni già oggetto della procedura di infrazione n. 2006/4482 del 12 ottobre 2006 e di modificare o abrogare le disposizioni comunque in contrasto con gli obblighi comunitari, nonché per apportare le modifiche necessarie a consentire un più efficace funzionamento dei sistemi collettivi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Si tratta di un tema su cui la XIV Commissione ha richiamato in più occasioni l'attenzione del Governo.
L'emendamento approvato nel corso dell'esame è volto a chiarire che le modifiche alla normativa vigente in tema di riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché di smaltimento dei rifiuti devono mirare, in particolare, a favorire la semplificazione delle procedure e l'individuazione di opportuni criteri di rappresentanza dei sistemi collettivi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.
L'articolo 22 delega il Governo a dare organica attuazione alla direttiva 2006/117/EURATOM relativa alla sorveglianza ed al controllo delle spedizioni dei rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito. La norma prevede, altresì, princìpi e criteri specifici per la delega, i quali prevedono: che il recepimento avvenga novellando il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, con il quale è stata trasposta, tra le altre, la direttiva 92/3/EURATOM, abrogata dalla direttiva 2006/117/EURATOM; autonome fattispecie delittuose per le condotte di abbandono e di traffico illecito di rifiuti e di sorgenti radioattive.
L'articolo 23 dispone il recepimento della direttiva 2006/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 77/91/CEE del Consiglio relativamente alla costituzione delle società per azioni nonché alla salvaguardia ed alle modificazioni del capitale sociale.
L'articolo 24 contiene una delega per l'attuazione della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio e abroga la direttiva 84/253/CEE del Consiglio.
La modificazione dell'articolo 24, concernente le revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, è volta a prevedere - in ottemperanza al parere della Commissione Bilancio - che dall'attuazione di tale articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri o minori entrate per il bilancio dello Stato.
L'articolo 25, introdotto nel corso dell'esame presso il Senato, delega il Governo ad emanare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per disciplinare l'esercizio dell'opzione di cui all'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1606/2002, estendendo l'obbligo di applicazione dei princìpi contabili internazionali alla redazione del bilancio di esercizio delle imprese di assicurazione.
L'articolo 26 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi di attuazione del Regolamento (CE) n. 423/2007 concernente restrizioni alle transazioni connesse con beni e tecnologie a duplice uso, suscettibili cioè di impieghi civili ePag. 59militari, alle forniture di assistenza tecnica o finanziaria, di intermediazione o di investimento relativi agli stessi beni e tecnologie, nei confronti dell'Iran, in quanto utilizzabili nei programmi di sviluppo nucleare e di sistemi di lancio di armi nucleari.
L'articolo 27, introdotto nel corso dell'esame presso la 14a Commissione del Senato, conferisce, al comma 1, una delega al Governo per la definizione delle modalità di finanziamento dei controlli sanitari ufficiali, di cui al regolamento (CE) n. 882 del 2004. I controlli in oggetto (inerenti ai rischi sia per gli esseri umani sia per gli animali) sono quelli «intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti alle norme sulla salute e sul benessere degli animali».
Il profilo maggiormente innovativo, rispetto al passato, del disegno di legge comunitaria 2007 è rappresentato dall'introduzione di un Capo III (articoli 28-32) che raccoglie, per la prima volta, le disposizioni occorrenti per dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, alle decisioni quadro adottate nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (il cosiddetto «terzo pilastro» dell'Unione europea) ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c), della legge 4 febbraio 2005, n. 11, fissando i principi generali e i criteri direttivi di delega che, peraltro, in gran parte ripetono quelli del Capo I.
Si tratta, in particolare, di quattro decisioni quadro relative alla lotta contro la corruzione nel settore privato (articolo 29), al riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti di blocco o sequestro probatorio emessi da un altro Stato membro (articolo 30, il cosiddetto «mandato di sequestro europeo»), al ravvicinamento delle normative nazionali in materia di confisca di beni, strumenti e proventi di reato (articolo 31), all'applicazione, anche alle sanzioni pecuniarie, del principio del riconoscimento reciproco (articolo 32).
