Immunità – Le alte cariche dello Stato

L’articolo 1 della legge n. 140 del 2003

L’articolo 1 della L. 140/2003[1], attuativo dell’articolo 68 della Costituzione in materia di immunità parlamentari (v. scheda Immunità – La legge attuativa dell’art. 68 Cost.) disponeva, al comma 1, che non possono essere sottoposti a processi penali:

§         il Presidente della Repubblica, salvo quanto previsto dall’art. 90 Cost.[2];

§         il Presidente del Senato della Repubblica;

§         il Presidente della Camera dei deputati;

§         il Presidente del Consiglio dei ministri, salvo quanto previsto dall’art. 96 Cost. per i reati compiuti nell’esercizio delle sue funzioni (c.d. “reati ministeriali”);

§         il Presidente della Corte costituzionale.

La non sottoposizione a processo penale per le suddette cariche istituzionali è prevista:

§         per qualsiasi reato, anche relativo a fatti antecedenti l’assunzione delle cariche o delle funzioni;

§         fino alla cessazione delle cariche o delle funzioni.

Il comma 2 dell’articolo reca una norma transitoria che dispone la sospensione dei processi penali in corso, fatto comunque salvo quanto previsto dagli artt. 90 e 96 Cost.. In particolare, la sospensione:

§         opera dalla data di entrata in vigore della legge;

§         riguarda i processi penali in corso in ogni fase, stato o grado;

§         concerne i processi pendenti per qualsiasi reato, anche relativi a fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione fino alla cessazione delle medesime.

Il comma 3 prevede l’applicazione – nelle ipotesi contemplate dai due commi precedenti – delle disposizioni dell’art. 159 del codice penale, che disciplina la sospensione della prescrizione.

 

L’art. 159 c.p.[3] dispone la sospensione del corso della prescrizione nei casi – tra gli altri – di autorizzazione a procedere e quando la sospensione del procedimento penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge.

La sospensione nei casi di autorizzazione a procedere si verifica dal momento in cui il pubblico ministero effettua la relativa richiesta. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione. In caso di autorizzazione a procedere, il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui l’autorità competente accoglie la richiesta.

 

Nel corso dell’esame parlamentare del relativo disegno di legge, i profili di legittimità costituzionale dell’articolo[4] avevano formato oggetto di viva ed approfondita discussione.

 

Da parte di esponenti di gruppi di opposizione venne sostenuta la tesi della illegittimità costituzionale della prevista sospensione processuale, con principale riguardo agli artt. 3 (in quanto deroghe al principio di eguaglianza davanti alla legge possono essere disposte unicamente da norme di rango costituzionale), 112 (ai sensi del quale “il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”), 111 (ritenendosi che una sospensione di durata non determinabile confligga con il principio di ragionevole durata dei processi) e 24 Cost. (con riguardo sia al diritto ad agire in giudizio sia al diritto alla difesa, anche per il carattere irrinunciabile della prerogativa e per il pregiudizio che dalla sospensione deriverebbe alle parti civili).

A questi ultimi rilievi si replicò, da parte di esponenti della maggioranza, che l’irrinunciabilità della prerogativa dipende dalla ratio della norma, volta a tutelare la carica e non la persona, e che la parte offesa può sempre far valere le sue ragioni in sede civile. Si sostenne inoltre[5] la compatibilità della norma con l’art. 112 (considerata la temporaneità della sospensione e visto che “il termine processo, a differenza del termine procedimento, presuppone l’esercizio dell’azione penale” ex art. 405 c.p.p.), con l’art. 3 (trattandosi di “cinque posizioni specialissime, essendo le cariche di maggior rilievo dello Stato”), con l’art. 111 Cost. (anche considerando che la ragionevole durata del processo è stabilita soprattutto nell’interesse dell’imputato), e con l’art. 138 Cost. (la norma infatti non modifica l’art. 68, né gli artt. 90 e 96 Cost., che non riguardano i reati comuni; quanto a questi ultimi, anzi, il silenzio della Costituzione rafforzerebbe la tesi del corretto ricorso alla legislazione ordinaria, non essendo in gioco valori costituzionali, bensì problemi di opportunità).

La sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2004

A distanza di non molti mesi dall’entrata in vigore della legge la Corte costituzionale, con la sent. 24/2004, ha dichiarato la illegittimità costituzionale del testé illustrato art. 1, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nei quali trovano fondamento, rispettivamente, il principio di parità di trattamento rispetto alla giurisdizione e il diritto alla difesa.

 

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal tribunale di Milano con riferimento all’art. 3 Cost., in rapporto all’art. 112 Cost., che sancisce il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale; agli artt. 68, 90 e 96 Cost., in quanto attribuisce alle persone che ricoprono una delle menzionate alte cariche dello Stato una prerogativa non prevista dalle citate disposizioni della Costituzione, che verrebbero quindi ad essere illegittimamente modificate con legge ordinaria, in violazione anche dell’art. 138 Cost.; agli artt. 24, 111 e 117 Cost., perché non consente l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato e delle parti civili, in contrasto anche con la Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La Corte ha ritenuto la questione fondata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., rimanendo assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale.

 

Pur rilevando che l’interesse tutelato dalla disposizione (il sereno svolgimento delle rilevanti funzioni inerenti alle più alte cariche dello Stato) appare apprezzabile e tutelabile in armonia con i princìpi fondamentali dello Stato di diritto, la Corte osserva che la prevista sospensione – generale, automatica e di durata non determinata – crea un regime differenziato riguardo all’esercizio della giurisdizione penale e incide, menomandolo, sul diritto di difesa dell’imputato, al quale è posta l’alternativa tra continuare a svolgere l’alto incarico rimanendo sotto il peso di un’imputazione in ipotesi anche assai grave, oppure dimettersi dalla carica al fine di ottenere un accertamento giudiziale prefigurato come favorevole, rinunciando con ciò al godimento di un diritto garantito dall’art. 51 della Costituzione.

Risulta, altresì, sacrificato il diritto della parte civile (la quale, anche ammessa la possibilità di trasferimento dell’azione in sede civile, deve soggiacere alla sospensione prevista dall’art. 75, co. 3, c.p.c.).

La Corte ha ritenuto la norma in contrasto con l’art. 3 Cost. anche perché accomuna in unica disciplina cariche diverse per investitura e per funzioni, distinguendo, per la prima volta, sotto il profilo della parità rispetto ai princìpi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri e della Corte costituzionale rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti; l’ha infine ritenuta viziata da irragionevolezza in quanto, pur facendo salvi gli artt. 90 e 96 Cost., tace sull’art. 3, co. 2°, L.Cost. 1/1948, che ha esteso a tutti i giudici della Corte costituzionale il godimento dell’immunità accordata nel secondo comma dell’art. 68 Cost. ai membri delle due Camere.



[1]    Legge 20 giugno 2003, n. 140, Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato. L’art. 1 è stato introdotto nel corso dell’esame al Senato del relativo disegno di legge (A.S. 2191) ad opera dell’articolo aggiuntivo 1.500, sottoscritto dai senn. Schifani, D’Onofrio, Nania e Moro ed approvato dall’Assemblea nella seduta antimeridiana del 4 giugno 2003.

[2]    L’art. 90 Cost. sancisce l’irresponsabilità del Capo dello Stato per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento ed attentato alla Costituzione.

[3]    L’art. 159 c.p. è stato modificato dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione. La nuova disciplina non reca modifiche sostanziali nella parte qui illustrata.

[4]    L’articolo 1 è stato introdotto nel corso dell’esame al Senato del disegno di legge A.S. 2191, già approvato dalla Camera (articolo aggiuntivo 1.500, sottoscritto dai senn. Schifani, D’Onofrio, Nania e Moro ed approvato nella seduta antimeridiana dell’Assemblea del 4 giugno 2003). Il testo non è stato modificato nel corso della successiva lettura alla Camera (A.C. 185-B).

[5]    Gli argomenti a sostegno della conformità a Costituzione della disposizione appaiono ben riassunti nel parere di nulla osta espresso dalla 1ª Commissione (Affari costituzionali) del Senato nella seduta del 3 giugno 2003. Da tale parere sono tratte le citazioni tra virgolette.