In considerazione dell'autonomia e della specificità della materia oggetto della iniziativa, le disposizioni attuative di tali decisioni quadro sono state raggruppate in un capo autonomo, composto di cinque articoli.
L'articolo 28 conferisce la delega al Governo per l'attuazione degli strumenti sopra indicati e ne prevede il termine di esercizio, stabilito in dodici mesi; disciplina inoltre il procedimento per la formazione dei decreti legislativi, la cui proposta è attribuita al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro per le politiche europee e al Ministro della giustizia, con il concerto del Ministro degli affari esteri, del Ministro dell'interno, del Ministro dell'economia e delle finanze e delle altre amministrazioni di volta in volta interessate, in relazione all'oggetto della decisione quadro da attuare.
Stante il carattere sensibile della materia della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, il disegno di legge prevede sempre la sottoposizione dello schema di decreto legislativo al parere dei competenti organi parlamentari e l'obbligo, per il Governo, nell'ipotesi in cui non intenda conformarsi a tali pareri, di ritrasmettere i testi alle Camere con le proprie osservazioni e con le eventuali modificazioni. Il termine per l'espressione del parere parlamentare è stato portato da 40 a 60 giorni nel corso dell'esame nelle Commissioni.
L'articolo 29, modificato nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, definisce i princìpi ed i criteri direttivi nell'attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato, da realizzare assicurando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti.
I princìpi di delega fissano, al comma 1, lettera a), i criteri direttivi per l'introduzione nel libro II, titolo VIII, del codice penale di una fattispecie criminosa la quale punisca con la reclusione da uno a cinque anni la condotta di colui che, nell'ambito di attività professionali, solleciti intenzionalmente o riceva, per sé o per un terzo, direttamente o tramite un intermediario, un indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure accetti la promessa di talePag. 60vantaggio. La punibilità, secondo i criteri direttivi, va estesa anche a colui che dà o promette l'utilità di cui alla lettera a).
Si dettano altresì i princìpi direttivi per la introduzione, fra i reati societari di cui alla sezione III del capo I del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, dell'anzidetta fattispecie criminosa, con la previsione di adeguate sanzioni pecuniarie ed interdittive nei confronti delle persone giuridiche nel cui interesse o vantaggio sia stato commesso il reato.
I criteri direttivi per l'attuazione della decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco di beni o di sequestro probatorio sono stabiliti dall'articolo 30. Le norme di delega mirano a consentire la esecuzione nel territorio di uno Stato membro del provvedimento di sequestro emesso dall'autorità di altro Stato membro, per finalità probatorie ovvero quando è funzionale alla confisca di beni o anche di documenti che costituiscono prova, quando essi si trovino nel territorio dello Stato di esecuzione.
Con l'articolo 31 vengono invece definiti i princìpi ed i criteri direttivi per l'attuazione della decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato, secondo, anzitutto, il principio della obbligatorietà della confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, se appartenenti a uno degli autori del reato, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti. In base alla delega occorre poi, in particolare: prevedere la possibilità di disporre la confisca su cose appartenenti a persona diversa dall'autore, soltanto nei casi di agevolazione colposa; prevedere, soltanto se i suddetti beni siano stati nuovamente utilizzati senza che sia stata data attuazione alle prescrizioni opportune per la messa in sicurezza impartite dall'autorità amministrativa, o comunque alla messa in sicurezza.
Si prevede altresì di adeguare la disciplina della confisca nei confronti delle persone giuridiche, di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e di prevedere che in ogni caso la confisca non pregiudichi i diritti di terzi in buona fede sulle cose che ne sono oggetto.
L'articolo 32 detta i criteri direttivi per l'attuazione alla decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie.
Fra i principi di delega è da ricordare la possibilità per l'autorità italiana competente di rifiutare l'esecuzione, qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che le sanzioni pecuniarie si prefiggono di punire una persona per motivi di sesso, razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o orientamento sessuale, oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi.
Come si può notare, i principi di non discriminazione dell'articolo 21 della Carta dei diritti possono (e debbono) incidere anche nella definizione dell'armonizzazione delle più specifiche politiche dell'Unione.
Circa i dibattiti che ha sollevato e sta sollevando questo capo III, occorre sottolineare come la realizzazione e attuazione del terzo pilastro rappresenti una sfida che investe direttamente le diverse culture dei diritti fondamentali, l'integrazione tra i diversi livelli della sovranità, la visione della comune cittadinanza europea.
Si tratta di una svolta, rispetto a cui la legge comunitaria risulta un tassello per un diritto europeo integrato, che, nel raccordo tra i diversi livelli di costituzionalità, deve aiutare a sfuggire sia ai rischi delle parcellizzazioni identitario-localistiche che dalle derive delle sintesi centraliste precostituite. In questa prospettiva appare auspicabile che tutti i livelli dei pubblici poteri, nazionali, regionali e locali, si sentano sempre più coinvolti nell'impresa della comune costruzione della sintesi europea anche dall'interno dei processi di implementazione del federalismo.
Concludendo, anche nella definizione della legge comunitaria 2007, ParlamentoPag. 61e Governo hanno svolto efficacemente, nei loro rispettivi ambiti di autonomia e di competenze, gli adempimenti agli obblighi comunitari guardando fisso all'idea di Europa cui si intende contribuire ed al contributo da dare, in tal modo, ai processi di sviluppo e di modernizzazione del Paese. Anche nelle concrete e specifiche politiche di trasposizione delle normative, resta valida la lezione storica di Lucien Febvre (1945): sfuggire ai rischi di un'integrazione europea che si svolga sotto un'egemonia centralizzatrice unilaterale, evitare le tentazioni di legittimare i particolarismi difensivi ripiegati su se stessi.
Mi sia consentito, infine, per sottolineare la rilevanza politica sottesa alla routine annuale dell'approvazione della legge comunitaria, di avanzare un paragone ardito tra la libertà femminile e la costruzione di uno spazio europeo comune, di cittadinanza eguale e di libertà di movimento delle persone e delle merci. Dieci anni fa, a Parigi, moriva Alba De Cespedes, una grande scrittrice del Novecento, italiana e cosmopolita per nascita e respiro culturale. Nel suo Quaderno proibito, scritto nel 1952, alle soglie del processo d'integrazione europea, ci ha restituito la quotidianità, le aspirazioni e le delusioni di una donna, Valeria Cossati, nell'Italia di quel tempo. Allora la legislazione nazionale, di tipo vincolistico, sanzionava chi acquistasse un quaderno, in tabaccheria, in un giorno festivo, e restringeva le donne sotto l'autorità maritale in spazi vitali angusti, di minorità giuridica, economica e sociale. Credo che, in un'Europa con 27 membri e più ampia anche grazie all'allargamento recentissimo dell'area Schengen, al di là delle facili ironie degli euroscettici, vada notato come il percorso dell'integrazione europea sia servito anche a rendere più libere e più consapevoli di sé milioni di donne, che, oggi, imitandosi le une con le altre all'interno della metafora vitale del «questa è l'Europa», possono comprare un personal computer (piuttosto che il famoso quaderno di Valeria), quasi in qualsiasi ora del giorno ed in qualsiasi giorno della settimana, magari per tralasciare i consueti doveri della domenica mattina, semplicemente per raccontarsi.
TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO CLAUDIO FRANCI IN SEDE DI DISCUSSIONE CONGIUNTA SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 3062-A E DELLA RELAZIONE DOC. LXXXVII, N. 2
CLAUDIO FRANCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei cogliere l'opportunità dell'esame del provvedimento legislativo al nostro esame, che recepisce le norme comunitarie nella nostra legislazione e dell'esame della Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea relativa all'anno 2006 per compiere un complesso di valutazioni sulle politiche agricole comunitarie che hanno determinato e determineranno un forte impatto nella economia agricola del nostro Paese.
Evidente è il peso che l'agricoltura assolve nel contesto europeo: lo ha assolto negli anni di costruzione del processo d'integrazione e del formarsi e definirsi delle politiche europee, lo ha oggi nell'Europa a ventisette Stati membri. Quasi la metà del bilancio dell'Unione, infatti, è destinato alle politiche agricole che hanno visto trasformarsi nel tempo la loro funzione. Se per un lungo periodo la politica agricola comune ha avuto come obiettivo fondamentale la risposta al problema dell'autonomia alimentare di questa parte del mondo, sempre più oggi è chiamata ad assolvere ad un ruolo di valorizzazione e di difesa dell'ambiente e del paesaggio, costituisce un presidio territoriale umano fondamentale senza il quale più gravi risulterebbero i rischi di degrado ambientale e dell'assetto idrogeologico, è chiamata a rispondere alla domanda di sicurezza alimentare che viene dai consumatori, alla salubrità delle produzioni ed è chiamata, in un sistema sempre più globalizzato, non solo a rispondere alla sfida competitiva, ma anche alla difesa dei nostri marchi dalle tante imitazioni presenti in giro per il mondo.Pag. 62
Questo è tanto più necessario per il nostro Paese, dove le scelte compiute negli ultimi anni a sostegno della qualità delle produzioni, delle certificazioni, della tracciabilità hanno rafforzato il peso che il settore agroalimentare ha nella caratterizzazione del made in Italy nel mondo e nell'identità e nella cultura, non solo enogastronomica, del nostro Paese. Ecco perché oltre ad esaminare i singoli articoli, contenuti nella legge comunitaria, che giudichiamo positivamente ed utili alla crescita del settore agricolo dell'Italia, intendiamo svolgere un ragionamento che riguarda le politiche in atto di revisione della politica agricola comune e della pesca, che rappresenta un altro pilastro fondamentale dell'identità agroalimentare e socioculturale del nostro Paese.
Profondi sono stati i cambiamenti introdotti nelle politiche agricole comunitarie. Se nella storia della politica agricola comune il sostegno al reddito agricolo era strettamente legato alle produzioni effettuate, le riforme sulle organizzazioni comuni di mercato, intervenute in questi ultimi anni, capovolgono i criteri di assegnazione dei contributi, impegnano l'azienda agricola nelle sfide di mercato, prescindono largamente dalle produzioni effettuate, chiamano in causa fattori ambientali, standard di qualità nelle produzioni animali e vegetali. Questo è il significato del disaccoppiamento degli aiuti introdotto con i cambiamenti che determina.
Siamo di fronte ad una innovazione radicale che chiama in causa non solo i fattori economici di costruzione del reddito dell'azienda, ma il modo d'intendere l'impresa ed il suo collocarsi sul mercato. Il mondo agricolo italiano ed europeo è chiamato a ridefinire la propria funzione, sapendo che gli strumenti dei quali oggi parliamo avranno una validità fino al 2013, dopodiché più accentuati saranno i processi di liberalizzazione dei mercati agricoli. Dobbiamo farlo pensando al 2010, data nella quale il Mediterraneo diverrà una grande area di libero scambio nel quale le produzioni agroalimentari, la pesca e le risorse marine assumeranno una funzione significativa. È guardando a questi processi che riteniamo che l'agricoltura italiana in Europa e con l'Europa potrà continuare ad assolvere un ruolo centrale dello sviluppo economico del Paese. In questi ultimi due anni si sono chiuse alcuni revisioni delle organizzazioni comuni di mercato e regolamenti che hanno coinvolto settori come quello bieticolo-saccarifero, dell'ortofrutta, del vino, dell'agricoltura biologica, i piani di sviluppo rurale, il set-aside ed ancora aperta è la discussione sulle quote latte.
Per quanto riguarda il settore bieticolo-saccarifero, occorre ricordare che la riforma approvata dal Governo Berlusconi prevede la chiusura di dieci impianti su sedici nel nostro Paese e la riduzione di oltre il 50 per cento delle coltivazioni (vorrei ricordarlo all'onorevole Pili). Noi riteniamo che una significativa azione di stimolo vada condotta nelle singole realtà territoriali dove erano presenti gli impianti di produzione dello zucchero, affinché celermente possano andare avanti i programmi di riconversione. Giudichiamo positivamente l'azione condotta in sede europea dal nostro Governo sul contributo ai coltivatori che intendono uscire dalla produzione della barbabietola da zucchero e sulla previsione di interventi perequativi per chi già si è ritirato dalla produzione.
Il confronto continua ad essere aperto in Europa in materia di quote latte: da una parte, si prevede l'ampliamento del 2 per cento del plafond complessivo e, dall'altra, esso riguarda l'assegnazione agli Stati membri, nella prospettiva di giungere dopo il 2011 ad una completa liberalizzazione delle quote stesse. La strada da seguire dovrebbe essere quella di riconoscere una percentuale maggiore di quote a quei paesi dove più alto è lo squilibrio fra capacità produttiva, quote assegnate e consumo nazionale e, nell'ambito di questo meccanismo, nel nostro Paese, privilegiare nell'assegnazione di nuove quote quelle imprese che hanno esercitato l'attività nel rispetto delle regole.
La riforma del settore ortofrutticolo, approvata con il concorso positivo e determinante del nostro Governo, rivede alcuniPag. 63elementi della proposta iniziale della Commissione europea nel senso auspicato anche dal nostro Parlamento, in particolare per quanto concerne il mantenimento di un aiuto alla produzione per i prodotti destinati alla trasformazione. Come è stato sottolineato più volte, anche nei documenti approvati dalla XIII Commissione, l'introduzione immediata di un aiuto disaccoppiato avrebbe determinato il rischio di una forte riduzione della produzione, con gravi difficoltà per le industrie di trasformazione, della frutta e del pomodoro.
Non possiamo che esprimere il nostro apprezzamento per la riforma dell'OCM approvata e per l'azione condotta dal Governo in sede comunitaria, che vi ha inserito il principio della tracciabilità delle produzioni e che può risultare utile anche per altri comparti, non ultimo quello dell'olio di oliva.
Il decreto sulla tracciabilità dell'olio extravergine attualmente all'esame di Bruxelles trova un precedente proprio nelle regole contenute nell'OCM dell'ortofrutta, del quale auspichiamo una rapida approvazione.
Stabilire la provenienza delle olive, i luoghi di molitura, le eventuali miscelazioni non solo contribuisce a determinare un elemento di corretta informazione del consumatore, ma aiuta a dare trasparenza ad un settore nel quale troppe continuano ad essere le sofisticazioni che penalizzano i produttori onesti e che maggiormente hanno investito nella qualità delle produzioni.
La riforma del regolamento (CE) 2007/834 sulla produzione biologica e sull'etichettatura dei prodotti biologici è avvenuta il 28 giugno 2007 ed ha registrato giustamente il voto contrario del nostro Governo.
Secondo il nuovo regolamento l'uso del logo biologico UE sarà obbligatorio, ma non escluderà l'esistenza di marchi nazionali. Tale logo verrà dato agli alimenti con almeno il 95 per cento degli ingredienti provenienti dall'agricoltura biologica. Il settore ristoranti e mense non rientra nel campo di applicazione. Gli alimenti biologici potranno essere contaminati accidentalmente da OGM con un limite dello 0,9 per cento, la stessa soglia prevista per la contaminazione degli alimenti convenzionali. Queste norme hanno destato grande preoccupazione nei nostri produttori e anche la nostra Commissione in più occasioni si è espressa contro un limite così elevato di contaminazione. Il nostro Parlamento è impegnato ad approvare una riforma del biologico in Italia che sostenga la produzione nazionale e stabilisca una soglia accettabile di contaminazione, ed è ormai in una fase avanzata di discussione.
Un'altra decisione importante, assunta con il concorso decisivo del nostro Governo, è quella relativa alla riduzione dal 10 allo zero per cento della percentuale dei terreni agricoli da mettere a riposo obbligatorio nel 2008 (set-aside). Tale misura ha già consentito, per la campagna 2008, di rimettere a coltura terreni idonei alla produzione cerealicola, in considerazione della situazione difficile del mercato dei cereali e degli usi plurimi che avvengono nel panorama internazionale.
L'altro grande capitolo agricolo è rappresentato da quello che viene chiamato il secondo pilastro della politica agricola, lo sviluppo rurale. La programmazione 2007-2013 vedrà destinare all'Italia 8,292 miliardi di euro e fondamentale sarà il ruolo svolto dalle regioni nella sua applicazione.
Una misura particolarmente importante è la nuova normativa degli aiuti di modesta entità alle imprese che aumenta a 7.500 euro per beneficiario, in un triennio, il massimale individuale degli aiuti di Stato, gli aiuti de minimis, come si definiscono, a favore delle imprese agricole, mentre fino ad oggi tale beneficio era pari a tremila euro. Il limite massimo complessivo per Stato membro, a partire dal 1o gennaio, viene portato allo 0,75 per cento del valore della produzione agricola (attualmente tale limite era pari allo 0,3).
La riforma sulla quale era concentrata quest'anno la più grande attenzione è quella dell'OCM del vino; credo sia chiara a tutti l'importanza che gli esiti di essa hanno nel sistema agricolo del nostro Paese. Il vino è la punta di diamante della nostra presenza nei mercati internazionali.Pag. 64La riforma approvata a fine anno ci propone un quadro fatto di luci ed ombre, un risultato fortemente condizionato dagli Stati membri del nord Europa e comunque consente di parlare di una soluzione non negativa per la vitivinicoltura italiana. Abbiamo ottenuto risultati significativi nella riduzione degli ettari da estirpare obbligatoriamente, passando da 400 mila a 175 mila ettari, abbiamo ottenuto un surplus di aumento nella pratica di arricchimento naturale dei mosti, 60 milioni di euro; lo zuccheraggio non è stato abolito e questo rimane il vero handicap di tutta la riforma. È un compromesso sul quale l'Italia può continuare a lavorare valorizzando le proprie denominazioni di qualità e qualificando il patrimonio vitivinicolo nazionale. Occorre però mettere mano ad una riforma della legge sulle denominazioni di origine ed i vini di qualità che ha dato grandi frutti nel passato, ma oggi deve adempiere a nuovi compiti nel mercato europeo ed internazionale.
Concludo con alcune osservazioni che riguardano il settore della pesca e dell'acquacoltura.
Anche in questo campo sono state ridefinite nuove norme e regolamenti, il nuovo Fondo europeo per la pesca (FEP) ed il regolamento per il Mediterraneo rappresentano le novità più significative. Il nostro Governo ha approvato dopo anni di proroghe il piano triennale della pesca che dovrà convogliare le risorse comunitarie e le risorse nazionali in un'organica politica per il settore, che tenga conto delle attività economiche propriamente destinate al settore, delle esigenze ambientali, degli habitat marini e di politiche di accompagnamento sociale in un settore in profonda riorganizzazione e riconversione. Assieme ad una nuova sensibilità europea per il Mediterraneo rilevo due questioni: la prima è un impegno dell'Europa a definire regole comuni con i paesi rivieraschi e l'altra il peso che il costo del gasolio va assumendo per l'attività ittica, nella quale incide per oltre il 40 per cento.
Sono le questioni sulle quali occorrerà lavorare nel prossimo futuro assieme ad una politica di accentuazione della multifunzionalità del settore ed ad uno sviluppo dell'acquacoltura e della maricoltura che già rappresentano una realtà significativa nel sistema della filiera ittica. L'azione svolta in sede comunitaria, ciò che il Governo sta facendo sul piano delle relazioni internazionali, le norme contenute nella legge finanziaria e nei suoi collegati hanno offerto al mondo agricolo punti importanti di riferimento sui quali abbiamo espresso il nostro apprezzamento. Occorre andare avanti con decisione per operare una profonda riorganizzazione degli strumenti nazionali che agiscono in campo agricolo e questo è il lavoro che abbiamo davanti.